Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:02 am

Le demenzialità, le menzogne e le calunnie contro gli USA e la NATO
viewtopic.php?f=143&t=3005
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 1061722663
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:03 am

Indice:

1)
Quando è nato l'odio per gli USA e la NATO

2)
La propaganda URSS, russo sovietica contro gli USA e la NATO durante la Guerra fredda

3)
La propaganda URSS e sinistra contro Israele, avamposto dell'Occidente americano in Medioriente

4)
Le guerre attribuite agli USA come prova della loro malvagità che giustificherebbe le reazioni dei nazi maomettani, dei cinesi e dei russi, e dei neri

5)
La propaganda URSS, russo sovietica contro gli USA e la NATO nel conflitto con l'Ucraina
L'Ucraina come paese sobillato dagli USA e dalla NATO contro la Russia

6)
L'insostenibile accusa di genocidio degli indiani fatta agli americani (USA e Canada) per demonizzarli, sul modello dell'accusa agli ebrei per la morte di Gesù Cristo ucciso dai romani

7)
Contro l'Occidente, la sua cultura e civiltà, euro americana, capitalista e industriale, scientifica e ragionevole, adogmatica laica e illuminata, democratica e liberale, non totalitaria e tollerante, meno o poco religiosa e areligiosa/multireligiosa (con esclusione e messa al bando delle religioni totalitarie e violente), atea e aidola ...

8 )
Nella incessante e perenne lotta o guerra del bene contro il male, della vita contro la morte, della salute contro la malattia, di Abele contro Caino, sono sempre possibili gli errori, gli imprevisti, gli effetti e i danni collaterali;
ciò è connaturato in tutte le cose in cui il bene e il male sono intrecciati, connessi, impastati ma non per questo il bene non deve combattere il male estirpandolo, eliminandolo e deve cedere e arrendersi a questo.
Così è sempre nella legittima difesa in cui l'aggressore carnefice viene verito o ucciso dall'aggredito vittima che giustamente si difende e può capitare che nel corso di questa aggressione e difesa si distruggano cose e si faccia del male anche a qualcuno che si trova nei paraggi o che interviene a difesa della vittima aggredita.
In ogni caso il male prodotto dal bene che si difende dal male, dovuto agli imprevisti, agli errori, agli effetti collaterali è da imputare sempre al male che ha provocato la reazione del bene poi sta al bene imparare a difendersi dal male riducendo il più possibile il male dovuto agli imprevisti, agli errori e agli effetti collaterali.
Anche le guerre degli USA e della NATO rientrano in questo ambito e i rilievi messi in luce da Assange non denotano la malvagità degli USA, della CIA e della NATO ma solo gli aspetti relativi agli imprevisti, agli errori e agli effetti non voluti e collaterali che sono una conseguenza della provocazione maligna che ha costretto gli USA e la NATO a intervenire a difesa del bene.

9)
Le menzogne e le calunnie russe
Le bufale sui laboratori di ricerca biologica USA in Ucraina per la guerra batteriologica contro la Russia

10)
Altre demenzialità e calunnie contro gli USA e l'Ucraina

12)
I discorsi critici e calunniatore di Putin contro l'Occidente, l'Europa, gli USA e la NATO, assomigliano in parte a quelli del terrorista nazimaomettano Osama bin Laden

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:04 am

1)
Quando è nato l'odio per gli USA e la NATO




Togliatti o Pannella? | La differenza tra pacifismo e nonviolenza, cioè tra odio per la Nato e amore per la democrazia
Linkiesta.it
Carmelo Palma
26 Marzo 2022

https://www.linkiesta.it/2022/03/pacifi ... emocrazia/

La politica pacifista italiana nasce alla fine degli anni ’40 con l’esperienza dei Partigiani della Pace, promossa dal fronte social-comunista per convertire ideologicamente la resistenza al nazifascismo in opposizione all’atlantismo – la costituzione della Nato nel 1949 venne definita da Togliatti un «atto di guerra» – e sostenere la politica internazionale dell’Urss staliniana, individuata come un «baluardo della pace» e «della libertà e indipendenza dei popoli».

La matrice (o il peccato) originale del pacifismo italiano è sopravvissuto sia alla sua progressiva ibridazione con l’antimilitarismo di ispirazione laica e religiosa, con cui i comunisti trovarono in seguito importanti punti di convergenza, sia al progressivo, ma mai completo distanziamento del PCI dall’Unione Sovietica.

Malgrado la scelta atlantista della metà degli anni ’70 – Berlinguer che riconosce l’ombrello della Nato come opportunità per perseguire la «via italiana al socialismo» – ancora un decennio dopo, sulla questione degli euromissili, il PCI concentra sulla Nato l’accusa di opporsi alla strategia del disarmo, necessaria per scongiurare l’apocalisse nucleare e improntare le relazioni internazionali al valore della pace.

In ogni caso il pacifismo comunista e post-comunista non è mai stato nonviolento. Il ricorso alla resistenza e all’insurrezione armata non è mai stato né teoricamente escluso, né concretamente avversato nelle sue manifestazioni anti-imperialiste e anti-colonialiste. Al contrario è stato esplicitamente teorizzato e anche programmato come mezzo di emancipazione politica e sociale. I Partigiani della Pace a cavallo tra gli anni ’40 e ’50 aspettavano ancora in massa l’ora X della Rivoluzione, con i fucili della Resistenza nascosti in cantina.

La nonviolenza si sviluppa invece in Italia su presupposti e con riferimenti politico-intellettuali del tutto diversi. Nasce dal rifiuto di relativizzare il principio assoluto del “non uccidere”, proprio per affermare la nonviolenza come alternativa reale alla violenza. Anche se tra le sue manifestazioni c’è stata la storica battaglia per il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, la teoria nonviolenta non chiede semplicemente il rispetto giuridico e morale di chi non voglia usare le armi, ma la messa in discussione dell’opportunità di usarle tout court; chiede insomma di realizzare un radicale riallineamento di fini e mezzi, dell’obiettivo di uno Stato e di una politica senza violenza (o con meno violenza) e di una strategia d’azione che si astenga dalla violenza (o la minimizzi) proprio per prefigurare questo risultato e propiziarne il conseguimento. Tutto questo, prima che sul piano delle relazioni internazionali e delle politiche di difesa, vale all’interno del processo democratico e del confronto con qualunque Potere.

La nonviolenza, da Capitini a Pannella, non è quindi una forma di irenismo morale, ma una teoria della prassi e un’etica della responsabilità politica. Non una forma di renitenza, ma di lotta. In particolare, nella declinazione radicale la nonviolenza non abita in interiore homine, ma è incarnata nel corpo a corpo fisico e pubblico, cioè immediatamente politico, con la violenza.

Lo storico preambolo allo Statuto del Partito Radicale, che conferisce «all’imperativo del “non uccidere” valore di legge storicamente assoluta, senza eccezioni, nemmeno quella della legittima difesa», afferma un obiettivo politico, non un principio di identità morale.

Quando Pannella diceva che «nonviolenza e democrazia sono sinonimi» denunciava il legame tra la violenza e la negazione della libertà e dello stato di diritto e dunque tra la nonviolenza come mezzo e la difesa della democrazia come fine. Infatti è la democrazia che trasforma il “non uccidere” nel fondamento costituzionale della libertà degli uomini e dei popoli, cioè in una legge storicamente assoluta.

Al polo opposto della nonviolenza – è questo il punto fondamentale – c’è la violenza, non la guerra. La guerra, intesa in senso propriamente bellico, non rappresenta, né esaurisce l’universo della violenza politica. La guerra è una delle forme o delle conseguenze della violenza politica, a volte neppure delle più letali. L’Unione Sovietica ha ammazzato più cittadini sovietici in pace che soldati tedeschi in guerra. Solo in Ucraina, tra il 1932 e il 1933, nell’Holodomor, cioè nel riuscitissimo esperimento di genocidio per carestia, morirono 4 milioni di persone, la metà dei quali bambini.

Dal punto di vista pratico, inoltre, la teoria nonviolenta ha ipotizzato e provato a sperimentare – in certo modo scientificamente – la superiore efficienza di una scelta disarmata, quando questa sia in grado concretamente di disarmare, cioè di destituire di legittimità e di consenso, la violenza cui si contrappone e che intende superare. Questo è avvenuto in contesti storici determinati, ma significativi: in primo quelli dell’India coloniale, giunta all’indipendenza grazie alla mobilitazione nonviolenta gandhiana, e degli Usa segregazionisti, dove l’uguaglianza giuridica della popolazione nera venne conquistata da Martin Luther King e dal movimento dei diritti civili proprio neutralizzando in primo luogo tentazioni separatiste e violente contro la popolazione bianca.

Si può dire approssimativamente che la nonviolenza – che ripetiamo: è tale se si oppone alla violenza, non se vi soggiace passivamente – ha dimostrato di funzionare là dove ha incarnato istanze di libertà e di liberazione capaci di suscitare contraddizioni nel campo avverso, in nome di principi almeno potenzialmente comuni.

Gandhi e King hanno ottenuto l’indipendenza dell’India e l’uguaglianza di tutti gli americani soprattutto in nome dei valori della democrazia inglese e statunitense e delle culture politiche liberali, di cui Usa e Regno Unito si facevano vanto e che la dominazione coloniale e la legislazione segregazionista ormai storicamente contraddicevano in modo sempre meno sostenibile. Anche la gran parte delle sollevazioni est europee furono nonviolente, da quella di Solidarnosc con Walesa in Polonia, alla cosiddetta “rivoluzione di velluto” cecoslovacca di Havel e sfruttarono la crescente fragilità dell’impero comunista e le crepe che si aprivano al suo interno e che avrebbero portato a breve anche al collasso dell’Urss.

Questi nomi – non quelli di Togliatti e di Secchia – sono stati i riferimenti e in alcuni casi – penso soprattutto ad Havel – i compagni di lotta dei nonviolenti italiani, cioè in primo luogo dei radicali. Coerentemente con la logica per cui la violenza è già di per sé un fallimento politico, una conseguenza del fatto di non avere saputo produrre anticorpi sufficienti per prevenire l’insorgenza del male, in Italia i nonviolenti soprattutto, ma non solo, di matrice radicale sono stati sia dei teorici dell’interventismo disarmato – Pannella negli anni ’70 e ’80 propone di “bombardare” di informazioni con una sorta di Radio Londra planetaria tutti i popoli soggetti al dominio sovietico – sia dei politici molto più laici dei pacifisti nel giudicare l’interventismo armato in scenari di guerra conclamata.

Di fronte al conflitto nell’ex Jugoslavia – esplosa, sostenevano i radicali, anche per la responsabilità europea di non avere saputo prevenire con una politica di integrazione l’inevitabile disgregazione nazionalista della costruzione titina – Pannella e Langer chiesero subito a gran voce ben un intervento militare internazionale per scongiurare l’esito genocida dell’offensiva serba contro i musulmani di Bosnia. Intervento che arriverà, ma tardivamente, solo dopo Srebrenica.

A dire il vero, anche gli interpreti e i teorici più sofisticati della nonviolenza hanno ritenuto di proporre (con il senno del poi possiamo dire: molto imprudentemente) una alternativa disarmata pure di fronte a rischi di eccidi indiscriminati. Si pensi a Gandhi che di fronte alla persecuzione nazista degli ebrei propose alla fine degli anni ’30 una strategia di resistenza nonviolenta. Ma anche Gandhi, nella sua intransigenza, fu sempre più laico dei passati e presenti pacifisti anti Nato e anti Occidente, per cui le guerre sono tutte ugualmente sbagliate e ingiuste, da qualunque parte le si guardi o le si combatta.

Gandhi sosteneva esattamente il contrario: che «anche quando entrambe le parti credono nella violenza, spesso la giustizia si trova da una delle due parti» e che «chi crede alla nonviolenza» non soggiace comunque «alla proibizione di aiutare uomini e istituzioni che non operano sulla base della nonviolenza».

Qualcosa di molto diverso e per certi versi di opposto, come si vede, dal pacifismo senza se e senza ma contro le “guerre americane” e dai peana commossi alla resistenza anti-imperialista. Pacifismo che oggi non è solo di sinistra, ma, poco sorprendentemente, anche e soprattutto di destra.


Hanno messo in campo tutto l'armamentario dell'antiamericanismo e dell'antieuropeismo atlantista NATO, proprio dell'ideologia e della propaganda sia della sinistra internazicomunista che della destra nazifascista, che del nazismo maomettano, del finto pacifismo che sosteneva il terrorismo di sinistra e nazi maomettano antisraeliano.
Il complottismo CIA, NATO, oligarchia e plutocrazia economico finanziaria ebraica, ...


Il pacifismo anti Usa
Goffredo Buccini
Corriere della Sera
1/4/2023

https://www.corriere.it/opinioni/22_apr ... c2c5.shtml

Nel lontano 1965 le piazze italiane risuonavano di strofe che sarebbero diventate un classico della nostra canzone popolare: «Buttiamo a mare le basi americane/ cessiamo di fare da spalla agli assassini». Certo, si era in piena contestazione contro la «sporca guerra» del Vietnam, ma erano anche passati appena nove anni dall’invasione sovietica dell’Ungheria e in capo ad altri tre sarebbe stata repressa nel sangue la Primavera di Praga.
Le basi Nato non erano, a guardar bene, proprio del tutto inutili nel mondo diviso a metà, anche per il quieto vivere di chi voleva smantellarle. Ma è sempre stato assai accentuato (e assai peculiare) lo strabismo di una parte del nostro movimento pacifista: un filone forte, forse il più profondamente radicato, e ancora assai presente nel Dna nazionale.
Ad esso pare essersi rivolto in questi giorni Giuseppe Conte, al di là dei tatticismi per la conferma della leadership pentastellata e dei comprensibili timori per il contraccolpo d’immagine della controversa operazione «Dalla Russia con amore»: il suo fragoroso scarto sulla spesa per gli armamenti (da lui stesso in precedenza avallata mentre era a Palazzo Chigi) ha anche (o soprattutto) il sapore di una ridefinizione identitaria, un risciacquarsi di panni in una fonte che non si esaurisce mai. Perché appare davvero inestinguibile, da oltre mezzo secolo, quel filone di appartenenza comune che potremmo chiamare la pax antiamericana, il pacifismo declinato solo contro gli Stati Uniti, pronto a giustificare, con distinguo e complessità, le nefandezze di chiunque si dichiari nemico dell’alleanza che per decenni s’è retta sulla potenza militare Usa.
Ne ha parlato con intelligenza e con coraggio, un paio di settimane dopo l’aggressione di Putin all’Ucraina, proprio il cantautore di quella canzone del 1965, Rudi Assuntino, in una bella lettera che Paolo Flores d’Arcais ha pubblicato su MicroMega. Ormai ottantenne, Assuntino si dice indignato contro chi, invocando pace, rifiuta di mandare armi alla resistenza di Kiev e prende per buone le motivazioni del tiranno di Mosca quando dichiara che «la Nato ci minaccia», spiegandoci molto su ciò che potremmo indicare come il terzo filone pacifista, nuovamente manifestatosi in questi giorni nel sindacato e nella sinistra più radicale.
Il primo filone, diremmo ontologico, è quello che promana da Papa Francesco: etico e, sia detto con rispetto, «d’ufficio»; cosa dovrebbe fare il Papa se non condannare le armi? Esso appare tradotto nella società in ciò che Angelo Panebianco ha definito su queste colonne (il 20 marzo) «pacifismo fondamentalista»: l’idea che basti decidere di non avere nemici perché i nemici non ci siano e, ove mai costoro si materializzassero comunque, non resti altro che la sottomissione.
Un secondo filone, diremmo opportunista, tenta di confondersi col precedente: è quello di chi ha avuto talmente tante cointeressenze imbarazzanti da temere magari che ne salti fuori qualche lacerto dagli archivi di Mosca ed è quindi costretto ad acconciarsi ora su posizioni «francescane», di non resistenza all’invasione della patria, dopo averci spiegato che è sacrosanto sparare a un ladro se ci entra in casa. La distanza tra il pacifismo del Vicario di Cristo e quello di chi tifava Putin, a Crimea invasa e a Politkovskaja già assassinata, è tuttavia la medesima che passa tra un arcobaleno e il suo riflesso in una pozzanghera: assai visibile.
Ma è forse il terzo filone il più interessante, perché attraversa la nostra storia democratica profondamente, mescolandosi anche col primo, ma mantenendo un segno politico chiaro, quello dello strabismo: che «regala» Jan Palach all’iconografia missina per l’imbarazzo del Pci (solo uno spirito libero come Guccini e gli eretici del Manifesto fecero eccezione nel silenzio sul ragazzo di Praga) e che, nonostante la finale svolta atlantica di Berlinguer («mi sento più sicuro da questa parte»), spende la sua politica estera nella battaglia sugli euromissili, per nostra fortuna contrastata con successo dal deciso atlantismo di Cossiga e Craxi.
È il pacifismo...togliattiano dei Pionieri d’Italia anni Cinquanta, ma anche quello idealista e gandhiano di Aldo Capitini negli anni Sessanta. Tutto insieme confluisce nel pensiero di fondo che l’impero del Male sia l’America. E col tempo trasferisce questa avversione su chi è sostenuto dagli americani, a cominciare da Israele che ne diventa bersaglio storico, pur essendo l’unica democrazia della sua area, circondata da teocrazie e regimi assoluti. Un riflesso chiaro persino in talune reazioni all’11 settembre.
Erano tutti kruscioviani e brezneviani come sono oggi tutti putiniani? Naturalmente no. In certe spesso infelici scelte di campo pesarono la democrazia italiana bloccata, le trame e le bombe, i golpe in Grecia e in Cile e mille altre ottime ragioni per diffidare dell’alleato americano. Mille tranne una: che avevamo deciso come Paese esplicitamente di delegare agli Stati Uniti la nostra sicurezza salvo poi, come società civile, vomitare odio sugli Stati Uniti per come la garantivano nella sfida globale con Mosca. Tanti anziani maestri di oggi, taluni nostalgici addirittura dello stalinismo, vengono da quel milieu, assieme a tanti giovani e confusi maestrini laudatori delle buone ragioni di Putin, scandalizzati da «provocazioni occidentali» come quella di Kiev di scegliere l’Occidente liberamente.
Se per alcuni intellò l’antidoto migliore è una full immersion nel pensiero di Alexander Dugin, l’ideologo antimoderno che traduce per l’Italia un putinismo medievale, per tutti vale ancor di più la svolta lirica del buon Assuntino: gli capitò di risentire la sua canzone citata trent’anni dopo, nel bel mezzo di un dibattito anni Novanta in cui Gad Lerner chiedeva a un capo storico della sinistra radicale italiana se non fosse giusto l’intervento della Nato per fermare il massacro di Sarajevo. Mai avrebbe potuto approvarlo, rispose quello, avendo cantato in gioventù «Buttiamo a mare le basi americane»; e infatti, coerentemente, portò avanti una campagna sull’uscita dell’Italia dalla Nato e sulla tassazione dei Bot che sfociò nella vittoria del centrodestra nel 2001. Fu allora che Assuntino capì e scrisse una nuova canzone, che si chiama «Il Pacifista», sulla doppia morale di certuni: «Se chi uccide è il tuo nemico/tu lo giudichi un boia o un terrorista/ ma se invece ti è amico o indifferente/ lo comprendi e non te ne frega niente». Non guarirà lo strabismo: ma aiuta a vederci un po’ più chiaro.






