Grazie America, grazie USA, grazie NATO, grazie UE

Re: Grazie America, grazie USA, grazie NATO, grazie UE

Messaggioda Berto » ven mag 06, 2022 8:22 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Grazie America, grazie USA, grazie NATO, grazie UE

Messaggioda Berto » ven mag 06, 2022 8:22 pm

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Re: Grazie America, grazie USA, grazie NATO, grazie UE

Messaggioda Berto » dom mag 15, 2022 7:16 pm

10)
Chi e perché ha paura della NATO?


La NATO è una libera e volontaria associazione militare transatlantica di stati euro americani con funzione di mutuo soccorso militare e non ha alcun scopo suprematista e imperialista.

È esattamente come la polizia di uno stato democratico o l'esercito dell'ONU.

E chi ha paura della polizia se non i delinquenti, i criminali, i mafiosi e le loro organizzazioni!

Della NATO hanno paura gli stati canaglia, gli stati nazi fascisti, suprematisti e imperialisti, gli stati predoni e criminali come la Russia di Putin.
E i loro sostenitori, i vigliacchi che temono le azioni dei criminali e che preferiscono la pace della sottomissione e della schiavitù al più prepotente e violento, gli irresponsabili e gli immorali.



ETEROGENESI DEI FINI
Niram Ferretti
12 maggio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8648466724

Difficile dare torto a Ursula von der Leyen quando afferma che la Russia: "È la minaccia più diretta" all’ordine internazionale a causa della sua invasione dell’Ucraina. "Oggi è la minaccia più diretta all’ordine mondiale con la guerra barbara contro l’Ucraina, ed ha un patto preoccupante con la Cina".
Come non proiettare su queste parole un'altra minaccia che risale a 83 anni fa e un altro patto, quello tra Germania e Russia per spartirsi le reciproche zone di influenza?
Su Il Foglio, Claudio Cerasa scrive "Putin pensava di trasformare l'Ucraina nel campo giusto per creare un nuovo ordine mondiale, quest' ordine sta nascendo, non per assecondare Putin, però, ma per combatterlo. La parata del 9 maggio mostra tutta l'impotenza russa. Oggi invece l'Ucraina rappresenta la difesa di un principio, della democrazia liberale, della nostra libertà".
E a proposito di nuovo ordine, la Finlandia dovrebbe formalizzare oggi la domanda di ingresso nella Nato. La richiesta dovrebbe essere seguita, a stretto giro, da una mossa identica da parte della Svezia. Si tratta di una rivoluzione, per gli assetti della difesa dell’Europa. I due Paesi, storicamente legati a una posizione neutrale ma da anni vicini all’Alleanza atlantica, hanno visto cambiare in modo repentino le posizioni delle rispettive opinioni pubbliche — e dei rispettivi governi e parlamenti — dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il 24 febbraio scorso.
Ieri il premier britannico Boris Johnson ha firmato due intese di cooperazione militare, promettendo l’intervento britannico a difesa delle due nazioni nordiche in caso di attacco: un impegno che include anche l’arsenale atomico, come ha ammesso implicitamente il premier, quando ha detto che prenderebbe “molto seriamente” una richiesta da parte dei due alleati di impiegare le forze nucleari». Le dichiarazioni di Johnson seguono le minacce di Mosca nei confronti di Svezia e Finlandia nel caso in cui avessero deciso di aderire alla Nato.
Ieri il presidente finlandese Sauli Niinistö ha detto che Putin dovrebbe considerarsi responsabile del cambiamento di posizione del suo Paese. «Gli risponderei: sei stato tu a causarla. Se cerchi un responsabile, guarda nello specchio».



Perché la Finlandia e la Svezia non dovrebbero far parte della NATO
The National Interest
Nonostante il cambiamento negli atteggiamenti finlandesi e svedesi verso l’adesione alla NATO, i politici statunitensi dovrebbero essere contrari ad espandere le responsabilità di sicurezza che cementerebbero una situazione di stallo da Guerra Fredda in Europa
Tratto e tradotto da un articolo di Matthew Mai per The National Interest
14 maggio 2022

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -interest/

Una conseguenza involontaria dell’invasione russa dell’Ucraina è il drammatico impatto sulla percezione di una minaccia da parte della Finlandia e della Svezia. Anche se entrambi i paesi sono dei partner forti e capaci della NATO che hanno contribuito alle missioni dell’alleanza nei Balcani, in Kosovo, in Afghanistan e in Iraq, Helsinki e Stoccolma hanno mantenuto una politica di non allineamento militare negli affari esteri. Fino alla guerra in Ucraina, la maggioranza dell’opinione pubblica di entrambi i paesi sosteneva questo atteggiamento. Oggi, tuttavia, più della metà dei finlandesi e degli svedesi sostiene l’adesione alla NATO e il primo ministro finlandese ha indicato che la decisione di chiedere l’adesione potrebbe arrivare entro giugno. Da parte sua, il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg ha notato che si aspetta che “tutti gli alleati accolgano” la Finlandia e la Svezia se si candideranno, poiché “potrebbero facilmente unirsi a questa alleanza”.

Tuttavia, nonostante il cambiamento negli atteggiamenti finlandesi e svedesi verso l’adesione alla NATO, i politici statunitensi dovrebbero essere contrari ad espandere le responsabilità di sicurezza che cementerebbero una situazione di stallo da Guerra Fredda in Europa.

L’emergere di una multipolarità competitiva significa che un “nuovo conservatorismo strategico“, ha spiegato recentemente Charles Kupchan, un senior fellow del Council on Foreign Relations, richiede di “evitare l’ulteriore estensione degli impegni di difesa” nelle “rimlands” russe e cinesi. I limiti materiali alla capacità degli Stati Uniti di esercitare il loro potere all’estero e la volontà dimostrata da altre grandi potenze di difendere le loro sfere d’influenza dovrebbero rafforzare questa prospettiva tra le élite della politica estera statunitense. Purtroppo, è una prospettiva che i diplomatici statunitensi hanno ripetutamente respinto durante i loro impegni con i funzionari russi per evitare una guerra in Ucraina. Invece, l’amministrazione di Joe Biden ha scelto di sostenere la politica delle “porte aperte” della NATO, più per principio piuttosto che per adattarsi a delle realtà geopolitiche concrete.

Prevenire una “nuova Guerra Fredda” con Mosca richiederà di evitare questo errore una seconda volta quando si considera l’adesione alla NATO della Finlandia e della Svezia. Per essere sicuri, ci sono importanti differenze tra Finlandia e Svezia, Ucraina e Georgia. I due paesi nordici hanno eserciti avanzati e ben equipaggiati che mantengono un alto grado di interoperabilità con i sistemi e le strutture di comando della NATO. Inoltre, entrambi i paesi hanno bassi livelli di corruzione e nessun conflitto o disputa territoriale in corso. Tuttavia, sebbene la Finlandia e la Svezia sarebbero probabilmente dei buoni membri per la NATO, incorporarli nell’alleanza esacerberà i rischi che compenserebbero il potenziale di miglioramento della sicurezza nella regione del Mar Baltico.

Più specificamente, la stabilità strategica non sarebbe servita in alcun modo eliminando l’ultima “zona cuscinetto neutrale” tra l’Occidente e la Russia. Alcuni commentatori sostengono che l’allargamento della NATO per includere la Finlandia e la Svezia rafforzerebbe il fianco orientale dell’alleanza atlantica e rafforzerebbe la deterrenza nella regione del Mar Baltico. La posizione difensiva della Russia dovrebbe poi tenere conto di un ulteriore vicino allineato all’Occidente che dispone di garanzie di sicurezza, rendendo perciò un attacco preventivo contro i Paesi Baltici più pericoloso e costoso.

Ma la Russia ha già chiarito che non acconsentirà tranquillamente ad una revisione dello status quo nella regione del Mar Baltico. Dmitry Medvedev, ex presidente ed attuale vice presidente del Consiglio di Sicurezza, ha avvertito la Finlandia e la Svezia che “non sarebbe più possibile parlare dello status non nucleare del Baltico. L’equilibrio deve essere ripristinato”. Inoltre, la Russia avrebbe dovuto “rafforzare seriamente il suo gruppo di forze di terra, le difese aeree e schierare significative forze navali nel Golfo di Finlandia”.

Per essere chiari, lo stazionamento di armi nucleari nella regione del Mar Baltico non altererebbe l’equilibrio strategico a favore della Russia e, in effetti, potrebbero già essere schierate lì. Come il ministro della difesa lituano ha notato, “Le armi nucleari sono sempre state tenute a Kaliningrad […] la comunità internazionale, i paesi della regione, sono perfettamente consapevoli di questo”. Tuttavia, la questione non è se la Russia tenterà di raggiungere la superiorità nucleare, ma se rafforzerà il ruolo delle armi nucleari nella sua dottrina strategica ed abbasserà la soglia per il loro utilizzo per compensare la maggiore inferiorità convenzionale contro la NATO. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, per esempio, la dottrina nucleare russa ha permesso che il primo uso nucleare fosse ammissibile per includere conflitti locali e regionali. Quando la guerra in Ucraina finirà, non sarebbe sorprendente vedere la Russia impegnarsi in una segnalazione più aggressiva come risposta all’ulteriore allargamento della NATO sul suo confine nord-occidentale. Anche se il rischio di conflitto rimarrà basso, i riferimenti cavallereschi all’uso del nucleare aumenteranno la percezione della minaccia nelle capitali dei paesi NATO e renderanno ancora più difficili gli sforzi responsabili per perseguire la distensione e la gestione delle crisi.

Un’altra preoccupazione è se gli alleati della NATO possano contribuire a rendere più difendibile il confine tra la Finlandia e la Russia, lungo 830 miglia. Mentre l’amministrazione Biden ha schierato migliaia di truppe aggiuntive a rotazione nell’Europa Orientale, data la sua priorità verso la Cina come “minaccia in avvicinamento”, gli aumenti permanenti nella postura delle forze schierate nella regione non saranno imminenti. È anche improbabile che altri membri della NATO abbiano le risorse di riserva per fare la differenza, in particolare in Finlandia, che non ha barriere naturali sul suo confine terrestre con la Russia e che quindi, durante una situazione di contingenza, avrebbe bisogno di essere rapidamente rafforzato utilizzando però le vulnerabili vie di transito marittimo nel Mar Baltico. Di nuovo, anche se è improbabile che la Russia lanci un attacco preventivo contro la Finlandia, sarebbe irresponsabile per la NATO estendere le proprie garanzie di sicurezza che non avrebbe la capacità di soddisfare. Infatti, l’eccesso di tensione strategica indebolirebbe la credibilità del meccanismo di “mutua assistenza reciproca” sancito dell’articolo 5 del Trattato Atlantico. Un consolidamento ed un rafforzamento dei membri periferici della NATO, magari guidato dai paesi dell’Europa, e non una crescita territoriale, dovrebbe essere all’ordine del giorno.

Le tensioni tra gli Stati Uniti e la Russia sono al loro punto più alto dalla crisi dei missili di Cuba del 1962. La “voglia di punire la Russia” per la sua guerra non provocata ed ingiustificata in Ucraina ha portato alcuni commentatori a ritenere “giustizia poetica” che un conflitto iniziato per ostacolare l’adesione dell’Ucraina alla NATO possa portare ad un allargamento dell’alleanza. Questa prospettiva non incarna però un’attenta considerazione di ciò che meglio si adatta agli interessi nazionali degli Stati Uniti. Spingere la NATO più vicino ai confini della Russia non farà che esacerbare il pervasivo senso di insicurezza di Mosca ed elevare le sue percezioni di una minaccia. Peggio ancora, l’allargamento alla Finlandia e alla Svezia cementerà una postura da Guerra Fredda in Europa che intensificherà le rivalità tra le grandi potenze, gravando gli Stati Uniti di maggiori responsabilità di sicurezza in una regione di secondaria importanza. Questa volta, l’amministrazione Biden dovrebbe dichiarare pubblicamente che si opporrà all’adesione alla NATO di Finlandia e Svezia.

Matthew Mai è uno stagista editoriale di The National Interest ed un senior della Rutgers University.



