L'offensiva turca in Siria infiamma tutta la regione
Laura Cianciarelli
10 ottobre 2019
https://lanuovabq.it/it/loffensiva-turc ... icrvm25nvsLa penetrazione turca nella regione curda della Siria sta riaccendendo i conflitti che covavano sotto la cenere. Le truppe di terra sono entrate per almeno 7 chilometri in territorio siriano mentre i raid aerei hanno colpito obiettivi fino a 30 km all'interno del Paese. Russia e Iran contrari all'offensiva, il governo di Damasco deve ancora decidere l'obiettivo da perseguire.
Bombardamenti turchi contro i curdi in Siria
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dato avvio alla nuova campagna in territorio siriano. “Le Forze armate turche” – si legge nel breve comunicato – “insieme all'Esercito siriano libero hanno lanciato l'operazione Primavera di pace, con l'obiettivo di prevenire la creazione di un corridoio del terrore a sud del confine turco e portare pace nell'area”.
Una mossa che non è certo giunta come un fulmine a ciel sereno. Da tempo, infatti, Ankara minacciava l'invasione del territorio nordorientale siriano allo scopo di creare una zona cuscinetto – dell'estensione di circa 30-40 chilometri –. Con una triplice finalità: “liberare il territorio dal terrorismo”, impedire che la nascita di uno Stato curdo oltre il confine meridionale della Turchia galvanizzasse i curdi presenti nel Paese; e ricollocare i profughi siriani rifugiatisi in Turchia.
Finora, tuttavia, le ambizioni turche erano state frenate dalla presenza nell'area delle truppe statunitensi, per le quali i curdi siriani hanno rappresentato un alleato chiave nella lotta contro lo Stato Islamico. Negli ultimi mesi, inoltre, il progetto condiviso per una “safe zone” sembrava essersi finalmente concretizzato: Ankara e Washington avevano raggiunto un accordo per la creazione del c.d. “corridoio di pace”, eseguendo anche le prime fasi del piano, quali il ritiro delle Syrian Democratic Forces (Sdf) dalle loro roccaforti nel nord-est della Siria e alcuni pattugliamenti congiunti turco-statunitensi.
Segnali positivi che, tuttavia, non sono risultati sufficienti, almeno nella prospettiva turca. Più volte, infatti, Ankara ha accusato gli Stati Uniti di non “aver fatto abbastanza” per la realizzazione della zona cuscinetto, arrivando anche a lanciare un ultimatum a Washington - scaduto alla fine di settembre - con il quale Erdogan minacciava un intervento unilaterale della Turchia nel nord della Siria.
Dalle parole ai fatti. Compresa la serietà della minaccia turca, domenica scorsa (6 ottobre), il presidente americano, Donald Trump, ha annunciato la decisione di disimpegnarsi dalla Siria, ritirando le truppe statunitensi e dando de facto il “via libera” alla campagna di Ankara.
Pochi giorni dopo, il 9 ottobre scorso, le truppe turche – con l'appoggio dall'Esercito siriano libero, i ribelli sostenuti da Ankara negli anni della guerra civile siriana – hanno lanciato la campagna militare contro i curdi siriani. Ventiquattro ore più tardi, le truppe di terra turche sono penetrate per almeno 7 chilometri in territorio siriano, raggiungendo la città di Tal Abyad. Alcuni raid aerei avrebbero inoltre centrato obiettivi situati fino a 30 chilometri all'interno del Paese.
Niente pace, dunque, per la Siria, la cui mappa del conflitto appare nuovamente stravolta. Abbandonati dagli Stati Uniti, i curdi potrebbero infatti rivolgersi al governo siriano - dal quale hanno cercato di rendersi autonomi negli ultimi anni - o alla Russia, affinché riempiano il vuoto lasciato dalle truppe americane. Prospettiva caldeggiata anche da Mosca che, pur capendo le esigenze di sicurezza di Ankara, sta spingendo Damasco a negoziare con i curdi per fare fronte comune e salvaguardare l'integrità territoriale della Siria. Contrario all'offensiva turca, anche l'Iran - altro importante alleato di Bashar Al-Assad -, che ha intimato ad Ankara di ritirare le proprie truppe dal territorio siriano, dando il via ad alcune esercitazioni militari non preannunciate al confine con la Turchia, verosimilmente in funzione deterrente.
Per nulla scontata, invece, la risposta di Damasco. Le forze pro-Assad si starebbero concentrando nei pressi di Manbij e Deir Ez-Zour, ma non è ancora chiaro quale sia il loro obiettivo: se sostenere i curdi contro le ingerenze esterne o approfittare dell'offensiva per riprendere possesso del territorio. Dal marzo 2016, infatti, il territorio corrispondente alle aree di Afrin, Al-Jazira, Kobane, Tal Abyad e Shahba farebbe parte di uno “Stato curdo”, mai riconosciuto ufficialmente da Damasco.
Le conseguenze dell'offensiva turca potrebbero anche travalicare i confini siriani, riguardando direttamente l'Occidente. Nonostante la sconfitta territoriale dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, l'ideologia dell'Isis è ancora molto viva tra i suoi seguaci, in particolare negli ex territori del califfato, dove si nascondono numerose cellule dormienti.
Costrette a ricollocarsi per affrontare la minaccia turca, le forze di sicurezza curde potrebbero abbandonare il territorio nord-orientale della Siria – in cui si concentra la presenza dei jihadisti -, lasciando il fronte scoperto e vulnerabile. Ad aggravare la situazione anche lo “stand-by” in cui è stata posta la missione a guida Usa impegnata nella lotta allo Stato Islamico in Siria, proprio in concomitanza con l'avvio dell'operazione “Primavera di pace” (9 ottobre).
