La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 7:50 am

La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista di Putin

viewtopic.php?f=143&t=3008
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 9492799153

Il criminale nazifascista del Cremlino chiama "Operazione speciale" e non "guerra" l'invasione/aggressione armata in atto dell'Ucraina, come se fosse una operazione di ordine pubblico e di polizia internazionale simile a quelle condotte dall'ONU e dalla NATO in Serbia, ma non sono simili in nulla perché nel caso della Serbia vi erano delle risoluzioni dell'ONU a difesa prima dei bosniaci e poi dei kosovari minacciati di genocidio, sterminio e pulizia etnica da parte dei serbi, mentre nel caso dell'Ucraina l'ONU si è pronunciata contro l'intervento russo non riconoscendo esserci alcun genocidio, alcuna pulizia etnica, alcuna oppressione dei filo russi nel Donbass o in altre parti dell'Ucraina.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 7:53 am

Indice

a)
L'Operazione speciale del Criminale del Cremlino

b)
Il caso Serbia e altri (Iraq, Libia, Afganistan, Siria);
nessun confronto possibile tra le guerre nazifasciste, imperialiste e suprematiste della Russia di Putin con le guerre dell'Occidente, degli USA e della NATO dopo la Seconda guerra mondiale.

c)
Risoluzioni ONU contro l'aggressione russa dell'Ucraina;
invece le guerre dell'Occidente, degli USA e della NATO dopo la Seconda guerra mondiale hanno tutte un mandato internazionale ONU pieno o parziale (parziale laddove la Russia e la Cina hanno posto il veto), ma nessuna ha avuto la condanna internazionale ONU.


d)
In verità si tratta di vera e propria guerra criminale di aggressione inizialmente per riportare l'Ucraina tutta sotto l'egemonia russa come con l'Impero degli Zar e come con l'Impero dell'URSS o male che vada solo una parte la Crimea e il Donbass.

e)
Il nazifascismo si trova nella Russia suprematista e imperialista del criminale dittatore del Cremlino Putin e non
nella democratica Ucraina di Zelensky

f)
I demenziali sostenitori e amici del criminale del Cremlino Putin dell'Occidente, vergogne umane!

g)
I primati negativi della incivile e malvagia Russia di Putin
La incivile e malvagia Russia nazifascista di Putin, i suoi primati negativi e le sue azioni criminali

h)
Le minacce nucleari del criminale del Cremlino

i)
Il Vaticano finalmente contro la Russia riconosce il diritto dell'Ucraina a difendersi con le armi

l)
La criminale dirigenza nazifascista russa incomincia a tremare, non si sente più sicura nemmeno in Russia

m)
Il demenziale progetto suprematista di Dugin, il nazifascismo russo imperiale euroasiatico, variante di quello di Hitler, di Stalin e di Moametto



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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 7:56 am

a)
L'Operazione speciale del Criminale del Cremlino




Ucraina, dalla guerra civile nel 2013/14, causata dal nazifascista russo Putin a oggi, dalle stragi di Euromaidan del 2013 a quella di Odessa del 2014
viewtopic.php?f=143&t=3006
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9099264249


Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014 con repressione violenta del governo filorusso dei manifestanti filoeuropei e feroci scontri tra i filo russi e i filo europei, con centinaia di morti e migliaia di feriti.
Con interventi di cecchini, mercenari, infiltrati e squadre speciali russe contro gli ucraini antigovernativi e filoeuropei.
Fu in questo contesto di guerra civile, di repressioni poliziesche e militari, di scontri e violenze generalizzate, tra cui l'invasione russa della Crimea e l'inizio dei moti separatisti terroristici nel Donbass che avvenne anche la Strage di Odessa in cui morirono una quarantina di persone a causa di un incendio di cui non si conosce con certezza l'origine.


Aleksandr Dugin svela le vere ragioni della guerra tra Russia e Ucraina
Luigi Salomone
27 marzo 2022

https://www.iltempo.it/esteri/2022/03/2 ... -30995933/

Aleksandr Dugin, ideologo di Vladimir Putin spiega le vere ragioni del conflitto tra Russia e Ucraina. E non sono motivazioni legate solo al conflitto in corso. Ma ci sarebbe ben altro. E sarebbe legato a una sorta di scontro di civiltà.

"Certo questa guerra non è la guerra tra Russia e Ucraina. Noi in Russia la chiamiamo "operazione militare speciale". Questo è il nome ufficiale dell'evento e del processo che sta avvenendo. A livello di civiltà si tratta di una guerra ideologica tra l'Occidente e la Russia. L'Occidente rappresenta l'ideologia neoliberale, l'ordine unipolare mondiale che vuole distruggere tutte le opposizioni. L'Occidente globalista di Biden, Soros e di Bernard-Henry Levy usa l'Ucraina come elemento della sua strategia e della sua battaglia contro le civiltà che si oppongono a questa egemonia liberale. E questo è il senso più profondo di questa guerra".




Il discorso del presidente russo
Vladimir Putin parla alla Russia e al mondo: "L'Ucraina è parte della nostra storia"
21 Febbraio 2022
https://www.rainews.it/video/2022/02/di ... a886a.html



Ucraina, ecco il discorso integrale di Vladimir Putin alla Nazione - Secondo Piano News
Ecco la traduzione integrale del discorso di Vladimir Putin alla nazione prima dell’operazione militare in Ucraina.
25 febbraio 2022

https://www.secondopianonews.it/news/es ... zione.html

«Cari cittadini russi. Cari amici.
Oggi ancora una volta ritengo necessario tornare sui tragici eventi tragici che stanno accadendo in Donbass e sulle questioni chiave per garantire la sicurezza russa. Inizierò con ciò che ho detto nel mio discorso del 21 febbraio, partendo da quello che ci fa quindi sprofondare in uno stato di preoccupazione e ansia: le minacce nei nostri confronti che di anno in anno, passo dopo passo, sgarbatamente e senza tante cerimonie, sono state avanzate da politici irresponsabili in occidente. Intendo l’estensione del blocco NATO a est, cosa che permette all’Alleanza di avvicinare le sue forze ai nostri confini. Negli ultimi trent’anni siamo stati pazienti e abbiamo cercato di negoziare con i leader dei paesi della NATO sui principi di uguaglianza e sicurezza in Europa. In risposta alle nostre proposte, abbiamo ricevuto soltanto inganni e menzogne, a cui si aggiungono i tentativi di pressioni e ricatti. L’alleanza nordatlantica, nonostante tutte le nostre proteste e preoccupazioni, ha continuato la propria espansione, facendo avanzare la loro macchina da guerra verso i nostri confini. Perché sta succedendo tutto questo? Da dove viene questo modo sfacciato di parlare di posizioni di esclusività, infallibilità e permissività, trattando i nostri interessi e richieste legittime con un atteggiamento incurante e sprezzante. La risposta è chiara e ha un’origine storica, risalente a quando l’Unione Sovietica alla fine degli anni Ottanta si è indebolita per poi dissolversi, perdendo la sua potenza. A noi però quegli eventi ci servono oggi da lezione, mostrandoci come la mancanza di forza di volontà sia il primo passo verso il degrado e l’oblio.

Le forze nel mondo si sono rivelate divise e questo ha portato a una conclusione: i precedenti trattati, gli accordi, la persuasione non funzionano più. Chiedere non risolve nulla. Tutto ciò che non si addice all’egemone, al potere, viene dichiarato arcaico, obsoleto, non necessario. E viceversa: tutto ciò che sembra loro vantaggioso è presentato come la verità ultima, spinta a tutti i costi, rozzamente, con tutti i mezzi. I dissidenti vengono ridotti in ginocchio. Dopo il crollo dell’URSS gli Stati Uniti si proclamarono, insieme agli alleati, come i vincitori della Guerra Fredda e avvenne la redistribuzione dei territori nel mondo. Questa però avrebbe dovuto tener conto degli interessi di tutti i Paesi coinvolti, e invece no. Uno spirito di euforia e di assoluta supremazia prevalse e le cose si svilupparono in modo diverso.

Senza alcuna sanzione da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU, hanno condotto una sanguinosa operazione militare contro Belgrado, dove per diverse settimane continui bombardamenti devastarono la città. Devo ricordare questi eventi ad alcuni colleghi occidentali a cui non piace farlo. Poi è stata la volta dell’Iraq, Libia, Siria: tutte accomunate dal fatto di essere state invase con forze militari non legittime. Nel caso della Libia, le decisioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU hanno portato alla distruzione dello Stato, alla nascita di un enorme focolaio di terrorismo internazionale e di una catastrofe umanitaria. Una tragedia che ha condannato centinaia di migliaia di persone, non solo in Libia ma in tutta la regione, dando origine a massicci esodi verso l’Europa.

Un destino simile è stato preparato per la Siria, dove diverse operazioni militari della coalizione occidentale si sono susseguite sul territorio, senza il consenso del Governo. Un posto speciale in questa serie di eventi è riservato all’Iraq e alla sua invasione senza alcune base giuridica, inscenata su quella che si rivelò poi una menzogna: la presenza di armi di distruzione di massa nel Paese. Un enorme bluff da parte degli Stati Uniti. I risultati dei loro interventi non solo hanno portato a numerose vittime, ma anche a una pesante ondata di terrorismo. L’impressione generale nei Paesi in cui vengono a imporre il loro ordine è quasi ovunque la medesima: sangue, ferite non cicatrizzate, terrorismo ed estremismo è tutto ciò che portano con sé.

Tornando alla Russia, ripeto che con le loro parole siamo stati ingannati. Il loro comportamento non è solo contrario ai principi delle relazioni internazionali ma anche, e soprattutto, agli standard generalmente accettati di moralità, giustizia e verità. Il tutto si è rivelato soltanto un mucchio di bugie e ipocrisia. A proposito, diversi politici, scienziati e giornalisti americani scrivono e parlano di cosa si nasconda realmente negli Stati Uniti: un impero delle bugie. Come non essere d’accordo? Loro restano tuttavia il grande Paese rappresentante la spina dorsale degli Stati satellite, che docilmente e in modo sottomesso li supportano in qualsiasi momento e occasione, anche copiando i loro comportamenti e accettando le regole imposte.

Sono sicuro che si possa dire che tutto il cosiddetto blocco occidentale si sia plasmato sul modello degli Stati Uniti, assumendo sembianze imperiali. Dopo il crollo dell’URSS anche noi ci siamo aperti nei loro confronti, lavorando onestamente sia con gli Stati Uniti sia con i partner occidentali, anche a condizione di un disarmo unilaterale con cui di fatto hanno cercato di finirci e distruggerci completamente, finanziando perfino i mercenari separatisti nel sud della Russia. Noi abbiamo resistito e abbiamo spezzato la spina dorsale del terrorismo internazionale nel Caucaso.

Ma loro (gli occidentali) continuano a minacciare i nostri valori per imporci i propri, tentando di corrompere la nostra gente. Questo non accadrà mai. Nonostante tutto, nel dicembre 2021, abbiamo comunque tentato ancora una volta di trovare un accordo con gli Stati Uniti e i suoi alleati sul principio di sicurezza in Europa e sulla non espansione della NATO. Tutto è stato vano, la posizione degli Stati Uniti non è cambiata. Non ritengono necessario negoziare con la Russia e perseguono i propri obiettivi, trascurando i nostri.

Naturalmente ci siamo chiesti: “Cosa fare?”, “Cosa aspettarsi?”. Dalla storia è arrivata una lezione. Era il 1941 e l’URSS cercava di prevenire o almeno ritardare l’inizio della guerra, non provocando il potenziale aggressore. Non servì a nulla e il 22 giugno la Germania nazista, senza dichiarare guerra, ci invase. Allora riuscimmo a fermare l’avanzata del nemico, schiacciandolo, a un costo umano però elevatissimo. Dunque il tentativo di placare gli aggressori alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale si è rivelato un errore che è costato caro alle nostre persone. Non faremo lo stesso errore una seconda volta. Coloro che rivendicano il dominio del mondo, pubblicamente e impunemente, dichiarano noi, la Russia, il loro nemico. Oggi hanno grandi capacità finanziarie, scientifiche, tecnologiche e militari. Ne siamo consapevoli e valutiamo oggettivamente le minacce che ci vengono costantemente rivolte in ambito economico, nonché la nostra capacità di resistere a questo ricatto sfacciato e permanente. Ripeto, li valutiamo senza illusioni, in modo estremamente realistico. Per quanto riguarda la sfera militare, la Russia moderna anche dopo il crollo dell’URSS resta una potenza mondiale, con un proprio arsenale nucleare e altro ancora (nuovi tipi di armi). Nessuno dovrebbe dubitare del fatto che un attacco diretto al nostro Paese si tradurrebbe in distruzione dell’aggressore. Ci sarebbero terribili conseguenze per chiunque.

Allo stesso tempo lo sviluppo militare adiacente ai nostri confini rappresenta una minaccia per la Russia in costante crescita: se lo permettessimo, la situazione rimarrebbe tale per i decenni a venire o forse per sempre. Mentre la NATO si espande a est la situazione per il nostro Paese peggiora sempre di più, diventando pericolosa. Non possiamo più permettercelo: un’ulteriore espansione delle infrastrutture dell’Alleanza, compreso lo sviluppo militare nel territorio dell’Ucraina, è inaccettabile per noi. Questa presenza a est sta nutrendo nei territori storicamente affini alla Russia un sentimento di ostilità verso la nostra Patria. Si tratta di territori posti sotto il pieno controllo esterno fortemente plasmato dalle forze della NATO. Questa situazione porta la Russia di fronte un bivio: vita o morte? Da questa decisione dipende il nostro futuro, come Stato e come persone. Questa non è un’esagerazione ma la realtà: c’è una vera minaccia alla nostra porta, e rappresenta un pericolo per i nostri interessi e per l’esistenza stessa del nostro Paese. C’è in gioco la sovranità della Russia. La linea rossa, citata diverse volta, è stata superata. Loro l’hanno superata.

Anche i tentativi, durati 8 anni, di risolvere la questione in Donbass sono stati vani. È stato dunque necessario fermare immediatamente l’incubo di questo genocidio contro i milioni di abitanti che fanno affidamento esclusivamente sulla Russia. Soltanto su di noi. Il loro dolore è stata dunque la nostra motivazione principale per riconoscere le Repubbliche popolari del Donbass. In Ucraina, i nazisti del regime di Kiev non perdonano e non lo faranno mai l’annessione della Crimea, una riunificazione dettata dalla libera scelta degli abitanti. Quindi si riverseranno sicuramente nella penisola, come avvenuto in Donbass, per uccidere persone indifese e innocenti, così come fecero anni fa le bande nazionaliste ucraine, complici del massacro di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale. Loro rivendicano un certo numero di territori russi e le informazioni in nostro possesso lo dimostrano. Allora lo scontro con la Russia è inevitabilmente solo questione di tempo. Loro si stanno preparando e aspettano il momento giusto per attaccare. Non lasceremo che accada come nel 1941.

La Russia, dopo il crollo dell’URSS, ha rispettato i trattati internazionali e le nuove realtà geopolitiche, mostrando vicinanza e supporto quando la loro sovranità è stata minacciata, come nel recente caso del Kazakistan. Oggi però non possiamo stare tranquilli con la minaccia proveniente dal territorio della moderna Ucraina. Non abbiamo altro modo per proteggerci da quello che useremo oggi.

La circostanza ci impone un’azione immediata. Le Repubbliche popolari del Donbass si sono rivolte alla Russia con una richiesta di assistenza. A questo proposito, ai sensi dell’articolo 51 della parte 7 della Carta delle Nazioni Unite, con l’approvazione del Consiglio della Federazione russa e in applicazione dei trattati di amicizia e assistenza reciproca ratificati dall’Assemblea federale il 22 febbraio di quest’anno con la Repubblica popolare di Donetsk e Repubblica popolare di Luhansk, ho deciso di condurre un’operazione militare speciale. L’obiettivo è proteggere le persone che per otto anni hanno subito abusi e genocidi da parte del regime di Kiev. Per questo ci adopereremo per la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina, nonché per assicurare alla giustizia coloro che hanno commesso numerosi crimini sanguinosi contro i civili, compresi i cittadini della Federazione Russa. Voglio ribadire che i nostri piani non includono l’occupazione dei territori ucraini. Non imporremo nulla a nessuno con la forza.

Negli ultimi tempi in Occidente si afferma sempre più l’idea secondo cui i documenti firmati dal regime sovietico, che consolidano i risultati della seconda guerra mondiale, non dovrebbero più essere eseguiti. Ebbene, i risultati della Seconda Guerra Mondiale, così come i sacrifici fatti dal nostro popolo sull’altare della vittoria sul nazismo, sono sacri. Ma questo non contraddice gli alti valori dei diritti umani e delle libertà, radicati nelle realtà che si sono sviluppate in tutti i decenni del dopoguerra. Inoltre, non annulla il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, sancito dall’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite. Va ricordato poi che né durante la creazione dell’URSS, né dopo la seconda guerra mondiale, alle persone sia stato mai imposta l’organizzazione della propria vita. La nostra politica si basa sulla libertà, la libertà di scelta per ciascuno di determinare autonomamente il proprio futuro e il futuro dei propri figli. E riteniamo importante che questo diritto, il diritto di scelta, possa essere utilizzato da tutti i popoli che vivono sul territorio dell’odierna Ucraina, da chiunque lo desideri.

A questo proposito, mi rivolgo ai cittadini ucraini. Nel 2014, la Russia è stata obbligata a proteggere gli abitanti della Crimea e di Sebastopoli da coloro che possono essere definiti nazisti. Lì i residenti hanno scelto di stare con la loro patria storica, con la Russia, e noi lo abbiamo sostenuto. Ripeto, semplicemente non avremmo potuto fare altrimenti. Gli eventi di oggi non sono collegati al desiderio di violare gli interessi dell’Ucraina e del popolo ucraino, ma sono connessi alla protezione della stessa Russia da coloro che hanno preso in ostaggio lo Stato e stanno cercando di usarlo contro il nostro Paese e il suo popolo. Ripeto, le nostre azioni sono semplice autodifesa contro le minacce che si stanno creando nei nostri confronti. Per quanto difficile possa essere, vi chiedo di capirlo e di collaborare per voltare al più presto questa tragica pagina e andare avanti insieme, per non permettere a nessuno di interferire nei nostri affari, nelle nostre relazioni, ma per costruirli da soli, in modo tale da creare le condizioni necessarie per superare tutti i problemi e, nonostante la presenza di confini statali, di rafforzarci nel nostro insieme. Credo che questo sia il nostro futuro.

Vorrei anche rivolgermi al personale militare delle forze armate ucraine…
Cari compagni.
I vostri padri, nonni, bisnonni hanno combattuto i nazisti, difendendo la nostra Patria comune, ma oggi i neonazisti hanno preso il potere in Ucraina. Voi avete giurato fedeltà al vostro popolo e non alla giunta antipopolare che saccheggia il Paese e deride queste stesse persone. Non seguite i suoi ordini criminali. Vi esorto a deporre immediatamente le armi e ad andare a casa. Mi spiego meglio: tutti i militari dell’esercito ucraino che lo faranno, potranno lasciare liberamente la zona di combattimento e tornare dalle loro famiglie. Ancora una volta, sottolineo con forza: ogni responsabilità per un possibile spargimento di sangue sarà interamente sulla coscienza del regime che regna sul territorio dell’Ucraina.
Adesso voglio dire alcune parole importanti, rivolgendomi a coloro che potrebbero essere tentati di intervenire negli eventi in corso. Chiunque tenti di ostacolarci, e ancor di più di creare minacce per il nostro Paese, per il nostro popolo, deve sapere che la risposta della Russia arriverà immediatamente e porterà a conseguenze che non avete mai visto nella storia. Siamo pronti per qualsiasi scenario. Tutte le decisioni necessarie al riguardo sono state prese, spero di essere ascoltato.

Cari cittadini russi.
Il benessere, l’esistenza stessa di interi stati e popoli, il loro successo e la loro vitalità hanno sempre origine nel potente apparato radicale della loro cultura e valori, esperienze e tradizioni dei loro antenati e, ovviamente, dipendono direttamente dalla capacità di adattarsi rapidamente a una vita in continuo cambiamento, sulla coesione della società, sulla sua disponibilità a consolidarsi, a raccogliere tutte le forze per andare avanti. Le forze sono necessarie sempre, ma la forza può essere di qualità diversa. Al centro della politica dell‘”impero della menzogna“, di cui ho parlato all’inizio del discorso, c’è principalmente la forza bruta e schietta. In questi casi, diciamo: “C’è potere, la mente non è necessaria”. Mentre noi sappiamo che la vera forza risieda nella giustizia e nella verità, che è dalla nostra parte. E se è così, allora è difficile non essere d’accordo con il fatto che sono la forza e la volontà di combattere che stanno alla base dell’indipendenza e della sovranità, rappresentando le fondamenta su cui poter progettare in modo affidabile il futuro, costruire la vostra casa, la vostra famiglia, la vostra patria…

Cari connazionali.
Sono fiducioso che i soldati e gli ufficiali delle forze armate russe devoti al loro Paese adempiranno al loro dovere con professionalità e coraggio. Non ho dubbi che tutti i livelli di Governo, gli specialisti responsabili della stabilità della nostra economia, del sistema finanziario, della sfera sociale, i capi delle nostre aziende e tutte le imprese russe agiranno in modo coordinato ed efficiente. Conto su una posizione consolidata e patriottica di tutti i partiti parlamentari e delle forze pubbliche. In definitiva, come è sempre stato nella storia, il destino della Russia è nelle mani affidabili del nostro popolo multinazionale. E questo significa che le decisioni prese saranno attuate, gli obiettivi fissati saranno raggiunti, la sicurezza della nostra Patria sarà garantita in modo affidabile. Credo nel vostro sostegno, in quella forza invincibile che ci dà il nostro amore per la Patria».



