8)
Destabilizzazione dell'Ucraina, del Donbass e della Crimea ad opera della Russia nazi fascista e imperialista di Putin e dei terroristi ucraini russofiliLa destabilizzazione dell'Ucraina libera e il sorgere del separatismo russofono e russofilo nelle aree della Crimea e del Donbass, inizia qualche anno dopo il referendo per l'indipendenza dell'Ucraina del 1991 e coincide con l'insediamento e i consolidamneto di Putin alla guida della Russia post URSS nei primi anni del 2000.
Il programma e il compito di Putin è stato ed quello di ripristinare la Grande Russia sconfitta con il crollo dell'URSS, con ogni mezzo lecito e illecito, dalla propaganda menzognera, alla promozione, all'organizzazione e al finanziamento dei movimenti separatisti, a quello dei partiti russofili da insediare al governo dell'Ucraina, come ha sempre fatto la Russia ai tempi dell'URSS.
L'aggressione del regime di Putin all'Ucraina ha tolto il velo anche sull'ipocrisia regnata nel Donbass dal 2014 ad oggi. Quello che, secondo le autorità di Mosca, sarebbe il teatro di un genocidio condotto ai danni della popolazione russofona, altro non è che un buco nero mafiosoMatteo Zola
25/02/2022
(Pubblicato in collaborazione con East Journal )
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucr ... sia-216155 Lo scorso 21 febbraio la Russia ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Il giorno seguente l’esercito russo entrava nelle due repubbliche per una missione di peacekeeping che, da un lato, affermava la sovranità russa sui due territori e, dall’altro, preparava l’invasione del resto dell’Ucraina.
Dopo anni di ipocrisie e falsità, è finalmente caduto il velo dal Donbass. Ripercorrere la storia recente di questa regione significa addentrarsi nei meandri di un conflitto definito “a bassa intensità” ma che, dal 2014, non ha smesso di seminare morte associando alla destabilizzazione politica e al controllo militare, pratiche criminali comuni, traffici, regolamenti di conti e violenza. Quello che, secondo le autorità di Mosca, sarebbe il teatro di un genocidio condotto ai danni della popolazione russofona, altro non è che un buco nero mafioso.
Il furto dello stato
Dossier
Vai a tutti i nostri approfondimenti sull'aggressione del regime di Putin all'Ucraina nel dossier "Ucraina: la guerra in Europa"
All’indomani della dissoluzione sovietica molti vecchi esponenti della nomenklatura hanno saputo riciclarsi e trasformarsi in magnati e imprenditori grazie alla spoliazione dei beni pubblici in un processo di privatizzazione selvaggia che il politologo Steven L. Solnick ha chiamato "il furto dello stato". Un fenomeno che ha avuto luogo in molte regioni dell’ex Urss ma che in Donbass ha visto l’emergere di clan oligarchici capaci di prendere il controllo politico e sociale della regione, limitando gravemente la formazione di una società civile. Una regione industriale così ricca di risorse si è rivelata comprensibilmente attraente per le nuove generazioni di dirigenti mafiosi che cercavano di consolidare le proprie posizioni sociali ed economiche assumendo un controllo formale sul mondo della politica e del diritto.
Anni prima che Viktor Yanukovich diventasse presidente dell'Ucraina, lui e la sua famiglia stavano già esercitando il controllo sulla regione di Donetsk. Molti degli attori politici ed economici più influenti dell’Ucraina indipendente provengono da questa regione: gli ex presidenti Kuchma e Yanukovich ma anche Rinat Akhmetov, Oleksandr Yefremov, Borys Kolesnikov, nomi più o meno noti che hanno segnato le sorti della regione e del paese. Grazie a loro il Donbass è divenuto il tempio della corruzione, un luogo in cui soprusi e vessazioni erano il pane quotidiano, e la lotta tra gruppi armati al soldo di opposti magnati insanguinava le strade. La speranza di vita era, poco prima della guerra, due anni inferiore al resto del paese mentre la regione registrava i più alti tassi europei nel consumo di oppiacei e nella diffusione dell’HIV . E tutto questo malgrado la regione valesse un quarto di tutto l’export ucraino. Una ricchezza che però non andava nelle tasche della popolazione.
Regioni filorusse?
È in questo contesto che si svilupparono gli eventi che hanno portato alla nascita delle repubbliche separatiste. Nel momento in cui il presidente Yanukovich fuggì dal paese, cominciarono ad emergere conflitti all’interno del mondo oligarchico che lo sosteneva. Tra la popolazione si diffusero sentimenti contrastanti tra coloro che lo ritenevano un traditore e quelli che sentivano invece di aver perso un punto di riferimento a Kiev . Lo possiamo capire da un sondaggio dell’IRI condotto proprio in quei mesi che testimonia il malessere dei residenti negli oblast di Donetsk e Lugansk: in quelle regioni solo il 40% degli intervistati riteneva l’occupazione della Crimea “una minaccia per la sicurezza nazionale” contro al 90% dei residenti nelle regioni centro-occidentali.