La diminuzione delle forze di sicurezza a guardia delle prigioni curde, nelle quali sono detenuti gli jihadisti, rischia di favorire l'evasione dei membri dell'Isis, tra cui numerosi foreign fighters. Proprio in concomitanza con l'avvio dell'offensiva turca, nel campo di Al-Hol, i detenuti hanno attaccato le guardie e dato fuoco alle tende in cui risiedono. Senza contare i “danni collaterali” dei raid aerei turchi. Il giorno successivo all'avvio della campagna militare (10 ottobre), è stata colpita una prigione gestita dai curdi, nella quale sarebbero stati detenuti alcuni tra i più pericolosi combattenti, arruolatisi nelle file dell’Isis e provenienti da circa 60 diversi Paesi.
LA GUERRA CHE NON FINISCE PER DECRETO
Niram Ferretti
13 ottobre 2019
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063Nella sua lettera a Donald Trump del dicembre 2018, dopo avere rassegnato le dimissioni da Segretario alla Difesa, il Generale James Mattis, scriveva.
"Una convinzione fondamentale che ho sempre sostenuto è che la nostra forza come nazione è indissolubilmente legata alla forza del nostro sistema unico e completo di alleanze e partnership. Mentre gli Stati Uniti rimangono la nazione indispensabile per il mondo libero, non possiamo proteggere i nostri interessi o svolgere quel ruolo in modo efficace senza mantenere forti alleanze e mostrare rispetto per quegli alleati. Come lei, ho detto fin dall'inizio che le forze armate degli Stati Uniti non dovrebbero essere i poliziotti del mondo. Invece, dobbiamo usare tutti gli strumenti del potere americano per provvedere alla difesa comune, incluso fornire una leadership efficace alle nostre alleanze. Le 29 democrazie della NATO hanno dimostrato questa forza nel loro impegno a combattere al nostro fianco in seguito all'attacco dell'11 settembre contro l'America. La coalizione Defeat-ISIS di 74 nazioni è un'ulteriore prova.
La mia opinione su come trattare gli alleati con rispetto e sull'avere una visione lucida sia sugli agenti maligni che su i concorrenti strategici sono fortemente sostenute e informate da oltre quarant'anni di approfondimento su questi temi. Dobbiamo fare tutto il possibile per far spingere un ordine internazionale che sia maggiormente favorevole alla nostra sicurezza, prosperità e ai nostri valori, e siamo rafforzati in questo sforzo dalla solidarietà delle nostre alleanze".
I punti esposti da Mattis sono chiari. Gli Stati Uniti, per come è configurato il mondo, per i loro interessi ramificati, per la tutela dell'ordine mondiale, non possono permettersi di fare ciao ciao con la manina e lasciare il resto del pianeta a sbrigarsela da solo. E il motivo è molto semplice, non perchè debbono fare da bandante agli altri, ma perchè se lo facessero si darebbero la zappa su i piedi. Chi non capisce questa cosa non ha la più pallida idea di cosa sia la geopolitica.
Ora, apprendiamo da Mark Esper, successore di Mattis alla Difesa che “Non abbiamo abbandonato i curdi. Vorrei essere chiaro su questo. Non li abbiamo abbandonati. Nessuno ha dato il via libera a questa operazione da parte della Turchia - esattamente il contrario. Ci siamo spinti molto indietro a tutti i livelli perché i turchi non iniziassero questa operazione ”.
Si resta davvero basiti. Siamo alla negazione totale dei fatti, della realtà. E' stato Donald Trump, dopo una telefonata con Erdogan. a dare il via libera all'operazione turca nel nordest della Siria. E' un fatto graniticamente incontestabile. Ed è una decisione che Trump stesso ha difeso chiaramente e inequivocabilmente. Nessuno può smentirla.
La verità è che si sono accorti (non ci voleva un genio) che la decisione di dare il via libera alla Turchia è stata una decisione sbagliata. Lo avevano capito in molti, anche all'interno del GOP. E in molti, anche assai vicini al presidente. E' poi successo un fatto rilevante che potrebbe avere un peso sul piano elettorale, e Trump è molto attento al piano elettorale anche in vista delle prossime elezioni. I cristiani evangelici, suoi granitici sostenitori lo hanno apertamente criticato per avere lasciato i curdi alla mercè dei turchi. Ci ha fatto caso.
C'è poi un altro fattore che riguarda il teatro di guerra, si tratta dei 10,000 prigionieri dell'ISIS sotto tutela curda, e il rischio concreto che, liberati, ricostituiscano nuove cellule jihadiste. E' sempre Mattis che lo ha sottolineato,
“Potremmo volere che una guerra sia finita; possiamo persino dichiararla finita. Puoi ritirare le tue truppe come ha fatto il presidente Obama in Iraq pagandone e conseguenze, ma il "nemico ottiene il voto", diciamo nell'esercito. E in questo caso, se non manteniamo la pressione, allora ISIS si riprenderà. È assolutamente scontato che torni".
Tutta la retorica sentimentale dei soldati americani morti (e ne sono morti davvero pochi ultimamente), tutta la retorica isolazionista del "se la sbrighino da soli", "sono guerre loro", purtroppo si deve scontrare con la realtà.
La guerra contro il radicalismo islamico, la guerra contro il jihadismo, non è finita e non finisce quando lo dichiara Trump o chiunque altro. È una guerra in corso da decenni e durerà ancora molto a lungo e gli Stati Uniti sono uno dei bersagli principali insieme a Israele.
Non resteranno immuni da attentati, violenza a fanatismo lasciando il Medioriente e illudendosi di potersi rifugiare in una inesistente isola felice.
Quando Trump sarà stato consegnato all'archivio della storia il jihadismo sarà esattamente lì dove si trova adesso.
Spartizione siriana: vantaggi per tutti, tranne i curdi
Gianandrea Gaiani
13 ottobre 2019
https://lanuovabq.it/it/spartizione-sir ... s.facebookÈ facile prevedere la vittoria dei turchi sulle deboli milizie curde nel Nordest della Siria. La Turchia (come gli Usa e la Coalizione) è una presenza illegale in Siria. La reazione debole di Russia e Usa all'Onu fa intendere però che la mossa turca fosse concordata. Una spartizione che avvantaggia tutte le parti, tranne i curdi.
