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Le guerre imperiali della Russia di Putin e l''aggressione criminale dell'Ucraina.
Nessun confronto possibile tra le guerre nazifasciste, imperialiste e suprematiste della Russia di Putin con le guerre dell'Occidente, degli USA e della NATO dopo la Seconda guerra mondiale.Tutte le guerre di Putin dal 1999 all'Ucraina di oggiBarbara Massaro
30 marzo 2022
https://www.panorama.it/news/dal-mondo/ ... na-di-oggiDa quando lo scorso 24 febbraio la Russia ha invaso l’Ucraina dichiarando, di fatto, guerra all’Occidente (attraverso la Nato) i riflettori del mondo sono tornati a puntare – ancora una volta- sulla cosiddetta polveriera balcanica.
Dal crollo dell’ex Unione Sovietica, infatti, l’intero territorio è stato soggetto a una serie di conflitti, tensioni, guerre e battaglie che – purtroppo - nulla hanno da invidiare al mezzo secolo di Guerra Fredda che ha contrapposto l’Occidente all’ex blocco comunista, contrapposizione, di fatto, mai risolta.
Più o meno sono una ventina i conflitti armati cui la Russia post URSS ha partecipato negli ultimi 30 anni e la maggior parte di questi ha il sigillo della Z di Putin in calce.
A riavvolgere a ritroso il nastro della storia dalla fine dell’URSS la Russia ha firmato una guerra ogni 18 mesi; conflitti giustificati dalla necessità di ristabilire la pace, di sostenere fazioni filo russe o di aiutare alleati in difficoltà, ma in realtà guerre che mal celano il desiderio russo di tornare a dominare l’intero territorio che si snoda al di là degli Urali e di sedare le spinte centrifughe della costellazione di repubbliche nate dal crollo dell’URSS.
La fine dell’era Eltsin
All’alba dell’era Eltsin i cannoni puntati sulla Georgia hanno portato allo scoppio della prima guerra cecena (1994-1996) un genocidio finito con un armistizio che non piaceva a Mosca. Dopo la fine ufficiale degli scontri a fuoco la Cecenia si è trasformata in un far west dove mafia, corruzione e criminalità impedivano il ritorno di qualsivoglia forma di controllo pubblico sul paese. Putin, al momento della sua ascesa al Cremlino – 9 agosto 1999 - senza esitazione, ha preso in mano lo scettro del potere e la guerra è stata la lingua attraverso la quale lo Zar ha regolato le sue relazioni internazionali sia con l’Occidente sia con la costellazione delle repubbliche ex sovietiche.
Il terreno Putin se lo stava coltivando bene già da un pezzo. Gioco facile per l’ex tenente colonello del Kgb arrivato a Mosca nel 1996 per ricoprire la carica di capo delegato per la gestione della Proprietà presidenziale. Eltsin allora, alcolizzato e malato, stava affondando la neonata federazione russa con una politica economica scellerata che aveva ridotto i russi in uno stato di povertà assoluta permettendo il dilagare di corruzione e criminalità.
La seconda guerra cecena: 1999-2009
E così Putin ha visto bene di chiudere la questione cecena sedando ogni spiraglio indipendentista della piccola repubblica caucasica. L’occasione è stata fin troppo ghiotta. L’8 agosto 1999 – giorno prima dell’insediamento ufficiale di Putin – erano state inviate truppe russe nella regione caucasica del Daghestan, una della 85 entità amministrative che componevano la Federazione russa per sedare la guerriglia islamista cecena che aveva occupato quattro villaggi. Due giorni dopo i 4 villaggi avrebbero dichiarato l’indipendenza dando il là al via della marcia russa sulla Cecenia. Dopo 4 settimane il Daghestan era riconquistato. Meno di un mese dopo una serie di attentati sospetti a Mosca e in altre città russe furono imputati alle milizie filo islamiste cecene e furono il bottone rosso schiacciato per avviare la macchina da guerra di Putin. Certo, come dimenticare che la giornalista Anna Politkovskaja e l’ex spia Alexander Litvinenko rivelarono come ci fosse l’Fsb, l’ex Kgb, dietro quegli attentati, ma Anna e Alexander vennero ammazzati e con loro anche la verità sull’inizio del massacro ceceno.