Il genocidio di Putin
di Timothy Snyder, da Il Foglio
Alessandra Casula
28 marzo 2022

https://www.facebook.com/alessandra.cas ... 4232398719

Vladimir Putin ha costruito il suo progetto di genocidio degli ucraini per anni. L’abbiamo ascoltato?
Una decina di anni fa Putin ha proposto il paradigma friend or foe amico o nemico, seguendo il pensatore giuridico nazista Carl Schmitt e il filosofo fascista russo Ivan Ilyin, che Putin considera un maestro. L’Ucraina era un amico forzato: chiunque non capisse che gli ucraini erano parte della civiltà russa era un nemico. Per Putin, “l’unità delle anime” di russi e ucraini era la volontà di Dio difesa da un atto di violenza purificatrice. In un lungo saggio del luglio scorso, Putin ha sostenuto che la nazione ucraina non esiste. Mettendo insieme le sue considerazioni precedenti con alcune che lui ha presentato come “storiche”, Putin ha teorizzato l’“unità” di russi e ucraini.
L’occidente ha fatto credere agli ucraini che avessero una loro identità separata, ma questo doveva essere corretto. Questo approccio riecheggiava la visione di Hitler. Il führer pensava anche che gli ucraini fossero un popolo coloniale naturale, che, una volta liberati dalla presunta leadership ebraica dell’Unione sovietica, avrebbero felicemente servito nuovi padroni. Dmitri Medvedev ha chiuso il divario tra queste due posizioni, chiarendo che ciò che squalificava il governo ucraino fosse proprio il suo presidente ebreo. Nelle settimane precedenti all’invasione, la Russia s’è rifiutata di negoziare con l’Ucraina, presentandola come un vassallo.
Putin ha continuato questa sua argomentazione il 21 febbraio, annunciando che le truppe russe sarebbero entrate in Ucraina perché lo stato ucraino era uno stato artificiale. Poiché l’Ucraina è stata “interamente creata dalla Russia”, la Russia aveva il diritto di correggere l’errore. Affermare che non esiste una nazione o uno stato significa rivendicare il diritto di distruggerla. “De-nazificazione” e “smilitarizzazione”, i due obiettivi di guerra che Putin ha annunciato il 24 febbraio, il giorno in cui è iniziata la sua invasione, non significavano altro che questo.
“De-nazificazione” significa: l’eliminazione delle persone che non capiscono che l’Ucraina è parte di una Russia più grande. È facile farsi distrarre dalla perversità del riferimento nazista, dato che l’Ucraina è una democrazia con un presidente ebreo, e dato che le bombe russe hanno persino ucciso un sopravvissuto dei campi di concentramento. Ma sotto c’è la politica: “de-nazificazione” per Putin significa solo la licenza di uccidere o di deportare. Poiché il termine “nazista” non si riferisce a nessuno in particolare, è una giustificazione per una guerra e una pulizia etnica senza fine. Finché gli ucraini resistono, ci saranno “nazisti” da punire.
“Demilitarizzazione” significa: la distruzione di uno stato sovrano con la forza, e include l’eliminazione di chiunque sia in grado di preservare le forme elementari di sovranità. L’obiettivo iniziale della guerra era quello di catturare (e presumibilmente uccidere) la leadership ucraina, che Putin ha definito il 24 febbraio come una “giunta anti popolare” e il giorno successivo come “drogati e neonazisti”.
Il 16 marzo, nel corso di un discorso febbrile in cui attaccava chi lo criticava internamente definendoli “traditori” e “feccia”, Putin si riferiva ai russi con legami con l’occidente chiamandoli “moscerini”. Nella sua mente, gli ucraini sono russi che amano gli occidentali. Devono essere corretti con la forza – “puliti” o “sputati fuori”.
Putin aveva previsto il collasso dell’Ucraina nel giro di due giorni. Non è andata così, ma era già in atto la propaganda adatta a questa previsione. Il servizio stampa ufficiale russo, Ria Novosti, ha pubblicato accidentalmente il 26 febbraio un annuncio di vittoria. Riprendeva tutti i temi genocidari di Putin dalla prospettiva di “una nuova epoca”: lo stato ucraino non esiste più, e la popolazione del suo territorio ha accettato con gioia il dominio russo. L’“unità” è stata raggiunta attraverso la “risoluzione della questione ucraina”. Uno stato ucraino “non esisterà mai più”, e le masse si sono accomodate felicemente in una nuova vita da “piccoli russi”.
La distanza tra queste fantasie e la realtà è la ragione per cui ci sono ora le atrocità che vediamo. Putin non può ammettere l’errore e deve cercare di piegare il mondo alla sua fantasia. La vittoria può voler dire soltanto un paese così distrutto che i resti di una popolazione apolide non hanno altra scelta che accettare di appartenere a una nazione straniera, sottomettersi al controllo della polizia russa e alla rieducazione per il resto della vita, e accettare che i loro figli siano cresciuti come russi senza nessuna delle libertà che hanno conosciuto come ucraini.
Questa ambizione è ben visibile guardando il modo in cui la guerra viene portata avanti: squadre di assassini continuano ad arrivare, e le élite locali continuano a scomparire. Migliaia di ucraini sono stati deportati in Russia contro la loro volontà. Ospedali, scuole e rifugi antiaerei civili sono presi di mira ancora e ancora. Un quarto di una popolazione di 44 milioni di persone è sfollato a causa della guerra.
Le parole di Putin si riflettono chiaramente nelle azioni del suo paese in Ucraina. L’articolo II della Convenzione dell’Onu sul genocidio specifica cinque criteri che soddisfano la definizione di “genocidio”; tutti e cinque sono stati commessi dalle forze russe in Ucraina. Per quanto riguarda la prova dell’intenzione: Putin stesso l’ha confessata, lo fa da sempre.
Gli ucraini sono consapevoli di tutto ciò ed è il motivo per cui stanno combattendo. Individuare l’aspirazione genocida di Putin può aiutare il resto di noi a capire da dove viene questa guerra, dove sta andando e, soprattutto, perché non può essere persa.
* Timothy Snyder è professore di Storia all’Università di Yale. Grande esperto di Russia e di Ucraina, ha pubblicato tra gli altri libri “Terre di sangue” e “Road to Unfreedom”. Ha appena aggiornato l’edizione audio di uno dei suoi saggi più famosi, “On Tyranny” con venti nuove lezioni sull’Ucraina.



Questo scritto russo, della Russia di Putin è peggio del Mein Kampf di Hitler

"Cosa la Russia deve fare con l'Ucraina?"
[Un assurdo progetto, che non è tanto assurdo perché già si sta realizzando in Bielorussia, dove viene rapidamente cancellato tutto lo sfondo etnico-storico-nazionale].
RIA Novosti, 04/03/2022, Timofey Sergeytsev filosofo, metodologo, membro del Club Zinoviev MIA Russia Today
"Abbiamo scritto dell'inevitabilità della denazificazione dell'Ucraina ad aprile dello scorso anno. Non abbiamo bisogno dell'Ucraina nazista, di Bandera, del nemico della Russia e lo strumento dell'Occidente per la distruzione della #Russia. Oggi la questione della denazificazione si è spostata su un piano pratico.
La denazificazione è necessaria quando una parte significativa del popolo - molto probabilmente la maggioranza - è stata dominata e tirata dal regime nazista nella sua politica. Cioè, quando l'ipotesi "le persone sono buone - il governo è cattivo" non funziona più.
Il riconoscimento di questo fatto è alla base della politica di denazificazione, di tutte le sue misure, e il fatto stesso ne è l'oggetto.
L'Ucraina è proprio in una situazione del genere. Il fatto che l'elettore ucraino abbia votato per la "pace di Poroshenko" e la "pace di #Zelensky" non deve indurre in errore: gli ucraini erano abbastanza soddisfatti della via più breve verso la pace attraverso la guerra lampo, a cui gli ultimi 2 presidenti ucraini hanno chiaramente accennato quando sono stati eletti. Proprio questo metodo di "pacificazione" degli antifascisti interni - attraverso il terrore totale - è stato usato a Odessa, Kharkiv, Dnipro, Mariupol e in altre città russe (!). E questo si adattava perfettamente all'uomo ucraino comune.
La denazificazione è un insieme di misure mirate alla massa nazificata della popolazione, ma che tecnicamente non può essere soggetta alle punizioni dirette come i criminali di guerra.
I nazisti che usano le armi devono essere distrutti sul campo di battaglia al massimo possibile. Senza la distinzione significativa fra le Forze Armate e i cosiddetti battaglioni nazionali, o la difesa territoriale che si è unita a questi due tipi di formazioni militari. Tutti loro sono ugualmente coinvolti nell'estrema crudeltà contro la popolazione civile, sono ugualmente colpevoli del genocidio del popolo russo, non rispettano le leggi e gli usi della guerra. I criminali di guerra ei nazisti attivi devono essere puniti in modo esemplare ed esplicativo. Ci deve essere una lustrazione totale. Tutte le organizzazioni che si sono associate alla pratica del nazismo devono essere liquidate e bandite.
Tuttavia, oltre ai vertici, è colpevole anche il popolo, nella sua parte significativa che rappresenta i nazisti passivi, complici del nazismo. Hanno sostenuto e assecondato il potere nazista. La giusta punizione di questa parte della popolazione è possibile solo sopportando le inevitabili fatiche di una giusta guerra contro il sistema nazista, svolto con la massima cura e discrezione nei confronti dei civili. Un'ulteriore denazificazione di questa massa di popolazione consiste nella rieducazione, che si realizza attraverso la repressione ideologica (soppressione) degli atteggiamenti nazisti e una severa censura: non solo nell'ambito politico, ma anche necessariamente nell'ambito della cultura e dell'istruzione. Proprio attraverso la cultura e l'educazione che è stata preparata e realizzata una profonda nazificazione della popolazione, assicurata dalla promessa dei dividendi della vittoria del regime nazista sulla Russia, attraverso la propaganda nazista, la violenza interna e terrore, oltre alla guerra contro il popolo del #Donbas ribellatosi al nazismo ucraino, che dura da 8 anni.
La denazificazione può essere effettuata solo dal vincitore, il che implica (1) - il suo controllo assoluto sul processo di denazificazione e (2) - il potere per garantire tale controllo. In questo senso, un paese denazificato non può essere sovrano.
Lo stato denazizzante - la Russia - non può procedere alla denazificazione con un approccio liberale. L'ideologia del denazificatore non può essere contestata dal colpevole sottoposto a denazificazione. Il riconoscimento da parte della Russia della necessità di denazificare l'Ucraina, significa il riconoscimento dell'impossibilità dello scenario di #Crimea per l'#Ucraina. Tuttavia, quello scenario era impossibile nel 2014 e nel ribelle Donbas. Solo 8 anni di resistenza alla violenza e al terrore nazista hanno portato alla coesione interna e a un consapevole e inequivocabile rifiuto di massa di mantenere qualsiasi unità e collegamento con l'Ucraina nazista.
La durata della denazificazione non può essere inferiore a una generazione, che deve nascere, crescere e raggiungere la maturità nelle condizioni della denazificazione. La nazificazione dell'Ucraina è continuata per più di 30 anni, almeno a partire dal 1989, quando il nazionalismo ucraino ha ricevuto le forme legali e legittime di espressione politica e ha guidato il movimento per "l'indipendenza" verso il nazismo.
La particolarità della moderna Ucraina nazificata sta nell'amorfità e nell'ambivalenza, che permettono al nazismo di essere mascherato da desiderio di "indipendenza" e da un percorso "europeo" (occidentale, filoamericano) di "sviluppo" (in realtà - al degrado), di affermare che in Ucraina "non c'è il nazismo, solo gli eccessi del privato". Dopotutto, non esiste un principale partito nazista, nessun Fuhrer, nessuna legge razziale a tutti gli effetti (solo la loro versione troncata sotto una forma di repressione contro la lingua russa). Di conseguenza, non c'è l'opposizione e la resistenza al regime.
Tuttavia, tutto quanto sopra non rende il nazismo ucraino una "versione leggera" del nazismo tedesco della prima metà del XX secolo. Al contrario, poiché il nazismo ucraino è libero da tali strutture e restrizioni di "genere" (a causa di tecnologia politica), si dispiega liberamente come la base fondamentale di qualsiasi nazismo - come il razzismo europeo e, nella sua forma più sviluppata, americano. Pertanto, la denazificazione non può essere compiuta in un compromesso, sulla base di una formula di "NATO- no, UE - sì". Lo stesso Occidente collettivo è l'ideatore, la fonte e lo sponsor del nazismo ucraino, mentre i quadri di Bandera occidentale e la loro "memoria storica" sono solo uno degli strumenti per la nazificazione dell'Ucraina. L'ucra-nazismo comporta una minaccia non minore, ma maggiore per il mondo e la Russia.
Probabilmente il nome "Ucraina" non può essere mantenuto come nome di qualsiasi entità statale completamente denazificata in un territorio liberato dal regime nazista. Le repubbliche popolari create nello spazio libero dal nazismo dovranno crescere nell'ambiente dell'autogoverno economico e della sicurezza sociale, del ripristino e dell'ammodernamento dei sistemi di supporto vitale della popolazione.
In effetti, le loro aspirazioni politiche non possono essere neutrali: il l'espiazione della colpa davanti alla Russia per averla trattata come un nemico può essere realizzata solo facendo affidamento sulla Russia nei processi di restaurazione, rinascita e sviluppo. Nessun "Piano Marshall" deve essere consentito per questi territori.
Non ci può essere la "neutralità" in senso ideologico e pratico, compatibile con la denazificazione. Il personale e le organizzazioni che sono lo strumento di denazificazione nelle repubbliche appena denazificate non potranno che fare l'affidamento sul supporto militare e organizzativo diretto della Russia.
La denazificazione sarà inevitabilmente anche la deucrainizzazione - cioè un rifiuto di un gonfiamento artificiale della componente etnica dell'autoidentificazione nazionale dei territori storici della Malorossiya e della Novorossiya, iniziato dalle autorità sovietiche. Essendo uno strumento della superpotenza comunista, dopo la sua caduta, l'etnocentrismo artificiale non è rimasto in un dimenticatoio. In questa veste di servizio, è passato sotto l'autorità di un'altra superpotenza (il potere che sovrasta gli stati): la superpotenza dell'Occidente. Deve essere restituito ai suoi confini naturali e privato della funzionalità politica.
A differenza, diciamo, della Georgia e dei paesi baltici, l'Ucraina, come è stato dimostrato storicamente, non può esistere come lo stato nazionale e i tentativi di "costruirne uno" portano naturalmente al nazismo. L'ucrainismo è una costruzione artificiale antirussa che non ha un proprio contenuto di civiltà, è un elemento subordinato di una civiltà estranea e aliena. La debanderizzazione di per sé non basterà come la denazificazione: l'elemento Bandera è solo un interprete e uno schermo, un travestimento per il progetto europeo dell'Ucraina nazista, quindi la denazificazione dell'Ucraina è anche la sua inevitabile de-europeizzazione.
L'élite Bandera deve essere liquidata, la sua rieducazione è impossibile. La "palude" sociale, che l'ha sostenuta attivamente e passivamente con l'azione e l'inazione, deve passare le difficoltà della guerra e assimilare questa esperienza come una lezione storica di espiazione della propria colpa. Chi non ha sostenuto il regime nazista, chi ne ha sofferto e la guerra da lui scatenata nel Donbass, deve essere consolidato e organizzato, deve diventare il pilastro del nuovo governo, verticale e orizzontale. L'esperienza storica mostra che le tragedie ei drammi del tempo di guerra avvantaggiano i popoli che sono stati tentati e trascinati dal ruolo di nemico della Russia.
La denazificazione come obiettivo di un'operazione militare speciale nell'ambito di questa stessa operazione è intesa come una vittoria militare sul regime di Kyiv, la liberazione dei territori dai sostenitori armati dei nazisti, l'eliminazione degli implacabili nazisti, la cattura di criminali di guerra, e la creazione delle condizioni sistemiche per la successiva denazificazione in tempo di pace.
Quell''ultima, a sua volta, deve iniziarsi con l'organizzazione degli organi locali di autogoverno, polizia e difesa, ripuliti dagli elementi nazisti, avviando sulle loro basi i processi per fondare una nuova statualità repubblicana, integrando questa statualità in una stretta collaborazione con il dipartimento della Federazione Russa per la denazificazione dell'Ucraina (creato o convertito, diciamo, da Rossotrudnichestvo), con l'adozione sotto il controllo russo del quadro normativo repubblicano sulla denazificazione, la definizione dei confini e del quadro per l'applicazione diretta delle leggi russe e della giurisdizione russa nel campo della denazificazione sul territorio liberato, la creazione di un tribunale per i crimini contro l'umanità nell'ex Ucraina. In questo senso la Russia dovrà fungere da custode del processo di Norimberga.
Tutto ciò significa che per raggiungere gli obiettivi della denazificazione è necessario il sostegno della popolazione, il suo passaggio dalla parte della Russia dopo la sua liberazione dal terrore, dalla violenza e dalla pressione ideologica del regime di Kyiv, dopo il suo ritiro dall'isolamento informativo.
Naturalmente, ci vorrà del tempo prima che le persone si riprendano dallo shock delle ostilità, per convincersi delle intenzioni a lungo termine della Russia - e che "non saranno abbandonate". È impossibile prevedere in anticipo esattamente in quali territori una parte di popolazione costituirà una maggioranza criticamente necessaria. È improbabile che la "provincia cattolica" (l'Ucraina occidentale come parte di cinque regioni) diventi parte dei territori filo-russi. La linea di alienazione, tuttavia, sarà trovata empiricamente. Dietro rimarrà il territorrio ostile alla Russia, ma sarà l'Ucraina forzatamente neutrale e smilitarizzata con il nazismo formalmente bandito. Gli odiatori della Russia andranno lì. La garanzia della conservazione di stato neutrale di questa Ucraina residua dovrà essere la minaccia di un'immediata continuazione dell'operazione militare, in caso di mancato rispetto dei requisiti elencati. Forse ciò richiederà una presenza militare russa permanente sul suo territorio.
Dalla linea di esclusione fino al confine russo ci sarà un territorio di potenziale integrazione nella civiltà russa, che è di carattere naturale antifascista.
L'operazione della denazificazione dell'Ucraina, iniziata con una fase militare, al tempo di pace seguirà la stessa logica delle tappe militare. Ciascuna di esse dovrà ottenere i cambiamenti irreversibili, che diventeranno i risultati della fase corrispondente. In questo caso, le fasi iniziali necessarie della denazificazione possono essere così definite:
— liquidazione delle formazioni armate naziste (il che significa qualsiasi formazione armata dell'Ucraina, comprese le forze armate ucraine), nonché dell'infrastruttura militare, informativa ed educativa che ne garantisce l'attività;
— formazione degli organi di autogoverno pubblico e delle milizie (difesa e forze dell'ordine) sui territori liberati, per proteggere la popolazione dal terrore dei gruppi nazisti clandestini;
— introduzione dello spazio informativo russo;
— ritiro dei materiali didattici e il divieto dei programmi educativi di tutti i livelli, contenenti linee guida ideologiche naziste;
— azioni investigative di massa per stabilire la responsabilità personale per i crimini di guerra, crimini contro l'umanità, per la diffusione dell'ideologia nazista e il sostegno al regime nazista;
— lustrazione, pubblicazione dei nomi dei complici del regime nazista, coinvolgendoli nei lavori forzati per il ripristino delle infrastrutture distrutte in misura della punizione per le attività naziste (per coloro che non saranno soggetti alla pena di morte o alla reclusione);
— adozione a livello locale, sotto la supervisione della Russia, degli atti normativi primari di denazificazione "dal basso", il divieto di ogni tipo e forma di rinascita dell'ideologia nazista;
— istituzione di memoriali, segni commemorativi, monumenti alle vittime del nazismo ucraino, perpetuando la memoria degli eroi della lotta contro di esso;
— inserimento di un complesso delle norme antifasciste e della denazificazione nelle costituzioni delle nuove repubbliche popolari;
— creazione degli organi permanenti della denazificazione per un periodo di 25 anni.
La Russia non avrà alleati nella denazificazione dell'Ucraina. Dal momento che questo è un affare puramente russo. Anche perché non solo la versione Bandera dell'Ucraina nazista sarà sradicata, ma anche, e soprattutto, il totalitarismo occidentale, i programmi imposti di degrado e disintegrazione della civiltà, i meccanismi di soggezione alla superpotenza dell'Occidente e degli Stati Uniti .
Per mettere in pratica il piano di denazificazione dell'Ucraina, la stessa Russia dovrà finalmente separarsi dalle illusioni filo-europee e filo-occidentali, realizzarsi come l'ultima istanza per proteggere e preservare quei valori dell'Europa storica (del Vecchio Mondo) che se lo meritano e che l'Occidente alla fine ha abbandonato, perdendo la battaglia per se stesso. Questa lotta è durata per tutto il XX secolo e si è espressa nella guerra mondiale e nella rivoluzione russa, indissolubilmente legate tra loro.
La Russia ha fatto tutto il possibile per salvare l'Occidente nel XX secolo. Ha implementato il principale progetto occidentale, un'alternativa al capitalismo, che ha vinto contro gli stati-nazione: contro un progetto socialista, rosso. Ha schiacciato il nazismo tedesco, un mostruoso prodotto della crisi della civiltà occidentale. L'ultimo atto di altruismo russo è stata la mano tesa dell'amicizia dalla Russia, per la quale la Russia ha ricevuto un colpo mostruoso negli anni '90.
Tutto ciò che la Russia ha fatto per l'Occidente, l'ha fatto a proprie spese, facendo i più grandi sacrifici. L'Occidente alla fine ha rifiutato tutti questi sacrifici, ha svalutato il contributo della Russia alla risoluzione della crisi occidentale e ha deciso di vendicarsi della Russia per l'aiuto che gli aveva fornito disinteressatamente. Inoltre, la Russia andrà per la sua strada, senza preoccuparsi del destino dell'Occidente, facendo affidamento su un'altra parte della sua eredità: la leadership nel processo globale di decolonizzazione.
Nell'ambito di questo processo, la Russia ha un alto potenziale di partnership e relazioni alleate con dei paesi che l'Occidente ha oppresso per secoli e che non metteranno più sul suo giogo. Senza il sacrificio russo e la lotta, questi paesi non sarebbero stati liberati. La denazificazione dell'Ucraina è allo stesso tempo la sua decolonizzazione, che la popolazione ucraina dovrà comprendere mentre comincia a liberarsi dall'ebbrezza, dalla tentazione e dalla dipendenza della cosiddetta scelta europea."



Un po' di verità contro le falsificazioni storiche di Putin.
"Il discorso di Putin su Lenin e l’Ucraina: cosa ha detto per dare il via all’invasione, e perché è il più importante degli ultimi 20 anni"
Il Corriere della Sera
Niram Ferretti
22 febbraio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

L’idea stessa dell’Ucraina, ha detto Vladimir Putin nel suo discorso televisivo alla nazione, durante il quale ha annunciato il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, «è un’invenzione» di Lenin.
«L’Ucraina moderna è stata interamente creata dalla Russia, dalla Russia bolscevica e comunista», ha sostenuto «lo zar» del Cremlino, in una rilettura storica definita dagli analisti «estrema» persino per i suoi standard, quelli di un leader che ritiene il collasso dell’Unione Sovietica la peggior catastrofe geopolitica del Ventesimo secolo.
«Questo processo è iniziato dopo la rivoluzione del 1917», ha spiegato Putin. «Lenin e i suoi compagni lo hanno portato avanti in modo approssimato rispetto alla Russia, togliendole pezzi del suo territorio storico».