Siria settentrionale, soldati turchi al fronte
Se le prospettive politiche dell’offensiva turca in Siria appaiono quasi scontate, quelle militari lasciano aperte alcune incognite, specie se si vogliono valutare gli sviluppi a medio-lungo termine. Tutte le forze militari straniere presenti in Siria "illegalmente", quindi senza il consenso del governo di Bashar al-Assad, devono lasciare il Paese, ha detto ieri il presidente russo Vladimir Putin. "È qualcosa che dico apertamente ai nostri colleghi: il territorio siriano deve essere liberato dalla presenza militare straniera e l'integrità territoriale siriana deve essere ripristinata", ha detto Putin.
Una valutazione che può apparire scontata, tenuto conto che i militari russi costituiscono la sola presenza militare straniera richiesta dal governo di Damasco, ma che ha il merito di evidenziare un dato che nel mondo non ha avuto l’impatto che avrebbe meritato anche in termini di rispetto de diritto internazionale. La presenza in Siria di truppe della Coalizione statunitensi, britanniche e francesi è del tutto illegale in termini giuridici. Anzi, costituisce un atto di aggressione e di guerra nei confronti dello Stato siriano. La Coalizione anti-Isis a guida USA è stata invitata a intervenire in Iraq dal governo di Baghdad, ma non da quello di Damasco. Al tempo stesso anche la presenza turca nel nord del paese, da Idlib ad Afrin e oggi lungo tutta la frontiera fino ai confini iracheni, è del tutto illegittima. Una premessa spesso ignorata in Europa da media e politica, sempre attenti però su altri scenari (dalla Crimea, alla Cisgiordania all’immigrazione illegale) a evidenziare proprio gli aspetti legati al diritto internazionale.
Sul piano militare la penetrazione turca ha già raggiunto in alcuni settori la decina di chilometri, circa un terzo della profondità di 30/32 chilometri prevista dall’operazione lanciata da Ankara per costituire la fascia di sicurezza. Almeno tre i caduti turchi nelle prime 24 ore dell’offensiva, ma sarebbero di più i miliziani dell’Esercito Siriano Libero alleato di Ankara e impiegato come “apripista” contro le forze curde. Venerdì sera il comando turco ha annunciato di aver eliminato 399 “terroristi”, termine con cui vengono indicati i combattenti delle Unità di protezione popolare (YPG) curde. Numeri forse esagerati dalla propaganda ma non c’è dubbio che Ankara sta impiegando senza risparmio né esitazioni armi pesanti e artiglieria, come dimostra anche il bombardamento della base americana di Kobane, evacuata dalle truppe Usa che secondo il Pentagono non avrebbero subito perdite. Danni collaterali, per una volta statunitensi, che confermano la volontà turca di assumere il controllo di tutte le città del nord della regione curda del Rojava da cui potrebbero venire cacciati 2,5 milioni di curdi, da rimpiazzare nei piani di “ingegneria etnica e demografica” di Ankara con 3 milioni di profughi siriani arabi.
Difficile poi non notare come quell’Occidente tutto che si commosse e trepidò per la resistenza curda quando Kobane rischiava di cadere nelle mani dell’Isis oggi non fa una piega di fronte all’invasione della stessa città da parte di truppe turche e milizie islamiste aderenti alla Fratellanza Musulmano, non meno jihadista dell’Isis. Sono, del resto, scarse le possibilità delle YPG di fermare i circa 10mila militari turchi e i loro alleati siriani dell’ESL (14 mila uomini impiegati nell’operazione): i curdi non dispongono né di velivoli né di una reale capacità di difesa contraerea. È vero che gli USA hanno abbondantemente armato e finanziato l’YPG per combattere l’Isis, ma solo con armi di impiego terrestre dal momento che lo Stato Islamico non disponeva di forze aeree. Per questo oggi le YPG, pur contando su circa 35mila combattenti in tutta la Siria orientale, non sono in grado di opporre una costante resistenza frontale all’avanzata nemica pur mettendo in atto imboscate, azioni di disturbo e bombardamenti di mortai che colpiscono il territorio turco. I pochi mezzi pesanti a disposizione sono i carri T-55 e i cingolati BMP-1 sottratti all’Isis che a sua volta li aveva sottratti all’esercito siriano. Sul medio lungo termine però la capacità dei curdi di mantenere una forte pressione sul nemico all’interno della fascia di sicurezza potrebbe incrinare la capacità politica di Ankara di sopportare costi finanziari e umani dell’occupazione della fascia di sicurezza.
Persino Israele nel 2000 dovette abbandonare la “fascia di sicurezza” nel Libano meridionale a fronte dell’insofferenza della società di fronte ai caduti registrati in quei territori. Possibile che anche i turchi subiscano nel tempo un simile logoramento anche se i recenti attacchi dell’Isis contro le postazioni curde lungo il confine turco lasciano intendere che Ankara abbia già un’intesa con le milizie del Califfato per contrastare i curdi in tutta la Siria orientale. Un’ipotesi che potrebbe vedere la tanto temuta liberazione da parte delle autorità turche dei 12mila combattenti del Califfato detenuti nelle prigioni del nord della Siria che i curdi stanno abbandonando sotto l’incalzare delle truppe di Ankara.
A breve termine i curdi sembrano destinati a rifugiarsi tra le braccia del governo siriano e dei russi, che due anni or sono avevano sconsigliato le autorità curde dal fidarsi delle promesse statunitensi. Damasco, che soffre la carenza di truppe e ha il grosso delle sue forze di prima linea schierate intorno a Idlib, ultima roccaforte delle milizie ribelli, ha tutto l’interesse a riprendere il controllo dei pozzi di gas e petrolio dell’est oggi in mano a curdi e truppe americane così come ha interesse a farli presidiare dai curdi inquadrati all’interno dello Stato siriano con un’ampia un’autonomia e con il supporto di Mosca.
