Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » dom ott 13, 2019 8:56 pm

AVVERTIMENTO alla Turchia
Niram Ferretti
14 gennaio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il Trump che mi piace è quello non solo che minaccia ma che dalle minacce passa ai fatti.

Sentirlo dire che se la Turchia attacherà gli alleati curdi in Siria verrà devastata economicamente fa piacere.

Ian Bremmer, presidente del think tank Eurasia Group, l'ha definita "la più straordinaria minaccia diretta che io abbia mai visto da un Presidente contro un alleato della Nato".

Il ritiro americano dalla Siria, deciso soprattutto per motivi di consenso elettorale più che di vera e propria necessità geopolitica, aveva suscitato una forte levata di scudi soprattutto in campo repubblicano.

Era un segreto di Pulcinella che John Bolton, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, desiderava che le truppe americane restassero in Siria per vigilare nei confronti delle mire espansionistiche iraniane. Lo aveva dichiarato pubblicamente durante un incontro con la stampa, avvenuto all'ONU un mese. Di tutto questo Trump ne ha dovuto tenere conto.

Il durissimo discorso di Mike Pompeo al Cairo, vera e propria pietra tombale sulla dottrina Obama di appesament con l'Iran, la ribadita rassicurazione a Israele di una vicinanza inossidabile e ora l'avvertimento perentorio alla Turchia, raddrizzano in parte la barra, nonostante continui, personalmente, a ritenere la decisione di lasciare la Siria un errore.



Popolo curdo ancora tradito. E la Fratellanza Musulmana ci gode
Franco Londei
Gennaio 14, 2019

https://www.rightsreporter.org/popolo-c ... na-ci-gode

C’è sempre una assurda giustificazione per tradire il popolo curdo. Questa volta si chiama Erdogan e Fratellanza Musulmana. E mentre l’occidente silente inaugura grandi moschee finanziate dalla Turchia e parla di “islam moderato”, i veri musulmani moderati vengono dati in pasto alle canaglie turche

È strano quel mondo che ignora e spesso tradisce un popolo antico e nobile come quello curdo ma che nel contempo sommerge di soldi e sostiene in ogni modo un popolo inventato di sana pianta da poco più di 70 anni come quello palestinese.

Il popolo curdo è sempre stato tradito da tutti. Usato e tradito. Sono stati usati contro Saddam Hussein, tanto da “meritarsi” un devastante bombardamento chimico, poi sono stati abbandonati al loro destino. Hanno fatto un referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno e tutti hanno voltato loro le spalle. Hanno combattuto ISIS in Iraq e in Siria, i primi a farlo seriamente, e appena sconfitto lo Stato Islamico sono stati dati in pasto a Erdogan, o lo saranno presto, proprio quell’Erdogan che lo Stato Islamico aveva alimentato a lungo.

Si fa un gran parlare di “islam laico e moderato” per combattere l’estremismo islamico, poi quando lo si ha a veramente a portato di mano lo si da in pasto agli estremisti islamici di Erdogan.

Perché il popolo curdo spaventa i regimi islamici?

Il popolo curdo spaventa i regimi islamici, nonostante sia composto in maggioranza da musulmani. Poco prima del referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno l’Iran si schierò apertamente e con decisione contro l’eventuale secessione del Kurdistan dall’Iraq affermando che «si voleva creare un nuovo Israele nel cuore del Medio Oriente». Altrettanto fece la Turchia.

L’affermazione iraniana è indicativa per capire le ragioni per cui il popolo curdo è tanto temuto dai regimi islamici. Sono laici, liberali, rispettano i Diritti delle donne, rispettano le altre religioni, anzi, le difendono dagli estremisti islamici. Un popolo del genere racchiuso in una nazione con queste caratteristiche posizionata nel cuore del Medio Oriente fa paura. Mette a rischio la tirannide islamica esattamente come fa Israele.

Non possono permettersi un nuovo Israele nel cuore del Medio Oriente

L’accanimento contro il popolo curdo dimostrato da Erdogan e dagli Ayatollah iraniani è legato unicamente a questa ragione. Non possono permettersi un nuovo Israele nel cuore del Medio Oriente. Perché questo sarebbe il Kurdistan, un nuovo Stato liberale e rispettoso dei Diritti posizionato proprio in mezzo al torbido regno dei regimi islamici.

Ma se i timori dei regimi islamici sono quantomeno comprensibili, quello che non si comprende è il motivo per cui anche l’occidente che blatera sempre di “islam moderato” non faccia niente per difendere il popolo curdo.

Eppure tutti hanno tessuto le lodi dei prodi combattenti curdi quando, da soli e poco armati, hanno fermato l’avanzata dello Stato Islamico. Ricordate Kobane? La soprannominarono “la Stalingrado del Vicino oriente” per la sua strenua resistenza che, anche grazie alle unità combattenti femminili, fermò l’avanzata di ISIS e ne decretò l’inizio della fine.

Adesso sembra tutto dimenticato

Adesso sembra tutto dimenticato. Gli americani se ne vanno dalla Siria abbandonando il popolo curdo ancora una volta. L’Europa non ha fatto sentire un fiato sulle dichiarate intenzioni turche di invadere il Kurdistan siriano. La Russia a parole ferma Erdogan ma nei fatti se ne frega. Assad ha mandato qualche centinaia di soldati a difesa della città di Manbij, la prima nella lunga lista di Erdogan, ma è solo una mossa di facciata. Non potranno fermare l’esercito turco appoggiato dalle milizie islamiche (molti ex ISIS).

Ieri sera il Presidente Trump, dopo aver cambiato idea una infinità di volte sul ritiro americano dalla Siria e dopo aver dato il via al ritiro stesso, ha avvertito Erdogan che se dovesse attaccare i curdi, gli Stati Uniti avrebbero «devastato economicamente la Turchia».

Si sarà spaventato il dittatore islamico turco? Avrà tremato il capo della Fratellanza Musulmana? Figuriamoci, ci vuole ben altro per fermare Erdogan e per convincerlo a non attaccare il Kurdistan siriano.

Quelle di Trump sono solo parole vuote, dette per giustificare l’ingiustificabile ritiro americano dalla Siria e per mettere a tacere la sempre più numerosa truppa di coloro che si oppongono a questa assurda decisione.

La realtà dei fatti è che ancora una volta il popolo curdo è stato prima usato e poi venduto, il tutto nell’indifferenza più totale del cosiddetto “occidente”, il mondo libero che si arroga il diritto di scegliere quale sia l’islam moderato da riconoscere e aiutare e quello che invece non merita neppure una nota, come appunto quello del Kurdistan.

E adesso cosa ne sarà del popolo curdo non è difficile da immaginare. Erdogan oltre al suo esercito sta ammassando migliaia di miliziani islamici lungo il confine con il Kurdistan siriano, così non avrà nemmeno bisogno di impegnare il suo esercito per un massacro ampiamente annunciato.

E l’occidente? Cosa dice l’occidente? Per il popolo curdo non fa niente. In compenso inaugura moschee della Fratellanza Musulmana finanziate proprio dalla Turchia. Cosa dire se non che è un suicidio e una vergogna che la storia ci rinfaccerà per sempre?


Alberto Pento
Beh, certamente non va dimentìcato quando i curdi turchi parteciparono allo sterminio degli armeni cristiani.

https://it.wikipedia.org/wiki/Genocidio_armeno
Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall'esercito turco.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » dom ott 13, 2019 8:57 pm

La posizione di Trump sull'assalto della Turchia in Siria
10 ottobre 2019
Maria Grazia Rutigliano


https://sicurezzainternazionale.luiss.i ... XhyNNpA104


Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha definito l’incursione turca in Siria “una cattiva idea”, ma ha ribadito la sua opposizione a “guerre insensate e senza fine”.

Secondo quanto riferito dal New York Times, a seguito dell’attacco turco nel Nord-Est della Siria, lanciato nel pomeriggio del 9 ottobre, il presidente USA ha rilasciato una serie di dichiarazioni sul rapporto tra Washington e i militanti curdi siriani presenti nell’area. Parlando con i giornalisti, Trump ha affermato che era vero che i curdi avevano combattuto a fianco delle truppe statunitensi contro l’ISIS, ma lo avevano fatto per interesse personale e “per la loro terra”. Il presidente USA ha poi sottolineato: “I curdi non ci hanno aiutato nella Seconda Guerra Mondiale. Non ci hanno aiutato con lo sbarco in Normandia”. “Detto questo, ci piacciono i curdi”, ha aggiunto.

Trump è stato tendenzialmente moderato nei confronti della Turchia e non ha menzionato la possibile adozione di misure punitive contro Ankara a seguito di questa operazione, potenzialmente letale per i militanti curdi. Dall’altra parte, i repubblicani del Campidoglio si sono mostrati fortemente contrari alla decisione del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, di aprire il fuoco in Siria. Inoltre, i funzionari del Pentagono hanno espresso la propria frustrazione per l’improvviso e non pianificato spostamento delle truppe USA dall’area che si trova momentaneamente sotto attacco. Tale calma da parte di Washington risulta inusuale, dato che la politica degli Stati Uniti nella regione era stata, per anni, quella di opporsi al desiderio della Turchia di effettuare azioni militari contro i curdi in territorio siriano.

Secondo quanto riporta il quotidiano Al-Jazeera English, la sera del 9 ottobre, Trump ha affermato che gli Stati Uniti devasteranno l’economia turca se l’operazione di Ankara fosse mirata all’eliminazione della popolazione curda. Interrogato da un giornalista sul timore che Erdogan possa voler “spazzare via i curdi”, Trump ha risposto: “Se questo dovesse accadere, spazzerei via la sua economia”. Il presidente USA ha anche difeso la propria decisione di ritirare le truppe statunitensi dall’area, dando di fatto il “via libera” all’attacco di Erdogan. Trump ha affermato di essere concentrato sul “quadro generale” che non include il coinvolgimento degli Stati Uniti in “stupide guerre senza fine” in Medio Oriente. L’esercito turco, intanto, supportato da truppe siriane, sta mandando avanti la cosiddetta operazione “Fonte di pace”, nel Nord-Est della Siria. Secondo quanto affermato dal Ministero della Difesa turco, sono 181 gli obiettivi colpiti in meno di 24 ore di offensiva.

“Le forze armate turche, insieme all’esercito nazionale siriano, hanno appena lanciato la #OperationPeaceSpring contro terroristi del PKK / YPG e di Daesh nel Nord della Siria”, ha scritto Erdogan su Twitter, il pomeriggio di mercoledì 9 ottobre. Nel post, il presidente si riferisce alle forze curde presenti nel Nord della Siria e utilizza il nome arabo con cui si fa riferimento allo Stato Islamico. “La nostra missione è impedire la creazione di un corridoio terroristico al nostro confine meridionale e portare la pace nell’area”, ha aggiunto. La Turchia ha affermato che i militanti curdi rappresentano la più grande minaccia per il futuro della Siria, poichè mettono a repentaglio l’integrità territoriale e la struttura unitaria del Paese, che è già debilitato da 8 anni di violenta guerra civile. La Turchia ha anche sottolineato che è inaccettabile sostenere i terroristi con il pretesto di combattere l’ISIS. Tale affermazione fa riferimento al supporto statunitense alle forze curde, che sono state i maggiori alleati di Washington nella lotta contro lo Stato Islamico in Siria e Iraq.

Le Syrian Democratic Forces (SDF), guidate dalle Unità di Protezione del Popolo Curdo (YPG), sono state il principale alleato degli Stati Uniti nella lotta contro lo Stato Islamico. I curdi, negli ultimi anni, avevano ampliato il proprio controllo nella Siria settentrionale e orientale, fino ad occupare una vasta area che si estende per 480 km dal fiume Eufrate al confine con l’Iraq. La Turchia considera le forze curde siriana una “organizzazione terroristica”, per via di presunti legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), un’organizzazione politica e paramilitare nata nel Sud della Turchia e attiva anche in altre zone della regione. Il PKK ha condotto una campagna armata di decenni per la creazione di una zona autonoma curda in Turchia.






Ankara, qui i curdi sono senza dubbio atipici. Soprattutto quelli siriani
5 febbraio 2018


https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... ni/4134452


I curdi sono senza dubbio atipici, qui. Soprattutto i curdi siriani. I curdi del Rojava. Con questo loro tentativo di governo diretto, dal basso, sono la vena anarchica di un Medio Oriente spesso autoritario, invece, e soprattutto, profondamente conservatore. Ma in una cosa non sono affatto diversi: fondamentalmente, pensano a se stessi. E adesso, pagano il conto.

Il 20 gennaio la Turchia ha avviato l’operazione Ramo d’ulivo, il suo secondo intervento in Siria dopo l’operazione Scudo dell’Eufrate. L’obiettivo, in un certo senso, è sempre lo stesso: creare una zona di sicurezza a ridosso della frontiera. Ma questa volta, il pericolo per la Turchia non sono i jihadisti dello Stato Islamico. Sono invece i 10mila uomini dello Ypg, le Unità di Difesa Popolare del Rojava, a cui gli Stati Uniti vogliono affidare il presidio del confine. E per la Turchia, questo significherebbe avere i curdi alle porte. Con un Kurdistan infine contiguo, dall’Iraq fino al suo territorio. Contiguo, e armato e sostenuto dagli americani.

E i ribelli siriani combattono con la Turchia. Perché certo, dipendono dalla Turchia. Non è che abbiano molta scelta. Ma anche perché i curdi, visti dagli arabi, e in particolare dai siriani, sono quelli che hanno tradito la rivoluzione: non si sono mai uniti all’Esercito Libero, alleandosi invece tacitamente con Assad in cambio dell’autonomia del Rojava – che con i suoi tre cantoni di Afrin, Kobane e Jazira, costituisce complessivamente il 25 percento della Siria. Il Rojava, così, è stato a lungo risparmiato dalla guerra: è stato a lungo un mondo a sé. Mentre Aleppo era sotto i barili esplosivi, in Rojava si discuteva di Marx e Frantz Fanon.

Nel 2016, poi, quando è iniziato l’attacco allo Stato Islamico, i curdi sono stati la nostra fanteria. Hanno liberato Kobane, e via via, una a una, anche le città a maggioranza araba. E che però, invece di essere restituite ai ribelli, sono state inserite nel sistema di governo del Rojava. Fino all’assedio di Aleppo. Quando i curdi hanno tenuto chiusa la Castello Road, la principale strada di accesso alla città. Svolgendo così un ruolo determinante nella sua caduta. E in una delle battaglie più feroci di sempre.

Con la guerra all’Isis il vecchio Ypg, integrato da un po’ di arabi, è stato riciclato in Sdf, Syrian Defense Forces. Ma è rimasto essenzialmente l’esercito curdo: e quando ha riconquistato Raqqa, nella sua piazza principale ha piantato il ritratto di Ocalan. Un po’ come Hezbollah. Che ad Aleppo ha piantato la sua bandiera.

