Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 9:20 am

5)
Demografia del Donbass censimento 2001


Dati demografici, etnico linguistici per farsi un quadro della situazione dell'Ucraina e del Donbass e meglio comprenderne le dinamiche, le implicazioni, i risvolti e le conseguenze

Un sondaggio rivela che più del 90% dei cittadini ucraini si considerano di etnia ucraina
UACRISIS.ORG
22.03.2020

https://uacrisis.org/it/55302-ukraine-identity

Secondo uno studio condotto dal Centro Razumkov, il 92% dei cittadini ucraini si considerano di etnia ucraina. Sono invece il 6% coloro che si identificano come appartenenti all’etnia russa, mentre ad altri gruppi etnici l’1,5 %. Dopo l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991, questo è il tasso più alto mai registrato sull’autodeterminazione.
I dati rivelano che l’annessione della Crimea e l’aggressione russa nel Donbass hanno accelerato il processo di autoidentificazione. Infatti, secondo il censimento del 2001 si definivano come ucraini il 78,8%, nel 2015, sempre secondo il Centro Razumkov, l’86%, e oggi il 92%. Secondo lo studio, la percentuale di coloro che si considerano ucraini è più alta tra i più giovani – dai 18 ai 22 anni (96,2%). Tra gli over 60, è invece inferiore al 90%.

Il Vice Direttore Generale del Centro Razumkov Yuriy Yakimenko ha detto che le ragioni per tale cambiamento vanno ricercate nel fatto che il numero dei russi etnici è ridotto a causa dell’annessione della Crimea e dell’occupazione del Donbas. Ma nonostante ciò, l’aggressione russa ha influito sul numero totale, dato che più persone si sono autoidentificate come ucraine.

La “bi-etnia” della popolazione dell’Ucraina

Inoltre, lo studio ha sottolineato l’esistenza di problemi relativi alla multipla identificazione e alla “bi-etnia” come uno degli aspetti più rilevanti della formazione dell’identità etnica.
Nel sondaggio vi era la possibilità di indicare sia la propria etnia che la propria nazionalità.
Il 74% degli intervistati totali in Ucraina sente di appartenere ad una sola etnia, il 12% ritiene di appartenere a due o più nazionalità, il 6% non si sente di appartenere a nessuna nazionalità e l’8% sono gli indecisi.

Tra gli ucraini etnici, il 77% sente di appartenere ad un’unica nazionalità, invece tra i russi etnici solo il 39%. Coloro che invece si sentono contemporaneamente appartenenti a due o più nazionalità, sono rispettivamente il 10% per gli ucraini e il 30% per i russi, mentre a nessuna nazionalità rispettivamente il 5% e il 20%.

Tra coloro che dichiarano di appartenere allo stesso tempo a due o più nazionalità, vi sono in particolare i residenti del Donbas (27%), delle regioni del Sud (24%) e dell’Est (19%) , mentre nell’Ovest e Centro sono solo il 6%.

Inoltre è stato rilevato che nelle regioni del Donbas, del Sud e dell’Est la percentuale di coloro che non si ritengono appartenenti ad alcuna nazionalità è molto più alta, con rispettivamente il 20%, 10% e 12% (contro il 2% dell’Ucraina Centrale e l’1% dell’ovest dell’Ucraina).

I sociologi hanno riportato che si può anche identificare non solo di un rifiuto ma anche un distanziamento rispetto all’autoidentificazione. Ciò sembra essere una caratteristica peculiare dei russi etnici in Ucraina, al pari della bi- o polietnicità.


Lingua madre: ucraino o russo?

Il 68% dei cittadini considera l’ucraino come lingua madre, il 17% entrambe le lingue (ucraino e russo), solo russo il 14%, e lo 0,7% un’altra lingua. Nella regione occidentale, coloro che considerano l’ucraino come lingua madre sono il 93% degli intervistati, nella regione centrale – l’84%, nel Sud il 42%, nell’Est il 36%, nel Donbas il 27%.

Coloro che dichiarano il russo come lingua madre sono localizzati per il 2% in Ucraina occidentale, per il 6% in quella centrale, il 31% nelle regioni del Sud, il 24% nell’Est e il 42% nel Donbas.
Coloro che invece dichiarano ugualmente ucraino e russo sono invece collocati rispettivamente per il 3%, il 10%, il 26%, il 38% e il 29%.

“Il fattore etnico ucraino influenza l’uso più frequente dell’ucraino” ha detto Yuri Yakimenko. Fra gli ucraini etnici, la lingua ucraina viene considerata come lingua madre dal 73% mentre il 18% sono coloro che si dichiarano madrelingua di entrambi gli idiomi.

La nostalgia dell’URSS
Secondo un sondaggio precedente del Centro Razumkov, nel mese di novembre 2016, i due terzi (65%) degli ucraini si sono dichiarati contrari ad un possibile ripristino dell’Unione Sovietica, il 13% hanno dichiarato di volerlo mentre un altro 22% ha risposto “sì, ma capisco che alle condizioni attuali è impossibile.”

Gli ucraini etnici che hanno risposto negativamente sul ripristinare l’Unione Sovietica ammontano al 69%, invece russi etnici solo il 39%.

Secondo l’ultimo sondaggio, il 27% degli intervistati in Ucraina si considerano cittadini dell’ex Unione Sovietica. Più frequentemente si considerano cittadini dell’URSS gli abitanti del Sud (48%) e dell’Est (41%), mentre nelle altre regioni si va solamente dal 17% al 21%.
Il sondaggio è stato condotto dal Centro Razumkov il 3-9 marzo 2017 Sono stati intervistate 2.016 persone in tutte le regioni d’Ucraina, tranne territori occupati.




La popolazione della regione di Donetsk. Popolazione della regione di Donetsk
l'economia 2022

https://ita.agromassidayu.com/naselenie ... age-235284

La regione di Donetsk è una regione con un'alta concentrazione di produzione industriale, trasporti e una significativa densità di popolazione. Secondo il Comitato statale statale, dal 1 ° gennaio 2015 la popolazione della regione di Donetsk è stimata in 4, 31 milioni di persone. Densità di popolazione di 165 persone / km 2 - questa cifra è 2, 2 volte superiore alla media dell'Ucraina (75, 5 persone / km²).

Nessuno risponderà sicuramente alla domanda su quante persone si trovano nella regione di Donetsk. Va tenuto presente che la difficile situazione politica influisce in modo significativo sulla migrazione dei residenti nella regione, quindi il loro numero esatto è attualmente impossibile da calcolare. Al 1 ° gennaio 2013, c'erano 18 distretti nella regione, 52 città (28 delle quali di rilevanza regionale), 131 insediamenti urbani e 1.118 altri insediamenti, in cui vivevano in totale 4.375.000 persone. La popolazione urbana era di 3.964.200 abitanti (91%), la popolazione rurale - 411.000 (9%). Il rapporto percentuale rimane approssimativamente lo stesso, sebbene i dati assoluti siano notevolmente diminuiti.

Sul territorio, che occupa il 4, 4% dell'area dell'Ucraina, circa il 20% di tutte le capacità produttive del paese è concentrato e il 9, 6% della popolazione vive. Dal numero della regione di Donetsk occupava un primo posto incondizionato tra le altre regioni del paese.

Crisi demografica

La popolazione delle regioni di Lugansk e Donetsk a causa di conflitti armati è notevolmente diminuita. I dati provenienti da fonti diverse sono diversi, ma anche stime modeste indicano centinaia di migliaia di rifugiati che hanno lasciato la regione. Le autorità del DPR e LPR parlano di 825.000 rifugiati (450.000 da Donetsk e 375.000 dalle regioni di Lugansk), mentre il Servizio federale per le migrazioni della Federazione Russa ha riferito di 733.000 migranti. I dati delle Nazioni Unite sono molto più modesti: 200.000 sfollati in Russia e 190.000 all'interno dell'Ucraina.

Ma anche prima di questi eventi, è stata osservata una crisi demografica nel Donbass. Pertanto, nel 2013 rispetto al 2012, la popolazione della regione di Donetsk è diminuita di 27.700 persone, di cui 23.200 negli insediamenti urbani, 4.500 negli insediamenti rurali. Sulla base di 1 mila abitanti, la popolazione è diminuita di 6, 3 persone, mentre l'intensità della riduzione nelle aree rurali è 1, 9 volte superiore (11 persone per 1000 abitanti) rispetto agli insediamenti urbani (5, 8 per 1000).

Le dimensioni del declino complessivo della popolazione nel 2012 sono state del 99, 7% a causa del declino naturale (il numero di morti è 1, 6 volte il numero delle nascite) e dello 0, 3% a causa del deflusso migratorio (il numero di morti ha superato lo 0, 1% numero di arrivi).


Dinamica

Negli anni '30, la regione di Donetsk divenne la più grande regione di popolazione dell'Ucraina, davanti alla regione di Vinnitsa. Nel 1959, il 10, 2% della popolazione ucraina viveva qui, nel 1970 e 1979 - il 10, 4%. Nel 1989, la popolazione della regione di Donetsk è scesa al 10, 3%, nel 2014 - al 9, 6%. La percentuale di anziani (oltre 60) nel Donbass è del 10, 7% della popolazione, mentre tra i minori di 14 anni solo l'8, 3%.

Durante gli eventi del 2014, un'entità quasi-statale, la Repubblica popolare di Donetsk, si è formata in una parte del territorio della regione di Donetsk. A partire dal 2015, controllava circa 1/3 dell'area della regione di Donetsk, dove il 55, 8% della sua popolazione viveva prima della guerra.

Le dinamiche storiche dei cambiamenti nella popolazione della regione di Donetsk:

1926: 1.645.000 persone.
1939: 3.099.810
1959: 4.262.048
1970: 4.891.979
1979: 5160641 persone.
1989: 5332395 persone.
2001: 4841074 persone.
2014: 4.343.900

La prima metà del 2015

Sebbene la popolazione della regione di Donetsk non sia conosciuta in modo affidabile, le autorità locali mantengono statistiche su entrambi i lati. I principali indicatori demografici per gennaio-giugno 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014:


La popolazione del Donbass tra le regioni dell'Ucraina è caratterizzata dai più alti tassi di invecchiamento della popolazione. Nel 1989, la popolazione di età inferiore ai 14 anni è diminuita del 50% (in Ucraina - 40%), al di sopra dei 65 anni è aumentata del 31% (in Ucraina - 15%).

Nel periodo 1989-2014. l'età media nella regione è aumentata di 5, 7 anni (in Ucraina - di 4, 1 anni), l'età media - di 6, 5 anni (in Ucraina - di 5 anni). Qual è il più grande aumento dell'età media della popolazione tra tutte le regioni ucraine.

Nel 2014 l'età media dei cittadini era di 42, 5 anni, ovvero 1, 9 anni in più rispetto alla media ucraina. Con questo coefficiente, la regione di Donetsk occupa il penultimo posto tra le regioni dell'Ucraina, solo nella regione di Chernihiv l'età media della popolazione era maggiore. L'età media della popolazione della regione di Donetsk nel 2014 era di 42, 1 anni - 2, 3 anni in più rispetto all'Ucraina.


Urbanizzazione

Nella regione di Donetsk ha registrato il più alto livello di urbanizzazione tra le regioni dell'Ucraina, oltre il 90% della sua popolazione vive in città. Questo indicatore è rimasto stabile negli ultimi decenni, rispetto al 1979, è cresciuto solo dell'1, 5% e rispetto al 1989 - dello 0, 3%.

Allo stesso tempo, la popolazione urbana della regione di Donetsk, insieme alla vicina Lugansk, è caratterizzata dai più alti tassi di spopolamento in Ucraina. Nel periodo 1989-2014 la popolazione urbana della regione è diminuita del 18, 2%, il doppio rispetto alla media dell'Ucraina (9, 4%). Nella regione di Donetsk nel periodo 1989-2014 ha rappresentato il 27% della riduzione totale della popolazione urbana dell'Ucraina (877.400 di 3.251.000).