L’offensiva russa fu brutale. L’episodio più noto fu la pioggia di bombe sul mercato di Grozny, capitale cecena, il 21 ottobre 1999. Morirono 140 civili, per lo più donne e bambini. Durante un decennio la Russia mosse la sua crociata contro il terrorismo ceceno massacrando la popolazione in nome del ritorno all’ordine. L'esatta stima delle perdite di questa guerra è tuttora sconosciuta, anche se fonti non ufficiali contano un numero di circa 25.000 - 50.000 vittime tra morti, feriti e dispersi, molti dei quali tra i civili.
Il fronte kosovaro
Mentre il fronte ceceno rimaneva aperto Putin (che nel frattempo, nel 2000, era stato confermato al Cremlino con il 53% dei voti) aveva già deciso che la seconda questione da chiudere era quella kosovara. Mosca da un anno faceva parte, insieme ai paesi Nato della Kosovo Force, un’operazione di peacekeeping volta a trovare una soluzione alle tensioni belliche in corso da un decennio tra gli indipendentisti filo albanesi e i fedeli Ortodossi filo serbi vicini alla Russia. Se però i paesi Nato puntavano a favorire l’indipendentismo albanese, il peso sulla Kosovo Force e soprattutto il timore di incendiare un’altra volta la polveriera balcanica hanno determinato la scelta di appoggiare gli ortodossi a scapito degli albanesi. In questo periodo la Russia si è avvicinata tanto all’Occidente da entrare a far parte del G8.
La prima guerra del nuovo millennio: la Georgia
La prima guerra del XXI secolo è rapidissima e violenta. La Georgia cercava da tempo di liberarsi dall’influenza di Mosca, ma per farlo avrebbe dovuto affrancarsi dalle regioni russofile dell’Abkhazia dell’Ossezia del Sud. E così la notte del 7 agosto 2008 la Georgia bombardò la capitale sud-osseta Tskhinvali provocando centinaia di morti e enormi distruzioni.
Mosca non aspettava altro: la mattina dopo la Russia intervenne a fianco dei secessionisti e la Georgia dichiarò lo stato di guerra, nei giorni successivi il conflitto si allargò in Abkhazia. Con la mediazione dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy il 12 agosto fu raggiunto l’accordo per il cessate il fuoco.
Due settimane dopo Mosca riconobbe l’indipendenza delle due repubbliche separatiste.
In quel periodo in realtà al Cremlino la poltrona presidenziale era occupata da Medvedev, stretto collaboratore di Putin. L’ex presidente non aveva potuto ricandidarsi per la terza volta perché non previsto dalla costituzione. Putin era rimasto, però, al Cremlino in qualità di primo ministro ma, di fatto, non aveva mai perso le redini del potere. Alle presidenziali del 4 marzo 2012 Putin si ricandidò vincendo a mani basse con il 64% dei voti. Da allora è sempre stato presidente e ha visto bene di mettere mani alla costituzione garantendosi la poltrona almeno fino al 2035.
Mosca e le guerre degli altri
Oltre ai conflitti diretti intrapresi da Mosca c’è anche da tenere conto delle volte in cui il Cremlino ha fornito appoggi più o meno indiretti a conflitti in corso determinandone la sorte come nel caso della Siria. Putin scese in campo a gamba tesa a favore del Presidente Assad in un momento che, il numero uno siriano, ormai fiaccato avrebbe perso a breve le redini del Paese. Dopo undici anni di guerra, 400mila morti, undici milioni di profughi grazie a Putin il dittatore di Damasco riuscì a ribaltare il fronte e a ricacciare fazioni ribelle e jihadisti.
Ripercorrendo tutti gli interventi armati di questi decenni Putin con le sue armate era sempre presente dalla contesa del Batken fra kirghizi e tagiki (1999), agli scontri etnici nel sud del Kirgizistan (2010) il Cremlino ha utilizzato la guerra come canale di comunicazione del suo potere sul mondo
La guerra in Crimea 2014
Per capire come si è arrivati alla guerra in Ucraina di queste settimane bisogna però ricordare quanto accaduto a Sochi, in Russia, nel 2014 durante lo svolgimento dei primi giochi olimpici in territorio russo della storia. In quell’occasione gli scontri presso la tendopoli pro-Ue di Maidan a Kiev provocarono il ribaltamento del governo filo-russo di Yanukovic.
La reazione di Putin – come sempre immediata - fu quella di mandare soldati russi senza mostrine né bandiere – i cosiddetti mercenari del Gruppo Wagner - a occupare militarmente la penisola di Crimea, annettendola ufficialmente il 18 marzo.
Le conseguenze di questi fatti, con gli anni di guerriglia separatista nel Donbass e i mercenari a orologeria intervenuti sullo scacchiere sono la premessa delle bombe di oggi su Kiev.
