Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 4:59 pm

Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia
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Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia, una stessa grande nazione, uno stesso popolo anche se sono imparentate e questa criminale aggressione lo dimostra senz al'ombre di alcun dubbio dimostra che non vi è alcun amore, alcuna fraternità, alcun rispetto da parte della Russia e che l'Ucraina fa più che bene a difendersi.a rifiutare, a combattere e a cacciare il russo stupratore e assassino e a non voler più condividire alcun destino storico comune con questa miserabile e demenziale umanità
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 5:00 pm

LO SMACCO DI PUTIN: GLI UCRAINI NON STANNO CON I RUSSI (CHE INVECE STANNO ANCORA CON PUTIN)
di Luca Angelini, Il Corriere della Sera
Niram Ferretti
14 marzo 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

«Di tutti i calcoli sbagliati che Putin ha fatto sulla sua avventura in Ucraina, e ne ha fatti molti, tra cui la lotta che le forze ucraine avrebbero messo in campo, la qualità dell’esercito russo e la pesantezza delle sanzioni che l’Occidente avrebbe lanciato contro la Russia, la mancanza di sostegno da parte della gente del posto di lingua russa sembra il più grande e sconcertante» scrive James Kilner sul britannico Telegraph. In fondo, se davvero, come predica lo «zar» del Cremlino, l’Ucraina non è una nazione, ma una creazione di Lenin, perché mai i tanti ucraini di lingua russa non avrebbero dovuto salutare con gioia l’arrivo dei soldati di Mosca?
Non è andata così. Lo dicono, ricorda il Telegraph, i tanti video che hanno fatto il giro del mondo. Come quello della donna di Henychesk, regione di Kherson, che, in russo, dice a un soldato di Mosca di mettersi dei semi di girasole in tasca, così quando morirà crescerà qualcosa di bello sul suolo ucraino. O quello del tizio che insulta i militari russi e poi dice: «Anch’io sono russo, ma perché siete qui? Voi avete il vostro Stato in cui vivere e io ho il mio». Lo racconta la resistenza di molte città anche nell’Est del Paese, la parte, in teoria, più filorussa (che, nel 2010, fece eleggere presidente Viktor Yanukovych, il filo-Mosca originario della regione di Donetsk poi esautorato dalla rivolta di Euromaidan). Lo conferma Andrea Nicastro in uno dei suoi collegamenti da Dnipro: «Essere russofoni ed essere filorussi è diventata una cosa completamente diversa in Ucraina», dice citando come esempio la resistenza di Kharkiv (ma vale lo stesso per Mariupol, altra città che votò in massa per Yanukovych e che ora i russi stanno lentamente strangolando).
Ad illudere Putin sarebbe stata la vittoriosa annessione della Crimea nel 2014, salutata con favore anche dalla maggioranza dei residenti. Ma la Crimea non è l’intera Ucraina, l’Ucraina del 2022 non è quella del 2014 (nel mezzo ci sono stati 8 anni di guerra, «a bassa intensità» come si dice con orrendo eufemismo, nel Donbass) e l’Ucraina post invasione non è quella pre invasione. «La rapida vittoria in cui Putin sperava gli è sfuggita — conclude Kilner —. L’esercito russo sembra invece pronto a tornare al solito copione e a ripiegare su una campagna di logoramento guidata dall’artiglieria. Alla fine potrebbe ottenere una vittoria profondamente militare, impopolare tra gli ucraini e i russi. E dopo?».
Dopo, secondo Paul Nuki e Sarah Newey, sempre del Telegraph, sarebbe illusorio attendersi una rapida caduta di Vladimir Putin. Primo, perché secondo i sondaggi — non tutti attendibili — il 70% dei russi approva l’«operazione speciale» in Ucraina (per farsi un’idea del perché, si possono rileggere il viaggio di Fabrizio Dragosei nell’«universo parallelo» dei media russi e le interviste di Marco Imarisio allo storico Roj Medvedev e all’italiano Antonio Gramsci, nipote di «quel» Gramsci; oppure provare a tenere il conto delle migliaia di russi arrestati per aver criticato l’invasione).
Secondo, perché gli oligarchi dell’era Putin non sono quelli dell’era Eltsin. Questi ultimi erano co-gestori anche del potere politico, oltre che di quello economico. Quelli di Putin sono soltanto manager di settori economici sostanzialmente di proprietà dello Stato (si pensi al settore energetico) e che allo Stato possono tornare dalla sera alla mattina. «E al momento lo Stato è Putin», chiarisce a Nuki e Newey la politologa Olga Chyzh, dell’Università di Toronto. Qualche oligarca potrà anche «disertare» di fronte alla pesantezza delle sanzioni, ma la maggior parte serrerà i ranghi perché, come ha detto un banchiere russo al Financial Times: «Essere nella lista delle sanzioni Usa era uno status symbol di patriottismo, ma adesso è un obbligo. Non esserci, è sospetto». «In sostanza — traduce Chyzh — gli oligarchi ricevono soldi a palate per tenere il naso fuori dalla politica. Chi non accetta questa regola rischia l’esilio o peggio. Per quanto triste sia dover perdere le proprie ricchezze in Occidente, gli oligarchi hanno molto più da perdere se Putin smettesse di proteggerli».
A condividere il potere politico con Putin sono semmai i «duri e puri» dell’imponente apparato di sicurezza dello Stato. Anche loro si sono arricchiti, anche se spesso meno di certi oligarchi. Ma, da un lato, condividono con convinzione le visioni neo-imperiali e anti occidentali di Putin. Dall’altro, hanno tutto da guadagnare da una Russia isolata e resa un paria globale, pronta ad adottare misure da legge marziale o quasi (vedi arresti in massa degli oppositori e bavaglio alla stampa e, forse, a Internet). «Questi “uomini forti” non hanno alcun motivo per rimuovere Putin adesso, visto che sta realizzando il loro sogno di uno spietato Stato di polizia».
Ci si dovrà, dunque, rassegnare a Putin e, dopo di lui, a un «putinismo senza Putin»? Non è detto. Per prima cosa, spiega Chyzh, «è questione di settimane prima che lo Stato non sarà più in grado di pagare i suoi dipendenti: medici, insegnanti, ma anche la polizia, il complesso militare-industriale e lo stesso esercito. Niente più nuovi carri armati, cacciatorpediniere e nemmeno soldati per farli sparare».
La previsione di un altro cremlinologo illustre, Mark Galeotti del Council on Geostrategy, è che «Putin ha assicurato la dipartita del suo regime. Ma ci vorranno probabilmente anni perché muoia. Dopotutto, il Cremlino mantiene il controllo dell’apparato di sicurezza che ha picchiato e arrestato le migliaia di russi che protestavano contro questa guerra. Ma sarà un guscio vuoto, senza legittimità e scopo, e le ambizioni di Putin di ritagliarsi un posto nella storia insieme ad altri leggendari costruttori di Stato come Pietro il Grande e, implicitamente, Josif Stalin, saranno smascherate come una triste illusione». Triste e, purtroppo, sanguinaria.


La «profezia» di Kissinger sull'Ucraina
Gianluca Mercuri
11 marzo 2022

https://www.corriere.it/esteri/22_marzo ... cebb.shtml

Otto anni fa, l'ex segretario di Stato americano Henry Kissinger scrisse un articolo definendo tre punti per «porre fine alla crisi dell'Ucraina». Riguardavano l'ingresso nell'Ue, quello nella Nato e la sua finlandizzazione. Lette ora, quelle righe sembrano ad alcuni l'ennesima profezia di un oracolo delle relazioni internazionali, e ad altri la certificazione dei suoi errori

Kissinger, eternamente Kissinger, inevitabilmente Kissinger. A quasi 99 anni, l’ex segretario di Stato americano è ancora una specie di oracolo delle relazioni internazionali, un uomo il cui impareggiabile (e controverso) mix di pensiero e azione rappresenta un punto di riferimento ineludibile, anche quando si punti a superarlo o demolirlo. Talmente onnipresente, l’uomo che in un modo o nell’altro si è visto consultare da tutti gli inquilini della Casa Bianca da Kennedy in poi, che anche quando non parla è come se lo facesse, perché c’è sempre un suo pronunciamento, un suo atto, un suo scritto che improvvisamente torna attuale, e dà l’idea di adattarsi perfettamente all’ultima crisi.

L’ultimo esempio è il suo articolo sul Washington Post di 8 anni fa — 5 marzo 2014 — che in questi giorni è tornato a circolare insistentemente in Rete come una sorta di profezia, col corollario da molti desunto che, se il mondo avesse dato retta al maestro dell’approccio realista alle questioni di politica estera, la tragedia ucraina sarebbe stata evitata.

Il pezzo si intitolava «To settle the Ukraine crisis, start at the end» («Per risolvere la crisi ucraina, si cominci dalla fine») e commentava gli effetti della rivoluzione di Euromaidan, esplosa a cavallo tra il ‘13 e il ‘14 dopo che il presidente Yanukovyc aveva rifiutato di firmare l’accordo di associazione con l’Ue per siglarne uno con la Russia, finendo per essere costretto alla fuga dalla reazione popolare.

Cosa diceva Kissinger? In sintesi:
• Sì a un’Ucraina associata all’Europa
• No a un’Ucraina nella Nato
• Ucraina «finlandizzata».

Tutte questioni, come si vede, estremamente attuali e ricorrenti in ogni analisi di questi giorni terribili.

La finlandizzazione, in particolare, veniva spiegata così: «Saggi leader ucraini dovrebbero optare per una politica di riconciliazione tra le varie parti del loro paese. A livello internazionale, dovrebbero perseguire una posizione paragonabile a quella della Finlandia. Quella nazione non lascia dubbi sulla sua fiera indipendenza e coopera con l’Occidente nella maggior parte dei campi, ma evita accuratamente l’ostilità istituzionale verso la Russia».

Naturalmente l’analisi era molto più articolata. In particolare, tendeva a sottolineare errori e contraddizioni del campo occidentale. Si sosteneva che l’Ucraina «non deve essere l’avamposto di una delle due parti contro l’altra, ma funzionare come un ponte tra loro». Che la Russia «deve capire che cercare di costringere l’Ucraina a uno status di satellite condannerebbe Mosca a ripetere la sua storia ciclica di pressioni reciproche con l’Europa e gli Stati Uniti». Che «l’Occidente deve capire che, per la Russia, l’Ucraina non potrà mai essere solo un paese straniero», con relative citazioni sulle radici storiche e religiose della Russia ben piantate in Ucraina che sentiamo ripetere di frequente. Che l’Ucraina ha «una storia complessa e una composizione poliglotta», riassunte schematicamente così: «L’ovest è in gran parte cattolico; l’est in gran parte russo-ortodosso. L’ovest parla ucraino; l’est parla soprattutto russo».

Poi c’erano altre due affermazioni chiave: «La Russia non sarebbe in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi»; e «per l’Occidente, la demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica; è un alibi per l’assenza di una politica».

Ripreso e citato spesso, l’articolo «profetico» di Kissinger ha avuto soprattutto commenti positivi, che ne hanno sottolineato la lucidità, l’equilibrio e la preveggenza. Su tutti quello di un politologo stimato come Piero Ignazi, che sul Domani ha scritto che il grande diplomatico americano aveva ragione quando sosteneva che «trascinare l’Ucraina in un confronto tra Est e Ovest avrebbe impedito per decenni di portare la Russia in un sistema internazionale cooperativo». Interessanti anche altri rilievi di Ignazi: «Si poteva fermare prima Putin e salvare l’Ucraina? Forse sì, ma la supponenza politico-morale occidentale ha impedito passi intelligenti in questa direzione». E ancora: «Il superiority complex che noi occidentali spesso esprimiamo risulta fastidioso, e financo insopportabile, agli altri paesi».

È curioso, e perfino divertente, notare che Kissinger — l’icona dell’imperialismo Usa contro cui le sinistre mondiali hanno marciato per anni in ogni angolo del pianeta — è stato così arruolato nel campo dei critici dell’Occidente. Una forzatura? Fino a un certo punto, perché gli argomenti kissingeriani sono in effetti affini a quelli di un certo pacifismo di sinistra molto criticato (per esempio da Paolo Mieli) per il suo presunto filo-putinismo di fondo (e a proposito di alibi e Putin, Mieli nega al leader russo quello della presunta politica aggressiva della Nato nei confronti della Russia).

L’entusiasmo per la profezia kissingeriana, però, non è unanime. Chi proprio non lo condivide è Mario Del Pero, storico a SciencesPo, che il mito di Kissinger lo demolisce punto per punto: non arriva ai livelli di Christopher Hitchens, che in un libro memorabile lo descrisse come «uno splendido bugiardo dalla straordinaria memoria», e soprattutto come un criminale di guerra; ma certo è ben distante dall’apologia che Niall Ferguson ne ha fatto nella sua biografia in due volumi, in cui contesta l’opinione comune sulla sua spietatezza.

Sul sito della Treccani, Del Pero smonta dunque «la presunta profezia kissingeriana». Quei commenti del 2014, afferma, «esprimono in forma plastica, verrebbe voglia di dire quintessenziale, il suo stile, il suo metodo e il suo approccio. E ovviamente i suoi limiti, analitici e prescrittivi. Il lessico utilizzato, denso di aforismi, è quello — all’apparenza savio e preciso e nei fatti spesso delfico e vago — che si ritrova in tanti scritti kissingeriani: “il test della politica è come finisce, non come inizia”; “la politica estera è l’arte di stabilire delle priorità”», e altri ancora. «A queste verità — talora banali, non di rado oracolari — si aggiunge l’uso di una storia che fisserebbe paletti, o meglio essenze, ineludibili per tutti i soggetti coinvolti». Perché «una visione essenzialista come quella kissingeriana fatica a confrontarsi con processi storici che definiscono la creazione, la costruzione, l’adattamento e il costante ripensamento di una nazione e dei suoi fondamenti identitari».

Nel caso dell’Ucraina, «sembra dare quasi per scontato che la popolazione russofona sia inevitabilmente, e perennemente, filorussa (e quindi filoputiniana). Numerosi esperti ci spiegano invece con chiarezza quanto una specifica identità ucraina sia stata ridefinita (e rafforzata) dagli anni successivi alla crisi del 2014-15 (ndr: ne ha scritto Luca Angelini sulla Rassegna di mercoledì). Ed è davvero difficile immaginare che la resistenza all’invasione russa e questa terribile guerra non siano destinate a dare un contributo fortissimo alla costante ridefinizione dell’identità nazionale ucraina».

Del Pero, in linea con Mieli, contesta soprattutto un punto: «È la Nato, nel 2014, a essere individuata da Kissinger come la causa principale della crisi che si aprì allora». Alla fine sembra ammettere in qualche modo che il nocciolo delle sue proposte di allora si mostri resistente al tempo: «Restano sul tavolo la neutralità — nella forma di un riconoscimento che l’Ucraina non farà mai parte della Nato — e il legame con Europa, che ora include addirittura l’adesione di Kiev alla Ue». Ma poi precisa che si tratta di «due elementi che paiono offrire delle basi negoziali molto fragili e futuribili nel contesto di guerra attuale», in cui «i costi crescenti del conflitto alzano per entrambe le parti la soglia per accettare un compromesso».

Eppure, quanto le idee kissingeriane siano ancora attuali — il che non vuol dire che siano le uniche soluzioni percorribili, me che forse non «nascevano deboli e su premesse problematiche già otto anni fa» — lo ha confermato sul Corriere Franco Venturini: «Perché non perseguire un accordo negoziale che preveda l’ingresso accelerato dell’Ucraina nella Unione europea, la sua neutralità (dunque niente Nato), e una serie di garanzie per tutte le parti in causa?».

Gli europei sembrano «esitanti», ma «davvero si opporrebbero a una intesa che potrebbe portare alla sospirata pace? E l’Ucraina non potrebbe finalmente smettere di essere uno Stato-cuscinetto e rafforzare i suoi legami con l’Occidente, con la Ue e senza i missili che allarmano i russi?».