Non sono solo figli di Putin ma anche nipotini di Hitler e Stalin
L’ odio per la Nato e la civiltà occidentale, unisce sinistra e destra totalitarie, fautrici degli stati autoritari. Al riparo della democrazia lo esprimono con voce stentorea. Ma nemmeno una parola per chi a Mosca e San Pietroburgo manifesta contro la guerra rischiando anni di carcere. Di Nicola Cariglia
6 Marzo 2022

https://www.pensalibero.it/non-sono-sol ... -e-stalin/

Consapevoli, inconsapevoli, palesi e orgogliosi di esserlo (chissà perché e di cosa), nascosti e che lanciano il sasso e ritirano la mano. I sostenitori di Putin sono tra noi, facciamocene una ragione.
Ecco una delle tante lettere che abbiamo ricevuto: “Non sono né pro Russia né pro Putin, non mi piace l’ipocrisia e l’opportunismo che l’informazione esercita. Nel pianeta ci sono circa 150 conflitti…..”. Formidabile concentrato di ipocrisia, c’è di tutto, come nella disputa no vax . La stampa al servizio di…non si sa chi. Ma funziona sempre, perché per definizione la stampa è al servizio di qualcuno se non dice le cose che ci vogliamo sentire dire. Eppoi: perché non parlare di tutti gli altri conflitti? Poco conta che nel conflitto Russia-Ucraina si rischia la guerra mondiale a base di deflagrazioni atomiche ed è per questo che se ne parla. E la colpa affibbiata a Putin, “che, figuriamoci non mi sta per niente simpatico, anzi”… Ce la volete dare a bere, per nascondere le colpe vere: la Nato, gli Stati Uniti d’America.
Fanno festa per questo revival gli antichi cultori dell’odio per il mondo Occidentale che per noi, invece, ha il puzzo insopportabile dello stantio. Ci riporta agli anni dell’Occidente, della Nato e, soprattutto, dell’America guerrafondai e del paradiso sovietico, dispensatore di pace, benessere e libertà. Con una differenza significativa: questo sentimento di odio per la civiltà occidentale, con tanti difetti ma anche con saldi valori e principi di democrazia e libertà unisce tanto la sinistra quanto la destra totalitarie e fautrici degli stati autoritari. Coloro per i quali lo Stato è tutto e i diritti dei cittadini, al confronto, sono niente. Non sono soltanto figli di Putin: sono anche nipoti di Stalin e di Hitler che per la democrazia nutrivano il medesimo disprezzo. Manifestano contro la Nato, l’Unione Europea e le democrazie mentre in Ucraina l’esercito russo conduce una guerra di conquista bombardando e cannoneggiando palazzi e uffici civili, si contano migliaia di morti fra i quali moltissimi bambini, e le donne vengono stuprate. Si scandalizzano se i Paesi democratici accolgono i disperati appelli del governo legittimo ucraino di inviare armi per difendersi dall’invasione di Putin perché, affermano, renderebbero ancora piu’ duro il conflitto. Gli slogan “pacifisti” di questi ipocriti a senso unico sono pronunciati con voce stentorea, ben al riparo della nostra democrazia che garantisce a tutti libertà di pronunciare anche le piu’ oscene castronerie. Ma nemmeno una flebile voce di sostegno agli intellettuali, alle ragazze e ai ragazzi che a Mosca o a San Pietroburgo vengono manganellati e ammanettati mentre chiedono pace e democrazia in uno Stato che solo per questo mette in prigione e talvolta uccide. Del resto, e si capisce, sono i cascami delle due ideologie, fascismo e comunismo, che hanno rappresentato le peggiori tragedie del secolo scorso. Non hanno lasciato valori positivi ai quali ispirarsi: solo odio e disprezzo verso chi, pur commettendo anche errori, non intende commettere quello di non difendere la democrazia. Che è il vero motivo scatenante della violenza di Putin che teme possa contagiare i popoli oggi sottomessi al suo arbitrio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:05 am

PERCHÉ LA LIBERTÀ DI JULIAN ASSANGE RIGUARDA TUTTI NOI
Dario Pulcini
11 aprile 2022

Stella Morris, la moglie di Julian Assange, è intervenuta nel corso del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia per rivolgere delle parole molto dure ai giornalisti occidentali. Ricordando come Assange rischi 175 anni di carcere in una prigione statunitense per aver raccontato verità scomode per il governo di Washington (rendendo di pubblico dominio le atrocità commesse dai soldati americani in Afghanistan e Iraq), ha esortato i professionisti dell’informazione a non far calare il sipario sulla vicenda. Il governo statunitense ha esercitato infatti molta pressione sui giornalisti occidentali affinché smettessero di parlare del caso Assange, quasi quanta ne ha fatta sulla Corte Penale Internazionale perché smettesse di indagare sui crimini di guerra commessi dal proprio esercito nei due conflitti in Medio Oriente. Se si concludesse con la sua definitiva incarcerazione il caso Assange, ricorda Morris, potrebbe costituire un pericoloso precedente per i giornalisti di tutto il mondo, che potrebbero essere arbitrariamente imprigionati a vita per aver svolto il loro lavoro. Riportiamo di seguito il testo dell’intervento per intero.

“Gentilissime/i giornaliste e giornalisti,
siamo qui, al vostro Festival Internazionale del Giornalismo, per parlarvi di un vostro collega, rinchiuso in condizioni terribili solo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo, denunciando le malefatte e i segreti inconfessabili di governi e potenti.
Stiamo parlando, naturalmente, di Julian Assange.
In questi drammatici giorni, riempiti di immagini di distruzione, di morte e di disperazione in Ucraina, vi vediamo tutti intenti a denunciare eccidi e crimini di guerra. Proprio ciò che Julian Assange ha dedicato la sua vita a svelare e a castigare.
Con una differenza, però. Voi svelate e castigate i crimini di guerra della Russia, paese che il governo statunitense ha qualificato di “nemico”. Il vostro è dunque un lavoro giornalistico “al servizio della verità”, come amate proclamare – ma di una verità comoda.
Assange, invece, ha svelato e castigato i crimini di guerra della NATO in Afghanistan e in Iraq – quelli di cui il governo statunitense ha detto che non bisognava parlare e sui quali la Corte Penale Internazionale non deve indagare. Il lavoro giornalistico di Julian, dunque, è stato anch’esso “al servizio della verità” – ma di una verità scomoda.
Talmente scomoda che il Dipartimento della Giustizia statunitense considera la diffusione di quelle verità meritevole di fino a 175 anni di carcere ai termini dell’Espionage Act del 1917.
Ma dove eravate voi, allora, mentre Julian Assange denunciava i crimini di guerra commessi dall’Occidente in Afghanistan e in Iraq?
Non abbiamo visto la solerzia e l’indignazione che oggi mostrate nei confronti della Russia, quando a commettere le barbarie eravamo noi (i buoni, i democratici). Non abbiamo visto né dirette né maratone per gli orrori che noi e i nostri alleati abbiamo commessi in passato in Afghanistan, in Iraq, in Libia e oggi in Siria, in Palestina, nello Yemen e nel Sahel.
C’è stata, però, una persona che, quasi in solitaria, ha osato denunciare questi orrori, portando alla luce del sole molteplici crimini – comprese torture che fanno venire la nausea solo a sentirle nominare – commessi da noi, i buoni. Questa persona ha addirittura costruito un sito ingegnoso, Wikileaks, per poter raccogliere anonimamente le prove dei crimini commessi. Ed è per questo che quella persona è perseguitata, dagli Stati Uniti, sin dal 2010, quando pubblicò il famoso video “Collateral Murder”, quel macabro video game.
Dal 2012 Assange è privo della sua libertà e dall’11 aprile del 2019, è rinchiuso in attesa di giudizio in un carcere di massima sicurezza, destinato agli autori di delitti efferati, dove subisce le torture denunciate dal relatore ONU Nils Melzer e da oltre 60 medici esperti in torture.
E voi? Voi, da quale parte state?
Dopo aver attinto a piene mani dalle sue rivelazioni, almeno in un primo tempo, non potete pronunciare oggi una sola parola in difesa di Julian Assange? Dopo aver contribuito alla sua demolizione mediatica agli occhi dell’opinione pubblica, non potete spendere oggi una sola parola per riabilitarlo? Ad esempio, informando i vostri lettori – che hanno letto i vostri articoli accusando Assange di stupro – che si era trattata di una montatura ormai archiviata?
Non potete dare rilievo al piano della CIA, rivelato da Yahoo News, di rapire Assange o di ucciderlo? E biasimare poi la sua estradizione in un paese che ha pensato di assassinarlo?
Non potete spiegare ai vostri lettori che non esiste una sola rivelazione di WikiLeaks che sia risultata falsa, non c’è una sola rivelazione che abbia messo a repentaglio la sicurezza di un Paese o quella di un individuo. L’unica sicurezza che è stata messa in discussione è stata quella dell’Occidente di poter continuare a commettere crimini di guerra impunemente.
Non sono questi “fatti di rilievo” di cui sentite l’obbligo di scrivere, per rispetto della vostra professione?
Il prossimo 20 aprile, la ministra degli interni britannica Priti Patel si troverà sul suo tavolo l’ordine di estradizione di Assange verso gli Stati Uniti, che lo vogliono condannare fino a 175 anni di carcere duro: non potrà più vedere né familiari né gli avvocati, in pratica verrebbe sepolto vivo. Un vostro collega, sepolto vivo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo: non vi turba questo pensiero?
È tempo che prendiate le sue difese e chiediate la sua liberazione. Lo dovete a noi, a tutti i cittadini di oggi e a quelli di domani, perché se Julian Assange verrà estradato o se dovesse morire prima in carcere, sarà la morte anche dell’informazione libera, la morte del nostro #DirittoDiSapere cosa fanno realmente coloro che ci governano.
Un’ultima parola. Se Julian non sarà liberato, neanche voi sarete liberi. Se domani voi venite in possesso di informazioni segrete che rivelano crimini di guerra commessi da un paese della NATO, ricordando Julian vi sentirete costretti a cestinare quelle informazioni e a lasciar impunite le persone implicate. In una parola, vi sentirete costretti ad una vita di complicità.
E’ dunque anche per la VOSTRA libertà che vi chiediamo di intervenire a favore della liberazione di Julian Assange”.
Valeria Casolaro, L'indipendente, 11 aprile 2022

Chi difende Assange
Caratteri Liberi
Niram Ferretti
2019/04/12

http://caratteriliberi.eu/2019/04/12/in ... r2FGsCTA_c

Ieri, dopo sette anni, è terminata per Julian Assange la sua permanenza al riparo dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove si era rifugiato nel 2012.
Il “combattente per la libertà“, cocco della sinistra radicale, è stato arrestato ieri da Scotland Yard dietro mandato americano con l’accusa di avere cospirato nel 2010 insieme a Bradley Manning, poi, con il cambio di sesso, diventato Chelsa, nel tentativo di ottenere illegalmente documenti secretati militari e diplomatici, la cui diffusione avrebbe potuto essere utilizzata per danneggiare gli Stati Uniti.

Dopo che l’inchiesta nei suoi confronti per un presunto stupro avvenuto in Svezia è stata archiviata nel 2017, Assange ora rischia l’estradizione negli Stati Uniti. Nel 2010, il patron di Wikileakes, totalmente incurante delle conseguenze divulgò, grazie a Manning, chi fossero gli informatori locali degli Stati Uniti, durante la guerra in Afghanistan. L’allora Segretario alla Difesa, Robert Gates e il Capo di Stato Maggiore, Mike Mullen dichiararono: “Il signor Assange può dire quello che vuole sul bene maggiore che lui e la sua fonte stanno procurando, ma la verità è che potrebbero già avere sulle loro mani il sangue di qualche giovane soldato o di una famiglia afghana“.

Ma per una personalità patologicamente narcisista come quella dell’hacker australiano, tutto ciò era irrilevante, l’importante era mostrare al mondo gli arcana imperii, soprattutto se si trattava di quelli americani, e non, quelli di dittature e satrapie, o teocrazie, non avendo lì informatori adeguati a svelare al mondo i loro commerci più segreti.

Di lui, Rich Trzupek, in un articolo pubblicato su Frontpage Magazine, nel 2010, all’epoca dei leakes sull’Afghanistan, scrisse:

“Assange è un esempio primario di quel prodotto peculiarmente specifico delle istituzioni democratiche occidentali: un talento così accecato dalla propria intelligenza, da non vedere nulla di male nel fare a pezzi la società che gli consente la libertà di potere esercitare la propria arroganza, mentre resta beatamente incurante del fatto che le sue azioni forniscano aiuto e agevolazione a un nemico che non tollererà la sua stessa esistenza”.

Non può dunque suscitare meraviglia se in difesa dell’utile idiota antiamericano Assange giunga l’accorato appello del Cremlino attraverso il ministro degli Esteri russo Maria Zakharova, la quale ha fatto sapere che “l’arresto a Londra del fondatore di Wikileaks è un duro colpo alla democrazia”. In un mondo come il nostro, in cui per citare Heinrich Heine, “Dio esiste ed è Aristofane“, capita che arrivino da un paese retto da un cleptocrate autoritario lezioni di democrazia. Non contenta, la Zakharova, ha poi aggiunto su Facebook che “La mano della democrazia strangola la gola della libertà”, quella libertà che in Russia è, come noto, splendidamente garantita.

Alla Zarkharova si può aggiungere Evo Moraels, altro grande liberista e assiduo compulsatore di John Locke, il quale esprime via tweet la sua solidarietà per il “fratello perseguitato dagli Stati Uniti per avere rivelato la loro violazione dei diritti umani, l’assassinio di civili e lo spionaggio diplomatico”. In attesa della solidarietà di Nicolas Maduro, si registra, nek frattempo, l’indignazione di una grande fan di Assange, l’ex bagnina di Baywatch, Pamela Anderson, da tempo anche lei guerriera delle cause giuste e visitatrice assidua del perseguitato all’ambasciata dell’Ecuador a Londra, la quale si scaglia veemente contro il Regno Unito, “puttana dell’America”

Tuttavia la Anderson ha colto nel segno. Assange è l’eroe dei chomskiani impenitenti, e dei vecchi e giovani “anti-imperialisti”, è lo scoperchiatore delle nequizie americane, è il puro e indomito paladino del Bene costi quel che costi, soprattutto se costa agli USA, la vecchia baldracca a stelle e strisce, (per restare nei pressi della Anderson), è il vendicatore dei torti commessi dall’Occidente e dalla sua più grande superpotenza, ed è forse anche per questo motivo che, secondo Il Guardian, nel 2017, alcuni diplomatici russi avevano in mente un piano per farlo fuggire dall’ambasciata dell’Ecuador e portarlo in Russia. Nulla di sorprendente, visto che già nel 2010 dava mandato a un suo collaboratore, Israel Shamir, noto antisemita e negazionista, di procurargli un visto russo.