Il muro di Erdogan all'ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Biden: "È loro diritto"
Francesco De Palo
14 Maggio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 34069.html

Dopo l’annuncio di Helsinki e Stoccolma, c’è il voltafaccia della Turchia, che con il suo veto può bloccare l’adesione Il cambio di rotta: "È un errore. Ospitano terroristi del Pkk". E gli Stati Uniti adesso chiedono un chiarimento ufficiale

Il muro di Erdogan all'ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Biden: "È loro diritto"

I Paesi nordici sono come «ostelli» per le organizzazioni terroristiche. Con queste parole il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è detto contrario all'adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, su cui Ankara potrebbe porre il veto. Poche ore prima il presidente russo Vladimir Putin, in occasione del consiglio di sicurezza sull'allargamento, aveva definito una minaccia la decisione di Stoccolma e Helsinki di bussare all'Alleanza atlantica. Tra l'altro, fino a oggi, Ankara aveva ufficialmente sostenuto l'allargamento della Nato, passaggio su cui Washington ha chiesto un chiarimento ufficiale. Tecnicamente occorre un accordo unanime tra tutti i membri prima di ogni nuova ammissione.

Il piano della Finlandia è stato annunciato ieri dal presidente Sauli Niinisto e dal primo ministro Sana Marin e la decisione finale sarà annunciata domani. «L'adesione della Finlandia alla Nato rafforzerà la sua sicurezza. Inoltre, in quanto membro della Nato, la Finlandia rafforzerebbe l'Alleanza nel suo insieme. La Finlandia deve fare domanda senza indugio», hanno affermato Niinisto e Marin. La Finlandia condivide un confine di 1.300 chilometri con la Russia e un sondaggio pubblicato dalla televisione pubblica Yle rivela che almeno i tre quarti dei finlandesi è favorevole all'ingresso nella Nato. E la Svezia segue a ruota. L'adesione alla Nato avrebbe un effetto stabilizzante e andrebbe a beneficio dei Paesi baltici. Secondo il ministro degli Esteri Ann Linde: «Ridurrebbe il rischio di conflitti in Nord Europa».

Il ragionamento di Erdogan presenta più di un punto critico. Quando dice che «i Paesi scandinavi sono come una pensione per le organizzazioni terroristiche» dimentica di aver condotto una crociata ideologica contro i curdi, gli unici ad aver rintuzzato le fazioni dell'Isis che invece hanno trovato una sponda, anche logistica, in Ankara. Erdogan inoltre ha poi spiegato di «non volere che si ripeta lo stesso errore commesso con l'adesione della Grecia», parole che si inseriscono in una fase geopolitica caratterizzata dal fatto che Atene è saldamente alleato di Ue e Usa, anche in virtù dell'accordo militare siglato dall'ex segretario di stato Mike Pompeo, che sta dando i suoi frutti sia sul gas sia sulla difesa comune nel Mediterraneo. La questione semmai verte le pretese turche sul gas presente nell'Egeo e nella zona economica esclusiva di Cipro, che non sono appoggiate da alcuna legge internazionale e che sta increspando l'altra grande partita relativa al gasdotto Eastmed, che potrebbe portare il gas da Israele al Salento. La posizione di Erdogan, diffusa nel giorno in cui la sua possibile sfidante alle elezioni del 2023, Canan Kaftancolu, è stata condannata a quattro anni e mezzo di carcere, sottolinea ancora di più una serie di sottovalutazioni sulla situazione nel Mediterraneo orientale da parte dell'amministrazione Biden, come quella sulla fornitura di caccia alla Turchia. Dapprima Ankara era stata espulsa dal programma degli F-35 perché aveva contemporaneamente acquistato da Mosca il sistema missilistico S-400, ma adesso la Casa Bianca sarebbe intenzionata a vendere a Erdogan alcuni esemplari di F-16 nella versione Viper. Inoltre le politiche erdoganiane hanno prodotto, nell'ordine, la «presa» di Tripoli con cui ha raggiunto un accordo sulla delimitazione delle acque che taglia fuori Creta, la conversione di Santa Sofia in moschea, l'incarcerazione del filantropo Osman Kavala e gli arresti di esponenti dell'opposizione interna. Dagli Usa intanto arriva la notizia che la Casa Bianca lavorerà in queste ore per chiarire la posizione della Turchia, come assicurato da Karen Donfried, segretario aggiunto per gli Affari europei al Dipartimento di Stato americano. La riunione ministeriale della Nato convocata a Berlino nel prossimo fine settimana se ne occuperà. Ma intanto ieri il presidente americano Joe Biden ha assicurato alla premier svedese Andersson e al presidente finlandese Niinisto il suo sostegno alla politica della porta aperta della Nato e al diritto di Finlandia e Svezia «di decidere il proprio futuro, la propria politica estera e le proprie disposizioni in materia di sicurezza».

In sostanza Erdogan sull'Ucraina sta conducendo un doppio gioco, perché da un lato stigmatizza gli errori occidentali commessi in loco e dall'altro sfrutta le difficoltà di Biden anche legate al dossier energetico. Senza dimenticare le solide relazioni economiche e finanziarie esistenti tra Mosca e Ankara: la Russia ha infatti realizzato la prima centrale nucleare ad Akkuyu, che coprirà il 9% del fabbisogno di energia elettrica, mentre la lira turca resta sempre in panne e zavorra l'economia. L'inflazione è balzata al 48,7% annuo a gennaio, il livello più alto dall'aprile 2002.



Salvini dice ''no'' all'ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia: facile fare il pacifista con il Paese degli altri
Luca Pianesi
14 maggio 2022

https://www.ildolomiti.it/politica/2022 ... egli-altri

Il leader del Carroccio spiega che ''portare i confini della Nato ai confini con la Russia non avvicina la pace''. Eppure la richiesta arriva proprio da quei Paesi al confine con la Russia che visto come si sta comportando in Ucraina sono preoccupati che senza protezione internazionale la pace è a rischio anche per loro. Putin, di fatto, ha rivitalizzato e ridato un senso alla Nato e chi chiede di restare in pace sa di non poter restare esposto alle mire espansioniste dello zar russo

ROMA. "Io ragiono solo in termine di pace. Quello che avvicina la pace va fatto subito, quello che allontana la pace va messo in lista di attesa. Portare i confini della Nato ai confini con la Russia avvicina la pace? Lascio a voi giudicare". Ovviamene la risposta per Finlandia e Svezia, che stanno chiedendo a gran voce di accelerare le pratiche per il farle entrare nella Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord, è ''sì'' ma per Salvini la visione politica non va quasi mai oltre il tempo di un post e quindi oggi, conscio del fatto che si capitalizza di più, in termini di voti, dicendo di ''no'' alla richiesta dei diretti interessati lui risponde come da copione.

D'altronde lo ha chiarito anche lui oggi a Roma a margine della convention della Lega ''L'Italia che vogliamo'': "Io sono concentrato sull'oggi - ha detto il segretario del Carroccio -. L'oggi non è l'adesione di Finlandia e Svezia alla Nato ma costringere Ucraina e Russia a parlarsi. Poi dell'allargamento dell'Ue e delle adesioni alla Nato avremo modo di parlare nei prossimi mesi. La mia priorità è rimettere intorno a un tavolo coloro che si sono abbandonati. Non c'è discussione su chi ha invaso e su chi si è difeso e non c'è discussione sul nostro radicamento nei valori occidentali di libertà, rispetto della democrazia e dei diritti civili. Siamo al terzo mese di guerra: occorre fermarsi".

Il problema, ovviamente, è ben più complesso di quanto dica Salvini. Per fermarsi bisognerebbe che quello che fino a pochi mesi fa era il suo riferimento politico internazionale, il faro a cui guardare per un'Europa cristiana, serio, affidabile, un modello da preferire alla Ue e agli Stati Uniti, fermasse l'invasione di un Paese sovrano che si sta difendendo e sta cercando di preservare la propria libertà. L'unico che può far finire questa guerra è Putin, checché ne dicano i filo russi e i pacifisti nostrani, e se una trattativa, prima o dopo potrà esserci tra Ucraina e Russia lo si dovrà solo alle armi che hanno permesso agli ucraini di restare Ucraina.

E il paradosso è che con un ''vicino'' come la Russia che ha dimostrato di essere uno stato invasore, inaffidabile ed estremamente violento d'ora in avanti che pace potrà esserci fuori da schemi di ''protezione'' sovranazionali quali possono essere solo la Nato e l'Unione Europea? Nessuna. Quale Stato confinante con il Paese di Putin si sentirà al sicuro fuori da questi schemi di difesa? Nessuno. Il paradosso di Putin, la sua più grande sconfitta, oltre a quella militare sul campo in Ucraina è proprio questo: ha ridato vita e un senso alla Nato (della quale non si parlava più da anni) e ha spinto tutti i Paesi che guardano all'occidente, al progresso e mirano a crescita e benessere a fare ''carte false'' pur di entrare il prima possibile nell'Alleanza Atlantica.

Intanto Salvini sta in un Paese che è nella Nato dal 1947 e che è uno dei Paesi fondatori dell'Unione Europea. Insomma da Roma è più facile parlare di pace che da Kyiv, Mariupol o dai territori che confinano con la Russia. Ma il Capitano pensa all'oggi e ai voti degli italiani. Alla fine è facile fare i pacifisti con i paesi degli altri.



Per il Papa l'ira di Putin è stata agevolata dalla Nato
Mariarosa Maioli
3 maggio 2022

https://www.ilfoglio.it/chiesa/2022/05/ ... o-3966609/

Nell'intervista al Corriere il Pontefice ammette di aver chiesto a Putin un colloquio. L'attacco all'Alleanza atlantica che non doveva "abbaiare davanti alle porte della Russia". Salvini su Twitter lo appoggia

"Ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di far arrivare il messaggio a Putin che io ero disposto ad andare a Mosca". Papa Francesco torna a parlare della guerra. E lo fa in un'intervista al Corriere della Sera, sottolineando la volontà di incontrare il capo del Cremlino ancora prima del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Richiesta a cui però Putin non ha ancora risposto. "Ma tutta questa brutalità come si fa a non fermarla? Venticinque anni fa con il Ruanda abbiamo vissuto la stessa cosa”: e qui il Pontefice si avventura in un paragone tra il genocidio in Ruanda e il massacro che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Cosa avrebbero in comune i due conflitti? Semplice, secondo questa teoria sarebbe anche colpa della negligenza della Nato: per Bergoglio non si doveva "abbaiare davanti alle porte della Russia", portando la Federazione a reagire negativamente e a inscenare questo conflitto. Una responsabilità condivisa, sembra dire il Papa allineandosi ai tanti critici, studiosi o personaggi che ultimamente popolano i talk show italiani.

I mesi difficili in cui ogni nazione segue con il fiato sospeso gli svolgimenti della guerra in Ucraina, e le sue conseguenze, hanno turbato profondamente anche il Pontefice, che nel corso del colloquio, dopo aver appurato il casus belli, esprime le sue perplessità sull'invio delle armi, ammettendo di essere lontano da questi temi per poterne parlane con le competenze richieste. "I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto”.

C'è bisogno di un maggiore contrasto verso questi commerci, ha sottolineato citando lo stop a Genova di un convoglio che portava armi nello Yemen e che i portuali scelsero “due o tre anni fa” di fermare. Ogni guerra è dettata da interessi internazionali: dalla Siria allo Yemen passando per le rivendicazioni russe in terra ucraina, Francesco constata che uno stato libero non può fare la guerra a un altro stato libero: la reazione ucraina nel Donbass è "cosa vecchia, parliamo di dieci anni fa. In Ucraina sembra che sono stati gli altri a creare il conflitto."

L'urgenza di doversi confrontare con Vladimir Putin è l'altro punto cruciale dell'intervista del Pontefice: ha rimarcato di voler incontrare il capo del Cremlino nell'immediato, ancora prima di recarsi a Kyiv. L'obiettivo di fermare l'escalation di violenza quindi passerebbe prima da un colloquio con Putin, "ma anche io sono un prete, faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…”. E guarda ai passi compiuti dal collega ortodosso Kirill: con il patriarca di Mosca il Papa si è confrontato in un colloquio via zoom il 15 marzo scorso senza risolvere nulla in quanto le “giustificazioni” della guerra citate da Kirill non sono state accettate da Francesco. “Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare via di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo”. Niente Kirill e niente Zelensky: la via per la pace passa prima dal Cremlino.