Naturalmente, accanto a quello della collocazione internazionale dell’Ucraina resta il nodo dei suoi confini e del destino del Donbass. Intanto, piaccia o non piaccia, il vecchio Kissinger è sempre lì, a fare arricciare nasi ma sempre a farsi ascoltare.


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No Russia ma Ucraina!
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"Non esiste una generazione di ucraini che non sia stata sfregiata dalla politica coloniale russa e dalle sue scelte rovinose, a partire dal Settecento". Splendido pezzo di Yaryna oggi su Repubblica. L'inquadramento della guerra dal punto di vista culturale e storico.
L’Ucraina non sarà una colonia russa
di Yaryna Grusha Possamai*
17 marzo 2022

https://www.facebook.com/groups/salviam ... 7461906163

La mattina del 24.02.2022 le sirene nella capitale Kiev e nelle città di Kharkiv, Kherson, Chernihiv, Sumy hanno anticipato i bombardamenti aerei. Paura, panico, fuga degli ucraini. Cinque minuti prima dell’attacco su larga scala del mio paese il presidente russo, con un discorso che proponeva gli stessi argomenti contenuti in un articolo pubblicato nel luglio del 2021 pieno di falsità sulla storica fratellanza tra i popoli russo e ucraino, annunciava quello che è il cuore della sua politica coloniale.
Oggi le analisi sulla guerra della Russia all’Ucraina ruotano intorno a politica, economia, geopolitica e interessi finanziari senza però tenere in considerazione l’aspetto storico-culturale che invece è quello al quale dobbiamo guardare perché è lì che il presidente russo ha pescato le giustificazioni per l’aggressione di un Paese che, al contrario del suo, ha intrapreso una strada democratica. La manipolazione dell’opinione pubblica in Russia è avvenuta attraverso la strumentalizzazione della storia. Quella fredda mattina di febbraio gli ucraini hanno capito che la storia si stava ripetendo. Non esiste una generazione di ucraini che non sia stata sfregiata dalla politica coloniale russa e dalle sue scelte rovinose, a partire dal Settecento con la distruzione dell’Hetmanato (1649-1764), primo nucleo statale gestito dai cosacchi nei territori dell’odierna Ucraina, fino alla circolare di Valuev (1863) e al decreto di Ems (1876) che proibivano qualsiasi opera letteraria in ucraino, compresa la traduzione dal russo. I territori ucraini appartenenti all’impero russo sono stati chiamati Piccola Russia, per sottolineare il rapporto di forza tra il centro colonizzatore e la periferia colonizzata.
La politica coloniale con il proprio centro a Mosca è proseguita con la sottomissione di Kiev anche durante l’Unione Sovietica: purghe staliniste con centinaia di intellettuali ucraini arrestati e fucilati a Solovki e Sandarmokh all’inizio degli anni Trenta, lo sterminio per fame — noto come Holodomor tra il 1932 e il 1933 — dei contadini ucraini, l’occupazione di Leopoli nel 1939, la deportazioni dei tartari di Crimea nel 1944, la repressione tra gli anni ’60 e ’70. Nel 1985 nella colonia sovietica di Ku?ino, odierna regione di Perm’ in Russia, muore in seguito a uno sciopero della fame il poeta e traduttore ucraino Vasyl’Stus. Nel 1986 esplode la centrale nucleare di Chornobyl’ incidente causato da una cattiva gestione e le cui conseguenze hanno prodotto migliaia di profughi rimasti a lungo senza una casa e un posto di lavoro.
Io sono un’ucraina con un bisnonno fucilato dal NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni, ndr ), mentre l’altro bisnonno è stato mandato al fronte senza un fucile, in prima linea con l’Armata Rossa ed è tornato senza un braccio.
Mia nonna è cresciuta con il marchio di “figlia del nemico del popolo” la quale cosa ha significato niente studi e niente lavoro. I miei genitori — insegnanti di lettere che non potevano nominare durante le lezioni i nomi di scrittori e poeti ucraini sterminati dal regime sovietico — sono scappati da Chernobyl’ solo due settimane dopo l’incidente (avvenuto il 6 aprile 1986, ndr ), perché il potere centrale teneva tutti all’oscuro, e sono rientrati a casa nell’agosto successivo perché la loro zona, qualificata come Zona 3, non è stata considerata da evacuare. Oggi quei territori — con scuole e case bombardate e centinaia di civili morti — sono afflitti dalla guerra.
La vera storia dell’Ucraina il cui cuore pulsante è Kiev è stata cancellata per creare un mito, un mito intorno al quale la Russia ha inventato una versione della storia a proprio uso e consumo.
Tra la fine del 2013 e il 2014 la “periferia” ucraina ha cercato nuovamente di sottrarsi all’influenza del “popolo fraterno” proclamando — attraverso la Rivoluzione della dignità (nota in Italia come Euromaidan) — di aver scelto una strada europea.
La risposta del “centro” è arrivata con l’utilizzo dei soliti vecchi mezzi del terrore: l’espropriazione della penisola della Crimea, l’invasione e i bombardamenti del Donbass. Ma l’ideologo della Russia ha ottenuto l’effetto contrario: l’Ucraina non si è sottomessa ed è cresciuto il divario, incolmabile per le nuove generazioni, tra il popolo ucraino e il popolo russo.
La guerra del 2022 con i suoi bombardamenti colpisce al cuore con ferocia la storia e la cultura ucraine: le scuole, i centri come Budynok Slovo, casa-museo degli scrittori ucraini attivi a Kharkiv negli anni Venti del Novecento, gli edifici storici del centro di Kharkiv e Chernihiv, il luogo del massacro degli ebrei a Kiev nel 1941, Babyn Yar.
La resistenza dimostrata dagli ucraini in questa guerra è quindi la ribellione di un popolo traumatizzato che da secoli subisce la politica coloniale di chi lo ha aggredito. E in questa lotta ci sono gli ucraini ucrainofoni e russofoni, ci sono città con storie diverse come Kiev, Kharkiv, Mariupol’e Odessa. La risposta degli ucraini è la lotta decoloniale per l’indipendenza e per l’esistenza stessa, è la resistenza per preservare la propria incolumità e identità e per evitare che le nuove generazioni debbano subire ancora.
* L’autrice è traduttrice e organizzatrice culturale. Nata in Ucraina nel 1986, vive a Milano. È titolare del corso di Lingua e Letteratura Ucraina all’Università Statale di Milano.




Il Donbass e la Crimea sono parte dell'Ucraina e non della Russia
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1613077124

10)
Ucraina e Russia storia secolare di un difficile rapporto ai danni dell'Ucraina


Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non dei russi e della Russia
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 143&t=3000
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Ucraina, dalla guerra civile nel 2013/14, causata dal nazifascista russo Putin a oggi, dalle stragi di Euromaidan del 2013 a quella di Odessa del 2014
viewtopic.php?f=143&t=3006
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Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014 con repressione violenta del governo filorusso dei manifestanti filoeuropei e feroci scontri tra i filo russi e i filo europei, con centinaia di morti e migliaia di feriti.
Con interventi di cecchini, mercenari, infiltrati e squadre speciali russe contro gli ucraini antigovernativi e filoeuropei.
Fu in questo contesto di guerra civile, di repressioni poliziesche e militari, di scontri e violenze generalizzate, tra cui l'invasione russa della Crimea e l'inizio dei moti separatisti terroristici nel Donbass che avvenne anche la Strage di Odessa in cui morirono una quarantina di persone a causa di un incendio di cui non si conosce con certezza l'origine.



DALLA RUS' DI KIEV ALLA RUSSIA DI PUTIN: PERCHÉ GLI UCRAINI TENGONO ALL'INDIPENDENZA

di Antonio Polito, Il Corriere della Sera
28 marzo 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La Rus’ è nata a Kiev, tra il IX e il X secolo dopo Cristo; fu la più antica forma di stato degli slavi orientali. Il suo sovrano Vladimir è passato alla storia per essersi convertito nel 988 al Cristianesimo insieme al suo popolo. Per questo è venerato come santo. Quindi Putin porta oggi il nome di un principe di Kiev, come del resto il suo avversario Zelensky.
Mosca nacque solo molto dopo - è citata per la prima volta alla data del 1147 - come avamposto militare di uno dei principati in cui si era divisa la Rus’. Ma dopo la lunga dominazione mongola - il “giogo tartaro” - emerse come il centro del principato della Moscovia, e con la caduta di Costantinopoli (1453) cominciò a fregiarsi del titolo di «Terza Roma», erede cioè sia dell’impero romano di Occidente e di Oriente.
Kiev passò sotto il controllo di Mosca soltanto nel 1667, e non con una conquista ma con la diplomazia e l’inganno. I cosacchi ortodossi, ribellatisi ai polacchi per difendere la loro indipendenza, chiesero aiuto alla ortodossa Moscovia. Aleksej, il primo principe russo a lasciare il paese per combattere all’estero, sconfisse i polacchi e nel trattato di pace ottenne per due anni il controllo di Kiev. Non lo lasciò mai più. Toccò poi un secolo dopo a Caterina II la Grande il compito di completare l’opera, smembrando la Polonia e annettendosi l’Ucraina meridionale, la Crimea e la Polonia orientale. La zarina affidò a un suo favorito la fondazione del porto di Odessa sul Mar Nero, una sorta di contraltare della magnifica San Pietroburgo che lo zar Pietro il Grande aveva fatto costruire sul Mar Baltico. L’accesso ai «mari caldi», navigabili cioè anche d’inverno, è stato infatti il primo obiettivo strategico degli zar, e ancora oggi si combatte sulle sponde del Mar d’Azov, dove Pietro il Grande schierò la prima flotta della storia russa.
L’anelito all’indipendenza degli ucraini fu duramente represso nell’Ottocento, con il divieto delle pubblicazioni nella lingua nazionale. La regione andò poi persa con la disfatta del regime zarista nella Grande Guerra. Quando i bolscevichi presero il potere con la Rivoluzione di Ottobre nel 1917, decisero di mettere fine al conflitto con gli Imperi centrali. Così, nella pace di Brest-Litvosk nel 1918, rinunciarono a tutti i territori occidentali, tra cui l‘Ucraina, che fu occupata dai tedeschi e tornò nelle mani dei nazionalisti. Solo dopo la fine della guerra civile Kiev entrò a far parte nel 1922 dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Ma è proprio durante l’epoca sovietica che gli ucraini hanno conosciuto quella che forse è la loro peggiore tragedia nazionale. La grande carestia, passata alla storia come Holodomor, fu provocata da Stalin per imporre la sua politica di «collettivizzazione» delle terre e liberarsi della classe dei «kulaki», i contadini indipendenti. L’Ucraina oppose una strenua resistenza, e nel 1932-1933 le autorità di Mosca deliberatamente l’affamarono, esportando o nascondendo il cibo ai contadini. Si registrarono anche casi di cannibalismo. Le vittime complessive della carestia superarono i 4 milioni.
Anche per questo, quando le armate hitleriane invasero l’Ucraina marciando contro l’Urss, furono spesso accolte come liberatori dagli ucraini: in realtà portarono solo altra morte e devastazione.
Dopo il collasso dell’Urss, nel 1991, e di nuovo a Brest (dove anche in questa guerra si sono svolti colloqui di pace) l’Ucraina dichiarò la sua indipendenza, insieme con la Federazione russa e la Bielorussia, confermata da un referendum popolare che vinse anche nell’est del paese. Con gli accordi del 1994 accettarono di consegnare alla Russia le testate nucleari presenti sul loro territorio in cambio della garanzia di integrità territoriale.
Il paese è rimasto a lungo diviso tra la parte occidentale, che voleva una maggiore integrazione con l’Europa, e la parte orientale più legata alla Russia. Nel 2008 la Nato accettò la richiesta di adesione di Kiev ma non vi ha mai dato seguito proprio per evitare la reazione di Mosca, che invece c’è stata comunque. Prima nel 2004 con la «rivoluzione arancione» e poi nel 2013 con il movimento chiamato Euromajdan , le forze pro-Europa hanno avuto il sopravvento, nonostante il tentativo di repressione del governo filo-russo nel 2013. Putin reagì a quello che definì un «colpo di Stato» con l’occupazione militare della Crimea e la sua annessione, e con il sostegno alle milizie dell’area orientale del Donbass, il bacino minerario, che dichiararono la nascita di due repubbliche separatiste.
Il resto è storia dei nostri giorni.





"Non esiste una generazione di ucraini che non sia stata sfregiata dalla politica coloniale russa e dalle sue scelte rovinose, a partire dal Settecento". Splendido pezzo di Yaryna oggi su Repubblica. L'inquadramento della guerra dal punto di vista culturale e storico.
L’Ucraina non sarà una colonia russa

di Yaryna Grusha Possamai*
17 marzo 2022

https://www.facebook.com/groups/salviam ... 7461906163

La mattina del 24.02.2022 le sirene nella capitale Kiev e nelle città di Kharkiv, Kherson, Chernihiv, Sumy hanno anticipato i bombardamenti aerei. Paura, panico, fuga degli ucraini. Cinque minuti prima dell’attacco su larga scala del mio paese il presidente russo, con un discorso che proponeva gli stessi argomenti contenuti in un articolo pubblicato nel luglio del 2021 pieno di falsità sulla storica fratellanza tra i popoli russo e ucraino, annunciava quello che è il cuore della sua politica coloniale.
Oggi le analisi sulla guerra della Russia all’Ucraina ruotano intorno a politica, economia, geopolitica e interessi finanziari senza però tenere in considerazione l’aspetto storico-culturale che invece è quello al quale dobbiamo guardare perché è lì che il presidente russo ha pescato le giustificazioni per l’aggressione di un Paese che, al contrario del suo, ha intrapreso una strada democratica. La manipolazione dell’opinione pubblica in Russia è avvenuta attraverso la strumentalizzazione della storia. Quella fredda mattina di febbraio gli ucraini hanno capito che la storia si stava ripetendo. Non esiste una generazione di ucraini che non sia stata sfregiata dalla politica coloniale russa e dalle sue scelte rovinose, a partire dal Settecento con la distruzione dell’Hetmanato (1649-1764), primo nucleo statale gestito dai cosacchi nei territori dell’odierna Ucraina, fino alla circolare di Valuev (1863) e al decreto di Ems (1876) che proibivano qualsiasi opera letteraria in ucraino, compresa la traduzione dal russo. I territori ucraini appartenenti all’impero russo sono stati chiamati Piccola Russia, per sottolineare il rapporto di forza tra il centro colonizzatore e la periferia colonizzata.
La politica coloniale con il proprio centro a Mosca è proseguita con la sottomissione di Kiev anche durante l’Unione Sovietica: purghe staliniste con centinaia di intellettuali ucraini arrestati e fucilati a Solovki e Sandarmokh all’inizio degli anni Trenta, lo sterminio per fame — noto come Holodomor tra il 1932 e il 1933 — dei contadini ucraini, l’occupazione di Leopoli nel 1939, la deportazioni dei tartari di Crimea nel 1944, la repressione tra gli anni ’60 e ’70. Nel 1985 nella colonia sovietica di Ku?ino, odierna regione di Perm’ in Russia, muore in seguito a uno sciopero della fame il poeta e traduttore ucraino Vasyl’Stus. Nel 1986 esplode la centrale nucleare di Chornobyl’ incidente causato da una cattiva gestione e le cui conseguenze hanno prodotto migliaia di profughi rimasti a lungo senza una casa e un posto di lavoro.
Io sono un’ucraina con un bisnonno fucilato dal NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni, ndr ), mentre l’altro bisnonno è stato mandato al fronte senza un fucile, in prima linea con l’Armata Rossa ed è tornato senza un braccio.
Mia nonna è cresciuta con il marchio di “figlia del nemico del popolo” la quale cosa ha significato niente studi e niente lavoro. I miei genitori — insegnanti di lettere che non potevano nominare durante le lezioni i nomi di scrittori e poeti ucraini sterminati dal regime sovietico — sono scappati da Chernobyl’ solo due settimane dopo l’incidente (avvenuto il 6 aprile 1986, ndr ), perché il potere centrale teneva tutti all’oscuro, e sono rientrati a casa nell’agosto successivo perché la loro zona, qualificata come Zona 3, non è stata considerata da evacuare. Oggi quei territori — con scuole e case bombardate e centinaia di civili morti — sono afflitti dalla guerra.
La vera storia dell’Ucraina il cui cuore pulsante è Kiev è stata cancellata per creare un mito, un mito intorno al quale la Russia ha inventato una versione della storia a proprio uso e consumo.
Tra la fine del 2013 e il 2014 la “periferia” ucraina ha cercato nuovamente di sottrarsi all’influenza del “popolo fraterno” proclamando — attraverso la Rivoluzione della dignità (nota in Italia come Euromaidan) — di aver scelto una strada europea.
La risposta del “centro” è arrivata con l’utilizzo dei soliti vecchi mezzi del terrore: l’espropriazione della penisola della Crimea, l’invasione e i bombardamenti del Donbass. Ma l’ideologo della Russia ha ottenuto l’effetto contrario: l’Ucraina non si è sottomessa ed è cresciuto il divario, incolmabile per le nuove generazioni, tra il popolo ucraino e il popolo russo.
La guerra del 2022 con i suoi bombardamenti colpisce al cuore con ferocia la storia e la cultura ucraine: le scuole, i centri come Budynok Slovo, casa-museo degli scrittori ucraini attivi a Kharkiv negli anni Venti del Novecento, gli edifici storici del centro di Kharkiv e Chernihiv, il luogo del massacro degli ebrei a Kiev nel 1941, Babyn Yar.
La resistenza dimostrata dagli ucraini in questa guerra è quindi la ribellione di un popolo traumatizzato che da secoli subisce la politica coloniale di chi lo ha aggredito. E in questa lotta ci sono gli ucraini ucrainofoni e russofoni, ci sono città con storie diverse come Kiev, Kharkiv, Mariupol’e Odessa. La risposta degli ucraini è la lotta decoloniale per l’indipendenza e per l’esistenza stessa, è la resistenza per preservare la propria incolumità e identità e per evitare che le nuove generazioni debbano subire ancora.
* L’autrice è traduttrice e organizzatrice culturale. Nata in Ucraina nel 1986, vive a Milano. È titolare del corso di Lingua e Letteratura Ucraina all’Università Statale di Milano