Allo stesso modo, ben il 30% esprimeva la necessità di una “protezione per i cittadini russofoni”. Tuttavia il favore verso l’integrazione con la Russia non era elevato: 33% a Donetsk, 24% a Lugansk e Odessa, 15% a Kharkiv, mostrando come anche nelle regioni orientali del paese sussistessero grandi differenze e non fosse affatto vero, come si è poi affermato e si continua a ripetere da più parti, che nell’est dell’Ucraina la popolazione fosse largamente favorevole all’integrazione con la Russia. Anzi, uno studio del 2018 ha rilevato come la guerra non abbia modificato nella popolazione del Donbass la propria identità ucraina che, quindi, è qualcosa di più di una semplice appartenenza linguistica.
Una guerra civile?
Mentre a Kiev si andava consolidando il fronte rivoluzionario, nell’est del paese cominciarono i disordini. A marzo 2014 si registrarono scontri a Kharkov, Donetsk e Lugansk, con l’occupazione dei municipi e delle istituzioni locali. Secondo gli osservatori OSCE le forze di polizia non intervennero o si mostrarono solidali con i manifestanti filorussi. In aprile vennero occupate le amministrazioni di Kramatorsk, Sloviansk e Mariupol, questa volta con il supporto di uomini armati. Si trattava perlopiù di paramilitari che arrivavano dalla Russia . La provenienza russa dei miliziani e di larga parte dei dimostranti che occuparono le varie municipalità è la prova che non si è mai trattato, fin dall’inizio, di una guerra civile ma di uno “scenario crimeano” fatto di agitatori e truppe irregolari inviate da Mosca per destabilizzare e infine occupare le regioni orientali dell’Ucraina.
Si arrivò così alla proclamazione di indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, rispettivamente il 7 e il 27 aprile 2014. Nel mese di maggio un referendum confermativo venne tenuto nelle due repubbliche registrando il 90% dei consensi. Un dato che contrasta fortemente con quello raccolto appena un mese prima dal sondaggio dell’IRI e che appare del tutto inverosimile. Intanto i combattimenti si intensificarono con l’arrivo di mezzi blindati, artiglieria pesante, lanciarazzi e sistemi antimissile di provenienza russa. Nel mese di luglio il volo MH17 della Malaysian Airlines venne abbattuto uccidendo 298 persone. Un’indagine internazionale concluse che l’aereo era stato colpito da un missile terra-aria partito dalla base della 53esima brigata antiaerea di Kursk, in Russia. A quel punto il velo sulla crisi ucraina era già stato squarciato, ma per molto tempo non si è voluto vedere in faccia il responsabile.
Fine prima parte
Seconda parte
Gli sforzi della diplomazia condussero, in settembre, al Protocollo di Minsk, conosciuto come “Minsk I”: venne stabilita la linea di contatto tra l’Ucraina e le due repubbliche separatiste; si stabilì l’immunità per “tutti i partecipanti agli eventi nelle regioni di Donetsk e Lugansk” senza distinzione tra crimini comuni e crimini di guerra; vennero stabilite elezioni locali in presenza di osservatori OSCE (che si tennero infine il 2 novembre senza rispettare nessuna delle condizioni di t
rasparenza previste). Iniziava così una nuova fase di negoziati che, nel febbraio 2015, approdò agli Accordi di Minsk (noti come “Minsk II”).
L’economia dei separatisti
Dopo la stipula degli accordi di Minsk (febbraio 2015) si è avviata una fase di relativa stabilità anche se tra il 2017 e il 2020 si sono registrate più di 900 vittime civili. La situazione economica nelle due repubbliche separatiste era tuttavia resa difficile proprio dagli Accordi di Minsk che impedivano relazioni economiche con Mosca. L’assenza di collegamenti bancari con la Russia impediva alle fabbriche e alle aziende delle “repubbliche popolari” di avere la liquidità necessaria per mantenere la produzione. In questa situazione, l’Ossezia del Sud è diventata l'estrema risorsa: dopo aver stabilito rapporti ufficiali con Mosca, Donetsk e Lugansk, la piccola repubblica separatista georgiana è diventata l’intermediario attraverso cui la Russia versava fondi e pagamenti al Donbass. Tra il 2014 e il 2018, gli investimenti diretti esteri sono stati inferiori all'uno per cento del PIL del Donbass. Le aziende esitano a investire risorse in un'area in cui si verificano quotidianamente scambi di artiglieria. Per questo motivo, l'economia fatica a svilupparsi ed è stata particolarmente colpita dalla pandemia di Covid-19 diffondendo ulteriore malcontento tra la popolazione.