Poco di tutto questo è arrivato in Europa. Quasi niente. La sinistra si è lasciata affascinare dalla democrazia popolare del Rojava, e soprattutto, dalle ragazze al fronte: e in tanti si sono persino arruolati. Il Rojava era un modello e basta. Abbiamo sistematicamente omesso di parlare delle ambiguità e delle contraddizioni dei curdi. Dei curdi siriani, e ancora di più, dei curdi iracheni: che negli ultimi anni hanno ottenuto una larga autonomia, ma solo per rimpiazzare il governo di Baghdad con un governo altrettanto marcio e inefficiente, e altrettanto brutale nei confronti dei dissidenti. Nel nord dell’Iraq dominano due clan, i Barzani e i Talabani. Ma per noi è il Kurdistan: ed è sinonimo di libertà e progresso. Se critichi il Kurdistan, sei con Erdogan. Sei con Saddam.

Per quanto sia scomodo scriverlo, i curdi alla fine hanno giocato come tutti gli altri, qui. Si sono concentrati esclusivamente sui propri obiettivi e interessi, scegliendosi di volta in volta il patrono straniero più conveniente: e sperando un giorno di essere ricompensati con l’indipendenza. Che è poi la strategia che ha reso il Medio Oriente quello che è: un campo di battaglia. E naturalmente, è inutile dirlo, è esattamente la strategia dei ribelli siriani in questi giorni: contribuendo all’attacco al Rojava, pensano di ottenere armi e sostegno per ricominciare la guerra contro Assad. Pensano di combattere con la Turchia: ma combattono per la Turchia. Nient’altro. La vera rivoluzione, qui, sarà iniziare a rivendicare diritti per tutti, e non solo per sé. E capire che i mezzi sono importanti quanto i fini.




IL PASTICCIO
Niram Ferretti


https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Già sessantamila sfollati in virtù dell'offensiva turca nel nordest della Siria.

Infondo i curdi non hanno dato nessun aiuto agli USA durante la Seconda guerra mondiale e quindi è bene che se lo ricordino adesso.

Invece di minacciare di distruggere l'economia turca, non sarebbe più efficace buttare fuori Erdogan dalla NATO? Non sarebbe stato più efficace dirgli, "Noi non ce ne andiamo di qui perchè i curdi sono stati essenziali per fare fuori i jihadisti dell'ISIS, quelli con cui tu hai fatto ottimi affari. Jihadisti che ora sono sotto il loro controllo. Prova a sparare in una zona in cui si trova un soldato americano e poi vedrai cosa ti succede".

Se si vuole restare nell'ambito dei proclami alla Rambo, non era meglio questo?

Ma ce ne è anche per l'imbelle Europa che si inchina davanti a Erdogan, Germania in testa, perchè è sotto ricatto. Il rais turco lo ha già detto, "Non criticate l'operazione turca se no vi inondo di profughi siriani".

La Turchia, che fino a qualche tempo fa qualcuno voleva fare entrare nell'Europa.

I curdi stanno pagando un prezzo altissimo per il voltafaccia americano e perchè a Erdogan nessuno ha opposto resistenza.

La storia insegna che le canaglie a cui viene lasciato il respiro lungo si riempono di aria i polmoni, soprattutto di aria altrui. Non si possono ammansire in alcun modo se non mettondoli con le spalle al muro.



Il disonorevole tradimento della Siria di Donald Trump
Traduzione di Niram Ferretti

http://www.linformale.eu/il-disonorevol ... ald-trump/


La decisione di Donald Trump di ritirare le truppe dalla Siria è uno degli errori di calcolo di politica estera più miopi che si ricordino. Le azioni del presidente lasciano gli alleati curdi dell’Occidente in balia della Turchia. E il bizzarro tentativo di giustificazione di Trump -l’affermazione di avere abbandonato i curdi perché non hanno aiutato gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale – aggiunge un insulto al danno. Dopo trent’anni di tentativi da parte degli Stati Uniti di presentare quello che il presidente George Bush aveva definito un “nuovo ordine mondiale”, una cinica leadership americana si sta ritirando – e gli amici del paese stanno pagando un prezzo pesante.

La Siria orientale, che era una delle poche aree relativamente pacifiche del paese, stava lentamente procedendo verso la ricostruzione dopo essere stata liberata dall’ISIS. Ora la Turchia la sta bombardando. Ankara sostiene che gli Stati Uniti hanno collaborato con elementi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e questo dà alla Turchia il diritto di invadere la regione.

Gli Stati Uniti hanno riconosciuto come valide le preoccupazioni per la sicurezza della Turchia, in virtù delle forze americane sul terreno nella Siria orientale che hanno persino lavorato insieme alle forze democratiche siriane e alle forze per lo più curde che hanno combattuto l’ISIS, per rimuovere tutte le fortificazioni che la Turchia riteneva fossero motivo di preoccupazione. Ma questo non è stato sufficiente per fare da argine a Erdogan.

Il vero obiettivo della Turchia nella Siria orientale sembra sempre più quello di attuare un cambiamento demografico, collocando diversi milioni di rifugiati arabi provenienti da altre parti della Siria all’interno delle aree curde lungo il confine. Il mese scorso, Ankara ha presentato una mappa all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, mostrando le sue richieste di controllo della regione. Ha proposto un progetto da 22 miliardi di sterline (27 miliardi di dollari) per costruire una “zona sicura”, che accoglierebbe un milione di rifugiati. Ma perché non ha intrapreso questo progetto ad Afrin o a Jarabulus, aree già sotto il suo controllo?

L’obiettivo della Turchia nella scelta di quest’area è duplice. Ha lo scopo di distruggere le forze democratiche siriane per lo più curde (SDF) e rimpiazzarle con le forze ribelli arabe reclutate tra i ribelli siriani. Ciò risolve due problemi che la Turchia deve affrontare. Permette al paese di aumentare il suo ruolo militare in Siria e fondamentalmente, consente al presidente Erdogan di presentare a casa propria una vittoria nazionalista, al contempo riducendo la pressione dei rifugiati siriani presenti in Turchia.

Il probabile risultato finale di ciò che sta accadendo nella Siria orientale è che le forze ribelli siriane, ora ricostituite sotto uno stendardo turco come Armata Siriana Nazionale, verranno usate come proxy da Ankara contro gli alleati americani, l’SDF. Considerando che sia gli Stati Uniti che la Turchia sono stati inizialmente coinvolti nella guerra civile siriana al fine di contrastare Bashar al-Assad, è singolare che l’ultimo grande conflitto della guerra sarà combattuto non contro Assad ma tra gli ultimi due gruppi indipendenti in Siria che si oppongono ad Assad. La Russia e l’Iran apprezzeranno sicuramente l’ironia di tutto ciò, osservando la distruzione dell’SDF e l’eventuale allineamento dei ribelli siriani che verranno incanalati nella Siria orientale a fianco delle forze armate turche.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Washington ha perso la propria influenza in Siria ed è stato umiliato più ampiamente nel Golfo quando l’Iran ha attaccato l’Arabia Saudita il 14 settembre, eludendo le difese costruite dagli Stati Uniti. E mentre Trump ha dato molta enfasi ai cosiddetti “scarafaggi” dell’ISIS attualmente in custodia americana, non ha presentato alcun piano per ciò che accadrà con gli altri prigionieri appartenenti all’ISIS detenuti nella Siria orientale.

Allontanarsi dalla Siria senza consultare gli alleati con forze presenti sul terreno, tra cui Regno Unito e Francia, mostra che gli Stati Uniti sono diventati imprevedibili nella loro politica estera. L’affermazione di Trump secondo cui l’America non può combattere guerre senza fine è una giusta critica al coinvolgimento in corso degli Stati Uniti in luoghi come l’Afghanistan. Ma l’operazione siriana contro l’ISIS ha avuto successo ed è stara relativamente breve. Consisteva di centinaia di forze speciali accorpate con la potenza aerea che sfruttavano i combattenti locali per sconfiggere l’ISIS. Se Washington avesse voluto concludere la sua operazione, avrebbe dovuto farlo gradualmente e nel contempo chiarire le cose ai propri alleati e partner. Invece gli Stati Uniti hanno gettato via la Siria orientale – e i loro vitali alleati curdi – come se stessero mandando indietro una zuppa fredda al ristorante.





Siria. «Noi cristiani abbiamo paura della Turchia, ma i curdi ci usano»
LeoneGrotti
11 ottobre 2019

https://www.tempi.it/siria-guerra-turch ... seguitati/


La Turchia ha bombardato i quartieri cristiani di Qamishli, ferendo un’intera famiglia. Ma la vera storia è più complessa: «I curdi hanno sparato dai nostri quartieri per farci attaccare ed ergersi così a difensori dei cristiani agli occhi dell’Occidente. Ma non lo sono affatto»

«I cristiani in Siria sono spaventati, non sanno dove andare o dove nascondersi. I turchi hanno attaccato i loro quartieri di Qamishli, ma lo hanno fatto per rispondere al fuoco curdo, che sta usando i cristiani per combattere una guerra mediatica». La situazione nel Nord-est della Siria, dopo l’inizio dell’offensiva turca, è grave ma è molto più complessa di come viene raccontata in questi giorni sui principali quotidiani, come testimonia a tempi.it Afram Yakoub, direttore generale della Confederazione assira.

L’INVASIONE TURCA DELLA SIRIA

Il 9 ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ottenuto il benestare del suo omologo americano Donald Trump, ha lanciato l’operazione militare “Fonte di pace”. L’obiettivo del Sultano è creare una zona cuscinetto in un’area profonda 30 chilometri lungo tutto il confine settentrionale siriano di 450 chilometri, dove poi ricollocare un milioni di rifugiati siriani scappati in Turchia. L’area, abitata da diverse etnie, è attualmente controllata dai curdi e dalle milizie Ypg, che hanno aiutato gli Stati Uniti a riconquistare le città occupate dallo Stato islamico, e che fin dal 2012 hanno creato in tutto il Nord-est della Siria una regione autonoma ribattezzata Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale o Rojava. La Turchia accusa le milizie Ypg di essere terroristi affiliati al Pkk e l’invasione ha anche lo scopo di cacciarle dal confine.

«I CURDI USANO I CRISTIANI»

Mercoledì l’esercito turco ha bombardato un quartiere di Qamishli. Sul web sono circolate le foto dei cristiani feriti. Le immagini sono autentiche, ma non dicono tutto: «Le milizie Ypg hanno bombardato le postazioni turche dai quartieri cristiani», spiega Yakoub a tempi.it. «Lo hanno fatto per provocare i turchi, che infatti hanno colpito le case cristiane. Sono i curdi ad aver diffuso le immagini dei cristiani feriti: la loro strategia infatti è di guadagnarsi l’appoggio dell’Occidente atteggiandosi a difensori dei cristiani. Ma i curdi sono tutto tranne che nostri protettori. Ci usano per combattere la loro battaglia mediatica, che in guerra può essere importante tanto quanto quella armata».

Nei bombardamenti turchi è stata ferita un’intera famiglia cristiana. Il padre e i bambini hanno riportato ferite lievi, la madre invece è in gravi condizioni (come si vede nella foto pubblicata sopra). Yakoub, 39 anni, originario di Qamishli e accolto in Svezia nel 1989, ha una fitta rete di contatti nella sua città natale, dove vivono ancora molti suoi parenti. «Cristiani e curdi hanno una relazione molto tesa», continua. «Bisogna ricordare che i curdi sono una minoranza nel Nord-est della Siria, ma vogliono creare una regione autonoma sotto il loro controllo. Per riuscire nel loro intento, usano i cristiani come moneta di scambio».

«I CURDI VOGLIONO CACCIARE I CRISTIANI»

L’anno scorso, come raccontato da tempi.it, i curdi hanno chiuso quattro scuole cristiane nel Nord-est del paese perché si erano rifiutate di adottare i provvedimenti di politica dell’educazione emanati dal governo locale, che prevede testi ispirati al nazionalismo curdo. Monsignor Jacques Behnam Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, da anni ripete che «i curdi vogliono sradicare la presenza cristiana da questa regione della Siria».

Ieri è tornato a dichiarare ad Acs:

«Qui ognuno ha i propri interessi e i cristiani ne pagano le conseguenze. Ho invitato i curdi a desistere dai loro piani di creare una regione autonoma, cui non hanno alcun diritto. Ora il conflitto è divenuto ancor più grave di prima e temo che saranno in tanti ad emigrare. Dall’inizio della guerra in Siria il 25 per cento dei cattolici di Qamishli ed il 50 per cento dei fedeli di Hassaké hanno lasciato il Paese assieme al 50 per cento degli ortodossi. Temo un simile esodo se non maggiore. L’Europa dovrebbe fare mea culpa».

La situazione, insomma, è molto complessa. La soluzione, secondo il direttore generale della confederazione assira, è solo una: «La minoranza assira ha paura tanto dei curdi quanto dei turchi. L’unica modo di uscirne sarebbe avere una vera democrazia in Siria e uno Stato unito. Nel frattempo i cristiani sono spaventati e non sanno dove andare».


UNIONE EUROPEA, LA GRANDE ASSENTE

Un dramma di cui l’Unione Europea, che si sta completamente disinteressando dell’invasione turca, dovrebbe occuparsi: «In Europa vivono mezzo milione di assiri e mezzo milione di curdi», dichiara a tempi.it Attiya Gamri, della confederazione assira dell’Ue. Gamri risiede in Olanda e la sua famiglia è originaria di Qamishli, dove si è stabilita oltre cent’anni fa dopo il genocidio turco. «È triste che Bruxelles non prenda posizione. Non si è alzata una voce quando i curdi hanno chiuso le nostre scuole a Qamishli e ora non parlano mentre i turchi ci attaccano. Abbiamo sofferto molto negli ultimi anni, vogliamo rispetto, democrazia e diritti umani».






La Germania contro Erdogan: stop all'esportazione di armi
Renato Zuccheri - Sab, 12/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ger ... ZZKUcItcn4

La Germania, insieme a Olanda e Norvegia, ha annunciato il provvedimento come ritorsione contro Erdogan

La Germania annuncia che sospenderà l'export di armi verso la Turchia come ritorsione per l'operazione militare iniziata da Recep Tayyip Erdogan nel nord della Siria.

La notizia è stata data direttamente dal ministro degli Esteri, Heiko Maas, che, secondo quanto riportato dalla Bild am Sonntag, "non rilascerà alcun nuovo permesso per armamenti che possano essere usati da Ankara in Siria". Una notizia che è particolarmente importante alla luce di quanto espresso in questi giorni dagli Stati europei ma che non va sopravvalutato. Angela Merkel, come trapelato ieri da fonti di Berlino, non ha intenzione di applicare una linea estremamente dura nei confronti di Ankara, dal momento che i milioni di cittadini di origine turca rappresentano un fattore fondamentale al pari del pericolo di un fiume di rifugiati già minacciato da Erdogan.