Forse in pochi si sarebbero aspettati delle posizioni così "nè con Putin né con la Nato" da parte del capo della Chiesa: Francesco ha condannato l'uso delle armi, la violenza utilizzata ma ha chiaramente affermato che anche l'Alleanza atlantica deve ammettere alcune colpe, per aver generato un conflitto senza senso. In questo è sembrato sposare la visione di Matteo Salvini, che proprio nelle ultime ore aveva dichiarato di volersi recare da Putin, annunciando di aver richiesto anche il visto necessario: su Twitter si è congratulato con il Santo Padre, "l'unico a voler cercare la pace". Peccato che ci fosse già stato il dietrofont del ministro Giorgetti che al termine della conferenza stampa di lunedì sera ha risposto alla domanda del Foglio, rettificando quanto detto dal leader della Lega: "Non mi risulta che sia in programma un viaggio di questo tipo a Mosca. Credo che le azioni diplomatiche internazionali in una situazione come questa richiedano prudenza".

Salvini insomma alla fine non partirà ma ha già trovato una sponda del Pontefice. Che sulla conclusione della guerra si sbilancia: "Orbán quando l’ho incontrato mi ha detto che i russi hanno un piano, che il 9 maggio finirà tutto. Spero che sia così, così si capirebbe anche l’escalation di questi giorni. Perché adesso non è solo il Donbas, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io sono pessimista ma dobbiamo fare il possibile perché la guerra si fermi".


Alberto Pento
Povero Bergoglio che giustifica il male con il bene che si difende.
È come dire che il ladro ha diritto a rubare, il rapinatore a rapinare, il ricattatore a ricattare, l'assassino a uccidere, lo stupratore a stuprare, il pedofilo a pedofilare, il dittatore a opprimere, lo schiavista a schiavizzare, l'invasore suprematista e imperialista ad invadere, conquistare e sottomettere sterminando chi gli si oppone.
Povero Bergoglio che brutta fine che hai fatto!




ESPERTI

Ieri ho visto un video in cui, in un programma televisivo, un "esperto" parlava dell’ingresso della Finlandia nella Nato.
Giovanni Bernardini
14 maggio 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 7661588098

Questo grande “esperto è riuscito a dire:
1) che nel 1939 l’URSS aggredì la Finlandia per evitare che questa scivolasse nell’area nazista.
2) che alla fine della seconda guerra mondiale la Finlandia si impegnò a restare neutrale ma venne meno a questo impegno entrando nella UE.
3) che quindi la richiesta finlandese di entrare nella Nato allontana ulteriormente le prospettive di pace.
Vediamo un po’.
1) Nel 1939 era l’URSS ad essere nell’area nazista. Stalin si era impossessato, d’accordo con Hitler, di metà della Polonia e degli Stati Baltici. Aveva il tacito assenso di Hitler riguardo all’invasione della Finlandia.
2) La Finlandia è entrata nella UE nel 1995, 50 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, dopo il crollo del comunismo e la fine dell’URSS. Val la pena di aggiungere che la UE non è una alleanza militare.
3) A parte le falsità storiche, per certi “esperti” la Russia oggi (come l’URSS ieri) avrebbe il diritto di stabilire la politica estera di tutti i paesi che hanno la sventura di confinare con lei. Ieri l’URSS ha imposto a tutti i paesi “liberati” dall’armata rossa regimi comunisti staliniani, è intervenuta militarmente in Ungheria ed in Cecoslovacchia ed indirettamente in tutti i paesi dell’est Europa. La Russia ha invaso Georgia e Cecenia e nel 2014 per la prima volta l’Ucraina. Nessuno ha mai pensato di invadere per questo URSS o Russia. Ma se un paese occidentale si sente, con mille ragioni, minacciato, aderisce alla UE o addirittura chiede di aderire alla Nato la Russia acquista il diritto di invaderlo! E chi si oppone a simili pretese "mette a rischio la pace".
C’è da chiedersi se certi “esperti” di geopolitica non abbiano conti in rubli in qualche banca.
PS. Ho appreso da un TG che ieri un deputato della Duma ha affermato che il prossimo paese da “denazificare” dovrebbe essere la Polonia.
C’è da scommettere che qualche “esperto” ci verrà a dire che la Polonia in fondo non è mai esistita come nazione, che storicamente ha fatto parte della Russia e che oggi ha un comportamento “aggressivo” nei confronti di questa, quindi… per “salvaguardare la pace” è bene che i polacchi comincino a “denazificarsi”, magari uscendo dalla Nato.
Non c’è limite alla idiozia ed alla malafede.


Il criminale del Cremlino

Minacce di missili su Helsinki (e Londra), referendum in Ossezia del Sud. Il negoziato con Mosca è impossibile
La pace solo con la resa di Kiev. La tela Usa per aggirare lo Zar
15 Maggio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1652593604

La Russia sarebbe stata disposta al dialogo, ma è la controparte ucraina a rifiutare negoziati seri. Abbiamo fatto del nostro meglio per evitare uno scontro diretto con l'Occidente, ma se ci hanno sfidato, ovviamente, lo accettiamo. Siamo in grado di devastare con i nostri missili la Finlandia in dieci secondi e la Gran Bretagna in duecento (ma anche Berlino o Parigi in poco più di un minuto e mezzo): intanto teniamo esercitazioni «difensive» a Kaliningrad, dove parte di quei missili si trovano... Si fa un gran parlare in questi giorni e particolarmente in Italia dell'urgenza di intavolare negoziati per porre fine alla guerra che da ottanta giorni ormai ha trasformato l'Ucraina in un vasto campo di battaglia, e di preferenza i nostri opinionisti e una bella fetta dei nostri politici si spendono (di solito in assenza di Mario Draghi) per suggerire alla parte aggredita di accettare sacrifici di ogni genere, a partire da rilevanti mutilazioni territoriali, in cambio dell'agognata da noi, ma non da Kiev pace. Il fatto che la parte aggreditrice non solo non mostri la minima intenzione di fermare i suoi attacchi (o anche solo di ridurne gli aspetti più inaccettabili), ma nemmeno rinunci alla sistematica falsificazione della realtà o a una propaganda di stampo terroristico, beh quello viene considerato un aspetto secondario o immodificabile.

Oltre agli esempi forniti all'inizio, altri non mancherebbero per ricordare a chi esorta alla pace subito che se chi aggredisce non intende fermarsi, la stessa parola dialogo (interlocuzione tra due parti) perde ogni significato. E che a quel punto pretendere che sia l'aggredito a fare concessioni diventa francamente immorale. Ci si può arrampicare sui vetri quanto si vuole, ma rimane un fatto: Putin la pace non la vuole, lo sa anche Macron che pure insiste a tessere la sua tela. Il suo obiettivo, l'ha detto di persona ancor prima del 24 febbraio e lo ha fatto ripetere innumerevoli volte ai suoi portavoce e «uomini politici», è la resa dell'Ucraina indipendente per trasformarla in uno Stato vassallo della Russia, strappandolo al «nazista» Zelensky.

Che questa sia l'intenzione, è fin d'ora chiaro sul terreno. Mosca ha già riconosciuto l'indipendenza delle due repubblichine filorusse del Donbass, in attesa di annetterle come già fece nel 2014 con la Crimea tolta all'Ucraina; si prepara a far tenere il solito referendum truccato nei territori meridionali ucraini di recente conquista, a cominciare dalla città di Kherson, per farli diventare province della Russia; continua a negare in ogni occasione qualsiasi legittimità al governo democratico di Kiev, salvo lamentare la sua scarsa propensione al dialogo (cioè a subire i diktat russi). Di che tipo di pace stiamo dunque parlando? Di quella concessa dal vincitore a chi si arrende senza condizioni: ti lasciamo vivere, ma farai ciò che vogliamo noi.

L'unico aspetto interessante dell'altrimenti inesistente capitolo «diplomazia al lavoro per la pace» sta nella recente presa di contatto americana con Mosca. Ma è legittimo chiedersi se non si tratti e nessuno può saperlo di sondaggi alla ricerca di interlocutori diversi da un Putin di cui si vociferano la debolezza politica e la cattiva salute. Il quale Putin continua intanto a perseguire un disegno che va oltre l'Ucraina. Le sue mani sono pronte (ammesso che ci riesca) ad allungarsi sulla debole Moldavia, priva di scudo Nato, ma anche dal Caucaso giungono novità poco rassicuranti: per il prossimo 17 luglio è stato annunciato nell'Ossezia del Sud (una provincia strappata alla Georgia con una breve guerra nell'estate del 2008 e ora nella galassia filorussa) un referendum sull'ipotesi di annessione a Mosca sulla cui tempestività perfino il leader filorusso locale esprime dubbi. Inutile chiedersi chi lo vincerà: lo sappiamo già. In questo contesto, sostenere che la volontà di Finlandia e Svezia di unirsi alla Nato costituisca una minaccia per la Russia richiede molta ipocrisia: lo capisce un bambino che è vero l'esatto contrario. Triste, tristissimo, che anche in Italia venga spacciata questa bugia.



L'annuncio della Finlandia: «Chiediamo ufficialmente di entrare nella Nato, si apre una nuova era»
15 maggio 2022

https://www.open.online/2022/05/15/nato ... -adesione/

La Finlandia ha ufficializzato la richiesta di entrare nella Nato. Lo ha fatto sapere il presidente Sauli Niinistö in conferenza stampa assieme alla prima ministra Sanna Marin. Niinistö ha dichiarato: «È un giorno storico, una nuova era si apre». Sebbene l’ufficialità arrivi solo ora, le intenzioni di Helsinki di entrare nella Nato erano già state rese note il 12 maggio. La decisione arriva nonostante le minacce di Mosca che sempre il 12 maggio aveva fatto sapere «adotterà le necessarie misure per garantire la propria sicurezza». Ieri era arrivata la notizia che Mosca ha sospeso le forniture di energia elettrica alla Finlandia. La decisione di Helsinki dovrebbe essere seguita a breve da quella di Stoccolma. La Svezia intende presentare la propria domanda di adesione alla Nato martedì, riporta il quotidiano Svenska Dagbladet. Domani è attesa una riunione di governo sulla questione.

Una decisione storica contro le minacce di Putin

Il presidente ha detto alla conferenza che «questa è la nascita di una Finlandia protetta, parte di una regione nordica stabile, forte e responsabile. Riceviamo sicurezza e ne conferiamo». Con la decisione, la Finlandia, che condivide con la Russia un confine di 1300 chilometri, abbandona decenni di non allineamento militare in corso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, finora mantenuto in quanto un adesione al patto nordatlantico avrebbe potuto essere considerata da Mosca una provocazione. L’ingresso deve ora essere ratificato dal parlamento.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, però, un’adesione alla Nato ha guadagnato consenso nella popolazione. Il 75% vede l’ingresso favorevolmente. Ieri, 14 maggio, Niinistö aveva chiamato il presidente russo Vladimir Putin, e aveva definito l’interlocuzione «diretta e franca». I due leader erano giunti alla conclusione che è «importante evitare tensioni». Mosca ha più volte intimato a Finlandia e Svezia non aderire alla Nato, lasciando intendere che se ciò accadesse potrebbe dispiegare armamenti nella regione baltica per «ristabilire l’equilibrio militare»

L’accoglienza della Nato e le remore della Turchia

Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg aveva già fatto sapere che sia Svezia che Finlandia verrebbero «accolte a braccia aperte» nell’alleanza, anche se il processo d’approvazione da parte dei membri potrebbe richiedere mesi. Al momento il membro che più sta mostrando remore nei confronti delle adesioni dei due Paesi nordici è la Turchia, che «non chiude la porta» ai due, ma ha ribadito che «la maggioranza del popolo turco è contraria e ci sta chiedendo di bloccare l’ingresso nella Nato», poiché, secondo Ankara, Svezia e Finlandia supporterebbero gruppi terroristici in Turchia.


Helsinki a Putin, 'entreremo nella Nato'. L'ira di Mosca
Agenzia ANSA
14 maggio 2022

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... 4c76a.html

Vladimir Putin ora sa con certezza che Helsinki non tornerà indietro sui suoi passi.
E che la Russia, salvo clamorose sorprese, è destinata a condividere oltre mille chilometri dei suoi confini con l'Alleanza Atlantica.