Popolazione urbana
...
Percentuale di urbanizzazione
Città più grandi

Elenco delle città di Donbass (2014) per popolazione:

Donetsk: 945.000 persone.
Mariupol: 458.000 persone
Makeevka: 352.000
Horlivka: 254.000 persone
Kramatorsk: 163.000
Slavyansk: 116.000 persone
Enakievo: 81.000 persone
Artyomovsk: 77.000
Konstantinovka: 76.000 persone
Krasnoarmeysk: 64.000 persone
Druzhkovka: 59000 persone.
Khartsyzsk: 58.000 persone


Struttura della lingua etnica

La composizione della popolazione della regione di Donetsk dovuta al ripristino su larga scala delle imprese industriali del dopoguerra, che ha richiesto l'attrazione del lavoro dalle regioni interne dell'URSS, è caratterizzata dalla diversità nazionale.
Sebbene i cittadini che si considerano ucraini, la maggioranza, la maggioranza della popolazione preferisce parlare russo. Dinamica della lingua madre del Donbass secondo i censimenti:




Composizione etnica dell'Ucraina

https://it.wikipedia.org/wiki/Ucraina
Ucraini 77,5%,
Russi 17,2%,
Rumeni e Moldavi 0,8%,
Bielorussi 0,6%,
Tatari di Crimea 0,5%,
Bulgari 0,4%,
Ungheresi 0,3%,
Polacchi 0,3%,
Armeni 0,2%
Greci 0,2%,
Tatari 0,2%,




Demografia storica della Crimea e del Donbass
viewtopic.php?f=143&t=3023
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 7616466655
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 9:21 am

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Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 9:42 am

6)
Il presunto golpe ucraino di Kiev, con cui gli ucraini si liberavano del giogo politico degli oligarchi ucraini filorussi al potere




Rivolta di Kiev
https://it.wikipedia.org/wiki/Rivolta_di_Kiev
La rivolta di Kiev è scoppiata in risposta alle leggi anti-protesta ucraine (annunciate il 16 gennaio 2014 e messe in atto cinque giorni dopo), ed è sfociata in una serie di scontri nel centro di Kiev a via Hrushevshoko, fuori dallo Stadio Dinamo Lobanovski ed adiacente alle proteste dell'Euromaidan in corso.
Durante una manifestazione dell'Euromaidan che radunò più di 200.000 persone, i manifestanti marciarono verso la Verkhovna Rada dove incontrarono i cordoni della polizia. Dopo una fase tesa di stallo, la polizia cominciò ad affrontare i manifestanti con episodi di violenza. Da quel momento i manifestanti eressero barricate per impedire l'avanzamento delle truppe del governo. Quattro manifestanti sono stati confermati deceduti durante gli scontri con le forze dell'ordine, tre dei quali uccisi.
Il 28 gennaio 9 delle 12 leggi anti-protesta vennero abrogate e il Primo ministro Mykola Azarov rassegnò le dimissioni, annunciando la nascita di una legge di amnistia per i manifestanti arrestati e accusati. Il 14 febbraio seguente i gruppi incaricati di organizzare la situazione di stallo concordarono nello sbloccare parzialmente la strada per ripristinare il traffico ma mantenendo le barricate e le proteste. Dopo l'amnistia dei manifestanti del 16 febbraio, la polizia e i manifestanti si ritirarono entrambi, consentendo l'apertura di un corridoio per il traffico. Il 18 febbraio, ancora una volta, migliaia di manifestanti marciarono verso il Parlamento, ristabilendo gli stalli con la polizia in via Hrushevskoho e nelle strade collegate. Entro il giorno seguente, tutte le barricate vennero eliminate dalle strade e i manifestanti vennero respinti.


Euromaidan

https://it.wikipedia.org/wiki/Euromaidan
Euromaidan (in ucraino: Євромайдан?, traslitterato: Jevromajdan; letteralmente Europiazza) furono una serie di violente manifestazioni pro-europee iniziate in Ucraina nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, all'indomani della sospensione da parte del governo dell'accordo di associazione, che costituiva una Zona di libero scambio globale e approfondito (Zone de libre-échange approfondi et complet, ZLEAC in francese o Deep and Comprehensive Free Trade Area, DCFTA in inglese) tra Ucraina e l'Unione europea. Durante le proteste, concentrate nella capitale Kiev, il 30 novembre 2013, si verificò un'escalation di violenza a seguito dall'attacco perpetrato dalle forze governative contro i manifestanti. Le proteste sfociarono nella rivoluzione ucraina del 2014 e, infine, alla fuga e alla messa in stato di accusa del presidente ucraino Viktor Janukovyč.

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L'inesistente genocidio nel Donbass e le origini dell'Ucraina: cosa c'è che non va nel discorso di Putin
Open
David Puente
23 dicembre 2022

https://www.open.online/2022/02/23/disc ... o-donbass/

Nel corso dell’attuale conflitto tra Russia e Ucraina, nel quale la disinformazione cerca di avere il sopravvento, il discorso alla nazione del Presidente russo Vladimir Putin del 21 febbraio 2022 non è esente da bufale e da forzature di carattere storico. Uno dei punti di forza nel sostenere l’intervento russo nelle aree del Donbass è quello di un inesistente genocidio ad opera degli ucraini, così come il continuo sostenere che l’Ucraina moderna sia una creazione della Russia bolscevica, quando il nazionalismo ucraino risulta essere di gran lunga precedente a quello attribuito al secolo scorso.

Putin accusa l’Occidente di non accorgersi di un «genocidio» a cui sarebbero sottoposte 4 milioni di persone. Un numero che combacia con i presunti abitanti che risiedono nei soli territori controllati dai separatisti, ossia quelli delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk (circa 2 milioni e trecento mila di abitanti) e Luhansk (circa 1 milione e mezzo), non di entrambe le regioni ucraine.
...




Ecco come i filo russi italici leggevano la Rivolta di Kiev riproducendo in tutto la propaganda russa


Cosa è successo a piazza Maidan? La vera storia della rivolta ucraina
Il russista Eliseo Bertolasi è stato nel cuore della rivolta per giorni. Fino all’arrivo di Julija Tymošenko il 22 febbraio. In questa intervista spiega tutto quello che i media italiani non dicono della sommossa ucraina

18 Marzo Mar 2014

http://www.vita.it/it/article/2014/03/1 ... na/126393/

A Kiev, in piazza Maidan, le sorti della battaglia si sono giocate nella notte tra il 18 e il 19 febbraio. Il russista Eliseo Bertolasi era in quella piazza e ci è rimasto per 20 ore al giorno, fino a quando Julija Tymošenko, su una sedia a rotelle, è stata portata sul palco (era il 22 febbraio). Lo stesso palco da cui religiosi e laici, uniti, incitavano alla rivolta (come si vede e si sente dal video girato da Bertolasi che qui pubblichiamo).

Un'immagine forte, di quelle che scuotono o commuovono il mondo, quella della Tymošenko. Come le sue parole: «Siete eroi, siete il meglio che l'Ucraina possa avere. Non perderò nemmeno un minuto, farò di tutto per farvi felici sulla vostra terra!». Ma dietro le parole ci sono i fatti e quei fatti trascinano con sé altri fatti. E guardando con attenzione video e fotografie qualcosa, davvero, non torna.

Come scriveva Marcello Foa, che cosa abbiamo capito della crisi in Ucraina? Verosimilmente tutto e niente, nel frattempo la “sporca guerra asimmetrica” ha cambiato colore e le sfilate arancioni sono diventate nere marce militari. Abbiamo pertanto chiesto a Eliseo Bertolasi – che il 21 marzo prossimo, alle ore 20,30 ne discuterà presso il Circolo Arci di Brescia, via Risorgimento 18 - di aiutarci a capire. Quella che segue è una lunga conversazione. Richiede il suo tempo e forse fatica, ma tutto – scriveva Rilke – nella vita è difficile. E il più delle volte il difficile è anche necessario. Soprattutto quando le semplificazioni non solo non aiutano, ma possono far danni – forse irrimediabili.

Chi è: Eliseo Bertolasi russista, ricercatore associato e analista geopolitico all’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) di Roma, redattore della rivista Geopolitica, corrispondente dell’Agenzia “Golos Rossii (Voce della Russia) - Italia”. Cultore della materia in Antropologia culturale presso l’Università Statale di Milano Bicocca. Collaboratore culturale e socio dell’Associazione Italia-Russia sezione di Bergamo. Interessi di ricerca: Paesi ex-Urss, nazionalismi, questioni identitarie dei popoli slavi.

Eliseo Bertolasi in piazza Maidan a Kiev la notte del 18 febbraio scorso


La prima domanda che vorrei porti è proprio sulle rivoluzione colorate e sul ruolo delle fondazioni americane nel favorire le cosiddette “eversioni democratiche”. L’idea, veicolata da Gene Sharp & co., è abbastanza semplice ma ha funzionato in Kosovo, in Egitto, un po’ meno altrove. Abbiamo avuto la “rivoluzione” in Serbia (5 ottobre 2000), Georgia (Rivoluzione delle Rose, 2003), Ucraina (Rivoluzione Arancione, 2004 – 2005) e Kirghizistan (Rivoluzione dei Tulipani, 2005). Perché non accade anche in Crimea? In fondo, la questione dei “diritti civili” non è tanto diversa…
È il solito sistema dei due pesi e delle due misure, come sempre il diritto all’autodeterminazione, ai “diritti civili”, viene riconosciuto, dall’Occidente, solo a quelle minoranze che attraverso la “rivoluzione” anziché premere alla trasformazione delle strutture sociali del Paese puntano invece a rovesciare fisicamente un gruppo di dominanti per sostituirli con altri, ma in questo caso più proni alle logiche dell’Occidente. Il copione è sempre lo stesso: esperti in “rivoluzioni colorate”, Ong varie dedite alla promozione dei “diritti umani” sul posto, lavorando sulle linee di tensione interne presenti nel Paese come il disagio sociale e la disoccupazione, iniziano a sollecitare le condizioni per una rivolta. Dagli eventuali disordini di piazza, che ne derivano, ecco che le forze governative vengono accusate di ogni violenza sui pacifici manifestanti; a breve, con tempismo perfetto, scatta la condanna della “comunità internazionale” con la richiesta di cambio di governo. A questo punto gli episodi di violenza da parte della Polizia si moltiplicano, le negoziazioni falliscono, o le si vogliono far fallire, mentre nel Paese i “manifestanti”, sempre descritti come “pacifici”, in nome del “politicamente corretto” godono dell’appoggio incondizionato dei media, dei politici occidentali e degli intellettuali progressisti. Con questa dinamica da “manuale” Gene Sharp, in Ucraina abbiamo assistito ad un reale colpo di stato: far nascere un nuovo governo ucraino in chiave antirussa, spodestando e neutralizzando un presidente democraticamente eletto. Agli abitanti della Crimea, però, questo “fervore rivoluzionario” non viene riconosciuto, nonostante abbiano preferito concretizzare il loro desiderio d’indipendenza attraverso il referendum piuttosto della rivolta armata. Torniamo nell’ottica dei due pesi e delle due misure, per chi è a favore dell’Occidente tutto è permesso. L’Occidente è sempre disposto a chiudere due occhi quando sono in gioco i propri interessi. Questa circostanza ci indica la strategia che c’è alle spalle di tutta questa vicenda: l’indebolimento della Russia; a tal proposito inviterei a riflettere sulle considerazioni di Brzezinski quando dice che senza l’Ucraina, la Russia non è altro che una grande potenza asiatica, ma non sarà mai una potenza mondiale.