Dalla Russia con amore, per la libertà e la democrazia, di cui Assange è stato ed è, un grande e disinteressato sostenitore.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:06 am

Idiozie antiamericane e antioccidentali pro comunismo e pro maomettismo. Ganser è uno dei peggiori maestri della disinformazione sinistra e complottara che esistano.



I crimini di USA e Nato spiegati in 14 minuti
14/04/2019
https://www.pandoratv.it/i-crimini-di-u ... 4-minuti-2
Daniele Ganser spiega l’esportazione della democrazia made in USA.
https://youtu.be/IfG9jUR18qw

Dr. Daniele Ganser: L’Italia: Protettorato degli Stati Uniti (Bologna 12.2.2019)
https://www.youtube.com/watch?v=WgscgXl3iDk

Terrorismo reale. Daniele Ganser, Gli eserciti segreti della NATO. La guerra segreta in Italia, da: "Réseau Voltaire" 2007, 01 di 03.

http://storiasoppressa.over-blog.it/art ... 71261.html


Il terrorismo non rivendicato della NATO – intervista a Daniele Ganser
1 aprile 2014 da Il nodo gordiano

http://www.ilnodogordiano.it/?p=6713

Daniele Ganser, professore di storia contemporanea all’università di Basilea e presidente dell’ Aspo-Svizzera, ha pubblicato un libro “sugli eserciti segreti della NATO”. Secondo lui, gli Stati Uniti hanno organizzato in Europa dell’Ovest durante gli ultimi 50 anni attentati che sono stati attribuiti alla sinistra e alla sinistra estrema per screditarli agli occhi dei loro elettori. Questa strategia dura ancora oggi per suscitare il timore dell’islam e giustificare le guerre per il petrolio.

Silvia Cattori: Il suo lavoro dedicato agli eserciti segreti della NATO [1], spiega come la strategia della tensione [2] e le operazioni “False Flag” [3]- operazioni “false bandiere”, è l’espressione usata per descrivere atti terroristici, portati avanti segretamente da governi o organizzazioni, per essere poi imputate ad altri) implicano dei grandi pericoli. Spiega come la NATO, durante la guerra fredda – in coordinamento con i servizi di informazioni dei paesi dell’Europa occidentale ed il Pentagono – si è servito di eserciti segreti, ha reclutato spie negli ambienti di estrema destra, ed ha organizzato atti terroristici attribuiti poi alla sinistra estrema. Apprendendo ciò, ci si può interrogare su quello che può passare a nostra insaputa.

Daniele Ganser: È molto importante comprendere ciò che la strategia della tensione rappresenta realmente e come ha funzionato durante questo periodo. Ciò può aiutarci ad illuminare il presente ed a vedere meglio in quale misura è sempre in azione. Poca gente sa ciò che l’espressione “strategia della tensione” vuole dire. È molto importante parlarne, spiegarlo. È una tattica che consiste nel commettere degli attentati criminali ed attribuirli a qualcuno di altro. Con il termine tensione ci si riferisce alla tensione emozionale, a ciò che crea una sensazione di timore, di paura. Con il termine strategia, ci si riferisce a chi alimenta le paure della gente riguardo ad un gruppo determinato. Queste strutture segrete della NATO erano state equipaggiate, finanziate e addestrate dalla CIA, in coordinamento con l’MI6 (i servizi segreti britannici), a combattere le forze armate dell’Unione sovietica in caso di guerra, ma anche, secondo le informazioni di cui disponiamo oggi, per commettere attentati terroristici in diversi paesi [4].
Così, fin dagli anni 70, i servizi segreti italiani hanno utilizzato queste armate segrete per fomentare attentati terroristici con lo scopo di causare la paura in seno alla popolazione e, in seguito, accusare i comunisti di essere gli autori. Era il periodo dove la parte comunista aveva un potere legislativo importante al Parlamento. La strategia della tensione doveva servire a screditarlo, indebolirlo, per impedirgli di accedere all’esecutivo.

Silvia Cattori: Apprendere quello che sta dicendo è una cosa. Ma resta difficile credere che i nostri governi abbiano potuto lasciare la NATO , i servizi d’intelligence d’Europa occidentale e la CIA ad agire in modo da minacciare la sicurezza dei loro cittadini!

Daniele Ganser: La NATO era il cuore di questa rete clandestina legata al terrore; il Clandestine Planning Committee (CCP) e l’Allied Clandestine Committee (ACC) erano sottostrutture clandestine dell’Alleanza atlantica, che sono chiaramente identificate oggi. Ma, ora che ciò è stabilito, è sempre difficile sapere chi faceva cosa. Non ci sono documenti per provare chi comandava, organizzava la strategia della tensione, e come la NATO , i servizi di informazioni dell’Europa occidentale, la CIA , il MI6, e i terroristi reclutati negli ambienti di estrema destra, si distribuivano i ruoli. La sola certezza che abbiamo è che c’erano, all’interno di queste strutture clandestine, elementi che hanno utilizzato la strategia della tensione. I terroristi di estrema destra hanno spiegato nelle loro deposizioni che erano i servizi segreti e la NATO che li avevano sostenuti in questa guerra clandestina. Ma quando si chiedono spiegazioni ai membri del CIA o della NATO – ciò che ho fatto durante molti anni – si limitano a dire che potrebbero esserci stati alcuni elementi criminali che sono sfuggiti al controllo.

Silvia Cattori: Questi eserciti segreti operavano in tutti i paesi dell’Europa occidentale?

Daniel Ganser: Con le mie ricerche, ho dimostrato che questi eserciti segreti esistevano, non soltanto in Italia, ma in tutta l’Europa dell’Ovest: in Francia, Belgio, Olanda, Norvegia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Turchia, Spagna, Portogallo, Austria, Svizzera, Grecia, Lussemburgo, Germania. Inizialmente si pensava che ci fosse una struttura di guerriglia unica e che, quindi, questi eserciti segreti avevano tutti partecipato alla strategia della tensione, dunque ad attentati terroristici. Ma, è importante sapere che questi eserciti segreti non hanno tutti partecipato agli attentati. E comprendere ciò che li differenziava poiché avevano attività distinte. Quello che appare chiaramente oggi è che queste strutture clandestine della NATO, generalmente chiamate Stay Behind [5], erano concepite, in origine, per agire come una guerriglia in caso d’occupazione dell’Europa dell’Ovest da parte dell’Unione sovietica. Gli Stati Uniti dicevano che queste reti di guerriglia erano necessarie per superare l’impreparazione nella quale i paesi invasi dalla Germania si erano allora trovati.
Numerosi paesi che hanno conosciuto l’occupazione tedesca, come la Norvegia , volevano trarre le lezioni dalla loro incapacità di resistere all’occupante e si è detto, che in caso di nuova occupazione, dovevano essere meglio preparati, disporre di un’altra opzione e potere contare su un esercito segreto nel caso in cui l’esercito classico venisse distrutto. C’erano, all’interno di questi eserciti segreti, persone oneste, patrioti sinceri, che volevano soltanto difendere il loro paese in caso d’occupazione.

Silvia Cattori: Se comprendo bene, questo Stay behind il cui obiettivo iniziale era quello di prepararsi in caso di un’invasione sovietica, è stato deviato da questo scopo per combattere la sinistra. Di conseguenza, si è penato a comprendere perché i partiti di sinistra non hanno indagato, denunciato queste deviazioni prima?

Daniele Ganser: Se si prende il caso dell’Italia, appare che, ogni volta che la parte comunista ha sfidato il governo per ottenere spiegazioni sull’esercito segreto che operava in questo paese sotto il nome di codice Gladio [6], non ci sono state risposte con il pretesto di segreto di Stato. È soltanto nel 1990 che Giulio Andreotti [7] ha riconosciuto l’esistenza di Gladio ed i suoi legami diretti con la NATO , la CIA e il MI6 [8]. È in questo periodo che il giudice Felice Casson ha potuto provare che il vero autore dell’attentato di Peteano nel 1972, che aveva scosso l’Italia, e che era stato attribuito a militanti di estrema sinistra, era Vincenzo Vinciguerra, apparentato Ordine Nuovo, un gruppo di estrema destra. Vinciguerra ha riconosciuto di aver commesso l’attentato di Peteano con l’aiuto dei servizi segreti italiani. Vinciguerra ha anche parlato dell’esistenza di questo esercito segreto chiamato Gladio. E ha spiegato che, durante la guerra fredda, questi attentati clandestini avevano causato la morte di donne e di bambini [9].
Ha anche affermato che queste armate segrete controllate dalla NATO, avevano ramificazioni ovunque in Europa. Quando quest’informazione è uscita, ha provocato una crisi politica in Italia, ed è grazie alle indagini del giudice Felice Casson che siamo stati messi al corrente degli eserciti segreti della NATO. Nella Germania, quando i Socialisti del SPD hanno appreso, nel 1990, che esisteva nel loro paese – come in tutti gli altri paesi europei – un esercito segreto, e che questa struttura era legata ai servizi segreti tedeschi, hanno gridato allo scandalo ed incolpato la parte democristiana (CDU). Questi hanno reagito dicendo: se voi ci accusate, diremo pubblicamente che, anche voi, con Willy Brandt, avevate preso parte a questa cospirazione. Questo coincideva con le prime elezioni della Germania riunificata, che gli SPD speravano di vincere. I dirigenti del SPD hanno capito che non era un buono argomento elettorale; per finire hanno lasciato intendere che quest’eserciti segreti erano giustificabili. Al Parlamento europeo, nel novembre 1990, voci si sono alzate per dire che non si poteva tollerare l’esistenza di eserciti clandestini, né lasciare senza spiegazione degli atti di terrore la cui origine reale non era delucidata, e che occorreva indagare. Il Parlamento europeo ha dunque protestato per iscritto alla NATO ed il presidente George Bush senior. Ma nulla è stato fatto. Soltanto in Italia, in Svizzera ed in Belgio, che indagini pubbliche sono state iniziate. Sono del resto i tre soli paesi che hanno fatto un po’di ordine in quest’affare e che hanno pubblicato una relazione sui loro eserciti segreti.

Silvia Cattori: Cosa ne è oggi? Questi eserciti clandestini sarebbero ancora attivi?

Daniele Ganser: Per uno storico, è difficile rispondere a questa domanda. Non si dispone di un rapporto ufficiale paese per paese. Nei miei lavori, analizzo fatti che posso provare. Per quanto riguarda l’Italia, c’è una relazione che dice che l’esercito segreto Gladio è stato eliminato. Sull’esistenza dell’esercito segreto P 26 in Svizzera, esiste anche un rapporto del Parlamento, nel novembre 1990. Dunque, quest’eserciti clandestini, che avevano conservato esplosivi nei loro nascondigli ovunque in Svizzera, sono state sciolte. Ma, negli altri paesi, non si sa nulla. In Francia, mentre il presidente François Mitterrand aveva affermato che tutto ciò apparteneva al passato, si è appreso successivamente che queste strutture segrete erano sempre attive quando Giulio Andreotti ha lasciato intendere che il presidente francese mentiva: “Voi dite che gli eserciti segreti non esistono più; ma, nel corso della riunione segreta dell’autunno 1990, anche voi francesi eravate presenti; non avete detto che ciò non esiste più″.
Mitterrand fu molto contrariato con Andreotti poiché, dopo questa rivelazione, egli dovette rettificare la sua dichiarazione. Più tardi l’ex direttore dei servizi segreti francesi, l’ammiraglio Pierre Lacoste, ha confermato che questi eserciti segreti esistevano anche in Francia, e che anche la Francia aveva avuto delle implicazioni in attentati terroristici [10].
È dunque difficile dire se tutto è passato. E, anche se le strutture Gladio sono state sciolte, potrebbero avere create delle nuove pur continuando a utilizzare la tecnica della strategia della tensione e del “False flag”.

Silvia Cattori: Si può pensare che, dopo il crollo dell’URSS, gli Stati Uniti e la NATO abbiano continuato a sviluppare la strategia della tensione e “False flag” su altri fronti?

Daniele Ganser: Le mie ricerche si sono concentrate sul periodo della guerra fredda in Europa. Ma si sa che ci sono state altrove delle “False flag” dove la responsabilità degli stati è stata provata. Esempio: gli attentati, nel 1953, in Iran, inizialmente attribuiti a comunisti iraniani. Ma, è risultato che la CIA e il MI6 si sono serviti di agenti provocatori per orchestrare la caduta del governo Mohammed Mossadeq, questo nel quadro della guerra per il controllo del petrolio. Altro esempio: gli attentati, nel 1954, in Egitto, che si erano inizialmente attribuiti ai musulmani. Si è provato successivamente che, nell’affare chiamato Lavon [11], sono stati agenti del Mossad gli autori. Qui, si trattava per Israele di ottenere che le truppe britanniche non lasciassero l’Egitto ma vi rimanessero, per garantire la protezione di Israele.
Così, abbiamo esempi storici che dimostrano che la strategia della tensione e la “False flag” sono state utilizzate dagli USA, la Gran Bretagna e Israele. Ci occorre ancora proseguire le ricerche in questi settori, poiché, nella loro storia, altri paesi hanno utilizzato la medesima strategia.

Silvia Cattori: Queste strutture clandestine della NATO, create dopo la Seconda Guerra Mondiale, sotto l’impulso degli Stati Uniti, per dotare i paesi europei di un esercito capace di resistere ad un’invasione sovietica, sono serviti soltanto per condurre operazioni criminali contro cittadini europei? Tutto porta a pensare che gli Stati Uniti guardavano a qualcosa d’altro!

Daniele Ganser: Avete ragione a sollevare la questione. Gli Stati Uniti erano interessati al controllo politico. Questo controllo politico è un elemento essenziale per la strategia di Washington e di Londra. Il generale Geraldo Serravalle, capo di Gladio, la rete italiana Stay-behind, lo spiega nel suo libro. Egli racconta che ha compreso che gli Stati Uniti non erano interessati dalla preparazione di una guerriglia in caso d’invasione sovietica, quando ha visto che, cosa che interessava agli agenti dell’CIA, che assistevano alle esercitazioni d’addestramento dell’esercito segreto che dirigeva, era di assicurarsi che questo esercito funzionasse in modo da controllare le azioni dei militanti comunisti.
Il loro timore era l’arrivo dei comunisti al potere in paesi come la Grecia , l’Italia, Francia. Ecco a cosa doveva servire la strategia della tensione: orientare ed influenzare la politica di alcuni paesi dell’Europa dell’Ovest.

Silvia Cattori: Avete parlato dell’elemento emozionale come fattore importante nella strategia della tensione. Dunque, il terrore, la cui origine resta sfocata, dubbia, la paura che provoca, serve a manipolare l’opinione pubblica. Non si assiste oggi agli stessi metodi? Ieri, si utilizzava la paura del comunismo, oggi non si utilizza la paura dell’islam?

Daniele Ganser: Sì, c’è un parallelo nettissimo. In occasione dei preparativi della guerra contro l’Iraq, si è detto che Saddam Hussein possedeva armi biologiche, che c’era un legame tra il Iraq e gli attentati dell’11 settembre, o che c’era un legame tra l’Iraq e i terroristi di Al Qaida. Ma tutto ciò non era vero. Con queste menzogne, si voleva fare credere al mondo che i musulmani volevano spargere il terrorismo ovunque, che questa guerra era necessaria per combattere il terrore. Ma, la vera ragione della guerra è il controllo delle risorse energetiche. A causa della geologia, le ricchezze di gas e petrolio si concentrano nei paesi musulmani. Quello che vogliono accaparrarsi, deve nascondersi dietro questo tipo di manipolazioni.
Ora non si può dire che non c’è più molto petrolio poiché il massimo della produzione globale – “picco di petrolio” [12] – si verificherà probabilmente prima del 2020 e che occorre dunque andare a prendere il petrolio in Iraq, perché la gente direbbe che non occorre uccidere bambini per questo. Ed hanno ragione. Non si può nemmeno dire che, nel Mar Caspio, ci sono riserve enormi e che si vuole creare una conduttura verso l’oceano indiano ma che, siccome non si può passare per l’Iran al sud, né passare per la Russia al nord, occorre passare per l’est, il Turkmenistan e l’Afghanistan, e dunque, occorre controllare questo paese.
È per questo che si definiscono i musulmani come “terroristi”. Sono grandi menzogne, ma se si ripete mille volte che i musulmani sono “terroristi”, la gente finirà per crederlo e per accettare che queste guerre antimusulmane sono utili; dimenticando che ci sono molte forme di terrorismo, che la violenza non è per forza una specialità musulmana.