Il presidente finlandese, Sauli Niinisto, lo ha chiamato direttamente per comunicargli che sì, il suo Paese ha avanzato una richiesta formale alla Nato che si appresta a rispondere a stretto giro di posta, con i suoi ministri degli esteri riuniti in queste ore a Berlino. Gelida la risposta del presidente russo: abbandonare dopo decenni la neutralità militare di Helsinki "è un grave errore" e costituisce per la Russia una minaccia che non potrà rimanere senza risposta.

I primi segnali Mosca li ha già inviati. Come promesso, durante la notte tra venerdì e sabato ha già sospeso la fornitura di energia elettrica allo Stato confinante, come confermato dall'operatore finlandese. Una mossa motivata dalla Rao Nordic, l'azienda responsabile per la vendita di elettricità russa alla Finlandia, con presunti mancati pagamenti. Non solo: proprio nelle ore in cui Niinisto e Putin parlavano al telefono il Cremlino ha ordinato l'avvio di esercitazioni nei cieli del Mar Baltico, con una decina di caccia Su-27 che hanno spiccato il volo con l'obiettivo di simulare il respingimento di un attacco aereo nell'enclave russa di Kaliningrad, porto situato tra Polonia e Lituania. Ma in quella che è stata descritta come una conversazione "diretta e franca" con Niinisto (che in termini diplomatici solitamente indica un colloquio dai toni tirati e tesi) Putin avrebbe lasciato intendere una reazione ben più dura all'allargamento della Nato. "La Russia non ha intenzioni ostili in relazione alla Finlandia e alla Svezia", ha affermato il vice ministro degli esteri Alexander Grushko, sottolineando però come tale mossa "non rimarrà senza una reazione politica".

Nei giorni scorsi Mosca aveva minacciato una non meglio "rappresaglia tecnico-militare" che lasciava prefigurare anche un possibile dispiegamento di armi tattiche nucleari a ridosso della regione baltica. "Ma è presto per parlarne", ha glissato Grushko. Anche se Putin ha chiarito al presidente finlandese le conseguenze delle sue decisioni: "Non esistono da parte nostra minacce alla vostra sicurezza. Ma il vostro ingresso nella Nato non potrà che influenzare negativamente le relazioni con la Russia". E se da Kiev Mikhailo Podoliak, il più stretto consigliere del presidente Voldymyr Zelenski, parla di una Nato destinata a mettere radici "alla periferia di San Pietroburgo", il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov accusa l'Occidente di aver ormai dichiarato "una guerra ibrida totale contro la Russia". Mentre dal vicepresidente della commissione Difesa della Duma, Aleksey Zhuravlyov, arriva l'ennesima minaccia: "La Russia potrebbe colpire la Finlandia con un missile ipersonico in soli 10 secondi". Intanto in Germania i capi delle diplomazie dei Pesi alleati sono chiamati a preparare il terreno per il previsto allargamento. Sul tavolo, però, c'è il nodo di Ankara che continua a fare muro: "Svezia e Finlandia stanno supportando i terroristi del Pkk, che ci attaccano quotidianamente", ha ribadito il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, proprio a Berlino.

"Ed è inaccettabile - ha aggiunto - che Paesi alleati ed amici sostengano dei terroristi". Quella di Recep Tayyip Erdogan non sarebbe però una chiusura totale e a spiegarlo è stato il suo portavoce Ibrahim Kalin: "La Turchia non ha chiuso la porta all'adesione di Svezia e Finlandia, ma vuole negoziare con loro un giro di vite sulle attività terroristiche ospitate soprattutto a Stoccolma". A Berlino c'è anche Luigi Di Maio, che ha incontrato il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e ribadito come l'Unione europea debba essere in prima linea per raggiungere la pace. E l'Italia, ha sottolineato il titolare della Farnesina, sta lavorando con i partner per aprire "un tavolo che coinvolga le istituzioni internazionali ed i Paesi che possono esercitare influenza su Putin e lo convincano a fermare la guerra". Ma intanto a Roma si infiamma il fronte interno, con Matteo Salvini che intravede il rischio di allontanare la pace allargando i confini della Nato e il Partito Democratico che parla di "assist esplicito a Putin" da parte del leader della Lega.



Parla Kissinger: Putin ha sbagliato i suoi calcoli, Mosca perderà il suo status
Atlantico Quotidiano
13 maggio 2022

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... uo-status/

C’è il Kissinger immaginario dei putiniani nostrani e poi c’è il Kissinger vero…
Più o meno dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina sentiamo citare l’ex segretario di Stato Usa Henry Kissinger, per molti vero e proprio oracolo della politica estera, per dimostrare che Putin ha ragione e la colpa è degli americani che volevano far entrare Kiev nella Nato. Questo perché in un articolo del 2014 per il Washington Post – molto citato, ma poco letto e ancor meno compreso – Kissinger aveva suggerito al governo Usa di non spingere Kiev a far parte della Nato. Quanto basta per sentirci rivolgere la polemica domanda: anche lui è putiniano? Ovviamente no, siete voi i putiniani, non Kissinger.

Di quell’articolo viene citato di solito un solo passaggio, quello in cui l’ex segretario di Stato in effetti avvertiva che “trattare l’Ucraina come parte del confronto Est-Ovest, spingerla a far parte della Nato, affosserebbe per decenni ogni prospettiva di integrare la Russia e l’Occidente – e in particolare la Russia e l’Europa – in un sistema internazionale cooperativo”, e suggeriva che “una saggia politica statunitense cercherebbe un modo per far cooperare tra loro le due parti del Paese. Dovremmo cercare la riconciliazione, non il dominio di una fazione”.

Tuttavia, si dimentica di ricordare che in quell’articolo Kissinger avanzava la proposta di una Ucraina come “ponte” tra est e ovest. Una proposta rivolta tanto a Washington quanto a Mosca, così come le sue critiche erano rivolte all’una e all’altra. Ma la sua prospettiva era ed è fermamente occidentale, non putiniana: alla base infatti c’è il riconoscimento dei principi dell’autodeterminazione del popolo ucraino e della integrità territoriale del Paese.

L’ex segretario di Stato non si limitava a suggerire di non far entrare Kiev nella Nato, come sembrerebbe dalle citazioni parziali e fuorvianti di questi mesi. La sua era una proposta articolata in quattro punti: 1) “L’Ucraina dovrebbe avere il diritto di scegliere liberamente le sue associazioni economiche e politiche, inclusa quella con l’Europa”; 2) “non dovrebbe entrare nella Nato”; 3) dovrebbe avere un governo espressione della “volontà popolare” e una “postura internazionale paragonabile a quella della Finlandia”; 4) “L’annessione della Crimea da parte della Russia è incompatibile con le regole dell’ordine mondiale esistente”.

L’unico difetto a nostro avviso era di non riconoscere che i “progetti” del Cremlino per l’Ucraina erano già molto oltre: quando quell’articolo veniva pubblicato, infatti, Putin aveva appena posto il veto all’associazione di Kiev con l’Ue e il presidente ucraino, il filorusso Yanukovich, si avviava ad instaurare un regime alla Lukashenko. Putin non si sarebbe accontentato del “modello Finlandia”, pretendeva il controllo completo, politico ed economico, del Paese.

In ogni caso, se proprio si vuole assumere come riferimento il pensiero di Kissinger, bisogna constatare che dei quattro principi elencati nell’articolo, Putin ne ha calpestati tre, mentre la questione dell’ingresso di Kiev nella Nato è tornata d’attualità – ma in realtà congelata – solo dopo l’annessione della Crimea e la guerra scatenata da Mosca nel Donbass nel 2014.

Bisogna ricordare, infatti, che la proposta di Kissinger di una Ucraina come “ponte est-ovest” (no ingresso nella Nato, ma sì associazione con l’Ue) era a portata di mano nel novembre 2013, quando proprio Putin fece saltare il banco. Non perché Kiev stesse per entrare nella Nato. L’ipotesi era ormai tramontata, non solo per la contrarietà europea al vertice Nato di Bucharest nel 2008, ma anche perché dal 2010 era presidente il filorusso Yanukovich (che nel 2012 aveva conquistato, anche se di poco, la maggioranza parlamentare, dopo aver incarcerato la leader dell’opposizione). Yanukovich era dunque una garanzia per Mosca con riguardo al temuto ingresso nella Nato. Ma non contento, Putin fece naufragare l’accordo di associazione con l’Unione europea. Da qui Euromaidan e la defenestrazione di Yanukovich. Fatti che abbiamo ricostruito più nel dettaglio in un precedente articolo.

L’articolo di Kissinger si è rivelato profetico su ciò che sarebbe accaduto alla Russia se avesse cercato di riprendersi l’Ucraina con la forza: “La Russia deve accettare che tentare di costringere l’Ucraina a diventare un satellite, e quindi spostare di nuovo i confini della Russia, condannerebbe Mosca a ripetere la sua storia di cicli che si autoavverano di pressioni reciproche con Europa e Stati Uniti”; “la Russia non sarebbe in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi”; “Putin dovrebbe rendersi conto che, qualunque siano le sue lamentele, una politica di imposizioni militari produrrebbe un’altra Guerra Fredda”.

In un colloquio con Edward Luce del Financial Times, lo scorso 7 maggio a Washington, l’ex segretario di Stato Usa è tornato a parlare della questione ucraina, e naturalmente a dire la sua sulla guerra in corso, sostanzialmente confermando la sua visione, che non giustifica affatto le scelte di Putin.

Kissinger osserva che Putin “ha calcolato male la situazione che ha dovuto affrontare a livello internazionale e ovviamente ha calcolato male le capacità della Russia di sostenere un’impresa così importante”. E, aggiunge, “quando arriverà il momento della soluzione, tutti devono tenerlo in considerazione, che non torneremo alla relazione precedente, ma a un posizione per la Russia che sarà diversa per questo motivo, e non perché lo richiediamo noi, ma perché lo hanno prodotto loro”.

Riguardo i possibili sviluppi della guerra, spiega che “bisogna cercare di capire qual è la linea rossa interna per la controparte”. La domanda ovvia quindi è: “Per quanto tempo continuerà la guerra e quanto spazio c’è per un’ulteriore escalation? Oppure, ha raggiunto il limite delle sue capacità e deve decidere a che punto un’escalation metterà a dura prova la sua società, al punto da limitare la sua idoneità a condurre in futuro la politica internazionale come una grande potenza”.

L’ex segretario di Stato non sa collocare quel punto. Ma quando verrà raggiunto, si chiede, Mosca “passerà ad una categoria di armi che in 70 anni di loro esistenza non sono mai state utilizzate? Se quella linea verrà superata, quello sarà un evento straordinariamente significativo. Perché non abbiamo esaminato a livello globale quali sarebbero le prossime linee di demarcazione”. Ma “una cosa che non potremmo fare – avverte – è semplicemente accettarlo”.

Sulle motivazioni di Putin, Kissinger si limita a riportare convinzioni e sentimenti del presidente russo registrati durante i loro numerosi incontri, ma senza mostrare di concordare con essi. “Le sue convinzioni sono basate su una sorta di fede mistica nella storia russa”, Putin “si sentiva offeso, non da qualcosa che abbiamo fatto all’inizio, ma da questo grande gap che si era aperto con l’Europa e l’Est. Si sentiva offeso e minacciato perché la Russia era minacciata dall’assorbimento di tutta questa area nella Nato”. “Ma questo – precisa Kissinger – non giustifica e non avrei previsto un attacco dell’entità della conquista di un Paese riconosciuto”.

Riguardo il rischio da molti paventato di una saldatura dell’asse Cina-Russia, Kissinger si mostra piuttosto cauto. Naturalmente ricorda la sua politica di apertura alla Cina per allontanarla dall’Unione Sovietica negli anni ’70: “La nostra opinione nell’aprirci alla Cina era che non era saggio, quando si hanno due nemici, trattarli esattamente allo stesso modo”. Ma ricorda anche che “ciò che ha prodotto l’apertura sono state le tensioni che si sono sviluppate autonomamente tra Russia e Cina”. Cioè, allora Washington approfittò di tensioni già esistenti. Oggi, spiega, “non possiamo generare possibili disaccordi, ma le circostanze lo faranno… la storia fornirà opportunità in cui possiamo applicare l’approccio differenziato”.