La Germania non è la prima nazione a prendere questa decisione. Già ieri, i Paesi Bassi hanno comunicato "di sospendere ogni richiesta di permesso per esportazione di materiale militare verso la Turchia nell'attesa dell'evolversi della situazione". Un provvedimento approvato anche da Norvegia e Finlandia. La Svezia, invece, ha chiesto che l'Unione europea imponga un embargo comune di tutti gli Stati europei nella riunione dei ministri degli Esteri.





Anche il Vaticano tace sull'attacco militare di Erdogan contro i curdi, oltre cento vittime civili

https://www.ilmessaggero.it/primopiano/ ... lXJLheujXk


Città del Vaticano Anche in Vaticano prevale la realpolitik. La massiccia operazione militare turca decisa da Ankara contro i curdi, nonostante l'alto numero di vittime civili che sta causando, è passata sostanzialmente sotto silenzio persino a Santa Marta. I violenti bombardamenti d’artiglieria e l’uso di F-16 anche in territorio siriano hanno causato, secondo l’agenzia siriana Sana, un bilancio di 140 civili morti. L’Osservatore Romano oggi pomeriggio ha dedicato alla vicenda un articolo quasi pilatesco, evitando di prendere qualsiasi posizione, nonostante l'altonumero di morti, spiegando che Ankara «punta a sottrarre il territorio di Afrin al controllo delle formazioni curde chiamate Unità di protezione del popolo (Ypg) e ritenute vicine al Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), un’organizzazione considerata dalle autorità turche illegale e di matrice terroristica». Il quotidiano del Vaticano riferisce anche le parole del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sul fatto che la Turchia «ha il diritto di difendersi» visto che Ankara «è uno dei paesi della Nato che più ha sofferto per il terrorismo».

Le fotografie e i video che in queste ore stanno invadendo i social e i siti di informazione mostrano parecchi bambini curdi feriti. Erdogan ha affermato che l’operazione militare andrà «avanti il tempo necessario». Nel frattempo i curdi – senza i quali l’Isis non sarebbe mai stato battuto - hanno chiesto il sostegno delle forze siriane.

Il premier Erdogan è atteso da Papa Francesco lunedì 5 febbraio per una visita di Stato. A preparare questa visita è stata la telefonata di Erdogan a Bergoglio all'indomani della decisione degli Usa di spostare l'ambasciata a Gerusalemme. L'agenzia di stampa Anadolu aveva riferito che Erdogan e il Papa avevano parlato della risoluzione con la quale l’Onu aveva respinto la mossa della Casa bianca sottolineando la necessità di «proteggere lo status quo di Gerusalemme, città sacra per l’islam, il cristianesimo e l’ebraismo».

La vicedirettrice della sala stampa vaticana, Paloma Garcia Ovejero, aveva confermato il colloquio telefonico senza fornire dettagli sui suoi contenuti e limitandosi a precisare che «la conversazione ha avuto luogo per iniziativa del Presidente turco». Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 19:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA







"Io e Orso in lotta con i curdi usati e traditi dagli americani"
Fausto Biloslavo - Sab, 12/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 3ECg0F_ySg

Il volontario compagno dell'italiano ucciso: «Contro la supremazia aerea si può poco. Ma colpiremo Ankara»

Paolo Andolina, nome di battaglia Pachino Azadì («Libertà») ha combattuto al fianco dei curdi dal 2016 allo scorso anno.

Un volontario italiano, che la procura di Torino vorrebbe sorvegliato speciale, ma lui giura: «Ho combattuto l'Isis per la democrazia nel Nord Est della Siria. Non imbraccerei mai le armi in Italia».

Vi aspettavate l'attacco?

«I turchi minacciavano da tempo l'invasione. E fin dalla battaglia di Raqqa, la capitale dell'Isis, non mi sono mai illuso sugli americani. Ci appoggiavano militarmente pronti a mollarci al momento buono, come è avvenuto».

Ha combattuto i turchi?

«Nell'aprile 2017 i caccia di Ankara hanno bombardato il quartiere generale dell'Ypg (Unità curde di protezione del popolo, nda). Ero nella base degli internazionali e alle 3 di notte mi ha svegliato un enorme boato. Ho visto la guerra: tre secondi di fischio e poi la bomba, che esplodeva con un bagliore gigantesco».

Èpossibile resistere davanti a uno degli eserciti più forti al mondo?

«Contro la supremazia aerea, che colpisce pure i civili, possiamo fare ben poco. Però non sarà facile per i turchi penetrare nel nostro territorio su un fronte di 600 km. Le Forze democratiche siriane hanno 60mila combattenti e anche la società civile si è mobilitata. La popolazione sta creando cinture di scudi umani attorno alle città e pattuglia i quartieri, dando la caccia alle cellule dormienti. Trasformeremo il Nord Est della Siria in un campo di battaglia senza tregua. E colpiremo le installazioni militari in territorio turco con operazioni mordi e fuggi, come sta già accadendo».

Ankara vi bolla come terroristi...

«I terroristi sono i miliziani dello Stato islamico nostri prigionieri e Al Nusra, costola di Al Qaida, che ha cambiato nome, ma molti suoi reparti si sono uniti all'Esercito libero siriano, che combatte al fianco dei turchi, oppure operano autonomamente. Il leader dell'ex Al Nusra ha dichiarato che appoggia l'attacco turco».

Eri con Alessandro Orsetti, il volontario fiorentino ucciso dall'Isis nell'ultima sacca di Baghuz. Qual è la sua eredità?

«Se fosse vivo sarebbe in Siria a combattere contro l'esercito turco. Questa non è una resistenza solo per i curdi, ma pure per gli assiri cristiani e gli arabi al nostro fianco».

Ci sono ancora volontari internazionali in prima linea?

«Sì, qualche decina soprattutto inglesi, francesi e americani. Due unità stanno combattendo nella città di Serekaniye. Vorrei unirmi a loro, ma è altrettanto importante mobilitarsi pacificamente a casa nostra per convincere l'Europa a sostenerci».

Cosa chiedete dalla comunità internazionale?

«La popolazione del Rojava si sente usata e tradita dagli americani. La comunità internazionale, a cominciare dai Paesi europei come l'Italia, protesta a parole, ma poi non fa nulla di concreto per fermare la Turchia alleata della Nato. Ed Erdogan sfida l'Europa. Chiediamo all'Italia e tutti i governi europei di non finanziare più o vendere armi alla Turchia che sta portando avanti una guerra genocida».

Ci sarà un esodo di massa?

«Nel Rojava vivono in 4 milioni. Bisogna mettere nel conto un enorme numero di sfollati. Per questo ci appelliamo alle organizzazioni umanitarie che accorrano in aiuto».

Che fine faranno i terroristi dell'Isis prigionieri dei curdi?

«Il rischio è che molti jihadisti possano scappare in Europa come ha detto Trump. I turchi hanno già bombardato nei pressi di un carcere dove sono rinchiusi e c'è stata una mezza rivolta nel campo di Al Hol delle mogli e figli dell'Isis. Se arrivano i turchi i terroristi si dilegueranno. È una minaccia evidente, che abbiamo combattuto per anni. Il sangue versato anche per l'Europa, l'Occidente, l'Italia è stato inutile?».

In questa guerra per la sopravvivenza siete pronti ad allearvi con l'esercito di Damasco?

«A patto che Assad non voglia riprendersi i nostri territori chiediamo una collaborazione militare per respingere i turchi».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » dom ott 13, 2019 8:58 pm

L'offensiva turca in Siria infiamma tutta la regione
Laura Cianciarelli
10 ottobre 2019

https://lanuovabq.it/it/loffensiva-turc ... icrvm25nvs


La penetrazione turca nella regione curda della Siria sta riaccendendo i conflitti che covavano sotto la cenere. Le truppe di terra sono entrate per almeno 7 chilometri in territorio siriano mentre i raid aerei hanno colpito obiettivi fino a 30 km all'interno del Paese. Russia e Iran contrari all'offensiva, il governo di Damasco deve ancora decidere l'obiettivo da perseguire.

Bombardamenti turchi contro i curdi in Siria

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dato avvio alla nuova campagna in territorio siriano. “Le Forze armate turche” – si legge nel breve comunicato – “insieme all'Esercito siriano libero hanno lanciato l'operazione Primavera di pace, con l'obiettivo di prevenire la creazione di un corridoio del terrore a sud del confine turco e portare pace nell'area”.

Una mossa che non è certo giunta come un fulmine a ciel sereno. Da tempo, infatti, Ankara minacciava l'invasione del territorio nordorientale siriano allo scopo di creare una zona cuscinetto – dell'estensione di circa 30-40 chilometri –. Con una triplice finalità: “liberare il territorio dal terrorismo”, impedire che la nascita di uno Stato curdo oltre il confine meridionale della Turchia galvanizzasse i curdi presenti nel Paese; e ricollocare i profughi siriani rifugiatisi in Turchia.

Finora, tuttavia, le ambizioni turche erano state frenate dalla presenza nell'area delle truppe statunitensi, per le quali i curdi siriani hanno rappresentato un alleato chiave nella lotta contro lo Stato Islamico. Negli ultimi mesi, inoltre, il progetto condiviso per una “safe zone” sembrava essersi finalmente concretizzato: Ankara e Washington avevano raggiunto un accordo per la creazione del c.d. “corridoio di pace”, eseguendo anche le prime fasi del piano, quali il ritiro delle Syrian Democratic Forces (Sdf) dalle loro roccaforti nel nord-est della Siria e alcuni pattugliamenti congiunti turco-statunitensi.

Segnali positivi che, tuttavia, non sono risultati sufficienti, almeno nella prospettiva turca. Più volte, infatti, Ankara ha accusato gli Stati Uniti di non “aver fatto abbastanza” per la realizzazione della zona cuscinetto, arrivando anche a lanciare un ultimatum a Washington - scaduto alla fine di settembre - con il quale Erdogan minacciava un intervento unilaterale della Turchia nel nord della Siria.

Dalle parole ai fatti. Compresa la serietà della minaccia turca, domenica scorsa (6 ottobre), il presidente americano, Donald Trump, ha annunciato la decisione di disimpegnarsi dalla Siria, ritirando le truppe statunitensi e dando de facto il “via libera” alla campagna di Ankara.

Pochi giorni dopo, il 9 ottobre scorso, le truppe turche – con l'appoggio dall'Esercito siriano libero, i ribelli sostenuti da Ankara negli anni della guerra civile siriana – hanno lanciato la campagna militare contro i curdi siriani. Ventiquattro ore più tardi, le truppe di terra turche sono penetrate per almeno 7 chilometri in territorio siriano, raggiungendo la città di Tal Abyad. Alcuni raid aerei avrebbero inoltre centrato obiettivi situati fino a 30 chilometri all'interno del Paese.

Niente pace, dunque, per la Siria, la cui mappa del conflitto appare nuovamente stravolta. Abbandonati dagli Stati Uniti, i curdi potrebbero infatti rivolgersi al governo siriano - dal quale hanno cercato di rendersi autonomi negli ultimi anni - o alla Russia, affinché riempiano il vuoto lasciato dalle truppe americane. Prospettiva caldeggiata anche da Mosca che, pur capendo le esigenze di sicurezza di Ankara, sta spingendo Damasco a negoziare con i curdi per fare fronte comune e salvaguardare l'integrità territoriale della Siria. Contrario all'offensiva turca, anche l'Iran - altro importante alleato di Bashar Al-Assad -, che ha intimato ad Ankara di ritirare le proprie truppe dal territorio siriano, dando il via ad alcune esercitazioni militari non preannunciate al confine con la Turchia, verosimilmente in funzione deterrente.

Per nulla scontata, invece, la risposta di Damasco. Le forze pro-Assad si starebbero concentrando nei pressi di Manbij e Deir Ez-Zour, ma non è ancora chiaro quale sia il loro obiettivo: se sostenere i curdi contro le ingerenze esterne o approfittare dell'offensiva per riprendere possesso del territorio. Dal marzo 2016, infatti, il territorio corrispondente alle aree di Afrin, Al-Jazira, Kobane, Tal Abyad e Shahba farebbe parte di uno “Stato curdo”, mai riconosciuto ufficialmente da Damasco.

Le conseguenze dell'offensiva turca potrebbero anche travalicare i confini siriani, riguardando direttamente l'Occidente. Nonostante la sconfitta territoriale dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, l'ideologia dell'Isis è ancora molto viva tra i suoi seguaci, in particolare negli ex territori del califfato, dove si nascondono numerose cellule dormienti.

Costrette a ricollocarsi per affrontare la minaccia turca, le forze di sicurezza curde potrebbero abbandonare il territorio nord-orientale della Siria – in cui si concentra la presenza dei jihadisti -, lasciando il fronte scoperto e vulnerabile. Ad aggravare la situazione anche lo “stand-by” in cui è stata posta la missione a guida Usa impegnata nella lotta allo Stato Islamico in Siria, proprio in concomitanza con l'avvio dell'operazione “Primavera di pace” (9 ottobre).

La diminuzione delle forze di sicurezza a guardia delle prigioni curde, nelle quali sono detenuti gli jihadisti, rischia di favorire l'evasione dei membri dell'Isis, tra cui numerosi foreign fighters. Proprio in concomitanza con l'avvio dell'offensiva turca, nel campo di Al-Hol, i detenuti hanno attaccato le guardie e dato fuoco alle tende in cui risiedono. Senza contare i “danni collaterali” dei raid aerei turchi. Il giorno successivo all'avvio della campagna militare (10 ottobre), è stata colpita una prigione gestita dai curdi, nella quale sarebbero stati detenuti alcuni tra i più pericolosi combattenti, arruolatisi nelle file dell’Isis e provenienti da circa 60 diversi Paesi.






LA GUERRA CHE NON FINISCE PER DECRETO
Niram Ferretti
13 ottobre 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Nella sua lettera a Donald Trump del dicembre 2018, dopo avere rassegnato le dimissioni da Segretario alla Difesa, il Generale James Mattis, scriveva.

"Una convinzione fondamentale che ho sempre sostenuto è che la nostra forza come nazione è indissolubilmente legata alla forza del nostro sistema unico e completo di alleanze e partnership. Mentre gli Stati Uniti rimangono la nazione indispensabile per il mondo libero, non possiamo proteggere i nostri interessi o svolgere quel ruolo in modo efficace senza mantenere forti alleanze e mostrare rispetto per quegli alleati. Come lei, ho detto fin dall'inizio che le forze armate degli Stati Uniti non dovrebbero essere i poliziotti del mondo. Invece, dobbiamo usare tutti gli strumenti del potere americano per provvedere alla difesa comune, incluso fornire una leadership efficace alle nostre alleanze. Le 29 democrazie della NATO hanno dimostrato questa forza nel loro impegno a combattere al nostro fianco in seguito all'attacco dell'11 settembre contro l'America. La coalizione Defeat-ISIS di 74 nazioni è un'ulteriore prova.

La mia opinione su come trattare gli alleati con rispetto e sull'avere una visione lucida sia sugli agenti maligni che su i concorrenti strategici sono fortemente sostenute e informate da oltre quarant'anni di approfondimento su questi temi. Dobbiamo fare tutto il possibile per far spingere un ordine internazionale che sia maggiormente favorevole alla nostra sicurezza, prosperità e ai nostri valori, e siamo rafforzati in questo sforzo dalla solidarietà delle nostre alleanze".