Silvia Cattori: Insomma, queste strutture clandestine sono state sciolte, ma la strategia della tensione ha potuto continuare?

Daniele Ganser: È esatto. Possono avere sciolto le strutture, e averne formato delle nuove. È importante spiegare come, nella strategia della tensione, la tattica e la manipolazione funzionano. Tutto ciò non è legale. Ma, per gli Stati, è più facile manipolare persone che dire loro che si cerca di mettere le mani sul petrolio di altri. Tuttavia, tutti gli attentati non derivano dalla strategia della tensione. Ma è difficile sapere quali sono gli attentati manipolati. Anche coloro che sanno che la maggioranza deli attentati sono manipolati da Stati per screditare un nemico politico, possono scontrarsi con un ostacolo psicologico. Dopo ogni attentato, la gente ha paura, è confusa. È molto difficile farsi all’idea che la strategia della tensione, la strategia del “False flag”, è una realtà. È più semplice accettare la manipolazione e dirsi: “Da trenta anni mi tengo informato e non ho mai sentito parlare di questi eserciti criminali. I musulmani ci attaccano, è per questo che si combatte”.

Silvia Cattori: Fin dal 2001, l ’Unione europea ha instaurato misure antiterroriste. È sembrato in seguito che queste misure hanno permesso alla CIA di rapire gente, di trasportarli in luoghi segreti per torturarli. Gli Stati europei non sono diventati un po’ ostaggi e sottomessi agli Stati Uniti?

Daniele Ganser: Gli stati europei hanno avuto un atteggiamento abbastanza debole in relazione agli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Dopo avere affermato che le prigioni segrete erano illegali, hanno lasciato fare. Stessa cosa con i prigionieri di Guantanamo. Delle voci si sono alzate in Europa per dire: “non si possono privare i prigionieri della difesa di un avvocato”. Quando la signora Angela Merkel ha evocato la questione, gli Stati Uniti hanno chiaramente lasciato intendere che la Germania è stata un po’ implicata in Iraq, che i suoi servizi segreti avevano contribuito a preparare la guerra, dunque dovevano tacersi.

Silvia Cattori: In questo contesto, in cui ci sono ancora molte zone d’ombra, quale sicurezza può portare la NATO al popolo che presumibilmente dovrebbe proteggere se permette a servizi segreti di manipolare?

Daniele Ganser: Per quanto riguarda gli attentati terroristici manipolati dagli eserciti segreti della rete Gladio durante la guerra fredda, è importante potere determinare chiaramente qual è l’implicazione reale della NATO là dentro, di sapere ciò che è realmente avvenuto. Si trattava di atti isolati o di atti organizzati segretamente dalla NATO? Fino ad oggi, la NATO ha rifiutato di parlare della strategia della tensione e del terrorismo durante la guerra fredda, rifiuta ogni questione che riguarda Gladio. Oggi, ci si serve della NATO come un’una armata offensiva, mentre quest’organizzazione non è stata creata per svolgere questo ruolo. E’ stata attivato in questo senso, il 12 settembre 2001, immediatamente dopo gli attentati di New York. I dirigenti della NATO affermano che la ragione della loro partecipazione alla guerra contro gli Afgani è di combattere il terrorismo. Ma, la NATO rischia di perdere questa guerra. Ci sarà, allora, una grande crisi, dibattiti. Che permetterà allora di sapere se la NATO conduce, come afferma, una guerra contro il terrorismo, o se ci si trova in una situazione simile a quella che si è conosciuta durante la guerra fredda, con l’esercito segreto Gladio, dove c’era un legame con il terrorismo. Gli anni futuri diranno se la NATO ha agito esternamente alla missione per la quale è stata fondata: difendere i paesi europei e gli Stati Uniti in caso d’invasione sovietica, evento che non si è mai verificato. La NATO non è stata fondata per impadronirsi del petrolio o del gas dei paesi musulmani.

Silvia Cattori: Si potrebbe ancora comprendere come Israele, che ha interessi ad allargare i conflitti nei paesi arabi e musulmani, incoraggi gli Stati Uniti in questo senso. Ma non si vede quale può essere l’interesse degli stati europei ad impegnare truppe in guerre decise dal Pentagono, come in Afghanistan?

Daniele Ganser: Penso che l’Europa è confusa. Gli Stati Uniti sono in una posizione di forza, e gli europei hanno tendenza a pensare che la migliore cosa sia di collaborare con i più forti. Ma occorrerebbe riflettere un po’ di più. I parlamentari europei cedono facilmente alla pressione degli Stati Uniti che richiedono sempre più truppe su questo o quel fronte. Più i paesi europei cedono, più si sottomettono, e più si troveranno con problemi sempre più grandi. In Afghanistan, i tedeschi e i britannici sono sotto comando dell’esercito statunitense.
Strategicamente, non è una posizione interessante per questi paesi.
Ora, gli Stati Uniti hanno chiesto ai tedeschi di impegnare i loro soldati anche al sud dell’Afghanistan, nelle zone in cui la battaglia è più cruenta. Se i tedeschi accetteranno, rischiano di farsi massacrare dalle forze afgane che rifiutano la presenza di qualsiasi occupante. La Germania dovrebbe seriamente chiedersi se non fosse il caso di ritirare i suoi 3000 soldati di Afghanistan. Ma, per i tedeschi, disubbidire agli ordini degli Stati Uniti, di cui sono un po’ vassalli, è un passo difficile da fare.

Silvia Cattori: Cosa sanno le autorità che ci governano oggi della strategia della tensione? Possono continuare come ciò a lasciare guerrafondai fomentare colpi di Stato, rapire e torturare gente senza reagire? Hanno ancora i mezzi per impedire queste attività criminali?

Daniele Ganser: Non so. Come storico, osservo, prendo nota. Come consigliere politico, dico sempre che non occorre cedere alle manipolazioni che mirano a suscitare la paura e fare credere che i “terroristi” siano sempre i musulmani; dico che si tratta di una lotta per il controllo delle risorse energetiche; che occorre trovare mezzi per sopravvivere alla penuria energetica senza andare nel senso della militarizzazione. Non si possono risolvere i problemi in questo modo; li peggiorano.

Silvia Cattori: Quando si osserva la diabolizzazione degli Arabi e dei musulmani a partire dal conflitto israeliano-palestinese, ci si dice che ciò non ha nulla a che vedere con il petrolio.

Daniele Ganser: Sì, in questo caso sì. Ma, nella prospettiva degli Stati Uniti, si tratta di una lotta per prendere il controllo delle riserve energetiche del blocco eurasiatico che si situa in questa “ellisse strategico” che va dall’Azerbaigian passando per il Turkmenistan ed il Kazachistan, fino all’Arabia Saudita, Iraq, Kuwait e Golfo Persico.
È precisamente là, in questa regione in cui si svolgono le pretese guerre “contro il terrorismo”, che si concentrano le importanti riserve in petrolio e gas. Secondo me, non si tratta di altra cosa che di una sfida geostrategica dentro la quale l’Unione europea può soltanto perdere. Poiché, se gli Stati Uniti prendono il controllo di quelle risorse, e la crisi energetica peggiora, diranno: “volete gas, volete petrolio, molto bene, in cambio vogliamo questo e quello”. Gli Stati Uniti non daranno gratuitamente il petrolio ed il gas ai paesi europei. Poche persone sanno che il “picco del petrolio”, il massimo della produzione, è stato già raggiunto nel mare del Nord e che, quindi, la produzione del petrolio in Europa – la produzione della Norvegia e della Gran Bretagna – è in declino. Il giorno che la gente si renderà conto che queste guerre “contro il terrorismo” sono manipolate, e che le accuse contro i musulmani sono, in parte, della propaganda, rimarranno sorpresi. Gli Stati europei devono svegliarsi e comprendere infine come la strategia della tensione funziona. E devono anche iniziare a dire no agli Stati Uniti. Inoltre, negli Stati Uniti anche, c’è molta gente che non vuole questa militarizzazione delle relazioni internazionali.

Silvia Cattori: Avete anche fatto ricerche sugli attentati dell’11 settembre 2001 e scritto un libro [13] con altri intellettuali che si preoccupano delle incoerenze e delle contraddizioni nella versione ufficiale di questi eventi come le conclusioni della Commissione d’indagine delegata da Mister Bush? Non temete di essere accusati di “teoria del complotto”?

Daniele Ganser: I miei studenti e altra persone mi hanno sempre chiesto: se questa “guerra contro il terrorismo” riguarda realmente il petrolio ed il gas, gli attentati dell’11 settembre non sono stati anch’essi manipolati? O è una coincidenza, che i musulmani di Osama bin Laden abbiano colpito esattamente nel momento in cui i paesi occidentali iniziavano a capire che una crisi del petrolio si annunciava? Ho dunque iniziato ad interessarmi a ciò che era stato scritto sull’11 settembre ed a studiare anche la relazione ufficiale che presentata nel giugno 2004. Quando ci si immerge in quest’argomento, ci si accorge di primo acchito che c’è un grande dibattito planetario attorno a ciò che è realmente avvenuto l’11 settembre 2001. L ’informazione che abbiamo non è precisa. Quello che chiede precisazione nel rapporto di 600 pagine è che la terzo torre che è crollata quel giorno, non è neppure citata. La Commissione parla soltanto del crollo delle due torri, “Twin Towers”. Mentre c’è una terza torre, alta 170 metri , che è crollata; la torre si chiamava WTC 7. Si parla di un piccolo incendio in quel caso. Ho parlato con i professori che conoscono perfettamente la struttura degli edifici; dicono che un piccolo incendio non può distruggere una struttura di una simile dimensione. La storia ufficiale sull’11 settembre, le conclusioni della commissione, non sono credibili. Questa mancanza di chiarezza mette i ricercatori in una situazione molto difficile. La confusione regna anche su ciò che è realmente avvenuto al Pentagono. Sulle fotografie che abbiamo è difficile vedere un aereo. Non si vede come un aereo possa essere caduto là.

Silvia Cattori: Il Parlamento del Venezuela ha chiesto agli Stati Uniti di avanzare ulteriori spiegazioni per chiarire l’origine di quegli attentati. Ciò non dovrebbe essere un esempio da seguire?

Daniele Ganser: Ci sono molte incertezze sull’11 settembre. I parlamentari, gli universitari, i cittadini possono chiedere conto su ciò che è realmente avvenuto. Penso sia importante continuare ad interrogarsi. È un evento che nessuno può dimenticare; ciascuno si ricorda dove si trovava in quel momento preciso. È incredibile che, cinque anni più tardi, non si sia ancora arrivati a vedere chiaro.

Silvia Cattori: Si direbbe che nessuno voglia rimettere in discussione la versione ufficiale. Si sarebbero lasciati manipolare con la disinformazione organizzata da strateghi della tensione e False flag? Daniele Ganser: Si è manipolabile se si ha paura; paura di perdere il proprio lavoro, paura di perdere il rispetto della gente. Non si può uscire da questa spirale di violenza e di terrore se ci si lascia manipolare dalla paura. È normale avere paura, ma occorre parlare apertamente di questa paura e delle manipolazioni che la generano. Nessuno può sfuggire alle loro conseguenze. Ciò è tanto più grave in quanto i responsabili politici agiscono spesso sotto l’effetto di questa paura. Occorre trovare la forza di dire: “Sì ho paura di sapere che queste menzogne fanno soffrire la gente; sì ho paura di pensare che non ci sia più molto petrolio; sì ho paura di pensare che questo terrorismo di cui si parla è la conseguenza di manipolazioni, ma non mi lascerò intimidire”.

Silvia Cattori: Fino a che punto paesi come la Svizzera partecipano, attualmente, alla strategia della tensione?

Daniele Ganser: Penso che non ci sia strategia della tensione in Svizzera. Questo paese non conosce attentati terroristici. Ma, la cosa vera è che, in Svizzera come altrove, è che i politici che temono gli Stati Uniti, le loro posizioni di forza, tendono a dire: sono buoni amici, non abbiamo interesse a batterci con loro.

Silvia Cattori: Questo modo di pensare e coprire le menzogne che derivano dalla strategia della tensione, non rendono tutti complici dei crimini che comporta? A cominciare dai giornalisti e partiti politici?

Daniele Ganser: Penso, personalmente, che tutti i giornalisti, universitari, politici devono riflettere sulle implicazioni della strategia della tensione e del “False flag”. Noi siamo evidentemente in presenza di fenomeni che sfuggono a qualsiasi comprensione. È per questo che, ogni volta che ci sono attentati terroristici, occorre interrogarsi e cercare di comprendere cosa si nasconde dietro. È soltanto il giorno in cui si ammetterà ufficialmente che le False flag sono una realtà, che si potrà stabilire una lista delle False flag che hanno avuto luogo nella storia e mettersi d’accordo su ciò che occorrerà fare.
La ricerca della pace è il tema che m’interessa. È importante aprire il dibattito sulla strategia della tensione e prendere atto che si tratta di un fenomeno reale. Fintantoché non si accetterà di riconoscere la sua esistenza, non si potrà agire. È per questo che è importante spiegare quello che la strategia della tensione significa realmente. E, una volta compreso, non di lasciarsi prendere dalla paura e odio contro un gruppo. _ Bisogno dire che non è soltanto un paese implicato; che non sono soltanto gli Stati Uniti, Italia, Israele o gli iraniani, ma che questo si produce ovunque, anche se alcuni paesi vi partecipano in modo più intenso di altri. Occorre comprendere, senza accusare tale paese o tale persona. Il timore e l’odio non aiutano ad avanzare ma paralizzano il dibattito. Vedo molti accuse contro gli Stati Uniti, contro Israele, la Gran Bretagna , o alternativamente, contro l’Iran, la Siria. Ma la ricerca della pace insegna che non occorre abbandonarsi a delle accuse basate sul nazionalismo, e che non serve né odio né paura; è più importante spiegare. Questa comprensione sarà benefica per noi tutti.

Silvia Cattori: Perché il vostro libro sugli eserciti segreti della NATO, pubblicato in inglese, tradotto in italiano, in turco, sloveno e presto in greco, non è pubblicato in francese?

Daniele Ganser: Non ho ancora trovato un editore in Francia. Se un editore è interessato a pubblicare il mio libro sarò felicissimo di vederlo tradotto in francese.
Fonte: http://www.voltairenet.org/article144711.html

[1] Nato’s secret Armies : Terrorism in Western Europe par Daniele Gabnser, préface de John Prados. Frank Cass éd., 2005. ISBN 07146850032005

[2] C’est après l’attentat de Piazza Fontana à Milan en 1969 que l’expression stratégie de la tension a été entendue pour la première fois.

[3] False flag operations (opérations faux drapeaux) est l’expression utilisée pour désigner des actions terroristes, menées secrètement par des gouvernements ou des organisations, et que l’on fait apparaître comme ayant été menées par d’autres.

[4] « Stay-behind : les réseaux d’ingérence américains » par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 20 août 2001.

[5] Stay behind (qui veut dire : rester derrière en cas d’invasion soviétique) est le nom donné aux structures clandestines entraînées pour mener une guerre de partisans.

[6] Gladio désigne l’ensemble des armées secrètes européennes qui étaient sous la direction de la CIA.

[7] Président du Conseil des ministres, membre de la démocratie chrétienne.

[8] « Rapport Andreotti sur l’Opération Gladio » document du 26 février 1991, Bibliothèque du Réseau Voltaire.

[9] « 1980 : carnage à Bologne, 85 morts », Réseau Voltaire, 12 mars 2004.

[10] « La France autorise l’action des services US sur son territoire » par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 8 mars

[11] Affaire Lavon, du nom du ministre de la Défense israélien qui a dû démissionner quand le Mossad a été démasqué comme ayant trempé dans ces actes criminels

[12] Voir : « Odeurs de pétrole à la Maison-Blanche », Réseau Voltaire, 14 décembre 2001. « Les ombres du rapport Cheney » par Arthur Lepic, 30 mars 2004. « Le déplacement du pouvoir pétrolier » par Arthur Lepic, 10 mai 2004. « Dick Cheney, le pic pétrolier et le compte à rebours final » par Kjell Aleklett, 9 mars 2005.« L’adaptation économique à la raréfaction du pétrole » par Thierry Meyssan, 9 juin 2005.