L'economia è stata monopolizzata da imprese di proprietà dei separatisti. I leader locali che si sono succeduti nel tempo hanno avviato una vera e propria economia di rapina, nazionalizzando e controllando le industrie locali. Gli stipendi sono crollati ai minimi storici. Chi ha potuto lasciare le due regioni, l’ha già fatto. Sono quasi due milioni coloro che sono emigrati nel territorio sotto controllo ucraino. Di fronte al crollo dell’economia locale, alla distruzione delle infrastrutture civili e industriali, i leader separatisti hanno agito come veri e propri boss mafiosi , imponendo la propria legge con la violenza. Tra i più noti vale la pena citare Aleksandr Borodai, primo capo della repubblica di Donetsk, che oggi siede alla Duma russa, e Aleksandr Zacharčenko, capace di costruirsi un piccolo impero estorcendo denaro a ristoranti e supermarket, prima di essere ucciso nel 2018 da un’autobomba piazzata da qualche rivale interno.
Le due repubbliche separatiste sono arrivate a costare miliardi di dollari alla Russia, costretta a versare soldi nelle casse dei separatisti, i quali non hanno esitato a farne un uso personale. Il regime semi-coloniale russo nel Donbass sarebbe stato insostenibile sul lungo periodo. Forse anche per questo Mosca ha deciso per il riconoscimento delle due repubbliche, uscendo dagli accordi di Minsk e prendendo il controllo diretto della regione. Ai piccoli boss locali si sostituisce così l’unico vero signore della guerra, Vladimir Putin.
Alberto PentoQuesti ucraini filo Russia non si ponevano minimamente il problema dei diritti umani, civili e politici degli altri ucraini filo Ucraina e del fatto che il Donbass fosse parte legittima dello stato e della nazione ucraina, parte naturale frutto dell'andamento della storia e non a seguito di guerre di conquista e di sopraffazione.
È in questo contesto di guerra civile, di terrorismo e di aggressioni della minoranza separatista filorussa che si verificò l'episodio della cosidetta Strage di Odesa, dovuto all'esperazione degli ucraini per le violenze subite dai separatisti filorussi che volevano appropriarsi della loro terra:Il 2 maggio a Odessa si verificò uno degli episodi più cruenti degli scontri tra maidanisti e anti-maidanisti.[Un gruppo di manifestanti filo-russi, cacciati dalla piazza che stavano occupando per protesta (Campo Kulikov), si era rifugiato nella Casa dei Sindacati. Una folla di ultras calcistici e nazionalisti ucraini, armati di bastoni e bombe molotov, circondò l’edificio e vi appiccò il fuoco, senza che la polizia intervenisse in difesa dei manifestanti. In quello che è passato alla storia come la "Strage di Odessa" il numero delle vittime (arsi vivi, soffocati, colpiti da arma da fuoco o linciati dalla folla) fu di circa 48 civili.
https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_OdessaIl Nazifascismo Separatista Putiniano Nel DonbassSpaziolibero Cris
Andrea Ferrario
6 giugno 2022
https://unaepidemiadivita.wordpress.com ... l-donbass/I nazifascisti ed estremisti di destra che hanno fondato e diretto le due “repubbliche popolari” del Donbass a partire dal 2014.
Messi temporaneamente da parte dal Cremlino una volta terminati i loro compiti, sono tornati in questi giorni sulla scena della guerra.
Documentiamo come le leggende sull’esistenza di un autentico antifascismo nel Donbass siano una colossale “patacca”, occupandoci in particolare della figura del defunto comandante Mozgovoy e dei suoi nessi con l’estrema destra.
1) I nazifascisti delle “repubbliche” del Donbass
Mentre in Italia ci si è sempre concentrati esclusivamente sui neofascisti ucraini, il problema macroscopico del nazifascismo nelle “repubbliche popolari” e in Russia è stato sistematicamente ignorato. La sinistra italiana, e la massima parte di quella internazionale, si è fatta passare sotto il naso senza pronunciare nemmeno un timido “ohibò” quella che probabilmente è stata la più ampia operazione politica e militare nazifascista in Europa dopo il 1945, la creazione nel 2014 delle “repubbliche popolari” separatiste di Donetsk e Lugansk e le loro azioni militari, condotte sotto l’egida di Mosca per ottenere il controllo del Donbass.
Le modalità di creazione delle “repubbliche” e il profilo dei nazifascisti che le hanno fondate sono descritti nell’approfondita indagine pubblicata da “Crisi Globale”, con decine di link a fonti principalmente separatiste e russe, a fine aprile 2014, cioè quasi in presa diretta:
L’anima nera della “Repubblica di Donetsk”
Nell’articolo viene descritto nei dettagli come i gruppi all’origine delle due “repubbliche” separatiste create subito dopo Maidan e l’annessione della Crimea fossero formati interamente da nazifascisti, razzisti, antisemiti ed estremisti di destra filozaristi. I più importanti di loro venivano dalla Federazione Russa e non avevano in precedenza avuto nulla a che fare con il Donbass.
I due leader principali, Igor Girkin “Strelkov” e Aleksandar Boroday, corrispondono esattamente a questo profilo, e almeno il primo, con esperienze militari in Bosnia e in Cecenia, era sicuramente legato ai servizi segreti russi.