I punti esposti da Mattis sono chiari. Gli Stati Uniti, per come è configurato il mondo, per i loro interessi ramificati, per la tutela dell'ordine mondiale, non possono permettersi di fare ciao ciao con la manina e lasciare il resto del pianeta a sbrigarsela da solo. E il motivo è molto semplice, non perchè debbono fare da bandante agli altri, ma perchè se lo facessero si darebbero la zappa su i piedi. Chi non capisce questa cosa non ha la più pallida idea di cosa sia la geopolitica.

Ora, apprendiamo da Mark Esper, successore di Mattis alla Difesa che “Non abbiamo abbandonato i curdi. Vorrei essere chiaro su questo. Non li abbiamo abbandonati. Nessuno ha dato il via libera a questa operazione da parte della Turchia - esattamente il contrario. Ci siamo spinti molto indietro a tutti i livelli perché i turchi non iniziassero questa operazione ”.

Si resta davvero basiti. Siamo alla negazione totale dei fatti, della realtà. E' stato Donald Trump, dopo una telefonata con Erdogan. a dare il via libera all'operazione turca nel nordest della Siria. E' un fatto graniticamente incontestabile. Ed è una decisione che Trump stesso ha difeso chiaramente e inequivocabilmente. Nessuno può smentirla.

La verità è che si sono accorti (non ci voleva un genio) che la decisione di dare il via libera alla Turchia è stata una decisione sbagliata. Lo avevano capito in molti, anche all'interno del GOP. E in molti, anche assai vicini al presidente. E' poi successo un fatto rilevante che potrebbe avere un peso sul piano elettorale, e Trump è molto attento al piano elettorale anche in vista delle prossime elezioni. I cristiani evangelici, suoi granitici sostenitori lo hanno apertamente criticato per avere lasciato i curdi alla mercè dei turchi. Ci ha fatto caso.

C'è poi un altro fattore che riguarda il teatro di guerra, si tratta dei 10,000 prigionieri dell'ISIS sotto tutela curda, e il rischio concreto che, liberati, ricostituiscano nuove cellule jihadiste. E' sempre Mattis che lo ha sottolineato,

“Potremmo volere che una guerra sia finita; possiamo persino dichiararla finita. Puoi ritirare le tue truppe come ha fatto il presidente Obama in Iraq pagandone e conseguenze, ma il "nemico ottiene il voto", diciamo nell'esercito. E in questo caso, se non manteniamo la pressione, allora ISIS si riprenderà. È assolutamente scontato che torni".

Tutta la retorica sentimentale dei soldati americani morti (e ne sono morti davvero pochi ultimamente), tutta la retorica isolazionista del "se la sbrighino da soli", "sono guerre loro", purtroppo si deve scontrare con la realtà.

La guerra contro il radicalismo islamico, la guerra contro il jihadismo, non è finita e non finisce quando lo dichiara Trump o chiunque altro. È una guerra in corso da decenni e durerà ancora molto a lungo e gli Stati Uniti sono uno dei bersagli principali insieme a Israele.

Non resteranno immuni da attentati, violenza a fanatismo lasciando il Medioriente e illudendosi di potersi rifugiare in una inesistente isola felice.

Quando Trump sarà stato consegnato all'archivio della storia il jihadismo sarà esattamente lì dove si trova adesso.


Spartizione siriana: vantaggi per tutti, tranne i curdi
Gianandrea Gaiani
13 ottobre 2019


https://lanuovabq.it/it/spartizione-sir ... s.facebook

È facile prevedere la vittoria dei turchi sulle deboli milizie curde nel Nordest della Siria. La Turchia (come gli Usa e la Coalizione) è una presenza illegale in Siria. La reazione debole di Russia e Usa all'Onu fa intendere però che la mossa turca fosse concordata. Una spartizione che avvantaggia tutte le parti, tranne i curdi.

Siria settentrionale, soldati turchi al fronte

Se le prospettive politiche dell’offensiva turca in Siria appaiono quasi scontate, quelle militari lasciano aperte alcune incognite, specie se si vogliono valutare gli sviluppi a medio-lungo termine. Tutte le forze militari straniere presenti in Siria "illegalmente", quindi senza il consenso del governo di Bashar al-Assad, devono lasciare il Paese, ha detto ieri il presidente russo Vladimir Putin. "È qualcosa che dico apertamente ai nostri colleghi: il territorio siriano deve essere liberato dalla presenza militare straniera e l'integrità territoriale siriana deve essere ripristinata", ha detto Putin.

Una valutazione che può apparire scontata, tenuto conto che i militari russi costituiscono la sola presenza militare straniera richiesta dal governo di Damasco, ma che ha il merito di evidenziare un dato che nel mondo non ha avuto l’impatto che avrebbe meritato anche in termini di rispetto de diritto internazionale. La presenza in Siria di truppe della Coalizione statunitensi, britanniche e francesi è del tutto illegale in termini giuridici. Anzi, costituisce un atto di aggressione e di guerra nei confronti dello Stato siriano. La Coalizione anti-Isis a guida USA è stata invitata a intervenire in Iraq dal governo di Baghdad, ma non da quello di Damasco. Al tempo stesso anche la presenza turca nel nord del paese, da Idlib ad Afrin e oggi lungo tutta la frontiera fino ai confini iracheni, è del tutto illegittima. Una premessa spesso ignorata in Europa da media e politica, sempre attenti però su altri scenari (dalla Crimea, alla Cisgiordania all’immigrazione illegale) a evidenziare proprio gli aspetti legati al diritto internazionale.

Sul piano militare la penetrazione turca ha già raggiunto in alcuni settori la decina di chilometri, circa un terzo della profondità di 30/32 chilometri prevista dall’operazione lanciata da Ankara per costituire la fascia di sicurezza. Almeno tre i caduti turchi nelle prime 24 ore dell’offensiva, ma sarebbero di più i miliziani dell’Esercito Siriano Libero alleato di Ankara e impiegato come “apripista” contro le forze curde. Venerdì sera il comando turco ha annunciato di aver eliminato 399 “terroristi”, termine con cui vengono indicati i combattenti delle Unità di protezione popolare (YPG) curde. Numeri forse esagerati dalla propaganda ma non c’è dubbio che Ankara sta impiegando senza risparmio né esitazioni armi pesanti e artiglieria, come dimostra anche il bombardamento della base americana di Kobane, evacuata dalle truppe Usa che secondo il Pentagono non avrebbero subito perdite. Danni collaterali, per una volta statunitensi, che confermano la volontà turca di assumere il controllo di tutte le città del nord della regione curda del Rojava da cui potrebbero venire cacciati 2,5 milioni di curdi, da rimpiazzare nei piani di “ingegneria etnica e demografica” di Ankara con 3 milioni di profughi siriani arabi.

Difficile poi non notare come quell’Occidente tutto che si commosse e trepidò per la resistenza curda quando Kobane rischiava di cadere nelle mani dell’Isis oggi non fa una piega di fronte all’invasione della stessa città da parte di truppe turche e milizie islamiste aderenti alla Fratellanza Musulmano, non meno jihadista dell’Isis. Sono, del resto, scarse le possibilità delle YPG di fermare i circa 10mila militari turchi e i loro alleati siriani dell’ESL (14 mila uomini impiegati nell’operazione): i curdi non dispongono né di velivoli né di una reale capacità di difesa contraerea. È vero che gli USA hanno abbondantemente armato e finanziato l’YPG per combattere l’Isis, ma solo con armi di impiego terrestre dal momento che lo Stato Islamico non disponeva di forze aeree. Per questo oggi le YPG, pur contando su circa 35mila combattenti in tutta la Siria orientale, non sono in grado di opporre una costante resistenza frontale all’avanzata nemica pur mettendo in atto imboscate, azioni di disturbo e bombardamenti di mortai che colpiscono il territorio turco. I pochi mezzi pesanti a disposizione sono i carri T-55 e i cingolati BMP-1 sottratti all’Isis che a sua volta li aveva sottratti all’esercito siriano. Sul medio lungo termine però la capacità dei curdi di mantenere una forte pressione sul nemico all’interno della fascia di sicurezza potrebbe incrinare la capacità politica di Ankara di sopportare costi finanziari e umani dell’occupazione della fascia di sicurezza.

Persino Israele nel 2000 dovette abbandonare la “fascia di sicurezza” nel Libano meridionale a fronte dell’insofferenza della società di fronte ai caduti registrati in quei territori. Possibile che anche i turchi subiscano nel tempo un simile logoramento anche se i recenti attacchi dell’Isis contro le postazioni curde lungo il confine turco lasciano intendere che Ankara abbia già un’intesa con le milizie del Califfato per contrastare i curdi in tutta la Siria orientale. Un’ipotesi che potrebbe vedere la tanto temuta liberazione da parte delle autorità turche dei 12mila combattenti del Califfato detenuti nelle prigioni del nord della Siria che i curdi stanno abbandonando sotto l’incalzare delle truppe di Ankara.

A breve termine i curdi sembrano destinati a rifugiarsi tra le braccia del governo siriano e dei russi, che due anni or sono avevano sconsigliato le autorità curde dal fidarsi delle promesse statunitensi. Damasco, che soffre la carenza di truppe e ha il grosso delle sue forze di prima linea schierate intorno a Idlib, ultima roccaforte delle milizie ribelli, ha tutto l’interesse a riprendere il controllo dei pozzi di gas e petrolio dell’est oggi in mano a curdi e truppe americane così come ha interesse a farli presidiare dai curdi inquadrati all’interno dello Stato siriano con un’ampia un’autonomia e con il supporto di Mosca.

Del resto la posizione morbida assunta da Russia e Stati Uniti di fronte a una risoluzione dell’Onu di condanna ad Ankara, induce a credere che vi sia un fondamento alle indiscrezioni sull’intesa raggiunta alcune settimane or sono in base alla quale Mosca e Damasco avrebbero accettato l’invasione turca del nord in cambio del via libera per schiacciare i ribelli a Idlib. Un accordo gradito forse anche a Donald Trump che avrebbe così l’opportunità di ritirare l’ultimo migliaio di soldati americani ancora schierati in Siria. Un compromesso che comporta vantaggi, limitati ma pur sempre vantaggi, per tutti tranne ovviamente per i curdi.






Crisi siriana, ora il governo turco blocca i social media
Roberto Bordi - Dom, 13/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/cri ... 4ldXQb0HWI

Il principale fornitore turco di servizi internet, Türk Telekom, parzialmente di proprietà del governo turco, ha bloccato l'accesso ai social media durante i primi due giorni dell'offensiva in Siria denominata "Primavera di Pace"

Accesso limitato ai principali social media (Facebook, Instagram, Twitter e Whatsapp) in almeno tre città della Turchia meridionale nelle prime 48 ore di "Primavera di Pace", l'operazione militare lanciata nella Siria settentrionale, mercoledì scorso, dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan per contrastare l'egemonia curda nella regione.

Lo riporta Wired.

Il blocco ai social network, comprese le più popolari piattaforme di messaggistica istantanea, sarebbe scattato alle 21 di martedì, dunque poche ore prima dell'inizio dell'attacco. A subire questa limitazione gli utenti di alcuni dei più importanti centri della Turchia meridionale: Gaziantep, Şanlıurfa e Hatay. Il blocco è stato reso possibile dal fatto che la maggior parte delle persone sono abbonate al gigante delle telecomunicazioni del Paese, Türk Telekom, di gran lunga il principale fornitore turco di servizi internet e parzialmente di proprietà dello Stato. Secondo NetBlocks - organizzazione non governativa fondata nel 2017 che monitora la sicurezza informatica e la governance di Internet - gli utenti in altre parti del Paese sarebbero state in grado di usare normalmente la connessione. La stessa ong spiega che non è la prima volta che in Turchia viene limitato l'accesso a internet. Era già successo, per esempio, nell'agosto 2017, quando siti come Facebook, Twitter, YouTube, Vimeo e Instagram erano stati chiusi per circa sette ore.

"Probabilmente non sarà l'ultima volta", ha commentato Adrian Shahbaz, direttore della ricerca per la tecnologia e la democrazia alla Freedom House, ong con sede a Washington impegnata in attività di ricerca su democrazia, libertà politiche e diritti umani. Sempre nel 2017 - dunque prima del presunto colpo di Stato contro Erdogan che sarebbe stato organizzato dal liberal Fethullah Gülen - anche l'enciclopedia online Wikipedia era stata bloccata per alcune ore. "Le autorità turche - ha aggiunto Shahbaz - hanno regolarmente bloccato l'accesso ai social media in alcune parti del paese negli ultimi anni, di solito a seguito di attacchi terroristici, perdite politicamente dannose o proteste dei cittadini". Ma non solo, perché negli anni centinaia di migliaia di siti internet sono stati resi off-limits per i motivi più disparati: dalle differenze politiche fino alla presenza di contenuti più o meno espliciti.

Per quanto riguarda l'ultimo blocco ordinato dal governo (e durato due giorni), la misura è stata evidentemente messa in pratica per limitare il margine d'azione di cittadini e giornalisti che, nel tentativo di eludere la censura governativa, avrebbero pubblicato direttamente sui social video e commenti dell'aggressione turca contro i curdi. "I social media sono il luogo in cui molti turchi riceveranno notizie attendibili", ha spiegato ancora Shahbaz. "Con tutto quello che sta accadendo nel sud-est riguardo al conflitto in Siria, non sorprende che le autorità turche abbiano fatto ricorso a questo ampio giro di vite sui social media", ha concluso.





Siria, attivista per i diritti delle donne Hevrin Khalaf trucidata dai filo-turchi: per Isis era una miscredente
13 ottobre 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/1 ... _Fmw4ic8O8

È stata prelevata dall’auto sulla quale viaggiava e trucidata come il suo autista a colpi di arma da fuoco. Hevrin Khalaf, 35 anni, segretaria generale del Partito Futuro siriano e attivista per i diritti delle donne, è tra i 9 civili uccisi ieri a sangue freddo dai miliziani filo-turchi a sud della città di Tel Abyad, nel nord-est della Siria. Secondo quanto scrive il Guardian riportando fonti curde, lei e il suo autista sono stati assassinati a colpi di arma da fuoco su un’autostrada dopo essere stati prelevati dalle loro auto da milizie sostenute dalla Turchia. È inoltre possibile che sia stata uccisa dall’Isis, visto che i fondamentalisti islamici la consideravano una miscredente. Le uccisioni di tutti e 9 i civili sono state filmate e il video diffuso in rete. Nel filmato si sentono gli assassini gridare insulti mentre sparano contro i civili con le loro armi. E funzionari statunitensi hanno confermato che si tratta di immagini autentiche.

Nel video, spiega l’Osservatorio siriano per i diritti umani, Khalaf è stata “trascinata fuori dalla sua auto durante un attacco sostenuto dalla Turchia e giustiziata da milizie mercenarie sostenute da Ankara“, ha affermato in una nota il braccio politico delle forze democratiche siriane a guida curda (SDF). “Questa è una chiara prova che lo stato turco sta continuando la sua politica criminale nei confronti di civili disarmati”, ha aggiunto. Mutlu Civiroglu, esperto in politica curda, ha descritto la sua morte come una “grande perdita”. “Aveva un talento per la diplomazia, partecipava sempre agli incontri con americani, francesi e le delegazioni straniere”, ha affermato. E sulla sua morte è intervenuto anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. “Hevrin Khalaf è il volto del dialogo e dell’emancipazione delle donne in Siria – ha scritto in un tweet -. La sua uccisione, opera di terroristi islamisti, più attivi dopo l’invasione dei territori curdi da parte della Turchia, è un orrore su cui la comunità internazionale dovrà andare fino in fondo!”.


Israele può fidarsi degli Stati Uniti dopo il ritiro siriano?
Traduzione di Niram Ferretti
9 ottobre 2019


http://www.linformale.eu/israele-puo-fi ... rGYbxwQiAA

La decisione a sorpresa degli Stati Uniti di annunciare che si ritirerà da un’area lungo il confine siriano e consentire un’operazione militare turca nel nord della Siria solleva molte domande sulla politica a lungo termine degli Stati Uniti in Medio Oriente. Riguarda anche Gerusalemme perché sia l’Iran, un nemico di Israele, sia la Turchia, che dileggia regolarmente Israele nei forum internazionali, sembrano guadagnare mentre gli Stati Uniti si ritirano.

La decisione degli Stati Uniti di aprire le porte a un’invasione turca della Siria orientale è vista come un tradimento tra i partner statunitensi sul terreno in Siria, e in particolare tra molti curdi. In tutta la regione è anche visto come il modo in cui gli Stati Uniti, un’altra volta, abbandonano gli alleati. Questa è una costante dall’Iraq all’Egitto fino al Golfo. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che, sebbene i curdi abbiano combattuto al fianco degli Stati Uniti nella Siria orientale ora era arrivato il momento per la “Turchia, l’Europa, la Russia, l’Iran, l’Iraq e la Russia di occuparsene”.

Coinvolto in una crisi di impeachment, il presidente degli Stati Uniti afferma che altri devono occuparsi dei detenuti dell’ISIS. Ha fatto commenti simili prima nella primavera del 2018 e nel dicembre 2018, quando ha promesso di lasciare la Siria. Tutto ciò ha ripercussioni per Israele.

La politica americana in Medio Oriente negli ultimi decenni non è sempre stata costante. Una cosa che è stata costante è il sostegno a Israele. Ciò significa che Israele e gli Stati Uniti godono di un rapporto unico che opera su numerosi livelli, tra cui stretti rapporti interpersonali, legami culturali e legami militari e di intelligence. Tuttavia, sia Israele che gli Stati Uniti hanno modi individuali di vedere il Medio Oriente in generale. In passato gli alleati israeliani tendevano ad essere anche alleati degli Stati Uniti. Durante il periodo della Guerra fredda negli anni ’60, ad esempio, Israele intrattenne relazioni con l’Iran e la Turchia, mentre i sovietici investirono in Siria e in Egitto.

Nel tempo il mutevole rapporto israeliano con l’Egitto è stato anche il prodotto di una decisione dell’Egitto di ri-orientarsi verso gli Stati Uniti negli anni ’70. I trattati di pace di Israele sono stati sostenuti dagli Stati Uniti, nonché i negoziati di pace con i palestinesi.

Oggi l’Iran, il cui leader del Corpo della Guardia rivoluzionaria islamica ha recentemente affermato che la distruzione di Israele sarà effettuata nella prossima guerra, è anche un avversario degli Stati Uniti. È chiaro che le dichiarazioni di gruppi come gli Houthi alleati iraniani nello Yemen o di Hezbollah, sono tutti avversi agli Stati Uniti e ad Israele. Gli Houthi dichiarano “morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei” nel loro slogan ufficiale. Questo è il modello del regime iraniano. È una visione comune anche tra le milizie filo-iraniane in Iraq.

Una America potente è la chiave della sicurezza israeliana. Una Washington percepita come debole e inaffidabile nella regione sarà messa alla prova da avversari e nemici di Israele e degli Stati Uniti. È in questo contesto che ha luogo la decisione americana di ritirarsi da alcune zone della Siria. Washington ha dato il via alla sua campagna nella Siria orientale per sconfiggere l’ISIS.

Sotto l’amministrazione Obama gli Stati Uniti hanno deciso di non dare il via agli attacchi aerei contro il regime di Assad nel 2013, privilegiando come priorità la lotta all’Isis e il venire in essere di un accordo con l’Iran. Israele era preoccupato per l’accordo che conferiva all’Iran potere in altri settori, come il trasferimento di strumenti di precisione a Hezbollah attraverso la Siria. L’ISIS, sebbene controllasse una piccola area vicino al Golan, raramente minacciava Israele.

La priorità di Gerusalemme relativa alla sconfitta dell’ISIS era che l’Iran non dovesse subentrare al vuoto di potere. In questo senso, Israele è stato soddisfatto di vedere le forze che collaboravanp con gli Stati Uniti prendere il controllo delle aree dell’ISIS. Esse includevano anche le forze democratiche siriane che hanno liberato Raqqa nel 2017 e sconfitto l’ISIS vicino all’Eufrate nel marzo del 2019.

L’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti John Bolton sembrava sostenere la presenza americana in Siria fino alla partenza delle forze iraniane. A Gerusalemme nell’agosto 2018 aveva affermato che gli Stati Uniti erano preoccupati per la presenza delle milizie iraniane in Siria. In occasione di un vertice con Russia, Israele e Stati Uniti nel giugno 2019, aveva lasciato intendere che in qualche modo Israele e gli Stati Uniti avrebbero potuto fare pressione sulla Russia per estromettere l’Iran dalla Siria. Sembra un momento lontano ora che il 7 ottobre 2019, gli Stati Uniti hanno dato ad Ankara il via libera nel nord della Siria.

La Turchia oggi lavora a stretto contatto con i russi. Ha acquistato il sistema S-400, ha accordi energetici ad ampio raggio, anche se la Turchia sta espandendo la sua portata nel Mediterraneo e lavora a stretto contatto con Mosca e Teheran sulle questioni della Siria attraverso il processo di pace di Astana. In alcuni ambienti la Turchia è stata vista come un possibile alleato americano contro l’Iran, perché la Turchia ha appoggiato gruppi ribelli siriani contrari ad Assad. Ma negli ultimi anni Ankara ha fatto perno su questi gruppi con l’intenzione di usarli per combattere l’SDF.

Il progetto in Turchia ora sembra essere quello di impadronirsi di una parte della Siria settentrionale, di sistemarvi fino a 1 milione di rifugiati prevalentemente arabi lungo il confine e di usarlo come vantaggio nei confronti del regime siriano. La Turchia afferma di rispettare l’integrità territoriale della Siria. È chiaro che per Ankara il principale nemico è il PKK, che la Turchia sostiene sia legato alla SDF. Non ci sono prove che Turchia e Iran si contrastino. Al contrario, i leader turchi e iraniani si incontrano e discutono regolarmente di politica. Sembrano disposti a dividere la Siria in sfere di influenza con la Russia che gestisce entrambe le parti. Iran, Turchia e Russia si oppongono alla politica americana in Siria.

Ciò significa che man mano che gli Stati Uniti riducono la propria presenza, la SDF sarà isolata. L’Iran si sta già dando da fare per accaparrarsi più territorio in Siria. Vuole espandere il suo uso delle milizie sciite irachene attraverso il valico recentemente aperto di Al-Qaim-Albukamal al confine con la Siria e l’Iraq. Questa zona di confine è il sito di una presunta base iraniana che è stata colpita da attacchi aerei. Il Primo Ministro iracheno ha incolpato Israele per gli attacchi aerei in Iraq contro le milizie sostenute dall’Iran.

Tra le attuali proteste in Iraq sembra che queste milizie abbiano sfruttato il caos per reprimere i manifestanti e guadagnare più potere. L’Ayatollah Khamenei ha affermato che l’Iran e l’Iraq sono uniti mentre l’Iran chiede ai manifestanti di mostrare moderazione. Il messaggio che giunge da Teheran è chiaro: l’Iran non lascerà che l’Iraq cada nelle mani di critici o manifestanti, l’Iraq è la “sponda estera” per Teheran e una parte fondamentale all’interno del suo sistema di alleanze.

La riduzione dell’influenza degli Stati Uniti nella Siria orientale significa inevitabilmente che gli Stati Uniti si ritireranno sul confine iracheno, forse preservando alcune aree nel sud-est della Siria, compresa la base di Tanf, e che gli Stati Uniti trasferiranno le forze sulle loro basi in Iraq. Trump ha dichiarato a dicembre 2018 che gli Stati Uniti potrebbero “sorvegliare” l’Iran dall’Iraq come parte della sua campagna di “massima pressione”. Ma ci sono prove che è l’Iran, adesso, che eserciterà la massima pressione sugli Stati Uniti per lasciare l’Iraq.

Gli Stati Uniti stanno rapidamente perdendo amici nella regione. Il governo regionale del Kurdistan, isolato, sta anche compensando le proprie perdite dopo essere rimasto indignato che gli Stati Uniti non l’abbiano sostenuto nei suoi scontri con Baghdad in rapporto a Kirkuk nell’ottobre 2017. Quindi il KRG lavora con la Turchia e deve bilanciare le discussioni con l’Iran. Gli Stati Uniti non sono considerati affidabili in tutto l’Iraq.

In Giordania, gli Stati Uniti hanno recentemente completato l’operazione Eager Lion con 8.000 partecipanti provenienti da 30 paesi. Poiché il comando centrale degli Stati Uniti perde i suoi partner dell’SDF a causa delle politiche di Trump, può guardare alla Giordania dove gli Stati Uniti hanno ancora influenza. Per Israele questa riduzione dell’influenza degli Stati Uniti in Iraq e in Siria in questo momento significa che il nemico è più vicino alle porte. Il comandante dell’IRGC, Qassem Soleimani, ha dichiarato in un’intervista pubblicata il 1 ° ottobre di avere considerato la presenza americana in Iraq nel 2006 come un ostacolo per aiutare Hezbollah a combattere Israele.

Il messaggio è che oggi esiste una strada per il mare o un ponte di terra che collega Teheran al Golan e al Libano e ciò significa che l’ostacolo non è più lì poiché gli Stati Uniti riducono il proprio ruolo. Questo è ciò che viene chiamato un effetto domino. Potrebbe sembrare che gli Stati Uniti stiano lasciando solo alcuni posti di frontiera a Tel Abyad vicino al confine turco. Ma l’affetto si fa sentire fino al Golfo e a Riyad e fino ad Amman e al Cairo. È un messaggio.

Nel Golfo la sensazione è già chiara. L’Arabia Saudita non può affrontare l’Iran dopo l’attacco del 14 settembre contro Abqaiq e le sue strutture petrolifere. Gli Emirati Arabi Uniti stanno cercando di porre fine al conflitto in Yemen. Riyadh sembra impantanato nello Yemen con le forze che sostiene, le quali hanno subito un colpo da parte degli Houthi appoggiati dall’Iran. L’immagine saudita è stata danneggiata dall’omicidio dell’ex insider Jamal Khashoggi a Istanbul lo scorso anno.

Questa è quindi la situazione nella regione. Gli Stati Uniti vogliono porre fine alla guerra afgana, dando potere anche all’Iran. Vogliono lasciare la Siria. Gli potrebbe essere chiesto di lasciare parti dell’Iraq dai partiti sostenuti dall’Iran in parlamento. La Turchia, ancora una volta vicino a Israele, è ora uno degli oppositori più veementi di Israele nella regione ed è potenziata dalla mossa degli Stati Uniti. Insieme al Qatar, suo alleato, ha collaboraro con Hamas. L’Iran collabora con Hamas. L’Iran collabora con la Turchia in Siria. Sulla grande scacchiera iraniana della sua strategia regionale a lungo termine, vede un’altra vittoria.

La decisione degli Stati Uniti di lasciare la Siria orientale appare improvvisa, non avendo informato gli alleati europei o la SDF, né preparando il terreno. Mostra che gli Stati Uniti possono fare politica tramite i tweet, come Trump ha fatto in passato. Che significato ha tutto ciò per Gerusalemme? Significa che l ‘”accordo del secolo” di Washington e altri piani non sono chiari. Una Washington imprevedibile, anche se appare più pro-Israele della precedente amministrazione, lascia più domande che risposte. I nemici di Israele sfruttano questo tipo di incertezza. Si ha la sensazione che mentre gli Stati Uniti sostengono le azioni di Israele nella regione, anche Israele è, allo stesso tempo, solo e non viene consultato sulla strategia regionale.

A breve termine, i piani di Ankara di trasferirsi nella Siria orientale, pezzo per pezzo, sono chiari. Ma la domanda a lungo termine è che beneficio ne trarrà l’Iran e i nemici di Israele. La Russia seguirà da vicino ciò che sta accadendo perché il suo alleato, il regime siriano non vuole che gli Stati Uniti gestiscano l’acquisizione turca della Siria orientale.

In precedenza la Russia aveva firmato un accordo con la Turchia usando lo spazio aereo su Afrin per una campagna. Ma la Russia è preoccupata per l’instabilità di Raqqa e di altre aree in cui in precedenza era presente l’ISIS. Se la SDF combatte la Turchia ci sarà un vuoto di potere. L’Iran colmerà il vuoto? Se lo farà avrà più spazio in Siria per trasferire armi a Hezbollah e agli alleati. Chiunque riemprà quel vuoto, ha una leva sul futuro della Siria e dell’Iraq e sulla sicurezza in tutta la regione. Israele è preoccupato e veglia da vicino.




La memoria corta dell’occidente su Erdogan, l’islamista amico di ISIS
Franco Londei·EditorialiMiddle East·Ottobre 13, 2019·

https://www.rightsreporter.org/la-memor ... -xDOXX7dzk


Scrive Shimrit Meir su Yedioth Ahronoth riferendosi a Donald Trump: «chiunque in Medio Oriente con gli occhi in testa capisce che l’uomo a Washington ha perso la testa».

Meir si indigna non solo per l’aggressione turca al Kurdistan siriano ma soprattutto per quello che lui chiama «un premio ad Erdogan» cioè l’invito alla Casa Bianca fatto da Trump ad Erdogan per il prossimo mese di novembre. Uno sfregio al mondo e soprattutto a chi ha dato la vita per salvarci da ISIS.

Lo sfregio appare ancora più evidente se si torna un po’ indietro nel tempo. Impossibile infatti non ricordare come Erdogan non solo rifiutò di combattere lo Stato Islamico costringendo l’America a intervenire, seppure in alleanza con i curdi, ma come per anni favorì l’espansione di Daesh facendo affari milionari con i terroristi e favorendo il passaggio dei terroristi occidentali attraverso la Turchia.