In realtà, i popoli russi e ucraini discendono entrambi dalla Rus di Kiev, tribù slave, baltiche e finniche che nel Nono secolo crearono un’entità monarchica che comprendeva parte dell’attuale territorio ucraino, bielorusso e russo. L’identità e la cultura russa nascono allora: Kiev, la capitale ucraina, venne fondata centinaia di anni prima di Mosca, anche se poi i confini, la religione e la popolazione ucraini mutarono più volte nell’arco di un millennio. Quando però fonda il primo Stato socialista del mondo, il 30 dicembre 1922, Lenin impedisce di fatto la nascita di uno Stato ucraino indipendente: durante l’era Sovietica, poi, la lingua ucraina era vietata nelle scuole e la cultura locale, scrive il New York Times, si poteva tramandare soltanto attraverso buffe caricature dei cosacchi danzanti.
È stata quindi la fatiscente Unione Sovietica guidata da Michail Gorbaciov a permettere all’Ucraina di diventare indipendente «senza condizioni», ha aggiunto Putin, definendo la decisione «una follia».
Ma nel 1991 non fu Mosca a concedere l’indipendenza, quanto il popolo ucraino a prendersela: il 21 gennaio del 1990 oltre 300 mila ucraini organizzarono una catena umana fra Kiev e Leopoli, poi il 24 agosto del 1991 fu dichiarata la nascita di uno Stato ucraino indipendente dall’Urss, e il 1° dicembre gli elettori approvarono il referendum che sanciva l’indipendenza dell’Ucraina. Non si tratta quindi di un «errore storico», come ritiene Putin, quanto di una volontà politica e democratica. Una volontà che l’Unione Sovietica si impegnò poi a rispettare, a patto che Kiev rinunciasse al suo arsenale nucleare.
Se Lenin fu «autore e creatore» dell’Ucraina, secondo Putin anche Iosif Stalin, che governò l’Unione Sovietica dal 1922 fino alla sua morte, avvenuta nel 1953, ebbe la responsabilità di cederle «alcuni territori che prima appartenevano a Polonia, Romania e Ungheria», e poi Nikita «Krusciov nel 1954 prese la Crimea dalla Russia e la diede all’Ucraina. E così — ha dichiarato Putin — che il territorio dell’Ucraina Sovietica fu formato». Questa rilettura storica nasconde in realtà due ossessioni del presidente: da un lato Putin può giustificare un intervento militare, sostenendo che non violerebbe la sovranità di un altro Stato perché, di fatto, l’Ucraina è parte della Russia; dall’altro le sue parole svelano un’ambizione «zarista», l’ossessione di far combaciare cioè i confini del suo Paese con quelli della Russia imperiale.
«Non è più importante quale fosse l’idea dei leader bolscevichi, che fecero a pezzi il Paese», aveva scritto lo scorso anno in un lungo articolo in cui sosteneva che Ucraina e Russia fossero un solo Stato. «Possiamo essere in disaccordo su dettagli minori, sui retroscena e la logica dietro certe decisioni. Ma una cosa è certa: la Russia fu derubata», spiegava Putin, un concetto che ha ripetuto nel discorso di lunedì, con il quale è tornato indietro di 100 anni e che racchiude la visione del presidente russo. Non sono solo gli errori di Lenin, Stalin e Krusciov, elencati quasi con disprezzo, a far trapelare questa ambizione imperiale di Putin, ma anche la scenografia e l'inconografia del Consiglio di sicurezza nazionale trasmesso in finta — gli orologi dei partecipanti segnavano un’ora diversa — diretta televisiva.
Con alle spalle la bandiera dei Romanov — quella con l'aquila a due teste dorata e lo scudo con San Giorgio, simbolo di Mosca, che uccide un serpente con una lancia, tornata nel 1993 dopo 70 anni di riposo — il presidente domina la grande sala circolare al Cremlino.
È seduto su un lato, con i suoi principali— e obbedienti — collaboratori disposti a semicerchio a una decina di metri di distanza che si alzano a turno per parlare al microfono e sostenere la linea di Putin: chi propone un approccio più morbido, come il capo dello spionaggio estero Sergej Naryshkin che suggerisce di dare un’ultima possibilità all’Occidente, viene umiliato dallo «zar» , annoiato e spazientito; altri, come il ministro dell’Interno Vladimir Kolokoltsev, rilanciano suggerendo di prendersi tutto il Donbass, non solo l’area in mano ai filorussi.
All’estrema sinistra del gruppo dei dodici fedelissimi del presidente, poi, c’è l’unica donna, Valentina Matvienko, che fu vice del primo ministro Evgenij Primakov — grande rivale di Putin — fra il 1998 e il 1999, ma che poi si avvicinò al nuovo leader diventando nel 2003 governatrice di San Pietroburgo, ovvero la città di Putin, e poi nel 2011 presidentessa del Consiglio federale, il Senato russo che deve concedere al presidente il permesso di usare l’esercito all’estero. La sua carriera, nota in un lungo thread su Twitter Kamil Galeev, fellow del Woodrow Wilson Center di Washington, aiuta a capire la storia e le dinamiche politiche russe, ma soprattutto le qualità necessarie per fare strada nel Paese di Putin: ubbidienza incondizionata verso i propri capi, chiunque siano, e capacità di sostenere qualsiasi agenda politica e poi, con un'inversione a U, l'esatto opposto.
Al termine del Consiglio di sicurezza nazionale, Putin si è rivolto alla sua Nazione e con tono severo ha «rimesso a posto gli errori» commessi dai leader bolscevichi, ha cancellato l'Ucraina e ha riportato la Russia indietro di 100 anni esatti.
Il presidente ha quindi firmato il decreto che riconosce l'indipendenza — e di fatto l'annessione, come avvenuto nel 2014 con la Crimea — delle repubbliche di Donetsk e Lugansk e ha inviato l'esercito nel Donbass, per risolvere un'emergenza umanitaria di cui parlano soltanto i media di Stato russi. A metà del suo discorso, però, Putin ha lasciato anche un'altra traccia, quando parla della «terribile tragedia di Odessa, dove manifestanti pacifici furono uccisi brutalmente, bruciati vivi nella Casa dei sindacati». Quel giorno, a Odessa, morirono 38 filorussi e «i colpevoli», afferma Putin, «non sono mai stati puniti, ma noi sappiamo i loro nomi, e faremo di tutto per assicurarli alla giustizia». In questo passaggio, alcuni osservatori hanno letto la prossima mossa dello «zar»: arrivare fino a Odessa, ufficialmente per fare giustizia.


"Propaganda alla Stalin. Discorso orwelliano in tv per stravolgere la storia"
Manila Alfano
23 Febbraio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1645595680

«Un discorso orwelliano». Lo definisce così, senza mezzi termini l'ucrainista Max Di Pasquale, ricercatore associato dell'Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici, il discorso a reti unificate che lunedì ha fatto saltare dalla sedia fior di analisti politici. Una doccia fredda le parole di Putin per molti, a partire dai leader che si sono seduti a quell'ormai famoso, lunghissimo tavolo made in Cantù. Eppure, per Di Pasquale non c'è sorpresa. Lo studioso che in questi anni con le sue pubblicazioni quali Ucraina terra di confine. Viaggi nell'Europa sconosciuta, e Abbecedario ucraino ha fatto conoscere l'Ucraina al grande pubblico italiano, era convinto che «lo zar» non si sarebbe fermato. Dalla Crimea, 8 anni fa, Putin ha messo in atto il primo esempio di guerra ibrida su larga scala ben più pericolosa di una guerra convenzionale fatta non solo di armi ma anche di fake news per spaccare la società. E non si fermerà.

Cosa c'è dietro alle mire russe?

«La paura. Paura che il germe della democrazia si diffonda fin dentro ai confini russi».

Putin parla dell'Ucraina come di una invenzione, creata da Lenin strappando dei territori russi. È così?

«Ma niente affatto. Anzi sarebbe vero il contrario».

In che senso?

«Pura propaganda utilitaristica. Ma non è nuova. Anche Stalin parlava dell'Ucraina come di un'arma in mano all'Occidente. Come vede Putin non si è inventato niente di nuovo. Putin poi in questi anni lo ha detto più volte in diverse occasioni. Secondo la sua narrazione i russi e gli ucraini sarebbero uno stesso popolo. Lo ha dichiarato nel 2014 con la crisi nel Donbass, prendendosi la Crimea».

Ma è la verità?

«No, assolutamente. Una falsità storica, una distorsione a suo uso e consumo. Per far leva su un neanche troppo acceso spirito nazionalistico».

Ma ha ragione nel dire che i russi e gli ucraini sono lo stesso popolo?

«Hanno avuto una storia comune se vogliamo, causa guerre e alleanze, egemonie. Ma i popoli sono distinti. Nel Medioevo la Rus' di Kiev, aveva Kiev capitale, era Kiev la città di riferimento rispetto a Moscovia che nel 1240 subisce poi l'invasione dei Mongoli, una sovranità altamente repressiva, mentre l'Ucraina finisce sotto il Gran Ducato di Polonia e Lituania, più aperto, con uno sviluppo culturale diverso, europeo. Due popoli con uno sviluppo totalmente diverso».

Quindi due identità culturali che si distingueranno nel corso degli anni?

«Sì, già nel '600 l'Ucraina cerca una sua indipendenza e chiaramente si ritrova ad allearsi con i vicini per tornaconti politici. Ma c'è un altro passaggio fondamentale che spiega l'abisso tra le due culture: nel 1709 la battaglia di Poltava segna la fine dell'indipendenza del Cosaccato ucraino, alleato degli svedesi, sconfitto da Pietro il Grande. È l'inizio dell'Impero russo. Inizia l'operazione di russificazione, ma allo stesso tempo, si appropria delle radici culturali della Rus' di Kiev proprio per dare alla Moscovia una identità europea che lui anelava ma che in realtà non le apparteneva».

Perchè?

«Pietro il Grande guardava all'Europa più che all'Asia. E non è un caso che eurasisti come Putin odiano Pietro il Grande».

Eppure Putin fa leva sul nazionalismo filo sovietico degli ucraini.

«Una minoranza. Invece è vero che i sentimenti nazionalistici ucraini lavorano da sempre: dal collasso dell'Impero Russo e di quello Austro Ungarico, con la dichiarazione di indipendenza nel 1919. E non si affievolì nemmeno sotto al regime sovietico. Che portò all'indipendenza del 1991».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 7:57 am

Lo schema di Putin: Intervista a Massimiliano Di Pasquale
Davide Cavaliere
25 Febbraio 2022

http://www.linformale.eu/lo-schema-di-p ... -pasquale/

Massimiliano Di Pasquale (Pesaro, 1969) è ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici. Ucrainista, esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive anche sulle pagine di Strade Magazine (stradeonline.it).

Membro della Sezione di Studi Baltici dell’Università di Milano, nel 2012 ha pubblicato Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta, che ha fatto conoscere l’Ucraina al grande pubblico italiano. Nel 2018 è uscito per Gaspari Editore Abbecedario ucraino. Rivoluzione, cultura e indipendenza di un popolo, cui ha fatto seguito nel marzo 2021 Abbecedario ucraino II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl.

Ha accettato di rispondere alle domande de L’informale.

In queste settimane abbiamo assistito a un crescere di tensioni politiche e militari tra Kiev e Mosca, fino ad arrivare all’aggressione militare russa. Quali sono le mire di Putin sull’Ucraina? I cittadini ucraini preferirebbero un maggiore avvicinamento all’Occidente o no? 

Putin ha più volte definito il crollo dell’Unione Sovietica la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo. Lo ha fatto una prima volta nel 2005, creando un certo scalpore in quei politici occidentali che avevano ingenuamente creduto che il presidente russo fosse un riformatore nonostante il suo passato di ex kgbista, e l’ha riaffermato anche lo scorso dicembre in occasione del trentennale della dissoluzione dell’URSS. In quella circostanza l’inquilino del Cremlino parlò di disintegrazione della ‘Russia storica’ sotto il nome di Unione Sovietica, sostenendo che Russia, Ucraina e Bielorussia fossero un’unica nazione e russi, ucraini e bielorussi un unico popolo. Affermazione quest’ultima assolutamente falsa che da 8 anni, ossia dallo scoppio del conflitto in Donbass nel 2014, è uno dei miti cardine della propaganda russa e della guerra informativa. Questa narrazione è stata riproposta sia nell’articolo Sull’Unità storica di russi e ucraini scritto da Putin il 12 luglio 2021 sia nel discorso tenuto dal presidente russo qualche giorno fa, la sera del 21 febbraio, contestualmente all’annuncio del riconoscimento da parte della Duma russa delle autoproclamate repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk. Putin afferma che ucraini e russi sono un unico popolo e che l’Ucraina moderna è interamente il prodotto dell’era sovietica. Tale asserzione ignora episodi chiave della storia e offre una versione pericolosamente distorta del passato.

In estrema sintesi possiamo ricordare che il lungo processo di autodeterminazione della nazione ucraina, in fieri già a metà Seicento all’epoca del Cosaccato, giunse a piena maturazione agli inizi del Novecento. Dopo il collasso dell’Impero Russo e di quello Austroungarico l’Ucraina godette di un breve periodo di indipendenza. Il 22 gennaio 1918 la Rada Centrale di Kyiv, con il Quarto Universale, dichiarò l’indipendenza della Repubblica Popolare Ucraina e, qualche mese più tardi, elesse quale suo Presidente lo storico Mykhailo Hrushevsky. All’inizio del 1919 la Repubblica Popolare Ucraina e la Repubblica Popolare dell’Ucraina Occidentale si unirono, seppur brevemente, in un unico stato sotto la leadership di Symon Petliura.  Lo scoppio della guerra con i bolscevichi riportò i territori orientali sotto il giogo moscovita mentre le terre occidentali dell’ex Impero Asburgico finirono sotto il dominio polacco. A partire dagli anni Trenta il potere sovietico iniziò una politica di repressione nei confronti della cultura nazionale ucraina. La tragedia del Holodomor, la carestia artificiale provocata dalla collettivizzazione forzata di Stalin che uccise dai 3 ai 5 milioni di ucraini nel 1932-33, diede nuova consapevolezza al nazionalismo ucraino. In particolare durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale nelle regioni occidentali del Paese che erano state annesse dalla Polonia nel 1939-40, furono organizzate delle rivolte armate contro il regime sovietico.

Solo con il crollo dell’URSS l’Ucraina ottenne una statualità indipendente duratura. Ma, come abbiamo visto, le entità politiche de facto ucraine che lottavano per l’autonomia e l’indipendenza del Paese esistevano molto prima del 1991. Fatta questa premessa storica, è evidente, alla luce del discorso tenuto da Putin alla tv russa lo scorso 21 febbraio, che l’obiettivo del Cremlino è ricostituire una sorta di impero russo dai tratti sovietico-zaristi i cui confini, a questo punto, dipendono dalle misure di deterrenza che l’Occidente saprà e vorrà mettere in atto.

Dunque, Putin non mira solo all’Ucraina?

L’invasione del Donbass è solo il preludio ad altre invasioni che potrebbero non limitarsi alla sola Ucraina e interessare anche l’area Baltica. Ma ciò che è più grave, unitamente alla debolezza e all’ignavia finora dimostrata dall’Occidente, è il fatto che Putin falsifichi la storia secondo un paradigma orwelliano per giustificare operazioni analoghe a quelle compiute da Hitler con i Sudeti riscrivendo i confini delle nazioni e violando la sovranità statuale dell’Ucraina.  Putin non riconosce il diritto internazionale. Le frontiere della Federazione Russa, a quanto si evince dal suo discorso delirante e paranoico, sono quelle dell’URSS. Il mondo per Putin è rimasto fermo al 1991. 

Trovo particolarmente illuminante quanto scrisse nel 2017 lo storico Ettore Cinnella nella prefazione al suo saggio La Russia verso l’Abisso. Dopo il 1945 la Russia non è stata aggredita da nessuno e, nonostante possieda immense risorse naturali, langue ancora nel sottosviluppo e nella povertà e “il governo e la Chiesa spiegano alla credula popolazione che è il perfido occidente, con le sue losche mene, a minacciare l’esistenza stessa della santa Russia e che quest’ultima, per farsi valere, deve riarmarsi”. La commistione tra potere politico – la cricca di oligarchi e di siloviki che fa capo a Putin – e il potere religioso, rappresentato dalla Chiesa Ortodossa Russa guidata dall’ex agente del KGB Kirill (Vladimir Mikhailovich Gundyaev), è talmente forte che, come scrive Dmitry Adamsky nel suo libro Russian Nuclear Orthodoxy. Religion, Politics and Strategy, il clero è parte attiva delle decisioni militari e nucleari della Russia. Uno scenario quasi teocratico come quello iraniano ma in chiave ortodossa. 

L’Ucraina ha ormai scelto la sua strada che è quella dell’Europa e della democrazia. Una strada irreversibile che non a caso Putin prova a minare con la guerra. Dal 2014 Putin non gode di alcun tipo di consenso neanche tra la popolazione russofona dell’Est del Paese. A Kharkiv, seconda città dell’Ucraina, a pochi chilometri dal confine russo, i sentimenti patriottici sono gli stessi che a Leopoli. Cambia solo la lingua di preferenza usata. 

La narrazione russa in merito al conflitto ucraino, così come a quello siriano, ha fatto breccia nella popolazione, al punto tale da diventare «senso comune». Chi sono e quanti sono i filorussi in Italia? 

Dal momento che i filorussi sono la stragrande maggioranza nel nostro Paese sarebbe interessante ribaltare i termini della questione chiedendosi chi siano gli intellettuali, i giornalisti e i politici non allineati su posizioni filorusse e intellettualmente onesti nel raccontare chi è realmente Putin e quale sia la vera natura del suo regime. Purtroppo sono pochissimi. È utile interrogarsi sul perché di questa anomalia che è indubbiamente anche il frutto di un’eredità storica risalente ai primi del Novecento.

Lo scorso anno assieme a Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici, ho scritto un paper, contenuto nel saggio Russian Active Measures. Yesterday, Today, Tomorrow, curato da Olga Bertelsen, uscito per la Columbia University Press nel marzo 2021, sull’influenza russa sulla cultura, sul mondo accademico e sui think tank italiani. 

Ciò che emerge da questo studio, effettuato su fonti aperte e quindi facilmente verificabile da tutti, è che in Italia esistono due diversi tipi di intellettuali ed esperti di politica estera filorussi: i neo-eurasisti e i Russlandversteher (simpatizzanti della Russia). I neo-eurasisti italiani hanno opinioni radicali pro-Mosca e anti-occidentali. Sono spesso ammiratori di Aleksandr Dugin, un analista politico russo con stretti legami con il Cremlino, noto per le sue opinioni scioviniste e fasciste. Percepiscono la Russia di Putin come un modello sociale e politico, nonché come un potenziale alleato contro le élite della UE e “globaliste” che avrebbero impoverito l’Italia privandola della sua sovranità. I neo-eurasisti esprimono punti di vista radicali anti-NATO e anti-UE e chiedono un’alleanza strategica tra Europa e Russia. I Russlandversteher italiani, invece, hanno una posizione filorussa pragmatica, spesso basata su considerazioni di realpolitik. Sostengono che la Russia sia un’opportunità piuttosto che una minaccia, ritengono che l’Occidente sia in gran parte responsabile delle rivoluzioni ucraine e dell’attuale crisi nelle relazioni tra la Russia e l’Occidente e affermano che nonostante l’Italia sia membro della NATO e dell’UE, dovrebbe avere un “rapporto speciale” con la Russia per garantire la sicurezza nazionale energetica ed economica della penisola.

In estrema sintesi potremmo dire che le opinioni pro-Cremlino esercitano una notevole influenza sulla cultura italiana, sul mondo accademico e sulla comunità di esperti. Di conseguenza, l’opinione pubblica italiana e una parte significativa della sua élite politica hanno spesso difficoltà nel vedere la politica interna ed estera russa in modo più critico e nel comprendere le sfide ideologiche e di sicurezza che il putinismo pone all’Europa e all’Occidente.

L’assenza di un dibattito su quanto sta succedendo tra Ucraina e Russia e la presenza su tutte le tv nazionali dei soliti noti, spacciati come esperti del settore, che sovente ripetono ad libitum le narrazioni della propaganda russa (Russia accerchiata dalla NATO, l’Ucraina non è uno stato ma una provincia russa creata dai bolscevichi, gli ucraini sono nazisti etc) testimoniano quanto il panorama culturale, accademico ed economico italiano sia inquinato dalla perniciosa influenza russa. 

In questi ultimi giorni, dopo il discorso di Putin e l’ingresso delle truppe russe in Donbas, ho riflettuto molto sulle affermazioni fatte dagli “esperti” di una nota rivista geopolitica che in diverse trasmissioni televisive hanno ribadito più volte come l’Occidente debba in qualche modo rassegnarsi al bagno di sangue che Putin sta preparando in Ucraina perché Putin “lotta per la sopravvivenza della Russia”. Da studioso di guerra ibrida e di disinformazione tali dichiarazioni, ripetute in televisione come un mantra, mi sembrano perfettamente in linea con l’obiettivo del Cremlino di demoralizzare e logorare psicologicamente l’Occidente. Inoltre, è una mistificazione affermare che Putin “lotta per la sopravvivenza della Russia”, semmai lotta per la sopravvivenza del suo regime cleptocratico, che è fallimentare sotto il profilo economico.  L’obiettivo del Cremlino, ripeto, non è solo l’Ucraina, ma ricostituire una sfera di influenza e di controllo di Mosca anche nell’Europa centro orientale.  

Tra i cavalli di battaglia della propaganda del Cremlino vi è il presunto «accerchiamento» della Russia da parte della NATO. L’Alleanza Atlantica ha davvero circondato la Russia? 

È un altro mito della propaganda russa per giustificare l’assembramento di truppe ai confini dell’Ucraina, cominciato nell’aprile del 2021 e intensificatosi nelle ultime settimane fino a raggiungere più di 140.000 unità. Il Cremlino, sin dai tempi della Prima Guerra Fredda (per chi non se ne fosse ancora accorto ora stiamo vivendo la Seconda Guerra Fredda iniziata proprio con l’attacco ibrido russo all’Ucraina nel 2014), è sempre stato abilissimo nella guerra informativa. 

La verità è molto diversa. Con una popolazione di oltre 140 milioni di abitanti la Russia è geograficamente il paese più grande del pianeta e possiede una delle più grandi forze armate del mondo con il maggior numero di armi nucleari. È assurdo ritrarre la Russia come un paese gravemente minacciato. In termini geografici, meno di un sedicesimo del confine terrestre della Russia è con i membri della NATO. Dei 14 paesi confinanti con la Russia, solo cinque sono membri della NATO. Basta solo prendere una cartina o un mappamondo per accorgersi dell’assurdità di tale affermazione. 

In molti, soprattutto in rete, considerano la Russia e Israele come facenti parte di una «union sacrée» contro il terrorismo islamico. Come sono i rapporti tra Gerusalemme e Mosca? 

Non sono un esperto di politica mediorientale ma l’idea che mi sono fatto del rapporto tra Russia e Israele, studiando la politica estera dei due Paesi e le loro relazioni bilaterali, è che Gerusalemme cerchi di mantenere buoni rapporti con Mosca per due ragioni. La prima è che l’esistenza stessa di Israele è minacciata da stati confinanti come Iran e Siria, storicamente alleati della Russia, la seconda è che in territorio israeliano risiede una nutrita comunità russa ed ex sovietica (l’idioma russo è il terzo più parlato in Israele, dopo la lingua ebraica e la lingua araba). 

Anche nel corso della guerra in Siria, Israele si è limitato solamente ad attacchi mirati contro Hezbollah, gruppo sciita libanese concepito in funzione anti-israeliana, attivo in Siria a sostegno del regime di Bashar al Assad. Rispetto al fatto che la Russia sia in prima linea contro il terrorismo islamico sono piuttosto scettico. L’intervento russo in Siria risponde a un razionale geopolitico che poco ha a che vedere con la lotta al terrorismo islamico. Credo che questa idea di Mosca quale baluardo dell’ortodossia contro l’islam radicale faccia parte di una campagna propagandistica iniziata negli anni Novanta per giustificare la guerra cecena, un conflitto che come hanno scritto Aleksandr Litvinenko e Yuri Felshtinsky nell’interessante libro Russia. Il complotto del KGB, rispondeva a una logica ben diversa: l’ascesa in Russia di un gruppo di potere legato ai servizi segreti il cui scopo era sabotare le riforme liberali di Eltsin e costringerlo, con la tecnica del kompromat, a cedergli il potere come in effetti avvenne nel 1999 con la nomina a primo ministro, poi a presidente di Vladimir Putin. Quindi, per rispondere alla sua domanda, l’«union sacrée» Mosca-Gerusalemme contro il terrorismo islamico non esiste.     

Si parla spesso dei «neonazisti» ucraini. Quali sono i tassi di antisemitismo in Ucraina e Russia?    

Il mito degli ucraini nazisti è un evergreen della propaganda russa sin dai tempi sovietici. È stato puntualmente rivisitato anche la mattina del 24 febbraio da Putin quale sorta di giustificazione teorica della sua invasione su larga scala in Ucraina. Il leader del Cremlino ha annunciato alla televisione russa che era in atto “la demilitarizzazione e denazificazione in Ucraina”. L’11 ottobre del 2021 anche l’ex presidente e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitry Medvedev, in un articolo uscito sulla rivista russa Kommersant in cui attaccava il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyi, descrivendo il suo paese come uno stato vassallo degli Stati Uniti con il quale è impossibile negoziare, aveva definito Zelenskyi un “essere disgustoso, corrotto e infedele, che aveva ripudiato la sua identità (ebraica) per servire i nazionalisti rabbiosi”. Questo, proseguiva Medvedev, significava che il capo di stato ucraino somigliava a un Sonderkommando ebreo, facendo riferimento a quegli ebrei, che minacciati di pena di morte, venivano costretti a sbarazzarsi delle vittime delle camere a gas durante l’Olocausto. 