La distruzione della lingua ucraina insieme al popolo ucraino fu per diversi secoli lo scopo dei moscoviti.
Victoria Voytsitska
29 marzo 2022

https://www.facebook.com/groups/salviam ... 6305158945

Difendere l'Ucraina è proteggere la propria lingua!
Parlare, scrivere, a sbagliare - come faccio io negli ultimi 24 anni, perché prima non conoscevo la lingua - a Kyiv quasi tutte le scuole erano russofone, libri, televisione, tutto lo spazio informativo era russofone. Ai tempi dell'occupazione sovietica, c'era un postulato appositamente forzato sul fatto che "ucraino comunica solo "sely киki"....
Ma nel mio 24esimo ho preso una decisione per me stesso - sono ucraino e comunicherò, anche con errori, in ucraino.
Già più tardi ho saputo di come il "grande fratello" ha distrutto l'Ucraina, il popolo ucraino, la cultura e la nostra lingua madre:
1720 - il decreto di Pietro I sul divieto di stampare in lingua ucraina e sull'occupazione dei libri della chiesa ucraina.
1729 - Pietro II ordina di riscrivere in russo tutti i regolamenti e gli ordini del governo, scritti in ucraino.
1763 - Caterina II vieta l'insegnamento della lingua ucraina presso l'Accademia di Kiev-Mohilâns ʹkíj.
1764 - Caterina II ordina la russificazione dell'Ucraina.
1769 - la RPC ha deciso per la confisca delle lettere ucraine e dei libri della chiesa.
1775 - Distruzione di Zaporozhye Sichi e chiusura delle scuole ucraine sotto gli uffici del reggimento cosacchi.
1804 - con un decreto reale speciale nell'Impero russo, tutte le scuole di lingua ucraina furono bandite, che portò al completo degrado della popolazione ucraina!
1832 - La riorganizzazione dell'istruzione in Ucraina ha trasformato tutto l'insegnamento in lingua russa
1847. - Migliorare la persecuzione della lingua e della cultura ucraine, proibendo tra gli altri le migliori opere di Taras Shevchenko, Panteleimon Kulish, Nikolai Kostomarova.
1862 - Chiusura delle scuole domenicali ucraine per adulti nella parte russa dell'Ucraina.
1863 - Circolare Valuevskij - decreto segreto che vietava la censura per consentire la pubblicazione della letteratura educativa spirituale e popolare ucraina. L'ucraino è definito "una lingua poco russa separata [che] non è mai esistita, non esiste e non dovrebbe esistere, e la loro lingua [piccola-russa] della gente comune non è altro che russa, corrotta dall'influenza della Polonia".
1864 - Accettazione della Carta in cui l'istruzione primaria dovrebbe essere condotta solo in lingua russa.
1870 - Il ministro dell'Istruzione russo afferma che "l'obiettivo finale dell'istruzione per tutti gli irodcív (Ner russi, letteralmente "persone di un'altra origine"), è indiscussa la loro russificazione
1876 - il decreto di Alessandro II sul divieto di stampare e importare dall'estero qualsiasi letteratura ucraina, nonché il divieto delle esibizioni della scena ucraina e dei testi ucraini in note musicali e
1881 - Divieto di insegnare nelle scuole pubbliche e di condurre sermoni religiosi in ucraino.
1884 - il divieto di Alessandro III del teatro ucraino in tutti i governatorati della "Malorussia".
1888 - Il decreto di Alessandro II vieta l'uso della lingua ucraina nelle istituzioni ufficiali e nei nomi ucraini.
1892 - Divieto di tradurre libri dalla lingua russa ucraina.
1895 - il divieto della principale gestione della stampa di rilasciare libri per bambini in lingua ucraina.
1914, 1916 - Campagna Rusifíkacíjna nell'Ucraina occidentale, divieto di parola ucraina, istruzione, chiese.
Sotto il governo di Stalin, milioni di ucraini sono morti di fame durante il genocidio.
La Russia distrugge la lingua e la cultura ucraine da oltre 350 anni.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 5:01 pm

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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 5:02 pm

Un po' di storia

Dopo l'indipendenza nel 1991 dall'URSS dissoltasi nello stesso anno qualche mese prima, l'Ucraina finché era governata dall'oligarchia predatoria filo russa, sostenuta dalla minoranza russofila prevalentemente in Crimea e nel Donbass, e restava nell'ambito della sfera d'influenza economica, politica e militare russa, sul modello della Russia stessa, gli ucraini russofili e i russi della Russia non avevano nulla ridire, da contestare, da rivendicare, ...
ma non appena l'Ucraina sulla spinta della maggioranza della popolazione che non voleva più sottostare all'egemonia russa e fattasi forte a seguito dell'indipendenza dall'URSS, propensa più a seguire il modello culturale, democratico, civile ed economico dell'Europa da cui era naturalmente attratta, in concomitanza con la rinascita dell'imperialismo nazionalista russo e russocentrico incarnato da Putin sono iniziati i problemi, le contestazioni e le rivendicazioni separatiste.
I territori con una rilevante presenza russofona e russofila hanno così iniziato con le rivendicazioni separatiste violente, purtroppo in queste aree oltre ai russofili vi erano anche gli ucraini non russofoni o bilingui ma non russofili, per cui la rivendicazione separatista dei russofili violava i loro diritti umani, civili e politici, e l'ordinamento costituzionale e l'integrità territoriale esistente dello stato ucraino che non era frutto di abusi e di annessioni violente ma semplicemente un portato storico naturale sancito dal referendo per l'indipendenza dell'Ucraina così come si era ritrovata ad essere nel momento di dissoluzione dell'URSS nel 1991.
Circa dieci anni dopo, al rinato imperialismo della Grande Russia con il dittatore Putin non andava più bene che l'Ucraina fosse indipendente, libera e sovrana, democratica e filo occidentale, filo europea.
Allo stesso modo che a un uomo non va bene che la sua moglie e/o la sua compagna sia indipendente, non più sottomessa, libera e si separi e chieda il divorzio e voglia costruirsi una nuova vita indipendente da lui, da quest'uomo e marito che non ama più e da cui ha subito ogni tipo di umiliazione e violenza.
L'aggressione all'Ucraina da parte della Russia di Putin è un tentativo di sottomissione forzata, con sevizie e stupro e con un tentativo sistematico di femminicidio.
Una criminale violazione dei diritti umani, civili e politici della maggioranza della popolazione dell'Ucraina, un crimine contro l'umanità per cui Putin e la sua Russia debbono pagare come tutti i delinquenti comuni e politici.


Alla dissoluzione dell'Impero russo sovietico dell'URSS,
l'Ucraina nel 1991 ha scelto di non fare più parte dell'URSS e di essere nazione e stato indipendente dalla Russia e più tardi nel 2004 con la rivoluzione arancione di voler abbandonare l'orbita nell'orrido ed opprimente mondo russo euroasiatico degli zar, dell'URSS e della Russia di Putin e dei suoi oligarchi ed entrare a far parte del più civile, democratico ed evoluto mondo europeo occidentale.


1991
L'Ucraina come stato è nata dalla disgregazione dell'URSS

https://it.wikipedia.org/wiki/Referendu ... a_del_1991
Nel 1991 al crollo dell'orrido regime comunista dell'URSS organizzato attorno alla Russia di Mosca in Ucraina si tenne un referendo per l'indipendenza
Le città e i cittadini del Donbass in questo referendo del 1991 dissero in massa sì all'indipendenza dell'Ucraina dalla Russia dell'URSS.
Nello stesso giorno, si tennero anche le elezioni presidenziali, nella quale gli ucraini elessero Leonid Kravčuk (all'epoca Capo del Parlamento) Presidente dell'Ucraina.
L'Atto di Indipendenza fu sostenuto dai cittadini di tutte le regioni amministrative dell'Ucraina: 24 oblast', 1 repubblica autonoma e 2 città con status speciale.
https://commons.wikimedia.org/wiki/Cate ... uselang=it



Il primo dicembre 1991 fu tenuto in Ucraina il referendum sull’indipendenza dalla URSS/Russia
e fu una votazione libera, democratica, senza violenze ne brogli.
https://it.wikipedia.org/wiki/Referendu ... a_del_1991
Il referendum riguardo all'indipendenza dell'Ucraina si è svolto il 1º dicembre 1991. L'unica domanda scritta sulle schede era: "Approvi l'Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell'Ucraina?" con il testo dell'Atto stampato prima della domanda. Il referendum fu richiesto dal Parlamento dell'Ucraina per confermare l'Atto di Indipendenza, adottato dal Parlamento il 24 agosto 1991.
I cittadini ucraini espressero un sostegno schiacciante per l'indipendenza. Al referendum votarono 31.891.742 (l'84.18% dei residenti) e tra di essi 28.804.071 (il 90.32%) votarono "Sì".
Nello stesso giorno, si tennero anche le elezioni presidenziali, nella quale gli ucraini elessero Leonid Kravčuk (all'epoca Capo del Parlamento) Presidente dell'Ucraina.


Rivoluzione arancione in Ucraina
https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_arancione
Con rivoluzione arancione si intende il movimento di protesta sorto in Ucraina all'indomani delle elezioni presidenziali del 21 novembre 2004, parte del più ampio fenomeno delle rivoluzioni colorate.
I primi risultati vedevano il delfino dell'ex presidente Leonid Kučma - Viktor Janukovyč - in vantaggio. Ma lo sfidante Viktor Juščenko contestò i risultati, denunciando brogli elettorali, e chiese ai suoi sostenitori di restare in piazza fino a che non fosse stata concessa la ripetizione della consultazione. Il nome deriva dal colore arancione, adottato da Juščenko e dai suoi sostenitori, e divenuto il tratto distintivo della "rivoluzione" pacifica. I partecipanti alle proteste brandivano sciarpe e striscioni arancioni, oppure nastri del medesimo colore.
A seguito delle proteste, la Corte Suprema ucraina invalidò il risultato elettorale e fissò nuove elezioni per il 26 dicembre. Questa volta ad uscirne vincitore fu proprio Juščenko, con il 52% dei voti contro il 44% del suo sfidante. Il nuovo presidente si insediò il 23 gennaio 2005. La rivoluzione arancione è anche nota come prima rivoluzione ucraina, in seguito alla Rivoluzione ucraina del 2014 generata dalle proteste del movimento Euromaidan e dalla rivolta di Kiev, sempre contro Janukovyč.


È da questa svolta storica che gli ucraini filo russi e la Russia di Putin hanno iniziato le loro sporche politiche separatiste che hanno causato conflitti civili armati nel Donbass e l'invasione-occupazione- annessione della Crimea nel 2014 a seguito della seconda rivoluzione ucraina del 2014 che ribadiva e confermava la svolta del 2004 con l'Europa e non con la Russia e oggi all'invasione militare dell'Ucraina da parte della Russia del dittatore Putin
.


https://it.wikipedia.org/wiki/Annession ... lla_Russia
L'annessione della Crimea alla Russia fu il primo evento della crisi russo-ucraina iniziata nel 2014.
Nello specifico, in seguito alla rivoluzione ucraina del 2014, la Russia inviò proprie truppe senza insegne a prendere il controllo del governo locale; il nuovo governo filorusso dichiarò la propria indipendenza dall'Ucraina.
Il 16 marzo fu quindi tenuto un referendum sull'autodeterminazione della penisola, criticato e non riconosciuto da gran parte della comunità internazionale, segnato dalla vittoria del "Sì" con il 95,32% dei voti: le autorità della Crimea firmarono il 18 marzo l'adesione formale alla Russia.

La rivoluzione ucraina del 2014, nota anche come rivoluzione di Maidan, ha avuto luogo nel febbraio 2014 a conclusione delle proteste dell'Euromaidan, quando scontri violenti tra i manifestanti e le forze di sicurezza nella capitale Kiev culminarono con la fuga del presidente eletto Viktor Janukovyč e la caduta del governo di Mykola Azarov.

https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzio ... a_del_2014
La rivoluzione fu accompagnata da una rapida serie di cambiamenti nel sistema politico dell'Ucraina, tra cui il ripristino della costituzione del 2004, l'installazione di un nuovo governo provvisorio presieduto da Arsenij Jacenjuk, l'abolizione di una legge che riconosceva il russo come lingua regionale ufficiale e lo svolgimento di elezioni presidenziali anticipate con l'elezione di Porošenko il 25 maggio 2014.
Dopo una prima rivoluzione, la "rivoluzione arancione" del 2004, l'Ucraina era rimasta impantanata da anni di corruzione, cattiva gestione, mancanza di crescita economica, svalutazione della moneta e impossibilità di ottenere finanziamenti sui mercati internazionali. Perciò Janukovyč aveva cercato di stabilire relazioni più strette con l'Unione europea e la Russia al fine di attrarre investimenti nel paese. Una di queste misure fu un accordo di associazione con l'Unione europea, che avrebbe fornito all'Ucraina sostegno economico in cambio di riforme allo scopo di accrescere gli scambi commerciali e di allentare i legami economici con la Russia. Janukovyč in un primo momento entrò in trattative con l'UE, ma infine si rifiutò di firmare l'accordo perché preoccupato dalle misure di austerità ad esso collegate e dalla minaccia russa di applicare sanzioni economiche. Inoltre l'UE come condizione essenziale per l'accordo di associazione aveva chiesto la liberazione di Julija Tymošenko, ex primo ministro ed esponente del partito "Patria" in carcere dal 2011. Janukovyč firmò invece un accordo di cooperazione economica con la Russia, che scatenò proteste a Kiev ("Euromaidan") e infine violenti scontri tra manifestanti e forze dell'ordine. Mentre le tensioni aumentavano, Janukovyč lasciò il Paese per non più tornarvi.
Dopo la rivoluzione del 2014, la Russia ha rifiutato di riconoscere il nuovo governo provvisorio, chiamando la rivoluzione un colpo di Stato, ha accusando gli Stati Uniti e l'UE di aver finanziato e diretto la rivoluzione e ha preso il controllo della penisola di Crimea in Ucraina. Il governo ucraino ha concluso l'accordo di associazione con l'UE e si è impegnato ad adottare le riforme nel sistema giudiziario e politico e le politiche finanziarie ed economiche necessarie per rispettarne i termini. Il governo ad interim ha inoltre adottato ulteriori provvedimenti[quali?], poiché dopo la rivoluzione non era in grado di soddisfare diversi punti dell'accordo e aveva bisogno di investimenti esteri[senza fonte]. Investimenti internazionali sono provenuti dal Fondo Monetario Internazionale in forma di prestiti per un importo di quasi 18 miliardi di dollari (corrispondenti a 15,4 miliardi di euro) condizionati all'adozione di ampie riforme, tra cui l'eliminazione dei sussidi statali per le bollette del gas. Anche l'Unione europea, la Banca Mondiale e gli Stati Uniti hanno prestato sostegno finanziario alle riforme in Ucraina negli anni 2014-2015, per un impegno complessivo poco superiore agli 8 miliardi di euro.
Secondo i dati dei sondaggi di GfK raccolti tra il 4 e il 18 marzo in tutte le regioni d'Ucraina (compresa la Crimea), il 48% degli ucraini sosteneva il cambiamento di potere mentre il 34% vi si opponeva. Nelle regioni meridionali ed orientali la rivoluzione era sostenuta solo dal 20% della popolazione, mentre oltre il 57% della popolazione nel resto del paese sosteneva il cambiamento di governo. Inoltre, solo il 2% degli intervistati ha dichiarato totalmente o parzialmente attendibile l'ex presidente Viktor Janukovyč.[
La rivoluzione fu seguita da scontri nelle regioni sud-orientali del paese, dall'intervento militare della Russia e dalla annessione della Crimea, e dall'aumento delle truppe russe in prossimità delle frontiere dell'Ucraina.