Erdogan non è un leader qualsiasi. Erdogan è il vertice della Fratellanza Musulmana, una organizzazione internazionale votata alla conquista islamica del mondo che con la sua ideologia ha ispirato lo Stato Islamico, Al Qaeda, Hamas e tanti gruppi terroristici islamici.

Lo dovrebbero ricordare tutti coloro che oggi difendono l’assurda decisione presa da Trump arrampicandosi sugli specchi pur di non ammettere la follia di tale decisione, pur di non ammettere che quel “campione della lotta all’Islam” come veniva definito il Presidente americano dai suoi adepti, alla fine altro non è che l’ennesimo cinico calcolatore che finisce per favorire proprio l’espansione islamica invece di combatterla.

L’invito a Washington poi è proprio una chicca, la ciliegina sulla torta di una follia che davvero non trova una giustificazione plausibile se non appunto con la pazzia.

Non da meno sono gli europei, coloro che hanno dato al leader islamista sei miliardi di Euro per fare in modo che chiudesse milioni di rifugiati siriani in invivibili campi profughi pur di non “disturbarci”, coloro che sono rimasti a guardare oltre 10.000 combattenti curdi morire nella guerra con Daesh, una guerra che i curdi hanno combattuto proprio per l’Europa, per noi.

Abbiamo pagato l’uomo più pericoloso del mondo, l’uomo che da anni lavora indisturbato con la Fratellanza Musulmana per islamizzare l’Europa partendo dai Balcani.

E ora l’Europa non è nemmeno in grado di mettere insieme due parole di condanna per la vergognosa aggressione turca al Kurdistan Siriano.

Il successore della Mogherini, Josep Borrell, nemmeno si è fatto sentire. Sono così preoccupati della minaccia lanciata da Erdogan di inondare l’Europa con milioni di profughi siriani che il solo pensiero gli fa tremare le gambe e cucire le bocche.

Nella mia vita ho sempre difeso l’idea di una Unione Europea che potesse fare la differenza. Oggi mi ritrovo a vergognarmi di far parte di questo assurdo agglomerato di codardi.





Guerra in Siria, Salvini: “Ci vuole lo stop definitivo all’ingresso della Turchia nell’Ue”
13 ottobre 2019

https://www.fanpage.it/politica/guerra- ... ia-nellue/

"L'Italia e l'Europa non possono essere ostaggio delle minacce di un dittatore, punto. Non è normale finanziare e coccolare un dittatore". Lo dichiara il leader della Lega, Matteo Salvini, a margine di un comizio a Perugia, rispondendo a una domanda sul ricatto di Erdogan all'Unione europea sui profughi siriani. E a proposito della posizione del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che si è espresso a favore di sanzioni alla Turchia, aggiunge: "La differenza tra chi sta al governo e chi non sta al governo per scelta è che uno deve fare e l'altro può suggerire. Io posso suggerire, Di Maio e Conte non devono dire, devono fare, non ipotizzare. Sono pagati per questo".

L'ex ministro dell'Interno propone uno stop definitivo a ogni ipotesi di ingresso della Turchia nell'Unione europea: "Chiedo che venga annullato definitivamente ogni finanziamento e ogni ipotesi d'ingresso, presente e futuro, della Turchia in Europa. Sta portando avanti un'azione criminale nel silenzio generale", ribadisce Salvini.

Il segretario della Lega ricorda infatti che attualmente "è sospeso" l'ingresso della Turchia in Europa. Sostiene poi che negli ultimi anni i finanziamenti al Paese "sono arrivati a 15 miliardi. Basta soldi" aggiunge.

Per quanto riguarda la questione immigrazione torna ad attaccare l'esecutivo giallo-rosso: "Di Maio dice che chiude i porti alle ong? Io l'ho fatto…È la differenza tra chi dice e chi fa. Intanto – afferma ancora Salvini – i numeri dicono che gli sbarchi sono in netto aumento. Speriamo che facciano qualcosa".

Arriva poi la conferma ufficiale dell'alleanza del centrodestra per l'Umbria: Salvini, insieme a Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi si vedranno tutti a Perugia il 17 ottobre per sostenere la candidatura di Donatella Tesei. "Lo abbiamo fatto – spiega Salvini – in tutte le altre regioni dove abbiamo vinto, dall'Abruzzo alla Sardegna, dal Molise alla Basilicata".

"Le priorità sono rimettere a posto la sanità, liste d'attesa, concorsi pubblici trasparenti, medici e infermieri migliori, infrastrutture (che non ci sono), sicurezza, contributi alle imprese e migliore gestione delle case popolari e del patrimonio regionale". Per il leader della Lega "un progetto di cambiamento dell'Umbria merita dieci anni di lavoro. E noi siamo pronti".






Siria, l'esercito di Damasco avanza verso nord: "Fermeremo aggressione turca"
Mauro Indelicato - Dom, 13/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sir ... 11HZypf8WA


Dopo alcune indiscrezioni delle scorse ore, arrivano prime conferme sulla decisione di Damasco di inviare truppe siriane verso le zone curde. Il governo di Bashar Al Assad considera quella turca un'aggressione, mentre Usa e Russia mediano con i curdi

La notizia circola da ore sui siti di informazione siriani, ma soltanto nel tardo pomeriggio arrivano le conferme ufficiali: truppe di Damasco stanno entrando nei territori controllati dalle Sdf, ossia le milizie filo curde in questo momento sotto l’attacco dell’esercito turco.

Secondo il governo siriano, come si legge in un lancio dell’agenzia Agi, quella di Ankara è una vera aggressione contro l’integrità territoriale del paese arabo e dunque il presidente Assad ha dato ordine di spostare verso nord i soldati.

Le notizie nel pomeriggio di questa domenica, riferiscono tramite fonti russe di contatti mediati da Mosca ma anche da Washington per portare ad un accordo tra Sdf ed esercito siriano. La prima città oggetto dell’intesa, dovrebbe essere quella di Manbji, a nord di Aleppo: qui dall’agosto 2016 sono presenti le milizie filo curde, le quali hanno cacciato l’Isis durante le loro avanzate ad ovest dell’Eufrate.

Già nei mesi scorsi in realtà in più occasioni si è parlato di un parziale ritiro curdo a favore del ritorno della città sotto l’orbita di Damasco, ma poi non si è mosso più nulla. Adesso, complice l’avanzata turca, sembrerebbe esserci qualcosa di concreto. E non è forse un caso che, nelle stesse ore in cui Assad ha iniziato a muovere le sue truppe verso Manbji e verso aree sotto il controllo dell’Sdf, da Washington Trump ha annuncato lo spostamento di mille militari verso le zone più a sud del confine turco.

L’accordo tra Damasco e curdi in realtà non è stato al momento ufficializzato, ma i movimenti sul campo delle ultime ore stanno mostrando un repentino cambiamento della situazione figlio quanto meno di contatti tra le due parti.

Il contenimento delle avanzate delle milizie filo turche, dovrebbe quindi toccare ad Assad il quale, tra le altre cose, in questo modo riprenderebbe in mano territori che non controlla più da almeno cinque anni. Un modo per Damasco anche per accelerare il processo di riunificazione del paese, anche se ovviamente per adesso la priorità è data dal bloccare l’ingresso di nuovi miliziani dalla Turchia.

E mentre tutti i vari attori sul campo appaiono sempre più, ciascuno per la sua parte, protagonisti delle varie ultime novità, l’Europa invece dal canto suo appare con un ruolo sempre più marginale. L’unico leader del vecchio continente a parlare in queste ore è Emmanuel Macron: il presidente francese, si legge ancora sull’Agi, ha convocato una riunione ristretta all’Eliseo ed avrebbe espresso la sua preoccupazione in merito la possibile crisi umanitaria scaturita dall’attacco turco nel nord della Siria.

Intanto, dopo l’uccisione di nove civili avvenuta ieri a Tal Abyad, prima importante città in mano curda a cadere sotto l’occupazione delle milizie filo turche, in queste ore si sono registrate altre vittime innocenti. In particolare, come ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani, dieci persone sono state uccise a causa di un raid dell’esercito turco lungo alcune località del confine.

Tra di essi anche un giornalista curdo dell’agenzia Hawar News: “Il nostro corrispondente, Saad Al-Ahmad, che stava accompagnando il convoglio, è stato martirizzato”, comunicano gli stessi responsabili della testata curda.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun ott 14, 2019 9:01 pm

JOHN BOLTON E L'AURA DELLA FORZA
Niram Ferretti
14 ottobre 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Rendere merito a John Bolton è, da parte mia, il minimo che possa fare in un momento come questo in cui, la sua concezione del ruolo degli Stati Uniti in Medioriente e nello specifico in Siria, è stata spazzata via dalle decisioni prese dall'amministrazione Trump.

Bolton è un hobbisiano impenitente e come tale sottomesso al principio di realtà. Egli sa che il benessere degli USA non dipende solo dalle sue risorse interne, ma anche dal badare con determinazione a chi nutre nei suoi confronti una avversione altrettanto determinata. I nemici vanno tenuti a bada con fermezza e non bastano, non sempre possono bastare, gli strumenti della persuasione non violenta.

La diplomazia per Bolton è “Uno strumento, non è una politica. È una tecnica, non un fine in se stesso. Premere, per quanto onestamente, affinché possiamo confrontarci con i nostri nemici, non ci dice nulla di quello che accadrà dopo le cortesie iniziali”.

Significa forse che l'ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli USA sia un guerrafondaio, come hanno cercato di farlo apparire i commentatori progressisti? Ovviamente no. Il tertium non datur è, in questo caso, prerogativa dei trinariciuti per i quali o c'è la diplomazia e la negoziazione o c'è, inevitabile, la guerra. Sommamente falso. C'è anche la via di mezzo, c'è l'avvertimento perentorio, c'è la prova di forza racchiusa nell'hors de ouevre che può, all'occorrenza, diventare pasto completo, e di più portate.

Così non fu, quando dopo l'abbattimento del drone americano da parte dell'Iran, il giugno scorso, venne predisposto un raid mirato sull'Iran, fermato all'ultimo momento da Trump, perchè, a suo dire, sarebbero morti anche dei civili. Così non è stato quando l'Iran, tramite gli Houti in Yemen, il 14 settembre scorso ha colpito i pozzi petroliferi sauditi di Khurais e Abqaiq. Attacco avvenuto a poche centinaia di chilometri dalla principale base militare americana fuori dagli Stati Uniti, quella di Al-Udeid nel Qatar.

Occasioni mancate per potere dire, "Ci siamo e potremmo esserci anche di più".

Per la Siria Bolton aveva una idea semplice ed efficace, gli USA sarebbero rimasti nella Siria orientale fino a quando l'Iran se ne fosse andato. Lo scopo era di arginare l'influenza iraniana e ridurre i timori di Israele che il regime di Teheran avrebbe usato il paese come piattaforma d'attacco. In questo modo gli USA avrebbero avuto un ruolo nel futuro assetto siriano mantendendo una zona di influenza regionale anche se limitata nel dispiegamento delle truppe. Ma ci sarebbero stati anche e soprattutto come simbolo seppure in scala ridotta della più grande potenza del pianeta. Il vexillum romano faceva sempre impressione e irraggiava la sua aura anche là dove i soldati erano pochi.

L'aura americana, in Medioriente, già assai attenuata dalla presidenza Obama, è ora praticamente spenta, i vexilla sono stati ritirati.
John Bolton sapeva e sa, che solo l'aura della forza, della sua presenza augusta poteva e può incutere timore, soprattutto in una parte del mondo dove ci si inchina ad essa.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » lun ott 14, 2019 9:02 pm

Turchia, esercito di Erdogan verso Kobane. Le truppe siriane si muovono: sull'orlo della guerra internazionale
14 Ottobre 2019

https://www.liberoquotidiano.it/news/es ... j3qX3TQt0I

La Turchia si appresta ad attaccare Kobane. Le milizie arabe filo-turche e l'esercito di Ankara stanno per sferrare l'offensiva verso la città-simbolo della resistenza curda, dopo essere entrati nel Nord della Siria a Ovest del fiume Eufrate, una zona che era già controllata dalla Turchia.

Nel frattempo, però, sull'altro fronte, non restano inermi: Assad e i curdi hanno trovato un accordo per respingere l'avanzata di Ankara. L'esercito curdo-siriano è giunto al confine entrando nella città di Tel Tamer, dove con molta probabilità ci sarà il confronto con le forze armate turche. Lo scopo di questo dispiegamento di forze, oltre a quello di respingere l'assalto turco, è anche quello di riconquistare le città siriane finite in mano ai turchi, come nella fattispecie Afrin e Suluk, ed è spiegato in un post su Facebook dei curdi delle Forze democratiche siriane (Fds).

La resistenza curdo-siriana, però, potrebbe avere più problemi del previsto: la Russia, secondo quanto annunciato dal presidente turco Reçep Erdogan, avrebbe dato l'ok ad Ankara per poter attaccare Kobane. Il presidente turco ne avrebbe anche approfittato per lanciare delle pesanti frecciatine nei confronti della cancelliera tedesca Angela Merkel e del Primo Ministro britannico Boris Johnson: "Nei nostri colloqui ho capito che c'è una seria disinformazione. Starete dalla parte del vostro alleato Nato, o dalla parte dei terroristi? Ovviamente loro non possono rispondermi a questa domanda retorica". In Europa ancora confidano nel dialogo per risolvere la contesa, ma ormai le forze armate sono già scese in campo e la decisione di Italia e Francia di bloccare l'export di armi verso Ankara potrebbe non bastare.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » mer ott 16, 2019 9:59 pm

È rischio guerra Turchia-Siria Schierati i russi per evitarla
Chiara Clausi - Mer, 16/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 7R5q9Rk63E

Erdogan mirava a Manbij, occupata dalle truppe di Assad: si sposta su Kobane. Ma l'esercito di Mosca vigila

L a Russia critica duramente l'offensiva della Turchia alla Siria nord-orientale, come «inaccettabile».

E aumenta la pressione su Ankara, mentre cerca anche di aiutare il presidente siriano Bashar al Assad a riaffermare il dominio nella regione e colmare il vuoto creato dal ritiro delle truppe statunitensi. Un modo per affermare il ruolo del Cremlino come unico efficace mediatore nel conflitto. Ma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non arretra. Ieri ha precisato che andrà avanti con il suo piano: conquistare un tratto di confine di 480 km dalla città siriana di Manbij fino al confine iracheno. Dovrà accontentarsi di meno. Le forze siriane hanno già preso «il pieno controllo di Manbij e delle località nelle vicinanze». Sono entrati nella città e hanno issato la bandiera nazionale, protette anche dalla polizia militare russa che continua a pattugliare i limiti nord-occidentali dell'area di Manbij. Allo stesso tempo, le forze americane hanno lasciato la città.

L'esercito turco e le milizie arabe filo-Ankara sono state costrette a spostare la loro azione verso Kobane. Erdogan ha ribadito che «andremo fino in fondo, finiremo quello che abbiamo iniziato. Con l'operazione Fonte di pace - ha continuato - la Turchia ha intrapreso un passo vitale quanto l'operazione a Cipro del '74», quando l'esercito turco occupò la parte Nord dell'isola come reazione a un tentativo di golpe filo-greco. Poi ha sottolineato che le truppe turche ora controllano già mille chilometri quadrati di territorio della Siria nord-orientale.

L'invasione turca è stata innescata dal ritiro deciso da Donald Trump, che però ora sembra voler frenare anche lui il leader turco. Il presidente americano punta sulle pressioni economiche e ha deciso di «imporre sanzioni contro ministri ed ex ministri del governo turco». Saranno inoltre aumentati i dazi sull'acciaio sino al 50% e fermati i negoziati per un accordo commerciale con Ankara da 100 miliardi di dollari. «Sono totalmente pronto a distruggere l'economia turca se i leader turchi continuano questa strada pericolosa e distruttiva», ha minacciato su Twitter.

Alla mossa delle sanzioni è seguita la decisione di inviare il vicepresidente americano Mike Pence in Turchia con l'obiettivo di avviare trattative per un cessate il fuoco. «Trump ha detto chiaramente» a Erdogan che gli Stati Uniti «vogliono che la Turchia cessi l'invasione, attui un immediato cessate il fuoco e inizi a negoziare con le forze curde in Siria per mettere fine alla violenza», ha affermato Pence.

Anche la Russia ha fatto sentire la sua voce tramite Alexander Lavrentiev, inviato speciale per la Siria. Lavrentiev ha rivelato che si stanno svolgendo negoziati «in tempo reale» tra la difesa turca e siriana e i loro servizi di intelligence. E ha assicurato che Mosca lavorerà per prevenire uno scontro diretto tra truppe turche e siriane. «Nessuno vuole che questo tipo di scontro avvenga», ha precisato.

Questo quando sul piano umanitario la situazione è diventata insostenibile. Nell'area degli scontri ci sono 275mila profughi e 1,5 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza sanitaria. Molti rifugiati si stanno spostando anche verso la regione semiautonoma del Kurdistan iracheno. Lunedì ne sono arrivati 180 e altri 278 ieri. L'Oms si dice «gravemente preoccupata». Anche per gli attacchi agli ospedali e alle altre strutture sanitarie. Secondo Kerim Has, analista basato a Mosca: «Ankara non ha altra scelta se non quella di raggiungere un accordo con la Russia e gli Stati Uniti».
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » sab nov 30, 2019 8:18 pm

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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » sab nov 30, 2019 8:19 pm

L’ipocrisia europea sulle scelte di Trump in Siria
Il comportamento del presidente americano è stato irresponsabile e immorale, ma i leader europei non hanno titolo per condannarlo se non sono disposti a muovere un dito in aiuto dei curdi
Di Sever Plocker
(Da: YnetNews, 17.10.19)
21 Ottobre 2019

https://www.israele.net/lipocrisia-euro ... eZmBD2Vyx8

Ad una recente conferenza stampa sul destino dei curdi in Siria, il presidente americano Donald Trump ha detto uno sproposito che resterà per sempre inciso con disonore negli annali della politica estera degli Stati Uniti: “L’invasione turca della Siria non è un nostro problema” ha detto Trump. Ed ha aggiunto: “I curdi non sono angeli”. Tutti i leader e gli osservatori europei hanno immediatamente condannato la dichiarazione di Trump, una dichiarazione che merita certamente piena riprovazione. Ma, proprio dagli europei?

L’Europa si trova ad alcune centinaia di chilometri dalla Siria mentre gli Stati Uniti distano diverse migliaia di chilometri. Durante la guerra civile in Siria, il regime di Assad ha provocato il massacro di mezzo milione di cittadini e i vari governi europei non hanno mosso un dito per aiutarli. L’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad è rimasto impunito, con l’unica eccezione del lancio di alcuni missili da crociera Tomahawk su una base aerea del governo siriano ad opera degli Stati Uniti, pochi mesi dopo l’ingresso di Trump alla Casa Bianca. Gli Stati Uniti hanno anche inviato in appoggio ai ribelli siriani un significativo numero di soldati e consiglieri, mentre le forze europee non hanno mandato nessun militare di qualsiasi tipo.

Ora che l’amministrazione Trump ha deciso di ritirare rapidamente le rimanenti truppe americane dalla Siria lasciando di fatto le forze curde a difendersi da sole dall’implacabile esercito turco, l’Europa avrebbe l’occasione di dare espressione alla sua superiorità morale e minacciare direttamente il regime del presidente Recep Tayyip Erdogan con azioni militari. Inutile dire che nessun paese europeo ha preso l’iniziativa.

L’americano Trump ha fatto apertamente e dichiaratamente ciò che l’inglese Boris Johnson, il francese Emmanuel Macron e la tedesca Angela Merkel fanno in pratica e tacitamente, e cioè non fare nulla per aiutare i curdi siriani. Non risulta nemmeno un tweet con la minaccia di bandire la Turchia dalla NATO, e per quanto riguarda eventuali sanzioni economiche: non se ne parla nemmeno. La Germania esporta in Turchia per 23 miliardi di dollari all’anno, la Gran Bretagna esporta in Turchia per 10 miliardi di dollari all’anno, i francesi solo un po’ meno. E questo, senza nemmeno menzionare le minoranze turche in quei paesi che odiano appassionatamente i curdi.

C’è qualcosa di molto irritante nel vedere tutti quegli intervistati sui mass-media europei che condannano con sdegno le scelte di Trump, ma si guardano bene dal porre ai loro capi di governo qualche domanda davvero difficile. Poche decine di soldati e consiglieri statunitensi nel nord della Siria forse non avrebbero fermato l’invasione turca. Un’iniziativa congiunta della NATO guidata dall’Europa avrebbe potuto farlo.

Lo sconcerto espresso dai leader europei per le parole e le azioni di Trump è sfacciato, immorale e ipocrita. Negli anni ’90, quando una guerra a sfondo religioso devastava la ex-Jugoslavia con tanto di crimini e stragi di massa, un’Europa unita non fu disposta a sacrificare nemmeno uno dei suoi soldati per cercare di fermarla. Fu sventata solo quando l’amministrazione americana di Bill Clinton inviò nell’area forze speciali e bombardieri di precisione.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » gio feb 20, 2020 10:38 pm

La Russia colpisce militari turchi a Idlib
Mauro Indelicato
20 febbraio 2020

https://it.insideover.com/guerra/la-rus ... f2aO8NmvJ4

Situazione molto concitata nella provincia siriana di Idlib, l’ultima fuori dal controllo del governo del presidente Assad e teatro nelle ultime settimane di importanti avanzate dell’esercito. A complicare il quadro il diretto interessamento della Turchia in un contrattacco di gruppi islamisti ad ovest della città di Saraqib, località strategica tornata nelle mani dalle truppe di Damasco a fine gennaio. A seguito di un raid, in particolare, due soldati turchi sono rimasti uccisi ed altri feriti. E la tensione adesso è molto alta: Ankara ha accusato Assad, ma da Mosca hanno avvisato che il bombardamento è stata opera russa.


Il raid nell’area di Sarmin

Tutto è avvenuto nella tarda mattinata di questo giovedì, quando aerei russi e siriani si sono alzati in volo per aiutare l’esercito di Damasco a fermare un’offensiva avviata dai gruppi islamisti nell’area di Nayrab. Quest’ultimo costituisce un importante avamposto lungo l’autostrada M5 a pochi chilometri da Saraqib. In quest’area i gruppi filo turchi hanno avuto negli ultimi anni un importante radicamento territoriale. Anche negli scontri interni alle formazioni islamiste presenti ad Idlib avvenuti tra il 2016 ed il 2017, qui a differenza che da altre parti le milizie finanziate da Ankara hanno avuto il sopravvento mentre nel resto della provincia ad avanzare sono stati i gruppi legati a Tahrir Al Sham, nome con cui viene adesso contrassegnato l’ex Fronte Al Nusra. Per questo per i filo turchi appare importante provare a riprendere Saraqib.

L’offensiva è iniziata nelle scorse ore e, come scritto in precedenza, ha richiesto l’intervento dell’aviazione siriana e di quella alleata russa per provare a fermarla. Sono quindi iniziati i bombardamenti contro le postazioni islamiste, ma in uno di questi raid, avvenuto nella zona di Sarmin, sarebbero stati centrati anche dei mezzi dell’esercito turco. Militari di Ankara evidentemente stavano dando aperto e diretto supporto ai miliziani, un’esposizione che è costata la vita ad almeno due di loro. A confermarlo è stato il ministero della difesa turco, secondo cui i soldati uccisi avrebbero subito un’azione dell’aviazione siriana. Sempre secondo il ministero, ci sarebbe già stata una reazione da parte turca con un bombardamento dell’artiglieria lanciato verso le postazioni dell’esercito di Damasco.


Mosca: “Siamo stati noi a colpire”

Ma dalla Russia è arrivata un’altra versione dei fatti. Il ministero della difesa russo, come ha riferito l’agenzia Interfax, si è intestato la paternità dell’azione che ha ucciso due soldati turchi. È stato specificato, in particolare, che aerei russi sono intervenuti a difesa dell’esercito siriano, così come è sempre accaduto dal 2015 in poi quando le truppe di Damasco hanno subito contrattacchi nemici. In questa occasione, i mezzi dell’aviazione di Mosca hanno colpito le postazione dei gruppi islamisti che stavano attaccando l’esercito siriano ad ovest di Saraqib. In questo intervento, sono quindi stati centrati anche mezzi militari turchi che in quel momento stavano aiutando i miliziani ad attaccare le forze del presidente Assad. Nell’intestarsi l’azione che ha portato alla morte dei soldati di Ankara, il ministero della difesa russo ha voluto indirettamente rimarcare le responsabilità delle scelte turche di supportare in campo aperto i propri alleati.

La situazione ricorda da vicino l’episodio dello scorso 3 febbraio, quando altri 5 militari turchi sono morti sempre nella provincia di Idlib. In quell’occasione a sparare erano stati i siriani, i quali avevano aperto il fuoco per colpire le postazioni islamiste nell’ambito dell’azione che ha poi portato alla conquista di Saraqib. E proprio a commento di quanto accaduto all’inizio di febbraio, Mosca ha sottolineato come il mancato avviso, da parte dell’esercito turco, di repentini movimenti nel campo delle proprie truppe ha eccessivamente esposto i soldati al fuoco avversario.

Intanto l’offensiva islamista a Nayrab sarebbe stata respinta, così come comunicato da fonti dell’esercito siriano. Resta però molto alta la tensione: la Turchia non vuole ulteriori avanzate delle forze di Damasco nella provincia di Idlib, mentre la Russia sta supportando Assad nelle operazioni volte a riprendere anche questo territorio. Divergenze non di poco conto tra Mosca ed Ankara che potrebbero far scivolare ulteriormente la situazione.
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Re: Questione siriana, come orientarsi e con chi stare?

Messaggioda Berto » dom mar 01, 2020 9:58 pm

Crisi. Lacrimogeni contro i profughi siriani, Grecia blocca il passaggio dalla Turchia
Marta Ottaviani sabato 29 febbraio 2020

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/la ... aL459wZvpc

La polizia di Atene ha impedito l'ingresso di 4.000 sfollati "liberati" da Ankara. Bloccati nella terra di nessuno sono allo stremo

La Turchia alza i toni, il clima sul confine con la Grecia diviene sempre più violento e le isole elleniche rischiano di esplodere. Sono passate appena poche ore dalla decisione della Mezzaluna di riaprire le frontiere in risposta al dramma di Idlib. Dal punto di vista umanitario, siamo sull’orlo di una tragedia difficilmente gestibile, da quello diplomatico a pochi giorni dall’incontro fra Erdogan e Putin, si è ancora lontani da una de-escalation nel nord della Siria che freni anche il flusso migratorio verso il confine turco, e, di conseguenza, verso l’Europa. La frontiera greca, però, rimane blindata e si prepara a respingere un numero che supera già le 20mila persone. Tale cifra potrebbe aumentare esponenzialmente nelle prossime ore. I poliziotti hanno respinto a suon di cariche e lacrimogeni circa 4mila migranti che sognavano di passare sul territorio dell’Unione Europea. I quali hanno reagito lanciando pietre.

Non va meglio sulle isole di fronte alla Turchia, che, nonostante la stagione non sia delle migliori, da venerdì, hanno visto lo sbarco di circa 150 migranti, soprattutto a Lesbo, Samos e Leros.

Si tratta di territori già messi a dura prova dai flussi migratori, dove i rifugiati vivono in condizioni disumane e dove, nella notte, si sono verificati diversi scontri con la polizia, che fatica sempre di più a tenere la situazione sotto controllo. Non va meglio in Turchia, dove, nella città di Istanbul, i biglietti per gli autobus diretti verso il confine sono ormai oggetto di contrabbando, con famiglie intere disposte a pagare anche un prezzo maggiorato pur di partire. Fonti sul posto hanno rivelato ad Avvenire che alcuni pullman sono messi a disposizione direttamente dal governo di Ankara, ben felice di favorire lo spostamento di migranti, non solo siriani, ma anche afghani e pachistani. Il muro eretto al confine con la Siria, lungo oltre 700 chilometri, invece, rimane ermeticamente chiuso, tenendo fuori, in balìa della violenza e della guerra, migliaia di persone disperate, soprattutto donne e bambini che cercano di fuggire dalla morte. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, va avanti imperterrito con la sua linea.

Dopo aver annunciato che l’esercito della Mezzaluna ha ucciso 2.100 soldati di Assad e distrutto 300 mezzi dell’esercito lealista, il capo di Stato ha ribadito che la Turchia non può sopportare un’altra ondata di migranti. «Le nostre frontiere verso l’Europa resteranno aperte», ha affermato Erdogan, che ieri ha parlato al telefono con il premier ungherese Viktor Orban, il quale, dopo il colloquio, ha rafforzato la frontiera con la Serbia, segno che il panico sul confine greco è destinato a espandersi presto anche nel cuore dell’Europa. Il rischio, è che migliaia di persone, ammesso che riescano a passare, rimangano poi bloccate nei Balcani, in territori già poveri di loro, non in grado di fronteggiare un’emergenza del genere e in un periodo dell’anno in cui le temperature sono gelide. Tutti gli occhi sono puntati sul confronto fra Erdogan e Putin, previsto per la settimana prossima.

Il leader turco è pronto a fare pesare i 34 militari che hanno perso la vita nel bombardamento di venerdì notte, che si vanno ad aggiungere altri altri 17 morti in febbraio. Al capo del Cremlino ha detto chiaramente di farsi da parte in Siria e lasciargli fare con Assad «quello che si deve». La possibilità di un cessate il fuoco nel breve periodo diventa sempre più remota.