Questo articolo costituisce un ulteriore riprova di come Mosca strumentalizzi il presunto antisemitismo degli ucraini per attaccare il corso democratico scelto dall’Ucraina del post-Maidan. All’epoca del Maidan, come già detto altre volte le forze cosiddette ‘xenofobe e ultranazionaliste’ – ammesso che sia corretto definire così movimenti nazionalisti radicali come Svoboda e Pravyi Sektor – ammontavano solamente all’1.9% dell’elettorato ucraino. 

Se proprio volessimo parlare di fascismo beh allora potremmo dire che il  regime cleptocratico di Putin è un chiaro esempio di fascismo russo. Lo storico Timothy Snyder individua nel 2011 il preciso momento in cui in Russia si compie la svolta autoritaria in fieri da anni e in cui il fascismo cristiano di Ivan Ilyin fornisce la copertura ideologica del regime putiniano. Nonostante Ilyin fosse antibolscevico e ammirasse Hitler il suo pensiero non si discostava troppo nelle sue implicazioni pratiche da quello di Stalin. La parentesi comunista vissuta dalla Russia era il frutto della corruzione proveniente dall’Occidente. Nella sua visione il comunismo era stato imposto alla Russia dall’Occidente. A detta di Ilyin che si rifà al teorico nazista del diritto Carl Schmitt la politica è l’arte di identificare e neutralizzare il nemico. E dal momento che la Russia è l’unica fonte di totalità divina e di purezza, l’uomo spuntato dal nulla, che i russi riconosceranno come il redentore, potrà muovere guerra a chi minaccia i successi spirituali della nazione.

L’Ucraina, in quanto espressione dell’Occidente corrotto che minaccia l’unità spirituale della Santa Madre Russia, è la vittima scelta da Putin per portare avanti la sua folle politica imperiale in cui il diritto inteso come rispetto delle regole è una sovrastruttura occidentale e in cui conta solo la geopolitica dei rapporti di forza. Possiamo dunque dire che il regime di Putin, anziché abiurare Nazismo e Stalinismo, le due ideologie totalitarie che hanno devastato il Novecento causando milioni di morti, le ha di fatto rimodellate e le ha poste a fondamento del suo regime. 

Passerei ora ai rapporti tra Cina e Russia. Washington è responsabile dell’avvicinamento di Putin a Pechino?

Non credo che Washington sia responsabile dell’avvicinamento tra Mosca e Pechino e non credo neppure che l’asse sino-russo sia così forte. La Cina crede nel multilateralismo seppure secondo regole che vorrebbe essa stessa dettare. Economicamente Pechino ha molti più rapporti con Stati Uniti ed Europa che con la Russia, per cui il suo avvicinamento a Mosca è, a mio avviso, di carattere tattico. Inoltre non dobbiamo dimenticare che la stessa Cina ha notevoli interessi economici in Ucraina il che spiega l’equilibrismo di Xi-Jinping. È altresì vero che per una sorta di effetto domino a livello geopolitico Taiwan in queste ore sta tifando per Kiev!




Il Donbass e la Crimea sono parte dell'Ucraina e non della Russia
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1613077124

Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non dei russi e della Russia
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 143&t=3000
https://www.facebook.com/profile.php?id=100078666805876




Una guerra sovietica

Lorenzo Vita
30 maggio 2022

https://it.insideover.com/guerra/una-gu ... ussia.html

Quando è iniziata la guerra in Ucraina, tanti osservatori hanno ipotizzato che l’obiettivo del presidente russo Vladimir Putin fosse quello di una guerra-lampo: un blitz per arrivare tra due ali di folla a Kiev, “detronizzare” il governo di Volodymyr Zelensky, distruggendo tutte le infrastrutture militari del Paese.

In realtà, la guerra si è dimostrata una cosa molto più complessa rispetto a questa ipotesi, più teorica che pratica. Il conflitto, quello che in Russia è ancora una “operazione militare speciale”, si è rivelato logorante, devastante e soprattutto ben lontano dalle logiche di un “blitzkrieg” come fu quello della Germania hitleriana. Ma quello che è sembrato evidente a molti analisti è che l’idea di una guerra rapida è stata soprattutto un azzardo dato da letture spesso superficiali di come sarebbe stata condotta la guerra. Al punto che si è arrivati al paradosso per cui il concetto stesso di blitzkrieg è stato utilizzato da detrattori e sostenitori di Putin come se questo fosse stato in effetti un obiettivo della campagna militare russa in Ucraina.

La realtà come sempre risulta più complessa. Innanzitutto, dal punto di vista concettuale, la cosiddetta guerra-lampo è ormai considerato quasi un mito che una vera dottrina militare presente in diversi comandi e accademia del mondo. L’idea è stata applicata da molti teorici della guerra per definire la campagna militare tedesca all’inizio della Seconda guerra mondiale, al limite utilizzata anche come strumento di propaganda, ma molti studiosi affermano che in realtà non sia possibile considerare una idea di blitzkrieg valida per ogni esercito, quanto il piano molto più pragmatico di sfruttare il massimo della tecnologia bellica esistente e delle tattiche a sorpresa surclassando le potenze rivali impreparate. Una tattica ben chiara in alcune precise campagne, ma che non sembra essere una costante delle forze armate mondiali.

Se il blitzkrieg potrebbe addirittura non essere stato ipotizzato in via generale nemmeno dai comandi tedeschi, tanto più non pare esserlo in un Paese come la Russia che ha costruito la propria dottrina militare su basi estremamente diverse. E in cui la cosiddetta guerra-lampo non è mai esistita, se non studiando le tattiche nemiche. L’Unione Sovietica aveva concepito la battaglia in profondità, ma non il blitz in senso tecnico.

Questo vale anche (e soprattutto) per la guerra in Ucraina, in cui probabilmente Putin pensava sì, di poter risolvere prima il conflitto, ma non perché la Russia avesse teorizzato una guerra-lampo a tutti gli effetti. Putin probabilmente credeva di poter fare affidamento su una popolazione ucraina non così legata al proprio Stato e su una divisione dell’Occidente che non si è palesata. Tuttavia, il concetto di una guerra rapidissima ed esclusivamente basata su obiettivi militari non è mai stata teorizzata dai comandi di Mosca, che hanno invece avuto in testa da sempre piani molto differenti.

Già ai tempi dell’Unione Sovietica, infatti, periodo in cui si sono formati tutti i più alti comandanti delle forze armate di Mosca, a cominciare dallo stesso Putin, non si parlava di conflitti fondati sulla rapidità ma su schemi molto precisi che appaiono ben presenti anche in questo conflitto. E questo nonostante per anni la cosiddetta dottrina Gerasimov, dal nome del capo di Stato maggiore russo, abbia in qualche modo modificato i parametri di riferimento del modo di fare una guerra da parte del Cremlino.

A questo proposito, già negli Anni Ottanta del secolo scorso, in piena Guerra Fredda, gli studi sulla dottrina militare sovietica avevano dimostrato alcune basi ideologiche e strategiche della guerra secondo Mosca che non sembrano così differenti da quelle osservate in Ucraina.

Per capirle, bisogna partire dall’idea di chi ha plasmato l’Urss: Vladimir Lenin. La sua idea sul fatto che “lo scopo politico determina la condotta della guerra” ha strutturato la dottrina militare sovietica e anche quella della Federazione Russa. Tanto che anche nella dottrina militare attuale si può leggere che la natura delle guerre moderne “è determinata dai loro obiettivi politico-militari, dai mezzi per raggiungerli e dalla portata delle operazioni militari”. Tra queste due visioni, quella leninista e quella attuale “putiniana” c’è stata la lunga esperienza sovietica. Un’esperienza che dal punto di vista della teoria militare è stata studiata con molta attenzione dagli americani al punto che nel 1984 un documento dell’esercito Usa affermava che “il concetto sovietico di guerra rappresenta una continuazione della politica. Nella percezione occidentale, la guerra si verifica quando la politica non riesce a risolvere i conflitti in modo non violento. I sovietici ritengono che la guerra sia il metodo meno desiderabile con cui le forze della storia si muovano verso la vittoria completa del socialismo”

Se rimuoviamo il concetto del socialismo e inseriamo l’idea di Russia, notiamo che esiste una linea di continuità tra quanto teorizzato agli inizi del Novecento e quello visto ancora oggi: il conflitto non è una parentesi dettata da un fallimento, ma uno strumento estremo con cui Mosca applica la sua strategia politica.

Se questo è il retroterra culturale, è chiaro che la guerra-lampo non è necessariamente un obiettivo, semmai un mero risvolto tattico che in questo caso non si è avverato. Sia per errori di valutazione russi, sia per l’evidente capacità ucraina di difendersi e il sostegno del blocco occidentale alle forze armate di Kiev. Ma in ogni caso, è solo l’obiettivo politico a decretare la conduzione della “operazione militare speciale”: e questo implica che per Mosca è essenziale una vittoria che sia allo stesso tempo militare e politica. Tanto è vero che, come ricorda Francesco D’Arrigo su Startmag, la dottrina militare russa “definisce vittoria la conclusione delle ostilità con il raggiungimento di tutti gli obiettivi militari e politici, riconosciuta da un documento firmato tra le Parti”. E questo comporta che “l’importanza del raggiungimento degli scopi politici ha la prevalenza su quelli militari” perché “perfino in caso di una sconfitta militare sul campo si possono ottenere tutti gli obiettivi politici e quindi una vittoria”. Cosa che implica anche che la sconfitta politica supera di gran lunga anche l’eventuale vittoria militare.

Questo ci aiuta a comprendere un ulteriore elemento. Se l’obiettivo è politico, la guerra non deve terminare solo con una vittoria militare. Non a caso, Putin dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina ripete costantemente che i suoi scopi sono non solo la piena garanzia sul Donbass e la Crimea, ma anche la fantomatica “denazificazione” e “demilitarizzazione” dell’Ucraina. Senza questi due elementi, il conflitto, per quanto logorante e sanguinoso, non può fermarsi a pena di una sconfitta che significherebbe la fine della stagione di potere di Putin e forse anche della stessa idea di Russia come potenza.

Corollario di tutto questo è quello che leggiamo ogni giorno dalle cronache ucraine. Le forze russe, rallentate e certamente colpite da notevoli perdite di uomini e mezzi, con sconfitte cocenti in alcuni teatri apparentemente importanti, continuano la loro inesorabile avanzata. Domenico Quirico su La Stampa l’ha definita “guerra-macina”, una guerra totale e asfissiante, “un enorme macigno ruota su un’altra lastra di ardesia e a poco a poco, chicco dopo chicco, il grano, l’avena, tutto viene ridotto in polvere”.

La guerra russa è appunto questa: un mix di ondate di uomini, di avanzate per grandi scaglioni, di utilizzo dell’artiglieria e assedi. Come scrivevano gli studiosi dell’esercito americano, il primo “scaglione” attacca e penetra le difese tattiche del nemico, mentre il secondo scaglione sfrutta il primo per attraversare il territorio nemico in profondità fino alle “retrovie operative”. I teorici militari sovietici hanno sempre ipotizzato l’attacco simultaneo di artiglieria e raid aerei su tutta la difesa nemica, sfruttando l’avanzata via terra per colpire la linea difensiva tattica. Infine, come ricorda il documento Usa “le linee di comunicazione, comando e controllo del nemico verrebbero quindi distrutte o interrotte e il resto del suo sistema difensivo tattico comincerebbe a frammentarsi e crollare. I comandanti nemici disorganizzati, demoralizzati e isolati non sarebbero in grado di ristabilire una difesa efficace e coordinata”. “L’obiettivo principale a tutti i livelli è portare la battaglia rapidamente e violentemente nelle retrovie nemiche” ricorda l’esercito statunitense.

E così si è andato realizzando anche in Ucraina. Le forze russe stanno conquistando territorio a discapito di una comunicazione che ha più volte sostenuto l’inadeguatezza del dispositivo militare russo e il suo tracollo di fronte al fallimento di un presunto blitzkrieg. Idea che a questo punto è certamente tramontata, ma anche perché la Russia, dai tempi dei soviet, non concepisce in radice quel tipo di guerra. Quel mondo in cui le classi dirigenti russe si sono formate e nelle cui accademie sono stati allevati i generali che oggi decidono le sorti del conflitto. Una guerra che si fonda quindi su una dinamica antica e sulle tecnologie utilizzabili dalla Russia, con un unico obiettivo: vincere principalmente sul piano politico-strategico. Senza il raggiungimento di questo scopo, per Putin non c’è vittoria. Nemmeno esclusivamente militare.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 7:57 am

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Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 7:58 am

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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 7:59 am

b)
Il caso Serbia e altri (Iraq, Libia, Afganistan, Siria);
nessun confronto possibile tra le guerre nazifasciste, imperialiste e suprematiste della Russia di Putin con le guerre dell'Occidente, degli USA e della NATO dopo la Seconda guerra mondiale







Le demenzialità, le menzogne e le calunnie contro gli USA e la NATO

viewtopic.php?f=143&t=3005
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 1061722663

Il caso Serbia

Gli interventi militare ONU e NATO contro la Serbia a difesa dei Bosniaci e dei Kosovari, per fermare il loro eccidio, la pulizia etnica da parte dei Serbi (e non per predare territori come la Russia sta facendo in Ucraina per sottrarre la Crimea e il Donbass, uccidendo gli ucraini e distruggendo l'Ucraina).
La NATO intervenne al posto dell'ONU dopo decisione ONU che però venne bloccata dal veto Russo allo stesso modo che oggi la Serbia si schiera con la Russia contro l'Ucraina e la UE e gli USA che la difendono.


Primo intervento NATO in Serbia nel 1995 per la Bosnia
https://it.wikipedia.org/wiki/Operazion ... rate_Force
L'operazione Forza Deliberata (in inglese Operation Deliberate Force) era il nome di una campagna militare aerea condotta nel 1995 dalla NATO contro le forze della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. Attuata formalmente con il richiamo alla Risoluzione n. 836 delle Nazioni Unite.

Secondo intervento NATO in Serbia nel 1999 per il Kosovo
https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Allied_Force
A marzo a seguito di risposte negative da parte della Serbia a tornare alle sedi diplomatiche attuative degli accordi presi, e dopo ripetute minacce di intervento da parte della NATO, con la minaccia di veto da parte della Russia e della Cina che impediscono di fatto un pronunciamento del Consiglio di Sicurezza, la NATO decide di intervenire con attacchi aerei per imporre alla Serbia il rispetto degli accordi di Rambouillet.
Pochi giorni prima gli osservatori dell'OSCE vengono fatti evacuare dal Kosovo.


Quando la Nato decise di colpire la Serbia per fermare il massacro in Kosovo
Redazione Agi.it
Ugo Barbàra


https://www.agi.it/estero/news/2022-03- ... -16121154/

Gli effetti dei bombardamenti della Nato su Belgrado

AGI - In Europa la data del 24 marzo coincide con il tragico ricordo dell’avvio dei bombardamenti compiuti nel 1999 sulle città di Belgrado in Serbia e di Pristina in Kosovo da parte di aerei NATO decollati da aeroporti italiani. Una ‘ricorrenza’ che, a distanza di 23 anni cade proprio nel mezzo di una nuova guerra piombata sul vecchio continente: è precisamente un mese che la Russia ha dato il via all’invasione dell’Ucraina, iniziata lo scorso 24 febbraio.

Il conflitto in Jugoslavia fu la prima vera guerra dopo il 1945, pertanto quel fatidico 24 marzo 1999 segnò l’inizio di una delle pagine più buie della storia recente dell’Europa. Quel giorno, verso le ore 16, la Forza Alleata (Allied Force) della Nato – costituita da Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada, Spagna, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Turchia, Paesi Bassi e Belgio – avviò la sua operazione contro la Repubblica Federale di Jugoslavia di Slobodan Milosevic, consistita in una intensa campagna di attacchi aerei a fine strategico durata oltre due mesi, fino al 10 giugno, evitando scrupolosamente l’opzione dell’attacco terrestre.

L'operazione Allied Force è la seconda azione militare nella storia della NATO, dopo l'operazione Deliberate Force del 1995 in Bosnia ed Erzegovina. L'operazione Allied Force è inoltre la prima volta in cui la NATO ha usato la forza militare senza l'approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il che ha innescato dibattiti sulla legittimità dell'intervento.

Sulla carta l’intervento deciso dalla NATO era teso a riportare la delegazione serba al tavolo delle trattative politiche, che aveva abbandonato dopo averne accettato le conclusioni (Trattato di Rambouillet), e a contrastare lo spostamento della popolazione del Kosovo allo scopo di predisporre una sua spartizione tra Serbia e Albania.

Anche se l'esistenza di un piano predisposto a tale scopo non è mai stata provata con sufficiente certezza, resta un fatto che appena iniziarono le incursioni aeree NATO l'esercito serbo attuò operazioni volte a ottenere esodi massicci e compì in taluni casi dei veri massacri.

In Kosovo - allora appartenente alla Repubblica Federale di Jugoslavia – le forze serbe attaccarono i civili kosovari albanesi, massacrandoli e costringendoli ad un drammatico esodo nelle vicine Albania e Macedonia. Tuttavia, a compiere violenze ai danni dei cittadini d’etnia serba, già a partire dal 1995, fu la guerriglia dell’UCK – infiltrata anche da veterani musulmani e croati – che mirava all’indipendenza completa del Kosovo. Da marzo 1998 l’escalation della crisi - caratterizzata dall'intensificarsi delle attività dell'UCK e da una occupazione militare progressiva del Kosovo da parte delle forze militari e paramilitari serbe – spinse vari Paesi europei, Stati Uniti e Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a interessarsi più da vicino allo scenario.

L’operazione NATO si è sviluppata in tre fasi. La prima era volta a togliere alla Serbia ogni capacità di offesa e difesa aerea, tramite il sistematico bombardamento di aeroporti militari, postazioni missilistiche antiaeree e radar. Nella seconda fase gli attacchi aerei alleati si sono rivolti a obiettivi militari generici, con particolare attenzione alle forze serbe presenti nel Kosovo. La terza fase ha avuto come obiettivo primario quello di colpire bersagli civili e militari nel tentativo di paralizzare il Paese, avendo come principali obiettivi i ponti - con alcuni gravi incidenti - e le centrali elettriche, ma anche le telecomunicazioni, per obbligare il governo serbo – sostenuto per un periodo da Russia e Cina – a una resa e spingere il popolo serbo a fare pressioni sul proprio esecutivo.

Tra gli episodi salienti ci fu la prima notte di bombardamenti con attacchi a postazioni militari e aeroporti in Kosovo e nei dintorni di Belgrado, anche con missili da crociera. Fu immediato l’afflusso dei primi profughi kosovari presso le frontiere albanese e macedone. Il 5 aprile 1999 una bomba caduta in un’area abitata causò 17 morti mentre una settimana dopo il bombardamento di un ponte sul quale transitava un treno provocò 50 vittime. Il 13 aprile l’esercito serbo colpì con artiglieri un villaggio di frontiera albanese e l’indomani 75 civili kosovari furono uccisi per errore da aerei NATO.

A fine aprile la capitale serba venne bombardata con bombe incendiarie contro il quartier generale del Partito Socialista Jugoslavo e la torre della televisione pubblica serba, causando 16 morti. Nella piccola città di Murino, in Montenegro, sei persone, di cui tre bambini, morirono nel bombardamento di un ponte. Il 1 maggio, 47 civili furono uccisi dopo che il loro bus venne centrato mentre attraversava un ponte. L’8 maggio l'ambasciata cinese a Belgrado venne colpita per un probabile errore di intelligence, causando tre morti e un grave incidente internazionale.

Il 13 maggio, dopo un apparente ritiro serbo dal Kosovo, e il ricorso della Serbia contro la NATO per genocidio presso il Tribunale Internazionale dell'Aia - rigettato il 2 giugno – ci furono 60 morti e 80 feriti causati dalla NATO contro il villaggio kosovaro di Korisa. La NATO accusò i serbi di aver usato i civili come scudi umani.

Il 21 maggio, circa 100 detenuti morirono durante il bombardamento di un carcere a Pristina. Il 27 maggio, il Tribunale Internazionale dell'Aia iniziò a indagare su Milosevic e alti ufficiali per crimini di guerra. Tra il 30 e il 31 maggio furono compiute tre stragi di civili in vari bombardamenti NATO che, però, negò ogni responsabilità, come nell’ospedale di Surdulica (Sud), con un bilancio di 20 vittime, e nel villaggio di Novi Pazar, con 23 morti.

Il 1 giugno il presidente Milosevic accettò le decisioni del G8 e iniziò la pianificazione di una missione di pace in Kosovo. Il 9 giugno lo Stato Maggiore serbo firmò con la NATO l’accordo di Kumanovo sul ritiro dal Kosovo e l’indomani, dopo 78 giorni di bombardamenti, le missioni di attacco furono sospese.

Secondo dati ufficiali, in tutto furono compiuti 2.300 attacchi aerei da parte della Forza Alleata, distruggendo 148 edifici e 62 ponti, danneggiando 300 scuole, ospedali e istituzioni statali, così come 176 monumenti di interesse culturale e artistico. Gli aerei coinvolti, in tutto un migliaio, partirono dall’Italia, ai quali si aggiunsero 30 navi da guerra e sottomarini salpati nell’Adriatico e in un secondo momento parte delle operazioni ebbero inizio in Ungheria.

Sono molto variabili i bilanci riguardanti le perdite umane in Kosovo, anche perché riguardano da un lato le vittime dei bombardamenti Nato e dall’altro quelle dei massacri compiuti sia dalle forze serbe che dalla guerriglia albanese dell’UCK, dando luogo a un’altra guerra, quella dei numeri, diventata anche quella dei media.

Le bombe sganciate dalla Forza Alleata avrebbero causato in tutto la morte di 2.500 civili, tra i quali 89 bambini, 12.500 feriti e un numero di profughi che va da 700 mila a un milione. Human Rights Watch ha calcolato fra 489 e 528 le perdite di civili jugoslavi provocate dai bombardamenti. In queste cifre non sono comprese le morti di leucemia e di cancro causate dagli effetti delle radiazioni dei proiettili a uranio impoverito.

Sul versante del genocidio – che ha avuto come posta in gioco anche la legittimazione dell’intervento militare NATO e il concetto di ‘guerra umanitaria’ – in Kosovo i civili uccisi furono più di 13 mila, di cui circa 10 mila albanesi, 2 mila serbi e 500 tra rom, bosniaci e cittadini di altre etnie. I dispersi furono migliaia, i profughi più di 250 mila.



Processo e condanna di Milosovich

Slobodan Milošević (ascolta pronuncia[?·info], in cirillico: Слободан Милошевић, pronuncia IPA [sloˈbodan miˈloʃevitɕ]; Požarevac, 20 agosto 1941 – L'Aia, 11 marzo 2006) è stato un politico serbo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Slobodan_ ... 1evi%C4%87
È stato presidente della Serbia dal 1989 al 1997 e presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia dal 1997 al 2000 come leader del Partito Socialista di Serbia e fu tra i protagonisti politici delle Guerre nella ex-Jugoslavia. Fu accusato di crimini contro l'umanità per le operazioni di pulizia etnica dell'esercito jugoslavo contro i musulmani in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo ma il processo a suo carico presso il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (Tpi) si estinse nel 2006 per sopraggiunta morte prima che venisse emessa la sentenza.
Contro di lui era stata mossa anche l'accusa di aver disposto l'assassinio di Ivan Stambolić, suo mentore negli anni ottanta del XX secolo e suo possibile avversario nelle elezioni presidenziali del 2000.