Lo stesso vale quasi sicuramente per l’intera dirigenza separatista, che ha agito in perfetta sintonia con la pianificazione degli eventi da parte di Mosca, sebbene per ovvi motivi solo per alcuni dei suoi esponenti vi siano precise evidenze.
Anche le forze armate delle due “repubbliche” erano sotto controllo fascista, basti pensare che quelle della “repubblica di Lugansk” sono state a lungo sotto il comando di un noto neonazista di San Pietroburgo, Aleksey Milchakov, e quelle della repubblica di Donetsk sotto quello di un altrettanto noto neonazista, Aleksandr Matyushin, già a capo della sezione di Donetsk del gruppo neonazista Russkiy Obraz e dell’organizzazione giovanile della relativa “repubblica”, nonché fondatore del battaglione nazifascista Varyag.
Sotto gli ordini dei loro camerati inviati da Mosca hanno agito anche alcuni microgruppi neofascisti locali del Donbass, attivatisi in funzione anti-Maidan già prima degli eventi del marzo 2014. Questi ultimi erano privi di ogni legame con la popolazione locale e hanno ottenuto i loro risultati unicamente grazie al sostegno di Mosca, nonché all’appoggio condizionato ricevuto dai potentati mafio-oligarchici locali.
Inoltre, i nazifascisti e gli altri estremisti di destra a capo delle “repubbliche” separatiste, facevano parte di una rete internazionale creata dal Cremlino attraverso “Unioni eurasiatiche”, “conferenze internazionali”, convegni, convocazioni di “osservatori internazionali” a elezioni farsa, mirati a fare convergere l’estremismo di destra europeo (e negli anni successivi, anche statunitense) verso gli interessi di Mosca.
Pertanto la dimensione dell’operazione nazifascista separatista, al contrario per esempio di quella del neofascismo ucraino, è anche di natura paneuropea.
Infine, avevamo pubblicato sempre nel 2014, a titolo documentativo, il testo “teorico” di un ideologo della “Repubblica di Donetsk”, Igor Droz, che è emblematico della natura di estrema destra, integralista cristiana e omofoba delle repubbliche separatiste: L’”antifascismo” neofascista della Novorossiya.
Igor Droz era vicino a Igor Strelkov e partecipava alle riunioni del think-tank separatista Izborsky Club, di cui faceva parte anche il noto neofascista russo Aleksander Dugin.
Ma cosa è successo dopo il 2014-2015?
Mosca ha progressivamente rimosso la maggior parte degli uomini della prima ora, cioè i fascisti di cui sopra. Questi ultimi si dimostravano poco controllabili, molti comandanti avevano creato dei veri e propri feudi in reciproco conflitto, o in conflitto con le dirigenze di Donetsk e Lugansk.
Putin grazie ai nazifascisti separatisti aveva portato a termine con successo la prima fase della sua guerra contro l’Ucraina, non era per il momento interessato ad allargare un conflitto per il quale non si riteneva ancora preparato e puntava per il momento a tenere in scacco il governo di Kyiv dopo avere messo un’ipoteca sul funzionamento del paese con la creazione delle “repubbliche” separatiste, continuando però a intessere una rete di estrema destra a livello europeo che gli poteva tornare utile su temi come le sanzioni, il gas e altro ancora.
I separatisti della prima ora sono stati fatti quasi tutti uscire di scena in un modo nell’altro. Strelkov e Boroday sono stati richiamati a Mosca (il secondo oggi è deputato di Russia Unita), svariati comandanti sono stati uccisi.
Il primo nuovo uomo, che nell’estate del 2014 ha sostituito il “presidente” separatista Boroday, è stato Alexander Zakharchenko, anch’egli proveniente da ambienti di estrema destra, ma più grigio e obbediente – il che non lo ha salvato però dal morire in un attentato nel 2018.
Anche svariati altri comandanti noti, come Motorola, Givi o Alexey Mozgovoy, sono stati uccisi. Oggi al potere rimangono personaggi privi di ogni personalità, veri e propri burattini di Mosca, come Denis Pushilin, l’unico sopravvissuto della prima ora, anch’egli connesso con l’estrema destra, ma lungi dall’esserne stato un militante attivo: nel periodo prima del “separatismo” si limitava a rubare soldi ai pensionati come dirigente di una piramide finanziaria.
Battaglioni neonazisti (il Rusich) o con una nutrita presenza neofascista al loro interno (il Somali) hanno però continuato e continuano a operare sul terreno in Donbass e in queste settimane Pushilin si è fatto cogliere mentre decorava un comandante che recava sulla divisa un simbolo neonazista.
Di tendenze naziste è anche il gruppo mercenario stragista Wagner (si vedano ad esempio gli articoli di Res Publica e del Guardian) che, come già nel 2014, sta oggi operando nel Donbass a fianco dei separatisti e dell’esercito russo, dopo avere combattuto e compiuto eccidi in Medio Oriente e Africa al servizio di Mosca.