Quella tra Russia e Cina, aggiunge Kissinger, “non mi sembra una relazione intrinsecamente permanente”. “Non è naturale che Cina e Russia abbiano interessi identici su tutti i problemi prevedibili. (…) Dopo la guerra in Ucraina, la Russia dovrà rivalutare almeno il suo rapporto con l’Europa e il suo atteggiamento generale nei confronti della Nato”.

“Ciò – avverte – non significa che uno dei due diventerà intimo amico dell’Occidente, significa solo che su questioni specifiche che si presentano lasciamo aperta la possibilità di avere un approccio diverso. Nel periodo che ci attende, non dovremmo raggruppare Russia e Cina come un elemento integrante”.

Ma Kissinger non dà per saldato l’asse Mosca-Pechino, soprattutto guardando alla deludente performance russa in Ucraina: “Sospetto che qualsiasi leader cinese ora rifletterebbe su come evitare di entrare nella situazione in cui si è cacciato Putin e su come trovarsi in una posizione in cui, in qualsiasi crisi che potrebbe sorgere, non avrebbe contro una parte importante del mondo”.

Sul tema del confronto ideologico tra democrazie e autocrazie, Kissinger non ritiene, al contrario di molti realisti, che la natura dei regimi debba essere tenuta fuori dalle valutazioni e decisioni di politica estera, ma ha piuttosto un approccio equilibrato, crede che non sia saggio assolutizzare le differenze ideologiche:

“Dobbiamo essere consapevoli delle differenze di ideologia e di interpretazione che esistono. Dovremmo usare questa coscienza per applicarla nella nostra analisi dell’importanza delle questioni man mano che sorgono, piuttosto che farne la principale questione di confronto, a meno che non siamo disposti a fare del cambio di regime l’obiettivo principale della nostra politica. Penso che data l’evoluzione della tecnologia e l’enorme distruttività delle armi che ora esistono, [un cambio di regime] può essere imposto dall’ostilità degli altri, ma dovremmo evitare di generarlo con i nostri atteggiamenti”.



Russia non più partner ma minaccia diretta, come terroristi e hacker: la strategia Nato
Domenica 15 Maggio 2022

https://www.ilmessaggero.it/mondo/russi ... 91400.html

I rapporti tra Nato e Russia potrebbero peggiorare in modo formale ed ufficiale. Come? Trasferendo nella classifcazione atlantica, la Russia in una zona rossa, molto precisa: quella dei Paesi che rapppresentano una "minaccia diretta". La Russia considerata come un'organizzazione terroristica. Questa è l'anticipazione che ha dato Bloomberg. La testata americana ha cercato di capire quali saranno gli scenari che emergeranno dal prossimo vertice Nato di Madrid e ha scritto che la Nato potrebbe definire la Russia non più "partner" ma una "minaccia diretta" nel documento Strategico che sarà approvato dagli Alleati. Bloomberg cita un fonte dell'Alleanza.

Gli alleati probabilmente manterranno comunque aperta la possibilità di rilanciare le relazioni se il comportamento di Mosca cambiasse, ha detto la fonte. Il documento Strategico è una relazione molto importante: delinea le priorità per i prossimi anni e dovrebbe essere finalizzato a Madrid a fine giugno. La versione precedente, del 2010, si riferiva a Mosca «come partner, una formulazione che - sottolinea Bloomberg - dovrebbe essere eliminata».

Il documento, secondo Bloomberg, potrebbe anche toccare il tema della Cina e dei suoi legami con la Russia. La strategia dovrebbe prevedere misure di sostegno ai Paesi vicini alla Russia che, secondo gli analisti Nato, potrebbero trovarsi vulnerabili di fronte alla coercizione e all'aggressione.

L'agenzia russa Tass ha ripreso la notizia e l'ha interpretata così: «La Nato ha usato questa retorica più di una volta nel formulare la sua strategia. Nel dicembre 2020 il Segretario generale Jens Stoltenberg ha presentato il programma Nato 2030: United for a New Era, che elenca tra le minacce principali la Russia, il terrorismo, i cyberattacchi, le tecnologie, l'ascesa della Cina e il cambiamento climatico».


Alberto Pento

Mi pare che questa presa di posizione sia più che logica e doverosa, la Russia è una delle fonti pricipale del male sulla terra.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Grazie America, grazie USA, grazie NATO, grazie UE

Messaggioda Berto » dom mag 15, 2022 7:17 pm

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Re: Grazie America, grazie USA, grazie NATO, grazie UE

Messaggioda Berto » dom mag 15, 2022 7:17 pm

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Grazie America, grazie USA, grazie NATO, grazie UE

Messaggioda Berto » mer mag 18, 2022 9:49 pm

11)
Non esistono le guerre per procura, esse sono una falsificazione della realtà e rientrano nella propaganda che nel caso dell'Ucraina è anti Ucraina, anti USA, anti UE, anti NATO e filo Russia.

Nessun paese e nessun popolo si fa distruggere e uccidere demenzialmente e assurdamente per l'interesse di altri e che non sia anche il suo e principalmente il suo.
Solo lo schiavo è costretto a morire per il padrone, non certo l'uomo libero e l'Ucraina è un paese e un popolo libero e sovrano costretto alla guerra per difendersid all'aggresione criminale russa.



Gli archivi aperti del KGB: l’Ucraina ha capito che per costruire una democrazia bisogna fare i conti con la storia
Gianluca Falanga
15 Maggio 2022

https://www.valigiablu.it/ucraina-archivi-kgb/

Ci sono due modi per denigrare la lotta di sopravvivenza degli ucraini contro l’invasione russa. Il primo è sostenere che l’Ucraina sia un paese nazista perché vi sono attivi partiti e movimenti ultranazionalisti, seppure minoritari e politicamente marginali. Il secondo è affermare che stiamo assistendo a una guerra per procura, che gli ucraini sono solo un proxy americano, il vero conflitto è fra la Russia e gli americani. Premesso che la guerra ha evidenti implicazioni che vanno oltre il quadro regionale e la strumentalizzazione dei conflitti per interessi geopolitici di vari attori è sempre possibile, entrambe le affermazioni non fanno che avvalorare la propaganda putiniana e misconoscono, svilendolo, il valore del percorso di evoluzione politica e civile compiuto dall’Ucraina negli ultimi vent’anni. Parliamo di un percorso senz’altro difficile e non ancora compiuto, accompagnato, attraversato e gravato da enormi fragilità e problemi, che ha conosciuto dolorose battute d’arresto, ma anche momenti di rinnovata spinta e drammatica accelerazione. Proteste di massa e rivoluzioni sono state manifestazione di un’autentica volontà di rinnovamento democratico e di sviluppo, attorno alla quale è andata definendosi quell’identità nazionale ucraina che oggi vediamo brutalmente sopraffatta dall’aggressione russa, con la dichiarata intenzione di annientarla.
L’originalità di questo percorso, come bene ci spiega Simone Attilio Bellezza, risiede nella «formazione di una coscienza civica nazionale, un patriottismo civile non legato alla concezione etnica della nazione, ma a quella di cittadinanza». L’aspirazione ucraina a sviluppare una società ispirata ai valori occidentali di liberalità e pluralismo ha però anche un’altra cifra distintiva, nella quale sta racchiusa tutta la sua tragicità: la sua drastica contrapposizione all’evoluzione sempre più scopertamente dittatoriale della Russia.
Lo sforzo di europeizzazione, volto a portare l’Ucraina nel mondo occidentale, ha generato orizzonti di duplice emancipazione della società ucraina, l’ambizione di manovrare il paese non solo fuori dall’orbita russa nel presente, ma anche fuori dal passato, dalla dimensione storica russo-sovietica, via dalle narrazioni e dagli immaginari del mondo russo. Solo chi ha consapevolezza della grande vicinanza culturale di russi e ucraini, nonché dell’importanza che ha avuto la funzionalizzazione identitaria della storia sovietica per il consolidamento del regime putiniano in Russia, può cogliere quale minaccia esistenziale costituisca per il Cremlino non la NATO, ma un’Ucraina alter ego democratico, aperta alla comunità internazionale e forte di un’identità nazionale cementata da paradigmi memoriali antisovietici.

Ascolta il podcast >> Il destino dell'Ucraina, il futuro dell'Europa. Incontro con Simone Attilio Bellezza

L’Ucraina è un paese profondamente segnato dai peggiori eccessi della violenza di massa del secolo passato, che si sono abbattuti con particolare accanimento sul suo territorio: i massacri della guerra civile del 1918-22, l’Holodomor, l’internamento nei campi Gulag di oltre due milioni di contadini kulaki nel 1930-33, le esecuzioni di massa del Grande terrore nel 1937-38, l’invasione tedesca del 1941 e l’occupazione nazista, la deportazione in Germania di milioni di ucraini costretti al lavoro forzato (e poi internati da Stalin per collaborazionismo), i massacri di Odessa e Babyn Jar dell’autunno 1941, fra i più grandi nella storia della Shoah, e ancora la sanguinosa lotta partigiana contro i tedeschi, le politiche di russificazione dell’Ucraina occidentale con deportazioni di massa in Siberia, che si protrassero fino alla morte di Stalin, e il ripopolamento con altri gruppi etnici per annientare la guerriglia indipendentista antisovietica. Gli orrori del Novecento sono scolpiti nell’anima delle popolazioni che abitano il territorio ucraino, per i quali tutto quanto è accaduto è passato ma anche presente, ha ancora un significato vivo e un peso nella coscienza collettiva. Alla luce di quanto accade oggi quella violenza appare perpetuarsi e non trovare fine: è così perché quei traumi non sono risolti e sufficientemente elaborati, da potersene congedare. La ricerca attiva dell’Europa è quindi per milioni di ucraini (anche) espressione del desiderio di una “decolonizzazione” interiore, l’ansia di liberarsi dalla storia dell’ultimo secolo, una maledizione dalla quale sembra non esserci via di uscita.

La storia, un campo di battaglia

Sul terreno dell’uso politico della storia, si è proceduto in Ucraina in maniera non dissimile dal caso della Russia o di altri paesi dell’area post-sovietica, promuovendo narrazioni storiche unilaterali, vittimistiche e funzionali ad agende politiche, nel caso specifico dell’Ucraina al progetto di diversificazione della coscienza storica nazionale ucraina da quella russa. Dalla dissoluzione dell’URSS, con lo sgretolarsi dei canoni ideologici dominarono e condizionarono la storiografia e la memoria pubblica nell’era sovietica, vari attori politici hanno usato la storia per legittimare le proprie azioni e consolidare il proprio potere. In Ucraina la memoria storica è stata a lungo condizionata da due fattori principali: la propaganda sovietica e la diaspora ucraina. La storiografia sovietica connotava negativamente qualsiasi movimento o rivendicazione indipendentista dei popoli dell’URSS, tacendo i crimini commessi per soffocare le aspirazioni del nazionalismo ucraino. L’emigrazione ucraina in Occidente invece aveva fatto propria la prospettiva del popolo ucraino vittima delle repressioni e dell’occupazione sovietica, trascurando la piena integrazione di fatto degli ucraini nella società sovietica. Ne sono scaturite due narrazioni storiche diametralmente contrapposte e inconciliabili, anche se a livello locale queste trovarono il modo di convivere o addirittura combinarsi (anche se non sempre in modo coerente), fino all’indipendenza dello Stato ucraino nel 1991, quando il conflitto di memorie a lungo congelato è infine esploso, generando una forte polarizzazione fra la narrazione del nostalgismo sovietico, legata alla grande narrazione patriottica dell’imperialismo russo, e quella patriottica ucraina.


Dal passato gli attestati del Grande Terrore in Ucraina: Ordine di esecuzione della sentenza di condanna a morte per fucilazione e confisca dei beni contro lo scrittore ucraino Hnat Khotkevyč ordinata dalla Troika speciale della polizia segreta (Nkvd) del distretto di Kharkiv il 29 settembre 1938 (Fonte: avr.org.ua)

La diffusione delle due narrazioni risponde alla geografia politica dei territori che compongono l’Ucraina odierna. Le regioni dell’Ucraina occidentale, interessate dall’eredità asburgica e assegnate alla Polonia dopo la Prima guerra mondiale, furono occupate dall’Armata rossa nel settembre 1939 per effetto del Patto Hitler-Stalin. Con l’annessione all’URSS la popolazione fece esperienza degli espropri e della collettivizzazione violenta, della sovietizzazione della vita pubblica e del terrore della polizia segreta che liquidò la classe dirigente e deportò oltre un milione di persone.