Ucraina, dalla guerra civile nel 2013/14, causata dal nazifascista russo Putin a oggi, dalle stragi di Euromaidan del 2013 a quella di Odessa del 2014
viewtopic.php?f=143&t=3006
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9099264249


Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014 con repressione violenta del governo filorusso dei manifestanti filoeuropei e feroci scontri tra i filo russi e i filo europei, con centinaia di morti e migliaia di feriti.
Con interventi di cecchini, mercenari, infiltrati e squadre speciali russe contro gli ucraini antigovernativi e filoeuropei.
Fu in questo contesto di guerra civile, di repressioni poliziesche e militari, di scontri e violenze generalizzate, tra cui l'invasione russa della Crimea e l'inizio dei moti separatisti terroristici nel Donbass che avvenne anche la Strage di Odessa in cui morirono una quarantina di persone a causa di un incendio di cui non si conosce con certezza l'origine.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 5:02 pm

IL PRECEDENTE COME APRIPISTA
Niram Ferretti
16 marzo 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

«Otto anni fa in questo giorno la Federazione russa ha organizzato un referendum falso in Crimea ucraina che ha poi usato per giustificare l’invasione del nostro territorio. Questo atto illegale è stato la rottura di tutta l’architettura della sicurezza in Europa creata dopo la Seconda guerra mondiale. Se all’epoca ci fosse stato solo un segno della resistenza che facciamo oggi, che voi fate oggi, se la reazione del mondo fosse stata almeno la metà di quella di oggi sono sicuro che questa invasione non ci sarebbe stata e non ci sarebbero stati 8 anni di guerra nel Donbass».
Difficile dare torto a Volodymyr Zelensky. È andata esattamente così. L'annessione della Crimea non ebbe per Putin conseguenze serie, l'Europa continuò a fare affari con lui nonostante le sanzioni. Ci si girò semplicemente dall'altra parte, e anzi molti sostennero che aveva fatto bene, perché la Crimea, dopotutto era "parte" della Russia. Così, quando Putin ha spiegato in un lungo saggio pubblicato il luglio scorso che anche l'Ucraina è parte della Russia, era evidente che l'aggressione fosse inevitabile, come vide chiaramente lo storico Niall Ferguson. Ma fino all'ultimo, nonostante le migliaia di soldati russi ammassati ai confini del paese si irridevano gli Stati Uniti che annunciavano un attacco imminente.
Putin pensava di farla franca un'altra volta. Di piegare l'Ucraina in fretta e che il fronte occidentale si scompaginasse. Nel 2014 aveva già avuto, sostanzialmente, semaforo verde.
Era tutto già predisposto. Tutto già deciso. Bisognava, naturalmente, che ci fosse il pretesto. Come Hitler ebbe quello dei Sudeti per invadere la Cecoslovacchia, Putin ha avuto quello dell'"espansione" della NATO, e della richiesta ucraina di entrarvi (non poteva farlo per il conflitto in corso in Donbass). Il pretesto era la sicurezza russa minacciata, laddove non c'era nessuna minaccia imminente, di nessun tipo, se non appunto, la volontà dell'Ucraina di spostarsi sempre più a Occidente.
Quello che ha dichiarato Zelensky mette in luce un vecchio e immarcescibile principio che vale in grande come in piccolo, se si lascia a chi detiene la forza di usarla a proprio piacimento trasgredendo la legge (nessuno Stato ha riconosciuto la legalità dell'annessione della Crimea da parte della Russia), costui si sentirà legittimato a continuare a farlo confidando nella medesima reazione.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 5:02 pm

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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 5:03 pm

I filo russi, i nazi fascisti e comunisti dell'Occidente a sostegno del criminale e questo sì un vero e proprio nazi fascista il falso cristiano Putin contro l'Ucraina calunniosamente accusata di nazismo,
i dementi e i vigliacchi che negano all'Ucraina il diritto e il dovere a difendersi e che non vorrebbero aiutarla militarmente per timore della ritorsione putiniana e della sua minaccia nucleare.



TRE TIPI DI GLOBALISMO
Giovanni Bernardini
14 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 7231344476

Ci sono sostenitori di Putin intellettualmente più seri di coloro che invitano, rabbiosamente o con parole suadenti, gli ucraini alla resa senza condizioni. Sono tutti coloro che vedono in Putin il campione dell’anti globalismo, l’uomo che oppone alla innegabile decadenza culturale dell’occidente i valori della tradizione e della spiritualità.
Tralascio, per non allargare a dismisura il discorso, ogni richiamo alla decadenza culturale dell’occidente ed alla spiritualità contrapposta al materialismo. Ci sarà tempo per tornare su questi importanti argomenti. Mi limito ora a fare alcune considerazioni sul presunto anti globalismo putiniano.
Semplificando telegraficamente il discorso, si possono individuare tre tipi di globalismo.
Il globalismo democratico e liberale, che è meglio chiamare col suo vero nome: universalismo.
Tutti gli esseri umani, per il solo fatto di esser tali, hanno pari dignità e devono godere degli stessi diritti fondamentali. Questi diritti non si limitano ai soggetti individuali ma si estendono a quelli sovra individuali, riguardano i popoli e le nazioni.
Ogni nazione ha diritto all’autodecisione. Le relazioni fra stati e nazioni non devono basarsi sulla violenza. I vari stati intrattengono relazioni di ogni tipo fra loro: commerciali, politiche, culturali, turistiche. Esistono, regolati dalla legge, normali processi di immigrazione ed emigrazione. Ogni popolo è sovrano in casa propria, ma nessuno è una monade senza finestre sul mondo; tutti dialogano con tutti a partire dalla affermazione della propria identità.
L’universalismo democratico e liberale è in fondo una idea regolativa. Non esiste né è mai esistito in forma compiuta ed è probabilmente irraggiungibile nella sua forma pura. Ma è possibile avvicinarsi ad esso.
Il globalismo mondialista.
Popoli, stati e nazioni sono anticaglie del passato. Le differenza fra culture e civiltà, quando esistono, non sono essenziali. Gli esseri umani o interi popoli possono tranquillamente spostarsi dove credono perché il mondo è un’unica area unificata in cui confini e frontiere possono al massimo avere una funzione di controllo amministrativo degli spostamenti. Governi e parlamenti dei vari stati devono cedere quote sempre maggiori di sovranità ad organismi internazionali non eletti da nessuno.
Il fine ultimo del globalismo mondialista dovrebbe essere un governo unificato del pianeta. Anche questa è, a ben vedere le cose, una idea regolativa, ben lontana dall’essere realizzata. Molti occidentali però cercano da tempo di metterla in atto. Quanto al suo realismo… basta guardare cosa sta succedendo in Ucraina per poterlo adeguatamente valutare.
Il globalismo nazional imperialista.
Questo tipo di globalismo riconosce l’esistenza di stati e nazioni, ma pretende che un certo stato eserciti una preminenza egemonica, o addirittura un assoluto dominio, su molti altri, in prospettiva sull’intero pianeta.
Si tratta ancora una volta di una idea regolativa che però molti hanno cercato di realizzare. Provocando tragedie di immani dimensioni.
Hitler era a modo suo un globalista, anzi, un mondialista. Riconosceva, l’esistenza, ad esempio, degli slavi, ma solo per teorizzarne la naturale sottomissione ai tedeschi “ariani”; il fatto che gli ebrei esistessero era la sua autentica ossessione paranoica, per questo voleva cancellarli dalla faccia della terra.
Anche Stalin era, sempre a modo suo, un globalista – mondialista. Certo, non parlava di dominio dei “russi” ma di unificazione del proletariato mondiale, ma sarebbe stato il suo paese ad unificarlo, e nel suo paese erano i russi l’avanguardia del bolscevismo comunismo. Superato l’internazionalismo dottrinario di Lenin e Trotzkij Stalin opera una fusione perfetta di comunismo e sciovinismo grande russo. Le nazionalità oppresse dell’ex impero zarista ed i popoli dell’est Europa dovranno così subire un doppio tipo di oppressione: quella socio politica del comunismo e quella nazionale.
Ed è, almeno oggi, un nazional imperialista Putin.
Putin non può esser definito comunista, anche se mantiene in Russia, a livello politico, molto del comunismo staliniano. Putin tuttavia considera una tragedia il disgregarsi dell’impero sovietico e cerca da tempo di ricostruirlo. La tragedia ucraina è parte essenziale di questa sua strategia.
Personalmente mi sento vicino, anzi, vicinissimo al primo tipo di globalismo, detesto il secondo e detesto con ancora maggior forza il terzo.
Un democratico liberale è per il dialogo, la relazione fra le identità, ed ovviamente rivendica il diritto di criticare, anche aspramente, ciò che nella varie identità contrasta con la affermazione della pari dignità di tutti gli esseri umani.
Non può che contrastare il mondialismo astratto di chi pensa che le persone siano entità prive di radici culturali, nazionali, linguistiche, religiose.
Deve avversare con tutte le forze le pretese di chi intende unificare il mondo, o sue vaste aree, sotto l’egemonia, comunque mascherata di questa o quella nazione.
Per questo un democratico liberale, nemico del globalismo che pretende di annullare ogni differenza, non può che essere oggi radicalmente avverso alla Russia di Putin (non alla Russia in quanto tale, non alla grande cultura russa). E non può oggi che schierarsi con l’Ucraina che lotta per l’indipendenza. Senza se e senza ma.


IO DISTO ANNI LUCE
Giovanni Bernardini
14 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 7451245454

Francamente mi fanno sorridere coloro che si dichiarano fieri e felici per il ruolo che l’Europa sta giocando nella crisi attuale.
“Avete visto?” dicono sorridenti, “l’Europa è unita, compatta, ha dato la giusta risposta a Putin”.
In effetti in questa occasione l’Europa ha trovato un minimo di unità, è andata un po’ oltre le chiacchiere ed i belati.
Ma si tratta del “minimo sindacale", anzi, di meno di tale minimo.
Scusate, c’è un paese europeo che chiede di entrare nella UE e nella Nato. Questo paese viene invaso, le sue città assediate e bombardate, rischia di diventare lo stato fantoccio di un altro paese enormemente più grande e forte e voi saltellate gioiosi perché l’Europa ha trovato un minimo di coesione su questo tema? E’ un po’ come se vedessi un bruto che aggredisce mia figlia, mi mettessi ad urlare “aiuto!” e tutti mi elogiassero per il mio coraggio… Non vi sembra di esagerare?
In ogni caso, al di là di ogni valutazione sull’Europa e la sua reazione, resta un problema enorme.
A mio modestissimo avviso l’Europa, meglio, l’occidente tutto non è in grado di resistere alla sfida che oggi la Russia, e la Cina, gli stanno lanciando. Se qualcuno pensa che l’occidente politicamente corretto, l’occidente che detesta la sua storia, si considera affetto da “pandemie di razzismo”, spalanca la porte all’Islam, se qualcuno pensa che QUESTO occidente possa rispondere efficacemente alle sfide di Russia e Cina scambia il mondo con i suoi desideri.
Anche perché una delle caratteristiche più negative di QUESTO occidente, uno degli aspetti centrali dell’ideologia politicamente corretta che lo corrode, è proprio il finto pacifismo, che non a caso si traduce in ideologia della resa: l’idea folle che il modo migliore per reagire alle provocazioni sia darla sempre vita ai provocatori.
Le cose si stanno sempre più chiarendo. Intellettuali da sempre campioni dell’anti occidentalismo come Noam Chomsky si uniscono alla schiera degli amici di Putin. In Italia il partito della resa va da Diego Fusaro a Luciana Castellina, da Massimo D’Alema, Marco Rizzo e Pier Luigi Bersani a Tony Capuozzo e Vittorio Feltri. Un fronte variegato, trasversale, super differenziato al suo interno che trova però un momento di unità nella richiesta di resa all'Ucraina e nella opposizione ad ogni forma di aiuto militare alla stessa. Una sorta di neo armata Brancaleone. estremamente rumorosa in rete, che unisce i nostalgici del comunismo a strani personaggi vicini al centro destra che scambiano la critica ai mali dell’occidente con la critica all’occidente.
Ognuno faccia la sua scelta. Io disto anni luce da tutti loro.



Enrico Martignoni
Non credo che sia un problema di pacifismo. È una semplice constatazione. Che canches ha l’Ucraina di vincere? Quanto può resistere? Questi morti ancora? Può resistere più di Putin fiaccato dalle sanzioni che però fiaccano anche noi? È di poco fa la notizia che la Cina sta valutando di fornire armi alla Russia.
Io la vedo dura. Ne vale la pena? Naturalmente escludo la terza guerra mondiale che sarebbe l’altra opzione.

Giovanni Bernardini
Enrico Martignoni che sia dura è ovvio, ma non dobbiamo vedere solo le nostre debolezze e le forze dell'avversario. Neppure Putin vuole la terza guerra mondiale, ne agita lo spettro per farsi forte, ed è in realtà molto meno forte di quanto possa apparire. Solo resistendo gli Ucraini possono conseguire non dico la vittoria, ma un negoziato vero che permetta al loro paese, magari mutilato, di mantenere l'autonomia politica. Del resto i teorici della resa hanno cominciato a chiederla un minuto dopo l'inizio della guerra. Se gli ucraini si fossero subito aresi nessuno oggi parlerebbe di mediazioni e trattative. Inoltre... lo voglio dire, i teorici della resa in realtà danno ragione a Putin. Sin dall'inizio hanno cominciato a parlare di accerchiamento Nato e cose simili. Il loro interessamento per gli ucraini è assai strumentale...