Del resto la posizione morbida assunta da Russia e Stati Uniti di fronte a una risoluzione dell’Onu di condanna ad Ankara, induce a credere che vi sia un fondamento alle indiscrezioni sull’intesa raggiunta alcune settimane or sono in base alla quale Mosca e Damasco avrebbero accettato l’invasione turca del nord in cambio del via libera per schiacciare i ribelli a Idlib. Un accordo gradito forse anche a Donald Trump che avrebbe così l’opportunità di ritirare l’ultimo migliaio di soldati americani ancora schierati in Siria. Un compromesso che comporta vantaggi, limitati ma pur sempre vantaggi, per tutti tranne ovviamente per i curdi.
Crisi siriana, ora il governo turco blocca i social media
Roberto Bordi - Dom, 13/10/2019
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/cri ... 4ldXQb0HWIIl principale fornitore turco di servizi internet, Türk Telekom, parzialmente di proprietà del governo turco, ha bloccato l'accesso ai social media durante i primi due giorni dell'offensiva in Siria denominata "Primavera di Pace"
Accesso limitato ai principali social media (Facebook, Instagram, Twitter e Whatsapp) in almeno tre città della Turchia meridionale nelle prime 48 ore di "Primavera di Pace", l'operazione militare lanciata nella Siria settentrionale, mercoledì scorso, dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan per contrastare l'egemonia curda nella regione.
Lo riporta Wired.
Il blocco ai social network, comprese le più popolari piattaforme di messaggistica istantanea, sarebbe scattato alle 21 di martedì, dunque poche ore prima dell'inizio dell'attacco. A subire questa limitazione gli utenti di alcuni dei più importanti centri della Turchia meridionale: Gaziantep, Şanlıurfa e Hatay. Il blocco è stato reso possibile dal fatto che la maggior parte delle persone sono abbonate al gigante delle telecomunicazioni del Paese, Türk Telekom, di gran lunga il principale fornitore turco di servizi internet e parzialmente di proprietà dello Stato. Secondo NetBlocks - organizzazione non governativa fondata nel 2017 che monitora la sicurezza informatica e la governance di Internet - gli utenti in altre parti del Paese sarebbero state in grado di usare normalmente la connessione. La stessa ong spiega che non è la prima volta che in Turchia viene limitato l'accesso a internet. Era già successo, per esempio, nell'agosto 2017, quando siti come Facebook, Twitter, YouTube, Vimeo e Instagram erano stati chiusi per circa sette ore.
"Probabilmente non sarà l'ultima volta", ha commentato Adrian Shahbaz, direttore della ricerca per la tecnologia e la democrazia alla Freedom House, ong con sede a Washington impegnata in attività di ricerca su democrazia, libertà politiche e diritti umani. Sempre nel 2017 - dunque prima del presunto colpo di Stato contro Erdogan che sarebbe stato organizzato dal liberal Fethullah Gülen - anche l'enciclopedia online Wikipedia era stata bloccata per alcune ore. "Le autorità turche - ha aggiunto Shahbaz - hanno regolarmente bloccato l'accesso ai social media in alcune parti del paese negli ultimi anni, di solito a seguito di attacchi terroristici, perdite politicamente dannose o proteste dei cittadini". Ma non solo, perché negli anni centinaia di migliaia di siti internet sono stati resi off-limits per i motivi più disparati: dalle differenze politiche fino alla presenza di contenuti più o meno espliciti.
Per quanto riguarda l'ultimo blocco ordinato dal governo (e durato due giorni), la misura è stata evidentemente messa in pratica per limitare il margine d'azione di cittadini e giornalisti che, nel tentativo di eludere la censura governativa, avrebbero pubblicato direttamente sui social video e commenti dell'aggressione turca contro i curdi. "I social media sono il luogo in cui molti turchi riceveranno notizie attendibili", ha spiegato ancora Shahbaz. "Con tutto quello che sta accadendo nel sud-est riguardo al conflitto in Siria, non sorprende che le autorità turche abbiano fatto ricorso a questo ampio giro di vite sui social media", ha concluso.
Siria, attivista per i diritti delle donne Hevrin Khalaf trucidata dai filo-turchi: per Isis era una miscredente
13 ottobre 2019
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/1 ... _Fmw4ic8O8È stata prelevata dall’auto sulla quale viaggiava e trucidata come il suo autista a colpi di arma da fuoco. Hevrin Khalaf, 35 anni, segretaria generale del Partito Futuro siriano e attivista per i diritti delle donne, è tra i 9 civili uccisi ieri a sangue freddo dai miliziani filo-turchi a sud della città di Tel Abyad, nel nord-est della Siria. Secondo quanto scrive il Guardian riportando fonti curde, lei e il suo autista sono stati assassinati a colpi di arma da fuoco su un’autostrada dopo essere stati prelevati dalle loro auto da milizie sostenute dalla Turchia. È inoltre possibile che sia stata uccisa dall’Isis, visto che i fondamentalisti islamici la consideravano una miscredente. Le uccisioni di tutti e 9 i civili sono state filmate e il video diffuso in rete. Nel filmato si sentono gli assassini gridare insulti mentre sparano contro i civili con le loro armi. E funzionari statunitensi hanno confermato che si tratta di immagini autentiche.