Il penultimo intervento militare russo risale solo a due mesi fa, quando Putin è intervenuto a favore dell’enorme area ex sovietica del Kazakhstan. A gennaio (e i piani per l’Ucraina erano già in fase di avanzata composizione) il Cremlino ha inviato le forze armate ad aiutare il presidente Kassym-Jomart Tokayev a far rientrare i violenti moti di protesta innescati dall’aumento dei prezzi dell’energia. Una mossa astuta che ha permesso a Mosca di sedare il clima teso nella zona e mantenere gli equilibri della regione come richiesto dalla vicina Cina che, guarda caso, oggi si dimostra morbida e dialogante sul tema Ucraina..
Le guerre di Putin: dalla Cecenia alla Georgia, tutti i conflitti della Russia dopo la fine dell'Unione SovieticaEnrico Franceschini
10 marzo 2022
https://www.repubblica.it/esteri/2022/0 ... 340897694/ Quando crollò l’Unione Sovietica, nel 1991, sembrò che l’evento fosse avvenuto senza atroci spasmi, senza violenza, senza sangue. Certo, negli anni precedenti la repressione dell’Armata Rossa nel Baltico e nel Caucaso aveva causato vittime; e anche nel fallito golpe contro Mikhail Gorbaciov nell’estate di quello stesso anno avevano perso la vita tre giovani saliti sulle barricate per ostacolarlo.
Ma la scomparsa dell’Urss, formalizzata a dicembre, facendo sorgere al suo posto quindici nazioni indipendenti compresa la Russia, era stata una faccenda per lo più indolore. Si diceva che la Rivoluzione del 2017, al di là della retorica un golpe della minoranza bolscevica pressoché incruento e circoscritto a Pietrogrado, come si chiamava allora l’ex-San Pietroburgo e la futura Leningrado, era stata comunicata al resto dell’impero degli zar “con un telegramma”: e la fine di quel colossale e per molti versi mostruoso esperimento chiamato Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche era stata simile.
“Abbiamo detto troppo presto che l’Urss era implosa senza spari e senza sangue”, commenta in questi giorni, di fronte alla brutale invasione russa in Ucraina, un diplomatico italiano che era a Mosca in quei giorni di trenta e passi anni fa. Del resto, dopo la rivoluzione del ’17 venne una spaventosa guerra civile fino al 2022, che ebbe per epicentro, corsi e ricorsi della storia, la guerra tra rossi e bianchi proprio in Ucraina. In modo analogo, nei tre decenni trascorsi dalla scomparsa dell’impero sovietico, di sanguinosi conflitti ce ne sono state tanti. Ecco quali sono state le guerre di Vladimir Putin.
Ha cominciato Putin a lanciare iniziative militari, dopo il crollo dell’Urss?
No. Già sotto Boris Eltsin, presidente della Russia, di fatto il successore di Gorbaciov e il predecessore di Putin, Mosca ha mandato le sue truppe a combattere in altre ex-repubbliche sovietiche, per reprimere rivolte o partecipare a conflitti locali: in Georgia nel ’91-’93, in Moldavia nel ’92 (dove si consolidò la Repubblica di Transnistria, un eclave russofono tuttora fedele alla Russia e separato dal resto della piccola nazione), in Inguscezia (una regione russa ai confini del Caucaso) sempre nel ’92, in Tagikistan nel ’92-’97, e soprattutto nella prima guerra cecena nel ’94.’96, quando Eltsin tentò di piegare la ribellione separatista della Cecenia, regione autonoma che produce l’1 per cento del petrolio russo e dunque di cruciale importanza.
L’ultimo conflitto ordinato da Eltsin fu in un’altra regione autonoma separatista russa, il Daghestan, nell’agosto ’99, ma è il caso di notare che dal mese prima al Cremlino, come primo ministro, c’era già anche Putin, che sarebbe diventato presidente a interim, su designazione di Eltsin, il 31 dicembre, poi confermato da un voto popolare tre mesi più tardi.
Dunque quale è stata la prima guerra di Putin?
La seconda guerra cecena, anche quella in realtà iniziata nell’estate del ’99 quando Putin era primo ministro, ma andata avanti con una ferocia senza precedenti fino al 2000 e poi ancora con operazioni limitate contro la guerriglia cecena fino al 2009. La capitale cecena Grozny (che in russo significa “la terribile”, nome imposto dagli zar dopo una guerra dei secoli precedenti) fu quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti russi: un modello per quello che Putin ha fatto in seguito ad Aleppo, in Siria, e per quanto sta facendo in Ucraina. Usando la forza senza limiti, e corrompendo alcuni capi ceceni per portarli dalla propria parte, Putin riuscì a vincere un conflitto che sembrava irrisolvibile.