[13] 9/11 American Empire : Intellectual speaks out, sous la direction de David Ray Griffin, Olive Branch Press, 2006
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:06 am

QUANDO I VECCHI TIC RITORNANO
di Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera
20 aprile 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Ci sono gli interessi lesi di coloro che facevano business con la Russia o di quelli che in Europa Putin finanziava fino a poco tempo fa.
Ci sono poi i tanti che non accettano l’idea di dover fare sacrifici a causa della congiuntura economica negativa creata dalla guerra. C’è anche la tentazione di altri, per paura, di darla vinta a Putin («si prenda pure l’Ucraina purché lasci in pace noi»). Ma tutto ciò detto, il singolo fattore politico-ideologico che può togliere compattezza all’Occidente, che può fare vacillare il fronte interno in alcuni Paesi europei, è l’anti-americanismo.

Declinato in vari modi, a seconda delle tradizioni del Paese. Si coniuga col nazionalismo in Francia. In Italia, invece, ha per lo più altre fonti di alimentazione: come i cascami del vecchio internazionalismo comunista o come l’antica, e mai realmente sradicata, ostilità di parti del mondo cattolico nei confronti delle democrazie protestanti. Poiché però quasi nessuno vuole più parlare in nome di ideologie usurate i più si mimetizzano, sventolano bandiere pacifiste. Mentre il loro vero desidero sarebbe quello di bruciare la bandiera americana.
Va tenuto distinto dagli altri antiamericani oggi in azione in Italia, tesi ad erodere il fronte interno, lo storico dell’antichità Luciano Canfora.
Canfora non si mimetizza, non si traveste da pacifista. Nella sua visione, come risulta dai suoi scritti, le democrazie occidentali sono pseudo-democrazie dominate da spietate oligarchie finanziarie. Gli Stati Uniti sono il vertice di questa specie di cupola mafiosa. Per Canfora la storia insegna che i tiranni, o per lo meno alcuni di loro, che di tanto in tanto si affermano, da Giulio Cesare a Stalin, sono i liberatori o i campioni di classi subalterne sfruttate dalle oligarchie. I loro crimini sono imposti dalla necessità e non sono comunque più gravi o più condannabili di quelli praticati quotidianamente dalle oligarchie di volta in volta al potere.
È superfluo dire che chi scrive non condivide nulla di questa visione. Ciò che per Canfora è pseudo-democrazia, ossia la democrazia liberale occidentale, per chi scrive è una approssimazione, certamente imperfetta, della politeia aristotelica, un governo misto che combina, in modo passabilmente accettabile, partecipazione popolare, preminenza delle classi medie, ruolo delle élite e protezione delle libertà personali.
I liberali europei sono filo-americani per la stessa ragione per cui Canfora è anti-americano: senza la presenza statunitense forse varie democrazie europee, e sicuramente quella italiana, sarebbero finite da molto tempo a gambe all’aria.
La posizione di Canfora, comunque, non va confusa con quella di coloro che, per l’occasione, hanno indossato abiti pacifisti. Dicono «no alla guerra» sottintendendo «no alla Nato». Quando sostengono che non bisogna mandare armi agli ucraini «per non prolungare le loro sofferenze» stanno in realtà dicendo: condividiamo con Putin l’ostilità e la repulsione per la democrazia (quella che il dittatore russo vuole sopprimere in Ucraina) e, massimamente, per il Paese guida delle democrazie, gli Stati Uniti. Non c’è bisogno di spendere molte parole su di loro. In modo diverso 5 Stelle e Lega, pur con le prudenze necessarie per chi fa parte della coalizione di governo, cercano di intercettare gli elettori più influenzati da questo orientamento.
C’è un altro aspetto che invece vale la pena di considerare con una certa attenzione. I due partiti oggi favoriti dai sondaggi, Pd e Fratelli d’Italia, per merito dei loro segretari, hanno fatto una scelta netta, con l’Occidente contro Putin. C’è da notare però una differenza. Fratelli d’Italia rivendica il suo atlantismo mentre sull’Europa, in linea con altri gruppi conservatori europei, ha una posizione che, se andasse al governo, renderebbe difficile all’Italia collaborare con Francia e Germania.
Il Pd, per contro, ha fatto dell’europeismo una bandiera, rivendica la sua sintonia con i Paesi-guida dell’Europa ma, scelte sulla guerra a parte, sembra restio al dichiararsi apertamente atlantista. A causa, verosimilmente, dei sentimenti anti-americani che continuano a circolare nella sua base di riferimento (Anpi, Cgil, eccetera). Dal Pd vengono dette cose apprezzabili sull’Europa (Enrico Letta su il Foglio dell’11 aprile) ma si nota anche una certa reticenza a proposito degli Stati Uniti. Il Pd, per esempio, è un deciso sostenitore della necessità di una difesa europea. Ma non è del tutto chiaro come risponderebbe alla seguente domanda: la difesa europea può avere un senso (militarmente e politicamente parlando) se non viene intesa come la gamba europea della Nato? La sensazione è che il Pd, che è certamente schierato con la Nato, sia tuttavia costretto a glissare il più possibile su questi argomenti per non suscitare reazioni e opposizioni interne.
C’è poi il mondo cattolico. Forse qualche storico delle religioni è in grado di spiegare perché una parte di quel mondo preferisca di gran lunga dialogare con gli ortodossi russi (tradizionalmente asserviti al potere politico) piuttosto che con i protestanti anglosassoni. L’anti-americanismo cattolico ha radici antiche, è già presente nell’Ottocento. Dopo la Seconda guerra mondiale certe correnti non hanno mai perdonato al cattolico liberale Alcide De Gasperi la scelta atlantica.
I vecchi tic sono riaffiorati con l’aggressione all’Ucraina. Dalla difficoltà di definire apertamente e chiaramente la guerra difensiva degli ucraini come una «guerra giusta» all’accusa all’Occidente (leggi: agli Stati Uniti) di non volere la fine della guerra e, comunque, di non fare abbastanza per portare Putin al tavolo di pace.
Ebbene sì: l’Occidente non è soltanto democratico, è anche una società capitalista, un sistema di economia di mercato tenuto insieme dalla leadership politica, economica e militare americana. Per alcuni, che delle società occidentali stigmatizzano i tanti errori, e che sono ben rappresentati in Italia, dovremmo vergognarcene. Per altri invece, guarda un po’, l’Occidente è come la democrazia per Churchill: la peggiore civiltà, eccezion fatta per tutte le altre.


ROSSOBRUNO CARDINIANO
Niram Ferretti
12 giugno 2022

https://www.facebook.com/niram.ferretti ... 9216938854

Nel mondo di cartapesta di Franco Cardini, fu medievalista e poi ideologo e fabbricatore di fiction in cui i fatti e la realtà si dissolvono per lasciare apparire al loro posto immagini tra l’onirico e il fantastico, c’è una costante che non delude mai i suoi lettori, il cattivo, infatti, è sempre l’Occidente e il buono è sempre ciò che ad esso si contrappone.
Nulla di che meravigliarsi, già ragazzo, Cardini venne folgorato dall’ex collaborazionista e ardente ammiratore del Terzo Reich, Jean Thiriart, fondatore dell’organizzazione Giovane Europa che aveva come finalità quella di sganciare il vecchio continente dagli Stati Uniti e dal Patto Atlantico. Da allora e forse anche prima, non è dato saperlo, gli USA, agli occhi di Cardini, come a quelli del suo assai più celebre omologo americano, Noam Chomsky, sono diventati come Mordor ne “Il Signore degli Anelli”.
Tutto è buono quando si tratta di resistere all’impero del denaro, all’arrembaggio del Weltmarket. Non importa se oggi l’ex Cina comunista vi si sia convertita, sono gli USA la minaccia maggiore alla sopravvivenza del pianeta. E Cardini, che, nella sua vita è stato uomo di intersecazioni, in modo particolare quella tra gli “ismi”, di cui, l’Islam è l’ultima folgorazione dopo le amorevoli inclinazioni fascio-catto-comuniste che lo hanno preceduto, ha trovato anche in esso un buon antidoto.
Lo si comprende. L’Islam è l’approdo di tutto ciò che sanamente si contrappone alla tabe occidentale, ed è, infondo, la soluzione ultima, anche se iniziale (essendo esso, per i suoi seguaci, la religione primigenia dell’umanità), a ogni alienazione.
Lo scrisse chiaramente un eroe cardiniano, l’ayatollah Khomeini a Gorbaciov, il 1 1°gennaio del 1989: “Dichiaro chiaramente che la Repubblica Islamica dell’Iran, che è il bastione più saldo dell’Islam nel mondo, può facilmente riempire il vuoto ideologico del vostro sistema”. Ed è davvero un peccato che Cardini non sia giunto prima di ora a queste stesse conclusioni, si sarebbe risparmiato molta fatica, deviazioni e strade senza uscita.
Leggerlo fa sempre gusto. Il campionario è vintage, ma come il classici non delude mai. Così, in una intervista di un paio di anni concessa al sito, Osservatorio globalizzazione impariamo che:
“Il Patto di Varsavia, l’alleanza politico-militare tra URSS e i paesi suoi “satelliti”, è stata la necessaria risposta al patto NATO, a sua volta determinato dal fatto che gli statunitensi, rompendo una loro consuetudine politica che datava dalla cosiddetta “dottrina Monroe”, hanno preso a impegnarsi sempre di più come potenza egemone non solo sul Pacifico, ma anche sull’Atlantico. Una volta disintegrata l’Unione Sovietica, anche grazie all’impegno politico, diplomatico e culturale statunitense e allo strumento propagandistico degli ideali della “società del benessere”, vale a dire del consumismo, quella politica si è procurata altri nemici, sempre più agguerriti nella misura nella quale essa, provocando una sempre maggior concentrazione di ricchezza, determinava un generale impoverimento dei popoli”.
Nemmeno Gianni Minà o Lucio Manisco. L’URSS virtuosa con i suoi alti ideali di eguaglianza e fraternità che ha dovuto soccombere contro il Weltmarket, il peggiore flagello che ha colpito l’umanità e di cui Adam Smith, Ludwig Von Mises, Friederich Hayek sono stati i sacerdoti. Esemplare.
La politica imperialista economica americana che impoverisce i popoli e arricchisce se stessa è filastrocca assai stantia, ma sempre efficace nonostante i fatti la smentiscano inesorabilmente. Basta guardare i dati concreti (ma gli ideologhi hanno sommo orrore della realtà) dal dopoguerra ad oggi per quanto riguarda il livello di povertà nel mondo. Come ha dichiarato recentemente il presidente del World Bank Group, Jim Yong Kim, “Negli ultimi 25 anni, più di un miliardo di persone sono uscite dall’estrema povertà e il livello globale della povertà è oggi inferiore a quello mai storicamente registrato. Questo è uno dei più grandi conseguimenti umani della nostra epoca ”. Ma non c’è nulla da fare, “I fatti non hanno accesso nel regno delle nostre fedi”, scriveva Marcel Proust. E la fede di Cardini è granitica, la sua ortodossia non ammette smagliature. Nella stessa intervista può infatti proclamare:
“Le potenze occidentali sottoposte all’egemonia statunitense hanno largamente provato di aver bisogno, per sopravvivere a se stesse conferendosi valori etici e culturali che evidentemente non sono più in grado di promuovere, di un “nemico metafisico”. L’Occidente contemporaneo, dopo aver battuto il “Male assoluto” nazista e l’”Impero del Male” comunista e sovietico (espressione coniata da Ronald Reagan nel 1983), aveva bisogno d’inventarsi un altro nemico, il “Terrore islamico”. Questa espressione si diffuse globalmente nel 2001, dopo l’11 settembre, e fu poi adottata dal governo di George W. Bush jr. a proposito del rais iracheno Saddam Hussein, precipitosamente derubricato da alleato nella tensione contro l’Iran a “nuovo Hitler” nella seconda guerra del Golfo.. L’adozione del passepartout ideologico costituito dal libro The clash of civilizations di Samuel Huntington e i movimenti neoconservative e theoconservative statunitensi, facilmente impiantati anche da noi, hanno fatto il resto, favorendo un ridicolo clima da “nuova crociata”.
È questo il feuiletton preferito del cantastorie rossobruno. Torvo, cupo. Un po’ Dumas, un po’ Eugène Sue. L’Occidente a traino americano che si inventa i mali, prima il nazismo, poi il comunismo, e poi, sì, poi, l’Islam nella forma del “terrore islamico”. Perché anche questa è una fola. Certo. Il jihad non fu mai praticato dai seguaci di Maometto se non come tenzone spirituale, è cosa nota. L’Islam è sempre stato pacifico e se, a volte, è stato guerriero, lo è sempre stato per reazione, per necessità, mai per vocazione. Fu solo e unicamente per reazione che nel settimo secolo il jihad detonò dall’Arabia. L’imperialismo islamico si impose solo per difesa, in Occidente come in Asia e in Africa. Certamente reazione fu, a chi non voleva e non vuole sottomettersi al Verbo del Profeta. Ma, per Cardini, le crociate sono solo state cristiane, e i cattivi da copione sono caucasici, europei in primis e poi, in seconda battuta, ameriKani. Quanto a Samuel Huntington è un vero villain, va bene per tutte le occasioni. I terzomondisti, o alterglobalisti, ne hanno fatto una caricatura, come gli atei militanti alla Hitchens e Dawkins l’hanno fatta dell’Altissimo. Colui che scrisse un libro rimasto negli annali della politologia della seconda metà de Novecento, ben sapeva che, “Fintanto che l’Islam resterà l’Islam (cosa che farà) e l’Occidente resterà l’Occidente (che è più dubbio) il fondamentale conflitto tra queste due civiltà e modi di vita continuerà a definire le loro relazioni nel futuro come le ha definite nel passato per quattordici secoli“. E a Bernard Lewis non pareva proprio che la violenza perpetrata in nome dell’Islam fosse una conseguenza della protervia occidentale, ma un dispositivo intrinseco alla sua stessa vocazione, quando scriveva: “La divisione tradizionale islamica del mondo in Casa dell’Islam e Casa della Guerra, due gruppi necessariamente opposti, dei quali il primo ha l’obbligo collettivo della lotta continua contro il secondo, ha ovvi paralleli con la visione comunista degli affari mondiali…il contenuto delle credenze è del tutto diverso, ma il fanatismo aggressivo del credente è il medesimo”.
Di nuovo nulla di tutto ciò nel dispositivo concettuale del burbanzoso fiorentino. L’Islam è solo palingenesi e umiliati e offesi, sublimi porte e angelologia. L’intervista in questione contiene altre perle.
“La grande crisi nasce nel 1979 dal susseguirsi di due eventi precisi e quasi contemporanei. Primo: l’impiantarsi in Iran della repubblica islamica nata coralmente da una grande rivoluzione di popolo contro la tirannia interna e l’umiliazione esterna imposta alla sua gente dallo shah Mohammed Reza Palhevi che aveva inaugurato un regime di dura repressione con introduzione coatta dei costumi occidentali in Iran e aveva nel contempo consentito agli statunitensi di spadroneggiare nel suo regno, provocando un sentimento di quasi unanime esasperata reazione dal quale fu cacciato a furor di popolo. Secondo: la necessità di cacciare i sovietici dall’Afghanistan e di metter fine all’esperimento socialista afghano, obiettivi che si sarebbero potuti ottenere in modo relativamente facile se gli afghani avessero accettato l’aiuto della repubblica islamica dell’Iran, vicina e disposta a muoversi (com’era nei voti del capo militare afghano comandante Massud, che pur era un musulmano sunnita mentre gli iraniani sono sciiti). Per “liberare” l’Afghanistan senza ricorrere agli iraniani, gli USA scelsero di appoggiarsi al loro principale alleato musulmano, il wahhabita re dell’Arabia saudita, che inviò in Afghanistan i suoi combattenti-missionari. Questi ultimi immisero in quel Paese un tipo d’Islam fanatico e retrivo, estraneo alle tradizioni afghane e tipico invece della setta wahhabita, fino ad allora confinata nel sud dell’Arabia. Da allora il wahhabismo ha innervato l’intero Islam, dilagando e distorcendone il carattere, fino a giungere al punto al quale siamo adesso: i wahhabiti, egemonizzati dal primo alleato degli USA nel mondo arabo, intendono egemonizzare a loro volta l’intero Islam sunnita sostenendo una guerra civile (fitna) contro gli sciiti in genere e gli iraniani in particolare. Tale guerra ha purtroppo il supporto sia degli USA, sia d’Israele, per ragioni e considerazioni di carattere politico-strategico che personalmente ritengo infauste”.
È stato necessario riportarla tutta intera questa infilata esorbitante di grotesqueries. Per Cardini è irrilevante che la guerra fratricida tra sunniti e sciiti cominci con la morte stessa di Maometto e perduri fino ad oggi. La colpa dell’estremismo islamico sarebbe solo dei wahhabiti a seguito della guerra in Afghanistan. E, ovviamente, ça va sans dire, i mandanti sarebbero loro, gli Stati Uniti, promotori anche del terribile Scià di Persia. Il fatto che il jihad, nella sua versione moderna, nasca in Egitto nel 1928 grazie ad Hassan al Banna e alla Fratellanza Musulmana, è un altro di quei fatti scomodi, che vanno doviziosamente rimossi dalla scena onde possano intaccare la fiction cardiniana. Quanto ai missionari, chi fu più missionario dell’ayatollah Khomeini il quale innestò l’Islam sull’impianto ideologico rivoluzionario marxista, la cui ispirazione trovò in Alì Shariati? Ce lo ricorda Melanie Phillips in The World Upside Down: The Global battle over God, Truth and Power:
“Ali Shariati, un prominente ideologo della rivoluzione islamica in Iran, era un islamo-marxista che si basò cospicuamente sull’estremista anticolonialista Franz Fanon e la sua concezione di creare ‘un uomo nuovo’. Shariati mutuò da Fanon la descrizione dei ‘diseredati della terra’ e la tradusse in persiano rivitalizzando il termine coranico, mostazafin, o ‘il diseredato’. Sotto l’influenza di Shariati, gli estremisti iraniani diventarono marxisti e lessero Che Guevara, Regis Debray e il terrorista della guerriglia urbana, Carlos Marighela…Sotto l’influenza di Shariati, l’ayatollah Khomeini introdusse nel pensiero islamico radicale il fondamentale concetto marxista del mondo diviso in oppressi e oppressori…Nel 1980 Khomeini aveva stabilito una ‘rivoluzione islamica’ culturale di stile comunista per purgare ogni traccia di influenza occidentale dai licei e dalle università”.
Ma guai a incolpare l’Islam sciita, così puro e nobile e soprattutto antagonista degli amerikani, mentre, come è noto, i sunniti, soprattutto la Casa di Saud, sono intrecciati agli USA dal 1945.
Occorre fermarsi. Prendere respiro. Gli ebrei sono alle porte, ma Cardini è scaltro, evita accuratamente di cadere in un antisemitismo troppo corrivo. Gli ebrei restano in filigrana, presunti e non desunti. E sempre nella medesima intervista, a un certo punto, ecco aprirsi l’uscio su Israele:
“L’alleanza statunitense-israeliana-saudita, alla quale si sono accodati tanto la NATO quanto paesi arabi quali Egitto e Giordania, sta seriamente minacciando la pace, nel Vicino Oriente e nel mondo…La lotta ai migranti dall’Africa condotta senza combattere le vere cause della migrazione, ovvero l’alleanza tra le lobbies multinazionali che depredano suolo e sottosuolo africano, i governi locali tirannici e corrotti loro complici e la copertura internazionale che Francia e Gran Bretagna forniscono loro utilizzando sistematicamente lo strumento del veto in sede di consiglio di sicurezza ONU a tutte le risoluzioni che potrebbero fornire qualche via d’uscita al problema continentale africano, è il secondo grande problema del nostro mondo. Politica degli USA ed egemonia delle lobbies finanziarie internazionali sono le prime responsabili della situazione internazionale odierna”.
Questo è il nadir. C’è tutto, ma proprio tutto l’armamentario. Le calcificazioni, le ossidazioni della mente. Israele, gli Usa, i sunniti, le lobbies delle multinazionali, gli immigrati africani. Mancano gli Illuminati, il gruppo Bilderberg, i Savi. Sono impliciti, dentro nell’impasto. I topoi sono vecchi, stantii, puzzano di muffa, ma Cardini non demorde. La pace nel mondo sarebbe a rischio a causa di Israele, gli USA e gli arabi sunniti. Attenzione all’incastro. Non è Israele da solo che mette a repentaglio la sicurezza mondiale, rodato paradigma di antisemiti e antisionisti pluridecorati, ma lo è insieme agli USA e alla Casa di Saud. Se voglio lanciare il sasso contro gli ebrei e gli israeliani, lo lancio contemporaneamente contro altri bersagli. Mi limitassi al solo Israele, si noterebbe troppo, e Cardini non è un Blondet o un Fusaro qualunque.
Il Medioriente non sarebbe in tensione perenne da settanta anni a causa delle opposte mire arabo-islamiche, delle lotte intestine e tribali per conseguire il basto del potere, unicamente convergenti e solidali quando si tratta di unirsi nel tentativo di distruggere Israele. Il problema attuale non sarebbe l’espansionismo neo-imperiale sciita che si protende sulla Siria, in Libano, in Iraq, in Yemen, con appendice a Gaza. Non sarebbe l’impulso millenarista della rivoluzione islamica congiunto alla dichiarata intenzione di volere distruggere Israele. No. Anche qui gli sciiti sono rimossi dalla scena. I puri buoni sciiti. L’ultima frase del pistolotto brilla di luce propria.
Sembra uscita da un comunicato radio di Berlino o di Roma degli anni Trenta. Chi c’è dietro le lobbies finanziare internazionali e la politica degli USA? Chi gobierna el mundo? Cardini non lo dice, anche se in un suo feuilleton sulla seconda guerra del Golfo, Astrea e i Titani, scriveva a proposito degli USA
“Politica degli USA ed egemonia delle lobbies finanziarie internazionali sono le prime responsabili della situazione internazionale odierna”.
“Di quale potere sovrano esso è rappresentante, di quale sovrana volontà esso è l’esecutore, al di là delle forme giuridiche preposte a legittimarlo. È sua la detenzione del potere imperiale o dietro ad esso ed altre forze, attualmente ‘in presenza’ nel mondo, si cela un ‘impero invisibile’-nel senso etimologico del termine, che cioè non è responsabile, non deve rispondere alle sue azioni-dinanzi ai suoi sudditi, i quali neppure sanno-o almeno, non con chiarezza-essere tali?“
Basta una leggera spinta, un tocco in più, ed ecco apparire I Protocolli.