Nel video, spiega l’Osservatorio siriano per i diritti umani, Khalaf è stata “trascinata fuori dalla sua auto durante un attacco sostenuto dalla Turchia e giustiziata da milizie mercenarie sostenute da Ankara“, ha affermato in una nota il braccio politico delle forze democratiche siriane a guida curda (SDF). “Questa è una chiara prova che lo stato turco sta continuando la sua politica criminale nei confronti di civili disarmati”, ha aggiunto. Mutlu Civiroglu, esperto in politica curda, ha descritto la sua morte come una “grande perdita”. “Aveva un talento per la diplomazia, partecipava sempre agli incontri con americani, francesi e le delegazioni straniere”, ha affermato. E sulla sua morte è intervenuto anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. “Hevrin Khalaf è il volto del dialogo e dell’emancipazione delle donne in Siria – ha scritto in un tweet -. La sua uccisione, opera di terroristi islamisti, più attivi dopo l’invasione dei territori curdi da parte della Turchia, è un orrore su cui la comunità internazionale dovrà andare fino in fondo!”.
Israele può fidarsi degli Stati Uniti dopo il ritiro siriano?
Traduzione di Niram Ferretti
9 ottobre 2019
http://www.linformale.eu/israele-puo-fi ... rGYbxwQiAA La decisione a sorpresa degli Stati Uniti di annunciare che si ritirerà da un’area lungo il confine siriano e consentire un’operazione militare turca nel nord della Siria solleva molte domande sulla politica a lungo termine degli Stati Uniti in Medio Oriente. Riguarda anche Gerusalemme perché sia l’Iran, un nemico di Israele, sia la Turchia, che dileggia regolarmente Israele nei forum internazionali, sembrano guadagnare mentre gli Stati Uniti si ritirano.
La decisione degli Stati Uniti di aprire le porte a un’invasione turca della Siria orientale è vista come un tradimento tra i partner statunitensi sul terreno in Siria, e in particolare tra molti curdi. In tutta la regione è anche visto come il modo in cui gli Stati Uniti, un’altra volta, abbandonano gli alleati. Questa è una costante dall’Iraq all’Egitto fino al Golfo. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che, sebbene i curdi abbiano combattuto al fianco degli Stati Uniti nella Siria orientale ora era arrivato il momento per la “Turchia, l’Europa, la Russia, l’Iran, l’Iraq e la Russia di occuparsene”.
Coinvolto in una crisi di impeachment, il presidente degli Stati Uniti afferma che altri devono occuparsi dei detenuti dell’ISIS. Ha fatto commenti simili prima nella primavera del 2018 e nel dicembre 2018, quando ha promesso di lasciare la Siria. Tutto ciò ha ripercussioni per Israele.
La politica americana in Medio Oriente negli ultimi decenni non è sempre stata costante. Una cosa che è stata costante è il sostegno a Israele. Ciò significa che Israele e gli Stati Uniti godono di un rapporto unico che opera su numerosi livelli, tra cui stretti rapporti interpersonali, legami culturali e legami militari e di intelligence. Tuttavia, sia Israele che gli Stati Uniti hanno modi individuali di vedere il Medio Oriente in generale. In passato gli alleati israeliani tendevano ad essere anche alleati degli Stati Uniti. Durante il periodo della Guerra fredda negli anni ’60, ad esempio, Israele intrattenne relazioni con l’Iran e la Turchia, mentre i sovietici investirono in Siria e in Egitto.
Nel tempo il mutevole rapporto israeliano con l’Egitto è stato anche il prodotto di una decisione dell’Egitto di ri-orientarsi verso gli Stati Uniti negli anni ’70. I trattati di pace di Israele sono stati sostenuti dagli Stati Uniti, nonché i negoziati di pace con i palestinesi.
Oggi l’Iran, il cui leader del Corpo della Guardia rivoluzionaria islamica ha recentemente affermato che la distruzione di Israele sarà effettuata nella prossima guerra, è anche un avversario degli Stati Uniti. È chiaro che le dichiarazioni di gruppi come gli Houthi alleati iraniani nello Yemen o di Hezbollah, sono tutti avversi agli Stati Uniti e ad Israele. Gli Houthi dichiarano “morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei” nel loro slogan ufficiale. Questo è il modello del regime iraniano. È una visione comune anche tra le milizie filo-iraniane in Iraq.
Una America potente è la chiave della sicurezza israeliana. Una Washington percepita come debole e inaffidabile nella regione sarà messa alla prova da avversari e nemici di Israele e degli Stati Uniti. È in questo contesto che ha luogo la decisione americana di ritirarsi da alcune zone della Siria. Washington ha dato il via alla sua campagna nella Siria orientale per sconfiggere l’ISIS.
Sotto l’amministrazione Obama gli Stati Uniti hanno deciso di non dare il via agli attacchi aerei contro il regime di Assad nel 2013, privilegiando come priorità la lotta all’Isis e il venire in essere di un accordo con l’Iran. Israele era preoccupato per l’accordo che conferiva all’Iran potere in altri settori, come il trasferimento di strumenti di precisione a Hezbollah attraverso la Siria. L’ISIS, sebbene controllasse una piccola area vicino al Golan, raramente minacciava Israele.
La priorità di Gerusalemme relativa alla sconfitta dell’ISIS era che l’Iran non dovesse subentrare al vuoto di potere. In questo senso, Israele è stato soddisfatto di vedere le forze che collaboravanp con gli Stati Uniti prendere il controllo delle aree dell’ISIS. Esse includevano anche le forze democratiche siriane che hanno liberato Raqqa nel 2017 e sconfitto l’ISIS vicino all’Eufrate nel marzo del 2019.
L’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti John Bolton sembrava sostenere la presenza americana in Siria fino alla partenza delle forze iraniane. A Gerusalemme nell’agosto 2018 aveva affermato che gli Stati Uniti erano preoccupati per la presenza delle milizie iraniane in Siria. In occasione di un vertice con Russia, Israele e Stati Uniti nel giugno 2019, aveva lasciato intendere che in qualche modo Israele e gli Stati Uniti avrebbero potuto fare pressione sulla Russia per estromettere l’Iran dalla Siria. Sembra un momento lontano ora che il 7 ottobre 2019, gli Stati Uniti hanno dato ad Ankara il via libera nel nord della Siria.