Bisogna aver presente questo terrore staliniano in quei territori per comprendere come mai gran parte della popolazione ucraina in Galizia accolse come liberatori le truppe naziste nell’estate del 1941. Insieme ai tedeschi arrivarono dall’esilio anche le milizie dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN), disposti a collaborare con la Germania nazista e a ricorrere a qualsiasi violenza pur di ottenere uno Stato ucraino indipendente. I nazionalisti ucraini organizzarono pogrom contro la popolazione ebraica e si resero complici delle esecuzioni di massa di ebrei perpetrate dai nazisti. Hitler però voleva colonizzare l’Ucraina, non concederle l’indipendenza, così fece arrestare la dirigenza dell'OUN. Il capo degli ultranazionalisti ucraini Stepan Bandera rimase nel Lager di Sachsenhausen fino al 1944, quando i nazisti si decisero a liberarlo per consentirgli di dirigere la guerriglia antisovietica. I partigiani dell'esercito insurrezionale ucraino (UPA) e quelli inquadrati nella famigerata divisione SS Galizia, condussero una lotta feroce sia contro l’Armata rossa che contro l’Armia Krajowa polacca, ma compirono anche operazioni contro la Wehrmacht, in Galizia e Volinia si macchiarono di crimini di guerra e atrocità, sterminando migliaia di civili polacchi. La lotta partigiana antisovietica dell’OUN/UPA proseguì ancora dopo il 1945 e si esaurì solo a metà degli anni cinquanta.

Ucraina Urss Berlino
La battaglia delle narrazioni: (sinistra) scultura celebrante la liberazione dal comunismo sovietico davanti alla ex prigione Lonzki del Kgb a Leopoli vs. (destra) il mito sovietico della Grande guerra patriottica (Memoriale ai caduti di Berlino, Treptower Park (fonte: GF)

Sciolta l’URSS nel 1991, la lotta indipendentista dell’OUN/UPA divenne un punto di riferimento per la legittimazione della nuova repubblica ucraina. Nelle regioni occidentali del paese i combattenti nazionalisti furono riscoperti come patrioti. Da contro, nei territori più “russificati” a est del fiume Dniepr e al sud, dove rimaneva prevalente l’immaginario russo-sovietico caratterizzato dalla mitologia della “Grande guerra patriottica”, dall’orgoglio per il trionfo sul nazismo e dalla nostalgia per l’URSS e il suo rango perduto di superpotenza, i nazionalisti ucraini non erano patrioti ma “fascisti” e il termine banderivci era usato in senso spregiativo per indicare gli ucraini occidentali e i parlanti la lingua ucraina, repressa nel periodo sovietico.

Nel 2004 la cosiddetta Rivoluzione arancione, la mobilitazione popolare di massa (in maggioranza degli ucraini occidentali) contro il potere corrotto e impopolare dei clan oligarchici, sancì il debutto di quel patriottismo civico che ha intaccato il predominio politico-culturale del “polo” russo, spostando verso occidente gli equilibri regionali. Fu allora che il conflitto di memorie storiche assunse per la prima volta una dimensione politica esplicita. La presidenza Juščenko (2005-2010) optò per una politica di memoria pubblica incentrata attorno al riconoscimento internazionale dell’Holodomor come tentato genocidio pianificato da Stalin. Si cominciò così a imporre la narrazione patriottica oggi dominante che presenta l’Ucraina vittima tanto della Germania nazista quanto del regime sovietico e la Seconda guerra mondiale non come trionfo sul nazismo ma come tragedia nazionale.

In questa cornice si è inserita l’elevazione a eroi nazionali degli indipendentisti ultranazionalisti dell’OUN/UPA, operazione giustamente contestata sia all'estero che all'interno dell'Ucraina, dove la critica all'idealizzazione del banderismo è comunque piuttosto diffusa trasversale. La figura di Bandera, staccata dal suo profilo storico reale di terrorista e promotore di un nazionalismo etnico e antisemita e ridotta a icona e incarnazione della resistenza antisovietica, è stata caricata di un nuovo significato patriottico che poco ha a che vedere con la realtà dei fatti storici, che marginalizza o rimuove la componente della collaborazione con la Germania nazista e delle pulizie etniche e non esprime adesione all'ideologia dell'OUN/UPA, bensì risponde sostanzialmente a una logica antisovietica e antirussa: una stereotipizzazione positiva, alla quale si contrappone quella negativa dei filorussi, funzionale alla polarizzazione delle narrazioni storiche concorrenti e al crescente conflitto russo-ucraino.


Decomunistizzare, desovietizzare, derussificare

Fallito il tentativo della presidenza Janukovyč di invertire la rotta ripristinando le coordinate della narrazione storica del nostalgismo sovietico, all’indomani della rivolta dell’Euromaidan del 2014 il successore Porošenko riprese e implementò il corso politico inaugurato da Juščenko, imprimendogli una forte carica identitaria. Si rafforzò ulteriormente il ruolo dello Stato come artefice e garante della coscienza storica nazionale. Lo strumento principale della monopolizzazione istituzionale dell’interpretazione della storia finalizzata a consolidare l’identità nazionale ucraina in chiave antirussa è stato l’Istituto ucraino per la memoria nazionale (UINP), organismo a statuto speciale istituito già nel 2007 sul modello dell’IPN polacco. Porošenko volle rilanciarlo potenziandone le competenze ed elevandolo di fatto a organo esecutivo della sua politica di memoria pubblica. La direzione fu affidata a una figura controversa, lo storico Volodymyr Vjatrovyč, già direttore degli archivi storici del servizio di sicurezza ucraino SBU (in tale funzione aveva curato la desecretazione dei fascicoli del KGB riguardanti la carestia del 1932-33 e partecipato alla realizzazione del monumentale Museo dell’Holodomor, inaugurato a Kiev nel 2010) e accusato in ambito accademico di volere ridimensionare l’entità dei crimini commessi dai partigiani banderisti, piegando i fatti a una versione edulcorata della storia nazionale. Vjatrovyč si difendeva ribattendo che con lui la storia ucraina era in ottime mani e tacciando i suoi critici di spirito antinazionale e filorusso. (Vjatrovyč è poi stato rimosso dalla direzione dell’UINP da Zelenskyi nel 2019.)

L’incarico più importante affidato all’UINP è stato il coinvolgimento nella stesura del pacchetto di quattro leggi approvato dal parlamento ucraino nell’aprile 2015, le cosiddette leggi sulla decomunistizzazione dell’Ucraina. Le norme dovevano «completare la trasformazione rivoluzionaria del 1989-91, rimasta bloccata a metà» eliminando ogni retaggio della dominazione sovietica sull’Ucraina e «ripristinare la memoria nazionale», rileggendo il Novecento ucraino come secolare lotta per l’indipendenza, sfociata nella Rivoluzione del 2014. Per effetto di queste leggi furono rimosse migliaia di statue e monumenti, cambiato il nome a più di 50.000 strade e piazze, bandito il partito comunista e vietato l’uso dei simboli comunisti per la condanna del totalitarismo comunista come regime terrorista e criminale equivalente al nazismo. Al contempo, si riconobbe ai militanti dell’OUN di Bandera e al suo braccio armato UPA lo status di combattenti per la libertà. E senza annullare la tradizionale Giornata della Vittoria dell’Armata rossa sulle forze nazifasciste del 9 maggio, molto sentita da gran parte della popolazione, si è istituito il giorno prima, l’8 maggio, una seconda festività nazionale, il Giorno della memoria e della riconciliazione, per estendere la commemorazione a tutte le vittime del secondo conflitto mondiale, contendendo alla Russia il monopolio del sacrificio di sangue sovietico nella cosiddetta “Grande guerra patriottica” (formula sostituita da un più sobrio Seconda guerra mondiale).

La leggi di decomunistizzazione del paese sono state oggetto di vivaci critiche sia all’estero che all’interno del paese. La rivista online krytyka pubblicò in aprile una lettera aperta con la quale rinomati studiosi, docenti e analisti ucraini e internazionali pregarono (invano) il presidente Porošenko di non firmare il pacchetto di leggi approvate dalla Verchovna Rada. Le contestazioni si concentrarono soprattutto sul carattere liberticida delle norme, per le condanne penali previste e la palese volontà dello Stato di piegare la storia all’interesse politico, riscrivendola a colpi di legge e mettendo il bavaglio agli storici non allineati. Oltre a danneggiare l’immagine e la credibilità internazionale dell’Ucraina, si lamentavano il cattivo tempismo e il potenziale divisivo dei provvedimenti, i quali, intervenendo in un contesto già estremamente teso per il conflitto scoppiato nel Donbas, non avrebbero certo contribuito a compattare il paese di fronte alla crisi economica e all’aggressione russa, ma piuttosto approfondito ulteriormente spaccature e contrapposizioni, utili alla guerra ibrida scatenata dal Cremlino, tipologia di conflitto che si alimenta e serve delle tensioni e divisioni interne all’Ucraina e investe sull’esasperazione del nazionalismo per squalificare Kiev agli occhi del mondo.

Più che di un allineamento ai parametri della memoria pubblica e di elaborazione del passato comunista che sono propri dell’Europa centro-orientale, la decomunistizzazione ucraina è sembrata a molti un cedimento all’odio antirusso presente in certe aree del paese e della popolazione. Sono allora venuti al pettine alcuni grossi nodi del processo di definizione dell’identità ucraina com’è stato portato avanti fino ad allora dall’establishment politico pro-europeo, gli aspetti più critici del quale sono stati l’assecondare l’artificiosa divisione del paese lungo il crinale linguistico, strumentalizzata dal Cremlino, e l’impulso identitario, che si è tradotto in un nazionalismo di carattere esclusivo inadeguato alla delicatezza degli intimi equilibri di una società composita e plurale per sua natura demografica, la sua ricchezza etnica e la sua complessa storia.

Dopo la rottura istituzionale dell’Euromaidan, la democrazia ucraina avrebbe dovuto cercare a tutti i costi un approccio maggiormente inclusivo e unificante alla questione dell’identità nazionale per trarre forza dalle contrapposizioni del paese e sanare le ferite. Sembrava averlo compreso Zelenskyi, che si era mosso nel suo primo biennio di presidenza in direzione di uno sforzo per consolidare e allargare la base di consenso con un paradigma memoriale più ispirato alla conciliazione nazionale, al disinnesco della carica esplosiva e divisiva della storia pubblica e a una focalizzazione sugli orizzonti di futuro sviluppo della società ucraina. Resta il fatto che, a prescindere dalle trappole nelle quali si è caduti, la definizione del profilo della coscienza nazionale ucraina non viene imposta dall’alto come in Russia, ma è un processo partecipato, al quale contribuisce una pluralità di attori diversi e indipendenti.


Sette chilometri di memoria: gli archivi aperti del KGB

C’è poi anche un altro aspetto della decomunistizzazione che merita attenzione. Per fare i conti col passato, non basta abbattere le statue di Lenin o cambiare nomi alle strade. Bisogna andare più in profondità e aprire il vaso di pandora del passato sovietico. Il termine decomunistizzazione, osservava nel 2015 il giovane storico di Luhansk Mykhailo Haukhman in una riflessione sul senso delle leggi promulgate, «suggerisce l’idea di una separazione fra il regime comunista o l’ideologia comunista e la società, facendo apparire quest’ultima come puramente vittima, oggetto passivo delle azioni del regime. Così è secondo la teoria del totalitarismo, che tende a non tenere conto dell’internalizzazione dell’ideologia e del regime politico da parte della società». Il termine più appropriato per definire ciò che l’Ucraina sente il bisogno di fare è desovietizzazione, nel senso di rivedere il periodo sovietico per comprendere fino a che punto gli ucraini siano rimasti “sovietici” anche dopo il 1991 ovvero che peso abbia ancora il passato sovietico nella vita del paese. Ciò, non per ripudiare il passato, ma per appropriarsene, dopo averlo elaborato, con maggiore serenità quale parte della propria storia, senza lasciare alla sola Russia il monopolio dell’eredità sovietica: «La desovietizzazione è operazione assai più complessa e profonda della decomunistizzazione e se non l’affronteremo saremo costretti a ripetere la decomunistizzazione ancora molte volte».