L’eliminazione della maggior parte dei fascisti dei primi due anni delle repubbliche separatiste non vuol dire che queste ultime si siano democratizzate. Sono sempre rimaste dittature dove si praticano sistematicamente la tortura, gli omicidi mirati contro le briciole sopravvissute della società civile, le politiche omofobe e integraliste cristiane. Inoltre la dirigenza separatista ha distrutto l’economia locale con una pura politica di saccheggio, non pagando gli stipendi agli operai, o consegnando i beni del paese a grandi capitalisti della Federazione Russa.
Su questi aspetti una delle migliori fonti è il dettagliato articolo di Natalia Savelyeva pubblicato dalla Fondazione Rosa Luxemburg.
Molto utili anche i precisi materiali pubblicati dallo storico e attivista di sinistra Simon Pirani nel suo sito “People and Nature”, come ad esempio The “republics” Putin is fighting for e Social protest and repression in Donbass.
Sulla natura di estrema destra delle “repubbliche” separatiste fondamentale è il saggio “Russian White Guards in the Donbass” di Zbigniew Marcin Kowalewski, pubblicato da International Viewpoint, così come il suo “The oligarchic rebellion in the Donbass”.
Un altro articolo che traccia con precisione i nessi tra neonazisti russi, Cremlino e nazifascisti del Donbass è “Neo-Nazi Russian nationalist exposes how Russia’s leaders sent them to Ukraine to kill Ukrainians”.
Utili anche “The Involvement of Russian Ultra-Nationalists in the Donbas Conflict”, di Richard Arnold, e il recente “Neo-Nazi Russian Attack Unit Hints It’s Going Back Into Ukraine Undercover”, sul battaglione neonazista Rusich.
Per quanto riguarda i documenti fotografici, consigliamo queste due “gallerie” di immagini sui nazifascisti del Donbass:
http://www.evasiljeva.ru/2017/08/blog-post_20.htmlhttps://glavnoe.ua/news/n1869572) Antifascisti nel Donbass? Ma non scherziamo…
In Internet circolano numerosi materiali fotografici e “reportage” sulla presenza di comunisti e antifascisti tra i separatisti del Donbass. Molti di questi materiali tendono ad affermare che l’intero Donbass separatista è una roccaforte antifascista. In Italia questo discorso è amplificato da una serie di piccoli gruppi di una galassia stalinista che, per sua natura, è sempre pronta a schierarsi dalla parte degli stragisti, dal sito Contropiano (vicino al sindacato USB filo-Assad e filo-Putin), fino alla band militante Banda Bassotti o a piccoli gruppi.
Queste tesi sono tornate alla ribalta con la morte nel Donbass di Edy “Bozambo” Ongaro che, condannato per aggressione, aveva trovato rifugio prima in Spagna e poi nel Donbass separatista, dove si era arruolato nel battaglione Prizrak, l’unico della regione che in effetti esibisce spesso bandiere rosse (dell’Unione Sovietica) e accoglie militanti “internazionalisti” di gruppi neostalinisti europei.
La storia del battaglione Prizrak e del suo comandante, Aleksey Mozgovoy è esemplare di come l’idea dell’esistenza di una tendenza di sinistra ed effettivamente antifascista sia una pura “patacca”.
Mozgovoy, che a differenza della maggior parte dei suoi camerati separatisti non aveva avuto una storia di militanza di estrema destra prima del 2014 (era stato soldato a contratto per cinque anni, poi aveva vissuto di occupazioni occasionali), si era tuttavia legato fin dall’inizio degli eventi di quell’anno a Igor Strelkov, l’estremista di destra di cui abbiamo già parlato e che ha guidato le fasi fondamentali dell’annessione della Crimea e della “primavera russa” separatista nel Donbass su ordini di Mosca.
Mozgovoy, che controllava un suo “feudo” ad Alchevsk, nella regione di Lugansk, faceva parte di un settore di comandanti meno direttamente controllabili da Mosca ed era presto entrato in conflitto con l’ala più burocratica che governava la cosiddetta “Repubblica di Lugansk”. Inoltre, dopo i primi mesi della “primavera russa” gli effettivi del suo battaglione stavano calando di numero. Alla fine, nel 2015, Mozgovoy è stato ucciso in un agguato quasi di sicuro organizzato dalla dirigenza di Lugansk e/o da Mosca.
Mozgovoy è sempre stato su posizioni che, per quanto confuse, erano di estrema destra e anticomuniste, come testimoniato da molto di più dei suoi soli legami con Strelkov. Per esempio, a fine agosto 2014 Mozgovoy ha preso parte a Yalta a un congresso che, sotto l’occhio paterno di Sergey Glazyev, uomo forte del Cremlino e allora consigliere di Putin, ha riunito neofascisti e neonazisti di tutta Europa, come per esempio Roberto Fiore di Forza Nuova, il neonazista belga Luc Michel o l’antisemita Israel Shamir, tra i tanti altri.