Guerra in Ucraina: cosa ci dice il precedente della Jugoslavia?
Giorgio Fruscione
15 marzo 2022
https://www.ispionline.it/it/pubblicazi ... avia-34133

La guerra in Ucraina è scoppiata a trent’anni dall’inizio di quella in Bosnia-Erzegovina, il capitolo più lungo e violento del processo di dissoluzione della Jugoslavia. I due conflitti si inseriscono in categorie spazio-temporali e geopolitiche distinte e, sebbene la guerra in Ucraina sia appena alle fasi iniziali, quella nella ex Jugoslavia, con particolare riferimento al periodo 1991-1995, offre il pretesto per un’analisi comparata che, possibilmente, aiuti a comprendere meglio l’invasione russa. Esistono, pertanto, delle analogie e delle differenze negli elementi che compongono le due guerre, come gli schieramenti in campo, il bagaglio retorico che accompagna, e sostiene, gli sviluppi bellici, così come gli allineamenti diplomatici a livello internazionale.


Lo squilibrio di forze

Il conflitto in Ucraina mostra già un elemento in comune con la guerra che deflagrò in Jugoslavia: lo squilibrio delle forze in campo. Anche se ufficialmente la Russia continua a negare la natura degli eventi in corso, non definendoli “guerra” o “invasione” preferendo l’espressione “operazione speciale”, l’analogia con le prime fasi del conflitto jugoslavo riguarda la maggior grandezza militare dell’aggressore, sia in termini di soldati effettivi, che di armamenti, con l’esercito russo oggi e quello jugoslavo ieri considerati tra i più potenti al mondo. Tuttavia, una differenza con la guerra in Ucraina sta nel fatto che, dopo un iniziale coinvolgimento dell’esercito jugoslavo in Croazia e nelle prime fasi della guerra in Bosnia, la guida delle operazioni belliche dal lato serbo venne assunta dai rispettivi eserciti locali, con un graduale disimpegno dei vertici militari di Belgrado. Questo avvenne in virtù della dissoluzione ufficiale della federazione socialista nell’aprile del 1992, quando Serbia e Montenegro costituirono la Repubblica Federale di Jugoslavia. Una mossa che Belgrado sfruttò nel tentativo di dimostrare alla comunità internazionale che quella in corso non era una guerra di aggressione, bensì civile, nonostante il regime di Slobodan Milosevic appoggiasse direttamente i serbi nelle repubbliche secessioniste. Questi infatti continuarono ad usufruire delle basi e degli armamenti jugoslavi che erano presenti in quei territori e a cui vennero cambiati i vessilli, determinando, fino alla fine del conflitto, un grande squilibrio di forze. Un’altra differenza sta quindi nella predominanza del ruolo di comando politico e militare delle leadership dei serbi di Croazia e Bosnia rispetto a Belgrado, che nella fase finale del conflitto riuscì a “controllare” sempre meno le leadership serbe locali, anche se ne assunse la rappresentanza diplomatica fino agli accordi di Dayton del 1995. Lo conferma il fatto che le responsabilità di diversi crimini di guerra e contro l’umanità in Bosnia vennero ascritte in misura maggiore a leader e comandanti serbi locali, come l’ex presidente della Republika Srpska Radovan Karadzic e il generale Ratko Mladic, rispetto ai vertici statali di Serbia e Montenegro. In Ucraina, al momento, il ruolo di comando è più verticistico e riconducibile direttamente a Mosca, piuttosto che a rappresentanti locali. Anche a livello mediatico, la rilevanza politico-militare delle leadership dei territori secessionisti del Donbass sembra al momento molto limitata rispetto al ruolo del Cremlino, che si pone dunque come unico artefice della strategia d’invasione dell’Ucraina. Una relazione che, come nel caso jugoslavo, potrebbe cambiare col proseguire del conflitto qualora Mosca ritorni a combattere una guerra per procura, come ha fatto in Donbass dal 2014.


La retorica di guerra

Una delle questioni più interessanti è relativa all’armamentario ideologico e retorico che ha accompagnato l’inizio di entrambe le guerre. Come detto, nella guerra in corso viene categoricamente evitata la parola “guerra”, obbligando la Russia stessa ad un’ambiguità diplomatica a livello internazionale, e ad una negazione della realtà a livello interno, dove reprime le proteste “contro la guerra” e limita fortemente l’informazione. Inoltre, ciò che merita particolare attenzione è che fino alla vigilia del conflitto il presidente russo Vladimir Putin non aveva fatto ricorso alla consueta retorica bellica, utile a sostenere la chiamata alle armi e ad incentivare il supporto politico interno a favore delle operazioni militari. In altre parole, il Cremlino ha fatto uno scarso e tardivo uso della narrazione nazionalista che, nella tradizione degli stati nazionali, ha per secoli messo un popolo contro l’altro, affinché si giustificasse l’aggressione di paesi vicini. Questo sarebbe in parte dimostrato dai casi riportati di soldati russi che spontaneamente si arrendono, abbandonano le armi, se non addirittura si scusano per l’aggressione. Ucraina e Russia, anche dopo la fine dell’URSS e in virtù degli stessi interessi di Mosca, almeno fino al 2014 sono state intese come “nazioni sorelle”. Alcune truppe russe non capiscono quindi la necessità di attaccare una popolazione a cui sono sempre stati legati e con cui condividono diversi caratteri storici e culturali, nonché religiosi.
Nel 1991, invece, quando iniziò la guerra in Jugoslavia, il terreno per lo scontro armato era fertile da anni, anche tra i suoi popoli costituenti. Quando la crisi economica della federazione cominciò a minare le basi dell’“unione e fratellanza”, i singoli leader nazionali iniziarono ad accusarsi a vicenda, esacerbando la dialettica etnonazionalista. L’iniziale indipendentismo economico di Slovenia e Croazia si arricchì della componente nazionalistica culturale e religiosa che, retoricamente, contrappose i rispettivi popoli, cattolici e presentati come “mitteleuropei”, all’ortodossia serba e a un’identità, quella balcanica, orientalisticamente intesa come arretrata e molto distante dalle società di Lubiana e Zagabria. Dal canto loro, i musulmani di Bosnia si trovarono, nell’etnopolitica che andava instaurandosi in quegli anni, schiacciati tra le mire politiche e militari di vecchie ideologie nazionaliste riassumibili nei concetti di “Grande Serbia” e “Grande Croazia”. Il caso della Bosnia richiama però molto anche quanto dichiarato da Putin nel discorso che ha spianato la strada ai carri armati russi: l’Ucraina non sarebbe uno stato, gli ucraini non sarebbero una nazione e la statualità ucraina sarebbe finzione e frutto della politica russa. Un’argomentazione, falsa, che serve gli scopi bellici allo stesso modo di come il nazionalismo gran-serbo negò l’identità bosniaca, nonché la possibilità di una Bosnia-Erzegovina indipendente. Una narrazione, politicamente forzata, ancora presente nei circoli nazionalisti. Quando i popoli della Jugoslavia furono portati alle armi, dunque, le contrapposte mobilitazioni militari venivano da anni di manipolazioni narrative e strumentalizzazioni storiche che contribuirono a rendere particolarmente efferati i primi mesi di guerra.
Infine, ciò che i due conflitti condividono ampiamente, relativamente al bagaglio retorico di guerra, è il ricorso alle categorie della Seconda guerra mondiale. Le giustificazioni di Mosca oggi, come quelle di Belgrado ieri, si sono concentrate nel presentare il nemico con la definizione di “nazista”. La propaganda russa sostiene di voler “denazificare” Kiev, ovvero di volerla liberare, facendo quindi ampio ricorso alla mitologia sovietica, di cui Putin oggi si vorrebbe porre in continuazione storica, nonché all’eroismo della “Grande guerra patriottica” che mise fine agli assedi nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Similmente, croati e serbi impiegarono opposte identificazioni la cui matrice è propria del periodo dell’occupazione nazifascista del Regno di Jugoslavia. Nel 1991 i croati vennero etichettati come “ustascia”, ovvero i collaborazionisti fascisti, e il loro indipendentismo venne inteso come il progetto di ricreare una Nezavisna Drzava Hrvatska, cioè lo stato fantoccio che tra il 1941 e il 1945 comprendeva anche l’odierna Bosnia-Erzegovina. Viceversa, i serbi vennero identificati come “cetnici”, riprendendo il nome delle truppe fedeli alla monarchia serba che collaborarono con gli occupatori. Va detto che talvolta sono state le stesse autorità di Belgrado e di Zagabria a ripescare volontariamente simbologie e terminologie della Seconda guerra mondiale, riabilitando personaggi e reinterpretando episodi storici alla luce della guerra degli anni Novanta per consolidare la propria legittimazione politica.
Quanto all’attuale confrontazione tra Ucraina e Russia, una simile strumentalizzazione della storia potrà essere analizzata meglio al termine del conflitto o in una sua fase più avanzata. Anche se, pure qui dal 2013 alcuni processi di riabilitazione di personaggi controversi nonché la rivisitazione di certi episodi storici hanno contribuito ad alimentare i due contrapposti armamentari retorici.


Un mondo diverso, ri-NATO

Nel 1991, le relazioni internazionali stavano vivendo una stagione di rapidi sconvolgimenti e riforme. La divisione dei blocchi era appena finita e l’Unione Sovietica cessava di esistere. Il trattato di Maastricht, un anno dopo, pose le basi dell’odierna Unione Europea. L’Occidente per come lo conosciamo oggi era agli albori. Soprattutto, la NATO iniziava a interrogarsi sulla propria ragion d’essere. La fine della Guerra fredda l’aveva privata dell’elemento di contrapposizione: la Federazione russa, negli anni Novanta, aveva perso l’aura di potenza globale dell’epoca sovietica, le aperture al capitalismo e la successiva crisi economica ne limitarono l’attivismo sul fronte internazionale e la distensione dei rapporti con gli USA agevolò, almeno su alcuni dossier, uno spirito di collaborazione piuttosto che di competizione. La crisi jugoslava offrì all’Alleanza la possibilità di indagare la propria identità, anche trascendendo la dottrina del difensivismo. Nei dieci anni successivi alla fine dell’URSS, tutte le missioni NATO si sono concentrate nell’ex Jugoslavia. Missioni che dimostrarono sia una rinnovata capacità militare, specie nel settembre del 1995, quando furono colpite le postazioni serbo-bosniache ponendo fine agli attacchi alle zone protette dell’ONU, sia i suoi eccessi “umanitari”, capaci di prevaricare sul diritto internazionale, come quando nel 1999 decise, senza l’avallo ONU, di bombardare la Serbia e il Montenegro per porre fine alla guerra in Kosovo.
La guerra in corso ha invece risvegliato dal torpore diplomatico l’Alleanza, di cui in tempi non sospetti in Europa si dichiarò persino la “morte cerebrale”. La differenza principale con la guerra in Jugoslavia sta però nel fatto che l’attuale crisi ha ricompattato il fronte occidentale, riassestando l’asse transatlantico e proponendo un’inedita coesione a livello UE, che all’unanimità ha subito adottato sanzioni contro il regime di Putin e ha chiuso lo spazio aereo a tutti i velivoli russi. Quando scoppiò la crisi jugoslava, invece, gli USA e la costituenda UE furono incapaci sia di coordinare una reazione comune che scongiurasse la guerra, sia di agire in modo compatto nelle sue prime fasi. In particolare, l’Unione si divise sulle tipologie di intervento: con Berlino che appoggiò subito le istanze indipendentiste slovena e croata, mentre Parigi e Roma furono inizialmente più caute, o comunque più disposte a sentire anche le ragioni di Slobodan Milosevic. Alcune delle decisioni generate da queste contrapposizioni furono in parte contraddittorie, come quella di estendere l’embargo sulle armi a tutto il territorio della Jugoslavia, impedendo quindi anche a Sarajevo la possibilità di equipaggiare il proprio esercito. Oggi, al contrario, si discute della possibilità di armare gli aggrediti invece che di embarghi, proprio perché la natura di guerra di aggressione è – al netto della propaganda russa – innegabile.
Infine, è interessante notare che l’Occidente ritrova compattezza anche a discapito delle conseguenze economiche ed energetiche che, invece, nel caso jugoslavo, mancarono del tutto, non essendo stata la Jugoslavia così essenziale per i rapporti commerciali né per le riforniture di energia come lo è invece stata la Russia fino ad oggi.

In conclusione, le due guerre sono di natura diversa ed avvengono in momenti storici del tutto differenti, con mutati rapporti di forza geopolitica. Tuttavia, quella che prima del 24 febbraio era effettivamente l’ultima guerra combattuta in Europa può offrire la possibilità di comprendere meglio quella in corso, se non altro nell’analisi delle sue interpretazioni politiche, nonché per lo squilibrio di forze che, almeno in Unione Europea, rende nuovamente attuale il dibattito sulla necessità di una difesa comune.




Bombardamenti della Serbia 1995 e 1999
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 143&t=2996

L'EU-USA-NATO bombardarono la Serbia due volte, perché in "buona fede" fu ritenuta il male, prima a difesa dei bosniaci e poi dei kosovari giudicati vittime di un tentativo di genocidio di massa da parte dei carnefici serbi. Non fu certo bombardata per soggiogarla e conquistarla.
La Serbia dal 2012 è candidata a far parte della UE ma non vuole entrare nella NATO perché filo russa.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:00 am

Nessun confronto possibile tra le guerre nazifasciste, imperialiste e suprematiste della Russia di Putin con le guerre dell'Occidente, degli USA e della NATO dopo la Seconda guerra mondiale

Le azioni militari, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, con invasione di un esercito internazionale e con bombardamenti aerei o navali, intraprese dall'Occidente USA e NATO o da coalizioni di paesi occidentali, in Asia e in Africa, sono state fatte prevalentemente su mandato ONU (e in taluni casi anche quando non è stato possibile il mandato ONU per il veto della Russia o della Cina), queste azioni non sono mai state fatte per predare territori e risorse altri, per schiavizzare popolazioni e sterminare etnie.
Sono sempre state fatte a sostegno dei popoli oppressi, delle minoranze a rischio di pulizia etnica e genocidio (vedasi il caso del bombardamento della Serbia a difesa dei bosniaci e dei kosovari),
contro dittatori criminali e terroristici e i loro regimi canaglia, con gran dispendio di risorse economiche dei cittadini e dei contribuente occidentali, attenuate solo in parte da successive compensazioni dei paesi che hanno tratto beneficio da queste azioni a loro favore (vedasi i casi dell'Afganistan, della Somalia, dell'Iraq, della Libia).
La Russia invece ha sempre intrapreso le sue iniziative militari, contro la volontà internazionale e l'ONU (come oggi nel caso dell'Ucraina), per predare territori, risorse e sovranità politica, per impedire la libertà e l'indipendenza delle popolazioni e dei paesi, per l'imperialismo e il suprematismo nazifascista russo della Grande Russia di Putin, compiendo atroci crimini contro l'umanità, il diritto internazionale e crimini di guerra.
Non vi è alcun possibile paragone tra le azioni militari dell'Occidente e del Mondo Libero e quelle della Russia nazifascista di Putin.



MASSIMO GILETTI PRESO A SBERLE DALLA MAESTRA (non gli è venuto in mente, magari neanche lo sapeva)
Hannah Alina Avraam
6 giugno 2022

https://www.facebook.com/hannah.alina.a ... 6068298743

Ieri sera ho assistito ad uno spettacolo indecoroso e potente insieme. Massimo Giletti è stato strapazzato come un bambino delle elementari dalla sua maestra, che gli ha impartito una poderosa lezione di storia in diretta televisiva.
Il grande scoop di Giletti doveva essere una intervista in diretta con Maria Zakharova, la portavoce del ministro degli esteri Lavrov.
Per fare questa intervista Giletti è andato addirittura personalmente a Mosca, nonostante l’ intervista si sia volta via skype, con la Zakharova comodamente seduta a casa sua (avrei potuto farla io, identica, seduto a casa mia). Ma a parte la messinscena inutile, è nei contenuti che Giletti ci ha fatto la figura del merlo.
Prima di intervistare la Zakharova, infatti, Giletti era in collegamento con Massimo Cacciari, e durante lo scambio Giletti ha accennato alle polemiche che hanno preceduto questa sua intervista, dicendo che però secondo lui “il giornalista ha tutto il diritto di intervistare chi vuole, purchè ponga all’intervistato delle domande scomode, e non gli offra una semplice passerella per fare propaganda.”
Ma dal dire al fare… Giletti non conosce il mare.
Non appena iniziata l’intervista, infatti, si è capito che tipo di interlocutrice avesse davanti. Una donna con le idee chiare, ferma e impassibile, che rimandava seccamente al mittente ogni singola accusa, con tanto di interessi.
All’accusa di “aver illegittimamente invaso un paese sovrano”, Zakharova ha risposto che “anche voi della Nato avete fatto la stessa cosa con l’Iraq”.
All’accusa di “essersi allargati troppo intervenendo in Siria”, Zakharova ha risposto che loro erano intervenuti su legittima richiesta del capo di stato, Assad. E ha inoltre aggiunto che “quando la Russia ha proposto alle Nazioni Unite di combattere tutti insieme le bande dell’ISIS, è stata l’Unione Europea a dire di no e mettersi di traverso”.
All’accusa di aver operato una sanguinosa repressione in Cecenia, Zakharova ha risposto che è stato l’occidente a sobillare quelle rivolte.
Insomma, non se ne usciva: ad ogni servizio tagliato del dilettante Giletti, il master Djokovic rispondeva con un dritto vincente.
A quel punto Giletti ha cambiato strategia. Ha fatto un passo indietro, e ha tentato la carta dell’emozione: “Va bene, ok, tutti abbiamo fatto errori nel passato – ha ammesso - però adesso mettiamoci una pietra sopra, trattiamo e poniamo fine a questa guerra, perchè la gente sta morendo”.
E qui è arrivata la valanga di sberle sulla testa del nostro importuno scolaretto: “Così parlano i bambini – ha detto la Zakharova – Nel mondo degli adulti, la prima cosa che bisogna fare per capire le cose è guardare alla storia. Dove eravate voi italiani, quando otto anni fa gli americani hanno messo in atto un colpo di stato a Kiev, installando al potere il governo fascista di Poroshenko? Dove eravate, quando per otto anni il governo di Kiev ha bombardato incessantemente i suoi concittadini del Donbass?”
“Ma soprattutto - ha ricordato la Zakharova – lei viene adesso a parlarmi di trattare e di metterci d’accordo. Ma sono otto anni che Putin chiede all’Occidente di mettersi d’accordo sulla questione della Nato e degli equilibri internazionali. Ma voi in Occidente avete fatto tutti finta di niente, e adesso cercate di dare la colpa a noi per quello che succede?”
“Infine - è stata la sberla finale della Zakharova – voi occidentali dovete smetterla una volta tutte con questa vostra aria di superiorità intellettuale, come se foste voi quelli che hanno il diritto di impartire lezioni morali a tutti gli altri.”
Ci mancava soltanto un “vergogna Giletti, fila dietro alla lavagna” e la lezione sarebbe stata completata.
Povera Italia, rappresentata all’estero personaggi inconsistenti e impreparati come Giletti. Povera Italia, incapace di crescere, incapace di diventare adulta, incapace di uscire dalla sua ottica provinciale, incapace di assumersi una volta per tutte le proprie responsabilità con il resto del mondo.
Lasciando così mano libera a chi ci comanda, a chi ci controlla, a chi ci tratta serenamente come schiavi da oltre settant’anni.
Massimo Mazzucco



QUELLO CHE GILETTI NON HA DETTO
Faccio seguito all'ignobile figuraccia (epic fail) che Massimo Giletti ha rimediato dalla Piazza Rossa, collegato con una portavoce tetragona che ha utilizzato tutto l'armamentario dell'FSB (ex KGB) per una operazione di DISINFORMAZIA brillantemente riuscita causa l'imbelle passività del "BAMBINO" Massimo.