Piazza Maidan a Kiev in rivolta

I nostri media come li vedi? Attenti allo scenario geopolitico? Consapevoli oppure inconsapevoli distrattori rispetto a una questione che, anche al più ingenuo dei lettori, può apparire cruciale?
I media sono importantissimi, sono loro, infatti, che puntando i riflettori su una rivoluzione, o su un certo movimento di piazza, piuttosto che un altro, riescono ad attribuirgli, o meno, quella visibilità che diventa vitale per il proseguo e l’accettazione da parte dell’opinione pubblica della rivolta. Se tutti i media parlano in maniera intensa di una certa protesta, i manifestanti si sentono sempre più sostenuti e il potere si sente sempre più fragile fino alla sua capitolazione. Di solito il leader al potere attraverso un incalzante e micidiale processo di demonizzazione viene trasformato nel peggior dei dittatori. Riguardo all’evolversi della crisi ucraina, nel complesso, mi sembra ci sia stata molta disinformazione che, purtroppo, ha occultato la reale gravità della situazione. Tutto sta nel capire se i nostri media vogliano fare informazione o propaganda! Non è stato evidenziato che in Ucraina c’è stato un autentico colpo di stato, una presa del potere con la forza senza passare attraverso libere elezioni; certo si può parlare di “cambio di potere” ecc... ma questo non cambia la sostanza: colpo di stato è e rimane! Si continua a descrivere questa crisi senza voler mostrare le palesi responsabilità da parte di USA e Unione Europea, che, ricordo, con un’evidente ingerenza all’interno di un Paese sovrano, hanno ripetutamente inviato i loro politici a sostenere i manifestanti direttamente in Piazza. Immaginiamo il contrario: politici russi o cinesi.. in arrivo sulle nostre piazze per sostenere il diffuso malcontento che anima in questi anni i popoli europei! Impensabile! Eppure in Ucraina è successo! Come si continua a non evidenziare questa crisi sconvolgerà radicalmente gli equilibri relativi alla sicurezza del nostro continente. La nostra stampa, preferendo il solito mortifero mix di calciatori e veline o le eterne inconcludenti bagarre della politica nostrana, continua a non dare il dovuto risalto a questi eventi la cui eccezionalità ed importanza dovrebbe invece essere mostrata a tutti. È importante, quindi, che si arrivi a capire la differenza tra informazione e propaganda, e che ognuno, poi, liberamente si faccia la propria opinione.

In Crimea con una netta maggioranza hanno vinto coloro che non hanno mai smesso di sentirsi russi. Cosa ne pensi?
Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, sancito dallo Statuto dell’ONU, non è mai stato abrogato. Tra le due opzioni del referendum: l'ingresso della Crimea come un soggetto della Federazione Russa, oppure il ripristino della Costituzione del 1992 e la conservazione della Crimea come parte integrante dell'Ucraina, il popolo della Crimea ha scelto la prima. Con un’altissima affluenza alle urne e con un consenso plebiscitario in un tripudio di bandiere russe, di cori d’esultanza e di gioia il popolo della Crimea, riappropriandosi del proprio destino, il 16 marzo 2014 ha fatto la sua scelta. Ora ha tutto il diritto di veder concretizzato questo suo decennale desiderio e di riabbracciare la propria amata patria a prescindere del disappunto del presidente degli Stati Uniti e dei leader europei allineati alle posizioni atlantiche. Ma anche qui ritorniamo alla logica dei due pesi e delle due misure. L’Europa che tanto si preoccupa dei diritti delle minoranze, dei gay, ecc… al punto di diventarne paladina, improvvisamente vuole negare questi diritti alle minoranze russe. Mosca, ora, accetterà l'esito della consultazione: «Zdravstvujte! Narod Kryma! dobro požalovat’ v Rossiju» (Salve Popolo della Crimea! Benvenuto in Russia).

Tu eri presente agli scontri di Kiev? La tua veste di analista geopolitico e di antropologo, si unisce allo sguardo, sempre più raro, del testimone…
Ero presente, ho seguito in prima persona gli eventi drammatici che in quei giorni hanno portato i manifestanti dalla Piazza al governo. I manifestanti hanno usato delle tecniche di guerriglia sofisticate: barricate, assalto ai ministeri, lancio di bombe molotov.. Tutto questo, ovviamente, per aumentare il caos che avrebbe poi portato alla caduta di Yanukovich. Se volevano una risoluzione pacifica della crisi, come ho accennato, l’accordo era già stato raggiunto. Ho soggiornato intere giornate in Maidan. Alcune migliaia di manifestanti, prevalentemente provenienti dalle regioni occidentali del Paese, vivono stabilmente in Piazza da dicembre dall’inizio della protesta. Sono state allestite tende, cucine da campo, infermerie, punti di ristoro... Il selciato della Piazza è stato totalmente divelto, i mattoni frantumati in piccole pietre che con dei lunghi passamano arrivavano fin sotto le barricate per poter essere poi lanciate contro le forze dell’ordine. Tutto appariva ben organizzato: i manifestanti, e quando parlo di manifestanti parlo sia dei miliziani in mimetica, casco e giubbotto antiproiettile con i visi rigorosamente coperti dai passamontagna, sia della gente comune che si recava in Maidan per appoggiare la rivolta, si muovevano ordinatamente senza nulla improvvisare, con una chiara ripartizione dei compiti. Supporre che tutta questa struttura, questa logistica, sia frutto di semplice autogestione mi sembra piuttosto difficile. È impossibile non intravvedere una regia o almeno un’organizzazione alle spalle, anche solo per finanziare tale impresa. Durante la battaglia notturna in Maidan la situazione si presentava surreale, se non per il fatto che in quella realtà mi trovavo completamente immerso: il buio della notte lacerato dal fuoco degli incendi, i potenti fari della polizia che puntavano sulla Piazza, i lampi e il rumore assordante delle granate antisommossa, le urla dei manifestanti, che da dietro le barricate lanciavano pietre e molotv contro la Polizia … e in sottofondo dagli altoparlanti del palco, le preghiere continuamente recitate dai preti. Il tutto creava una dimensione cupa, arcaica, surreale… basta vedere il mio video della battaglia per provare queste sensazioni.

Alcuni manifestanti in piazza Maidan

Si! ho visto il tuo video: inquietante! In effetti si vedono dei preti ortodossi e dei laici presumibilmente cattolici che recitano le preghiere dal palco. Sul palco, scritte in cirillico indicano anche il nome di una radio cattolica molto nota. Chi sono?
Tra i manifestanti ricordo anche preti, soprattutto, della Chiesa uniata arrivati dalle regioni occidentali dell’Ucraina, oltre che preti della chiesa ortodossa autocefala ucraina. Con loro sul palco, la notte della battaglia in Maidan, c’era addirittura una delegazione di Radio Maria; innegabile il loro supporto alla rivolta, anche solo per il fatto di trovarsi in mezzo ai manifestanti. La Chiesa Uniata è un’emanazione della presenza polacca nella storia dell’Ucraina. Con l’adesione alla Controriforma i polacchi accentuarono il peso del cattolicesimo legandolo alla loro espansione politica. Per effetto di tale politica, le genti già cristiane ortodosse delle comunità slave all’interno dei confini polacchi, che a quel tempo includevano i territori dell’attuale Ucraina occidentale, furono cattolicizzate. Con il Concilio di Brest del 1596 venne decretata, infatti, la nascita delle Chiese uniate, che pur mantenendo, strutture, disciplina e liturgia della tradizione bizantina, riconoscono l’autorità giurisdizionale della Chiesa di Roma. Ancor oggi rappresentano una questiona spinosa che grava sui rapporti tra Santa Sede e il patriarcato di Mosca. Per Roma rappresentano una cattolicizzazione incompiuta delle genti slave. Per Mosca un’ingerenza vaticana finalizzata a portare sotto l’orbita cattolica genti già cristianizzate da secoli. Il diffuso sentimento antirusso, espressione della parte occidentale del Paese, è addirittura riuscito a minare la comunità cristiana-ortodossa ucraina: la chiesa ortodossa autocefala ucraina si sviluppa, in pratica, a partire dall’Ucraina indipendente, in contrasto col Patriarcato di Mosca, arrivando a riprodurre anche nella sfera religiosa lo scontro tra Mosca e Kiev.

Un prete ortodosso partecipa agli scontri di Piazza Maidan

L’Europa, negli scorsi anni, è stata quasi ostaggio della situazione, per via delle pipelines che dalla Russia passavano sul territorio ucraino. Ora lo scenario è cambiato? Ci spieghi il ruolo di South Stream e North Stream, quest’ultimo retto dall’ex Cancelliere tedesco Schroeder?
Il South Stream e il North Stream, per l’appunto, sono stati concepiti per eludere l’obbligatorio passaggio delle pipelines sul territorio dell’Ucraina, quindi, per assicurare un rifornimento energetico all’Europa occidentale a prescindere dagli umori e dai possibili disordini nei paesi di transito. Il North Stream è fondamentale per la Germania perché passando sotto il Mar Baltico la collega direttamente con la Russia. Non dobbiamo dimenticare le conseguenze delle due crisi del gas tra Ucraina e Russia, nel 2006 e nel 2009, quando Mosca accusò Kiev di sottrarre il gas destinato all’Europa, numerosi paesi europei furono duramente colpiti in tali occasioni. È assodato che dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico l’Europa dipende in gran parte della Russia, la quale fin dal 2011 si è affermata come primo esportatore energetico in Europa, battendo la concorrenza di Norvegia, Algeria e altri paesi arabi. Questo è il reale “tallone d’Achille” di Bruxelles quando minaccia di sanzioni la Russia. Putin può chiudere i rubinetti verso l’Europa e aprirli verso la Cina. L’Europa ha molto da perdere se continuerà questo duro braccio di ferro con Mosca. Come sostiene il Cremlino eventuali sanzioni contro la Russia si ritorcerebbero seriamente contro i Paesi che le vorranno applicare. Prendiamo ad esempio l’Italia. Nell’attuale difficile congiuntura economica e finanziaria internazionale, la prospettiva dell’internazionalizzazione appare, soprattutto per la piccola e media impresa, sempre di più una scelta obbligata, spesso un’ancora di salvezza per scongiurare la propria chiusura. Non a caso, molte aziende italiane già da qualche hanno individuato il mercato russo come l’ideale partner commerciale, portando l’Italia, fra i Paesi dell’UE, ad essere il secondo esportatore verso la Russia. Di pari passo anche numerosi prestigiosi gruppi italiani hanno realizzato e stanno realizzando notevoli investimenti in quel Paese: Enel, Eni, Finmeccanica, Indesit, Pirelli, UniCredit. Le esportazioni italiane verso la Russia, che i dati Istat indicano nell’ordine di 9,3 miliardi di euro, si confermano in continua crescita con un incremento, nel 2012, del 7,4% rispetto al 2011. Sanzioni contro Mosca, prima di far sentire il loro effetto sulla Russia condannerebbero a morte tante nostre aziende italiane in un quadro già abbondantemente provato di crisi economica e sociale.

Che cosa succederà ora? Vedi una via d’uscita?
Meglio non fare previsioni fino a che la situazione sarà così fluida. Dal soft power c’è il rischio che si possa presto passare al hard power. In un contesto così suscettibile è sufficiente anche la minima provocazione, per generare un’accelerazione a catena degli eventi. Il rischio di una possibile false flag è veramente altissimo. Se i manifestanti volevano risolvere la crisi avrebbero dovuto rispettare l’accordo firmato col presidente Yanukovich, che puntualmente è stato fatto saltare. Questa volta i russi hanno tracciato la loro “linea rossa”, e non permetteranno a nessuno di calpestarla, mi sembra che l’Occidente non abbiano ancora recepito questo dato, oppure volutamente lo sta trascurando. La Federazione russa fa parte dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai ed è una grande potenza militare. Stati Uniti e NATO continuano questo braccio di ferro con Mosca, dimenticando o ignorando il fatto che la Russia non è né la Libia, né l’Iraq, né tantomeno uno dei tanti paesi che hanno attaccato e occupato negli ultimi anni.
Il Consiglio della Federazione russa, ha da poco approvato all’unanimità una risoluzione di assoluta eccezionalità che permette a Putin di utilizzare le forze armate russe per proteggere la propria gente al di fuori dai propri confini in Ucraina. Auspico che il presidente Putin saprà essere all’altezza anche di questa crisi che rischia d’essere decisiva non solo per i destini di Russia e Ucraina, ma anche dell’intera umanità. Nelle prossime settimane si giocherà una partita geo-politica che influenzerà il corso di molti decenni a venire.