Erdogan in difficoltà in Siria torna a ricattare l’Europa coi migranti
Analisi Difesa
Gianandrea Gaiani
28 febbraio 2020

https://www.analisidifesa.it/2020/02/er ... _BGmfTmBAM


Continua l’escalation del confronto tra forze siriane e russe da una parte e truppe turche schierate con le milizie jihadiste dall’altra nella provincia settentrionale di Idlib. È di almeno 34 soldati turchi uccisi e altri 32 feriti il bilancio provvisorio di un raid aereo compiuto ieri sera dalle forze di Damasco mentre fonti indipendenti stimano un numero di morti ancora superiore.

Da settimane l’esercito siriano, con il supporto aereo e di artiglieria della Russia, ha lanciato una vasta offensiva nella provincia di Idlib, ultima roccaforte ancora sotto il controllo delle milizie jihadiste sostenute da Ankara non più solo con armi, munizioni e appoggio logistico ma con una crescente presenza di militari e mezzi pesanti dell’esercito turco.

I combattimenti hanno visto inizialmente ampi successi delle truppe siriane e avrebbero innescato una crisi umanitaria con la fuga di centinaia di migliaia di persone (950 mila, per l’81 per cento donne e minori, secondo le Nazioni Unite, solitamente inclini però a dare credito alle fonti vicine ai ribelli), cui hanno fatto seguito contrattacchi dei ribelli sostenuti dalle forze turche, tutti respinti fino al 26 febbraio grazie soprattutto alle forze aeree russe.

“I militari turchi non dovrebbero stare fuori dalle loro postazioni di osservazione nella provincia siriana di Idlib”, ha sottolineato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, avvallando di fatto quanto dichiarato da Damasco che accusa le truppe di Ankara (altri 3 militari turchi erano stati uccisi il 26 febbraio in situazioni analoghe) di combattere al fianco dei ribelli.

Circostanza negata dal ministro della Difesa turco Hulusi Akar: “non c’erano gruppi armati intorno alle nostre unità militari” ha detto il ministro aggiungendo che “questo attacco è stato compiuto nonostante le informazioni trasmesse ai responsabili russi sulla collocazione delle nostre truppe”. I bombardamenti siriani “sono continuati nonostante un nuovo avvertimento” e “durante l’attacco aereo sono state prese di mira anche ambulanze” giunte sul posto per soccorrere i feriti.

Le difficoltà a distinguere sul campo le truppe turche dai ribelli è dovuta anche al fatto che Ankara ha fornito ai miliziani mezzi e armi del proprio esercito che mantengono l’originale livrea mimetica caratteristica dell’esercito di Ankara. Tra questi mezzi vi sono cingolati da combattimento ACV-15, ruotati BMC Kirpi, obici M-114 e T155 oltre a lanciarazzi campali T-122 Sakarya: veicoli e armi che probabilmente vengono impiegati con equipaggi e artiglieri turchi.

Anche il ministero della Difesa di Mosca ha reso noto che le truppe turche finite sotto il fuoco delle forze armate siriane erano “nelle formazioni dei terroristi” ma ha precisato che i suoi aerei, pesantemente impegnati da settimane nel bombardare le postazioni dei ribelli, non erano impegnati ieri nella zona di Behun, dove sono stati uccisi i militari di Ankara.

La Russia tiene aperto un canale di dialogo con Ankara anche se la battaglia di Idlib sta incrinando in modo crescente i rapporti bilaterali. Mosca del resto sta rafforzando il suo dispositivo militare in Siria.

Nei giorni scorsi nuovi velivoli Sukhoi Su-24 sarebbero giunti nella base siriana di Hmeymin (Latakya) dalla Russia Meridionale mentre ieri Aleksey Rulev, portavoce della Flotta del Mar Nero, ha annunciato che due fregate lanciamissili, la Admiral Makarov e la Admiral Grigorovich, stanno entrando nel Mediterraneo “attraverso gli stretti del Bosforo e del Dardanelli” e “si uniranno alla task force della Marina russa permanentemente di stanza nel Mediterraneo”.

Le due navi della classe Admiral Grigorovich (Project 11356), ordinate in 6 esemplari di cui la metà in servizio, hanno in passato già preso parte alle operazioni militari in Siria: si tratta di fregate da 4mila tonnellate armate anche con missili da crociera Kalibr in più occasioni impiegati per bersagliare le postazioni delle milizie jihadiste in Siria.

Come accaduto anche in occasione di scontri che hanno provocato la morte di soldati turchi (circa 200 i caduti di Ankara dal 2016, per metà registrati quest’anno), Ankara ha risposto all’attacco con un intenso fuoco d’artiglieria contro alcuni obiettivi siriani che nelle ultime ore avrebbero provocato la morte o il ferimento di 329 soldati siriani oltre alla distruzione di 23 tank, 10 mezzi armati e numerosi depositi e armi.

Un bilancio probabilmente esagerato per esigenze di propaganda (i caduti tra le fila dell’esercito turco cominciano ad avere un peso politico e sociale considerevole in Turchia) considerato che l’Osservatorio siriano dei diritti umani (Ondus) , Ong con sede a Londra e non certo schierata al fianco del governo di Bashar Assad, riferisce che la rappresaglia turca abbia ucciso 16 militari governativi lungo la strada che collega Maarrat an Numaan a Saraqeb, a est di Idlib.

L’esercito turco ha rivendicato di aver “neutralizzato” in 17 giorni di scontri almeno 1.709 soldati siriani distruggendo 55 tank, 3 elicotteri, 18 mezzi blindati, 29 obici, 21 mezzi militari e diversi depositi di armi e munizioni del regime. Numeri che Damasco smentisce e nessuna fonte indipendente ha potuto verificare.

Gli scontri non sembrano del resto destinati a cessare. Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan vuole il ritiro di tutte le forze siriane dall’area in cui la Turchia ha allestito dei punti di osservazione, di fatto a protezione della sacca di resistenza dei ribelli jihadisti. Damasco, con l’aiuto di Mosca, rivendica il diritto di liberare dai ribelli l’ultima regione del suo territorio nazionale, area in cui in base al diritto internazionale i turchi costituiscono una forza di occupazione.

L’attacco aereo siriano di giovedì sera potrebbe del resto costituire la risposta al massiccio intervento militare turco che ha sostenuto la controffensiva dei ribelli che, dopo giorni di sconfitte, hanno riconquistato la cittadina Saraqeb, che era stata liberata dalle truppe di Damasco la scorsa settimana.

La conquista del centro abitato collocato all’ incrocio tra le autostrade M4 ed M5 da parte dei ribelli è stata confermata da fonti di stampa turche ma smentita da fonti militari russe: non può al momento essere verificata da osservatori indipendenti sul terreno ma anche l’Ondus ha confermato la sua riconquista da parte dei ribelli affiancati dai turchi.

La Turchia, in evidente difficoltà sul campo di battaglia, sembra voler cercare con ogni mezzo appoggi presso la NATO e l’Europa. Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha avuto un colloquio telefonico con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg per discutere delle possibili misure da prendere nel quadro dell’Alleanza Atlantica, cui potrebbe ora chiedere sostegno militare come fece anche nel 2015 ottenendo però solo lo schieramento di batterie di difesa contro i missili balistici lungo il confine con la Siria.

A Washington qualcuno sembra disposto ad aiutare Erdogan. Il senatore repubblicano Lindsay Graham, influente sostenitore del presidente Donald Trump, ha chiesto un intervento immediato per garantire una no-fly zone sulla provincia di Idlib, tema già affrontato dal ministro della Difesa turco Hulusi Akar con il suo omologo americano Mark Esper.

L’obiettivo evidente è impedire alle forze aeree russe e siriane di sostenere l’offensiva per la riconquista della provincia di Idlib e impedire l’attacco diretto delle truppe di Damasco al suo capoluogo in cui i ribelli di diverse milizie jihadiste si sono barricati.

Della situazione in Siria hanno discusso al telefono anche I capi di Stato maggiore delle forze armate russe e statunitensi, Valery Gherasimov e Mark Milley, che secondo il ministero della Difesa di Mosca “si sono scambiati opinioni sulla situazione in Siria e su altri temi di comune interesse”.

Con l’Europa invece la strategia di Erdogan resta quella di sempre, basata sul ricatto attuato minacciando nuovi flussi di migranti verso i Balcani e la Ue in risposta al mancato sostegno nella sua campagna militare contro le forze governative siriane.

Il governo turco ha infatti dichiarato ieri che non intende più fermare i rifugiati che cercano di raggiungere l’Europa. “Abbiamo deciso – riferisce un alto funzionario del governo turco dietro anonimato – con effetto immediato, di non fermare i rifugiati siriani che cercano di raggiungere l’Europa via terra o via mare. Tutti i rifugiati, compresi i siriani, sono liberi di andarsene nell’Unione Europea”.

“Di fatto, alcuni migranti e richiedenti asilo nel nostro Paese, preoccupati dagli sviluppi” a Iblib in Siria, “hanno iniziato a muoversi verso i nostri confini occidentali” con l’Ue. “Se la situazione peggiora, il rischio continuerà a crescere” ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy, secondo cui tuttavia “non c’ è alcun cambiamento nella politica verso i migranti e richiedenti asilo del nostro Paese, che accoglie il maggior numero di rifugiati al mondo”.

Una minaccia concreta tenuto conto che i primi gruppi di alcune decine di profughi si stanno dirigendo a piedi verso il confine con la Grecia. Lo riferiscono le tv locali, mostrando le immagini di persone in cammino sul ciglio della strada, tra cui donne e bambini. Secondo l’agenzia Dogan, sarebbero circa 300 i migranti siriani, iracheni e iraniani giunti ieri mattina nella provincia frontaliera turca di Edirne (saliti a oltre 25 mila nelle successuve 48 ore con pesanti scontri con le forze di polizia greche che impediscono l’attraversamento del confine).

Il loro passaggio non sarebbe al momento consentito attraverso il valico di frontiera ufficiale di Pazarkule, ma secondo le testimonianze di alcuni di loro non verrebbe più ostacolato l’attraversamento dalle aree rurali e lungo il fiume Evros, confine naturale tra la Turchia e la Grecia.

Le immagini delle tv mostrano inoltre diversi bus e altri mezzi organizzati a Istanbul per condurre gruppi di migranti verso il confine, distante circa 250 chilometri. Secondo fonti di Ankara, è stata data indicazione alla polizia di frontiera di ignorare di fatto il passaggio dei profughi, come anche alla guardia costiera di non bloccare più i natanti in partenza dalla costa egea verso le isole greche.

Se Ankara riaprisse i confini favorendo il trasferimento dei profughi siriani insieme ai migranti di altri paesi mediorientali e asiatici verso le frontiere greca e bulgara e gli europei non provvedessero immediatamente a sigillarle, potrebbe ripetersi l’esodo di uno o due milioni di persone registratosi nel 2015.

Inoltre, ora che i turchi esercitano una forte influenza sul governo libico di Tripoli, anche su questo fronte in contrasto con i paesi europei che vorrebbero fermare il flusso di armi che Ankara invia in Libia, potrebbe indurre Erdogan a forzare la pressione migratoria anche nel Mediterraneo Centrale accentuando i flussi illegali diretti in Italia già in crescita da alcuni mesi grazie anche alla politica dei “porti aperti” attuata da Roma.



Idlib. L'Esercito siriano ribalta la situazione contro le milizie filo-turche. Recuperata Saraqib. La Russia invia nuovi armamenti
L'antidiplomatico
2 marzo 2020

https://www.lantidiplomatico.it/dettnew ... ZyQDuek28Y

Come ha riferito il portale Al Masdar News, l'esercito arabo siriano, insieme a Hezbollah, è riuscito a riconquistare la grande città di Saraqib dopo una lunga giornata di battaglia con ribelli jihadisti e miliziani sostenuti dalla Turchia mella parte orientale della provincia di Idlib.
Supportato da attacchi aerei russi, l'esercito siriano e Hezbollah sono stati in grado di prendere il controllo di Saraqib dopo aver sfondato la principale linea di difesa delle forze nemiche.
Secondo una fonte militare nel nord-ovest della Siria, Le truppe siriane stanno nuovamente combattendo per Saraqib e sta tentando di proteggere l'intera città prima che i miliziani lancino una controffensiva.



L’Iran ha lanciato un attacco missilistico contro le truppe turche al confine con la Siria
2 marzo 2020

https://www.controinformazione.info/lir ... QCSQH3l0vQ

Dopo che l’Iran aveva consegnato un ultimatum alla Turchia, chiedendo la fine immediata dell’occupazione della Siria, e ad Ankara hanno ignorato tale richiesta, l’Iran è passato all’azione ed ha lanciato un attacco missilistico sulle forze turche utilizzando un missile balistico, che è una versione aggiornata del missile balistico a corto raggio sovietico.

Il missile balistico è stato intercettato e distrutto, a quanto sembra, da un sistema di difesa aerea turco sconosciuto, tuttavia fonti riferiscono che un piccolo gruppo di militari turchi è stato comunque colpito dalle schegge dell’esplosione, il che, per inciso, viene confermato indirettamente le informazioni con le fotografie corrispondenti. Non si conosce il numero di eventuali feriti fra le forze turche e le milizie terroriste che affiancano i turchi.
A giudicare dalle fotografie presentate, possiamo davvero parlare di un missile balistico, tuttavia, ovviamente, non è stato ancora individuato, poiché un grande cratere si è formato nel luogo della sua caduta ed ha danneggiato gravemente gli edifici con frammenti che hanno colpito la zona.

È stato riferito che l’ attacco missilistico è stato lanciato dal territorio controllato dalle forze iraniane, tuttavia, secondo la versione ufficiale delle autorità turche, Damasco è dietro l’attacco.

“Le forze filo-iraniane che combattono dalla parte del regime di Bashar al-Assad hanno sparato un missile balistico contro le posizioni dell’esercito turco nel nord della provincia di Idlib. Questo è riferito ai media siriani che riportano il portale di notizie israeliano “Nziv”. Secondo i dati preliminari, stiamo parlando di un missile a medio raggio identico a quello usato dagli Houthi yemeniti contro le forze saudite. È stato riferito che il proiettile è stato abbattuto da un sistema di difesa antimissile schierato al confine tra Turchia e Siria “, riferisce 9tv.co.il.

Punto di esplosione del missile iraniano

Nota: Alcuni esperti parlano di un test di lancio e non escludono che le forze iraniane possano ripetere a breve gli attacchi missilistici, ma la prossima volta potrebbero puntare direttamente contro l’esercito turco in Siria. L’arsenale missilistico iraniano dispone di missili a medio raggio, come gli Fateh-H 110 , che hanno un raggio d’azione compreso tra i 300 e 750 km a combustibile liquido/solido, con alta precisione che potrebbero essere utiizzati in Siria. In alternativa l’Iran potrebbe utilizzare per un prossimo attacco il missile Qiam-1 a medio/lungo raggio, con portata fino a 750 Km. già utilizzato dall’Iran in Iraq contro le postazioni dei terroristi nel Kurdistan iracheno. Tutto indica che l’Iran sia deciso ad utilizzare il suo asenale missilistico a protezione delle proprie forze che operano in Siria in affiancamento all’Esercito siriano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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