Nel novembre dello stesso anno organizzava un processo “popolare” in perfetto stile fascio-stalinista contro due uomini accusati di rapporti con una minorenne, durante il quale è riuscito a colpevolizzare con parole tipiche di un fascista le donne che non se ne stanno a casa, dopo avere annunciato che quelle trovate a frequentare un locale sarebbero state arrestate:
“Il compito [delle donne] è badare ai figli. Nella nostra città è pieno di donne nei bar, anche nei night-club. […] Una donna dovrebbe essere la guardiana del focolare, la madre. E che tipo di madri diventano dopo aver frequentato i pub? …
Una donna dovrebbe stare in casa a cuocere pirozhki e bere un bicchierino solo il giorno della Festa delle donne. È ora di ricordare che siete russe!
È ora di recuperare la vostra spiritualità!
Perché una donna era innanzitutto una madre. Ma che madre potrebbe mai essere se rovina il suo organismo con l’alcool, e ai tempi d’oggi addirittura con le droghe?”.
Alcuni giorni dopo in un’intervista alla Novaya Gazeta Mozgovoy esprime il suo disprezzo per la Rivoluzione russa definendola “una sceneggiata” frutto di una cospirazione, interpretandola come l’inizio delle sventure della Russia, tutti concetti che sono un cavallo di battaglia dei reazionari di Mosca.
Della sua posizione politica sono testimonianza anche i video pubblicati dal canale Youtube del battaglione Prizrak quando era ancora vivo: Mozgovoy parla sullo sfondo di icone, bandiere nere con il teschio, ritratti di generali zaristi che hanno colonizzato il Caucaso facendo strage e simili.
La bandiera dello stesso battaglione Prizrak ha sullo sfondo una croce nera con un motivo chiaramente littorio, cosa che non deve meravigliare, visto che del battaglione hanno fatto parte come sottosezioni nel 2014-15 formazioni armate di gruppi neonazisti come Rusich, Feniks e Varyag.
Inoltre, il comandante aderiva all’ideologia omofoba imperante nelle “repubbliche” separatiste. Successivamente, verso la fine della sua carriera, il comandante ha allargato il suo battaglione anche alla partecipazione di volontari “comunisti”, ma senza alcuna contromarcia politica su tutto il resto.
Trovandosi in difficoltà e a corto di uomini nel contesto che contraddistingueva allora della regione di Lugansk, Mozgovoy ha poi cercato evidentemente di trovare una sponda in più in una serie di minigruppetti, o addirittura singoli, di tendenza stalinista. Tra di essi vi erano anche militanti di Borot’ba, un gruppo ultrastalinista che ha collaborato attivamente con i neofascisti e ha avuto pesanti responsabilità nei tragici eventi che hanno portato alla strage di Odessa del 2 maggio 2014.
Negli anni successivi è poi emerso che questo gruppo “di sinistra” era direttamente al soldo del Cremlino (si vedano Bellingcat e Nihilist).
Sappiamo benissimo tutti da sempre, e come minimo dal patto Hitler-Stalin del 1939, che non vi è alcuna stranezza nel nesso fascismo-stalinismo.
L’antifascismo dei “comunisti” del battaglione Prizrak è privo di ogni contenuto concreto, non critica il fascismo come tale, con i suoi sistemi di oppressione e repressione, che in realtà fa in buona parte propri.
Si limita a slogan di natura esclusivamente retorica e all’esaltazione della vittoria militare dell’Urss nel 1945 (interpretata però abusivamente come espressione della potenza della Russia, dimenticandosi i resistenti ucraini, bielorussi e di altri popoli che costituivano il nucleo portante della lotta sovietica contro il nazismo dopo il 1941 e che sono morti a milioni nella lotta contro i nazisti).
Infine, sulle divise dei combattenti del Prizrak, così come su ogni sfondo delle interviste a Mozgovoy, campeggia in bella vista la bandiera rossa con la X azzurra in bordi bianchi della Novorossiya.
Non solo il concetto di Novorossiya (Nuova Russia) è stato creato dal colonialismo dell’ultrareazionario Impero Russo, ma la sua bandiera odierna non si richiama ad alcuna tradizione locale: è stata scelta nel 2014 dai neofascisti che hanno fondato le repubbliche del Donbass copiandola intenzionalmente da quella dei loro camerati dell’estrema destra sudista americana.
E’ insomma una bandiera razzista, che esprime l’analoga ideologia di chi la utilizza come emblema, predicando lo schiavismo per gli ucraini e l’annullamento della nazione ucraina, che secondo loro deve essere diluita in quella russa con gli strumenti dello stragismo e della “rieducazione” forzata.
Lo studio più approfondito su Aleksy Mozgovoy è il lungo testo in tre parti di Kyrylo Tkachenko sui nessi tra neonazisti del Donbass e sinistra stalinista – scritto in tedesco, ma facilmente leggibile con un traduttore automatico:
Wie Teile der deutschen Linken Faschisten in der Ukraine unterstützen (Come parti della sinistra tedesca sostengono i fascisti in Ucraina).