Così l’Unità commentava la adesione dell’Italia alla Nato. Alleanza di guerra, imperialista, fascista, rivolta contro il pacifico paese dei lavoratori. Il “popolo” manifesta nelle piazze e nei luoghi di lavoro titola l'Unità. La classe operaia si mobilita… eccetera eccetera.
Giovanni Bernardini
19 maggio 2021

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 7193332478

E non si è trattato del travisamento di un minuto. Per decenni la lotta contro la Nato è stata al centro della politica del PCI. "Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia" sono state per lunghissimo tempo due parole d’ordine centrali della propaganda comunista.
Certo, col tempo le cose sono cambiate.
Dopo i carri armati a Budapest Nenni ed il PSI hanno iniziato a staccarsi dal PCI. Poi, molto tempo dopo, Berlinguer ha scoperto, che se non ci fosse stata la Nato l’Italia avrebbe fatto la fine della RDT o della Cecoslovacchia. Ed ha detto di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello atomico americano.
Ma l’anti americanismo, il finto pacifismo sono duri a morire e così oggi molti ex dirigenti del PCI esprimono la loro ostilità per il Patto Atlantico. Nulla di cui stupirsi, in fondo. Solo che…. solo che oggi anche esponenti del centro esprimono simile ostilità.
Un tempo un liberale, un socialista democratico, un democristiano erano sicuramente a favore della Nato, oggi per alcuni questo non vale. Certo, non strillano ”fuori dalla Nato” ma considerano la adesione alla Nato di due paesi giustamente preoccupati per la loro sicurezza una sorta di atto bellicista, qualcosa che “allontana la pace”. Più o meno le stesse parole che l’Unità riportava in quel lontano 1949. E, attenzione, questi personaggi dicono cose simili in un momento in cui è in corso una aggressione brutale ad uno stato sovrano. Anche qui nulla di nuovo. Mentre i carri armati sovietici sparavano a Budapest il vecchio PCI solidarizzava coi carristi e chiedeva che l’Italia abbandonasse la Nato.
A molti la storia non insegna niente. Forse perché non la conoscono.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:06 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:07 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:08 am

2)
La propaganda URSS, russo sovietica contro gli USA e la NATO




La disinformazione russa sulla missione Defender? Ecco come ha funzionato
Gabriele Carrer e Stefano Pioppi
12 marzo 2020

https://formiche.net/2020/03/defender-e ... ormazione/

C’è chi prova a sfruttare il Coronavirus. Lo fa la Cina, portando “aiuti” che in realtà altro non sono che forniture pagate, per ripulirsi coscienza e faccia sul palcoscenico internazionale. Lo fanno anche le galassie antioccidentali che stanno alimentando il complottismo. C’è chi lo fa strizzando l’occhio a Pechino e accusando Stati Uniti e Unione europea di immobilismo e assenza di solidarietà. C’è, invece, chi lo fa guardando al Cremlino e alimentando un circuito di disinformazione attorno alla maxi esercitazione Nato in Europa.

UNO STRANO COMPLOTTISMO

Il quadro della disinformazione è infatti in questi giorni piuttosto evidente su Defender Europe 2020, la maxi esercitazione che dovrebbe portare in Europa 20.000 militari americani direttamente dagli Stati Uniti, da aggiungere ai 10.000 già presenti e ai 7.000 degli altri 17 Paesi partecipanti, con il condizionale dovuto alle possibili rimodulazioni e riduzioni proprio per l’emergenza sanitaria. Seppur programmate da diversi anni e finalizzate a testare le capacità di difesa del Vecchio continente, le manovre sono state oggetto di uno strano complottismo anche nel nostro Paese, vista la contestualità dei primi dispiegamenti con il crescere dei numeri di contagi da Coronavirus. Le teorie del complotto e dell’invasione americana non sono però il frutto di letture annoiate durante la forzata permanenza domestica di questi giorni. Lo dimostra l’analisi pubblicata dal Digital Forensic Research Lab (DFRLab) dell’Atlantic Council, il laboratorio specializzato nell’indagine su campagne di disinformazione e sulla ricostruzione della diffusione anomala di contenuti digitali.

LA NARRATIVA DEL CREMLINO

A leggere l’analisi dell’esperta Nika Aleksejeva, quanto sta accadendo in Italia non sarebbe altro che un piccolo sintomo di una campagna di disinformazione ben orchestrata che è in corso tra Germania e Repubbliche baltiche, proprio lì dove si concentrerà Defender Europe tra circa un mese. Esperti russi, politici di estrema sinistra tedeschi e un anonimo lettone attivo sui social sono tra i protagonisti di questa storia. L’obiettivo? Diffondere il sentimento anti-Nato approfittando delle paure generate dall’epidemia in corso, descrivendo l’esercitazione come un rischio di contagio per i Paesi coinvolti e un fattore di insicurezza per l’Europa. Al centro di tale narrativa c’è l’idea che i militari americani in partenza dall’Italia per partecipare a Defender Europe possano diffondere il virus.

ANONIMI LETTONI

Il primo contenuto online che ha associato l’esercitazione al Coronavirus è apparso il 26 febbraio sul sito in lingua inglese OpEdNews.com, a firma Alvis Petus, per poi venire ripreso da BulgarianMilitary.com, BalticWord.eu, e TheDuran.com. Alvis Petus non ha profili social, e la firma appare esclusivamente legata a contenuti anti-Nato. Per quanto riguarda i siti in questione, ad eccezione di BulgarianMilitary.com, sono tutti già identificati dal DFRLab come parte del network impegnato a diffondere campagne ostili all’Alleanza Atlantica tra Lettonia e Lituania.

POLITICI TEDESCHI

Hanno nomi e cognomi invece i politici tedeschi Alexander Neu e Torsten Koplin, parlamentari in quota Die Linke, partito di sinistra attualmente all’opposizione. Il primo ha firmato sul sito del partito un commento dal titolo “Defender 2020 must be stopped”, ripreso poi il 27 febbraio da Sputnik Germany. Il secondo ha espresso le stesse argomentazioni il giorno seguente sul quotidiano Nordkurier. Eppure, già da fine gennaio era sulla homepage di Die Linke il link alla sezione “Stop Defender 2020”, collegata a contenuti pubblicati sull’omonima pagina Facebook che già a metà dicembre (ben prima dei primi casi di Coronavirus) si scagliava contro Defender Europe per un fantomatico rischio alla sicurezza del Vecchio continente (cosa che la Russia ripete da sempre sull’esercitazione). Sullo stesso sito c’è anche un link ad antidef20.de, portale della campagna guidata da un’organizzazione pacifista tedesca a cui l’11 febbraio ha scritto per avere maggiore supporto per le sue battaglie proprio Alvis Petus.

ED ESPERTI RUSSI

Il 27 febbraio si è attivato anche il canale russo della faccenda. Sul portale russo Voenno Politicheskoe Obozren è apparso un articolo di Vladimir Vyachich (esperto vicino al Cremlino) dal titolo “Defender Europe, la strada mortale del Coronavirus in Europa”, secondo cui la situazione nella base americana di Vicenza sarebbe fuori controllo per l’epidemia. L’articolo è stato ripubblicato il giorno dopo su RusVesna e NovostiDnya24.ru, altri siti di propaganda russa, mentre i colleghi di EADaily rilanciavano contenuti simili citando altri esperti russi. A News Front è toccata la traduzione della faccenda in inglese, spagnolo e francese, anche se il successo maggiore in termini di interazioni social (come riscontrato attraverso BuzzSumo) lo hanno avuto i contenuti tedeschi.

IL CASO IN ITALIA

Ad alimentare la narrativa di una “invasione” Nato nel nostro Paese sono stati in molti. Tra questi, Diego Fusaro e Fabrizio Barca. Tutto nasce da un articolo di Manlio Dinucci sul Manifesto dal titolo allarmistico “30mila soldati dagli Usa in Europa senza mascherina”, prontamente ripreso anche da siti come l’Antidiplomatico, vicino ad Alessandro Di Battista, e da Byoblu, una delle più attive fucine di complottisti d’Italia curata dal grillino Claudio Messora. Ecco il tweet (che ha riscosso molto successo negli ambienti sovranisti) di Fusaro, da sempre schierato con tutti i regimi antioccidentali.

Tweet Fusaro

Fusaro si è lanciato addirittura in un post sul suo blog sul Fatto Quotidiano per dire quanto segue: “Giacché il tutto si svolge precipuamente sul fronte orientale, in direzione del confine russo, o addirittura negli ex spazi sovietici ora atlantizzati (come la Lettonia e l’Estonia), la risposta è autoevidente: l’obiettivo è difendere l’Europa dalla Russia di Putin”. È sufficiente evidenziare che tra gli obiettivi dell’esercitazione non compare affatto l’amata Russia di Fusaro per convincersi che non serve tornare indietro, all’inizio del virgolettato, per provare a capire che cosa il filosofo volesse dire.

Ecco, invece, il tweet dell’economista di area Pd Fabrizio Barca.

Tweet barca

E L’INTERVENTO NECESSARIO DEL MINISTRO GUERINI

È dovuta intervenire la politica per mettere un freno alla diffusione di fake news. Prima la nota dei deputati pentastellati Gianluca Rizzo e Luca Frusone, rispettivamente presidente della Commissione Difesa della Camera e capo della delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea della Nato, per spiegare che l’esercitazione “non si svolge sul territorio italiano né coinvolge reparti delle Forze armate del nostro Paese”. Infine, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini: “Gli uomini e le donne della Difesa sono in campo senza sosta per fronteggiare, in questo delicato momento, l’emergenza sanitaria e per garantire l’attuazione delle importanti delibere decise del governo”. Ecco la ragione dietro la scelta della Difesa di non confermare il nostro contributo all’esercitazione Defender 2020 “pur sostenendo il valore strategico dell’esercitazione”. Nella stessa nota il ministro ha sottolineato che la Nato rappresenta “il pilastro fondamentale, insieme all’Unione europea, per la nostra difesa e l’Italia continuerà a fornire il suo prezioso contributo nelle missioni internazionali per la stabilizzazione delle aree di crisi da dove provengono le minacce per la nostra sicurezza”.




Perché il blog di Grillo aggredisce l'America di Biden e loda la Cina di Xi? - Startmag

Le tesi del blog di Beppe Grillo commentate da Gianfranco Polillo
1 aprile 2021

https://www.startmag.it/mondo/perche-il ... ina-di-xi/

Il giorno stesso in cui Walter Biot, ufficiale della Marina militare, veniva arrestato con l’accusa infamante di tradimento, per aver passato ai russi segreti militari, Beppe Grillo, sul suo blog pubblicava un lunghissimo articolo di Fabio Massimo Parenti. Titolo: “Un maccartismo disastroso. USA ed UE hanno perso la ragione?”. Un intervento tutto proiettato in difesa di Russia e Cina e completamente ostile nei confronti della nuova Amministrazione americana e di chi in Europa ne vorrebbe assecondare il relativo disegno. Quella sorta di new containment, che ricalca la dottrina elaborata da Washington, alla fine degli anni Cinquanta, per scongiurare possibili effetti domino, dovuti all’avanzare delle truppe comuniste, specie alla periferia del loro impero. La formula adottata da Grillo (La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. (Karl Marx)) ne suona ulteriore conferma.