C’è da notare che a scatenare la seconda guerra cecena o meglio l’attacco russo, violando accordi firmati dopo la prima guerra, furono una serie di attentati che fecero centinaia di morti a Mosca: vari osservatori, tra cui il difensore dei diritti umani Sergej Kovalev e l’ex-agente del Kgb Aleksandr Litvinenko (più tardi assassinato a Londra con il polonio radioattivo nel tè da agenti collegati al Cremlino), sostengono che fu l’Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb sovietico, del quale Putin aveva fatto parte per sedici anni e di cui era stato il capo prima di diventare premier e presidente, a mettere le bombe in edifici di civili, per accusare poi “terroristi ceceni”, suscitare indignazione nella popolazione russa e avere una scusa per ricominciare la guerra con metodi più duri di prima. Si calcola che ci furono tra 50 mila e 80 mila morti.
Ma la prova generale per l’invasione dell’Ucraina è stata un’altra?
Sì, è stata la guerra in Georgia nel 2008. Le somiglianze sono impressionanti. Un governo filo-occidentale, che era stato eletto democraticamente a Tbilisi al posto di uno filo-russo, aveva chiesto di entrare nella Nato per proteggersi dall’onnipresente minaccia di Mosca. Putin reagì invadendo due regioni autonome georgiane, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, dove un conflitto a intermittenza era in corso fin dai tempi dell’Urss, ufficialmente giustificando l’intervento con la necessità di proteggere la popolazione delle due regioni, a maggioranza russa, da discriminazioni del governo georgiano.
Da allora Abkhazia e Ossezia del Sud sono praticamente sotto il controllo del Cremlino e a Tbilisi, come risultato della guerra, si è insediato un governo di nuovo filo-russo. Tuttavia di fronte all’invasione dell’Ucraina ci sono state in Georgia manifestazioni di protesta talmente massicce contro Mosca da indurre l’attuale governo a chiedere, proprio nei giorni scorsi, l’adesione all’Unione Europea, sebbene i commentatori ritengano che si tratti più di una mossa politica per calmare la piazza che di una intenzione reale, poiché il procedimento di adesione richiederebbe comunque molti anni e non è chiaro come si concluderebbe, specie con due aree della Georgia ancora in stato di guerra contro Tbilisi. Un caso da manuale di quello che Putin ha fatto successivamente in Ucraina a partire dal 2014 a oggi.
Come si è svolta la “prima guerra” contro l’Ucraina, se così si può definire?
Con le stesse ragioni usate per l’intervento in Georgia, la protezione della minoranza russa, e le medesime motivazioni reali, impedire la richiesta di adesione alla Nato presentata dal governo filo-occidentale eletto a Kiev dopo un governo filo-russo, Putin ha invaso con le proprie truppe la penisola della Crimea, annettendola quasi immediatamente, e ha usato forze non regolari ma controllate dal Cremlino per invadere parte del Donbass, le regioni autonome di Donetsk e Lugansk, la zona mineraria dell’Ucraina che confina con la Russia ed è storicamente da sempre abitata in prevalenza da una popolazione di etnia e lingua russa. Quella “prima guerra ucraina” ha fatto 7 mila morti e decine di migliaia di feriti, suscitando in Occidente proteste un po’ più forti di quelle che avevano accompagnato l’invasione russa della Georgia nel 2008, ma non abbastanza forti da impensierire Mosca o da causare danni alla sua economia.
Perché la “seconda guerra” contro l’Ucraina è scoppiata proprio ora?
Ci sono varie ipotesi. In Ucraina la situazione era praticamente invariata rispetto al 2014. Ma altrove sono successe cose che possono avere spinto Putin a decidere che fosse il momento giusto per prendersi tutta l’Ucraina o perlomeno per prendersene un pezzo e installare un governo fantoccio a lui fedele nella parte che rimane formalmente indipendente: l’imbarazzante ritiro americano dall’Afghanistan; la Brexit che ha indebolito e diviso l’Europa, separando il Regno Unito dall’Unione Europea; un cancelliere appena insediato in Germania dopo il lungo governo di Angela Merkel; le imminenti elezioni presidenziali in Francia, potenziale distrazione per Parigi. La convinzione, insomma, di poterla fare franca, con una facile vittoria militare sul campo e senza pagare un prezzo troppo alto in sanzioni occidentali.