Delle quattro leggi del pacchetto di decomunistizzazione una soltanto non ha suscitato contestazioni, ma al contrario ha raccolto apprezzamenti da tutto il mondo. La legge “Sull'accesso agli archivi degli organi repressivi del regime totalitario comunista dal 1917 al 1991”, approvata dal parlamento ucraino il 18 aprile 2015, è il vero cuore della decomunistizzazione o desovietizzazione che dir si voglia. L’apertura degli archivi ucraini del KGB, ma soprattutto le modalità con cui questi sono stati messi a disposizione dell’opinione pubblica interessata e della comunità scientifica internazionale, ha fatto dell’Ucraina il paese con l’accesso più agevole ai documenti della polizia segreta sovietica di tutto il mondo ex comunista. Istituzioni internazionali come il prestigioso Wilson Center e gli esperti della EU Eastern Partnership hanno indicato il modello ucraino come esemplare nel ramo degli archivi delle polizie segrete comuniste.

Ciò che in Russia continua a essere tenuto sottochiave, gelosamente custodito come materiale top secret nella disponibilità dei servizi segreti, in Ucraina è stato reso consultabile a tutti, senza restrizioni di nazionalità imposte da alcuni paesi, con una regolamentazione ispirata alla massima trasparenza possibile, compatibilmente con la sensibilità dei dati personali da tutelare. Le norme che regolano la lettura dei documenti con accesso rapido, burocraticamente snello e completamente gratuito (è gratis anche la riproduzione in fotocopia dei documenti richiesti dagli utenti) sono più liberali di quelle predisposte in Germania per gli archivi della Stasi: le persone menzionate nei documenti posso richiedere la secretazione dei loro nomi, che vengono resi illeggibili, ma solo per un periodo massimo di 25 anni e a condizione che non siano stati ex funzionari o informatori del KGB, in tal caso non si può pretendere alcuna protezione della propria identità, che viene resa di pubblico dominio. I documenti vengono inoltre fatti pervenire agli uffici di lustrazione istituiti presso ogni istituzione pubblica per verificare i trascorsi del personale, chi ha lavorato o collaborato col KGB, anche in forma confidenziale, può essere rimosso dalle sue funzioni nella pubblica amministrazione.


Database dell’Archivio elettronico del Movimento di liberazione ucraino

Lo stimolo che ha spinto all’apertura degli archivi è venuto dal basso, dalla società civile. Per la precisione, da un percorso iniziato nel 2007 e concretizzatosi in un’iniziativa lanciata nel 2013, pochi mesi prima della sollevazione dell’Euromaidan. Un collettivo di attivisti per i diritti civili, coordinato dal giovane storico Andryj Kohut, diede vita all’Archivio elettronico del Movimento di liberazione ucraino, una banca dati consultabile in rete con accesso libero e diretto a centinaia di dossier originali del KGB suddivisi per temi e periodi storici: dalle origini del movimento indipendentista all’Holodomor, dalle deportazioni ed esecuzioni di massa del Grande Terrore alla lotta clandestina die partigiani nazionalisti contro le autorità polacche e sovietiche, dalle deportazioni dell’immediato dopoguerra alla repressione della dissidenza negli anni settanta, fino alla catastrofe di Chernobyl e al tentativo del regime sovietico di nascondere la verità sull’incidente.

Il progetto fu la risposta al tentativo di Janukovyč di restringere l’accesso agli archivi di Stato. Analogamente a progetti molto simili realizzati negli ultimi anni in Georgia (SovLab) o in Lituania, Kohut e i suoi collaboratori concepirono la digitalizzazione dei documenti e la loro pubblicazione in rete come una forma di resistenza, un modo per aggirare il buco nero degli archivi chiusi della Russia e collegare direttamente il presente turbolento e incerto dell’Ucraina con il suo tribolato passato recente.

Se da un lato premeva mettere in sicurezza il tesoro di testimonianze, documenti e informazioni disponibili da possibili rovesci politici (in quasi tutte le repubbliche ex sovietiche lo Stato tende a mantenere un controllo severo sugli archivi sovietici), dall’altro si voleva stimolare l’interesse dell’opinione pubblica, mettendola nelle condizioni di poter consultare banche dati e scaricare fascicoli direttamente da casa, senza dover viaggiare per recarsi negli archivi, senza compilare formulari e senza dover dichiarare a nessuno il motivo del proprio personale interesse.

In Ucraina l’esperienza dell’archivio digitale ha ispirato la decisione della politica di declassificare la documentazione custodita nell’archivio storico del servizio segreto SBU, compiendo un passo ambizioso oltre che coraggioso. «Se vogliamo costruire una democrazia», questo il motto di Andryi Kohut, nominato nel dicembre 2015 direttore del nuovo archivio a Kiev, «un sistema che rispetti davvero i diritti umani, allora dobbiamo capire bene da dove veniamo, per non ripetere gli stessi errori.»


Il passato nel presente, il futuro del passato

L’interesse per i fondi ucraini del KGB è stato subito vivissimo, specialmente all’estero. Moltissimi studiosi internazionali si sono immediatamente precipitati a visionare i chilometri di fascicoli e faldoni resi disponibili, attirati dall’imperdibile opportunità di verificare finalmente sulle fonti riservate come operava il KGB sia all’interno, nella società sovietica, che all’estero. Milioni di pagine di file della sicurezza interna permettono di conoscere in maniera dettagliata l’evoluzione, l’organizzazione e i meccanismi burocratici della sorveglianza di massa e della persecuzione politica dei “nemici del popolo”, dall’accorpamento della repubblica socialista sovietica ucraina nell’URSS istituita nel 1922 allo smembramento dell’impero sovietico nel 1991. Oltre alle schede personali dei sospettati, ai fascicoli investigativi e agli incartamenti processuali, agli ordini di arresto e di esecuzione dei condannati e agli infiniti elenchi coi nominativi dei deportati, una sostanziosa collezione di manuali operativi e pubblicazioni a uso interno, note, relazioni e documenti di comunicazione fra il KGB in Ucraina e il Comitato centrale del PCUS a Mosca ha aperto una preziosa finestra aperta anche sulle attività dell’intelligence sovietica all’estero e su decisioni strategiche nel campo della politica della sicurezza dell’URSS in diverse situazioni critiche della storia della Guerra fredda, dalla crisi di Cuba alle invasioni dell’Ungheria e della Cecoslovacchia alle tensioni con la NATO negli anni ottanta.

Insieme ai database digitali fruibili online come quella del Movimento di liberazione ucraino, gli archivi del KGB costituiscono indiscutibilmente il fiore all’occhiello e il gioiello più prezioso di un panorama archivistico assai ricco, articolato e di grandissimo valore per gli studi sovietici, un’infrastruttura informativa che media fra passato, presente e futuro, comprendente non solo i distaccamenti periferici degli archivi del KGB dislocati nei principali capoluoghi regionali, ma anche la rete degli archivi di Stato, dove si preservano le carte degli organi amministrativi dell’Ucraina sovietica, e gli archivi storici dei ministeri della Difesa e degli Interni dell’Ucraina odierna.

Il numero dei cittadini ucraini che si sono rivolti all’archivio per cercare informazioni riguardanti le proprie famiglie è invece ancora tutto sommato modesto, anche se le statistiche indicavano un rapido e costante aumento delle domande di lettura nel triennio 2017-2019. Il dato non è sorprendente, altrove nell’Est europeo le cose non sono andate diversamente quando si sono aperti al pubblico gli archivi delle polizie segrete: in Germania, negli ultimi trent’anni, sono stati oltre tre milioni e mezzo gli ex cittadini della DDR che hanno visionato i fascicoli della Stasi che li riguardano, tanti, ma comunque una piccola parte della popolazione che visse sotto il regime comunista.

Nei paesi usciti dall’orbita sovietica esiste un latente e rimosso timore di sapere, in quelli che hanno conosciuto il terrore di massa staliniano degli anni '30 e '40 la paura e il disagio sono ancora più forti, troppo a lungo si è dovuto imparare a convivere con l’assenza di verità, rassegnandosi all’impossibilità di avere risposte, ci si è dovuti abituare al silenzio, la mancanza di informazioni e trasparenza ha alimentato ombre e fantasie, l’anonimato ha coperto i carnefici fino a consentirgli di riciclarsi nelle nuove istituzioni postsovietiche. In Ucraina come in Russia, Bielorussia e altrove l’opacità delle istituzioni ha impedito una profonda rigenerazione della classe dirigente, necessaria a rifondare la società e lo Stato. In molte repubbliche ex sovietiche o Stati ex comunisti dell’Europa centro-orientale, l’Armenia, la Georgia, la Moldavia, ma anche la Romania, l’Albania, la Bulgaria, si è a lungo ostacolato o ancora si continua a ostacolare l’apertura degli archivi delle polizie segrete. Evidentemente, sono documenti che fanno ancora paura, perché sono in gioco carriere, interessi economici e soprattutto posizioni di privilegio e potere.

Nel 2007, Putin ha provato a imporre il controllo russo sugli archivi del Kgb delle ex repubbliche sovietiche con un accordo, sottoscritto però solo da Russia, Bielorussa, Kazakistan e Armenia, che impone il consenso di tutti i paesi per la declassificazione di qualsiasi documento. E a ulteriore conferma che il regime russo teme il progressivo sgretolarsi del muro omertoso eretto a protezione degli archivi sovietici, Kohut fa sapere che le milizie separatiste e le truppe russe hanno già messo le mani sui fondi archivistici preservati in Crimea, a Doneck e Luhansk.

L’Ucraina ha creduto nell’opportunità di imboccare un’altra strada, convinta che solo la trasparenza sul potere pervasivo e corruttore dei regimi comunisti e delle loro polizie segrete può dare compiutezza alla costruzione di una democrazia. Ha creduto negli effetti benefici sulla società del concedere ai propri cittadini la possibilità di conoscere fino in fondo la loro storia e da dove provengono i problemi del presente, elaborare i traumi individuali e collettivi, nascosti subito sotto la superficie della vita quotidiana e che continuano a tormentare e tenere prigioniero il presente.

Nessuna società può esistere senza passato e nessun futuro si può costruire senza affrontarlo. Se si ha la forza di farlo, le porzioni di verità che emergono trasformano la coscienza storica pubblica, modificano immaginari, abbattono leggende, mandano in frantumi convinzioni e narrazioni ideologiche, cambiano le conversazioni sui temi del passato e della memoria, spostano giudizi su colpe e complicità, si interrompono tradizioni di violenza e continuità delle disposizioni repressive. Nel caso specifico dell’Ucraina sotto attacco, la speranza era di riuscire ad arginare e contrastare il potere oligarchico, gli indicatori internazionali confermano infatti che i paesi che hanno affrontato più radicalmente il lustrismo della nomenclatura comunista dall’amministrazione pubblica, sono oggi meno affetti dalla corruzione. Inoltre, si ritiene che i documenti possano fungere da antidoto alla disinformazione russa: riconoscendo la similarità dei metodi utilizzati un tempo dal regime sovietico con quelli adoperati oggi da regime putiniano per sviluppare l’azione sotterranea volta a destabilizzare l’Ucraina, si riducono le opportunità per la propaganda russa di usare efficacemente la manipolazione della storia come arma contro la società ucraina.

*Gianluca Falanga è studioso di storia contemporanea, collaboratore del Museo della Stasi e autore del volume Non si parla mai dei crimini del comunismo (Laterza 2022).