Enrico Martignoni
Giovanni Bernardini , capisco quello che dici ma non sono per nulla d’accordo. Prima che lo faccia tu cito Churchill che nel famosissimo discorso disse "We shall never surrender” ma c’erano delle piccolissime differenze.
La prima è che Hitler voleva conquistare la Gran Bretagna, Putin ha chiesto ( formalmente) che l’Ucraina non entri nella NATO e sopratutto Churchill prima di parlare aveva già in tasca l’alleanza con gli USA e l’URSS.
Qui Zelensky è solo. Si possiamo mettere le sanzioni alla Russia (le sanzioni storicamente non hanno mai funzionato anzi hanno sempre rafforzato i dittatori) per non considerare che con la benzina a 2,30 euro e prezzo delgas quadruplicato è chiaro che tali sanzioni toccheranno anche noi.
Perché la Russia non è Cuba con la quale al massimo non potevamo importare i Cohiba Cigars!
Inoltre la Russia, in risposta alle nuove sanzioni , si appresta a bloccare, oltre al Gas, tutte le esportazioni di determinate materie prime: l'elenco specifico sarà reso pubblico in un paio di giorni.
Tanto per citarne una la Russia è il leader mondiale nell’esportazione di fertilizzanti che sono una vera e propria arma silenziosa per mettere in crisi ogni società.
A causa della crisi energetica il gigantesco sito produttivo di Ludwigshafen della BASF potrebbe chiudere.
La fabbrica, rifornita di gas direttamente da Gazprom, fornisce le vitamine utilizzate per l'alimentazione animale e la sua chiusura paralizzerebbe i produttori di mangimi, non so se mi spiego.
Possiamo rifornire le armi agli ucraini ma chi li addestra e soprattutto chi le usa? Non è che possono sparare con tre fucili come Terence Hill sparava con tre Colt. Cioè puoi mandare armi fin che vuoi ma i soldati rimangono quelli.
Quindi per farla breve è matematico che l’Ucraina le prenderà e quando saranno allo stremo e si DOVRANNO arrendere e secondo te allora chi detterà le condizioni? Zalensky? Non credo.

Giovanni Bernardini
Enrico Martignoni Prima di tutti noto che tu inizi esaminando le possibilità di Zelen'sky, poi, surrettiziamente, tiri fuori l'argomento che Putin voleva solo che l'Ucraina non entrasse nella Nato, in fondo in fondo la ragione la ha lui... Si parte dicendo di essere per l'Ucraina poi ci si scopre amici di Putin...
Passiamo oltre. Churchill nel maggio del 40 aveva scarsissimo appoggio americano, infatti gli USA entrarono in guerra solo nel dicembre del 41... e solo in conseguenza di Pearl Harbur.
È vero che le sanzioni colpiscono anche noi, ma colpiscono anche la Russia. Qui tutti sembrano pensare che la Russia sia invincibile anche economicamente, dopo aver sostenuto la palla che lo sia militarmente. La Russia ha un PIL pari a quello della Spagna, non è invulnetrabile. Ed esiste anche una pubblica opinione in Russia, per fortuna.
Io non nego le difficoltà, dico solo che una resa senza condizioni (perché di questo si tratta) dell'Ucraina sarebbe una sconfitta epocale per l'occidente, oltre che un dramma per gli ucraini (cosa di cui nessuno dice nulla). Nulla e nessuno garantiscono che forte di una vittoria a mani basse Puitin non avanzi domani nuove richieste, la Polonia ad esempio, o che non sia la Cina ad allungare le mani su Taiwan. Allora cosa diranno i "saggi"? Lasciamo la Polonia a Putin e Taiwan a Xi? In questo modo si rende davvero possibile la terza guerra mondiale.
In ogni caso, e termino, sono gli Ucraini e SOLO LORO a dover scegliere se arrendersi o no. Non è una scelta che competa ai vari D'Alema o Feltri. Oggi gli ucraini non ci stanno a tornare indietro di decenni, hanno il diritto di difendersi e noi il dovere politico e morale di aiutarli.
Punto e basta. Abbiamo esposto le nostre tesi, la discussione per ciò che mi riguarda finisce qui. Francamente sono stufo di dover ripeter sempre le stesse cose.

Enrico Martignoni
Giovanni Bernardini , mi dispiace che ti irriti nel discutere. Mi sembra di avere esposto civilmente le mie ragioni argomentandole pure discretamente. Se vuoi ti faccio un commento che piace a te: bravo Giovanni, slurp, slurp, ma come sei intelligente Giovanni, clap, clap, e Putin kattivo, grrrrr……, grrrrrrr…..
Buona Serata!



Francamente sono stufo delle chiacchiere infinite sulla resa o meno degli ucraini.
Giovanni Bernardini
14 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 6884532844
Le cose sono semplici: gli ucraini NON intendono arrendersi. NON ci stanno a vivere in uno stato fantoccio, preferiscono lottare.
Hanno torto o ragione? Conta poco, le cose stanno così.
A questo punto noi abbiamo una sola scelta.
O li aiutiamo, anche militarmente.
O NON li aiutiamo e lasciamo che vengano massacrati, magari dando un aiutino ai massacratori così tutto finisce prima e possiamo tornare ad una (MOLTO) presunta “normalità”.
Si può discutere del COME aiutare, delle prospettive, delle possibilità solo DOPO aver fatto questa scelta.
Tutto il resto sono chiacchiere.



La storia è piena di paesi che si sono arresi, ammonisce Sansonetti.
Giovanni Bernardini
12 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 8225190710

Certo, quando combatti e perdi, e non hai speranza alcuna di cambiare, neppure minimamente, le cose ti arrendi. Bella scoperta!
Ma nella storia non sono molti gli episodi di paesi che si arrendono prima ancora di combattere, o quando hanno ancora la possibilità non dico di vincere, ma di strappare qualcosa.
Nessuno, mi pare, si è mai arreso perché la difesa avrebbe portato a morti e distruzioni. E chi si arrende prima di combattere, quando è possibile quanto meno salvare qualcosa combattendo, è sempre stato considerato un traditore.
Quando Hitler sconfisse la Francia molti francesi scelsero di resistere. De Gaulle, condannato a morte in contumacia dal regime di Vichy, fondò il movimento “France libre”.
I francesi che scelsero di resistere considerarono un traditore il generale Petain.
Sansonetti, e con lui tanti altri, hanno parlato di “resa” sin dal primo minuto di guerra. Allora la chiamavano “trattativa”. Ora che è chiarissimo che Putin di trattare non ha alcuna intenzione gettano la maschera e dicono, puramente e semplicemente: RESA.
E non pensano neppure per un momento a cosa sarà l’Ucraina dopo la resa. Non gli interessa la sorte di quel popolo disgraziato, non turba i loro sonni il pensiero della sorte che attende, in caso di resa incondizionata, perché DI QUESTO si tratta, tanti ucraini che gli sgherri di Putin accuseranno di “nazismo” o “crimini di guerra”.
L’Ucraina può salvare qualcosa solo resistendo, obbligando i russi ad una trattativa vera.
In ogni caso la scelta di arrendersi deve essere solo LORO. Non può essere loro imposta da pseudo intellettuali che, in poltrona e bene al caldo, fanno i saggi ed i realisti sulla pelle degli altri.



ARMI A PUTIN!

Giovanni Bernardini
11 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 0262183173

Lo ho letto tempo fa in FB: “Speriamo che Putin conquisti alla svelta Kiev così la smettiamo con questa menata di guerra”.
Nobili parole, che più o meno esprimono il pensiero di molti. Certo, chi le ha scritte è stato un po’ brutale, ma in fondo ha detto chiaramente ciò che grandi firme (le definisco tali senza alcuna ironia) del giornalismo italiano come Liguori, Capuozzo o Feltri esprimono con parole più delicate.
C’è la guerra e questa deve cessare. Come farla cessare? Semplice, con la RESA.
Pero… però gli ucraini aggrediti hanno l’ardire si difendersi. Non vogliono tornare indietro di decenni, non ci stanno a vivere in un paese ridotto a protettorato, fantoccio di una potenza straniera pronta ad invadere questo o quello se il suo autocrate ritiene che ne valga la pena. E così resistono, tenacemente. Sperano di ottenere almeno una pace onorevole, una trattativa vera. E non si arrendono, non ascoltano i consigli di chi li invita ad abbracciare i loro aggressori, dei grandi intellettuali che fanno i “saggi” sulla pelle degli altri.
La protervia e l’ arroganza degli ucraini sono intollerabili. Sono LORO i responsabili delle morti, del macello del loro paese. Loro che pretendono di difendersi dall’aggressore, che hanno l’arrogante pretesa di voler vivere da liberi.
Invito i teorici della resa, i saggi giustamente indignati della intollerabile pretesa degli ucraini di resistere, ad essere coerenti fino in fondo.
Chiedano che l’Italia, l’Europa, la comunità internazionale tutta diano ARMI A PUTIN.
Armi ai russi! Questo dovrebbe essere lo slogan, la giusta richiesta dei pacifisti occidentali. Armi ai russi, così i prodi soldati di Putin potranno sconfiggere più rapidamente questi super nazionalisti, questi nazisti di ucraini e ci sarà, finalmente la pace.
L’Ucraina sarà smembrata, ridotta a stato fantoccio, a nuovo protettorato. Il suo popolo sarà costretto a vivere come ad altri piacerà farlo vivere, ma chi se ne frega? Ci sarà la “pace” perbacco! E, cosa più importante di tutte, noi potremo esser lasciati in pace.


Dedico il video a tutti coloro che parlano di continuo di genocidio nel Donbass.
Giovanni Bernardini
9 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 3939370472

Il massacro dei contadini ucraini fu perpetrato dai comunisti staliniani, non dai russi. E i contadini russi subirono, anche loro, sia pure in misura meno estesa, gli orrori della collettivizzazione staliniana.
Ma in Ucraina la guerra ai contadini si intrecciò con una brutale politica di denazionalizzazione. L'Ucraina subì, insieme, una guerra sociale ed una nazionale.
Mentre i contadini morivano di fame a milioni intellettuali, politici, sostenitori della autonomia nazionale ucraina venivano incarcerati o fucilati.
Quanti morirono? Non lo si saprà mai con esattezza. Forse, quattro, forse otto milioni di esseri umani, forse di più. Le tirannidi totalitarie fanno le cose all’ingrosso.
Oggi la rete è piena degli interventi di “esperti” che ci invitano d “inquadrare storicamente” ciò che sta avvenendo in Ucraina.
Beh… dedichino qualche minuto del loro prezioso tempo allo studio di una delle più grandi, e più dimenticate, tragedie del nostro tempo, e non solo.



PARAGONI RIDICOLI
C’è chi fa paragoni fra gli inviti alla resistenza di Zelen’skyj e il fanatico rifiuto della resa da parte di Hitler nella fase conclusiva della seconda guerra mondiale. Non diversamente da Hitller Zelen’skyj obbliga la sua gente a combattere, spinge il suo popolo al massacro, questa la tesi.
Giovanni Bernardini
8 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 2509663615

In guerra la prima vittima è la verità. Verissimo, ma in rete la prima vittima è la storia.
Vediamo un po’.
Dopo il fallimento dell’offensiva nelle Ardenne le armate hitleriane cominciarono letteralmente a sgretolarsi ad occidente. I tedeschi combatterono con feroce determinazione sul fronte orientale perché avevano una gran paura delle vendette dei russi. Val la pena di ricordare a questo proposito che l’armata rossa si rese responsabile nell’offensiva in Prussia orientale di autentici crimini di guerra. Ad occidente invece, dove gli anglo americani facevano molta meno paura, il fronte militare (per non parlare di quello civile) letteralmente crollò. E tutta la ferocia criminale di Hitler non lo poté impedire. Perché, contrariamente a quanto pensano certi soloni da quattro soldi, nessun governo, nessun tiranno possono obbligare un esercito a combattere, impedirne il disfacimento quando si diffonde il rifiuto di continuare a combattere.
Non mi pare che gli ucraini non vogliano combattere…
Nella fase finale del conflitto Hitler era assolutamente solo.
Non si manifestava nelle piazze di mezzo mondo contro chi pressava da ogni parte la Germania. Nessuno metteva sanzioni economiche ai paesi nemici del tiranno nazista. Nessuno inviava ai nazisti aiuti, meno che mai armi. Nessuno si proponeva quale mediatore fra tedeschi ed angloamericanii, o fra tedeschi e russi. Non esisteva in nessun paese in guerra con Hitler nessun politico dissenziente, nessun gran nome della cultura che invitasse il proprio governo ad adottare una linea almeno un po’ “morbida” nei confronti del tiranno nazista. Nessun tedesco tornava in patria dall’estero per aiutare il suo paese nella resistenza. Non era in corso alcuna trattativa fra tedeschi e russi, tedeschi ed alleati occidentali.
Hitler non aveva nessuna speranza, non dico di vittoria, ma neppure di pace onorevole, non poteva ottenere lo straccio di una trattativa neppure sulle condizioni della resa. Poteva solo arrendersi senza condizioni, e nessuno al mondo riteneva ingiusta o vessatoria una cosa simile.
Oggi anche coloro che sperano, senza dirlo, in una resa degli ucraini parlano di “trattative”, “dialogo”, “pace onorevole”. E solo con questo dimostrano l’idiozia di certi paragoni.
Infine, Hitler era assediato e nessuno lo aiutava perché era stato LUI l’aggressore. Lui aveva invaso tanti paesi, lui aveva costretto tanti popoli a resistenze che sembravano senza speranza. Le sue armate avevano ridotto a macerie, ed assediato un gran numero di città. L’assedio di Leningrado durò circa tre anni e fu uno degli episodi più atroci della seconda guerra mondiale.
L’Ucraina non ha invaso nessuno, non ha minacciato nessuno, non intendeva aggredire nessuno, puntare contro nessuno presunti missili. Per molti questa differenza non conta. Per loro aggredito ed aggressore pari sono. Per me si tratta di una differenza essenziale.
Gli ucraini vogliono difendersi. Hanno il diritto di farlo. E non è vero che non abbiano speranza alcuna. I sovietici invasero la piccola Cecoslovacchia con 800.000 uomini. Ne hanno mandato 150.000 in Ucraina, del tutto insufficienti per occupare e tenere militarmente un paese tanto grande e popoloso. Putin probabilmente sperava in un crollo del fronte interno in Ucraina, pensava che gli ucraini non avrebbero seguito un ex comico, che il suo esercito si sarebbe disfatto. Si è sbagliato. Se gli ucraini gli infliggono perdite pesanti possono conquistare almeno un VERO tavolo di trattativa, ottenere qualcosa di diverso da una resa senza condizioni, o da una finta neutralità che trasformerebbe il loro paese in uno stato fantoccio.
In ogni caso spetta solo a loro la decisione. NON a NOI, comodamente seduti nelle nostre poltrone.