Ci sono state altre avventure militari sul fronte interno nell’era Putin?
Insurrezioni in varie regioni del Caucaso settentrionale, tra il 2009 e il 2017, hanno provocato l’intervento delle forze russe: non solo in Cecenia, come già detto, ma anche in Daghestan, Inguscezia, Kabardino-Balkaria e Ossezia del Nord. Inoltre Putin ha inviato truppe in Bielorussia e Kazakistan, l’anno scorso e quest’anno, per aiutare il regime autoritario locale a reprimere vaste rivolte popolari, così rimettendo sotto il controllo di Mosca anche quelle due ex-repubbliche sovietiche.
Nel frattempo Putin è entrato in guerra anche all’estero?
Sì, in Siria, in Libia, nella Repubblica Centroafricana, nel Mali, in modo diretto e manifesto oppure occulto, attraverso il dispiegamento del Gruppo Warner, unità di soldati mercenari che in realtà secondo molto osservatori dipendono dal ministero della Difesa e dal ministero degli Interni russo. Ma pure l’Unione Sovietica ha partecipato direttamente o indirettamente a numerosi conflitti durante la guerra fredda, dalla guerra di Corea a quella del Vietnam.
Le guerre di Putin nell’ex-Urss, in conclusione, sono una cosa diversa?
Le guerre di Putin nei territori dell’ex-Urss hanno un altro significato: sono la coda sanguinosa e violenta del crollo dell’Unione Sovietica, il tentativo di Mosca di riprendersi quello che considera suo. L’ossessione del capo del Cremlino: riparare “la più grande tragedia geopolitica del ventunesimo secolo”, come lui definisce la fine dell’impero dei Soviet, che altri leader e altri popoli consideravano invece la liberazione da una dittatura durata settant’anni, il tramonto dell’ultimo impero multi-etnico della terra.
Ucraina, dalla guerra civile nel 2013/14, causata dal nazifascista russo Putin a oggi,dalle stragi di Euromaidan del 2013 a quella di Odessa del 2014 viewtopic.php?f=143&t=3006 https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9099264249 Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014 con repressione violenta del governo filorusso dei manifestanti filoeuropei e feroci scontri tra i filo russi e i filo europei, con centinaia di morti e migliaia di feriti.
Con interventi di cecchini, mercenari, infiltrati e squadre speciali russe contro gli ucraini antigovernativi e filoeuropei.
Fu in questo contesto di guerra civile, di repressioni poliziesche e militari, di scontri e violenze generalizzate, tra cui l'invasione russa della Crimea e l'inizio dei moti separatisti terroristici nel Donbass che avvenne anche la Strage di Odessa in cui morirono una quarantina di persone a causa di un incendio di cui non si conosce con certezza l'origine.
Alberto PentoLe azioni militari, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, con invasione di un esercito internazionale e con bombardamenti aerei o navali, intraprese dall'Occidente USA e NATO o da coalizioni di paesi occidentali, in Asia e in Africa, sono state fatte prevalentemente su mandato ONU (e in taluni casi anche quando non è stato possibile il mandato ONU per il veto della Russia o della Cina), queste azioni non sono mai state fatte per predare territori e risorse altri, per schiavizzare popolazioni e sterminare etnie.
Sono sempre state fatte a sostegno dei popoli oppressi, delle minoranze a rischio di pulizia etnica e genocidio (vedasi il caso del bombardamento della Serbia a difesa dei bosniaci e dei kosovari),
contro dittatori criminali e terroristici e i loro regimi canaglia, con gran dispendio di risorse economiche dei cittadini e dei contribuente occidentali, attenuate solo in parte da successive compensazioni dei paesi che hanno tratto beneficio da queste azioni a loro favore (vedasi i casi dell'Afganistan, della Somalia, dell'Iraq, della Libia).
La Russia invece ha sempre intrapreso le sue iniziative militari, contro la volontà internazionale e l'ONU (come oggi nel caso dell'Ucraina), per predare territori, risorse e sovranità politica, per impedire la libertà e l'indipendenza delle popolazioni e dei paesi, per l'imperialismo e il suprematismo nazifascista russo della Grande Russia di Putin, compiendo atroci crimini contro l'umanità, il diritto internazionale e crimini di guerra.
Non vi è alcun possibile paragone tra le azioni militari dell'Occidente e del Mondo Libero e quelle della Russia nazifascista di Putin.