Le parti specificamente dedicate a Mozgovoy e ai suoi collegamenti con l’estrema destra sono la seconda e la terza. Si tratta di un’inchiesta corredata di link a centinaia di fonti (quasi tutte separatiste o contigue) e molte foto che documentano i nessi tra il comandante e i neonazisti.
Sulla figura del comandante Mozgovoy si possono consultare anche un articolo con video di Vice, una testimonianza dell’anarchico Volodarskij ripubblicata con un commento dal sito di sinistra Ukraine Solidarity Campaign, nonché il profilo VKontakte di Mozgovoy stesso.
La realtà della guerra di oggi conferma in pieno che gli eventi del Donbass nel 2014 non sono stati altro che il primo capitolo della messa in atto di un programma genocida di chiara ispirazione fascista e neozarista.
A questo va aggiunto che chi nella sinistra italiana sostiene ossessivamente le tesi inventate di sana pianta di un’Ucraina da anni in mano a un governo fascista e in preda al terrore nazifascista, mentre in Ucraina vi è sì un preoccupante problema di estrema destra fascista da non sottovalutare, ma che rientra in limiti del tutto analoghi a quelli dell’Europa Occidentale, ignorando invece volutamente l’entità enorme del nazifascismo e dell’estrema destra nel Donbass e in Russia nell’ultimo paio di decenni, si schiera di fatto con la galassia nazifascista più potente, violenta e guerrafondaia del secondo dopoguerra.
UCRAINA: Igor Strelkov: sono responsabile della guerra in UcrainaEmmanuele Quarta
17 Novembre 2014
https://www.eastjournal.net/archives/51421 Il seguente articolo è stato pubblicato la scorsa settimana sulla versione online del Moscow Times. L’autrice, Anna Dolgov, riporta alcuni passaggi di un’intervista a Igor Strelkov comparsa sul periodico russo Zavtra. Lo ripubblichiamo, tradotto, sulle nostre pagine. L’articolo originale lo trovate qui.
https://old.themoscowtimes.com/news/art ... 11584.htmlIgor Strelkov, ex-comandante dei separatisti filo-russi nell’Ucraina Orientale, ha sostenuto di essere il responsabile del conflitto che – dallo scorso aprile – ha causato circa 4.300 vittime.
“Sono stato io a premere il grilletto di questa guerra”, ha dichiarato in un’intervista pubblicata giovedì (20 novembre, N.d.T.) su Zavtra, periodico russo dalle posizioni imperialiste. “Se la nostra unità non avesse attraversato il confine, la situazione si sarebbe tranquillizzata – come a Kharkiv e Odessa”, ha detto Strelkov (nom-de-guerre di Igor Girkin, traducibile come “tiratore”). “Tutto si sarebbe concluso con qualche dozzina di morti, feriti e arrestati, ma la carica del conflitto – che continua ancora oggi – è stata innescata dalla nostra unità. Abbiamo cambiato le carte in tavola”, ha aggiunto.
In seguito all’annessione della Crimea alla Russia nella scorsa primavera, scontri tra le forze fedeli a Kiev e i ribelli filo-russi sono scoppiati nelle città di Kharkiv e Odessa, dove più di quaranta persone sono morte in un incendio a inizio maggio. Da allora, però, la situazione nelle due città si è calmata. La maggior parte degli scontri tra ribelli e forze governative, infatti, ha riguardato le regioni orientali di Lugansk e Donetsk.
L’intervista di Strelkov è stata pubblicata lo stesso giorno in cui le Nazioni Unite hanno diffuso un rapporto che denuncia il coinvolgimento di forze russe in Ucraina orientale, che ha causato la morte di circa 4.300 persone dallo scorso aprile. “La continua presenza di una grande quantità di armamenti sofisticati, come anche di soldati stranieri (e ciò include militari della Federazione Russa), incide direttamente sulla situazione dei diritti umani nell’est del paese”, spiega il rapporto.
Strelkov ha anche svelato a Zavtra che, all’inizio del conflitto, i separatisti ucraini e le forze governative erano riluttanti a dare il via alle ostilità. La principale opposizione ai ribelli era rappresentata dai gruppi ultranazionalisti ucraini, come Pravyi Sektor. “Inizialmente, nessuno voleva combattere” – riporta il giornale – “Le prime due settimane sono trascorse sotto l’auspicio che le due parti si convincessero [ad attaccare]”. Secondo Strelkov, le esitazioni della Russia a interferire apertamente, come in Crimea, o a intervenire militarmente su larga scala in Ucraina dell’Est hanno restituito coraggio al governo di Kiev. L’assenza di tale supporto è stata un duro colpo per i separatisti, le cui forze – in quanto a uomini e mezzi – erano inferiori a quelle del governo. “All’inizio pensavo che si sarebbe ripetuto quanto già successo in Crimea: la Russia sarebbe scesa in campo” ha detto. “Sarebbe stata la mossa migliore, era ciò che voleva la popolazione. Nessuno voleva lottare per le repubbliche di Lugansk e Donetsk: tutti, in principio, erano a favore della Russia”.