Demenzialità e calunnie contro gli USA e l'Ucraina

L'Ucraina se l'è comprata l'America
Il Giardiniere
17 maggio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 9010695713

Sapete perché gli Usa mandano tante armi all’ucraina? Non per carità cristiana, siatene certi. Semplicemente perché 3 grandi multinazionali statunitensi hanno comprato da Zelensky 17 milioni di ettari di ottima terra.
Si tratta di CArgill, Dupont e Monsanto (la quale è formalmente germano-australiana ma di capitale statunitense). Il 5 per cento del terreno agricolo Ucraino è stato poi acquistato dallo stato cinese.
Per capire quanto siano 17 milioni di ettari, basti pensare che tutta l'Italia ha 16,7 milioni di ettari di terra agricola.
Insomma, tre compagnie americane si sono comprate in ucraina una superficie agraria utile più vasta dell'intera italia.
E chi sono gli azionisti di queste tre compagnie?
Sempre loro: Vanguard, Blackrock, Blackstone. Cioè le stesse tre società finanziarie che controllano anche tutte le banche al mondo e tutte le maggiori industrie belliche dell'universo.
Insomma, se la suonano e se la cantano.
Ecco perché mangimi (cargill e Du pont) e concimi (Monsanto-Bayer) hanno subito aumenti clamorosi sin da prima della guerra: perché sapevano già tutto, erano informati di tutto.
E sapete quando finirà la guerra? Quando le grandi compagnie finanziarie avranno smaltito il loro stock di armi facendole pagare a noi, europei idioti, già spremuti dalla stessa combriccola che nel frattempo specula su grano, riso, mangimi, concimi.
Gli organi di informazione pompano la guerra. Per forza, sono sempre di proprietà di Vanguard, Blackrock e Blackstone. E Biden vuole la guerra. Per forza: è stato eletto dai magnifici tre.
Aveva ragione Battiato: abbocchi sempre all'amo.
Ma poi, mi chiedo io, di tutti questi soldi che se ne faranno i soliti noti - Buffet, Soros, Gates - che delle tre grandi compagnie finanziarie sono i soci palesi e occulti? Mangiano forse bank's guarantee ed hedge founds? Boh


No, la Monsanto NON ha comprato terreni in Ucraina, per due fondamentali motivi:
Antonio Gabbatore
18 maggio 2022
https://www.facebook.com/antonio.gabbat ... 3981852102

Primo: Monsanto non esiste più dal 2018, anno in cui è stata comprata dalla Bayer ( tedesca) che ha eliminato il marchio. Quindi niente Usa che in cambio avrebbero regalato le armi all'Ucraina. Il controllo della Bayer è tedesco, e tra i principali azionisti e investitori ci sono vari fondi sovrani. Il principale è il fondo sovrano di Singapore e tanti altri.
Secondo: in Ucraina fino a luglio del 2021 nessuno, nemmeno i privati, potevano acquistare i terreni. Dal 1 luglio del 2021 gli ucraini possono acquistare, al massimo, 100 ettari. La stessa legge vieta la vendita a soggetti e società straniere. C'è una proposta di legge che vuole consentire, a partire dal 2024, di poter vendere anche a società straniere, legge che comunque dovrebbe essere suffragata da un referendum. Prima, anche volendo, Monsanto non avrebbe potuto comprare nemmeno un orto.Mi chiedo: perché propagandare delle bufale EVIDENTI? Qual è il contributo al dibattito? Se per perorare una causa o giustificare una posizione si raccontano evidenti falsità non vi sorge il dubbio che forse siete dalla parte del torto?

In fondo al post tutti i riferimenti e le fonti.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Monsanto_Company
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Bayer
https://www.facebook.com/antonio.gabbat ... 3981852102
https://ccipu.org/news/cade-la-moratori ... ri-terreni
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Grazie America, grazie USA, grazie NATO, grazie UE

Messaggioda Berto » mer mag 18, 2022 9:49 pm

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Messaggioda Berto » mer mag 18, 2022 9:49 pm

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Messaggioda Berto » mer mag 18, 2022 9:49 pm

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Re: Grazie America, grazie USA, grazie NATO, grazie UE

Messaggioda Berto » mer mag 18, 2022 9:50 pm

12)
Nuovi ingressi liberi e volontari nella NATO, costretti dalla minaccia della Russia nazi fascista, suprematista e imperialista del dittatore criminale del Cremlino Putin che incarna la continuità tra la Russia dell'URSS e quella odierna.




Perché la Finlandia vuole la Nato: il bluff della difesa comune e le troppe ambiguità Ue
Atlantico Quotidiano
6-7 minuti

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... iguita-ue/

La Finlandia ha annunciato anche ufficialmente la sua intenzione di aderire alla Nato. Da notare: la Finlandia fa già parte dell’Unione europea, ma non ha alcuna intenzione di attendere la costituzione di un esercito comune europeo. Ha chiesto l’adesione alla Nato: quando il gioco si fa duro, è l’Alleanza Atlantica che inizia a giocare, non l’Ue.

Un eurolirico spiegherà che è proprio per colpa di questo atteggiamento “individualista” che manca un esercito comune europeo. E che, se ci fosse, garantirebbe una protezione uguale o superiore a quella che attualmente solo la Nato può offrire. Ma è un discorso capzioso: l’Ue ha avuto almeno trent’anni di tempo per pensare alla costituzione di una difesa comune, quantomeno di una difesa integrata, ma non lo ha mai fatto. Non perché “sabotata” dagli Usa, che semmai avrebbero tutto l’interesse, se non altro per risparmiare, a fare dell’Europa una seconda gamba autonoma nella difesa euro-atlantica (si veda a questo proposito “La Grande Scacchiera” di Zbigniew Brzezinski, anno 1997). Ma perché non la vuole.

Che segnali sono giunti dalle maggiori potenze europee occidentali, in questi mesi? Dopo la prima risposta corale contro l’invasione russa, doverosa e spinta dall’emozione, riemerge la solita tendenza a dividere il blocco occidentale e proporre l’appeasement con la Russia. Lo si nota anche in Italia, con il cambio di linguaggio del partito più europeista di governo, il Partito democratico: da De Benedetti (“oggi noi europei non abbiamo alcun interesse a fare la guerra a Putin”) a Delrio (“Le parole spese dall’Inghilterra o da chi pensa che la pace consista nel piegare Putin mostrano una grande irresponsabilità. Gli americani dovrebbero stare attenti a non usare questi toni. Draghi dovrebbe dire questo”), passando per lo stesso Letta (“L’idea di vincere, di battere l’avversario non mi appartiene”).

Tutte queste reazioni sono il riflesso del discorso pronunciato da Emmanuel Macron, il primo sulla guerra dopo la sua rielezione: “Non dobbiamo cedere alla tentazione dei revanscismi. Domani avremo una pace da costruire” e “dovremo farlo con Ucraina e Russia attorno al tavolo. Ma questo non si farà né con l’esclusione reciproca, e nemmeno con l’umiliazione”. Macron ha anche ribadito che l’Ucraina impiegherà decenni ad entrare nell’Ue. Entrambe le affermazioni sono vere, praticamente lapalissiane. Se si fa la pace, si dovrà necessariamente farla con la Russia e, a meno di non voler cambiare tutti gli standard dell’Ue, l’Ucraina impiegherà decenni prima di entrarci. Quel che è significativo è il momento: dirlo adesso, vuol dire lanciare un segnale che l’Ue pensa alla pace negoziata con la Russia e non alla “vittoria”, concetto che invece emerge in tutti gli ultimi discorsi di Joe Biden e di Boris Johnson. Per il governo britannico, in particolar modo, la vittoria sul campo dell’Ucraina, nella sua giusta guerra difensiva è “un imperativo” (termine usato da Liz Truss, segretaria agli esteri) per preservare l’ordine internazionale. L’accettazione di un cambiamento di confini, a seguito di una guerra di aggressione russa, spianerebbe invece la strada alla legge del più forte nelle relazioni internazionali.

La differenza fra la Anglosfera e l’Europa occidentale continentale è insomma sempre più evidente, come lo era ai tempi della guerra in Iraq nel 2003. Ma se allora era giustificata dal tipo di conflitto, fuori dall’area europea e “per scelta” (si doveva decidere se lanciare o meno un intervento internazionale, ma nessuno rischiava di essere invaso), oggi la differenza, anche se meno marcata, stride molto di più. L’Europa occidentale continentale, contrariamente all’Anglosfera, ha deciso di rinunciare all’uso delle armi, anche di fronte ad un Paese vicino invaso militarmente. Non è il gas russo l’origine delle scelte europee per l’appeasement. La Francia, ad esempio, prima potenza nucleare civile, non ha bisogno di gas o petrolio, non è ricattabile da Mosca. Eppure spinge per il compromesso, invece che per la resistenza. È proprio la rinuncia alla guerra che ha portato l’Europa occidentale a disarmarsi, politicamente, moralmente e militarmente. Politicamente: accettare il compromesso purché eviti il conflitto o vi ponga fine al più presto. Moralmente: se è solo la pace che conta, anche la distinzione fra aggressore e aggredito, nonché il rispetto delle norme internazionali, passano in secondo piano. Militarmente: chiunque voglia vincere le elezioni, salvo pochissime eccezioni, deve promettere un taglio alla spesa militare. Fino a quest’anno, la Germania stessa era uno dei Paesi più disarmati del mondo occidentale.

Però diversa è l’esigenza di difesa in quei Paesi dell’Ue, come la Polonia, le Repubbliche Baltiche, la Finlandia e la Svezia, che sono direttamente esposte alla minaccia russa, perché, banalmente, sono confinanti ed iniziano a sentire il fiato del predatore sul collo. La loro scelta è quella di aggrapparsi maggiormente alla Nato, non quella di attendere che l’Ue cambi mentalità e percezione della guerra e si doti di una difesa comune. È Boris Johnson, il volto della Brexit, a recarsi in Svezia e Finlandia per discutere di una maggior cooperazione militare, anche in vista del loro ingresso nella Nato. Paradossalmente, a pensare concretamente alla difesa dei due membri dell’Ue che si sentono più minacciati è proprio il Paese che ha rotto con l’Unione. Son cose che dovrebbero far riflettere.


Finlandia e Svezia nella Nato: un milione di militari in più e una barriera a Nord con caccia e sottomarini
Mauro Evangelisti
18 maggio 2022

https://www.ilmessaggero.it/mondo/svezi ... 97802.html

Con la richiesta di adesione alla Nato di Svezia e Finlandia termina lo storico status di Paese neutrali. Al contempo, l’alleanza atlantica vede ampliarsi l’area di intervento, ma anche il potenziale di militari a disposizione, con un incremento di un milione di unità, un avamposto strategico a Nord, una dotazione significativa di caccia e sottomarini.

Finlandia e Svezia nella Nato, cosa cambia

L’articolo 5 della Nato prevede che «un attacco armato contro una o più» delle Nazioni dell’alleanza, in Europa o nell’America settentrionale, «sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’ari. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale». In sintesi: se Putin provasse a fare in Finlandia o in Svezia ciò che ha fatto all’Ucraina, la risposta della Nato sarebbe inevitabile.

C’è l’incognita della fase di transizione, la Russia potrebbe attaccare prima del completamento del percorso formale di adesione alla Nato dei due Paesi scandinavi, ma ad esempio il Regno Unito si è già impegnato a intervenire a loro supporto anche prima dell’accettazione dell’adesione alla Nato. Anche Mario Draghi ha detto al termine dell’incontro con la premier finlandese Sanna Marin: «Noi come altri Paesi della Nato saremo impegnati nel garantire e difendere la sicurezza della Finlandia. Cosa questo comporti lo vedremo ma è un impegno che c’è e non ha condizioni».


L'analisi

Secondo un’analisi del Daily Mail l’esercito finlandese rappresenta una risorsa importante, è piccolo «ma altamente specializzato, pensato con quasi l’unico scopo di sconfiggere un’invasione russa. Il Paese ha poco più di 20.000 militari attivi ma mantiene un’enorme riserva: tutti gli uomini di età inferiore ai 30 anni devono prestare almeno un anno nelle forze armate». La Finlandia, d’altra parte, ha imparato a convivere con la costante minaccia da Est, visto che il 30 novembre 1939 Stalin ordinò di attaccare il Paese scandinavo per quella che passò alla storia come la Guerra d’inverno, che terminò con la cessione da parte dei finlandesi con il 10 per cento del proprio territorio.

Forte di questa esperienza, la Finlandia non si fida di Putin e dei russi, potenzialmente può portare a 280mila i soldati a disposizione, ma mobilitarne fino a 900mila. Scrive il britannico Daily Mail: «Helsinki comanda anche la più vasta gamma di artiglieria d’Europa, inclusi più di 700 obici insieme a dozzine di mortai pesanti e sistemi di lancio multiplo. Possiede anche grandi quantità di missili antiaerei». Ha acquisito 64 caccia F-35 americani di ultima generazione e ha un servizio di intelligence militare considerato di altissimo livello nello spionaggio nei confronti della Russia. La Svezia ha meno uomini, ma possiede sottomarini e navi d’attacco. Inoltre, la posizione dei due Paesi amplia notevolmente il raggio di azione della Nato.
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