Impossibile, almeno per noi, capire la logica che ha guidato la scelta dell’Elevato. Una svista? Una becera provocazione? La mano protesa verso l’impero del male? La ricerca di una sponda straniera per fini inconffesabile? Indispensabile sarebbe un chiarimento che dovrebbe essere dato, nell’ordine, dallo stesso Grillo, quindi da Giuseppe Conte, prossimo capo del movimento. Poi da Luigi Di Maio, innanzitutto, come ministro degli Esteri (non basta aver convocato l’ambasciatore russo) quindi come past capo politico di quello stesso movimento. Ed infine da Enrico Letta, così rapido nel mettere in luce le presunte o reali debolezze di Matteo Salvini, ancora rubricato come sovranista, ma stranamente silente di fronte ad un affondo, come quello che appare sul blog del padre-padrone dei suoi principali alleati.

Ma quali sono stati gli argomenti usati dall’autore? Soprattutto chi è costui? Un curriculum di tutto rispetto. Foreign Associate Professor di Economia Politica Internazionale alla China Foreign Affairs University, Beijing. In Italia insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, dopo aver prestato servizio in altre università straniere. Un sinologo, quindi. Come ce ne sono stati tanti in Italia, durante l’epoca della presidenza di Mao Tze Tung. Intellettuali prestati alla causa, pronti a far proseliti tra i giovani più fragili da un punto di vista politico e culturale. A volte destinati a consumare la loro esistenza nell’inferno del terrorismo.

Il testo pubblicato da Grillo contiene alcune inesattezze e tante nefandezze. A partire dal titolo: del tutto improprio il riferimento al maccartismo. Che negli USA degli anni ‘50 fu caccia alle streghe, condotta contro cittadini americani, accusati di essere comunisti o filo-comunisti. La contrapposizione nei confronti del blocco socialista (URRS, Cina e loro alleati) fu ben più dura, fino alla guerra aperta, nel tentativo di determinare quel roll back che era stato nell’auspicio dell’Amministrazione, fin dai tempi di Dwight Eisenhower.

Le accuse maggiori, nel blog, sono rivolte contro il duo Biden-Blinken, per la loro pretesa di essere portatori di “suprematismo valoriale” che, secondo l’autore, “mette in pericolo l’umanità”. Una pretesa che si fonda sul “mantra sulla violazione dei “diritti umani”, che, come tutti sanno, altro non è che una montatura della CIA, che manipola continuamente l’informazione. Anzi per essere più precisi un’informazione veicolata da “rapporti di ONG basati su informazioni e speculazioni non verificabili”. E poi c’è da chiedersi, aggiunge sempre il nostro, ma da che pulpito viene la predica? Sulla base delle informazioni del Consiglio di stato cinese (sic!) la realtà americana, tra fenomeni di razzismo, violenze della polizia e stragi di innocenti, è il Paese meno titolato per esprimere giudizi.

Date queste premesse, le conclusioni sono coerenti, al grido “non abbiamo bisogno di una nuova guerra fredda”. Che l’Europa si svegli e faccia di tutto per dissuadere l’Amministrazione americana. O almeno si dissoci da qualsiasi atteggiamento guerriero. In particolare il gasdotto North Stream 2, che porterà in Germania il gas russo, etichettato come “cattiva idea” da parte dello stesso Biden, dovrà essere completato. E l’Italia dovrà insistere per rimanere nella BRI (Belt and Road Initiative), la famosa Via della seta. Vendendo semmai qualche parte pregiata del suo territorio nazionale, per garantire ulteriori sbocchi alla produzione cinese. In modo da contribuire ad estenderne l’influenza in campo internazionale.

Ma dove l’autore, complice Grillo, raggiunge punte di assoluto lirismo è sui vaccini. Nessun accenno, ovviamente, all’origine della pandemia, né ai ritardi (ma si tratta solo di questo?) con cui è stato lanciato l’allarme, tanto meno ai rilievi dell’OMS, sulle difficoltà incontrate dai tecnici occidentali in visita nei luoghi in cui tutto era iniziato. Al contrario la Cina, sta vaccinando “senza fretta perché l’epidemia è sotto controllo (grazie a uno dei più avanzati sistemi di diagnosi e tracciamento). Nel frattempo, lo stesso paese sta producendo e distribuendo dosi di vaccini a più di 70 paesi, soprattutto in via di sviluppo e meno sviluppati, attraverso una combinazione di donazioni, contratti standard, prestiti di sostegno ecc., fornendo anche la licenza per riprodurre i propri vaccini, secondo il principio del vaccino “bene comune” e della solidarietà internazionale”.

Ed, invece, dall’altra parte dell’Atlantico, “abbiamo un paese, gli Stati Uniti, che sta vaccinando solo la propria popolazione, bloccando le esportazioni e la liberalizzazione delle licenze presso l’OMC, anche qui con l’appoggio dell’UE. Quindi: nessuna solidarietà, nessuna cooperazione internazionale, nessuna azione globale proprio quando più ce ne sarebbe bisogno”. Insomma, credendo che possa bastare, è il mondo a testa in giù. La Cina e la Russia, come modello da imitare. Gli Stati Uniti, orribile alleato e l’Europa, la bella addormentata che finora ha preferito, sbagliando, l’Occidente.

Quando Grillo ha deciso di pubblicare queste farneticazioni sul suo blog, forse, aveva il mal di testa. Come tutto ciò sia compatibile con la futura alleanza con il Pd, entrambi – lo stesso Grillo e Enrico Letta – dovrebbero spiegarlo ai propri militanti. Per quanto ci riguarda, invece, tutto ciò non ci meraviglia. Per molti versi si assiste ad un ritorno alle origini. Quella voglia di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, per poi finire nelle grinfie dell’ultima nomenclatura comunista.






Grazie NATO!

I fatti messi in riga come birilli uno con l'altro. Fuori dalle penose tifoserie, dalle approssimazioni, dalle falsità, dalla propaganda. Paolo Mieli non ha il privilegio di confrontarsi qui su Facebook con i massimi esperti della questione, ma gli lasciamo comunque il diritto di parola.
Niram Ferretti
28 febbraio 2022

LA CRISI UCRAINA: LA NATO, UN PO' DI STORIA (E NOI)
di Paolo Mieli, Il Corriere della Sera

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Al cospetto delle atrocità compiute dai russi in Ucraina, rimane, inespressa, una piccola domanda. Quando è accaduto che noi occidentali abbiamo indotto l’Ucraina a varcare il Rubicone provocando l’ira di Putin. E quando è stato che Zelensky ha incautamente lanciato il guanto di sfida all’autocrate di Mosca. Che giorno? Che mese? Che anno?
La storia alle nostre spalle racconta cose diverse da quelle che si dicono e si scrivono in questi giorni. Dopo il crollo dell’impero sovietico, ci fu, nel 1994, una proposta della Nato alla Russia di un «Partenariato per la pace». Subito dopo, la Russia è stata accolta nel Consiglio d’Europa e nel G7. Nel 2002 Mosca è entrata nel Consiglio Nato-Russia. Quattordici anni fa (2008), nel consiglio Nato di Bucarest, gli Alleati annunciarono che l’Ucraina sarebbe potuta entrare, in un futuro imprecisato, nell’Organizzazione atlantica. Appena eletto Presidente degli Stati Uniti, Obama, nel 2009, volle verificare con l’allora segretario della Nato, l’olandese Jaap de Hoop Scheffer, lo stato della «pratica Ucraina e Georgia» (25 marzo). E, pur senza citarle esplicitamente, disse che le cose sarebbero andate avanti stando attenti a non urtare la suscettibilità russa.
Nel luglio di quello stesso anno (2009) Obama si recò a Mosca, incontrò Putin e furono rose e fiori. Poi venne il 2014 con piazza Maidan, la «rivoluzione arancione» a cui si accompagnò l’annessione russa della Crimea. Le cose si complicarono. Da quel momento la questione Ucraina-Nato è rimasta lì, sospesa. Niente è accaduto che possa giustificare l’apertura di una crisi di queste proporzioni.
Se n’è accorto Enrico Letta che, in anticipo sulla fase più drammatica dell’invasione dell’Ucraina, ha voluto fare chiarezza in modo definitivo. Annalisa Cuzzocrea («La Stampa»), gli ha posto una domanda diretta echeggiando quel che sostengono tanti (forse tutti) gli ex comunisti e molti liberal conservatori: «La Nato si è allargata troppo a est provocando questa reazione?». Il segretario del Pd le ha risposto in maniera franca: «È l’opposto. Quello che è successo dimostra che la Nato doveva far entrare l’Ucraina prima». E dimostra altresì, ha sostenuto Letta, «che l’Alleanza atlantica serve perché la democrazia va difesa». Poi il segretario del Pd ha aggiunto: «Abbiamo integrato l’Europa centro-orientale, Budapest, Vilnius, Varsavia, non possiamo tornare indietro». Più chiaro di così?
Va notato che, nei giorni successivi all’intervista, nessun dirigente o semplice militante del Pd si è sentito in dovere di aggiungere una chiosa alle parole del segretario. Neanche esponenti della sinistra esterna al Pd. Nessuno. Segno che o sono tutti distratti (il che non è da escludere) oppure l’intera comunità progressista italiana — eccezion fatta per l’Associazione nazionale partigiani — ritiene che l’Ucraina avrebbe dovuto essere ammessa e integrata nella Nato già una ventina d’anni fa. E che i fatti di questi giorni dimostrano che la Nato è un presidio della democrazia in Europa.
Letta, con poche e misurate espressioni, ha fatto giustizia di una leggenda riproposta negli ultimi giorni da molti «analisti». Cioè che nel 1991 alcuni leader occidentali (chi con precisione?) avrebbero preso con Gorbaciov l’impegno a non far entrare nella Nato le ex repubbliche sovietiche. Accadde qualcosa di ben diverso. L’allora segretario dell’Alleanza atlantica, Manfred Wörner (già ministro della difesa tra il 1982 e il 1988 nella Germania di Helmut Kohl), si impegnò con Gorbaciov a che l’organizzazione da lui guidata, a fronte dello scioglimento del Patto di Varsavia, mai avrebbe attentato alla sicurezza della Russia. Nient’altro.
Se qualcuno avesse fatto una promessa più impegnativa, non si capirebbe come sia potuto accadere che ben quindici di queste repubbliche siano poi entrate nell’Alleanza atlantica senza che Gorbaciov si sia sentito in obbligo di denunciare la violazione del presunto patto. Neanche Putin, al potere da più di vent’anni, ha mai protestato per il fatto che quindici repubbliche ex sovietiche sono state inserite nell’Alleanza atlantica «a dispetto» di quel fantomatico impegno del ‘91. Ernesto Galli della Loggia si è giustamente domandato giorni fa su queste pagine come mai Putin non si sia lamentato «per il fatto che la Polonia — membra anch’essa della Nato e confinante anch’essa con la russa Kaliningrad — potrebbe, se volesse sbriciolare in poche ore con un lancio di semplici missili da crociera la base della flotta russa del Baltico». Già, come mai?
Il fatto è che Enrico Letta, a differenza di alcuni suoi predecessori, non è particolarmente affascinato dall’antiamericanismo tuttora ben vivo dalle sue parti. E ha avuto l’audacia di dire qualcosa di non equivocabile. Qualcosa che renderà meno facile ai filorussi d’Italia — compresi quelli che adesso fanno atto di contrizione in pubblico — tornare alla carica quando tra qualche tempo sarà passata l’emozione per quel che di orribile è accaduto in questi giorni. Verrà il momento, ne siamo sicuri, in cui in molti torneranno a domandarsi pubblicamente se vale la pena fare dei sacrifici per gli ucraini i quali, a ben guardare, «se la sono cercata». Si dirà che Zelensky e i suoi sono responsabili dei torti subiti a causa della protervia con la quale, «sotto insegne naziste» (Putin), intendevano puntare dei missili contro Mosca e San Pietroburgo. Torneranno a sottolineare, quei molti, che l’impatto delle sanzioni è asimmetrico, nel senso che danneggia l’Italia più di quanto nuoccia agli Stati Uniti. E concluderanno che è giunta l’ora di prestar ascolto alle «ragioni dei russi». Cose già viste e sentite in passato, con altri dittatori, altre asimmetrie e altre «ragioni» dei prepotenti.
Quanto a Enrico Letta, se qualcuno tra un po’ lo metterà in croce per le dichiarazioni di cui si è detto, potrebbe proporsi come segretario generale della Nato (ne ha i titoli). Avrebbe il vantaggio di lasciarsi alle spalle le baruffe del «campo largo», con le quali pure ha dato prova di sapersi destreggiare in modo efficace. Ce ne sono altri mille che amano quel genere di cimento da «campieri», capaci, per giunta, di mordersi la lingua prima di pronunciar parole a favore della Nato. Lui, dati i tempi, non avrebbe difficoltà a far capire a una parte del mondo da cui proviene, che l’Alleanza atlantica è, forse, più importante.


USA ARROGANTI?
Giovanni Bernardini
21 febbraio 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 8537177346

Indipendentemente da come la si può pensare sulla crisi ucraina, mi sembra che in questa occasione siano emersi, in maniera abbastanza trasversale, fortissimi sentimenti anti americani.
Gli USA sono il gendarme del mondo. Ci sono basi americane un po’ ovunque. Gli americani combattono a migliaia di chilometri da casa loro.
Mi è capitato spesso di leggere cose simili in questi giorni. Più o meno le stesse che negli anni 70 dello scorso secolo strillavano i contestatori dell’estrema sinistra, ammiratori di Mao, Guevara e, spesso, di Giuseppe Stalin. Stavolta però capita che a dire cose di questo genere siano persone vicine al centro destra. Le posizioni politiche, specie sui temi internazionali, si sono alquanto rimescolate ultimamente. Alcuni di coloro che strillavano “fuori dalla NATO” oggi si atteggiano a strenui difensori della alleanza atlantica. Sull’altro versante avviene a volte il contrario. Alcune persone di centro destra vedono la NATO come il fumo negli occhi, e non solo la NATO. Vedono male gli USA, gli USA indipendentemente da Trump o da Biden, gli USA in quanto “gendarmi del mondo".
Il discorso potrebbe farsi lunghissimo. Per affrontarlo compiutamente dovremmo parlare della crisi di identità dell’occidente, del diffondersi del cancro del politicamente corretto, delle elezioni americane, di moltissime cose insomma. Non è mia intenzione farlo. Mi limito a commentare una delle tante accuse che si fanno agli USA: quello di essere i “gendarmi del mondo” e di avere basi sparse un po’ ovunque per il pianeta.
Gli USA sono una potenza mondiale e sono il centro di complessi sistemi di alleanze. Una potenza mondiale che ha alleati un po’ ovunque ha basi militari un po’ ovunque. Solo degli ingenui possono stupirsi di una cosa simile o considerarla in quanto tale, indipendentemente da ogni altra considerazione, la prova di una intollerabile “arroganza”.
Davvero qualcuno pensa che ogni paese dovrebbe tenere il proprio esercito rigorosamente dentro i propri confini, senza effettuare mai alcun tipo di intervento esterno? È mai venuto in mente a certi critici degli USA che molto spesso i soldati americani, combattendo a migliaia di chilometri da casa loro, hanno risolto, o cercato di risolvere, bene o male, problemi che noi, stati “pacifici”, non militaristi siamo del tutto incapaci di Affrontare? L’esercito italiano avrebbe mai potuto affrontare l’ISIS? Nel caso in cui una guerra civile riportasse al potere in Egitto i fratelli musulmani esiste un esercito europeo in grado di rintuzzare i pericoli che da questa situazione potrebbero derivare?
Una cosa è criticare o condannare, anche duramente, certi interventi americani chiaramente sbagliati ed arroganti, basti pensare alla Libia, cosa del tutto diversa condannare qualsiasi intervento esterno dei soldati made in USA. In fondo anche coloro che sbarcarono in Sicilia e Normandia combattevano a migliaia di chilometri da casa loro. Per fortuna! Senza quegli sbarchi saremmo caduti nelle mani di baffetto o di baffone.
Val la pena, prima di concludere, di sottolineare un’altra cosa. Chi accusa gli americani di essere troppo presenti nel mondo dimentica stranamente la super presenza nel mondi di altri.
La Russia è vasta oltre 17 milioni di chilometri quadrati, la vecchia URSS superava i 20. Si tratta non di uno stato federale basato su un delicato equilibrio fra potere centrale ed autonomia degli stati ma di un autentico impero, retto per secoli con pugno di ferro. L’impero comunista nel momento della sua massima potenza si estendeva dal mare adriatico all’oceano pacifico. Il paese guida di tale impero non ha esitato un attimo ad intervenire manu militari nel cuore d’Europa.
Alla fine del secondo conflitto mondiale Mosca ha imposto un regime comunista di strettissima osservanza sovietica a tutti i paesi “liberati” dall’armata rossa. Non solo, ha imposto ai partiti comunisti di questi paesi leader di strettissima fede staliniana. Ed ogni volta che l’autocrate del Cremlino dubitava di tale fede i vari leader dei partiti comunisti est europei conoscevano le camere di tortura, spesso i plotoni d’esecuzione.
I carri armati sovietici sono intervenuti in Ungheria nel 1956 ed in Cecoslovacchia nel 1968. Forme meno dirette ma sempre brutali di intervento sovietico ci sono state un po’ in tutti i paesi del “campo socialista”.
Se c’è un paese che che ha effettuato un controllo asfissiante, brutale sui propri “alleati” è stato l’URSS.
Meno male che c’era la NATO si potrebbe dire. Ma allora i filo atlantici di oggi erano violentemente anti atlantici.
Non val la pena di continuare. Mi piacerebbe un po’ più di conoscenza storica ed un po’ meno di emotività anti americana da parte di tutti. Forse si potrebbe ragionare anche della crisi ucraina in maniera più distesa.
Solo questo.