https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6871962:83

Riprendo qui le 3 FAKE sganciate dalla portavoce di Lavrov per replicare con dati di fatto documentati.
Maria Zakharova: "Anche voi della Nato avete fatto la stessa cosa con l’Iraq”.
Replica: La Guerra in Iraq venne promossa da 4 paesi: USA, Regno Unito, Australia, Polonia.
Quindi Maria Zakharova La NATO non c'entra una cippa❗
Non esiste nessun atto o risoluzione NATO che riguardi l'invasione dell'Iraq avvenuta tra il 20 marzo e il 1º maggio 2003. Altri paesi sono stati coinvolti successivamente nella fase di occupazione. L'invasione segnò l'inizio della guerra in Iraq.
Secondo l'allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, le ragioni dell'invasione erano
1 di disarmare l'Iraq dalle armi di distruzione di massa
2 porre fine al sostegno di Saddam Hussein al terrorismo e
3 raggiungere la "libertà" per il popolo iracheno
È vero...Le armi chimiche non furono mai trovate, peccato che si ometta di specificare che il materiale per produrle in sicurezza venne reperito nell'impianto di al-Muthanna, che si trova nei pressi della citta' di Samarra, sulla riva est del Tigri, circa 100 chilometri a nord dalla capitale Baghdad... La tecnologia e gli impianti erano serigrafati con istruzioni in cirillico, ma la notizia venne diffusa solo nel 2014 quando i ribelli sunniti lo occuparono L'impianto era in funzione tra il 1983 e il 1991, quando produceva migliaia di tonnellate di gas nervino, iprite (gas mostarda), Sarin, Tabun e VX.
L'invasione dell'Iraq causò una divisione politica tra le grandi potenze, che furono divise tra quelle che si opposero attivamente all'invasione, come Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi, Scandinavia (oltre ad altri paesi che mostrarono opposizione passiva), e quelli sostennero pubblicamente gli Stati Uniti, come il Regno Unito, la Spagna, la Polonia, il Portogallo e altre nazioni che costituirono la coalizione.
Le Nazioni Unite non approvarono l'invasione dell'Iraq, tuttavia nell'ottobre dello stesso anno dell'invasione, nella propria risoluzione 1511, agli Stati membri fu raccomandato di fornire alla forza multinazionale presente in Iraq tutta l'assistenza necessaria, compresa quella militare.
ZAK: "Siamo intervenuti su legittima richiesta del capo di stato, Assad”.
Replica:
Ehi ZAK ma funziona così ?
Assad chiama e picciotto risponde ?
Facciamo un discorso serio e vediamo cosa ha portato il Cremlino ad immergersi militarmente nel calderone siriano il 30 settembre 2015.
Il fenomeno delle “Primavere Arabe”, avvenute nel 2011, fu visto con forte senso apprensione da parte del Cremlino. La destabilizzazione di un’area così vasta era molto pericolosa per Mosca. In un famoso articolo pubblicato nel 2013 su VPK, il generale Gerasimov aveva descritto questi eventi come operazioni di regime-change occidentali che avrebbe ridotto la propria influenza nella regione. Il Cremlino, vantava storici legami con il regime guidato da Bashar al-Assad. A livello militare, negli anni Settanta l’URSS aveva ottenuto il permesso di stabilire due installazioni belliche sul territorio siriano: l'unica base nel Mediterraneo, quella di Tartus, sfruttata principalmente come punto logistico di rifornimento per la flotta sovietica ed una base aerea a Latakia. Gli armamenti sovietici erano stati fondamentali per permettere all'esercito Siriano di equipaggiarsi nuovamente dopo le pesanti sconfitte subite ad opera di Israele nel 1967 e nel 1973. Il Cremlino decise di supportare fin da subito il regime di Assad. A livello diplomatico, la Russia riuscì ad evitare in tre occasioni che l’Occidente intervenisse per esautorare il governo siriano colpevole di una atroce repressione verso il suo popolo, ricorrendo al proprio diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e bloccando qualunque risoluzione in tal senso. Ma il maggiore sforzo diplomatico operato dal Cremlino avvenne nell’agosto del 2013, quando l’Occidente accusò il regime di Damasco di essere responsabile di un attacco chimico nei confronti della popolazione siriana. L'attacco chimico di Ghūṭa accadde nella mattina del 21 agosto 2013 durante la guerra civile siriana in cui alcune aree controllate dai ribelli nei sobborghi orientali e meridionali di Damasco, furono colpite da 12 missili contenenti l'agente chimico sarin.
Il numero complessivo di morti è stato fissato in 1290. Il più grave episodio verificatosi dall'attacco chimico di Halabja, durante la guerra Iran-Iraq, ma in quella occasione morirono soldati e non civili inermi. Le indagini svolte dalle Nazioni Unite dal 25 al 31 agosto 2013 rilevarono chiare tracce di gas sarin nel terreno e sui cadaveri nelle zone colpite e accerta che la tipologia di gas era quella contenuto nei depositi siriani, di fabbricazione russa. Gli armamenti chimici e l'avviamento della produzione erano stati forniti proprio dai partner russi.
In termini di assistenza militare, Mosca cominciò a rifornire Damasco a partire dal 2012, quando sembrò evidente che l’esercito siriano stesse perdendo terreno rispetto alle opposizioni. Se inizialmente i russi inviarono essenzialmente armi leggere e munizioni, ben presto, per sostenere lo sforzo bellico di Assad, furono costretti a rifornire i siriani con armamenti più avanzati (droni ed elicotteri). La regolarità di tali rifornimenti fece sì che si parlasse di “Syrian Express” in riferimento ai convogli navali che facevano la spola tra la Russia ed il Paese mediorientale.
Mosca, poi, supportò il regime anche a livello economico, in particolare tramite la coniazione di banconote siriane che venivano convogliate all’interno della nazione al fine di sostenerne le spese belliche.
ZAK: "È stato l'occidente ad armare e sobillare i musulmani ceceni"
Replica: Qui si butta la palla in tribuna cara ZAK che fai finta di non conoscere la storia del tuo paese
L'ostilità cecena nei confronti dei sovietici e dei russi, ha radici culturali profonde, la sintesi perfetta di secoli di conflitti, conquiste e imposizioni. Tuttavia, la regione, che si è spaccata e ricomposta in molte circostanze della storia, ha raccolto i pezzi delle sue diverse identità e li ha sempre rimessi insieme. Si è separata, è stata dominata e, infine, ha cercato la sua indipendenza, maturando un forte sentimento anti-russo, che resiste ancora.
La Cecenia è stata teatro di guerra, luogo di lotta, di reclutamento e di pluralità religiosa. Qui vivono musulmani sunniti e cristiani ortodossi. Da qui, migliaia di persone sono state deportate e confinate in Siberia alla fine degli anni Cinquanta. E, sempre qui sono scoppiate le ultime due guerre contro la Russia, che hanno lasciato il segno.
La prima guerra cecena, combattuta dal 1994 al 1996, terminò con la dichiarazione d’indipendenza della regione dalla Russia e la nascita della Repubblica cecena d’Ičkeria. Il conflitto iniziò nel 1994, quando le forze federali russe cercarono di prendere il controllo delle varie aree montuose della regione. In quella circostanza, nonostante la maggioranza di uomini e la superiorità schiacciante in termini di armamenti, l’esercito russo venne respinto dalla guerriglia cecena e dai raid condotti in pianura. Fu un conflitto sanguinoso, difficile e lungo, che avvilì i soldati e che non fu mai del accettato dall’opinione pubblica. Morirono in 16000, tra militari russi, civili e guerriglieri. E rimasero città smembrate e rovine fumanti.
La seconda guerra cecena, invece, (quella di Putin) fu molto più lunga e subdola, tra il 1999 e il 2009. Ebbe un esito diverso per i russi e vide scontrarsi l’esercito della Federazione contro i separatisti mossi da 80 anni di soprusi e repressioni indicibili
Nel 1922 la Cecenia venne incorporata all’Unione Sovietica, ma gran parte degli accordi che Mosca aveva preso con la Repubblica delle Montagne non venne rispettata. Già dall’anno successivo i tribunali islamici vennero chiusi, diversi leader locali furono posti agli arresti e si aggiunse il divieto di portare il kinzal, il pugnale simbolo dei popoli di quella regione.
Nel 1929 la popolazione di Cecenia, Daghestan e di altre repubbliche vicine scelse di ribellarsi al dominio sovietico, fatto che costrinse Mosca a fare un passo indietro e a moderare le sue ingerenze. Il 25 dicembre del 1936 venne istituita la Repubblica socialista sovietica autonoma della Ceceno-Inguscezia, che aveva il suo centro amministrativo a Groznyj.
L’anno dopo, l’avvio delle purghe staliniane cambiò il profilo sociale della regione: in Cecenia, le persecuzioni decapitarono l’élite culturale e soffocarono l’identità islamica: le moschee vennero distrutte o riconvertite in granai (così come accadde a molti luoghi di culto cristiani) e la sola conoscenza della lingua araba poteva essere motivo di detenzione. Inoltre, furono diversi i tentativi di introdurre l’allevamento di suini nell’area, a sfregio della dottrina musulmana.
All’inizio del 1944, il governo sovietico avviò l’operazione čečevica, che prevedeva la deportazione dell’intero popolo ceceno entro una settimana: il 23 febbraio di quell’anno, con il pretesto di festeggiare il 26° anniversario della fondazione dell’Armata rossa, in tutti i villaggi fu radunata la popolazione e venne letto il comunicato del Comitato governativo di difesa, che annunciava il trasferimento dei cittadini. Più di un milione di ceceni, ingusci e altri popoli caucasici settentrionali furono mandati in Siberia e in Asia centrale, stipati in treni merci, senza cibo o acqua. La motivazione ufficiale era l’accusa di aver collaborato e appoggiato l’invasione della Germania nazista, ma il motivo reale era la PULIZIA ETNICA. La politica staliniana schiacciò l’identità cecena, trasformandola, di fatto, in una “non entità”.
Solo nel 1956, la condanna degli eccessi dello stalinismo al XX° Congresso del Pcus riabilitò e fece tornare in patria i cosiddetti “popoli puniti“ tra cui c'erano (Ohibò) anche gli Ucraini, vittime di analoga deportazione.
Nel 1957, grazie all’intervento di Nikita Cruščev, la re-istituzione della Repubblica Ceceno-Inguscezia aveva permesso l’immediato rientro nella regione dei cittadini ceceni deportati. Ma negli anni della loro assenza, la composizione etnica dell’area era profondamente mutata. Gli ingusci trovarono una parte consistente dei propri territori occupati da popolazioni di etnia osseta, i quali si rifiutarono di lasciarli (uno degli elementi ricorrenti nei conflitti degli anni Novanta). Per riavere case e terra furono costretti a ricomprarle. Molti di loro, per essere maggiormente controllati, vennero inviati dalle autorità sovietiche a vivere in pianura e la crescente tensione fra popolazione russa e cecena nella regione portò comprensibilmente a un aumento dei crimini violenti.
I russi lasciarono le campagne e si trasferirono in massa a Groznyj, dove potevano fornire le competenze tecniche necessarie alla nascente industria. Il fenomeno contribuì alla marginalizzazione della popolazione cecena rispetto al mercato del lavoro nelle aree in via di sviluppo: i giovani, in particolare, vennero completamente tagliati fuori, fatto che contribuì a radicalizzarli e a incasellarli nelle dinamiche più violente del separatismo.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel dicembre del 1991, la Russia divenne una nazione indipendente, percepita come lo Stato successore dell’URSS (anche se perse la maggior parte della sua forza militare e, soprattutto, economica). E mentre l’etnia russa componeva più del 70% della popolazione della Repubblica socialista sovietica federata russa, alla caduta di questo sistema le differenze etniche e religiose in molte regioni dell’ex orbita sovietica costituirono una minaccia per l’integrità politica del nuovo Stato. E fu proprio poco prima del crollo, all’inizio del 1990, che le diversità etniche ruppero con il governo federale.
Il 6 settembre del 1991, alcuni militanti del partito del Congresso nazionale del popolo ceceno, creato dall’ex generale sovietico, Džokhar Dudaev, convocarono una sessione del Soviet supremo (con l’obiettivo di dichiarare l’indipendenza della regione) e uccisero a Groznyj il rappresentante del partito comunista dell’Unione Sovietica, tramite defenestrazione. Poi linciarono altri membri del partito e ufficialmente dissolsero il governo della Repubblica autonoma dell’Unione Sovietica Ceceno-Inguscia. A ottobre dello stesso anno, Dudaev ottenne il sostegno popolare con largo margine (82%) e spodestò l’amministrazione ad interim appoggiata dal governo federale. Presa la carica presidenziale, decretò l’indipendenza dall’URSS e, dopo qualche settimana, l’allora presidente russo in carica, Boris El’cin, inviò truppe corrazzate a Groznyj, costrette a ritirarsi dalle forze di Dudaev.
Dopo che la Cecenia pronunciò l’iniziale dichiarazione di sovranità, nel giugno del 1992, la Repubblica autonoma Ceceno-Inguscia si divise in due. La Repubblica dell’Inguscezia, in seguito, confluì all’interno della Federazione russa, mentre la Cecenia dichiarò la sua piena indipendenza nel 1993 (con il nome, appunto, di Repubblica cecena di Ičkeria).
Direi quindi carissima ZAC, che la rivolta cecena possegga intrinsecamente tutti i crismi per essere definita una lotta di popolo !
Continuare con la BUFALA delle interferenze occidentali offende l'intelligenza e la conoscenza della Storia !


Alberto Pento
Certo, ma questa fu la seconda guerra all'Iraq che non ebbe all'inizio l'approvazione dell'ONU ma nemmeno la condanna, iniziativa bellica che poi l'ONU sostenne:
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_in_Iraq

La prima guerra all'Iraq invece che fece seguito all'invasione del Kuwait da parte di Saddam, fu svolta sotto l'egida dell'ONU e determinò l'atteggiamento successivo di ostilità, di buona parte del mondo verso l'Iraq del dittatore Saddam come stato canaglia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Golfo
Questo precedente bellico non va trascurato per inquadrare il contesto storico delle cose e delle relazioni internazionali del caso Iraq.
Parte dei paesi europei che inizialmente si opposero alle ostilità all'Iraq si opposero poi al rigetto degli accordi sul nucleare iraniano da parte di Trump e di Israele, in particolare la Germania e il Belgio.

Poi non vanno dimenticate le stragi etniche dei curdi da parte di Saddam, a cominciare da questa:
https://www.notiziegeopolitiche.net/ven ... ila-curdi/
L'Iraq di Saddam Hussein non era certo un paese civile e democratico esemplare ma un paese canaglia, stragista e terrorista.
E quelle degli occidentali non furono guerre condotte per la predazione di territori e di risorse o per imporre il loro dominio imperialista e coloniale.



Guerra dell'Occidente alla Serbia nazifascista di Milosevic

Bombardamento della Bosnia serba e poi della Serbia
Risoluzione ONU n. 836 del 1995 e n. 1199/98

La Bosnia serba fu bombardata nel 1995 dalle forze UE NATO, per porre fine al genocidio dei bosniaci da parte dei serbi della Bosnia e della Serbia e su mandato ONU con il veto della Russia (Risoluzione n. 836 delle Nazioni Unite https://it.wikipedia.org/wiki/Operazion ... rate_Force)
Poi vi fu il bombardamento della Serbia per il Kosovo nel 1999
L'operazione Allied Force è la seconda azione militare nella storia della NATO, a seguito di Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle nazioni unite n. 1199/98 per il cessate il fuoco, dopo l'operazione Deliberate Force del 1995 in Bosnia ed Erzegovina.
https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Allied_Force
L'operazione Allied Force (in italiano "Forza Alleata") è stata la campagna di attacchi aerei portata avanti dalla NATO per oltre due mesi contro la Repubblica Federale di Jugoslavia di Slobodan Milošević, con l'intento di ricondurre la delegazione serba al tavolo delle trattative, che aveva abbandonato dopo averne accettato le conclusioni politiche, e di contrastare l'operazione di spostamento della popolazione del Kosovo allo scopo di predisporre una sua spartizione tra Serbia e Albania. L'esistenza di un piano predisposto a tale scopo non è mai stata provata con sufficiente certezza, ma resta un fatto che appena iniziarono le incursioni aeree NATO l'esercito serbo iniziò operazioni volte a ottenere esodi massicci e compì in taluni casi dei veri massacri.

Guerra al regime libico di Gheddafi

Risoluzione ONU n. 1973

La prima guerra civile in Libia ha avuto luogo tra il febbraio e l'ottobre del 2011 e ha visto opposte le forze lealiste di Muʿammar Gheddafi e quelle dei rivoltosi, riunite nel Consiglio nazionale di transizione.
https://it.wikipedia.org/wiki/Prima_gue ... e_in_Libia
Il paese, dopo aver vissuto una prima fase di insurrezione popolare (anche nota come rivoluzione del 17 febbraio),[32] sull'onda della cosiddetta primavera araba (e specialmente dei coevi eventi relativi: la rivoluzione tunisina del 2010-2011 e quella egiziana), ha conosciuto in poche settimane lo sbocco della rivolta in conflitto civile.[33] La sommossa libica, in particolare, è stata innescata dal desiderio di rinnovamento politico contro il regime ultraquarantennale della "guida" della "Giamahiria" (in arabo Ǧamāhīriyya) Muʿammar Gheddafi, salito al potere il 1º settembre 1969 dopo un colpo di Stato che condusse alla caduta della monarchia filo-occidentale del re Idris.
Dopo quasi un mese di scontro il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso, con la risoluzione 1973, di istituire una zona d'interdizione al volo sulla Libia a protezione della popolazione civile, legittimando l'intervento militare ad opera di diversi paesi avviato il 19 marzo 2011.

La seconda guerra civile in Libia anno 2014
Nessun intervento militare da parte dell'Occidente
La seconda guerra civile in Libia[24][25] è un conflitto armato scoppiato in Libia nel 2014 tra due coalizioni e due governi rivali: da una parte il governo basato nella città orientale di Tobruch e sostenuto dalla Camera dei rappresentanti e dall'operazione Dignità del generale Haftar; dall'altra parte il governo internazionalmente riconosciuto basato nella capitale Tripoli e sostenuto dal Nuovo Congresso nazionale generale e dalla coalizione di Alba Libica.
https://it.wikipedia.org/wiki/Seconda_g ... e_in_Libia


Guerra al regime iracheno di Saddam Hussein

Risoluzione ONU Iraq

Guerra all'Iraq
Prima guerra all'Iraq del 1990 risoluzione ONU n.660 e 661
A poche ore dall'invasione del 2 agosto 1990, la popolazione del Kuwait e le delegazioni statunitensi richiesero la convocazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che aveva approvato la risoluzione 660, dove veniva condannata l'invasione e veniva richiesto il ritiro delle truppe irachene. Il 6 agosto, la risoluzione 661 approvò delle sanzioni economiche contro lo Stato iracheno.
Seconda guerra all'Iraq dal 2003/2011, risoluzione n 1483/2003
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 22 maggio 2003 approvò la Risoluzione n. 1483 con la quale sollecitava la Comunità Internazionale a contribuire alla stabilità ed alla sicurezza del Paese iracheno.

La prima guerra all'Iraq invece che fece seguito all'invasione del Kuwait da parte di Saddam, fu svolta sotto l'egida dell'ONU e determinò l'atteggiamento successivo di ostilità, di buona parte del mondo verso l'Iraq del dittatore Saddam come stato canaglia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Golfo
Questo precedente bellico non va trascurato per inquadrare il contesto storico delle cose e delle relazioni internazionali del caso Iraq.
Parte dei paesi europei che inizialmente si opposero alle ostilità all'Iraq si opposero poi al rigetto degli accordi sul nucleare iraniano da parte di Trump e di Israele, in particolare la Germania e il Belgio.

La guerra in Iraq (o seconda guerra del Golfo) è stato un conflitto bellico iniziato il 20 marzo 2003 con l'invasione dell'Iraq da parte di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d'America, e terminato il 18 dicembre 2011 col passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità irachene insediate dall'esercito americano su delega governativa statunitense.
Seconda guerra all'Iraq che non ebbe all'inizio l'approvazione dell'ONU ma nemmeno la condanna, poi l'iniziativa bellica ottenne il sostegno ONU
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_in_Iraq
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 22 maggio 2003 approvò la Risoluzione n. 1483 con la quale sollecitava la Comunità Internazionale a contribuire alla stabilità ed alla sicurezza del Paese iracheno.

Non vanno dimenticate le stragi etniche dei curdi da parte di Saddam, a cominciare da questa:
https://www.notiziegeopolitiche.net/ven ... ila-curdi/
L'Iraq di Saddam Hussein non era certo un paese civile e democratico esemplare ma un paese canaglia, stragista e terrorista.
E quelle degli occidentali non furono guerre condotte per la predazione di territori e di risorse o per imporre il loro dominio imperialista e coloniale.


Guerra civile siriana
A causa della posizione strategica della Siria, dei suoi legami internazionali e del perdurare della guerra civile, la crisi ha coinvolto i paesi confinanti e gran parte della comunità internazionale.
In ambito ONU si è verificata una profonda spaccatura tra Stati Uniti, Francia e Regno Unito, che hanno espresso sostegno ai ribelli, e Cina e Russia, che invece sostengono il governo siriano sia in ambito diplomatico sia in quello militare.
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_siriana

La guerra civile siriana (in arabo: الحرب الأهلية السورية‎, al-Ḥarb al-ahliyya al-sūriyya), detta anche rivoluzione siriana (in arabo: الثورة السورية‎, al-thawra al-sūriyya) o crisi siriana, ha avuto inizio nel 2011 in Siria vedendo contrapposti una coalizione eterogenea di milizie armate definite ribelli dalla stampa occidentale e le forze governative supportanti il governo di Bashar al-Assad.

Il 15 marzo 2011 sono iniziate le manifestazioni pubbliche e pacifiche in tutto il paese contro il governo, parte del contesto più ampio della primavera araba.

Le proteste iniziali hanno l'obiettivo di spingere alle dimissioni il presidente Bashar al-Assad ed eliminare la struttura istituzionale monopartitica del Partito Ba'th. Con il radicalizzarsi degli scontri si aggiunge con sempre maggiore forza una componente estremista di stampo salafita che, anche grazie agli aiuti di alcune nazioni sunnite del Golfo Persico, si pensa possa avere raggiunto il 75% della totalità dei "ribelli" antigovernativi.[64] Tali gruppi fondamentalisti hanno come principale obiettivo l'instaurazione della Shari'a in Siria.[65][66]

A causa della posizione strategica della Siria, dei suoi legami internazionali e del perdurare della guerra civile, la crisi ha coinvolto i paesi confinanti e gran parte della comunità internazionale.

Gli organi dirigenti del Partito Ba'th e lo stesso presidente appartengono alla comunità religiosa alawita, una branca dello sciismo che è tuttavia minoritaria in Siria, e per questo motivo l'Iran sciita è intervenuto a protezione del governo siriano: combattenti iraniani sono presenti a fianco delle forze armate siriane per mantenere al potere il governo alleato.[67][68][69] Il fronte governativo è inoltre sostenuto da combattenti sciiti provenienti da altri paesi, fra cui l'Iraq e l'Afghanistan.[70][71] Il fronte dei ribelli è sostenuto principalmente dalla Turchia[72] e dai paesi sunniti del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Qatar che mirano a contrastare la presenza sciita in Medio Oriente.[73][74][75][76] In ambito ONU si è verificata una profonda spaccatura tra Stati Uniti, Francia e Regno Unito, che hanno espresso sostegno ai ribelli,[77] e Cina e Russia, che invece sostengono il governo siriano sia in ambito diplomatico sia in quello militare.[78][79]
La delicata composizione religiosa ed etnica dei siriani[80] si è fortemente riflessa negli schieramenti in campo. Sebbene le prime manifestazioni antigovernative fossero di tipo laico e avessero coinvolto tutte le principali città del paese, incluse quelle a maggioranza alawita come Latakia,[81] il perdurare della crisi ha polarizzato gli schieramenti portando la componente sciita a sostenere il governo insieme a gran parte delle minoranze religiose, che hanno goduto della protezione del governo laico del Partito Ba'th.[82][83] Il fronte dei ribelli rimane composto prevalentemente da sunniti, i quali però non costituiscono un blocco compatto: parte della popolazione sunnita continua a sostenere il governo[84] e sono sunniti alcuni membri dell'esecutivo e buona parte dell'esercito.[85][86][87] Le stragi perpetrate dalle componenti fondamentaliste dei ribelli nei confronti delle minoranze religiose in Siria[88][89][90] hanno portato le Nazioni Unite a definire la guerra civile come un «conflitto di natura settaria».[91]
Le organizzazioni internazionali hanno accusato le forze governative e i miliziani Shabiha di usare i civili come scudi umani, di puntare intenzionalmente le armi su di loro, di adottare la tattica della terra bruciata e di eseguire omicidi di massa; i ribelli antigovernativi sono stati accusati di violazioni dei diritti umani tra cui torture, sequestri, detenzioni illecite ed esecuzioni di soldati e civili.[92][93]
L'accezione "guerra civile" per descrivere il conflitto in atto è stata usata il 15 luglio 2012 dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, che ha definito la crisi siriana un « conflitto armato non internazionale».


Guerra russa in Siria
La Russia ha sostenuto l'amministrazione del presidente della Siria in carica Bashar al-Assad sin dall'inizio del conflitto siriano nel 2011: politicamente, con aiuti militari e (dal settembre 2015) attraverso la missione in Siria (Russo: Миссия в Сирии Missiya v Sirii) con intervento militare diretto. Il dispiegamento del 2015 in Siria segnò il primo caso, dopo la fine della Guerra Fredda nel 1991, in cui la Russia entrò in un conflitto armato fuori dei confini appartenuti all'Unione sovietica.[1]
https://it.wikipedia.org/wiki/Ruolo_del ... le_siriana
Dall'ottobre 2011 la Russia, come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, pose ripetutamente il veto alle proposte di risoluzione, sostenute dal mondo occidentale, al Consiglio stesso, che chiedevano le dimissioni del presidente siriano Bashar al-Assad e che aprivano la possibilità di sanzioni delle Nazioni Unite contro il suo governo.[2][3] I vertici politici russi respingono le richieste delle potenze occidentali e dei loro alleati arabi intese ad escludere Bashar-al-Assad dalla partecipazione alla composizione del conflitto siriano.[4][5][6] Tra gennaio e febbraio 2012 il consiglio nazionale siriano[7] di opposizione e le potenze occidentali[8] rigettarono le iniziative di pace russe.



Cosa sta succedendo in Siria: il conflitto e la situazione oggi
Save the Children Italia
20 Febbraio 2022

https://www.savethechildren.it/blog-not ... zione-oggi

Nel marzo 2011 il governo siriano, guidato dal Presidente Bashar al-Assad, ha assistito ad una serie di proteste senza precedenti, a favore della democrazia nel Paese. I manifestanti chiedevano la fine del regime di Assad, che nel 2000 ha preso il posto del padre, Hafiz al Assad, in carica dal 1971. Per reprimere le manifestazioni, le autorità hanno fatto ampio uso di forze di polizia e militari, cercando di arginare con violenza le proteste.

Da anni la Siria è in uno stato di grave crisi. Anche tu puoi sostenere il nostro intervento a favore dei bambini siriani. Dona ora.

Quando e perché è iniziata la guerra in Siria

Sebbene sia impossibile individuare quando la rivolta si sia trasformata da un movimento di protesta prevalentemente pacifico in una ribellione militarizzata, gli scontri armati sono diventati sempre più comuni e nel settembre 2011 le milizie ribelli organizzate erano regolarmente impegnate in combattimenti con le truppe governative nelle città intorno alla Siria.

A fine 2019, nel nord-ovest del Paese si è verificato un aumento delle violenze, terminato con un cessate il fuoco voluto a febbraio 2020, mentre attacchi aerei, bombardamenti e combattimenti a terra si sono intensificati nelle aree oltre le linee di conflitto nord-occidentali, portando all'uccisione di centinaia di civili e allo sfollamento di più di 850.000 persone e impedendo la fornitura di aiuti umanitari a Hama settentrionale, Idlib meridionale e Aleppo occidentale.

La crisi in Siria è ormai giunta al suo undicesimo anno e, in molte zone, i bisogni umanitari sono ancora elevatissimi. Nel 2020 i rapporti di forza sono cambiati ed il governo siriano che ha consolidato il controllo su vaste aree di territorio tra cui Homs, Ghouta orientale, Damasco meridionale e Daraa, mentre la situazione per i civili rimane estremamente instabile. Sono in corso conflitti e sfollamenti nei governatorati settentrionali, con il rischio di ulteriori escalation e insicurezza nel resto del Paese.

Guerra in Siria: la situazione oggi

Il conflitto ha causato centinaia di migliaia di morti, sfollamenti di massa e distruzione di infrastrutture civili.

La forte recessione dell’economia siriana, la svalutazione, l’aumento dei prezzi, il tasso di disoccupazione elevato hanno portato ad un grande aumento dell’insicurezza alimentare, che ad agosto 2021, ultimo dato disponibile, colpisce 12.8 milioni di persone[1]. La pandemia ha ulteriormente aggravato la situazione del paese, aumentando il tasso di disoccupazione, con appena il 2% della popolazione completamente vaccinata contro il COVID-19 e il paese che registra il più alto numero di casi settimanali dalla fine di ottobre 2021, colpendo un sistema sanitario già fragile[2].

Le infrastrutture civili e i servizi pubblici, tra cui l'approvvigionamento idrico, l'elettricità, scuole e sanità sono state fortemente impattate dal conflitto, il 42% della popolazione fa affidamento su fonti d’acqua non sicure. I campi per sfollati nel paese presentano condizioni di vita inadeguate, senza accesso a ripari, acqua potabile, cibo, assistenza sanitaria e psicologica adeguata[4].

Il conflitto ha devastato la vita di una generazione di bambini che conoscono solo la guerra.

Siamo presenti in Siria fin dall’inizio della crisi umanitaria e non ci fermiamo. Se vuoi, anche tu puoi aiutarci in questa emergenza con una donazione. Anche un piccolo aiuto è importante. Ti ringraziamo fin da subito per il contribuito che vorrai dare.

La situazione delle bambine e dei bambini siriani

Oltre 11 anni di conflitto in Siria hanno colpito più duramente coloro che sono meno responsabili: i bambini e le bambine. Si stima che quasi 12.000 bambini e bambine siano stati uccisi o feriti [3] in questo arco temporale, e attualmente il 90% dei minori in Siria necessita di assistenza umanitaria. Oltre 1.300 strutture sanitarie ed educative, incluse le scuole, sono state direttamente oggetto di attacchi.

Il conflitto inoltre ha avuto un impatto drammatico sul benessere fisico, mentale, emotivo e psicosociale dei minori. Milioni di bambine e bambini in Siria vivono nella paura quotidiana che bombardamenti aerei possano distruggere le loro case e uccidere i loro cari; hanno paura di non poter più andare a scuola, sono spaventati perché non sanno se riusciranno ad avere un pasto fisso, hanno paura perché potrebbero essere separati dalla propria famiglia in qualsiasi momento.

Attualmente sono 3,5 milioni i bambini e le bambine che non vanno a scuola, di cui il 40% sono ragazze, ostacolando gravemente il loro potenziale di sviluppo e mettendone molti a rischio di violenza e sfruttamento[4]. Molti ragazzi (dai 7 anni in su) vengono reclutati in gruppi armati, mentre chi riesce a sfuggire alle milizie è obbligato a lavorare, alcuni sono impegnati in negozi o garage, altri in lavori occasionali come la vendita di merci per strada o porta a porta. Spesso si tratta di bambini e bambine provenienti dalle case più povere, o che hanno perso uno o entrambi i genitori.

Per supportare il nostro intervento in Siria puoi aiutarci con una donazione. Grazie per ciò che farai.

Abbiamo inoltre lanciato una serie di podcast dal titolo “Children of War” per alzare la voce sulle guerre di ieri e di oggi. Nella seconda puntata andremo in Siria, insieme ad Amal, una bimba che a soli 10 anni è dovuta fuggire e lasciarsi indietro tutto a causa del conflitto.

Donne e bambine in Siria: violenza di genere

Gli oltre 10 anni di conflitto in Siria hanno notevolmente esacerbato le disuguaglianze di genere e aumentato i rischi di violenze contro donne e ragazze all'interno e all'esterno del paese. Norme socio-culturali normalizzano la violenza di genere, e impattano fortemente il benessere di donne e bambine e ne erodono i diritti [5].

Tante donne e ragazze siriane subiscono GBV (Gender Based Violence – Violenza di Genere), tra cui: matrimoni precoci, molestie e violenze sessuali, abusi emotivi, psicologici e fisici, negazione di risorse economiche. I matrimoni precoci, nel difficile contesto del conflitto, sono una strategia finanziare per far fronte alla crisi economica, ed al contempo una misura di “sicurezza” per proteggere le ragazze da altre violenze sessuali.

Il silenzio rimane il meccanismo di reazione più comune tra le sopravvissute alle violenze. Quelle che hanno avuto accesso a servizi di supporto confermano quanto questi siano positivi nel restaurare la propria salute psico-fisica.[6].

Il nostro intervento in Siria per proteggere i bambini

Dall'inizio della crisi stiamo lavorando instancabilmente per raggiungere i bambini e le bambine più vulnerabili rimasti/e all'interno della Siria.

Abbiamo sostenuto 3.8 milioni di persone*, di cui 2,4 milioni di bambini e bambine, fornendo assistenza sanitaria, accesso ai servizi igienici e acqua pulita, supporto nutrizionale, sostegno psicosociale, accesso all'istruzione per i minori e accesso degli adulti a un reddito sostenibile.

Nello specifico:

Supportiamo 18 spazi mamma-bambino, 7 centri di vaccinazione, 6 centri per la salute riproduttiva e una clinica di maternità.
Sosteniamo tra 90 strutture educative e di formazione professionale.
Operiamo in 17 tra Spazi a Misura di Bambino, Centri di assistenza alternativa, Centri di assistenza comunitaria e Centri per i giovani.
Forniamo supporto psicosociale e gestiamo i casi di minori emarginati e vulnerabili, compresi quelli non accompagnati e separati, riunificandoli con i genitori quando possibile.
Distribuiamo kit con materiali essenziali e aiuti alimentari.

Leggi tutti gli articoli sul tema dei bambini in emergenza.

*Ultimo aggiornamento disponibile.

[1] [2] OCHA, Global Humanitarian Overview.

[3] ][4] Syria war: Average of one child injured or killed every eight hours over past 10 years - UNICEF

[5] [6] Humanitarian response Syria
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:00 am

.
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La criminale "operazione speciale" del Cremlino nazifascista

Messaggioda Berto » dom mag 22, 2022 8:02 am

c)
Risoluzioni ONU contro l'aggressione russa dell'Ucraina;
invece le guerre dell'Occidente, degli USA e della NATO dopo la Seconda guerra mondiale hanno tutte un mandato internazionale ONU pieno o parziale (parziale laddove la Russia e la Cina hanno posto il veto), ma nessuna ha avuto la condanna internazionale ONU.




Il Donbass e la Crimea sono parte dell'Ucraina e non della Russia
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1613077124
Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non dei russi e della Russia
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 143&t=3000
https://www.facebook.com/profile.php?id=100078666805876

7)
Nessun genocidio di russofoni russofili nel Donbass ucraino ad opera degli ucraini, la Corte Internazionale condanna la Russia di Putin e il nazifascista Putin per crimini contro l'umanità.
Putin si era inventato un presunto genocidio dei russofili incorso nel Donbass da parte degli ucraini per giustificare l'intervento armato in Ucraina



Guerra Ucraina, in arrivo decisione Corte giustizia su ricorso contro Russia
La decisione mercoledì
14 marzo 2022
https://www.adnkronos.com/guerra-ucrain ... OXRp223HKR
Guerra Ucraina-Russia, la Corte di Giustizia internazionale (massimo organismo giuridico dell'Onu per le dispute tra Stati) annuncerà la sua decisione sul ricorso presentato da Kiev per imporre misure contro Mosca che accusa falsamente l'Ucraina di genocidio per giustificare la sua invasione. "Mercoledì 16 marzo la Corte emetterà un ordine sulla richiesta dell'Ucraina" si legge in un comunicato della Corte che ha sede all'Aja alla quale Kie ha chiesto "una decisione urgente che ordini alla Russia di mettere fine alle attività militari" negando nel modo più assoluto le accuse di genocidio. "La Russia non ha nessuna base legale per prendere misure contro l'Ucraina con il proposito di evitare nessun presunto genocidio" in Donbass, recita il ricorso del governo ucraino.


Onu, la CIG ordina alla Russia di “sospendere immediatamente” la guerra
La Voce di New York
16 marzo 2022

https://www.lavocedinewyork.com/onu/202 ... la-guerra/

Con 13 voti a favore e 2 contrari – quelli del vicepresidente russo Kirill Gevorgian e del cinese Xue Hanqin – la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha stabilito che la Russia “deve sospendere immediatamente le operazioni militari che ha iniziato il 24 febbraio” in Ucraina.

La sentenza – primo verdetto del genere emesso dalla “corte ONU” dall’inizio dell’invasione russa – è in risposta a una causa presentata dall’Ucraina alla fine dello scorso mese, che incolpa la Russia di manipolare il concetto di genocidio per giustificare la sua aggressione militare.

La tempistica non è casuale: giovedì, infatti, il Governo di Mosca presenterà una risoluzione umanitaria al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, giustificando il suo intervento militare in Ucraina proprio sulla base del presunto genocidio ucraino contro le popolazioni russofone del Donbass. La mossa della CIG va quindi letta anche come una maniera di ‘mettere le mani avanti’ rispetto all’interpretazione del diritto internazionale fornita da Mosca.

Ciò premesso, malgrado i verdetti della Corte internazionale di giustizia siano pienamente vincolanti, c’è più di qualche dubbio che Mosca rispetterà la sentenza, dal momento che il tribunale dell’Aja non ha mezzi diretti per farli rispettare.

Il caso

La Corte ha esordito ricordando che il 26 febbraio l’Ucraina ha presentato un ricorso contro la Russia per “una controversia” sull’interpretazione, applicazione e adempimento della Convenzione sul genocidio del 1948.

L’Ucraina sostiene che la Russia, avendo falsamente evidenziato atti di genocidio contro la popolazione delle regioni di Luhans’k e Doneck, avesse dichiarato e attuato una “operazione militare speciale” per prevenire e punire i presunti atti.

La CIG ha chiesto a Mosca di sospendere immediatamente i suoi attacchi e cessare tutte le operazioni militari in quanto basate sullo scopo dichiarato dal Cremlino di prevenire o punire Kyiv per aver commesso un genocidio.

La Corte ha anche sottolineato come la Russia avesse deciso di non partecipare al procedimento orale e, successivamente, avesse presentato un documento con la propria posizione, secondo cui la Corte non avrebbe giurisdizione, e chiedendole di “astenersi dall’indicare misure provvisorie e di rimuovere il caso dalla sua agenda”.


Le condizioni

Nel pronunciare il verdetto, il presidente – lo statunitense Joan E. Donoghue – ha sottolineato che sono state soddisfatte le condizioni necessarie per dare alla CIG l’autorità di indicare misure provvisorie, vale a dire che i diritti rivendicati dall’Ucraina sono plausibili; il genocidio non è stato commesso; e la condizione di urgenza è stata soddisfatta in quanto danni irreparabili possono “verificarsi in qualsiasi momento”.

“In effetti, qualsiasi operazione militare, in particolare una della scala realizzata dalla Federazione Russa sul territorio dell’Ucraina, provoca inevitabilmente la perdita di vite umane, danni mentali e fisici, e danni alla proprietà e all’ambiente”, ha riferito il presidente della CIG.

Per conto della Corte ONU, ha continuato, “la popolazione civile colpita dall’attuale conflitto è estremamente vulnerabile”, aggiungendo che l’aggressione della Russia ha provocato “numerosi morti e feriti civili (…), danni materiali significativi, compresa la distruzione di edifici e infrastrutture”.

“Gli attacchi sono in corso e stanno creando condizioni di vita sempre più difficili per la popolazione civile. Molte persone non hanno accesso agli alimenti più elementari, all’acqua potabile, all’elettricità, alle medicine essenziali o al riscaldamento. Un numero molto elevato di persone tenta di fuggire dalle città più colpite in condizioni di estrema insicurezza”, ha spiegato.

I giudici sono stati peraltro unanimi nell’ordinare che entrambe le parti si astengano da qualsiasi azione che possa “aggravare o estendere la controversia (…) o renderla più difficile da risolvere”.



La Corte Internazionale di Giustizia dell'Onu ordina alla Russia di fermare la guerra

Paolo Busco e Filippo Fontanelli
17 marzo 2022

https://www.corriere.it/esteri/22_marzo ... f215.shtml

La decisione del tribunale delle Nazioni Unite è una vittoria per il governo di Kiev. Rigettate le accuse di Mosca sul genocidio della popolazione del Donbass

La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha ordinato ieri alla Russia di sospendere immediatamente le «operazioni militari» iniziate in Ucraina, con 13 voti favorevoli e 2 contrari (da parte dei giudici russo e cinese). L’ordine è stato adottato in via urgente, nell’attesa di una decisione definitiva nel merito del giudizio che l’Ucraina ha introdotto contro la Russia all’Aja lo scorso 26 febbraio. Qual è la portata della decisione odierna, e in cosa consiste di preciso il caso instaurato dall’Ucraina davanti alla Corte?

Disputa fra Stati

Il ricorso dell’Ucraina contro la Russia verte sulla interpretazione e applicazione della Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio del 1948. Non è la prima volta che la Convenzione è oggetto di una disputa fra Stati davanti alla Corte: per esempio, la Convenzione è stata invocata dalla Bosnia contro la Serbia e il Montenegro negli anni ’90, nel contesto della guerra di Balcani; più di recente, dal Gambia contro Myanmar rispetto alla situazione della minoranza Rohingya. Se confrontato con questi casi, e con le ordinarie dinamiche fra Stato attore e Stato convenuto in una disputa internazionale, il caso introdotto dall’Ucraina è inusuale.

La questione del Donbass

L’Ucraina non accusa la Russia di aver compiuto atti di genocidio nei confronti della popolazione ucraina durante la guerra in corso. Al contrario, chiede alla Corte di confermare che la stessa Ucraina non ha commesso atti di genocidio contro la popolazione russofona del Donbass; inoltre, e in ogni caso, che la risposta armata russa sarebbe comunque illegittima, poiché la repressione di un eventuale genocidio potrebbe avvenire solo con i mezzi previsti dalla Convenzione, che non contempla l’uso unilaterale della forza. Come noto, invece, il Cremlino giustifica l’invasione proprio sulla base della necessità di fermare un asserito genocidio perpetrato dall’Ucraina nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk. L’idea di fondo della richiesta dell’Ucraina è in sostanza la seguente: la Russia ha usato la Convenzione sul genocidio per fini impropri e in mala fede; l’uso unilaterale della forza sarebbe vietato anche laddove si stesse davvero consumando un genocidio e dunque è tanto più vietato quando l’accusa di genocidio è pretestuosa. Si tratta di un caso non «lineare», viste le circostanze. Perché l’Ucraina non ha più semplicemente chiesto di accertare direttamente l’illiceità dell’aggressione armata russa, invocando il diritto internazionale e la Carta ONU, oppure di dichiarare che la Russia sta commettendo un genocidio ai danni della popolazione ucraina nel contesto delle ostilità?

La Convenzione sul genocidio

Sul primo punto, la spiegazione è che la competenza della Corte si basa sul consenso delle parti. Perciò, uno Stato può convenirne un altro in giudizio per accertare la commissione di un illecito internazionale solo se quest’ultimo accetta la giurisdizione della Corte sulla materia della controversia. La Russia non si è assoggettata alla giurisdizione della Corte su qualsiasi questione, ma lo ha fatto sulle questioni trattate dalla Convenzione sul genocidio, quando ha deciso di diventarne parte nel 1954. Per questo motivo, per adire la Corte, l’Ucraina ha dovuto formulare un ricorso inusuale, costretto dall’aggancio indispensabile all’argomento del genocidio. Sul secondo punto, la risposta è che, almeno per il momento, un’accusa diretta di genocidio alla Russia avrebbe avuto poche chances di successo davanti alla Corte.

Crimini di guerra e crimini contro l’umanità

Il crimine di genocidio ha difatti una definizione tecnica, il cui elemento centrale è la volontà soggettiva di annientare un gruppo (etnico, religioso, ma anche nazionale) in quanto tale, per le sue specifiche caratteristiche. I crimini di guerra e i crimini contro l’umanità non costituiscono genocidio, se non è data prova di questo specifico intento. La difesa dell’Ucraina può aver ritenuto strategicamente più opportuno, almeno per il momento, concentrare gli sforzi su obiettivi più limitati, ma più realistici da ottenere. Passando ora alla decisione di ieri, è evidente che la strategia dell’Ucraina, pur con le limitazioni di cui si è detto, mirava ad alcuni obiettivi concreti, tutti centrati.

Gli obiettivi

Primo, l’introduzione del giudizio ha permesso all’Ucraina di chiedere e ottenere un ordine diretto di cessazione delle ostilità da parte della massima istanza giudiziaria internazionale, in meno di tre settimane dall’attacco russo. Secondo, la Corte ha indicato che le tesi dell’Ucraina sono quanto meno plausibili (fermi restando gli approfondimenti che la Corte dovrà fare in seguito) tanto rispetto al fatto che nel Dombass non sia in atto un genocidio della popolazione russofona; quanto rispetto al fatto che l’uso della forza unilaterale sia in ogni caso vietato. Questi passaggi fondamentali smascherano la povertà delle dichiarazioni russe sulla necessità e legalità dell’intervento armato. Da ultimo, non si può escludere che ora che il caso è incardinato, l’Ucraina valuti di ampliare l’oggetto della domanda, e introdurre accuse ulteriori di violazione diretta da parte della Russia delle disposizioni centrali della Convenzione contro il genocidio, ove emergano elementi in tal senso. È difficile immaginare che le misure ordinate ieri saranno rispettate; ma la decisione è importante soprattutto per un aspetto: perché non è assunta da un organo le cui decisioni sono sorrette da valutazioni politiche, ma da una corte, per sua natura terza ed imparziale. Nella propaganda che inevitabilmente accompagna ogni guerra, una parola obiettiva come quella pronunciata ieri è quanto mai importante.
(Paolo Busco è avvocato internazionalista presso lo studio Twenty Essex di Londra; Filippo Fontanelli è docente di diritto internazionale alle Università di Edimburgo e LUISS di Roma).


La verità è proprio il contrario,
con la guerra civile in Donbass istigata, fomentata e finanziata dal suprematismo imperialista russo del nazifascista e falso cristiano Putin, teso a ricostruire la Grande Russia zarista e sovietica è iniziata la pulizia etnica e il genocidio degli ucraini non filorussi.




Vorrei chiarire le informazioni su questo conflitto e riferire il numero reale di vittime da entrambe le parti basati sui dati ONU:
20 marzo 2022
https://www.facebook.com/luciano.donder ... 8951419483

La Federazione Russa, guidata da Putin, si è posta l'obiettivo di riportare i paesi indipendenti nello stato dell'ex Unione Sovietica. Il primo colpo è arrivato in Ucraina!
Preistoria.
Nel dicembre 2005 è stata fondata l'organizzazione regionale di Donetsk "Repubblica di Donetsk", che ha condotto una campagna per la dichiarazione di indipendenza del Donbass dall'Ucraina, come la Transnistria.
Le prime foto con l'attuale bandiera DNR sono state scattate in Russia al Forum Seliger nel 2013.

Fatti:
1. La guerra nel Donbass è stata iniziata dalle truppe russe che hanno invaso il territorio del Donbass ucraino nell'aprile 2014 (dopo che la Federazione Russa si è impadronita della Crimea).
Per creare un'immagine della "guerra civile", la Russia ha organizzato una "rivolta popolare" nel Donbass, che, come si è scoperto, si stava preparando da diversi anni.
Sono iniziate le manifestazioni per la separazione del Donbass. Funzionari russi e media hanno definito il nuovo governo ucraino una "giunta" e hanno definito il cambio di governo un "colpo di stato". Secondo le statistiche, il sostegno ai separatisti era solo del 30%, ma la Russia ha fornito loro leader e armi.
(Nota: la Russia non ha riconosciuto il suo coinvolgimento nella guerra in quel momento. Ma ci sono ampie prove della presenza di soldati russi senza identificazione e equipaggiamento militare russo. Tutte le prove sono state raccolte e saranno trasmesse all'Aia)

2. Le forze filoucraine si sono riunite a Donetsk per una grande marcia pacifica di molte migliaia di partecipanti.La marcia è stata brutalmente attaccata da gruppi di "manifestanti" filorussi e militanti che sono stati portati in autobus dalla Russia (Rostov). Un giovane attivista è stato ucciso e molti partecipanti sono rimasti gravemente feriti.
Altri due attivisti delle forze patriottiche ucraine, Volodymyr Rybak e Yuriy Popravka, sono stati brutalmente uccisi a Horlivka. Successivamente, sono continuate le brutali uccisioni e torture di patrioti nelle camere di tortura allestite nelle stazioni di polizia e nei locali delle scuole.

3. In maggio si è tenuto un "referendum" espresso sotto le armi della "milizia" su moduli ordinari stampati su una stampante, i cui risultati sono stati annunciati quasi immediatamente. Fu proclamata la Repubblica popolare di Donetsk e immediatamente fece appello a Putin per inviare le sue truppe.
(Nota: la Repubblica popolare di Luhansk è stata organizzata in parallelo secondo lo stesso schema.)

4. Sono iniziati gli scontri di combattimento tra i distaccamenti DNR-LNR e la Guardia nazionale ucraina, che hanno cessato molto rapidamente di essere una normale operazione antiterrorismo. Dopotutto, dalla parte delle autoproclamate "repubbliche" c'erano "volontari" russi, armati con equipaggiamento e armi dell'esercito regolare russo. Le forze armate ucraine non hanno potuto entrare in vigore perché non c'era un'invasione russa formale.
(Nota: "volontari" anonimi in uniforme senza insegne hanno sparato mortai e lanciagranate contro quartieri residenziali e ospedali, cercando di incolpare le truppe ucraine.)
- Il 24 maggio, il DNR ha avanzato rivendicazioni territoriali all'Ucraina in altre regioni meridionali e orientali: Odessa, Mykolaiv, Kherson, Zaporizhia, Dnipropetrovsk e Kharkiv.L'obiettivo era ovvio: impadronirsi di parte dell'Ucraina per unire la Crimea alla Russia.
- Nel frattempo, il presidente Poroshenko si è impegnato urgentemente nel ripristino della capacità di combattimento delle forze armate. Il processo è stato lungo e complicato, la maggior parte delle armi e dell'equipaggiamento militare era in cattivo stato, è stato necessario organizzare riparazioni, attrezzature, ripristinare scorte di munizioni, carburante, pezzi di ricambio, servizi medici e ingegneristici.
- I "militanti" della Federazione Russa hanno effettuato molte provocazioni, sparando contro i civili dalle postazioni ucraine nella speranza che la popolazione locale li sostenesse.
- Ci sono stati bombardamenti di massa di posizioni ucraine dal territorio della Russia. Quando le truppe ucraine occuparono la città di Ilovaisk, un gran numero di truppe russe entrò nelle loro retrovie e le circondò. Putin ha promesso alle truppe ucraine un'uscita libera dall'accerchiamento senza armi. Nel processo di partenza, quasi disarmati, sono stati brutalmente fucilati.
- Le pesanti perdite hanno costretto l'Ucraina ad andare ai difficili accordi conclusi a Minsk, che hanno permesso di congelare virtualmente il conflitto. I combattimenti non si sono fermati, ma il numero delle vittime è diminuito in modo significativo.

STATISTICHE
(dati ONU dal 14 aprile 2014 al 31 gennaio 2021)
Secondo le stime dell'UNHCR, il numero totale di vittime legate al conflitto in Ucraina (dal 14 aprile 2014 al 31 gennaio 2021) è 13100-13300.
Di loro:
- 3.375 civili
- 4.150 militari ucraini
- 5.700 membri di gruppi armati



Le menzogne sul Donbass, dove fu il genocidio?
Giovanni Catelli
22 Aprile 2022

https://www.eastjournal.net/archives/125348

È il caso di rispondere una volta per tutte alle menzogne che vengono ogni volta sostenute dai governanti russi per giustificare l’aggressione all’Ucraina: parlano ogni volta di un fantomatico genocidio, anche di donne e bambini, che si sarebbe svolto in questi anni nel Donbass; benissimo, ci dicano dove e quando sarebbe avvenuto questo “genocidio” e ci mostrino le prove: con la potenza della loro ossessiva disinformazione, i russi avrebbero ricoperto di denunce i media anche per la morte di un singolo piccione, nel Donbass da loro occupato con le armi nel 2014. Dei famigerati 14mila morti nel Donbass si dimentica di dire chi sono, cioè per circa un terzo militari e paramilitari ucraini, per un terzo paramilitari russofili e soldati russi, e per l’ultimo terzo civili – di lingua ucraina e russa, indistintamente. Dov’è il genocidio?

La verità conclamata è che nel Donbass non sarebbe avvenuta nessuna guerra, se non l’avesse portata con le armi e i suoi mercenari la Russia. Possiamo ripetere qui il giudizio del grande giornalista Luke Harding: “Senza la Russia, nel 2014 non ci sarebbe stata nessuna guerra. Indubbiamente ci sarebbero state le tensioni tra il governo centrale di Kiev e le sue regioni orientali a maggioranza russa: una disputa politica su autonomia, devoluzione del potere, molteplici fallimenti dello stato ucraino e status della lingua russa, ma l’Ucraina non sarebbe caduta nel caos”. Ancora Harding: “Putin scatenò una guerra in Ucraina orientale, per quanto combattuta di nascosto, con soldati camuffati e agenti clandestini. Il conflitto che gravò sull’Ucraina nel 2014 non era, come affermò Mosca, una guerra civile. Si trattava in realtà di qualcosa di artificiale, una specie di Frankenstein creato a tavolino dal governo russo e portato alla vita dal brutale shock della forza militare e dell’invasione. Il GRU ebbe in questo un ruolo cruciale.”

Ora, a tutti i propagandisti che ripetono come pappagalli le vuote formule della disinformazione russa sarebbe il caso di chiedere prova di quanto affermano. Non è sufficiente enunciare formule gradite ai tanti neneisti solo per alzare l’audience con risse da pollaio.

Sono morti i poveri coscritti ucraini mandati a difendere il paese, con scarsi mezzi, contro soldati e mercenari professionisti. I 14mila morti ufficiali hanno un volto e un nome (qui il report delle Nazioni Unite), e sono morti a causa dei bombardamenti e del tiro indiscriminato che il territorio ucraino subisce da anni.

La responsabilità di questa tragedia ricade, oltre che sull’aggressore russo, che mandò interi autobus di mercenari capeggiati da Igor Girkin, sugli uomini fedeli all’ex presidente Yanukovich, vero ras della regione: la polizia a lui fedele non mosse un dito per fermare le proteste inscenate dalla Russia. Anche l’oligarca Rinat Akhmetov avrebbe potuto fermare gli scalmanati inviati e sobillati dalla Russia ma non volle farlo. Esistono di questo centinaia di testimonianze e decine di studi

Gli ammiratori di queste repubbliche del malaffare, che le hanno variamente confuse con dei paradisi di libertà, di socialismo, di difesa della tradizione, di opposizione all’atlantismo, non si sono mai recati personalmente ad ammirare i paradisi che tanto difendono. Se lo avessero fatto, avrebbero compreso la portata delle menzogne che con falsa autorità fanno circolare nel dibattito come dati di fatto.


Tags Donbass genocidio Giovanni Catelli
Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.



Come la propaganda russa distorce i numeri

Forza Ucraina
18 aprile 2021

https://www.forzaucraina.it/index.php/2 ... -i-numeri/

Ho scritto questo testo il 31 marzo, ma credo che sia attuale ancora.

Mi chiamo Tetyana, sono nata e cresciuta a Mariupol, città martire di questa agghiacciante guerra.

Mia madre di 77 anni è ancora lì, sotto i bombardamenti e in condizioni disumane insieme a tante altre persone che non possono abbandonare la città.

Erano venti giorni che non avevo nessuna notizia da lei e quando mi ha chiamato mi ha detto solo due parole “Sono viva”. Sono felice, ma non so quando potrò risentire queste parole e ancora meno quando la potrò abbracciare.

Così ho iniziato il mio piccolo discorso in piazza Duomo prima che cominciasse la trasmissione sul grande schermo della maratona televisiva per raccogliere i fondi per l’Ucraina.

Poi ho parlato della dignità e identità storica e culturale ucraine che il regime putiniano cerca di sterminare con la guerra assurda e agghiacciante.

Ho ringraziato sia gli italiani che la comunità internazionale in Italia che tutto questo tempo ci stanno vicini e ci supportano.

Durante Telethon mi si è avvicinata una giornalista, presentandosi come giornalista di Mediaset, mi ha detto che la mia testimonianza l’aveva colpita e vorrebbe chiamarmi per darmi la possibilità di far sentire la mia voce su questa guerra in tv, un mezzo potente per raggiungere e informare gli italiani.

Nonostante la mia opinione sul programma che lei rappresenta, la giornalista mi è sembrata davvero in gamba e le ho dato il mio numero e ci siamo sentite il giorno seguente.

Si trattava del programma “Diritto e rovescio”.

Prima mi ha chiesto dei dettagli e come vivo io la guerra, dicendo che sarebbe stato utile portare questo punto di vista così diverso dalle solite narrazioni.

Le ho spiegato che tutti quelli “specialisti” che vengono a parlare del Donbas non hanno la minima idea di che si tratti. Forse alcuni (pochi) di loro hanno visto la piantina delle regioni amministrative prima del 2014, ancora meno conoscono cosa succedeva davvero durante tutti questi anni dopo la rivoluzione della Dignità, l’annessione della Crimea e l’occupazione dei territori del Donbas, spacciato per guerra civile.

Le ho spiegato che dopo l’annessione della Crimea (coperto con un “foglio di fico” del “referendum”), Putin ha iniziato il suo progetto di collegamento via terra con la Crimea, ma è stato fermato dalla resistenza ucraina, a volte davvero improvvisata e praticamente a mani nude. I momenti peggiori sono stati proprio quelli del 2014/15/16. Poi con gli accordi di Minsk la situazione è diventata meno violenta, ma sempre tesa e portava vittime ogni giorno.

Nel programma dove mi invitava la giovane giornalista, ho visto spesso che gli invitati “ucraini” con “punto di vista diverso” parlano, o direi meglio, rinfacciano agli ucraini le 14.000 vittime nel Donbas, causati dall’Ucraina, e mi ha proposto di dire “la mia”.

Le ho risposto, che non ho da dire nulla, perché è assolutamente vero che la guerra nel Donbas ha portato 14000 vittime. Ma attenzione, Donbas (intendo tutto il Donbas) è Ucraina, e solo una piccola sua parte è stata occupata ed è tenuta sotto il controllo combinato dei separatisti e militari/mercenari della Federazione Russa, ai quali sono state fornite le armi in modo illimitato dalla Federazione Russa in tutti questi anni, che la propaganda putiniana nascondeva dietro le parole “guerra civile” e che all’inizio del 2014-2015 arrivavano anche con i camion son la segnaletica di “aiuti umanitari per il Donbas”

I “narratori” che accusano Ucraina usano il numero delle vittime e cambiano la realtà, chiamando Donbas solo il territorio occupato, “dimenticando” le vere dimensioni del Donbas e che nel numero delle vittime ci sono anche i militari ucraini e i civili che vivevano nelle loro case, quando è arrivato nel 2014 il primo assaggio del “mondo russo”.

Le fake news sono fatte proprio così: ti sparano un numero vero e una regione vera, ma girano l’informazione dall’altra parte, rovesciandola completamente e tu, con la verità dei fatti, devi rincorrerli sempre, proponendo le letture o i fatti un po’ più complesse rispetto all’urlatina televisiva, che nessuno va a controllare.

Ancora nel 2019 ho scritto insieme a Natalia Krestovska, PhD in scienze storiche e dottore in giurisprudenza, che attualmente lavora presso “Odessa Maritime Academy”, “Odessa Law Academy”e International Humanitarian University, “La breve storia dell’Ucraina”, che è stata pubblicata come allegato nel report sull’immigrazione femminile a Milano: “Il caso delle donne ucraine e romene.” dell’Associazione Interessi Metropolitane, elaborato in collaborazione con l’università di Biccocca, in cui abbiamo parlato delle vittime del Donbas, dei 14000 morti e i migliaia di persone sfollate, fuggite dalla guerra. Oggi spesso si parla del Donbas proprio con i “fatti” forniti dalle “fabbriche dei troll” della propaganda del regime di Putin, che gli ospiti televisivi citano per esprimere il loro sostengono al regime putiniano nella “operazione speciale”.

Ho ribadito alla giornalista che è inutile andare in televisione e discutere che 2 più 2 fa 4. Non ho niente da dire a quelli che sostengono che 2+2 fa 5.

Il prossimo punto che ho voluto approfondire era il “fatto” che Ucraina ha abbandonato i suoi cittadini sui territori occupati.

La questione è sempre sollevata dagli ospiti favorevoli all’invasione. Loro raccontano “storie dei loro amici” o amici degli amici che a loro volta parlano “dell’orrore e delle repressioni”

Io ho i parenti nel Donbas. Sono parenti stretti, direi strettissimi.

Lo so perfettamente che gli abitanti del Donbas avevano e potevano ricevere la loro pensione ucraina, ovviamente dovevano uscire sul territorio non occupato per riceverla nelle banche ucraine.

Solo durante la pandemia sono state chiuse le porte e non dall’Ucraina, ma dai governanti separatisti.

Vado a vedere le foto su Instagram di mio nipote, ormai un bell’uomo di 30 anni che durante la pandemia è diventato padre di un meraviglioso bambino, che conosco solo tramite foto e non immagino quanti anni avrà questo bimbo quando potrò vederlo, e vedo una città di Donetsk conservata e integra, nonostante i “bombardamenti” di 8 anni da parte ucraina. Lo so e trovo la conferma nelle fotografie postate da mio nipote che si poteva viaggiare ed è stato sia a Mariupol, dove abita mia madre, sua nonna, che a Kiev, Irpin’, dove abita suo papà, mio fratello.

Durante la pandemia, a porte chiuse hanno iniziato quello che avevano già praticato in Crimea, distribuzione dei passaporti della Federazione Russa agli abitanti della zona occupata del Donbas. I confini verso la Federazione Russa sono stati sempre aperti e anche i canali televisivi e la rete telefonica sono state le uniche operanti sul territorio controllato dai separatisti e militari russi.

La giornalista mi ha detto che il conduttore potrà intervenire quando vuole lui e mi può fermare in qualsiasi momento e che lei non può garantire che il mio racconto non verrà interrotto:

“Non dipende da me” mi ha detto.

“Quindi cosa mi consiglia?” ho chiesto io, – vale la pena perdere il tempo per partecipare al programma?

“Mi dispiace, perché è molto interessante quello che dice, ma forse ha ragione, non avrà tempo per spiegare, e sarà per Lei davvero una perdita di tempo”.

Ci siamo salutate e io ho pensato a una cosa semplice semplice.

Per quale motivo in questi programmi televisivi devono per forza umiliare gli spettatori italiani. Si, proprio italiani. Adesso mi spiego.

Se ci fosse un semplice fact-checker in programma che conoscendo gli ospiti mettesse qualche piantina geografica, qualche tabella che semplifica la comprensione dei fatti, come per esempio, i 14000 mila morti nel Donbas e ripeto non sono solo nei territori occupati dai separatisti e dei militari della Federazione Russa.

O le torture documentati a Donetsk delle persone che in qualche modo sostenevano Ucraina o anche delle persone neutrali, che non hanno avuto la possibilità di andare via da casa loro.

Basta un semplice fact-checking come le foto di Donetsk durante gli anni di “bombardamenti” ucraini o la semplice preparazione sugli argomenti trattati per non prendere in giro gli italiani che guardano la tv per capire, per conoscere e per informarsi, sperando che quelli che vanno in televisione, hanno non solo la “loro opinione”, ma anche fatto delle ricerche e conoscono l’argomento meglio di un “italiano medio”.

Io credo fermamente che gli show in cui sparano le assurdità e disinformazione senza scrupoli, coloro che li chiamano “democrazia” e “punto di vista” hanno la stessa responsabilità di coloro che con le armi uccidono le persone. Perché le parole devono portare chiarezza, fatti, scienza (in tutti gli ambiti).

Dopo i terrapiattisti della pandemia sono spuntati i terrapiattisti/pacifisti, esperti di guerra in Ucraina che credono in un complotto mondiale o che la pace si raggiunga disarmandosi unilateralmente, dando all’aggressore tutto quello che vuole senza nessuna resistenza.

Tetyana Bezruchenko
Cittadina italiana dal 2008, residente a Milano, nata a Mariupol, membro fondatore del Centro culturale Wikiraine, responsabile della citta di Milano e Provincia dell’associazione culturale europea italio-ucraina Maidan



Dov'è il nazismo e chi è il nazista in Ucraina e in Russia?

viewtopic.php?f=143&t=3003
Dove sta il nazismo e chi è il nazista nella questione Ucraina Russia?
Non è difficile e non ci vuole molto per capirlo.
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 1493516620


16)
Le sanzioni economico finanziarie alla Russia funzionano, come funzionano gli aiuti militari all'Ucraina, come funziona la minaccia di ritorsione nucleare che incombe sulla Russia, come pesa il rischio di un intervento diretto della NATO se Putin dovesse compiere qualche errore contro un paese NATO e nel malaugurato caso che usasse armi chimiche e batteriologiche contro l'Ucraina.



Assemblea Onu, solo cinque Paesi contro la risoluzione di condanna dell'invasione russa
5 marzo 2022

https://www.infodata.ilsole24ore.com/20 ... one-russa/

L’Assemblea dell’Onu ha approvato la risoluzione di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. Dei 193 paesi membri sono 141 i voti a favore, cinque i contrari (Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord, Siria) e 35 gli astenuti, tra cui Cina e India. Qui sotto l’esito della votazione. Significa, in sostanza, che la stragrande maggioranza dei paesi del mondo è contraria all’invasione russa dell’Ucraina.

Qui sotto invece le reazioni dopo l’attacco di lunediì notte. Statista utilizzando fonti pubbliche e Wikipedia ha realizzato questa mappa dove vengono segnalati i Paesi che si sono espressi a favore o contro. Mentre la maggior parte dei paesi in Europa e gli Stati Uniti hanno subito condannato l’ invasione russa dell’Ucraina, il quadro sembra un po’ più sfumato in Asia e Africa.

Il caso di Cina e India

Molti paesi asiatici, tra cui le potenze in via di sviluppo India e Cina, stanno tentando di rimanere neutrali nell’attuale crisi. La Cina è uno dei principali alleati della Russia. La sua posizione è piuttosto articolata: rifiuto netto delle sanzioni “unilaterali e Illegali” e necessità di abbandonare la “mentalità da Guerra Fredda. Secondo la diplomazia del continente Rosso la Nato dovrebbe “riconsiderare il proprio posizionamento e le proprie responsabilità“, e assieme all’Ue e alla Russia dovrebbe instaurare un dialogo per “costruire un meccanismo di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile”. Come riporta l’Agi citando Wang Yi, ministro degli Esteri di Pechino “la Cina, ha assicurato l’alto diplomatico, incoraggia tutti gli sforzi diplomatici e il dialogo diretto tra Russia e Ucraina, e sprona il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad avere un “ruolo costruttivo” nella risoluzione della crisi in Ucraina”. Nei fatti la Cina non ha dichiarato che sanzionerà la banca centrale russa o altri flussi finanziari.

Allo stesso modo, il primo ministro indiano Narendra Modi ha chiesto a Putin di fermare la violenza, ma non ha definito la Russia come un Paese aggressore. L’India acquista il 70 per cento delle sue armi dalla Russia, ma ha anche stretti legami con gli Stati Uniti, che vogliono stabilire il Paese come alternativa alla Cina.



L'Assemblea Generale dell'Onu sospende la Russia dal Consiglio dei diritti umani con 93 sì, 24 no e 58 astenuti.
I 24 che hanno votato "no" sono una "bella" compagnia di dittature criminali.


https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... 00x179.jpg
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... 68x458.jpg


L'Assemblea generale Onu sospende la Russia dal Consiglio dei diritti umani
RaiNews
7 aprile 2022

https://www.rainews.it/articoli/2022/04 ... 1e70c.html

L'Assemblea Generale dell'Onu ha approvato con 93 voti a favore la richiesta degli Usa e dei suoi alleati di sospendere la Russia dal Consiglio dei diritti umani di Ginevra. I voti contrari sono stati 24, le astensioni 58.

Nella bozza di risoluzione si chiede di "sospendere il diritto della Russia di far parte" del Consiglio esprimendo "grave preoccupazione per la crisi umanitaria in Ucraina, in particolare per le notizie di violazioni e abusi del diritto internazionale umanitario da parte di Mosca".

Immediata la reazione da parte della Russia: la sospensione è "illegale".

Tra i voti contrari anche quello della Cina: "Il dialogo e il negoziato sono l'unica via per uscire dalla crisi in Ucraina - ha commentato l'ambasciatore cinese all'Onu, Zhang Jun -. Ci opponiamo fermamente alla politicizzazione delle questioni relative ai diritti umani". "Questa risoluzione aggrava le divisioni tra gli Stati membri, aggiunge benzina al fuoco, e non aiuta i colloqui di pace".

E' la seconda volta che viene votata una sospensione. Il caso precedente risale al 2011: la Libia fu sospesa a causa delle violenze contro i manifestanti da parte delle forze fedeli all'allora leader Muammar Gheddafi.

Di tutt'altro tenore le parole degli Stati Uniti, che sono stati i promotori dell'iniziativa. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha detto che "un Paese che viola continuamente i diritti non può sedere in un organo che ha come compito la tutela dei diritti. Oggi è stato corretto un torto".

Oltre alla Cina, tra i contrari figurano: Siria, Corea del Nord, Iran, Cuba, Kazakistan, Bielorussia, Bolivia, Congo, Algeria, Eritrea, Etiopia, Mali, Nicaragua, Burundi, Centrafrica, Gabon, Lao, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Vietnam e Zimbabwe.

Tra i 58 astenuti tanti Paesi africani, tra cui Sudafrica, Egitto e Senegal, ma anche Pakistan, Brasile, Messico, India, Iraq e Giordania.



I cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che hanno il potere di veto dovranno giustificarne il loro uso pagando, inevitabilmente, un "prezzo politico più alto": ecco cosa è stato deciso
La decisione storica dell'Onu: adesso cambia tutto
Alessandro Ferro
27 Aprile 2022

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/lo ... 1651063431

La decisione è storica: l'Assemblea Generale dell'Onu ha stabilito che i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dovranno "giustificare" il loro uso del veto. Questi membri sono cinque: si tratta di Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito, gli unici che detengono il veto. Ebbene, adesso dovranno "pagare un prezzo politico più alto" quando lo utilizzano, ha dichiarato a France-Presse un ambasciatore che ha chiesto di restare anonimo. La nuova riforma è stata accolta con un applauso da tutti i presenti: adesso, i 193 Paesi membri saranno convocati "entro dieci giorni lavorativi dall'opposizione di uno o più membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, per tenere un dibattito sulla situazione in cui il veto è stato espresso".

"Azione va rafforzata"

Sull'argomento è intervenuto anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, il quale ha sottolineato che "se la voce delle Nazioni Unite è apparsa chiara nella denuncia e nella condanna ma, purtroppo, inefficace sul terreno, questo significa che la loro azione va rafforzata, non indebolita. Significa che iniziative, come quella promossa dal Liechtenstein e da altri 15 Paesi, per evitare la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu vanno prese in seria considerazione".

Cosa può cambiare

“Con il potere di veto viene la responsabilità di lavorare per conseguire gli obiettivi ed i principi della Carta dell’ONU, in tutti i momenti", ha affermato l’ambasciatore del Liechtenstein, Christian Wenaweser, nel momento in cui ha introdotto la sua mozione. Ma a cosa serve nel concreto questa misura? È stata pensara per ridurre il potere dei cinque Paesi membri che possono esercitare questo diritto, il veto, nel momento in cui hanno intenzione di bloccare un'iniziativa del Consiglio di Sicurezza. Sulla guerra in Ucraina, ad esempio, non c'è stato modo che si arrivasse a una risoluzione perché non c'era unità di vedute come nel caso dei massacri a Bucha, il cui Consiglio non è stato in grado di condannare l'operato dei russi. Recentemente, a tal proposito, Zelensky ha commentato la riforma dicendo che fosse necessaria “affinché il diritto di veto non si trasformi nel diritto di uccidere”.

Adesso bisogna capire l'effettiva realizzazione sul "campo", se cambierà qualcosa sullo scacchiere internazionale e sei i cinque Paesi faranno ricorso, o meno, al veto. Come spiega Lavocedinweyork, anche se la risoluzione è andata in porto senza un voto ufficiale, alcune delegazioni hanno detto che si sarebbero astenute mentre la Bielorussia si è schierata per il no. Alcuni espontenti russi, dopo l’approvazione della nuova misura, hanno espresso il desiderio di non unirsi agli altri Stati. Come ricorda Repubblica, la stessa risoluzione fu proposta più di due anni ma non vide mai la luce anche a causa del Covid.

"Non è contro la Russia"

Il piccolissimo Stato del Liechtenstein è quello da cui è partita questa iniziativa. L’ambasciatore Wenaweser ha spiegato che si “creerà una nuova procedura, ma non è contro nessuno e non è diretta alla Russia" ritentendo che si potrà rafforzare, in questo modo, il ruolo delle Nazioni Unite oltre al "multilateralismo e la voce di tutti i membri che non fanno parte del Consiglio di sicurezza".
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