La Turchia oggi lavora a stretto contatto con i russi. Ha acquistato il sistema S-400, ha accordi energetici ad ampio raggio, anche se la Turchia sta espandendo la sua portata nel Mediterraneo e lavora a stretto contatto con Mosca e Teheran sulle questioni della Siria attraverso il processo di pace di Astana. In alcuni ambienti la Turchia è stata vista come un possibile alleato americano contro l’Iran, perché la Turchia ha appoggiato gruppi ribelli siriani contrari ad Assad. Ma negli ultimi anni Ankara ha fatto perno su questi gruppi con l’intenzione di usarli per combattere l’SDF.
Il progetto in Turchia ora sembra essere quello di impadronirsi di una parte della Siria settentrionale, di sistemarvi fino a 1 milione di rifugiati prevalentemente arabi lungo il confine e di usarlo come vantaggio nei confronti del regime siriano. La Turchia afferma di rispettare l’integrità territoriale della Siria. È chiaro che per Ankara il principale nemico è il PKK, che la Turchia sostiene sia legato alla SDF. Non ci sono prove che Turchia e Iran si contrastino. Al contrario, i leader turchi e iraniani si incontrano e discutono regolarmente di politica. Sembrano disposti a dividere la Siria in sfere di influenza con la Russia che gestisce entrambe le parti. Iran, Turchia e Russia si oppongono alla politica americana in Siria.
Ciò significa che man mano che gli Stati Uniti riducono la propria presenza, la SDF sarà isolata. L’Iran si sta già dando da fare per accaparrarsi più territorio in Siria. Vuole espandere il suo uso delle milizie sciite irachene attraverso il valico recentemente aperto di Al-Qaim-Albukamal al confine con la Siria e l’Iraq. Questa zona di confine è il sito di una presunta base iraniana che è stata colpita da attacchi aerei. Il Primo Ministro iracheno ha incolpato Israele per gli attacchi aerei in Iraq contro le milizie sostenute dall’Iran.
Tra le attuali proteste in Iraq sembra che queste milizie abbiano sfruttato il caos per reprimere i manifestanti e guadagnare più potere. L’Ayatollah Khamenei ha affermato che l’Iran e l’Iraq sono uniti mentre l’Iran chiede ai manifestanti di mostrare moderazione. Il messaggio che giunge da Teheran è chiaro: l’Iran non lascerà che l’Iraq cada nelle mani di critici o manifestanti, l’Iraq è la “sponda estera” per Teheran e una parte fondamentale all’interno del suo sistema di alleanze.
La riduzione dell’influenza degli Stati Uniti nella Siria orientale significa inevitabilmente che gli Stati Uniti si ritireranno sul confine iracheno, forse preservando alcune aree nel sud-est della Siria, compresa la base di Tanf, e che gli Stati Uniti trasferiranno le forze sulle loro basi in Iraq. Trump ha dichiarato a dicembre 2018 che gli Stati Uniti potrebbero “sorvegliare” l’Iran dall’Iraq come parte della sua campagna di “massima pressione”. Ma ci sono prove che è l’Iran, adesso, che eserciterà la massima pressione sugli Stati Uniti per lasciare l’Iraq.
Gli Stati Uniti stanno rapidamente perdendo amici nella regione. Il governo regionale del Kurdistan, isolato, sta anche compensando le proprie perdite dopo essere rimasto indignato che gli Stati Uniti non l’abbiano sostenuto nei suoi scontri con Baghdad in rapporto a Kirkuk nell’ottobre 2017. Quindi il KRG lavora con la Turchia e deve bilanciare le discussioni con l’Iran. Gli Stati Uniti non sono considerati affidabili in tutto l’Iraq.
In Giordania, gli Stati Uniti hanno recentemente completato l’operazione Eager Lion con 8.000 partecipanti provenienti da 30 paesi. Poiché il comando centrale degli Stati Uniti perde i suoi partner dell’SDF a causa delle politiche di Trump, può guardare alla Giordania dove gli Stati Uniti hanno ancora influenza. Per Israele questa riduzione dell’influenza degli Stati Uniti in Iraq e in Siria in questo momento significa che il nemico è più vicino alle porte. Il comandante dell’IRGC, Qassem Soleimani, ha dichiarato in un’intervista pubblicata il 1 ° ottobre di avere considerato la presenza americana in Iraq nel 2006 come un ostacolo per aiutare Hezbollah a combattere Israele.
Il messaggio è che oggi esiste una strada per il mare o un ponte di terra che collega Teheran al Golan e al Libano e ciò significa che l’ostacolo non è più lì poiché gli Stati Uniti riducono il proprio ruolo. Questo è ciò che viene chiamato un effetto domino. Potrebbe sembrare che gli Stati Uniti stiano lasciando solo alcuni posti di frontiera a Tel Abyad vicino al confine turco. Ma l’affetto si fa sentire fino al Golfo e a Riyad e fino ad Amman e al Cairo. È un messaggio.
Nel Golfo la sensazione è già chiara. L’Arabia Saudita non può affrontare l’Iran dopo l’attacco del 14 settembre contro Abqaiq e le sue strutture petrolifere. Gli Emirati Arabi Uniti stanno cercando di porre fine al conflitto in Yemen. Riyadh sembra impantanato nello Yemen con le forze che sostiene, le quali hanno subito un colpo da parte degli Houthi appoggiati dall’Iran. L’immagine saudita è stata danneggiata dall’omicidio dell’ex insider Jamal Khashoggi a Istanbul lo scorso anno.
Questa è quindi la situazione nella regione. Gli Stati Uniti vogliono porre fine alla guerra afgana, dando potere anche all’Iran. Vogliono lasciare la Siria. Gli potrebbe essere chiesto di lasciare parti dell’Iraq dai partiti sostenuti dall’Iran in parlamento. La Turchia, ancora una volta vicino a Israele, è ora uno degli oppositori più veementi di Israele nella regione ed è potenziata dalla mossa degli Stati Uniti. Insieme al Qatar, suo alleato, ha collaboraro con Hamas. L’Iran collabora con Hamas. L’Iran collabora con la Turchia in Siria. Sulla grande scacchiera iraniana della sua strategia regionale a lungo termine, vede un’altra vittoria.