Quella proposta è solo una parte dell’intervista con Eliseo Bertolasi. La versione integrale è disponibile allegata in pdf

Foto e video a cura di Eliseo Bertolasi
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Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 9:55 am

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Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 9:56 am

7)
Gli oligarchi ucraini ex URSS e filorussi di cui gli ucraini si sono liberati nel 2014 con la Rivolta di Kiev





Chi sono gli oligarchi padroni dell'Ucraina
Da Poroshenko ad Ahmetov fino a Kolomoisky, ecco chi sono veri i poteri forti dell’Ucraina.

L’approfondimento di Stefano Grazioli per Tag43
di Stefano Grazioli
20 Febbraio 2022

https://www.startmag.it/mondo/chi-sono- ... i-ucraina/

Il presidente ucraino Voldymyr Zelensky sta combattendo due guerre: una contro la Russia, l’altra – in casa – contro gli oligarchi. Entrambe da quando è stato eletto, nella primavera del 2019. Allora mandò a casa Petro Poroshenko, capo di Stato uscente, entrato alla Bankova nel 2014, dopo il cambio di regime a Kiev. Poroshenko non era un politico puro, ma anche lui un rappresentante dei poteri forti che da sempre hanno deciso le sorti dell’Ucraina, fin dal crollo dell’Urss nel 1991 e l’indipendenza da Mosca. Zelensky, attore comico trasformatosi in politico di successo in un’operazione durata pochi mesi con l’appoggio mediatico e finanziario diretto di vari oligarchi e quello tacito di altri, si è trovato così in mezzo a una serie di conflitti che non è ancora riuscito a districare, proprio perché geneticamente insiti in un sistema politico-economico che in oltre 30 anni è sempre stato caratterizzato dalla commistione tra big business e gestione dello Stato.


L’USCITA DI SCENA DI YANUKOVIC

Nonostante il trionfo alle Presidenziali tre anni fa e quello alle Legislative dello stesso anno che gli hanno consegnato la maggioranza in parlamento, Zelensky è rimasto imbrigliato nei meccanismi dell’oligarchia che, nonostante le due rivoluzioni, o supposte tali, del 2004 e del 2014, non sono cambiati. I protagonisti delle vicende ucraine sono sempre gli stessi, eccezion fatta per Viktor Yanukovich, il presidente amico di tutti gli oligarchi ucraini e un po’ troppo di Vladimir Putin, che è stato defenestrato con il benestare di Unione europea e Stati Uniti in quello che è stato considerato al Cremlino un colpo di Stato. Sorte analoga, lo scorso maggio, era toccata a Viktor Medvedchuk. Oligarca e leader dell’organizzazione Ukrainian Choice, sponsor dell’opposizione filo-russa e contrario all’avvicinamento del Paese all’Ue, è finito ai domiciliari con accusa di alto tradimento. Un chiaro messaggio per Putin, visto l’ottimo rapporto, anche personale, con Medvedchuk: il presidente russo è il infatti padrino della figlia dell’oligarca Daryna, nata nel 2004.Zelensky e la guerra interna a Poroshenko

A parte queste eccezioni, le facce sono sempre le stesse. Prima di tutti quella di Rinat Akhmetov, da decenni il numero uno degli oligarchi ucraini, che si è sempre districato tra politica e affari con enorme successo, diventando l’uomo più ricco del Paese e uno dei più potenti burattinai alle spalle di presidenti e governi. Con una certa predilezione politica per lo spettro definibile come filorusso, data la sua provenienza dal Donbass, Ahkmetov ha dovuto soffrire un po’, economicamente e politicamente, con l’arrivo del suo rivale Poroshenko alla presidenza, ma è ormai in ripresa sotto Zelensky che ha avviato sì una campagna politico-giudiziaria contro lo strapotere degli oligarchi – e l’arresto di Medvedchuk lo dimostra – ma concentrandosi su pochi, o meglio su uno solo: Petro Poroshenko appunto. Il penultimo presidente, con un posto fisso ai piani alti del ranking dei businessman del Paese e leader del maggior partito dell’opposizione filoccidentale, è ora accusato di altro tradimento per aver fatto affari con i separatisti filorussi del Sud Est e rischia 15 anni di carcere. È la giustizia selettiva che pende come una spada di Damocle ogni volta che alla Bankova entra un nuovo inquilino.


KOLOMOISKY, IL MILIARDARIO SUPPORTER DI ZELENSKY

Yanukovich si era invece concentrato su Yulia Tymoshenko, che prima di diventare premier ai tempi della rivoluzione arancione del 2004 era nota come unica oligarca donna e principessa del gas, visto che la sua fortuna l’aveva accumulata con gli opachi traffici energetici tra Russia e Ucraina. Poroshenko aveva preso di mira anche Dmitry Firtash, altro boss del gas, che ha dovuto rifugiarsi a Vienna e dal 2014 colpito poi da sanzioni per aver venduto titanio in Russia. Sempre nel 2014 era entrato in scena in grande stile Igor Kolomoisky, forte nel settore bancario e del petrolio e tra gli ucraini più ricchi, diventato addirittura governatore nella regione di Dnipropetrosvk. È stato lui il principale sponsor di Zelensky, insieme agli altri che hanno sempre mantenuto un profilo basso e neutrale, senza decise preferenze politiche, ma strizzando l’occhio e aprendo i portafogli a tutti.


LO STRATEGA PINCHUK, PROTOTIPO DELL’OLIGARCA UCRAINO

Maestro in questo senso è Victor Pinchuk, il prototipo dell’oligarca ucraino, che ha istituzionalizzato già negli Anni 90 il matrimonio tra affari e politica, sposando la figlia dell’allora presidente Leonid Kuchma. L’impero di Pinchuk, tra industria dell’acciaio e media, si è allargato sotto ogni presidenza e anche sulla scacchiera internazionale ha resistito agli scossoni rivoluzionari grazie all’equilibrio tradizionale familiare. Suo suocero Kuchma, dopo il fallimento del 2004 di condurre alla presidenza il suo delfino Yanukovich, sconfitto da Viktor Yushenko, tre lustri dopo è finito a fare il mediatore per la parte ucraina nel gruppo di contatto trilaterale con Russia e Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) nel processo di pacificazione nel Donbass, sostituito solo ultimamente dal consigliere di Zelensky Andrei Yermak. Lo stesso Pinchuk ha fondato oltre 15 anni fa la Yalta European Strategy, piattaforma che guarda con favore ai rapporti con l’Occidente.


Anche l’Ucraina ha la sua guerra fra oligarchi

Francesca Salvatore
5 Marzo 2022

https://it.insideover.com/guerra/anche- ... archi.html

In America li chiamano robber barons, nelle ex Repubbliche sovietiche sia chiamano oligarchi. Hanno accumulato grandi ricchezze dopo il crollo dell’Urss, e questo ha permesso loro di divenire un luogo decentrato della politica in Russia e nelle ex nazioni satelliti. La crisi ucraina li ha riportati alla ribalta, poiché target di parte delle sanzioni emanate dai Paesi occidentali, ma anche perché in molti sperano in un loro ruolo occulto nella eventuale destituzione di Vladimir Putin. Ma gli oligarchi non sono solo russi, e la stessa Ucraina ne conosce bene l’importanza e il cerchio magico di potere attorno a loro.


Dal 1991 al 2013: gli oligarchi in ascesa

Gli oligarchi sono comparsi sulla scena economica e politica di Kiev dopo il referendum sull’indipendenza del 1991. Il Paese stava transitando dal sistema sovietico verso l’economia di mercato con la rapida privatizzazione dei beni statali.

Il loro peso politico-economico ha vissuto una parabola felice sino al 2008, quando si stimò che la ricchezza complessiva dei 50 oligarchi più ricchi dell’Ucraina era pari all’85% del PIL. Quell’anno la principale rivista ucraina Korrespondent pubblicò la sua lista annuale dei ricchi ucraini. La scoperta più sorprendente fu la stima della ricchezza dell’oligarca di Donetsk Renat Akhmetov. Akhmetov, il capo di Systems Capital Management, all’epoca possedeva un capitale stimato di 31,1 miliardi di dollari, il che lo rendeva la persona più ricca non solo nella CSI ma anche in Europa. Gli anni di instabilità politica sembravano non aver danneggiato la capacità degli oligarchi ucraini di aumentare la propria capitalizzazione durante l’amministrazione del presidente Viktor Yushchenko. La buona stella di Akhmetov sembrava essere legata alla sua personalità: fu il primo, infatti, a rivelare pubblicamente l’intera portata della sua ricchezza. La terra di Akhmetov nella sola Donetsk nel 2008 aveva un valore di 1 miliardo di dollari. Gli oligarchi ucraini con attività metallurgiche, nel frattempo, negli ultimi anni hanno registrato una rapida crescita a causa dell’elevata domanda mondiale.

Prima dell’aggressione russa del 2014, la presenza importante di oligarchi tra le fila della politica ucraina aveva creato non pochi imbarazzi. La maggiore concentrazione di ricchezza risiedeva all’interno del Partito delle Regioni, la frangia politica dell’ex presidente Viktor Yanukovich che, imbarazzato per una così folta presenza seraficamente commentò: “Se Dio ha dato ad alcuni individui talenti negli affari, allora la cosa più importante è che questo talento vada verso il bene più grande del paese e delle persone che ci vivono”. Si stima che, alla fine degli anni Duemila, dei 112 miliardi di dollari di patrimonio totale dei 50 più ricchi dell’Ucraina, 35,4 miliardi di dollari o un terzo del totale erano detenuti da membri del Partito delle Regioni. (Dati Eurasia Daily Monitor 2008)

La parabola discendente dopo il 2014

Nel novembre 2013 la ricchezza degli oligarchi scendeva al 45% (del PIL). Nel 2015, il patrimonio netto totale dei cinque ucraini più ricchi e influenti dell’epoca (Rinat Akhmetov, Viktor Pinchuk, Ihor Kolomoyskyi, Henadiy Boholyubov e Yuriy Kosiuk) era sceso da $ 21,6 miliardi nel 2014 a 11,85 miliardi di dollari nel giugno 2015.

L’Ucraina è stata definita per questa ragione una democrazia imperfetta, poiché gli oligarchi per lungo tempo hanno continuato a fare il bello e il cattivo tempo della politica. Secondo un sondaggio condotto dallo European council of foreign relations nel 2015 gli Ucraini vedevano negli oligarchi la causa principale della corruzione dilagante nel Paese. Sono stati numerosi i tentativi de-oligarchizzazione, neologismo molto in voga soprattutto in seguito a Euromaidan, ma sul campo poco è stato fatto. Di conseguenza, i nuovi leader ucraini sono stati accusati non solo di tollerare il sistema oligarchico, ma di parteciparvi. In realtà, al 2014 molto era stato fatto, ma il deep state restava un problema endemico. Con la progressiva privatizzazione economica, aggiunta a quella dei beni demaniali, numerosi uomini d’affari ucraini hanno assunto il controllo dei partiti politici o ne hanno avviati di nuovi per ottenere seggi e influenza presso la Verkhovna Rada.

Stanno alla classifica di Forbes del maggio 2021, al primo posto della top ten dei magnati ucraini resta Rinat Akhmetov, con il gruppo Metinvest legato al settore metallurgico; lo segue a ruota Victor Pinchuk con la Intertubo nello stesso settore, assieme a quello immobiliare; terzo posto per Costantino Zhevago e la sua Ferrexpo, sempre legata al settore metallurgia; al quarto posto troviamo invece Ihor Kolomoisky con la Ukrnafta nel settore investimenti; nel medesimo settore, al quinto posto Gennady Bogolyubov; sesto posto per Alessandro e Galina Geregi con Epicentro K, leader nel commercio al dettaglio e nel settore agroindustriale; seguono Petro Porošenko nell’industria alimentare con ROSHEN; Vadim Novinsky con Metinvest; Aleksandr Yaroslavskij con il gruppo DCH leader nel settore immobiliare e metallurgico; chiude la decina Yuriy Kosyuk con MHP, nel settore agricoltura.

Ihor Kolomoisky e Viktor Medvedchuk

Dopo l’elezione di Zelensky, numerosi commentatori europei e occidentali, avevano guardato con diffidenza al cursus honorum del nuovo presidente dell’Ucraina. Nessuno, nel 2019, poteva immaginare che quell’uomo sarebbe diventato il simbolo della resistenza all’aggressione russa nonché il comandante in capo di una nazione sotto i bombardamenti. Nonostante si proponesse come un outsider intento a spezzare il potere dell’élite oligarchica corrotta del Paese, la campagna di Zelenskyy dipendeva fortemente dal sostegno di Ihor Kolomoisky, probabilmente l’oligarca più controverso di tutti. Durante la campagna elettorale, Zelensky nominò l’avvocato personale di Kolomoisky come consulente chiave, viaggiò all’estero spesso e volentieri per conferire con l’allora esiliato Kolomoisky in più occasioni e trasse vantaggio dall’imprimatur fornitogli dell’impero dei media dell’oligarca. Giovane, europeo, à la page, pro-UE e pro-NATO, Zelenesky ha poi costruito la sua nuova immagine cercando di trovare un posto nelle dinamiche europee, tentando l’affrancamento dal passato proprio tramite la de-oligarchizzazione, termine diventato molto di moda nei salotti buoni di Kiev.

All’inizio del 2021 Kolomoisky è stato inserito nell’elenco delle sanzioni statunitensi con l’accusa di corruzione. Nel frattempo, i funzionari del governo ritenuti una minaccia per gli interessi di Kolomoisky sono stati rimossi dai loro incarichi, tra cui il procuratore generale, Ruslan Ryaboshapka, che stava conducendo un’indagine sull’oligarca, e il governatore della Banca nazionale ucraina (NBU), Yakiv Smolii. Il primo ministro di Zelenskyy, Oleksiy Honcharuk, è diventato un’altra vittima dopo aver tentato di allentare il controllo di Kolomoisky su una compagnia elettrica statale. Tutto questo aveva messo in grave difficoltà Zelensky nell’ultimo anno: parallelamente, il disegno di legge che costituisce il fulcro della sua politica di de-oligarchia ha introdotto una precisa definizione di “oligarca” che sancisce precisi criteri legati a ricchezza, influenza e proprietà dei beni. Sono stati in molti a sospettare con malizia che i parametri così puntuali fossero individuati specificamente per escludere Kolomoisky dai suoi termini di applicazione.

Più che altro, i paletti così stringenti della de-oligarchizzazione sembravano prendere di mira, invece, gli oligarchi russi, i veri sospettati di tramare contro l’indipendenza e l’autodeterminazione di Kiev. Tra questi Viktor Medvedchuk, ritenuto un proxy di Putin in Ucraina. Nel maggio 2021 il procuratore generale dell’Ucraina ha accusato Medvedchuk di tradimento e tentato saccheggio di risorse nazionali nella Crimea, ponendolo agli arresti domiciliari. Politico lo ha definito uno dei dodici uomini che ha rovinato l’Ucraina. Medvedchuk, uno dei più stretti collaboratori di Putin e capo di stato maggiore dell’ex presidente ucraino Viktor Kuchma, quest’anno si è trovato in una posizione curiosa, in qualità dei principali negoziatori dell’Ucraina nella sua guerra contro la Russia. Putin è il padrino di uno dei figli di Medvedchuk e gli Stati Uniti lo hanno ritenuto uno dei pochi russi “che usano le loro risorse o influenza per sostenere o agire per conto di alti funzionari del governo russo” quando lo hanno sanzionato in seguito all’invasione russa della Crimea. Medvedchuk, da allora, ha servito come staffetta tra Putin e il presidente ucraino Petro Poroshenko. Nel 2013 ha fondato un gruppo filorusso con l’obiettivo di allontanare l’Ucraina dall’Unione Europea. Quest’anno, tuttavia, ha rappresentato l’Ucraina nei colloqui informali con i separatisti filorussi e nei negoziati con i ribelli sugli scambi di prigionieri. Difendendo chi?
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Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 9:57 am

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Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 9:58 am

8)
Destabilizzazione dell'Ucraina, del Donbass e della Crimea ad opera della Russia nazi fascista e imperialista di Putin e dei terroristi ucraini russofili



La destabilizzazione dell'Ucraina libera e il sorgere del separatismo russofono e russofilo nelle aree della Crimea e del Donbass, inizia qualche anno dopo il referendo per l'indipendenza dell'Ucraina del 1991 e coincide con l'insediamento e i consolidamneto di Putin alla guida della Russia post URSS nei primi anni del 2000.
Il programma e il compito di Putin è stato ed quello di ripristinare la Grande Russia sconfitta con il crollo dell'URSS, con ogni mezzo lecito e illecito, dalla propaganda menzognera, alla promozione, all'organizzazione e al finanziamento dei movimenti separatisti, a quello dei partiti russofili da insediare al governo dell'Ucraina, come ha sempre fatto la Russia ai tempi dell'URSS.


L'aggressione del regime di Putin all'Ucraina ha tolto il velo anche sull'ipocrisia regnata nel Donbass dal 2014 ad oggi. Quello che, secondo le autorità di Mosca, sarebbe il teatro di un genocidio condotto ai danni della popolazione russofona, altro non è che un buco nero mafioso
Matteo Zola
25/02/2022
(Pubblicato in collaborazione con East Journal )

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucr ... sia-216155

Lo scorso 21 febbraio la Russia ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Il giorno seguente l’esercito russo entrava nelle due repubbliche per una missione di peacekeeping che, da un lato, affermava la sovranità russa sui due territori e, dall’altro, preparava l’invasione del resto dell’Ucraina.

Dopo anni di ipocrisie e falsità, è finalmente caduto il velo dal Donbass. Ripercorrere la storia recente di questa regione significa addentrarsi nei meandri di un conflitto definito “a bassa intensità” ma che, dal 2014, non ha smesso di seminare morte associando alla destabilizzazione politica e al controllo militare, pratiche criminali comuni, traffici, regolamenti di conti e violenza. Quello che, secondo le autorità di Mosca, sarebbe il teatro di un genocidio condotto ai danni della popolazione russofona, altro non è che un buco nero mafioso.

Il furto dello stato
Dossier

Vai a tutti i nostri approfondimenti sull'aggressione del regime di Putin all'Ucraina nel dossier "Ucraina: la guerra in Europa"

All’indomani della dissoluzione sovietica molti vecchi esponenti della nomenklatura hanno saputo riciclarsi e trasformarsi in magnati e imprenditori grazie alla spoliazione dei beni pubblici in un processo di privatizzazione selvaggia che il politologo Steven L. Solnick ha chiamato "il furto dello stato". Un fenomeno che ha avuto luogo in molte regioni dell’ex Urss ma che in Donbass ha visto l’emergere di clan oligarchici capaci di prendere il controllo politico e sociale della regione, limitando gravemente la formazione di una società civile. Una regione industriale così ricca di risorse si è rivelata comprensibilmente attraente per le nuove generazioni di dirigenti mafiosi che cercavano di consolidare le proprie posizioni sociali ed economiche assumendo un controllo formale sul mondo della politica e del diritto.

Anni prima che Viktor Yanukovich diventasse presidente dell'Ucraina, lui e la sua famiglia stavano già esercitando il controllo sulla regione di Donetsk. Molti degli attori politici ed economici più influenti dell’Ucraina indipendente provengono da questa regione: gli ex presidenti Kuchma e Yanukovich ma anche Rinat Akhmetov, Oleksandr Yefremov, Borys Kolesnikov, nomi più o meno noti che hanno segnato le sorti della regione e del paese. Grazie a loro il Donbass è divenuto il tempio della corruzione, un luogo in cui soprusi e vessazioni erano il pane quotidiano, e la lotta tra gruppi armati al soldo di opposti magnati insanguinava le strade. La speranza di vita era, poco prima della guerra, due anni inferiore al resto del paese mentre la regione registrava i più alti tassi europei nel consumo di oppiacei e nella diffusione dell’HIV . E tutto questo malgrado la regione valesse un quarto di tutto l’export ucraino. Una ricchezza che però non andava nelle tasche della popolazione.

Regioni filorusse?

È in questo contesto che si svilupparono gli eventi che hanno portato alla nascita delle repubbliche separatiste. Nel momento in cui il presidente Yanukovich fuggì dal paese, cominciarono ad emergere conflitti all’interno del mondo oligarchico che lo sosteneva. Tra la popolazione si diffusero sentimenti contrastanti tra coloro che lo ritenevano un traditore e quelli che sentivano invece di aver perso un punto di riferimento a Kiev . Lo possiamo capire da un sondaggio dell’IRI condotto proprio in quei mesi che testimonia il malessere dei residenti negli oblast di Donetsk e Lugansk: in quelle regioni solo il 40% degli intervistati riteneva l’occupazione della Crimea “una minaccia per la sicurezza nazionale” contro al 90% dei residenti nelle regioni centro-occidentali.

Allo stesso modo, ben il 30% esprimeva la necessità di una “protezione per i cittadini russofoni”. Tuttavia il favore verso l’integrazione con la Russia non era elevato: 33% a Donetsk, 24% a Lugansk e Odessa, 15% a Kharkiv, mostrando come anche nelle regioni orientali del paese sussistessero grandi differenze e non fosse affatto vero, come si è poi affermato e si continua a ripetere da più parti, che nell’est dell’Ucraina la popolazione fosse largamente favorevole all’integrazione con la Russia. Anzi, uno studio del 2018 ha rilevato come la guerra non abbia modificato nella popolazione del Donbass la propria identità ucraina che, quindi, è qualcosa di più di una semplice appartenenza linguistica.

Una guerra civile?

Mentre a Kiev si andava consolidando il fronte rivoluzionario, nell’est del paese cominciarono i disordini. A marzo 2014 si registrarono scontri a Kharkov, Donetsk e Lugansk, con l’occupazione dei municipi e delle istituzioni locali. Secondo gli osservatori OSCE le forze di polizia non intervennero o si mostrarono solidali con i manifestanti filorussi. In aprile vennero occupate le amministrazioni di Kramatorsk, Sloviansk e Mariupol, questa volta con il supporto di uomini armati. Si trattava perlopiù di paramilitari che arrivavano dalla Russia . La provenienza russa dei miliziani e di larga parte dei dimostranti che occuparono le varie municipalità è la prova che non si è mai trattato, fin dall’inizio, di una guerra civile ma di uno “scenario crimeano” fatto di agitatori e truppe irregolari inviate da Mosca per destabilizzare e infine occupare le regioni orientali dell’Ucraina.

Si arrivò così alla proclamazione di indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, rispettivamente il 7 e il 27 aprile 2014. Nel mese di maggio un referendum confermativo venne tenuto nelle due repubbliche registrando il 90% dei consensi. Un dato che contrasta fortemente con quello raccolto appena un mese prima dal sondaggio dell’IRI e che appare del tutto inverosimile. Intanto i combattimenti si intensificarono con l’arrivo di mezzi blindati, artiglieria pesante, lanciarazzi e sistemi antimissile di provenienza russa. Nel mese di luglio il volo MH17 della Malaysian Airlines venne abbattuto uccidendo 298 persone. Un’indagine internazionale concluse che l’aereo era stato colpito da un missile terra-aria partito dalla base della 53esima brigata antiaerea di Kursk, in Russia. A quel punto il velo sulla crisi ucraina era già stato squarciato, ma per molto tempo non si è voluto vedere in faccia il responsabile.

Fine prima parte

Seconda parte

Gli sforzi della diplomazia condussero, in settembre, al Protocollo di Minsk, conosciuto come “Minsk I”: venne stabilita la linea di contatto tra l’Ucraina e le due repubbliche separatiste; si stabilì l’immunità per “tutti i partecipanti agli eventi nelle regioni di Donetsk e Lugansk” senza distinzione tra crimini comuni e crimini di guerra; vennero stabilite elezioni locali in presenza di osservatori OSCE (che si tennero infine il 2 novembre senza rispettare nessuna delle condizioni di t
rasparenza previste). Iniziava così una nuova fase di negoziati che, nel febbraio 2015, approdò agli Accordi di Minsk (noti come “Minsk II”).

L’economia dei separatisti

Dopo la stipula degli accordi di Minsk (febbraio 2015) si è avviata una fase di relativa stabilità anche se tra il 2017 e il 2020 si sono registrate più di 900 vittime civili. La situazione economica nelle due repubbliche separatiste era tuttavia resa difficile proprio dagli Accordi di Minsk che impedivano relazioni economiche con Mosca. L’assenza di collegamenti bancari con la Russia impediva alle fabbriche e alle aziende delle “repubbliche popolari” di avere la liquidità necessaria per mantenere la produzione. In questa situazione, l’Ossezia del Sud è diventata l'estrema risorsa: dopo aver stabilito rapporti ufficiali con Mosca, Donetsk e Lugansk, la piccola repubblica separatista georgiana è diventata l’intermediario attraverso cui la Russia versava fondi e pagamenti al Donbass. Tra il 2014 e il 2018, gli investimenti diretti esteri sono stati inferiori all'uno per cento del PIL del Donbass. Le aziende esitano a investire risorse in un'area in cui si verificano quotidianamente scambi di artiglieria. Per questo motivo, l'economia fatica a svilupparsi ed è stata particolarmente colpita dalla pandemia di Covid-19 diffondendo ulteriore malcontento tra la popolazione.

L'economia è stata monopolizzata da imprese di proprietà dei separatisti. I leader locali che si sono succeduti nel tempo hanno avviato una vera e propria economia di rapina, nazionalizzando e controllando le industrie locali. Gli stipendi sono crollati ai minimi storici. Chi ha potuto lasciare le due regioni, l’ha già fatto. Sono quasi due milioni coloro che sono emigrati nel territorio sotto controllo ucraino. Di fronte al crollo dell’economia locale, alla distruzione delle infrastrutture civili e industriali, i leader separatisti hanno agito come veri e propri boss mafiosi , imponendo la propria legge con la violenza. Tra i più noti vale la pena citare Aleksandr Borodai, primo capo della repubblica di Donetsk, che oggi siede alla Duma russa, e Aleksandr Zacharčenko, capace di costruirsi un piccolo impero estorcendo denaro a ristoranti e supermarket, prima di essere ucciso nel 2018 da un’autobomba piazzata da qualche rivale interno.

Le due repubbliche separatiste sono arrivate a costare miliardi di dollari alla Russia, costretta a versare soldi nelle casse dei separatisti, i quali non hanno esitato a farne un uso personale. Il regime semi-coloniale russo nel Donbass sarebbe stato insostenibile sul lungo periodo. Forse anche per questo Mosca ha deciso per il riconoscimento delle due repubbliche, uscendo dagli accordi di Minsk e prendendo il controllo diretto della regione. Ai piccoli boss locali si sostituisce così l’unico vero signore della guerra, Vladimir Putin.





Alberto Pento

Questi ucraini filo Russia non si ponevano minimamente il problema dei diritti umani, civili e politici degli altri ucraini filo Ucraina e del fatto che il Donbass fosse parte legittima dello stato e della nazione ucraina, parte naturale frutto dell'andamento della storia e non a seguito di guerre di conquista e di sopraffazione.


È in questo contesto di guerra civile, di terrorismo e di aggressioni della minoranza separatista filorussa che si verificò l'episodio della cosidetta Strage di Odesa, dovuto all'esperazione degli ucraini per le violenze subite dai separatisti filorussi che volevano appropriarsi della loro terra:


Il 2 maggio a Odessa si verificò uno degli episodi più cruenti degli scontri tra maidanisti e anti-maidanisti.[Un gruppo di manifestanti filo-russi, cacciati dalla piazza che stavano occupando per protesta (Campo Kulikov), si era rifugiato nella Casa dei Sindacati. Una folla di ultras calcistici e nazionalisti ucraini, armati di bastoni e bombe molotov, circondò l’edificio e vi appiccò il fuoco, senza che la polizia intervenisse in difesa dei manifestanti. In quello che è passato alla storia come la "Strage di Odessa" il numero delle vittime (arsi vivi, soffocati, colpiti da arma da fuoco o linciati dalla folla) fu di circa 48 civili.
https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Odessa




Il Nazifascismo Separatista Putiniano Nel Donbass
Spaziolibero Cris
Andrea Ferrario
6 giugno 2022

https://unaepidemiadivita.wordpress.com ... l-donbass/

I nazifascisti ed estremisti di destra che hanno fondato e diretto le due “repubbliche popolari” del Donbass a partire dal 2014.
Messi temporaneamente da parte dal Cremlino una volta terminati i loro compiti, sono tornati in questi giorni sulla scena della guerra.

Documentiamo come le leggende sull’esistenza di un autentico antifascismo nel Donbass siano una colossale “patacca”, occupandoci in particolare della figura del defunto comandante Mozgovoy e dei suoi nessi con l’estrema destra.

1) I nazifascisti delle “repubbliche” del Donbass

Mentre in Italia ci si è sempre concentrati esclusivamente sui neofascisti ucraini, il problema macroscopico del nazifascismo nelle “repubbliche popolari” e in Russia è stato sistematicamente ignorato. La sinistra italiana, e la massima parte di quella internazionale, si è fatta passare sotto il naso senza pronunciare nemmeno un timido “ohibò” quella che probabilmente è stata la più ampia operazione politica e militare nazifascista in Europa dopo il 1945, la creazione nel 2014 delle “repubbliche popolari” separatiste di Donetsk e Lugansk e le loro azioni militari, condotte sotto l’egida di Mosca per ottenere il controllo del Donbass.

Le modalità di creazione delle “repubbliche” e il profilo dei nazifascisti che le hanno fondate sono descritti nell’approfondita indagine pubblicata da “Crisi Globale”, con decine di link a fonti principalmente separatiste e russe, a fine aprile 2014, cioè quasi in presa diretta:

L’anima nera della “Repubblica di Donetsk”

Nell’articolo viene descritto nei dettagli come i gruppi all’origine delle due “repubbliche” separatiste create subito dopo Maidan e l’annessione della Crimea fossero formati interamente da nazifascisti, razzisti, antisemiti ed estremisti di destra filozaristi. I più importanti di loro venivano dalla Federazione Russa e non avevano in precedenza avuto nulla a che fare con il Donbass.
I due leader principali, Igor Girkin “Strelkov” e Aleksandar Boroday, corrispondono esattamente a questo profilo, e almeno il primo, con esperienze militari in Bosnia e in Cecenia, era sicuramente legato ai servizi segreti russi.
Lo stesso vale quasi sicuramente per l’intera dirigenza separatista, che ha agito in perfetta sintonia con la pianificazione degli eventi da parte di Mosca, sebbene per ovvi motivi solo per alcuni dei suoi esponenti vi siano precise evidenze.

Anche le forze armate delle due “repubbliche” erano sotto controllo fascista, basti pensare che quelle della “repubblica di Lugansk” sono state a lungo sotto il comando di un noto neonazista di San Pietroburgo, Aleksey Milchakov, e quelle della repubblica di Donetsk sotto quello di un altrettanto noto neonazista, Aleksandr Matyushin, già a capo della sezione di Donetsk del gruppo neonazista Russkiy Obraz e dell’organizzazione giovanile della relativa “repubblica”, nonché fondatore del battaglione nazifascista Varyag.

Sotto gli ordini dei loro camerati inviati da Mosca hanno agito anche alcuni microgruppi neofascisti locali del Donbass, attivatisi in funzione anti-Maidan già prima degli eventi del marzo 2014. Questi ultimi erano privi di ogni legame con la popolazione locale e hanno ottenuto i loro risultati unicamente grazie al sostegno di Mosca, nonché all’appoggio condizionato ricevuto dai potentati mafio-oligarchici locali.

Inoltre, i nazifascisti e gli altri estremisti di destra a capo delle “repubbliche” separatiste, facevano parte di una rete internazionale creata dal Cremlino attraverso “Unioni eurasiatiche”, “conferenze internazionali”, convegni, convocazioni di “osservatori internazionali” a elezioni farsa, mirati a fare convergere l’estremismo di destra europeo (e negli anni successivi, anche statunitense) verso gli interessi di Mosca.
Pertanto la dimensione dell’operazione nazifascista separatista, al contrario per esempio di quella del neofascismo ucraino, è anche di natura paneuropea.

Infine, avevamo pubblicato sempre nel 2014, a titolo documentativo, il testo “teorico” di un ideologo della “Repubblica di Donetsk”, Igor Droz, che è emblematico della natura di estrema destra, integralista cristiana e omofoba delle repubbliche separatiste: L’”antifascismo” neofascista della Novorossiya.
Igor Droz era vicino a Igor Strelkov e partecipava alle riunioni del think-tank separatista Izborsky Club, di cui faceva parte anche il noto neofascista russo Aleksander Dugin.

Ma cosa è successo dopo il 2014-2015?
Mosca ha progressivamente rimosso la maggior parte degli uomini della prima ora, cioè i fascisti di cui sopra. Questi ultimi si dimostravano poco controllabili, molti comandanti avevano creato dei veri e propri feudi in reciproco conflitto, o in conflitto con le dirigenze di Donetsk e Lugansk.
Putin grazie ai nazifascisti separatisti aveva portato a termine con successo la prima fase della sua guerra contro l’Ucraina, non era per il momento interessato ad allargare un conflitto per il quale non si riteneva ancora preparato e puntava per il momento a tenere in scacco il governo di Kyiv dopo avere messo un’ipoteca sul funzionamento del paese con la creazione delle “repubbliche” separatiste, continuando però a intessere una rete di estrema destra a livello europeo che gli poteva tornare utile su temi come le sanzioni, il gas e altro ancora.

I separatisti della prima ora sono stati fatti quasi tutti uscire di scena in un modo nell’altro. Strelkov e Boroday sono stati richiamati a Mosca (il secondo oggi è deputato di Russia Unita), svariati comandanti sono stati uccisi.

Il primo nuovo uomo, che nell’estate del 2014 ha sostituito il “presidente” separatista Boroday, è stato Alexander Zakharchenko, anch’egli proveniente da ambienti di estrema destra, ma più grigio e obbediente – il che non lo ha salvato però dal morire in un attentato nel 2018.

Anche svariati altri comandanti noti, come Motorola, Givi o Alexey Mozgovoy, sono stati uccisi. Oggi al potere rimangono personaggi privi di ogni personalità, veri e propri burattini di Mosca, come Denis Pushilin, l’unico sopravvissuto della prima ora, anch’egli connesso con l’estrema destra, ma lungi dall’esserne stato un militante attivo: nel periodo prima del “separatismo” si limitava a rubare soldi ai pensionati come dirigente di una piramide finanziaria.

Battaglioni neonazisti (il Rusich) o con una nutrita presenza neofascista al loro interno (il Somali) hanno però continuato e continuano a operare sul terreno in Donbass e in queste settimane Pushilin si è fatto cogliere mentre decorava un comandante che recava sulla divisa un simbolo neonazista.

Di tendenze naziste è anche il gruppo mercenario stragista Wagner (si vedano ad esempio gli articoli di Res Publica e del Guardian) che, come già nel 2014, sta oggi operando nel Donbass a fianco dei separatisti e dell’esercito russo, dopo avere combattuto e compiuto eccidi in Medio Oriente e Africa al servizio di Mosca.

L’eliminazione della maggior parte dei fascisti dei primi due anni delle repubbliche separatiste non vuol dire che queste ultime si siano democratizzate. Sono sempre rimaste dittature dove si praticano sistematicamente la tortura, gli omicidi mirati contro le briciole sopravvissute della società civile, le politiche omofobe e integraliste cristiane. Inoltre la dirigenza separatista ha distrutto l’economia locale con una pura politica di saccheggio, non pagando gli stipendi agli operai, o consegnando i beni del paese a grandi capitalisti della Federazione Russa.

Su questi aspetti una delle migliori fonti è il dettagliato articolo di Natalia Savelyeva pubblicato dalla Fondazione Rosa Luxemburg.
Molto utili anche i precisi materiali pubblicati dallo storico e attivista di sinistra Simon Pirani nel suo sito “People and Nature”, come ad esempio The “republics” Putin is fighting for e Social protest and repression in Donbass.

Sulla natura di estrema destra delle “repubbliche” separatiste fondamentale è il saggio “Russian White Guards in the Donbass” di Zbigniew Marcin Kowalewski, pubblicato da International Viewpoint, così come il suo “The oligarchic rebellion in the Donbass”.
Un altro articolo che traccia con precisione i nessi tra neonazisti russi, Cremlino e nazifascisti del Donbass è “Neo-Nazi Russian nationalist exposes how Russia’s leaders sent them to Ukraine to kill Ukrainians”.

Utili anche “The Involvement of Russian Ultra-Nationalists in the Donbas Conflict”, di Richard Arnold, e il recente “Neo-Nazi Russian Attack Unit Hints It’s Going Back Into Ukraine Undercover”, sul battaglione neonazista Rusich.

Per quanto riguarda i documenti fotografici, consigliamo queste due “gallerie” di immagini sui nazifascisti del Donbass:
http://www.evasiljeva.ru/2017/08/blog-post_20.html

https://glavnoe.ua/news/n186957

2) Antifascisti nel Donbass? Ma non scherziamo…

In Internet circolano numerosi materiali fotografici e “reportage” sulla presenza di comunisti e antifascisti tra i separatisti del Donbass. Molti di questi materiali tendono ad affermare che l’intero Donbass separatista è una roccaforte antifascista. In Italia questo discorso è amplificato da una serie di piccoli gruppi di una galassia stalinista che, per sua natura, è sempre pronta a schierarsi dalla parte degli stragisti, dal sito Contropiano (vicino al sindacato USB filo-Assad e filo-Putin), fino alla band militante Banda Bassotti o a piccoli gruppi.

Queste tesi sono tornate alla ribalta con la morte nel Donbass di Edy “Bozambo” Ongaro che, condannato per aggressione, aveva trovato rifugio prima in Spagna e poi nel Donbass separatista, dove si era arruolato nel battaglione Prizrak, l’unico della regione che in effetti esibisce spesso bandiere rosse (dell’Unione Sovietica) e accoglie militanti “internazionalisti” di gruppi neostalinisti europei.

La storia del battaglione Prizrak e del suo comandante, Aleksey Mozgovoy è esemplare di come l’idea dell’esistenza di una tendenza di sinistra ed effettivamente antifascista sia una pura “patacca”.
Mozgovoy, che a differenza della maggior parte dei suoi camerati separatisti non aveva avuto una storia di militanza di estrema destra prima del 2014 (era stato soldato a contratto per cinque anni, poi aveva vissuto di occupazioni occasionali), si era tuttavia legato fin dall’inizio degli eventi di quell’anno a Igor Strelkov, l’estremista di destra di cui abbiamo già parlato e che ha guidato le fasi fondamentali dell’annessione della Crimea e della “primavera russa” separatista nel Donbass su ordini di Mosca.

Mozgovoy, che controllava un suo “feudo” ad Alchevsk, nella regione di Lugansk, faceva parte di un settore di comandanti meno direttamente controllabili da Mosca ed era presto entrato in conflitto con l’ala più burocratica che governava la cosiddetta “Repubblica di Lugansk”. Inoltre, dopo i primi mesi della “primavera russa” gli effettivi del suo battaglione stavano calando di numero. Alla fine, nel 2015, Mozgovoy è stato ucciso in un agguato quasi di sicuro organizzato dalla dirigenza di Lugansk e/o da Mosca.

Mozgovoy è sempre stato su posizioni che, per quanto confuse, erano di estrema destra e anticomuniste, come testimoniato da molto di più dei suoi soli legami con Strelkov. Per esempio, a fine agosto 2014 Mozgovoy ha preso parte a Yalta a un congresso che, sotto l’occhio paterno di Sergey Glazyev, uomo forte del Cremlino e allora consigliere di Putin, ha riunito neofascisti e neonazisti di tutta Europa, come per esempio Roberto Fiore di Forza Nuova, il neonazista belga Luc Michel o l’antisemita Israel Shamir, tra i tanti altri.

Nel novembre dello stesso anno organizzava un processo “popolare” in perfetto stile fascio-stalinista contro due uomini accusati di rapporti con una minorenne, durante il quale è riuscito a colpevolizzare con parole tipiche di un fascista le donne che non se ne stanno a casa, dopo avere annunciato che quelle trovate a frequentare un locale sarebbero state arrestate:
“Il compito [delle donne] è badare ai figli. Nella nostra città è pieno di donne nei bar, anche nei night-club. […] Una donna dovrebbe essere la guardiana del focolare, la madre. E che tipo di madri diventano dopo aver frequentato i pub? …
Una donna dovrebbe stare in casa a cuocere pirozhki e bere un bicchierino solo il giorno della Festa delle donne. È ora di ricordare che siete russe!
È ora di recuperare la vostra spiritualità!
Perché una donna era innanzitutto una madre. Ma che madre potrebbe mai essere se rovina il suo organismo con l’alcool, e ai tempi d’oggi addirittura con le droghe?”.

Alcuni giorni dopo in un’intervista alla Novaya Gazeta Mozgovoy esprime il suo disprezzo per la Rivoluzione russa definendola “una sceneggiata” frutto di una cospirazione, interpretandola come l’inizio delle sventure della Russia, tutti concetti che sono un cavallo di battaglia dei reazionari di Mosca.
Della sua posizione politica sono testimonianza anche i video pubblicati dal canale Youtube del battaglione Prizrak quando era ancora vivo: Mozgovoy parla sullo sfondo di icone, bandiere nere con il teschio, ritratti di generali zaristi che hanno colonizzato il Caucaso facendo strage e simili.

La bandiera dello stesso battaglione Prizrak ha sullo sfondo una croce nera con un motivo chiaramente littorio, cosa che non deve meravigliare, visto che del battaglione hanno fatto parte come sottosezioni nel 2014-15 formazioni armate di gruppi neonazisti come Rusich, Feniks e Varyag.
Inoltre, il comandante aderiva all’ideologia omofoba imperante nelle “repubbliche” separatiste. Successivamente, verso la fine della sua carriera, il comandante ha allargato il suo battaglione anche alla partecipazione di volontari “comunisti”, ma senza alcuna contromarcia politica su tutto il resto.

Trovandosi in difficoltà e a corto di uomini nel contesto che contraddistingueva allora della regione di Lugansk, Mozgovoy ha poi cercato evidentemente di trovare una sponda in più in una serie di minigruppetti, o addirittura singoli, di tendenza stalinista. Tra di essi vi erano anche militanti di Borot’ba, un gruppo ultrastalinista che ha collaborato attivamente con i neofascisti e ha avuto pesanti responsabilità nei tragici eventi che hanno portato alla strage di Odessa del 2 maggio 2014.
Negli anni successivi è poi emerso che questo gruppo “di sinistra” era direttamente al soldo del Cremlino (si vedano Bellingcat e Nihilist).

Sappiamo benissimo tutti da sempre, e come minimo dal patto Hitler-Stalin del 1939, che non vi è alcuna stranezza nel nesso fascismo-stalinismo.
L’antifascismo dei “comunisti” del battaglione Prizrak è privo di ogni contenuto concreto, non critica il fascismo come tale, con i suoi sistemi di oppressione e repressione, che in realtà fa in buona parte propri.
Si limita a slogan di natura esclusivamente retorica e all’esaltazione della vittoria militare dell’Urss nel 1945 (interpretata però abusivamente come espressione della potenza della Russia, dimenticandosi i resistenti ucraini, bielorussi e di altri popoli che costituivano il nucleo portante della lotta sovietica contro il nazismo dopo il 1941 e che sono morti a milioni nella lotta contro i nazisti).

Infine, sulle divise dei combattenti del Prizrak, così come su ogni sfondo delle interviste a Mozgovoy, campeggia in bella vista la bandiera rossa con la X azzurra in bordi bianchi della Novorossiya.
Non solo il concetto di Novorossiya (Nuova Russia) è stato creato dal colonialismo dell’ultrareazionario Impero Russo, ma la sua bandiera odierna non si richiama ad alcuna tradizione locale: è stata scelta nel 2014 dai neofascisti che hanno fondato le repubbliche del Donbass copiandola intenzionalmente da quella dei loro camerati dell’estrema destra sudista americana.
E’ insomma una bandiera razzista, che esprime l’analoga ideologia di chi la utilizza come emblema, predicando lo schiavismo per gli ucraini e l’annullamento della nazione ucraina, che secondo loro deve essere diluita in quella russa con gli strumenti dello stragismo e della “rieducazione” forzata.

Lo studio più approfondito su Aleksy Mozgovoy è il lungo testo in tre parti di Kyrylo Tkachenko sui nessi tra neonazisti del Donbass e sinistra stalinista – scritto in tedesco, ma facilmente leggibile con un traduttore automatico:
Wie Teile der deutschen Linken Faschisten in der Ukraine unterstützen (Come parti della sinistra tedesca sostengono i fascisti in Ucraina).
Le parti specificamente dedicate a Mozgovoy e ai suoi collegamenti con l’estrema destra sono la seconda e la terza. Si tratta di un’inchiesta corredata di link a centinaia di fonti (quasi tutte separatiste o contigue) e molte foto che documentano i nessi tra il comandante e i neonazisti.

Sulla figura del comandante Mozgovoy si possono consultare anche un articolo con video di Vice, una testimonianza dell’anarchico Volodarskij ripubblicata con un commento dal sito di sinistra Ukraine Solidarity Campaign, nonché il profilo VKontakte di Mozgovoy stesso.

La realtà della guerra di oggi conferma in pieno che gli eventi del Donbass nel 2014 non sono stati altro che il primo capitolo della messa in atto di un programma genocida di chiara ispirazione fascista e neozarista.

A questo va aggiunto che chi nella sinistra italiana sostiene ossessivamente le tesi inventate di sana pianta di un’Ucraina da anni in mano a un governo fascista e in preda al terrore nazifascista, mentre in Ucraina vi è sì un preoccupante problema di estrema destra fascista da non sottovalutare, ma che rientra in limiti del tutto analoghi a quelli dell’Europa Occidentale, ignorando invece volutamente l’entità enorme del nazifascismo e dell’estrema destra nel Donbass e in Russia nell’ultimo paio di decenni, si schiera di fatto con la galassia nazifascista più potente, violenta e guerrafondaia del secondo dopoguerra.


UCRAINA: Igor Strelkov: sono responsabile della guerra in Ucraina
Emmanuele Quarta
17 Novembre 2014
https://www.eastjournal.net/archives/51421

Il seguente articolo è stato pubblicato la scorsa settimana sulla versione online del Moscow Times. L’autrice, Anna Dolgov, riporta alcuni passaggi di un’intervista a Igor Strelkov comparsa sul periodico russo Zavtra. Lo ripubblichiamo, tradotto, sulle nostre pagine. L’articolo originale lo trovate qui.
https://old.themoscowtimes.com/news/art ... 11584.html

Igor Strelkov, ex-comandante dei separatisti filo-russi nell’Ucraina Orientale, ha sostenuto di essere il responsabile del conflitto che – dallo scorso aprile – ha causato circa 4.300 vittime.

“Sono stato io a premere il grilletto di questa guerra”, ha dichiarato in un’intervista pubblicata giovedì (20 novembre, N.d.T.) su Zavtra, periodico russo dalle posizioni imperialiste. “Se la nostra unità non avesse attraversato il confine, la situazione si sarebbe tranquillizzata – come a Kharkiv e Odessa”, ha detto Strelkov (nom-de-guerre di Igor Girkin, traducibile come “tiratore”). “Tutto si sarebbe concluso con qualche dozzina di morti, feriti e arrestati, ma la carica del conflitto – che continua ancora oggi – è stata innescata dalla nostra unità. Abbiamo cambiato le carte in tavola”, ha aggiunto.

In seguito all’annessione della Crimea alla Russia nella scorsa primavera, scontri tra le forze fedeli a Kiev e i ribelli filo-russi sono scoppiati nelle città di Kharkiv e Odessa, dove più di quaranta persone sono morte in un incendio a inizio maggio. Da allora, però, la situazione nelle due città si è calmata. La maggior parte degli scontri tra ribelli e forze governative, infatti, ha riguardato le regioni orientali di Lugansk e Donetsk.

L’intervista di Strelkov è stata pubblicata lo stesso giorno in cui le Nazioni Unite hanno diffuso un rapporto che denuncia il coinvolgimento di forze russe in Ucraina orientale, che ha causato la morte di circa 4.300 persone dallo scorso aprile. “La continua presenza di una grande quantità di armamenti sofisticati, come anche di soldati stranieri (e ciò include militari della Federazione Russa), incide direttamente sulla situazione dei diritti umani nell’est del paese”, spiega il rapporto.

Strelkov ha anche svelato a Zavtra che, all’inizio del conflitto, i separatisti ucraini e le forze governative erano riluttanti a dare il via alle ostilità. La principale opposizione ai ribelli era rappresentata dai gruppi ultranazionalisti ucraini, come Pravyi Sektor. “Inizialmente, nessuno voleva combattere” – riporta il giornale – “Le prime due settimane sono trascorse sotto l’auspicio che le due parti si convincessero [ad attaccare]”. Secondo Strelkov, le esitazioni della Russia a interferire apertamente, come in Crimea, o a intervenire militarmente su larga scala in Ucraina dell’Est hanno restituito coraggio al governo di Kiev. L’assenza di tale supporto è stata un duro colpo per i separatisti, le cui forze – in quanto a uomini e mezzi – erano inferiori a quelle del governo. “All’inizio pensavo che si sarebbe ripetuto quanto già successo in Crimea: la Russia sarebbe scesa in campo” ha detto. “Sarebbe stata la mossa migliore, era ciò che voleva la popolazione. Nessuno voleva lottare per le repubbliche di Lugansk e Donetsk: tutti, in principio, erano a favore della Russia”.

Strelkov ha anche offerto un resoconto circa il grado di coinvolgimento della Russia nel conflitto in Ucraina Orientale. “All’inizio dell’estate, il 90% delle forze ribelli era composto di residenti locali. Verso l’inizio di agosto, tuttavia, hanno cominciato ad arrivare dei militari russi in “congedo” dall’esercito.” Secondo Strelkov, questi stessi soldati hanno guidato l’assalto a Mariupol dello scorso settembre, che ha destato la preoccupazione dell’Ucraina e dei governi occidentali circa un intervento diretto dell’esercito russo nel conflitto. L’avanzata verso Mariupol delle forze ribelli ha incontrato scarsa resistenza da parte delle truppe governative e [la città, N.d.T.] “avrebbe potuto essere presa senza lottare, ma fu ordinato di non proseguire”.

Mentre il Cremlino ha sempre negato di fornire ai ribelli supporto militare, Strelkov sostiene che la quantità di aiuti sia comunque significante: “Non posso dire che il nostro supporto sia totale, ma li stiamo davvero aiutando”. Circa la metà dell’esercito ribelle, spiega Strelkov, era equipaggiata con abiti invernali provenienti dalla Russia.

In seguito ai referendum indipendentisti a Donetsk e Lugansk, i leader dei separatisti hanno fatto appello a Mosca affinché incorporasse i territori come regioni russe. Il governo russo, però, ha risposto con dichiarazioni vaghe, auspicando un “dialogo” tra i ribelli e il governo ucraino. I gruppi separatisti non avevano contemplato l’eventualità di costituirsi in stati autonomi e avevano riposto le loro speranze, invece, nell’annessione alla Russia. L’idea, spiega Strelkov, era che Mosca avesse bisogno di un accesso terrestre alla Crimea. “Quando mi sono reso conto che la Russia non ci avrebbe accettato (io mi considero parte della resistenza), è stato uno shock”.

Strelkov vive in Russia dallo scorso autunno, quando ha dichiarato di volersi trasferire a Mosca per proteggere il presidente Putin da nemici e traditori. Scomparso dai notiziari, Strelkov sembra non godere più del favore dei media di proprietà dello stato. Ora, però, utilizza YouTube e alcune riviste radicali per lanciare sporadici appelli a un maggior coinvolgimento della Russia in Ucraina orientale.
“Sin dal principio abbiamo lottato per davvero, bloccando i raid di Pravyi Sektor”. “Io”, ha detto a Zavtra, “mi assumo la responsabilità per quanto sta succedendo lì”.
Secondo il rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite, almeno 4.317 persone sono state uccise in Ucraina dalla metà di novembre. I feriti sarebbero, invece, 9.921. Il conto delle vittime include anche circa le 1.000 persone, morte dopo il “debole cessate il fuoco” di questo autunno.



Igor' Vsevolodovič Girkin (russo: Игорь Всеволодович Гиркин, ucraino: Іґор Всєволодовіч Ґіркін), conosciuto anche con il nome di Igor' Ivanovič Strelkov (russo: Игорь Иванович Стрелков); Mosca (Russia), 17 dicembre 1970) è un militare russo, nello specifico un ex colonnello dell'FSB russo in pensione da marzo del 2013.
https://it.wikipedia.org/wiki/Igor%27_Girkin
Nel 2014 ha acquisito notorietà a livello internazionale per il suo ruolo all'interno dell'autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk. Strelkov, veterano di molti altri conflitti precedenti (Transnistria, Bosnia, Cecenia, Daghestan), per alcuni mesi è stato il comandante dei ribelli nella città di Slov"jans'k e in seguito ha condotte le forze della «Milizia Popolare» di Donec'k. Si definisce un sostenitore ideologico della monarchia assoluta in Russia e dei principi dell'Armata Bianca.
Strelkov ha acquisito progressivamente fama e peso politico nel corso degli scontri armati nell'Ucraina orientale, in quanto membro attivo delle organizzazioni armate dei ribelli che hanno guidato la «Milizia popolare del Donbass». Dal 12 maggio ha ricoperto il ruolo di Comandante delle Forze Armate della Repubblica Popolare di Donec'k, nonché - dal 16 maggio - quello di ministro della difesa della suddetta Repubblica. Il 14 agosto ha dichiarato le dimissioni da entrambe le cariche. Strelkov è stato dichiarato un terrorista dalle autorità ucraine, ed è stato soggetto a sanzioni e misure restrittive da parte dell'UE, tra le quali il divieto di accesso a qualsiasi paese dell'Unione.
Il 19 giugno 2019, i pubblici ministeri olandesi hanno accusato Girkin di omicidio nell'abbattimento del volo Malaysia Airlines 17e hanno emesso un mandato di arresto internazionale contro di lui.
Durante l'Invasione russa dell'Ucraina del 2022, ha ammesso che l'operazione speciale militare è fallita completamente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 9:58 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 10:44 am

9)
L'invasione e l'occupazione militare russa della Crimea, dopo averla destabilizzata con la promozione di movimenti ideologico politici e formazioni paramilitari anti ucraini a danno dell'Ucraina e della consistente minoranza ucraina della Crimea.



Nel 1991 alla dissoluzione dell'URSS la stragrande maggioranza della popolazione della Crimea al referendo per l'indipendenza dell'Ucraina votò a favore di questa:

Il referendum riguardo all'indipendenza dell'Ucraina si è svolto il 1º dicembre 1991. L'unica domanda scritta sulle schede era: "Approvi l'Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell'Ucraina?" con il testo dell'Atto stampato prima della domanda. Il referendum fu richiesto dal Parlamento dell'Ucraina per confermare l'Atto di Indipendenza, adottato dal Parlamento il 24 agosto 1991.

I cittadini ucraini espressero un sostegno schiacciante per l'indipendenza. Al referendum votarono 31.891.742 (l'84.18% dei residenti) e tra di essi 28.804.071 (il 90.32%) votarono "Sì".


Nello stesso giorno, si tennero anche le elezioni presidenziali, nella quale gli ucraini elessero Leonid Kravčuk (all'epoca Capo del Parlamento) Presidente dell'Ucraina.
https://it.wikipedia.org/wiki/Referendu ... a_del_1991
L'Atto di Indipendenza fu sostenuto dai cittadini di tutte le regioni amministrative dell'Ucraina: 24 oblast', 1 repubblica autonoma e 2 città con status speciale.
Repubblica autonoma di Crimea votarono a favore dell'indipendenza il 54,19% dei votanti

Alberto Pento
Fu con l'avvento di Putin e della sua politica imperialista nazifascista finalizzata a restaurare la Grande Russia degli Zar e dell'URSS che iniziò la destabilizazzione sistematica dell'Ucraina, naturalmente filo EU e NATO dopo il tragico periodo dell'URSS,


La crisi della Crimea del 2014 è stata una crisi politica scoppiata nella penisola della Crimea, la cui popolazione è per maggioranza (?) di etnia russa, conclusasi con la sua separazione dal resto dell'Ucraina dopo l'intervento militare russo di occupazione della penisola avvenuta come reazione all'esautoramento nel febbraio 2014, del presidente ucraino Viktor Janukovyč e del suo governo operato dal parlamento ucraino, dopo le manifestazioni dell'Euromaidan contro la svolta filorussa intrapresa dal governo ucraino.

Il governo locale della Crimea rifiutò di riconoscere il nuovo governo e il nuovo presidente ucraino, sostenendo che questo cambiamento fosse avvenuto in violazione della Costituzione ucraina vigente, mentre la legittimità del nuovo governo fu riconosciuta dalla gran parte degli Stati, eccetto alcuni stati tra cui la Russia che intraprese in breve tempo un intervento di occupazione militare nella penisola. Contemporaneamente il governo locale dichiarò la propria volontà di separarsi dall'Ucraina chiamando quindi a referendum la popolazione di Crimea: l'esito della consultazione vide un'altissima maggioranza dell'opzione indipendentista (con oltre il 95% di consenso sul totale dei votanti). La legittimità di tale referendum, tuttavia, è respinta dai Paesi dell'Unione europea, dagli Stati Uniti d'America e da altri 71 Paesi membri dell'ONU (Risoluzione 68/262 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite), che la ritengono in violazione del diritto internazionale e della Costituzione dell'Ucraina, mentre il referendum è ritenuto valido dalla Russia.




https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_del ... a_del_2014
L'11 marzo, il Consiglio supremo e il Comune di Sebastopoli espressero congiuntamente l'intenzione di dichiarare unilateralmente l'indipendenza della Crimea dall'Ucraina come singola nazione unita, con la possibilità di entrare nella Russia come soggetto federale. La questione dell'indipendenza venne posta in un referendum.
Il 16 marzo, i rendimenti ufficiali indicavano circa il 96% a favore, con un'affluenza di oltre l'83%, nonostante un boicottaggio di Tartari e di altri oppositori del referendum. Il parlamento ucraino dichiarò il referendum incostituzionale. Gli Stati Uniti e l'Unione europea condannarono il voto come illegale, e poi imposero sanzioni nei confronti delle persone considerate di aver violato la sovranità dell'Ucraina.

Funzionari ucraini, così come Mustafa Abdülcemil Qırımoğlu, Refat Chubarov e il Mejlis dei Tatari di Crimea affermarono che la partecipazione al voto nel referendum della Crimea poteva solo essere un massimo di 30-40 per cento e che il referendum era antidemocratico, frettolosamente preparato, falsificato e non rifletteva la reale volontà della Crimea. Mustafa Abdülcemil Qırımoğlu definì il referendum "cinico" e "assurdo", sostenendo che il diritto all'autodeterminazione appartiene solo agli indigeni - la popolazione tartara di Crimea. Sono stati riportati attivisti pro-Ucraina perseguitati e rapiti, con 9 segnalati come dispersi e tabelloni pro-Russia vennero visti nelle strade prima del referendum.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Il Donbass è degli ucraini e dell'Ucraina e non della Russia

Messaggioda Berto » dom mar 06, 2022 10:45 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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