LA RESA
Tutte le norme etiche, tutti gli ordinamenti giuridici, in tutte le civiltà distinguono fra difesa ed offesa, aggredito ed aggressore.
Giovanni Bernardini
7 marzo 2022

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 5426595990

Non lo fanno gli italici sostenitori della pace ad ogni costo, attivissimi in rete.
Per loro la colpa del proseguimento delle ostilità è di chi si difende. Il tuo paese è invaso? Un autocrate lo vuole smembrare, ridurre a stato fantoccio? Ti devi arrendere, se non lo fai è tua la colpa dei lutti legati alla prosecuzione del conflitto. La norma etica suprema, il nuovo imperativo categorico è ARRENDITI! Dalla vinta ai prepotenti, concedi loro ciò che ti chiedono. Se non lo fai sei un miserabile, uno che vuole “tornare all’ottocento”. E sei colpevole di tutte le brutture legate alla guerra, sei responsabile anche dei crimini commessi dall’aggressore, perché lui, poverino, non commetterebbe crimine alcuno se tu ti arrendessi. E’ la tua folle difesa ad obbligarlo ad uccidere.
Sembra incredibile ma sono in molti a pensarla in questo modo fra i cosiddetti “amanti della pace” dell’occidente in crisi.
Perché gli ucraini resistono? si chiedono alcuni di loro. Non hanno speranze, quindi...
Resistono perché solo resistendo hanno la speranza di ottenere un negoziato che sia diverso da una resa incondizionata. Perché chi si arrende non può negoziare un bel niente. Se Putin avesse già vinto non ci sarebbe trattativa, mediazione alcuna. Ci vuole tanto a capirlo?
Resistono, e resistendo aiutano le possibili vittime di future aggressioni. Se Putin pagherà un prezzo molto alto in Ucraina potrebbe essere meno prepotente domani, quando gli venisse in mente di minacciare la Finlandia o la Polonia…
E resistono perché hanno il diritto di farlo. Perché tutti, individui e popoli, hanno, il diritto di preferire il combattimento e la stessa morte alla perdita della libertà. Questo può sembrare vana retorica solo a chi considera vana retorica il richiamo a qualsiasi valore forte. Solo a chi ha fatto del quieto vivere la norma suprema, sempre, a qualsiasi costo.
Tutti coloro che invocano la resa per “evitare il bagno di sangue” in realtà non sono affatto spaventati dal bagno di sangue. Non sarebbero minimamente scossi se la vittoria dei russi fosse accompagnata da deportazioni ed esecuzioni di massa. Sarebbero felici di veder penzolare Zelen’skyj da una forca. Ai teorici della resa interessa una sola cosa: che tutto finisca il più presto possibile, in qualsiasi modo. Hanno un solo obiettivo: il ritorno alla normalità.
L’Ucraina è ridotta a stato fantoccio, chi se ne frega? Ora possiamo togliere le sanzioni alla Russia, il gas ritorna e con questo la normalità. Possiamo ricominciar a parlare di transizione ecologica e a dividerci su tante belle cose: dal green pass alla legge elettorale.
Non capiscono, i poverini, che nulla sarà più come prima. Non li sfiora il dubbio che il prepotente vittorioso possa avanzare nuove pretese. Che nel mirino potrebbero entrare la Finlandia o la Polonia, o forse Taiwan, su cui potrebbe avanzare pretese un altro prepotente, il gigante asiatico.
E se oggi l’amore per la resa ci ha spinti a sacrificare l’Ucraina, domani lo stesso amore potrebbe spingere altri a sacrificare la Finlandia, la Polonia o, chissà, l’Italia. Italia e Polonia sono nella Nato, potrebbe dire qualcuno, dimostrando di non aver capito proprio nulla. Perché la logica della resa non si arresta di fronte alle distinzioni giuridiche. Se si è moralmente obbligati alla resa perché si teme il sangue lo si è comunque, quale che sia il paese interessato e la sua collocazione internazionale.
Si abbandoni la distinzione fra aggredito ed aggressore, difesa ed offesa e tutto diventa possibile, qualsiasi abominio viene visto come “naturale”.
E quello che sta accadendo in questi tristissimi giorni.



LA PACE È MEGLIO DELLA LIBERTÀ ?
Giovanni Bernardini
5 marzo 2022
https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 9513784248

“La pace è più importante della libertà”. Questa, riassunta in uno slogan, la “summa” teorica dei cosiddetti neutralisti, quelli che “condannano”, bontà loro, l’intervento (intervento, non aggressione) russo in Ucraina, ma nel contempo sono contro l’invio di armi in Ucraina perché in questo modo… “si prolunga la guerra”.
Dunque, la pace è più importante della libertà. Per verificarlo facciamo un piccolo esperimento mentale.
Un tiranno a capo del paese X pretende di annettersi il paese A. Il presidente di A dice: “la pace è più importante della libertà”, si dimette ed A viene annesso ad X.
Il simpatico tiranno fa lo stesso con B, C eccetera, alla fine il paese X è al centro di un immenso impero. Bello vero?
Ma non basta. Il tiranno amante della pace detesta certe categorie di cittadini e, non appena è a capo del suo enorme impero, inizia allegramente a massacrarli. I governanti dei paesi non ancora annessi ad X potrebbero cercare di impedirglielo, ma sono ferventi seguaci della filosofia secondo cui “la pace è meglio della libertà” quindi non muovono un dito. E così decine, centinaia di milioni di innocenti vengono assassinati, nel silenzio, nella PACE.
Bello vero? Si, bellissimo e moralmente ineccepibile.
Applicato alla vita di tutti i giorni questo nobile principio, “la pace è meglio della libertà”, potrebbe dare vita a situazioni interessanti. Vedo un bruto che violenta una bambina, ma non intervengo. La pace è meglio della libertà, anche della libertà di uscir di casa senza venir stuprata. Bello vero?
E ciò che vale per lo stupro potrebbe valere per il furto, la rapina, il pestaggio di un vecchio, addirittura l’omicidio. Tizio spara a Caio. Perché mai dovrei intervenire? Se intervengo la violenza continua, ci sarebbero altre vittime. Quindi lascio che Tizio spari a Caio, poi, magari a Sempronio. La pace è più importante della libertà, perbacco.
Ma, a parte ogni considerazione etica, è realistico questo nobile principio? Evita davvero la guerra?
NO, ovviamente. NO, perché non siamo tutti uguali per fortuna. E ci potrebbe essere, anzi, di certo c’è qualcuno che non ci sta. C’è qualche stato che rifiuta di farsi annettere, qualche popolo che rifiuta di perdere la libertà, sceglie di combattere. Ed allora si arriva comunque alla guerra. Ma ci si arriva nelle condizioni peggiori. Perché nel frattempo il prepotente è diventato più forte, si è armato meglio, ha acquisito maggior sicurezza nelle sue forze e quando finalmente lo si affronta lo si fa nelle condizioni peggiori. E la guerra che alla fine scoppia diventa terribilmente dura e sanguinosa.
Le mie non sono semplici elucubrazioni mentali. Quando Hitler invase la Renania sarebbe bastato l’invio di un paio di divisioni francesi per sconfiggerlo. Si preferì lasciarlo fare. E si preferì lasciarlo fare quando iniziò in grande stile il riarmo della Germania, annesse l’Austria, e poi i Sudeti, e poi tutta la Cecoslovacchia. Fino a quando si arrivò comunque alla guerra. Nelle condizioni peggiori.
E, anche se in tanti non lo ricordano o fingono di non ricordarlo, nella storia reale, non negli esperimenti mentali, ci sono numerosissimi casi di massacri immani avvenuti nella PACE, nel silenzio assordante del mondo. Anche se avvenuta in tempo di guerra la Shoah non aveva nulla a che fare coi combattimenti. E i genocidi messi in atto dai vari Stalin, Mao e Pol Pot avvennero tutti in tempo di pace. Fra l’indifferenza di tutti coloro che mettono il quieto vivere al posto di comando. Nel corso dello scorso secolo il mondo ha visto in tre occasioni ricomparire il cannibalismo. In Cambogia fra 1975 al 1979. In Cina al tempo del gran balzo in avanti, fra il 1958 ed il 1961, ed in Ucraina, si UCRAINA, nel 1932 – 33, al tempo della collettivizzazione forzata dell'agricoltura.
Milioni di persone morirono in tempo di PACE, padri e madri folli per la fame divorarono i figli, ed i figli i genitori. Ma… la pace è più importante della libertà, perbacco.
Una considerazione finale. Sbaglio o molti di coloro che strillano che “la pace è più importante della libertà” esaltano la resistenza antifascista? E le brigate internazionali che combatterono in Spagna? Non si trattava di guerra in quei casi?
Lo so, chiedere un minimo di coerenza a certi figuri è davvero esagerato.
PS. Per quanto ovvio tengo a specificare che non sono favorevole ad interventi militari sempre e comunque. Se si dovesse intervenire militarmente ovunque si commettono ingiustizie si combatterebbe ovunque. Eventuali interventi vanno decisi caso per caso, con buon senso e pragmatismo. Quello che mi interessa confutare è il principio insostenibile per cui la pace sarebbe un bene assoluto, sempre da anteporre ad ogni altro. Il rifiuto di tale assurdo principio è alla base del realistico appoggio alla resistenza ucraina. Quando un paese è invaso aiutarlo è, insieme, moralmente meritorio e politicamente realistico. A meno di non scambiare il realismo con la difesa di un illusorio quieto vivere.


Questi poi ad apparente equidistanza tra l'aggredito e l'aggressore mi fanno doppiamente orrore

Gli errori di Zelensky e la lucida follia di Putin possono costare caro agli ucraini
Atlantico Quotidiano
Michele Marsonet
15 marzo 2022

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... i-ucraini/

È semplicemente folle negare la responsabilità della Federazione Russa per l’invasione dell’Ucraina, ma ritengo anche che l’intera questione sia stata gestita in modo pessimo da tutti, occidentali compresi. Putin, informato male dai suoi servizi segreti (che non sono più quelli dei tempi dell’Urss) non ha capito i forti sentimenti anti-russi di buona parte della popolazione ucraina, retaggio dell’occupazione zarista prima e di quella sovietica poi.

È vero che i due Paesi condividono secoli di storia comune e che l’origine di entrambi risale alla Rus’ medievale di Kiev. Le lingue tuttavia non sono uguali, anche se si assomigliano parecchio. La situazione è molto difficile perché nessuno vuole fare concessioni.

A tale proposito dico qualcosa di poco popolare in questo momento, che vede dominare una sorta di “pensiero unico”. A me pare che Volodymyr Zelensky abbia conservato parecchie caratteristiche dell’attore comico, che era il suo precedente lavoro, e che sia meno eroico di quanto molti pensano. Mi ricorda per alcuni versi Beppe Grillo, anche se per sua fortuna il cabarettista genovese non ha mai dovuto misurarsi con le bombe.

Tuttavia, tornando a Zelensky, quando vedi che il tuo popolo è sottoposto a forti sofferenze e rischia il genocidio qualche concessione va pur fatta, soprattutto se il nemico è più forte. Concessioni su Donbass e Crimea per esempio. Né trovo così irricevibile la richiesta che l’Ucraina diventi un Paese neutrale come la Finlandia. Capisco perfettamente che agli ucraini non piaccia, ma la situazione di un Paese va sempre valutata in base ai rapporti di forza che intrattiene con quelli vicini.

La neutralità, per quanto indigesta, risolverebbe molti problemi. Oppure Zelensky pensa davvero che Kiev possa diventare una nuova Stalingrado, con gli ucraini nel ruolo dei difensori ex sovietici e i russi in quello degli attaccanti tedeschi? Sarebbe un dramma indicibile, una battaglia casa per casa o rovina per rovina. Alla fine è assai probabile che i russi prevarrebbero comunque, ma il prezzo che gli ucraini pagherebbero sarebbe comunque altissimo.

Qualcosa di simile gli ha detto il premier israeliano Naftali Bennett, che di guerra se ne intende essendo un ex militare che ha svolto in passato anche delicate missioni all’estero per l’esercito di Gerusalemme. La risposta del presidente ucraino è stata un netto “no”, forse è convinto che sia preferibile la distruzione del suo sventurato Paese alla resa condizionata.

Non si è ancora capito fino a che punto si spingerà la lucida follia di Vladimir Putin ma è chiaro che, potendo anche contare sul sostegno cinese, non è minimamente intenzionato a lasciar perdere. La Russia, nazione imperiale per eccellenza, ha da sempre la sindrome dell’accerchiamento. L’espansione della Nato a oriente ha aggravato tale sindrome.

D’altra parte molti Paesi ora indipendenti e che prima facevano parte dell’Unione Sovietica temono un suo ritorno sotto altre forme, ed è comprensibile. Sarebbero necessari dei trattati bilaterali di garanzia reciproca, con la Russia che s’impegna a garantire la loro indipendenza in cambio della neutralità. Ma è difficile arrivarci partendo da un quadro come quello attuale.

Che dire, poi, della richiesta di istituire una no-fly zone sui cieli dell’Ucraina? È ovvio che gli occidentali non l’abbiano accolta, poiché essa aumenterebbe a dismisura il rischio di uno scontro – anche nucleare – tra aerei Usa e russi. Del tutto pacifico che Biden e Macron abbiano rifiutato. La solidarietà per l’aggressione subita non può spingersi sino al punto di trascinare l’intero Occidente in un conflitto che rischierebbe di essere atomico.

Concludo notando che, nella situazione attuale, l’Ucraina avrebbe bisogno di un presidente diverso, poco propenso a pronunciare discorsi nei parlamenti di Stati stranieri. Non certo arrendevole, ma meno efficace dal punto di vista televisivo e comunque più attento a impedire la distruzione del proprio Paese. Anche perché Putin, che assomiglia sempre più a un autocrate folle, possiede purtroppo le chiavi per attivare il suo enorme arsenale nucleare.


Anche questi mi fanno doppiamente orrore

Il pensiero unico sulla guerra, nemico della pace
Giuliano Guzzo
11 marzo 2022

https://giulianoguzzo.com/2022/03/11/il ... ella-pace/

In Russia come pure, per la verità, in larga parte del pianeta, la libertà di pensiero – è cosa nota – non se la passa benissimo. Ma da noi? La domanda non è polemica, ma risponde a una curiosità, c’è da augurarsi, ancora lecita. E che nasce alla luce della preoccupante polarizzazione di posizioni sul conflitto in Ucraina, quella, per capirci, secondo o cui si stravede per il presidente ucraino, Volodymyr Zelens’kyj oppure si sta con quello russo, Vladimir Putin, i cui accostamenti ad Hitler sono all’ordine del giorno. Tertium non datur.

Il fatto che si possa condannare l’invasione russa e solidarizzare – non solo a parole – col popolo ucraino, riconoscendone tutto il diritto alla resistenza, senza però guardare con favore alle richieste di Zelens’kyj sull’invio di armi e sulla “no fly zone” (quest’ultima contestata pure da decine di esperti americani), ecco, non è contemplato. O, se lo è, è bollato come giustificazionismo putiniano; il che appare grave. Anzitutto per la già richiamata libertà di pensiero, valore che appare incompatibile con semplificazioni il cui primo effetto è il soffocamento del dibattito.

In effetti, quanto capita ad Alessandro Orsini, il direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale dell’università Luiss il quale, per aver ricordato nei suoi interventi le responsabilità occidentali nel non aver evitato la guerra ucraina, è stato richiamato dalla sua università e riceve pressioni per non presentarsi più in tv, ecco, non è un bel segnale. Non lo è neppure la decisione del Manifesto di censurare un articolo di un suo giornalista, Manlio Dinucci, dopo averlo pubblicato per breve tempo on line, solo perché critico con certe politiche americane.

Detto questo, attenzione, il punto vero non è neanche la messa in discussione della libertà di pensiero, che pure dovrebbe essere un tema caro all’Occidente. Il punto vero è che, se si adotta e si permane in un simile approccio, la pace si allontana. Per il semplice fatto che, stando così le cose, la pace inevitabilmente passa da un accordo con la Russia. Un accordo che l’Europa, dispiace doverlo esplicitare, non sta concretamente cercando, lasciando questo compito ad altri Paesi (Cina, Israele, Turchia).

Non è un caso che colui che più di tutti conosce le posizioni di Putin, perché lo sente al telefono, ma al tempo stesso fa pienamente parte della compagine europea – il presidente Emmanuel Macron – sia anche quello che, con più chiarezza, ha dichiarato cosa attende il Vecchio Continente: «Questa guerra durerà a lungo, dobbiamo prepararci». Abbiamo dunque la matematica certezza che, spingendo sulle sanzioni e soprattutto sull’invio di armi, l’Ucraina verrà ulteriormente insanguinata per settimane, mesi, forse di più.

Rispetto a questo, schietto è stato Federico Fubini del Corriere della Sera che, pochi giorni fa, in televisione ha detto: «Dobbiamo far sì che l’avventura in Ucraina di Putin vada sempre peggio e sia sempre più sanguinosa». Un pensiero lecito, beninteso, che però comporterà immense perdite al popolo ucraino. Un pensiero che – c’è poco da fare – non è di pace e non è manco parente di quel negoziato che, da subito, la Santa Sede ha indicato come obbligato. È il pensiero unico sulla guerra. Di cui senza dubbio il Cremlino è responsabile, ma che altri non stanno affatto facendo di tutto per arrestare.

