Esercito siriano si posiziona a difesa del Kurdistan siriano
26 Dicembre 2018
https://breaking.rightsreporter.org/ese ... y9ztHDO24QSecondo una fonte militare curda le forze democratiche siriane guidate dai curdi (SDF) hanno ceduto il controllo di una città situata a sud-ovest di Manbij all’Esercito arabo siriano (SAA).
La mossa rientrerebbe nella strategia dell’esercito siriano volta a occupare la regione del Kurdistan siriano con la collaborazione delle forze curde prima di qualsiasi invasione turca.
Secondo la fonte l’esercito arabo siriano è attualmente in contatto con alcuni membri delle forze democratiche siriane a Manbij per organizzare la consegna della città all’esercito siriano, il che dovrebbe garantire che l’esercito turco non avrà strada libera nell’invasione del Kurdistan siriano, anche se da Ankara hanno fatto sapere che la mossa a sorpresa dell’esercito siriano non fermerà “l’operazione di pulizia” contro le forze curde.
Il Kurdistan chiede aiuto a Israele: «basta parole, difendeteci»
Sadira Efseryan
Dicembre 26, 2018
https://www.rightsreporter.org/il-kurdi ... ifendeteciPolemico con Netanyahu il direttore del Kurdistan Project at the Endowment for Middle East Truth (EMET): «se Netanyahu crede veramente a ciò che dice allora dovrebbe agire»
Domenica scorsa il ministro della Giustizia israeliano, Ayelet Shaked (nella foto), ha dichiarato che il ritiro delle truppe americane dalla Siria è una decisione sbagliata e che spera che la comunità internazionale non permetta alla Turchia di “massacrare i curdi”.
Lo ha detto in una intervista alla radio dell’esercito. «I curdi sono grandi eroi» ha detto la Shaked «grazie a loro e solo grazie a loro l’occidente è riuscito a sconfiggere il cosiddetto Stato Islamico» ha poi proseguito il Ministro della Giustizia israeliano.
«Sono nostri alleati e spero che vinceranno nella loro battaglia contro i turchi. Spero che la comunità internazionale impedisca a Erdogan di massacrare i curdi in Siria» ha detto ancora la Shaked.
«Questa decisione non aiuta Israele. Piuttosto rafforza Erdogan, un criminale di guerra antisemita che compie massacri del popolo curdo, e lo fa strizzando l’occhio alla comunità internazionale» ha infine concluso Ayelet Shaked.
In Israele tutti (o quasi) concordi che occorre aiutare il Kurdistan
Il Ministro della Giustizia israeliano non è l’unica a pensarla così. In Israele sono tutti (o quasi) concordi sul fatto che Israele dovrebbe in qualche modo aiutare i curdi siriani così come fece a suo tempo con il Kurdistan iracheno.
«Molti in Israele simpatizzano con i curdi perché sono perseguitati dagli stessi paesi o gruppi che odiano anche Israele» ha detto il giornalista israeliano, Seth Frantzman, in una intervista a Kurdistan 24.
Tuttavia in pochi in Israele hanno le idee chiare su come aiutare concretamente il Kurdistan e salvarlo dalle grinfie di Erdogan.
Israele ci aiuti. Basta parole
“Se Netanyahu crede davvero a ciò che dice, allora dovrebbe agire”
Sembra avere invece le idee molto chiare Dileman Abdulkader, direttore del Kurdistan Project at the Endowment for Middle East Truth (EMET).
«Se Netanyahu crede davvero a ciò che dice, allora dovrebbe agire. Basta parole, i curdi sono stanchi di parole vuote» ha detto Dileman Abdulkader a Kurdistan 24.
«Se Netanyahu crede che Erdogan sia un leader così malvagio il cui esercito massacra donne e bambini nei villaggi curdi, dentro e fuori dalla Turchia, può sempre armare i curdi e proteggerli con i tuoi F-35 nuovi di zecca» ha poi concluso polemicamente Abdulkader.
Escludendo a priori (ma forse anche no) che Israele impieghi la sua aviazione per proteggere i curdi, in molti chiedono alla politica israeliana di armare i curdi siriani per combattere i propositi stragisti di Erdogan così come fece con i curdi iracheni che combattevano Saddam Hussein, ma sono operazioni complesse.
Chi potrebbe veramente fare qualcosa per proteggere il popolo curdo dalle mire stragiste di Erdogan è la comunità internazionale, a partire dalle Nazioni Unite fino all’Unione Europea.
A parte le pressioni politiche, le Nazioni Unite potrebbero dispiegare abbastanza velocemente un contingente di caschi blu così come ha fatto in Libano, mentre l’Unione Europea potrebbe dare un contributo economico per il mantenimento di questa forza di interposizione.
Ma per farlo serve il parere favorevole del Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove tra i membri permanenti c’è la Russia che ha diritto di veto. Difficilmente Mosca permetterà a forze dell’Onu di entrare in Siria. Troppi occhi indiscreti.
L’Europa non ha un proprio esercito e non riuscirebbe mai a mettere insieme una forza di contrapposizione.
Alla fine cosa rimane ai curdi per non essere massacrati da Erdogan se non le armi che potrebbero essere fornite da una mano amica quale è Israele?
Mai dimenticare:
quando i Kurdi turchi e maomettani sterminavano i cristiani armeni in Turchia
Deportazione:altri Olocausti, lo sterminio degli Armeni
Lo sterminio degli Armeni 1915-1918
di Alberto Rosselli
http://www.storiaxxisecolo.it/deportazi ... altri1.htm I curdi chiedono aiuto ad Assad. E l'esercito siriano arriva a Manbij
Lorenzo Vita
http://www.occhidellaguerra.it/curdi-assad-manbij L’annuncio del ritiro degli Stati Uniti dalla Siria cambia il corso della guerra. E così non deve stupire che cambiano anche le alleanze.
In Siria il vento sta cambiando
Il nord della Siria, dove i soldati delle forze speciali americane combattevano insieme ai curdi nell’ambito della coalizione internazionale anti-Isis è diventato ora il palcoscenico di un grande rimescolamento delle carte. Con l’abbandono del terreno da parte di Washington, il rischio, specialmente per i curdi, è che si ritrovino a dover affrontare l’avanzata dell’esercito turco, che dopo le operazioni Scudo dell’Eufrate e Ramoscello d’Ulivo aveva fatto capire di avere un solo obiettivo: trasformare il nord della Siria in un protettorato di Ankara eliminando l’etnia curda.
L’idea che circola ormai sempre più insistentemente nel Kurdistan siriano, diventata ormai una certezza, è di aver sbagliato tutto. L’alleanza con gli Stati Uniti si è rivelata un errore strategico che ora le milizie curde rischiano di pagare a caro prezzo. Donald Trump è stato chiaro: ora in Siria devono pensarci gli alleati. E quel richiamo specifico alla Turchia ha fatto suonare più di un campanello d’allarme. Per le milizie curde, quello che stava avvenendo era da considerare un vero e proprio tradimento.
Così, la prima mossa delle milizie è stata quella di rivolgersi alla Francia, altro Paese presente nel nord-est della Siria con centinaia di uomini. Soldati delle forze speciali che operano insieme a curdi e americani nel settore di Manbij e non solo, e a cui le unità popolari (Ypg) chiedono adesso protezione dalle mire di Recep Tayyip Erdogan.
Ma da parte di Parigi, garanzie non sono arrivate. Emmanuel Macron è un leader troppo debole e in balia degli eventi per dare certezze. Ed Erdogan ha già detto al suo omologo francese che pagherà le conseguenze di un suo intervento a fianco dei curdi. Dichiarazioni che non possono mai essere sottovalutate quando arrivano da Ankara. La Turchia ha le armi per dare filo da torcere a tutti. E in Medio Oriente, soprattutto a sud della Turchia, l’esercito del Sultano è un elemento fondamentale nello scacchiere Nato e per la stabilità della regione.
I curdi chiedono aiuto ad Assad
Così, i curdi, consapevoli di avere perso l’appoggio dell’Occidente, ora tornano da Bashar al-Assad, che grazie ai russi, agli iraniani e all’incrocio di interessi geopolitici, è ancora lì, a Damasco. Le Unità di Protezione Popolare (Ypg) hanno chiesto al presidente siriano di aiutarli a proteggere il nord della Siria: “Invitiamo le forze del governo siriano, che sono obbligate a proteggere il Paese, la nazione e le sue frontiere, a prendere il controllo delle aree dalle quali si sono ritirate le nostre forze, in particolare Manbech, e a proteggerle contro un’invasione turca”. Questo il testo della nota diffusa dai leader curdo-siriani.
Le forze di Damasco arrivano a Manbij
E intanto, qualcosa comincia a muoversi. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, il famigerato gruppo legato all’opposizione con base nel Regno Unito, fa sapere che Damasco ha inviato truppe e mezzi militari alle porte di Manbij: lì dove la Turchia starebbe preparando l’ingresso delle truppe. Secondo Rami Abdel-Rahman, capo dell’Osservatorio, “queste forze sono state inviate in aree vicine a Manbij con l’obiettivo di impedire qualsiasi attacco violento della Turchia”. Notizia confermata anche da una fonte vicina al governo siriano, che ha informato l’agenzia Dpa dell’arrivo nella provincia di una brigata della guardia presidenziale siriana e di un battaglione dell’artiglieria. Un portavoce dell’esercito siriano, in una dichiarazione televisiva, ha detto che la bandiera è stata sollevata a Manbijdopo sei anni di guerra.