Strelkov ha anche offerto un resoconto circa il grado di coinvolgimento della Russia nel conflitto in Ucraina Orientale. “All’inizio dell’estate, il 90% delle forze ribelli era composto di residenti locali. Verso l’inizio di agosto, tuttavia, hanno cominciato ad arrivare dei militari russi in “congedo” dall’esercito.” Secondo Strelkov, questi stessi soldati hanno guidato l’assalto a Mariupol dello scorso settembre, che ha destato la preoccupazione dell’Ucraina e dei governi occidentali circa un intervento diretto dell’esercito russo nel conflitto. L’avanzata verso Mariupol delle forze ribelli ha incontrato scarsa resistenza da parte delle truppe governative e [la città, N.d.T.] “avrebbe potuto essere presa senza lottare, ma fu ordinato di non proseguire”.
Mentre il Cremlino ha sempre negato di fornire ai ribelli supporto militare, Strelkov sostiene che la quantità di aiuti sia comunque significante: “Non posso dire che il nostro supporto sia totale, ma li stiamo davvero aiutando”. Circa la metà dell’esercito ribelle, spiega Strelkov, era equipaggiata con abiti invernali provenienti dalla Russia.
In seguito ai referendum indipendentisti a Donetsk e Lugansk, i leader dei separatisti hanno fatto appello a Mosca affinché incorporasse i territori come regioni russe. Il governo russo, però, ha risposto con dichiarazioni vaghe, auspicando un “dialogo” tra i ribelli e il governo ucraino. I gruppi separatisti non avevano contemplato l’eventualità di costituirsi in stati autonomi e avevano riposto le loro speranze, invece, nell’annessione alla Russia. L’idea, spiega Strelkov, era che Mosca avesse bisogno di un accesso terrestre alla Crimea. “Quando mi sono reso conto che la Russia non ci avrebbe accettato (io mi considero parte della resistenza), è stato uno shock”.
Strelkov vive in Russia dallo scorso autunno, quando ha dichiarato di volersi trasferire a Mosca per proteggere il presidente Putin da nemici e traditori. Scomparso dai notiziari, Strelkov sembra non godere più del favore dei media di proprietà dello stato. Ora, però, utilizza YouTube e alcune riviste radicali per lanciare sporadici appelli a un maggior coinvolgimento della Russia in Ucraina orientale.
“Sin dal principio abbiamo lottato per davvero, bloccando i raid di Pravyi Sektor”. “Io”, ha detto a Zavtra, “mi assumo la responsabilità per quanto sta succedendo lì”.
Secondo il rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite, almeno 4.317 persone sono state uccise in Ucraina dalla metà di novembre. I feriti sarebbero, invece, 9.921. Il conto delle vittime include anche circa le 1.000 persone, morte dopo il “debole cessate il fuoco” di questo autunno.
Igor' Vsevolodovič Girkin (russo: Игорь Всеволодович Гиркин, ucraino: Іґор Всєволодовіч Ґіркін), conosciuto anche con il nome di Igor' Ivanovič Strelkov (russo: Игорь Иванович Стрелков); Mosca (Russia), 17 dicembre 1970) è un militare russo, nello specifico un ex colonnello dell'FSB russo in pensione da marzo del 2013.
https://it.wikipedia.org/wiki/Igor%27_GirkinNel 2014 ha acquisito notorietà a livello internazionale per il suo ruolo all'interno dell'autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk. Strelkov, veterano di molti altri conflitti precedenti (Transnistria, Bosnia, Cecenia, Daghestan), per alcuni mesi è stato il comandante dei ribelli nella città di Slov"jans'k e in seguito ha condotte le forze della «Milizia Popolare» di Donec'k. Si definisce un sostenitore ideologico della monarchia assoluta in Russia e dei principi dell'Armata Bianca.
Strelkov ha acquisito progressivamente fama e peso politico nel corso degli scontri armati nell'Ucraina orientale, in quanto membro attivo delle organizzazioni armate dei ribelli che hanno guidato la «Milizia popolare del Donbass». Dal 12 maggio ha ricoperto il ruolo di Comandante delle Forze Armate della Repubblica Popolare di Donec'k, nonché - dal 16 maggio - quello di ministro della difesa della suddetta Repubblica. Il 14 agosto ha dichiarato le dimissioni da entrambe le cariche. Strelkov è stato dichiarato un terrorista dalle autorità ucraine, ed è stato soggetto a sanzioni e misure restrittive da parte dell'UE, tra le quali il divieto di accesso a qualsiasi paese dell'Unione.
Il 19 giugno 2019, i pubblici ministeri olandesi hanno accusato Girkin di omicidio nell'abbattimento del volo Malaysia Airlines 17e hanno emesso un mandato di arresto internazionale contro di lui.
Durante l'Invasione russa dell'Ucraina del 2022, ha ammesso che l'operazione speciale militare è fallita completamente.