Giuliano Guzzo

«Giuliano Guzzo accumula una serie impressionante di dati per mostrarci una realtà che ignoriamo. E che dimostra che il Maestro non ha esaurito le carte da giocare» (Rino Cammilleri).
«Un prezioso manuale con corrette interpretazioni su moltissime tematiche. Può senz’altro contribuire a trasformare la “fede liquida” in una “fede forte”» (Unione Cristiani Cattolici Razionali)



Nostalgici dell'Urss e partito della «resa umanitaria»: in Italia la nuova alleanza dei putiniani
di Antonio Polito
Andrea Marchionni
12 mar 2022

https://www.facebook.com/periekon/posts ... 9775079367

Sta emergendo un movimento a favore del tiranno. L’obiettivo è portare l’Italia nel campo di Mosca, sostenendo che «arrendersi è un dovere morale»
Il «partito della resa» ha gettato la maschera. È ancora minoritario, ma punta ormai al bersaglio grosso: portare l’Italia nel campo di Mosca, confermando così l’antico pregiudizio per cui non finiamo mai una guerra dalla parte in cui l’abbiamo cominciata. Abbandonata l’equidistanza iniziale del «né con Putin, né con la Nato», superata la «neutralità attiva», sta venendo infatti allo scoperto un movimento, per ora più mediatico che altro, di sostegno esplicito al tiranno. Tenterà di sfruttare l’angoscia e la paura degli italiani per aiutarlo a vincere la guerra in Ucraina.
Il successo che finora non ha ottenuto sul campo, a causa della sorprendente resistenza ucraina, Putin può infatti raggiungerlo in un altro modo: se cede il fronte interno dell’Occidente, e si raffredda il sostegno alla causa di Kiev.
Così in marcia con Putin è tornata pure la «vecchia guardia», un’attempata ma intellettualmente dotata pattuglia di nostalgici dell’Urss, per i quali la sua caduta è stata «la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo». L’Economist ha dedicato la copertina alla «stalinizzazione» di Putin: sempre più aggressivo fuori dai confini, sempre più dittatore in patria, dove si rischiano quindici anni di carcere a chiamare «guerra» la guerra. Magari il paragone è un po’ esagerato, anche se lo stesso Putin l’ha evocato dicendo di voler «denazificare l’Ucraina». Ma di sicuro ha galvanizzato i nostri ex bolscevichi in sonno: per loro la colpa è degli ucraini. E allora basta commuoversi — l’ha detto Luciano Canfora — «con la storia di Irina che perde il bambino, un caso particolare»: ciò che conta è la Storia con la S maiuscola, e quella cammina sui cingoli dei carri armati, e chi più ne ha vincerà.
La «new entry» tra i putinieri di complemento sono invece quelli della «resa umanitaria». Sostengono che arrendersi è un dovere morale (era il titolo di apertura del Riformista di ieri), per risparmiare vite e sofferenze. È un’altra forma di «spaesamento etico» che nasce a sinistra, solo in apparenza più pacifista della versione neo-stalinista, perché è proprio per averla avuta vinta in Georgia, in Crimea, nel Donbass, in Siria, che Putin si è deciso a fare di nuovo la guerra, e su più larga scala. La resa è la droga dei tiranni: più ne avranno e più ne vorranno. L’unico difetto di questa proposta è che i diretti interessati, gli ucraini, non sembrano condividerla. Bisognerebbe insomma costringerli alla resa. Esattamente ciò che sta provando a fare Putin. E così il cerchio si chiude.
Altri cerchi si chiudono invece tra destra e sinistra nel variegato mondo social dell’hashtag #IoStoConPutin. Secondo una ricerca di «Reputation Science», pochi account iniziali hanno alzato un’onda tra tutti coloro che credono a Lavrov quando dice che «questa non è un’invasione», ma non hanno creduto al Covid e alle bare di Bergamo, e prima ancora all’abbattimento delle Twin Towers o allo sbarco sulla Luna. Accomunati dall’odio per l’establishment, l’Europa e la democrazia, eroici combattenti per la libertà degli italiani dal green pass si battono ora per la schiavitù degli ucraini. Se vince Putin, perdono Draghi, Macron e von der Leyen, e tanto per loro basta. Perfino tra i deputati, ovviamente Cinquestelle, ce n’è qualcuno, come tal Lorenzoni, che non vuole Zelensky in collegamento con Montecitorio «perché l’Ucraina è un Paese schierato in guerra».
Al Bano, al confronto, è un gigante. Citiamo la reazione indignata del cantante italiano più amato in Russia («Come non cambiare idea su Putin con quello che sta facendo?») perché la grande maggioranza degli italiani la pensa come lui e non come i nostri putinieri. Ma c’è un ma: la guerra alla lunga porterà anche da noi, se non sangue, sudore e lacrime. Già si parla di razionamenti, di austerity, di un grado o due in meno di riscaldamento, di guai grossi per l’industria agroalimentare e per la spesa. E infatti da qualche giorno la parte più «populista» dei media si concentra sulla benzina piuttosto che sull’Ucraina. Il grande pericolo è che le due spinte, quella politica a favore del tiranno e quella sociale per difendere il nostro tenore di vita già squassato dalla pandemia, si congiungano intorno all’illusione che se la diamo vinta a Putin tutto tornerà come prima. Sbagliato da ogni punto di vista: resteremmo solo dalla parte sbagliata di un’emergenza che non finirebbe certo con la resa dell’Italia. Ma tocca al nostro governo — insieme a quelli dell’Europa — evitare questo corto circuito, mettendo in campo le idee e le risorse necessarie per aiutare tutti a resistere invece che arrendersi: perché nessuno sia tentato di scambiare la libertà altrui con il proprio benessere.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 5:03 pm

Arrivano i talebani del pacifismo
Claudio Romiti
9 marzo 2022

https://opinione.it/editoriali/2022/03/ ... a-gergiev/

Lo avevamo già capito durante la stagione infinita della pandemia, ma con la guerra in Ucraina lo Stato di diritto liberale è andato letteralmente a farsi friggere in uno dei suoi principali fondamenti: la responsabilità individuale. Quindi, in questo drammatico frangente, non dobbiamo correre il rischio di diventare russofobici, trattando i concittadini di Vladimir Putin (vero responsabile della guerra in atto) che vivono all’estero come nemici al pari di coloro i quali non si sono voluti vaccinare. In questo senso, il clamoroso licenziamento del celebre direttore d’orchestra russo Valery Gergiev, il quale avrebbe dovuto dirigere “La Dama di Picche” il 5 marzo alla Scala, sembra aver scandalizzato poche persone nel nostro Paese.

Artefice della vicenda il sinistro sindaco di Milano, quel Giuseppe Sala che, durante la pandemia, è rapidamente passato da una posizione aperturista, arrivando ad abbracciare i cinesi lungo i Navigli a un atteggiamento di rigore sanitario di stampo talebano. Sala, sul caso Gergiev, è stato magnifico, se così vogliamo dire. Rispondendo alle domande dei giornalisti, queste sono state le sue parole: “Non credo che ci sarà, penso che a questo punto lo possiamo escludere. Dopo che il teatro gli ha chiesto una presa di distanza dalla guerra, dopo l’aggressione all’Ucraina, il maestro non ha risposto. Io certamente non ho chiesto nessuna abiura però ho sollecitato una presa di distanza dalla guerra, che è una cosa un po’ diversa”.

Dunque, dopo il reato di opinione che è già stato introdotto per alcuni argomenti che il pensiero unico politicamente corretto considera sensibili, come un certo revisionismo storico e il tema spinoso dell’omosessualità, oggi viene sdoganato quello di mancata dissociazione. In tal modo, non solo viene negato a chiunque di esprimere una posizione filorussa, che personalmente non condivido in radice ma che in un mondo libero dovrebbe essere accettata senza conseguenze personali. Qui si nega addirittura il diritto da parte di Gergiev di restarsene in silenzio. E se sul piano giudiziario un imputato ha la prerogativa di tacere in modo che le sue parole non possano essere usate contro di lui, siamo arrivati al paradosso che il riserbo di un artista, già criminalizzato per essere amico di Vladimir Putin, si trasforma automaticamente in una condanna senza appello.

E così come accaduto per la pandemia, in cui abbiamo assistito al linciaggio morale di chi non condivideva in tutto o in parte la linea del Governo, anche in questo caso nel mondo dell’informazione quasi nessuno ha avuto nulla da eccepire. Nemmeno coloro i quali, per anni, ci hanno raccontato che “nessuno doveva toccare Caino” oggi si scandalizzano per la vergognosa criminalizzazione che si sta facendo dei suoi silenti, e presunti, amici.




La demenziale versione di Capuozzo

di Toni Capuozzo.

Non mi sorprende la voglia di resistenza degli ucraini, anche se penso che la loro esperienza di guerra, prima, fosse solo la guerra sporca del] Donbass. Non mi sorprende che resistano con un orgoglio quasi commovente a un’aggressione. Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia accompagnando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell’autodifesa, tutte cause degnissime. E dunque mi sorprende ancora di più l’Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no fly zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe. E da questa comoda posizione però incita, fosse mai che la trappola diventi la tomba per Putin: si chiamano proxy war, guerre per interposta persona, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro. In due parole: credo che sarebbe stato più sensato e utile mediare, provare non a sconfiggere Putin con il sedere degli altri, ma a fermarlo, a scombussolarne i piani. Cosa intendo ? Una resa dignitosa, una trattativa per cedere qualcosa ma non tutto, per raffreddare il conflitto, mettendo in campo caschi blu e osservatori, idee e prese di tempo. E invece vedo che piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda, dopo che anche i presidenti della Repubblica erano passati al termine “Paese”: piacciono le patrie altrui. No, si chiama de escalation: evitare che milioni debbano scappare. Evitare che migliaia debbano morire, salvare il salvabile, le idee e le persone che si fa in tempo a salvare. Però ormai lo scelgono loro. Per quel che riguarda noi, risparmiamoci almeno la retorica.



La lettera di Vauro a Putin: ecco cosa gli ha scritto
Francesco Boezi
13 Marzo 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1647179000


Scende in campo pure il vignettista: ecco le richieste allo "Zar"
La lettera di Vauro a Putin: ecco cosa gli ha scritto

Il noto vignettista Vauro Senesi ha scritto a Vladimir Putin. Una missiva - quella di Vauro - che è comparsa sui social ed in cui si chiede di porre un freno alla guerra ma non solo. Tra le richieste, per così dire, c'è anche un improbabile incontro con lo "Zar".

Lo scrittore italiano, che è conosciuto pure per via delle sue numerose presenze televisive, introduce il discorso: "Signor Presidente Vladimir Putin, chi le scrive queste poche righe è nessuno. Ho un nome ed un cognome, mi chiamo Vauro Senesi. Sono solo un anziano, un anziano comunista, ma questo non ha rilevanza".

Poi, come ripercorso dall'Adnkronos, Vauro elenca le esperienze di guerra che ha pouto osservare con i suoi occhi: "Dall'Iraq all'Afghanistan ed anche, nel 2015, nel Donbass tentando di testimoniare le atrocità commesse dalle milizie neonaziste ucraine contro la popolazione di quella terra, altre atrocità non cancellano quelle atrocità ma vi si aggiungono. Aggiungono dolore e paura negli occhi dei bambini A Kabul come a Baghdad, nel Donbass come in Ucraina". Anche nelle recenti ospitate televisive Vauro ha parlato di Donbass.

Subito dopo l'elencazione, Vauro sciorina una serie di considerazioni dirette proprio a Vladimir Putin: "Io non credo che lei sia un pazzo e tantomeno un nuovo Hitler. Sicuramente il pazzo sono io che le sto scrivendo ma quale pazzia più grande della guerra esiste? Anche lei, se questa mia le arriverà, penserà che se non sono pazzo sono un ingenuo. Lo sono, credo nella ingenuità dei bambini e che mai dovremmo strappargliela". Il vignettista non concorda, quindi, con chi associa l'opera dello "Zar" a quella del fondatore e vertice del nazismo. E, rimarcando la centralità della "ingenuità" in merito alla decisione di scrivere una lettera, domanda lo stop delle ostilità.

"Io che ripeto, non la considero un pazzo, la invito a fare una autentica pazzia: fermi questa guerra. La fermi lei, da solo, subito", ha scritto lo scrittore comunista. Dopo la richiesta d'incontro, che è condita da un certo realismo, Vauro si auspica in qualche modo che Putin possa davvero recepire la lettera ed i suoi contenuti: "Ma ai pazzi, quelli veri ed agli ingenui, quelli veri, può capitare di tutto, chissà che a me non capiti di ricevere anche solo qualche parola di risposta a questa mia lettera. Grazie signor Presidente. La saluto con cordialità e pace".

Per Vauro, Putin dovrebbe abbandonare la "via delle armi" e lasciare che quest'ultima venga perseguita dagli "altri potenti".


UCRAINA-RUSSIA: UNA SCELTA NECESSARIA
di Aldo Cazzullo, Il Corriere della Sera
Niram Ferreti
5 marzo 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063


Putin attacca un Paese sovrano, ma è stato provocato; la colpa è dell’Europa. Putin fa strage di civili ucraini, ma è stato costretto; la colpa è dell’America. Putin minaccia la guerra nucleare, ma è stato indotto; la colpa è della Nato.
Nato è la parola-chiave. «Fuori l’Italia dalla Nato!» scandivano i cortei rossi come quelli neri, negli anni 70. E anche oggi si saldano i duri e puri di sinistra con la destra sovranista. La guerra di Putin uccide ogni giorno decine se non centinaia di vecchi, donne, bambini; ma noi filosofeggiamo, poiché non esistono il bene e il male, il torto e la ragione, il bianco e il nero; esiste solo il grigio, in cui tutto può essere giustificato. Ma il giustificazionismo attorno a Putin, nei giorni del massacro, è davvero eccessivo.
Fateci caso: spesso sono gli stessi del No al Green Pass. «Io non sono contro i vaccini, però…». «Io sono contro Putin, però…». Sono quelli del «però». Com’è ovvio, il Green Pass e Putin non c’entrano nulla. Ma la logica è la stessa: noi siamo quelli che non la bevono, noi siamo quelli che cantano fuori dal coro.
Intendiamoci: il pensiero critico è il segno della superiorità della democrazia sull’autocrazia. Va esercitato in ogni circostanza, anche in guerra. A maggior ragione in una guerra difficile da decifrare, in cui si combatte come sempre un conflitto di falsi numeri e false notizie, complicato ora dagli inganni televisivi e digitali. La Nato era considerata superata sia da Trump, che la voleva far pagare agli europei, sia dallo stesso Macron. Per qualcuno si è allargata troppo verso Est, per altri troppo poco. In una democrazia si discute, e chi la pensa diversamente va contraddetto ma rispettato. Però viene un momento in cui bisogna decidere da quale parte stare. I generici appelli alla pace sono condivisibili, ma non bastano.
Qui ci sono un aggressore e un aggredito. C’è un Paese da oltre 17 milioni di chilometri quadrati, il più vasto al mondo, che vuole annettersi regioni di (o magari tutto) un Paese ventotto volte più piccolo. E la nostra parte non può che essere quella dei milioni di ucraini che stanno soffrendo, e delle migliaia di russi che mettono in gioco i loro corpi e la loro vita per fermare la guerra. La nostra parte non può che essere quella della libertà e della democrazia. È retorica? No, è carne e sangue.
Mercoledì è stato un giorno durissimo. A Kherson, a Kharkiv, a Kiev si contavano le vittime, militari e civili. Ma l’argomento più dibattuto sui social in Italia era la sospensione — subito revocata — di un corso su Dostoevskij. La sospensione era ovviamente una stupidaggine, come la stessa università Bicocca ha riconosciuto. Così com’è ovvio che essere russo non è una colpa. Nessuno chiede a un russo di vergognarsi di essere russo, e se lo chiedesse sbaglierebbe. È legittimo invece chiedere a un sostenitore di Putin, che lavora con istituzioni pubbliche finanziate anche con soldi pubblici, di prendere le distanze dall’aggressione all’Ucraina e dalla strage degli ucraini. Essere contro Putin non significa essere contro la Russia, ma contro il regime.
Putin ha molti amici nel mondo. Ha comprato politici, pezzi di partiti, partiti interi. Eppure non era impossibile capire chi fosse, anche prima dell’inaudita aggressione all’Ucraina. È l’uomo dei massacri in Cecenia, della strage dei bambini di Beslan, dell’attacco all’esercito georgiano, dell’intervento nelle sanguinose guerre civili in Siria e in Libia. È l’uomo dell’eliminazione dei cronisti coraggiosi, dell’avvelenamento dei nemici, dell’incarcerazione degli oppositori. Ora ha fatto altri passi, spingendosi là dove neppure Stalin si era spinto: minacciare un conflitto nucleare.
Durante la guerra fredda, le minacce si facevano a bassa voce, non in pubblico. Nel 1973, quando gli israeliani, rintuzzato l’attacco egiziano, marciarono oltre il Canale di Suez, i sovietici fecero sapere agli americani: fermateli o usiamo l’atomica. Qualche ora prima, quando i siriani avevano sfondato sul Golan, Golda Meir (lo racconta Benny Morris in «Vittime») pensò all’uso dell’arma nucleare tattica, ma Ariel Sharon la fermò: «Aspetta, i nostri uomini possono ancora resistere». I carristi israeliani resistettero. L’atomica insomma era un tabù, anche tra due blocchi che avrebbero potuto distruggersi a vicenda, anche tra popoli che combattevano per la vita e per la morte.
A quale livello di barbarie siamo arrivati se persino questo tabù viene infranto, se Putin parla di «conseguenze mai viste nella storia», se un uomo dell’intelligenza di Lavrov evoca la guerra nucleare?
Anche per questo non possiamo non schierarci. E la grande maggioranza degli italiani l’ha capito.


In Italia la solita retorica pret-a-porter degli sbandieratori arcobaleno
Atlantico Quotidiano
Roberto Ezio Pozzo
15 marzo 2022

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... rcobaleno/

Com’era ampiamente prevedibile, anche in occasione della guerra russo-ucraina abbiamo reagito con il nostro inconfondibile stile. Per l’ennesima volta, la preoccupazione principale è quella di “fare bella figura” con gli amici, ossia di farci vedere “sul pezzo”, senza chiederci se esso sia effettivamente, com’è in questi giorni, un vero pezzo di artiglieria o soltanto una figura retorica da sfoggiare con disinvoltura al momento opportuno. Di soluzioni certe alla più grande crisi internazionale della nostra generazione ne leggiamo a profusione ed imprevedibilmente discordanti persino tra appartenenti allo stesso schieramento politico. In sostanza, sembrerebbe che gli italiani si siano fatti tutti una precisa idea su quali siano state le cause certe di questa guerra, con una conoscenza della storia e della geopolitica che sarebbe ammirevole se non fosse, come sempre più spesso accade, del tutto pre-confezionata e vendutaci un tanto al pezzo. Pur nutrendo ammirazione per le certezze dei fortunati che già conoscono cause, sviluppi e risultati finali di tutto ciò, preferisco pormi tra gli asini, ossia quelli che ne hanno capito ancora pochino e tra quelli che non scommetterebbero un centesimo su come andrà a finire.

Mi attengo ai fatti, perlomeno a quelli incontrovertibili e sicuramente provati, primo fra tutti che è stato Putin ad invadere un Paese sovrano e retto da un governo regolarmente scelto dai suoi abitanti. Già da questo primo assunto, vorrei sapere come intendano conciliare la documentata realtà dei soprusi contro le popolazioni civili e le violenze dei militari russi con i principi dei patetici sbandieratori di vessilli recanti la scritta “pace”, tolti dalla naftalina giusto in tempo per una nuova sfolgorante stagione di retorica pret-a-porter. Per essere precisi, intanto, non chiamiamo “bandiere” tali drappi colorati, rimessi in fretta sui balconi degli irriducibili pacifisti nostrani e nuovamente esposti al pubblico nei comuni retti da amministrazioni di sinistra, che ormai erano passati di moda. Le bandiere sono una cosa seria, in quanto suprema rappresentazione della storia e dell’identità e dei valori di un popolo, mentre i drappi colorati che inneggiano ad una generica “pace” sono tutt’altro, e ben potrebbero stare allo stesso livello di striscioni che inneggino alla salute, al benessere, alle buone condizioni economiche. La pace è, niente di meno ma niente di più, l’assenza della guerra e benché tutti noi si voglia vivere in pace, non possiamo non chiederci con quali mezzi e su quali decisioni storiche si cerchi di porre fine alla guerra già in corso.

Sono decisioni storiche, non certo a caso, perché se la guerra è una esiziale negazione dello stato di pace, non possiamo sminuire la portata di quelle decisioni statuali (si spera democraticamente assunte) che facciano cessare la guerra, a quei costi che, da che mondo è mondo, devono essere attentamente valutati ed accettati da chi governa. Che tali governanti di oggi siano tutti all’altezza di prendere decisioni storiche è un’altro paio di maniche, ma quelli abbiamo e proprio quelli le prenderanno. Funziona, purtroppo, esattamente così: li abbiamo, più o meno, sospinti per via elettorale a tali sancta sanctorum ed il posto che occupano è esattamente quello che hanno voluto per loro milioni di italiani, non dimentichiamolo. Lo stesso vale per gli Stati Uniti d’America, con un Joe Biden palesemente in difficoltà e del tutto privo di carisma, autorevolezza, linearità di pensiero che fanno rimpiangere “il guerrafondaio” Trump a non pochi americani. Quello hanno adesso alla Casa Bianca e quello si terranno, esattamente come faremo noi.

Temo tuttavia che, non soltanto da noi, si sia assai sottovalutato e sotto-finanziato il comparto della difesa militare che ogni Stato di diritto deve garantire ai propri sudditi. Per inciso: sudditi è una cosa e servi un’altra. Sarebbe ampiamente giunto il momento di passare ai fatti ed a riconsiderare con intelligenza e decisione le esigenze militari del nostro Paese, più che sbandierare straccetti colorati o a trastullarci nel far dipingere ai bambini i teneri disegnini a pastello con la bandiera dell’Ucraina sullo sfondo e qualche frasetta di convenienza. Sono, purtroppo, sciocchezze nelle quali ancora una volta ci perdiamo, senza cambiare con questo una virgola di quanto sta succedendo e, soprattutto, quanto potrebbe accaderci ben presto. Ma la vogliamo smettere con le cretinerie tipo “mettete dei fiori nei vostri cannoni”? Oltretutto, perlopiù provengono da quelle formazioni politiche e sociali che di cannoni dovrebbero intendersene, visto che hanno applaudito alle parate militari sovietiche e russe (la differenza è pochissima) e vergognosamente blandito per anni un Putin che i cannoni li ha usati moltissime volte, perlopiù contro nemici di impari potenza militare.

Ormai lo sappiamo, siamo irrefrenabilmente affascinati dall’uomo forte di turno; è la nostra storia, salvo appenderlo per i piedi quando si perda la guerra, negando poi di averlo mai sostenuto ed acclamato. Se soltanto i più sperticati ammiratori italiani del dittatore russo tacessero oggi, perlomeno per coerenza, come finora sembrerebbe fare il solo Berlusconi, già sentiremmo meno chiasso. Basta con le cazzate e basta con l’abuso della pur orecchiabile canzonetta “Imagine”, che peraltro è una sorta di inno all’anarchia, all’ateismo e al pacifismo più irragionevole ed utopistico. Non sto chiedendo di conoscere ed apprezzare la delicatezza della sinfonia n. 9 “Dal nuovo mondo” del boemo Dvořák come sottofondo per pensare a cosa ciascuno di noi potrebbe fare di concreto per dare il proprio contributo a far cessare al più presto la guerra, va bene anche la musica leggera e persino qualche concessione alle frasi fatte motivazionali nello stile imprenditoriale-mistico alla Steve Jobs, ma poi basta. Perlomeno nelle statuizioni dei ministri e dei capi di Stato potremmo aspettarci più concretezza e meno lirismo. E, già che ci siamo, basta pure con la scemenza dei “costruttori di ponti e distruttori di muri”, la ricreazione è finita! Stop.

Si aggiunga che noi diamo una lettura del tutto fuorviante dell’art. 11 della nostra Costituzione. Proprio perché tale articolo sancisce che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali“, dovremmo non nutrire alcun dubbio sull’illegittimità dell’occupazione russa dell’Ucraina (almeno finora), per avere usato la guerra come strumento di offesa contro la popolazione ucraina e invece noi cosa facciamo? Da bravi coltivatori di fiori nei cannoni, usiamo la Costituzione per affermare l’esatto contrario e non prendiamo posizione alcuna, nei fatti, perché “la guerra è lo strumento sbagliato”. A parte tanti discorsi prettamente teorico-emozionali, quali posizioni precise ha finora preso l’Italia, quale decisione ha maturato rispetto al fatto che, facendo noi parte della Nato, potremmo essere chiamati ad azioni militari precise e dirette, stavolta senza nasconderci dietro a ruoli di mera sussistenza ed appoggio logistico? Di fatto, nessuna, eppure potrebbe accadere, eccome. Ma noi stiamo alla finestra, dando prova della nostra secolare propensione al tentennamento, e molti di noi (sbagliando o meno) sono prontissimi a tirarsi indietro dai solenni impegni sanciti nei patti atlantici.

Accade, in sostanza, che nemmeno consideriamo possibile una guerra vera, perché “la guerra è brutta” e lo dice “la Costituzione più bella del mondo”, perché lo dicono persino i cantanti e perché sventolare la bandiera “pace” sconfiggerà ogni nemico attuale o futuro, meglio ancora se all’allegro sventolamento collettivo seguirà l’immancabile fiaccolata. Siamo così coerenti e decisi nei nostri propositi che riusciamo perfettamente a fare dimostrazioni di piazza con le bandiere arcobaleno frammischiate a quelle rosse con la falce e martello bene in vista, nemmeno sfiorati dal dubbio che ciò che Putin intende restaurare si chiama comunismo reale e potrebbe pure riuscirci, nostro malgrado.


CARLO ROVELLI, ANIMA BELLA
Leggo il fisico Carlo Rovelli su Il Corriere della Sera, dove, in un lungo articolo, spiega perchè a suo dire, non va bene mandare armi all'Ucraina.
Niram Ferretti
15 marzo 2022

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Estrapoliamone un pezzo:
"Rileggiamo «La Storia» di Elsa Morante per capire cosa succede in guerra. Ci sono i «combattiamo fino alla morte», e c’è la folla sofferente delle Iduzze che semplicemente non vuole la guerra. Io mi sento più dalla parte di questi. A me, come a tanti altri nel mondo, sembra che mandare armi in Ucraina sia cadere nel terribile gioco usuale delle superpotenze: armare i piccoli perché facciano la guerra, per procura, contro altre potenze. Usare morti e devastazione ucraini, e morti russi, per fare pagare un prezzo alto alla Russia. Il secondo motivo per cui penso che la reazione in corso sia un errore, a lungo termine, è che ci spinge in una logica di scontro totale che rischia di fare del XXI secolo un secolo perfino peggiore del XX. Se vediamo il mondo in modo manicheo, diviso in buoni e pericolosi cattivi, le buone democrazie occidentali e i cattivi autocrati di Russia e Cina, se pensiamo che l’unica salvezza sia imporre a tutti il nostro predominio con le armi, penso che andiamo verso catastrofi. L’alternativa, ancora una volta, è quella che ripete il segretario generale delle Nazioni Unite e che indicano in moltissimi: accettare la complessità, la varietà politica ed ideologica, lavorare per la legalità internazionale, per la diplomazia".
È un'anima bella Rovelli. Ci spiega che l'unica via è deporre le armi, sederci, ragionare insieme, trovarci accomunati dalla condivisione della razionalità. "Lavorare per la legalità internazionale, per la diplomazia". E' una bellissima idea. Avvincente. Però c'è un problema di base. Si può essere disponibili a farlo, ma se poi qualcun'altro non lo è, che facciamo? Come si può convincere chi crede che la forza sia la base del predominio? Come si fa a convincere paesi come la Russia, la Cina, l'Iran, la Corea del Nord, che bisogna rispettare i diritti altrui, che la violenza contro le opinioni contrarie alle proprie va bandita, che l'umanità non va divisa tra "noi" (i buoni i virtuosi, i migliori) e "gli altri" (i cattivi, i perversi, i pessimi)? Bastano le belle parole, i sorrisi, fare discorsi umanitari? Come si fa a non sapere e a non capire che non è mai esistita alcuna diplomazia che non avesse alle sue spalle il peso della forza, la sua potenziale minaccia?, che lo stesso diritto internazionale sarebbe solo un insieme di formulette se a garantirlo, quando si riesce a garantirlo, non c'è il peso della forza, e in ultimo di quella militare?
Rovelli è tra coloro che stanno sospesi nel mondo delle idee, delle astrazioni, senza rendersi conto che il mondo vero, quello sublunare. è sempre stato teatro di guerre e di conflitti. Sempre. Con periodi brevi o meno brevi di pace. Non è il caso di scomodare Tucidide, Machiavelli, Hobbes, per saperlo. Loro lo sapevano perfettamente e non si facevano illusioni. Guardare la realtà senza occhialini rosa è il modo migliore per vederla.
Altrove scrive:
"Qualcuno pensa davvero che mandando armi in Ucraina diminuiamo le sofferenze della guerra, diminuiamo il numero di morti e la quantità di devastazione? Le armi mandate in Siria sono servite a fare soffrire meno Aleppo? Le armi che vari Paesi mandano in Libia hanno pacificato la Libia? Sono decisioni difficili, ovviamente. Ma abbiamo sentito alla televisione molti «combattiamo fino alla morte» di giovani ucraini, e io non mi sento dalla loro parte".
Quando la demagogia arriva a questi livelli si resta ammutoliti, poi ci si riprende dallo stupore momentaneo e si risponde, che no, che forse non diminuiranno le sofferenze e il numero dei morti, ma forse chi combatte vuole difendere il proprio paese e la propria idea di libertà contro un invasore che vuole sottometterlo proprio con le armi. E che coloro che hanno voluto combattere fino alla morte, si sono trovati in tutte le Resistenze, sempre.
Per Rovelli e altri pacifisti come lui è del tutto estaneo il concetto di onore, patria, coraggio, virtù, che hanno animato nei secoli i soldati e i combattenti, da una parte e dall'altra della storia. Perchè gli ucraini dovrebbero fare eccezione rispetto ai resistenti e i combattenti di qualsiasi altra nazione nel corso della storia, invasa da un nemico, e aiutata da altri paesi a combatterlo con l'uso delle armi?
Israele, giusto per fare un esempio seguendo la logica di Rovelli, durante le guerre di aggressione che ha subito, dal 1948 al 1973 non avrebbe dovuto essere aiutato da nessun altro Stato con le forniture di armi per combattere il nemico che cercava di annientarlo. Bisognava che facesse da solo, anzi, la cosa migliore sarebbe stato arrendersi.
In un mondo perfetto, nell'iperuranio, le armi non esistono. Non ci sono guerre, nessuno invade il territorio di nessun altro, la pace regna perpetua, eterna, ma qui, qui sotto, dove tutto è in balia dei contrasti e dei contrari, se qualcuno usa le armi per aggredire e uccidere, chi viene aggredito, spesso cerca di difendersi e di non farsi uccidere.
Forse Rovelli e quelli come lui preferiscono arrendersi al nemico o addirittura farsi uccidere piuttosto che combatterlo. E' nel suo pieno diritto farlo, lasciando però a chi è esattamente dell'idea opposta di combattere fino alla morte.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 5:04 pm

Patriottismo, indipendentismo, nazionalismo e nazismo in Ucraina e in Russia
e la Russia nazi fascista e comunista, suprematista e imperialista del falso cristiano Putin il violento e criminale dittatore russo
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Re: Ucraina e Russia, non sono una stessa grande famiglia

Messaggioda Berto » mar mar 15, 2022 5:04 pm

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