La strategia russa prende forma
Per i curdi una mossa disperata: ma forse l’unica in grado di dare una garanzia reale di stabilizzazione dell’area. E per la strategia di Assad (e quindi di Vladimir Putin), questo potrebbe essere un momento importantissimo. Per evitare la possibile avanzata turca, il governo siriano riprenderebbe definitivamente il controllo di un’area dove fino a poche settimane fa si pensava che non avrebbe più avuto autorità. Un modo per evitare lo smembramento del Paese ma anche per strappare alle forze della coalizione occidentale uno dei principali alleati sul campo. E non è un caso che, da mesi, Mosca operi per portare i curdi dalla parte di Damasco coinvolgendoli nei negoziati per il futuro del Paese.
“Di certo, questo aiuterà a stabilizzare la situazione – ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov – l’ampliamento della zona sotto il controllo delle forze governative è senza dubbio un trend positivo”.
???
Siria, 8 anni dopo: Assad resiste. E il Califfo non è stato sconfitto
Gian Micalessin - Dom, 30/12/2018
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 22640.html Intesa Russia-Turchia: Erdogan non attaccherà i curdi
Gli Usa lasciano il Paese: è Putin l'unico attore rimasto
Da ieri la guerra in Siria è praticamente finita. Le ultime incognite, dopo la riconquista di gran parte del Paese per mano di Bashar Assad, riguardavano la provincia di Idlib, tuttora occupata da decina di migliaia di jihadisti, e i territori curdi del nord-est minacciati - dopo l'annunciato ritiro americano - da un'invasione turca.
A rimuovere la minaccia di un'offensiva contro quei miliziani dell'Ypg considerati terroristi da Ankara in quanto fedeli al Pkk di Abdullah Ocalan, ci ha pensato il Cremlino. Nonostante le bellicose promesse delle ultime settimane, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha accettato il diktat di Vladimir Putin, rinunciando ad affrontare l'esercito siriano entrato venerdì a Manbij e pronto ad affiancare le milizie dell'Ypg anche in tutti gli altri centri curdi con il procedere del ritiro americano. Un diktat messo nero su bianco ieri a Mosca durante gli incontri tra il ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar, quello degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, e il capo dei servizi segreti, Hakan Fidan, con i rispettivi ministri russi. Un summit definito «assai utile» dal titolare degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, che ha spiegato come Ankara abbia accettato di lavorare nel «rispetto incondizionato della sovranità e dell'integrità territoriale della Siria».
Erdogan, pronto nei prossimi giorni a incontrare Putin per sottoscrivere l'intesa, avrebbe rinunciato, insomma, a utilizzare i carri armati e qualche migliaio di ribelli siriani, trasformati in obbedienti milizie filo-turche, per occupare i territori curdi. In verità i colloqui di Mosca non sono stati altro che il riconoscimento dello scacco matto subìto da Ankara venerdì pomeriggio quando le milizie dell'Ypg hanno aperto le porte di Manbij alle truppe di Damasco accettando la sovranità e la protezione offerta da Damasco in cambio di una piena autonomia territoriale.
Ovviamente le truppe di Assad, logorate da otto anni di conflitto, e le milizie curde non sarebbero bastate, da sole, a vanificare un eventuale assalto della macchina da guerra turca. Ma a rendere assai solida l'asse curdo-siriano ha contribuito l'appoggio politico e militare di un Vladimir Putin con cui è sempre meglio non tirare la corda, come Erdogan ha imparato a proprie spese dopo aver abbattuto un aereo russo nel dicembre 2015. Consapevole delle incognite innescate dal ritiro annunciato da Donald Trump, il Cremlino nei giorni scorsi non si era limitato a sollecitare un'intesa tra Damasco e i curdi, ma aveva fatto capire di essere pronto a utilizzare la propria aviazione per difendere l'integrità territoriale del Paese e bloccare eventuali interventi turchi.
L'accordo, imposto con la forza da Mosca, apre nuove prospettive anche per la soluzione del nodo di Idlib, l'ultima grande provincia siriana ancora in mano ribelli. Un nodo inestricabile fino a quando Ankara non rispetterà l'impegno assunto con Mosca di disarmare e accogliere sul proprio territorio le decine di migliaia di jihadisti ancora presenti in quei territori. Ma la tempestiva soluzione dell'incognita turco-curda dimostra soprattutto come il ritiro deciso da Trump trasformi Putin nell'unico e vero ago della bilancia di un'imminente e auspicabile pace siriana. Un epilogo alquanto sconfortante per un'America che durante la presidenza Obama aveva strenuamente difeso la necessità di far cadere Bashar Assad. Oggi, dopo otto anni di carneficine e oltre 300mila morti, Assad è ancora al suo posto, l'Isis e le milizie jihadiste, figlie di quella stessa guerra, sono ancora lontane dall'essere sconfitte, mentre Erdogan si è trasformato da alleato in imbarazzante spina nel fianco della Nato. Un epilogo reso ancor più sconfortante dal via libera di Trump a un ritiro che, oltre a sancire il ridimensionamento degli Stati Uniti, diventa anche il riconoscimento dell'egemonia russa nella regione.