La decisione degli Stati Uniti di lasciare la Siria orientale appare improvvisa, non avendo informato gli alleati europei o la SDF, né preparando il terreno. Mostra che gli Stati Uniti possono fare politica tramite i tweet, come Trump ha fatto in passato. Che significato ha tutto ciò per Gerusalemme? Significa che l ‘”accordo del secolo” di Washington e altri piani non sono chiari. Una Washington imprevedibile, anche se appare più pro-Israele della precedente amministrazione, lascia più domande che risposte. I nemici di Israele sfruttano questo tipo di incertezza. Si ha la sensazione che mentre gli Stati Uniti sostengono le azioni di Israele nella regione, anche Israele è, allo stesso tempo, solo e non viene consultato sulla strategia regionale.
A breve termine, i piani di Ankara di trasferirsi nella Siria orientale, pezzo per pezzo, sono chiari. Ma la domanda a lungo termine è che beneficio ne trarrà l’Iran e i nemici di Israele. La Russia seguirà da vicino ciò che sta accadendo perché il suo alleato, il regime siriano non vuole che gli Stati Uniti gestiscano l’acquisizione turca della Siria orientale.
In precedenza la Russia aveva firmato un accordo con la Turchia usando lo spazio aereo su Afrin per una campagna. Ma la Russia è preoccupata per l’instabilità di Raqqa e di altre aree in cui in precedenza era presente l’ISIS. Se la SDF combatte la Turchia ci sarà un vuoto di potere. L’Iran colmerà il vuoto? Se lo farà avrà più spazio in Siria per trasferire armi a Hezbollah e agli alleati. Chiunque riemprà quel vuoto, ha una leva sul futuro della Siria e dell’Iraq e sulla sicurezza in tutta la regione. Israele è preoccupato e veglia da vicino.
La memoria corta dell’occidente su Erdogan, l’islamista amico di ISIS
Franco Londei·EditorialiMiddle East·Ottobre 13, 2019·
https://www.rightsreporter.org/la-memor ... -xDOXX7dzkScrive Shimrit Meir su Yedioth Ahronoth riferendosi a Donald Trump: «chiunque in Medio Oriente con gli occhi in testa capisce che l’uomo a Washington ha perso la testa».
Meir si indigna non solo per l’aggressione turca al Kurdistan siriano ma soprattutto per quello che lui chiama «un premio ad Erdogan» cioè l’invito alla Casa Bianca fatto da Trump ad Erdogan per il prossimo mese di novembre. Uno sfregio al mondo e soprattutto a chi ha dato la vita per salvarci da ISIS.
Lo sfregio appare ancora più evidente se si torna un po’ indietro nel tempo. Impossibile infatti non ricordare come Erdogan non solo rifiutò di combattere lo Stato Islamico costringendo l’America a intervenire, seppure in alleanza con i curdi, ma come per anni favorì l’espansione di Daesh facendo affari milionari con i terroristi e favorendo il passaggio dei terroristi occidentali attraverso la Turchia.
Erdogan non è un leader qualsiasi. Erdogan è il vertice della Fratellanza Musulmana, una organizzazione internazionale votata alla conquista islamica del mondo che con la sua ideologia ha ispirato lo Stato Islamico, Al Qaeda, Hamas e tanti gruppi terroristici islamici.
Lo dovrebbero ricordare tutti coloro che oggi difendono l’assurda decisione presa da Trump arrampicandosi sugli specchi pur di non ammettere la follia di tale decisione, pur di non ammettere che quel “campione della lotta all’Islam” come veniva definito il Presidente americano dai suoi adepti, alla fine altro non è che l’ennesimo cinico calcolatore che finisce per favorire proprio l’espansione islamica invece di combatterla.
L’invito a Washington poi è proprio una chicca, la ciliegina sulla torta di una follia che davvero non trova una giustificazione plausibile se non appunto con la pazzia.
Non da meno sono gli europei, coloro che hanno dato al leader islamista sei miliardi di Euro per fare in modo che chiudesse milioni di rifugiati siriani in invivibili campi profughi pur di non “disturbarci”, coloro che sono rimasti a guardare oltre 10.000 combattenti curdi morire nella guerra con Daesh, una guerra che i curdi hanno combattuto proprio per l’Europa, per noi.
Abbiamo pagato l’uomo più pericoloso del mondo, l’uomo che da anni lavora indisturbato con la Fratellanza Musulmana per islamizzare l’Europa partendo dai Balcani.
E ora l’Europa non è nemmeno in grado di mettere insieme due parole di condanna per la vergognosa aggressione turca al Kurdistan Siriano.
Il successore della Mogherini, Josep Borrell, nemmeno si è fatto sentire. Sono così preoccupati della minaccia lanciata da Erdogan di inondare l’Europa con milioni di profughi siriani che il solo pensiero gli fa tremare le gambe e cucire le bocche.
Nella mia vita ho sempre difeso l’idea di una Unione Europea che potesse fare la differenza. Oggi mi ritrovo a vergognarmi di far parte di questo assurdo agglomerato di codardi.
Guerra in Siria, Salvini: “Ci vuole lo stop definitivo all’ingresso della Turchia nell’Ue”
13 ottobre 2019
https://www.fanpage.it/politica/guerra- ... ia-nellue/"L'Italia e l'Europa non possono essere ostaggio delle minacce di un dittatore, punto. Non è normale finanziare e coccolare un dittatore". Lo dichiara il leader della Lega, Matteo Salvini, a margine di un comizio a Perugia, rispondendo a una domanda sul ricatto di Erdogan all'Unione europea sui profughi siriani. E a proposito della posizione del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che si è espresso a favore di sanzioni alla Turchia, aggiunge: "La differenza tra chi sta al governo e chi non sta al governo per scelta è che uno deve fare e l'altro può suggerire. Io posso suggerire, Di Maio e Conte non devono dire, devono fare, non ipotizzare. Sono pagati per questo".
L'ex ministro dell'Interno propone uno stop definitivo a ogni ipotesi di ingresso della Turchia nell'Unione europea: "Chiedo che venga annullato definitivamente ogni finanziamento e ogni ipotesi d'ingresso, presente e futuro, della Turchia in Europa. Sta portando avanti un'azione criminale nel silenzio generale", ribadisce Salvini.
Il segretario della Lega ricorda infatti che attualmente "è sospeso" l'ingresso della Turchia in Europa. Sostiene poi che negli ultimi anni i finanziamenti al Paese "sono arrivati a 15 miliardi. Basta soldi" aggiunge.
Per quanto riguarda la questione immigrazione torna ad attaccare l'esecutivo giallo-rosso: "Di Maio dice che chiude i porti alle ong? Io l'ho fatto…È la differenza tra chi dice e chi fa. Intanto – afferma ancora Salvini – i numeri dicono che gli sbarchi sono in netto aumento. Speriamo che facciano qualcosa".
Arriva poi la conferma ufficiale dell'alleanza del centrodestra per l'Umbria: Salvini, insieme a Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi si vedranno tutti a Perugia il 17 ottobre per sostenere la candidatura di Donatella Tesei. "Lo abbiamo fatto – spiega Salvini – in tutte le altre regioni dove abbiamo vinto, dall'Abruzzo alla Sardegna, dal Molise alla Basilicata".
"Le priorità sono rimettere a posto la sanità, liste d'attesa, concorsi pubblici trasparenti, medici e infermieri migliori, infrastrutture (che non ci sono), sicurezza, contributi alle imprese e migliore gestione delle case popolari e del patrimonio regionale". Per il leader della Lega "un progetto di cambiamento dell'Umbria merita dieci anni di lavoro. E noi siamo pronti".
Siria, l'esercito di Damasco avanza verso nord: "Fermeremo aggressione turca"
Mauro Indelicato - Dom, 13/10/2019
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sir ... 11HZypf8WA Dopo alcune indiscrezioni delle scorse ore, arrivano prime conferme sulla decisione di Damasco di inviare truppe siriane verso le zone curde. Il governo di Bashar Al Assad considera quella turca un'aggressione, mentre Usa e Russia mediano con i curdi
La notizia circola da ore sui siti di informazione siriani, ma soltanto nel tardo pomeriggio arrivano le conferme ufficiali: truppe di Damasco stanno entrando nei territori controllati dalle Sdf, ossia le milizie filo curde in questo momento sotto l’attacco dell’esercito turco.
Secondo il governo siriano, come si legge in un lancio dell’agenzia Agi, quella di Ankara è una vera aggressione contro l’integrità territoriale del paese arabo e dunque il presidente Assad ha dato ordine di spostare verso nord i soldati.
Le notizie nel pomeriggio di questa domenica, riferiscono tramite fonti russe di contatti mediati da Mosca ma anche da Washington per portare ad un accordo tra Sdf ed esercito siriano. La prima città oggetto dell’intesa, dovrebbe essere quella di Manbji, a nord di Aleppo: qui dall’agosto 2016 sono presenti le milizie filo curde, le quali hanno cacciato l’Isis durante le loro avanzate ad ovest dell’Eufrate.
Già nei mesi scorsi in realtà in più occasioni si è parlato di un parziale ritiro curdo a favore del ritorno della città sotto l’orbita di Damasco, ma poi non si è mosso più nulla. Adesso, complice l’avanzata turca, sembrerebbe esserci qualcosa di concreto. E non è forse un caso che, nelle stesse ore in cui Assad ha iniziato a muovere le sue truppe verso Manbji e verso aree sotto il controllo dell’Sdf, da Washington Trump ha annuncato lo spostamento di mille militari verso le zone più a sud del confine turco.
L’accordo tra Damasco e curdi in realtà non è stato al momento ufficializzato, ma i movimenti sul campo delle ultime ore stanno mostrando un repentino cambiamento della situazione figlio quanto meno di contatti tra le due parti.
Il contenimento delle avanzate delle milizie filo turche, dovrebbe quindi toccare ad Assad il quale, tra le altre cose, in questo modo riprenderebbe in mano territori che non controlla più da almeno cinque anni. Un modo per Damasco anche per accelerare il processo di riunificazione del paese, anche se ovviamente per adesso la priorità è data dal bloccare l’ingresso di nuovi miliziani dalla Turchia.
E mentre tutti i vari attori sul campo appaiono sempre più, ciascuno per la sua parte, protagonisti delle varie ultime novità, l’Europa invece dal canto suo appare con un ruolo sempre più marginale. L’unico leader del vecchio continente a parlare in queste ore è Emmanuel Macron: il presidente francese, si legge ancora sull’Agi, ha convocato una riunione ristretta all’Eliseo ed avrebbe espresso la sua preoccupazione in merito la possibile crisi umanitaria scaturita dall’attacco turco nel nord della Siria.
Intanto, dopo l’uccisione di nove civili avvenuta ieri a Tal Abyad, prima importante città in mano curda a cadere sotto l’occupazione delle milizie filo turche, in queste ore si sono registrate altre vittime innocenti. In particolare, come ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani, dieci persone sono state uccise a causa di un raid dell’esercito turco lungo alcune località del confine.
Tra di essi anche un giornalista curdo dell’agenzia Hawar News: “Il nostro corrispondente, Saad Al-Ahmad, che stava accompagnando il convoglio, è stato martirizzato”, comunicano gli stessi responsabili della testata curda.