IL RAPACE ZIO SAM, LA BUONA RUSSIA E LA SANA DIPENDENZA
GEO-ENERGETICA
Niram Ferretti
22 febbraio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

PREMESSA

Tra le varie tessere della propaganda filorussa, estremamente attiva ed aggressiva c’è un fantasy di Alexander Del Valle spacciato per analisi, che ha lo scopo di spiegare come l’attuale situazione di tensione tra Russia ed Ucraina sia da inquadrare nella prospettiva della “guerra energetica dichiarata dall’America alla Russia“. È una affermazione perentoria che pone in premessa già subito la responsabilità di ciò che sta accadendo sugli Stati Uniti, stendendo una coltre opportuna su come la Russia agisca da decenni per utilizzare il fabbisogno energetico dell’Europa come strumento di condizionamento geopolitico. La Russia, nel pezzo in questione deve apparire come parte lesa e gli Stati Uniti devono sembrare i colpevoli. Attenzione al verbo “sembrare”, perché in realtà si tratta di un gioco di prestigio in cui il trucco appare immediatamente in trasparenza.


CAMPIONARIO
Prendiamo questa frase di Del Valle a proposito del gasdotto South Stream. “Il progetto del gasdotto South Stream ha subito il peso maggiore di quella che abbiamo soprannominato la guerra 'neo-fredda' USA-Russia. Questo gasdotto, lungo 3,600 chilometri, destinato all’esportazione del gas siberiano aggirando l’Ucraina, doveva fornire fino a 63 miliardi di metri cubi all’anno ai paesi europei grazie a due diramazioni, una all’Austria, l’altra ai Balcani e all’Italia. Avviato nel 2007, questo progetto, sostenuto in particolare dall’Italia e da altri paesi dell’Europa meridionale e balcanica, è stato abbandonato nel 2014, a causa dei paesi più antirussi dell’Unione Europa e quindi degli Stati Uniti, che volevano che i loro alleati ucraini restassero nel affare del gas e soprattutto non dipendessero direttamente da Mosca”.
Dunque, il progetto South Stream è stato abbandonato a causa dell’ostilità “dei paesi più antirussi dell’Unione Europea“, che non vengono specificati. Sicuramente non la Germania, sicuramente non l’Italia, sicuramente non la Francia, sicuramente non la Gran Bretagna, ne restano ventiquattro. Forse, Malta, la Grecia, il Portogallo, il Belgio, l’Austria? Paesi che coalizzati contro la Russia, sarebbero sicuramente in grado di mettere in difficoltà i paesi citati, soprattutto la Germania, il cui ruolo secondario nell’Unione Europea è noto. C’è però un fatto che è più eclatante, e che Del Valle non menziona, probabilmente considerandolo a priori una pregiudiziale antirussa, ovvero l’aggressione e annessione illegale della Russia nei confronti della Crimea, guardacaso avvenuta proprio nel 2014. Non è stato questo episodio e le sanzioni internazionali che ne sono conseguite a determinare l’abbandono del progetto South Stream, è stata la russofobia europea e quella americana.
Sul fatto che gli Stati Uniti non desiderino che la Russia possa, attraverso le proprie politiche energetiche, creare una forte dipendenza europea nei suoi confronti è una di quelle ovvietà che non meriterebbero nemmeno di essere specificate. Per Del Valle questo risulta criticabile, lo capiamo, ma fa parte del grande gioco geopolitico in atto dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, e si iscrive nella contrapposizione tra USA e Russia in merito all’estensione dell’influenza politica in occidente.

ANTECEDENTI
Negli anni '60, l'Europa occidentale importava solo il 6% del proprio petrolio dal blocco sovietico. All'epoca venne pianificato un nuovo oleodotto, che, dall'estremo oriente russo avrebbe attraversato diversi paesi europei tra cui l’Ucraina e la Polonia, per terminare in Germania. Era una opportunità per i sovietici di cambiare la situazione a loro vantaggio. Come è comprensibile, agli Stati Uniti questa idea non piacque. Nel 1963, Kennedy tentò di bloccare l’oleodotto con un embargo nei confronti dei paesi allineati ai sovietici, sui tubi di ampio diametro e cercò l’aiuto degli alleati, tra cui la Germania occidentale. L’embargo fu solo parziale e un anno dopo l’oleodotto venne costruito. La stessa cosa accadde nel 1981, quando Ronald Reagan cercò di persuadere gli alleati europei di bloccare il progetto di un gasdotto dalla Siberia all’Europa dell’Est. La Francia e la Germania si opposero e gli Usa applicarono le sanzioni che potevano mettere in atto atte a bloccare il finanziamento del gasdotto. L’azione americana provocò una crisi con i partner europei che, alla fine portò all’eliminazione delle sanzioni da parte americana. Stiamo parlando di un’Europa già disponibile verso la Russia quando era ancora Unione Sovietica. Già allora la vigilanza americana nei confronti dell’Europa in merito ai suoi legami commerciali con la Russia veniva vissuta da quest'ultima come una ingerenza fastidiosa.

TEMPI ATTUALI
Con il dissolvimento dell’Unione Sovietica nel 1991 e il progressivo consolidamento di Vladimir Putin, la Russia ha proseguito in modo scaltro la sua politica di penetrazione dell’Europa e di condizionamento attraverso la dipendenza energetica. Per Putin, come prima di lui, per i leader sovietici, una dipendenza europea sul piano energetico nei confronti della Russia è un mezzo per creare dissidio tra gli alleati, in primis con gli Stati Uniti, al fine di indebolire e idealmente annullare lo stesso principio di Alleanza Atlantica, spostando l’Europa dall’influenza e dipendenza americana per avvicinarla a quella russa. Ad Alexander Del Valle, questo sta benissimo. Lo dice a chiare lettere: “Siamo lontani dalla solidarietà russo-europea e dall’asse geo-energetico Parigi-Berlino-Mosca voluto dal Generale De Gaulle nell’ambito del suo piano Fouchet”. Il piano Fouchet, aveva il fine di allontanare l’Europa dall’influenza americana con la Francia come mosca cocchiera. Già allora la Russia, sotto forma di Unione Sovietica, era vista come un interlocutore possibile. Del Valle rimpiange quel tempo, e quella possibilità sfumata.

Veniamo ai nostri giorni e apprestiamoci a concludere l'analisi di Del Valle.
“Il progetto del gasdotto che collega la Russia e la Germania, e che doveva entrare in funzione all’inizio del 2020 non è alla fine delle sue traversie. L’America, e quindi non solo Trump ma anche il suo successore Joe Biden, continuano a moltiplicare le tattiche di pressione per rimandare o mettere a repentaglio l’avvio del gasdotto, vedendo in Europa uno sbocco naturale per il suo abbondante gas naturale di scisto…Ciò dimostra ancora una volta come la potenza unilaterale americana sfrutti conflitti come quello ucraino (che peraltro ha contribuito a fare esplodere) e argomentazioni moralistiche per perpetuare l’aberrazione internazionale costituita dalle leggi extraterritoriali americane che consentono al Tesoro di congelare i beni di qualsiasi stato e aziende nel mondo (con multe da miliardi di dollari) accusate di fare affari con “stati canaglia” attraverso le sanzioni, in realtà i cui interessi energetici (Russia, Iran), ecc. turbano quelli delle aziende americane e frenano le strategie del Deep State americano”.
Questo condensato surreale di affermazioni dovrebbe aprire gli occhi anche ai più sprovveduti. Il conflitto ucraino sarebbe frutto della pressione americana (vecchio cavallo di battaglia russo, che risale ai tempi dello zarismo, secondo cui, ogni tensione interna nel paese è frutto di influenze esterne), non sarebbe nato dall’esigenza legittima del paese di sottrarsi all’influenza russa. Che gli USA guardino a ogni processo che possa avviare la democrazia in un paese antidemocratico o dalla democrazia precaria come a un fatto positivo e da incoraggiare è, come dire, del tutto naturale, ma per Del Valle deve per forza esserci dietro la zampa di quell’entità metafisica che è il “Deep State” americano, una versione aggiornata degli illuminati di Baviera. Gli Usa metterebbero a repentaglio il gasdotto russo non perché condizionerebbe l’Europa nei confronti della Russia, ma perché vorrebbe che l’Europa dipendesse dal proprio gas. Bene. Anche se così fosse sarebbe poi così terribile pagare più soldi per il gas americano invece di servirsi di un fornitore del tutto inaffidabile il quale ha il potere di erogare o meno il gas in base a come l’Europa si comporta nei suoi confronti in merito alla sua politica di aggressione nei confronti di stati indipendenti?
Sarebbero “argomentazioni moralistiche” per Del Valle quelle che sostengono che uno Stato indipendente non si aggredisce e si annette dopo averlo aggredito in virtù di un referendum farsa? Certamente nel mondo del puro e cinico calcolo politico e della legge del più forte in cui vive Putin, il diritto internazionale non ha alcun valore, è solo un impaccio. Quanto alle leggi extraterritoriali degli Stati Uniti, che risalgono nella loro prima formulazione al 1917, in tempo di guerra e poi riformulate per il tempo di pace, esse sono state istituite per colpire economicamente i paesi le cui attività sono considerate ostili agli Stati Uniti e potenzialmente pericolose per i loro interessi e la loro sicurezza. Per Del Valle sono “aberranti”, meno aberranti sono invece gli interessi energetici dell’Iran e della Russia (non a caso alleati in Siria), soprattutto l’interesse energetico iraniano di cui il nucleare è un legittimo sviluppo, si immagina sia così per l’analista.
Veniamo all’ultima parte della sua analisi, forse la più gustosa. E’ quella in cui l’autore ci spiega che oltre al gas russo, l’Europa si rifornisce di gas proveniente dalla Norvegia, dall’Algeria e potrebbe rimpiazzare la Russia con il Qatar. Ed è qui che casca l’asino. A Doha ci sono i Fratelli Musulmani, e insomma, l’Europa che mette sanzioni alla Russia per l’annessione della Crimea poi si potrebbe approvvigionare dal Qatar dovrebbe pensarci due volte a “demonizzare” la Russia.
A parte che quella qatariota è ancora una ipotesi, che andrebbe vista in termini di eventuali perecentuali di gas erogabile, si tratta del solito trucco di agitare uno spauracchio ipotetico per nascondere un problema reale. L'Europa non ha un legame di dipendenza energetica con il Qatar, lo ha con la Russia.
Ma, torniamo agli americani. I veri villains del pezzo. Sarebbe il gas di scisto la questione fondamentale. Del Valle è molto chiaro in proposito: “Quando Joe Biden promette ai russi ‘sanzioni economiche terribili come quelle contro l’Iran in caso di (fantasiosa) invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il parallelo è più che rivelatore delle reali intenzioni geo-energetiche americane: il regime sanzionatorio statunitense contro l-Iran motivato non solo dalla ‘morale’ ma anche dalla competizione energetica-ha infatti aperto nuovi mercati al petrolio e al gas Americano che ha così in parte sostituito il greggio iraniano esportato in Europa”.
Si è tutto chiaro. L’Europa dovrebbe smarcarsi dagli Stati Uniti, così come voleva De Gaulle nel 1961 con il Progetto Fouchet, non immediatamente in senso geo-politico (questo passo occorrerebbe farlo forse dopo) ma in senso geo-energetico. Un’Europa a trazione energetica russo-iraniana sarebbe, infatti l’ideale, considerazioni ‘morali’ (come le virgoletta il Nostro) a parte. L’importante è disfarsi degli Stati Uniti e, ovviamente della NATO, perché servire gli interessi russi e, perché no, iraniani, è sicuramente molto meglio. Manca solo un ultimo tocco e poi il quadro si completerebbe. Russi e iraniani (per quanto i secondi siano musulmani) condividono con noi antiche radici e parentele (gli iraniani non sono forse "ariani"?) e i russi non sono forse gli eredi della Terza Roma?
Gli americani, in fondo hanno corrotto tutto con il loro mercantilismo e con la diffusione di quella cosa orrenda che si chiama “democrazia”.


CAMPIONARIO DI DESTRA
Niram Ferretti
26 febbraio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Leggere Marcello Veneziani su "La Verità" a proposito della crisi in corso, ti fa capire subito in che livello comatoso versa la destra italiana, visto che Veneziani è uno dei suoi intellettuali di riferimento. Un insieme di falsità, grossolanità storiche, un antiamericanismo di riporto senza se e senza ma.

Il filoputinismo come riflesso automatico, rictus pavolviano. Alcune perle:
"Vi ricordate cosa successe a parti invertite quando a Cuba l'Unione Sovietica stava puntando i suoi missili sugli Stati Uniti? Come sempre fu il 'pacifista', umanitario e democratico Kennedy che usò la forza e sfiorando il conflitto mondiale evitò quella minaccia contrapponndone un'altra. E vi ricordate gli interventi umanitari militari in Kosovo, le bombe umanitarie di Clinton, la Libia, l'Iraq, la Siria? perchè non dovrebbe fare la stessa cosa Putin?".
Perché, Veneziani, le situazioni sono completamente diverse e lo capirebbe anche un liceale fresco di studi di storia contemporanea. Al di là della penosa ironia sull'umanitarietà di Kennedy e Clinton, (si sa, Veneziani va subito al sodo, come Nietzsche, legge dietro i paraventi della morale la presenza della volontà di potenza), vanno specificate alcune cose.
La Russia non è sotto potenziale attacco da parte di missili ucraini o americani. Non ci sono batterie missilistiche puntate sulla Russia come c'erano a Cuba nel 1961 missili sovietici a 90 miglia dagli Stati Uniti e in grado di colpirli. C'era la Guerra Fredda allora, una minaccia nucleare incombeva sopra il mondo, e il rischio di una guerra era concreto tra due superpotenze profondamente ostili una all'altra. Come ha scritto oggi su "Il Corriere della Sera" Ernesto Galli della Loggia,
"Come mai la suscettibilità nazionale del despota moscovita non ha mai mostrato eccessiva preoccupazione per il fatto che la Polonia — membro anch’essa della Nato e confinante anch’essa con la russa Kaliningrad — potrebbe, se volesse, sbriciolare in poche ore con un opportuno lancio di semplici missili da crociera la base della flotta russa del Baltico? E come mai invece la semplice, del tutto remota, ipotetica, eventualità che l’Ucraina aderisse alla medesima Nato lo ha spinto addirittura a replicare contro Kiev un Blitzkrieg di schietto stampo hitleriano?".
Ecco sì, come mai? Semplicemente perché non c'era il pretesto dell'ingresso della Polonia nella NATO, ingresso non ostacolato da Yeltsin nel 1993, ma c'era quello, del tutto campato in aria, di un possibile e remoto ingresso dell'Ucraina nella NATO, dove proprio a causa del conflitto fomentati da Putin nell'Ucraina orientale, l'Ucraina NON PUÒ entrare.
Gli interventi, giusti o sbagliati che fossero, in Kossovo, Libia e Iraq, paesi in cui, nel caso del Kossovo e della Libia, era in corso una sanguinosa guerra civile, e nel caso dell'Iraq vi era la presenza di un dittatore sanguinario implicato nel terrorismo islamico internazionale, non hanno nulla, ma proprio nulla a che vedere con l'aggressione a freddo di uno Stato sovrano che non rappresenta una minaccia per nessuno, indipendente dal 1991, democratico, il quale ha come sola colpa quella di avere chiesto l'ammissione nella NATO e di spostarsi dunque verso occidente. L'odiato, esecrato occidente, che anche Veneziani, nostalgico di un passato ormai sepolto, patisce tanto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Demenzialità, menzogne e calunnie contro gli USA e la NATO

Messaggioda Berto » dom apr 17, 2022 10:08 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Prossimo

Torna a Guerre

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite