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La nuova fiscalità del Centrodestra a egemonia e guida melonianaGoverno: Meloni, nel 2023 una rivoluzione fiscale. Al centro dipendenti e pensionati.9 febbraio 2023
https://www.lavocedelpatriota.it/govern ... ensionati/“Questo Governo sta lavorando per rivoluzionare il rapporto tra fisco e contribuente e fare in modo che l’evasione si combatta prima ancor che si realizzi, facendo parlare in modo preventivo l’Amministrazione finanziaria con i cittadini. Stiamo lavorando alla legge delega, che toccherà tutti i settori della fiscalità. Punteremo di più sugli strumenti in grado di favorire l’adempimento spontaneo.
Per le piccole e medie imprese con l’istituzione di un concordato preventivo biennale. Le agenzie fiscali con tutte le banche dati che hanno a disposizione possono tranquillamente stimare il reddito delle imprese con cui potranno sedersi a tavolino e dire loro: ‘Tu per due anni paghi quel dovuto e se fatturi di più non mi dai nulla, in cambio non ti sottopongo a controlli’. Se il contribuente rifiuta sarà soggetto a verifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Per le multinazionali e le grandi imprese, invece, occorre incentivare la “cooperative compliance”, ovvero un istituto già esistente che prevede che Agenzia delle Entrate e impresa si confrontino preventivamente. Questa potrà rappresentare anche una opportunità per i professionisti e diventare la vera cinghia di trasmissione tra amministrazione finanziaria e contribuente.
Nella legge delega metteremo ovviamente al centro anche i dipendenti e i pensionati, con misure ad hoc».”
È quanto si legge nell’intervista al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, pubblicata questa mattina da Il Sole 24 ore.
Concordato preventivo con il fisco, Meloni rispolvera la misura di Tremonti. Che fu un clamoroso flop: allo Stato solo l’1,6% dei soldi attesiChiara Brusini
9 febbraio 2023
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/0 ... 1675961910Un “concordato preventivo biennale” con il fisco, grazie al quale le imprese potranno pagare un forfait calcolato dalle Entrate con la garanzia che in caso di aumento dei ricavi non dovranno versare nulla di più. È la grande riforma allo studio del governo Meloni per contrastare l’evasione fiscale delle piccole e medie imprese. “Tu per due anni paghi quel dovuto e se fatturi di più non mi dai nulla, in cambio non ti sottopongo a controlli“, ha sintetizzato la premier nell’intervista al Sole 24 Ore, ripetendo la promessa fatta a dicembre dal viceministro dell’Economia con delega al fisco Maurizio Leo. Quello che Meloni e Leo omettono è che non si tratta propriamente di un’idea nuova. Per dire il vero ha appena compiuto vent’anni: a inventarsela, nel 2003 (subito dopo un maxi condono) fu l’allora ministro Giulio Tremonti. Ma il vero problema è come andò a finire: un flop memorabile. Dai rendiconti delle entrate dello Stato risulta un gettito di appena 57,5 milioni di euro, l’1,6% del gettito inizialmente atteso. Se non bastasse, gli esperti di criminalità finanziaria avvertono che riproporre quella norma sarebbe una manna per chi ha attitudine alle frodi.
In attesa di vedere come l’esecutivo declinerà la riedizione della misura, che dovrebbe essere inserita nella delega fiscale, la parabola di quella sperimentazione appare istruttiva. Il governo Berlusconi inserì la possibilità del concordato preventivo col fisco nella finanziaria per il 2003, poi la travasò nel decretone fiscale collegato alla manovra 2004 stimando 3,58 miliardi di maggiori entrate da una platea potenziale di 4 milioni di contribuenti. Previsione poi ritoccata al ribasso a 2,5 miliardi. Come avrebbe dovuto funzionare? Artigiani, commercianti, professionisti e società avrebbero goduto di una tassa piatta rispettivamente del 23 e 33% (le due aliquote della flat tax promessa dall’ex Cavaliere, altro eterno ritorno) sull’incremento di reddito rispetto al 2001, a patto di ammettere un aumento dei ricavi di almeno il 9% il primo anno e un ulteriore +4,5% nel 2004. Il fisco incassa una ”cifra certa” e il contribuente ha vantaggi ”in termini di risparmio di contabilità, stress, complessità“, riassumeva Tremonti il 4 febbraio 2004, alla presentazione dei moduli per l’adesione. Tra il resto, i commercianti che avessero aderito avrebbero potuto non emettere gli scontrini e non avrebbero subito accertamenti da parte delle Entrate.
Cosa andò storto? Confcommercio fece muro lamentando che fissare un ricavo minimo di 1000 euro equivaleva a introdurre una minimum tax, i commercialisti bocciarono il provvedimento ipotizzandone l’incostituzionalità per violazione dei principi di uguaglianza e progressività e sottolineando che in quella fase economica stagnante i ricavi delle imprese erano in continuo calo, altro che aumenti del 9%. Oltre al fatto che i tempi per aderire erano troppo limitati. Il 17 marzo 2004, scaduti i termini, il Tesoro fece sapere che erano state presentate 250mila domande. Ma un mese dopo, rispondendo a un’interrogazione di Maurizio Leo – all’epoca deputato di An – il sottosegretario all’Economia Daniele Molgora ammise che l’importo raccolto si era fermato a 5,7 milioni da 3.945 contribuenti. Una disfatta, per quanto i dati fossero aggiornati solo a metà marzo. Un anno dopo però la Corte dei Conti nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato tirò le somme: se i proventi del condono erano stati imponenti (oltre 8 miliardi) quelli del concordato preventivo di massa risultavano invece “nulli o insignificanti“. Le tabelle sulle entrate suddivise per capitoli, disponibili sul sito della Ragioneria, forniscono i dati esatti: 29 milioni di imposta sul reddito delle persone fisiche, 11 milioni sul reddito delle società e 16,2 milioni di Iva nel 2005 (dichiarazioni relative al 2004), 1,3 milioni di Iva nel 2006. Per un totale di 57,5 milioni.
C’è da chiedersi che senso abbia riproporre l’istituto nel 2023, tanto più che sembra molto simile alla flat tax incrementale di FdI. A meno che l’intenzione non sia quella di applicare il nuovo concordato solo ai redditi superiori a quelli che consentono l’accesso all’attuale tassa piatta. Gli addetti ai lavori hanno molte perplessità. “Che base di riferimento si intende prendere per la prima applicazione?”, si chiede Francesco Puccio, presidente della fondazione Centro studi dell’Unione giovani commercialisti. “Dal 2020 i redditi sono stati inficiati dalla pandemia. E per il secondo anno di applicazione il confronto sarà con quello precedente? In questo modo sarebbe decisamente poco incentivante per chi registra risultati molto positivi”.
Il tributarista Tommaso Di Tanno, che ben ricorda il flop del 2004 e lo attribuisce alla “confusione” della norma e alla (forse voluta) mancanza di comunicazione, non è contrario. Ma solo a patto che il concordato individuale e personalizzato prenda il posto della flat tax: “Sono due strade alternative, incompatibili. La flat tax è il massimo della standardizzazione e rischia di essere il massimo dell’ingiustizia, il concordato è invece all’insegna della personalizzazione, oggi possibile grazie ai big data ai disposizione del fisco. Che consentono di controllare il contribuente e pure di monitorare i funzionari, che sarebbero sottoposti a violente tentazioni corruttive”. Il commercialista Gian Gaetano Bellavia, esperto di diritto penale dell’economia, è molto più tranchant: “Occorrerà leggere il dettaglio della norma, ma a prima vista una cosa del genere sarebbe da un lato poco appetibile per le aziende normali, che in questo contesto geopolitico certo non prevedono chissà quali aumenti di fatturato, dall’altro interessantissima per la criminalità economica, fiscale e finanziaria. Si presta con tutta evidenza a operazioni di spostamento dei ricavi su soggetti tassati in forma forfettaria (e esentati da successivi controlli) attraverso l‘emissione di fatture per operazioni inesistenti“.
La nostra storia anni '90-95
Per la tutela delle categorie arrivano le leggi di settore (1990 - 1994)A Milano il 18 ottobre 1993 gli artigiani contro la Minimum taxFoto archivio Confartigianato Novara Verbano Cusio Ossola
https://www.artigiani.it/it-IT/associaz ... nni-90-95/Gli Anni Novanta si annunciano come un periodo di grande attività sindacale e di mobilitazione del comparto artigiano su temi di vitale importanza per le imprese.
Nel 1990 sono approvate due importanti leggi di settore per gli artigiani: si tratta della norma che regola i criteri per la qualificazione per l'installazione di impianti (Legge 46/90) e quella che va a definire i requisiti per la qualificazione delle estetiste (Legge 1/90) e si giunge alla firma di importanti contratti collettivi nazionali di lavoro per l'artigianato, che per la prima volta riguardano i grafici, i cartotecnici e i grafici pubblicitari.
Tutte conquiste importanti che caratterizzano l'anno nel quale l'Unione festeggia il 45mo anniversario della sua costituzione con una cerimonia a Stresa.
Nel 1991 si da attuazione agli accordi interconfederali nazionali: viene costituito l'EBAP, Ente bilaterale dell'artigianato Piemontese, tavolo di incontro delle forze sindacali del comparto. Ne consegue lo sblocco dei contratti i formazione, l'individuazione dei bacini sindacali (costituiti nel 1993 a Novara e Verbania) e la costituzione del Fondo regionale per le relazioni sindacali. L'anno successivo viene approvata la legge che riconosce la piena legittimità dell'estensione del beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali alle imprese impiantistiche, anche per il triennio precedente il 1 gennaio 1991, sanando così una grave lacuna.
Ma la vera novità di rilievo della prima metà degli Anni Novanta è la riforma delle pensioni artigiane.
Lungamente attesa, nel 1990 la riforma definisce un sistema di calcolo delle pensioni per gli artigiani che tenga conto del contributo sul reddito, permettendo agli artigiani di avere un sensibile aumento delle pensioni già in pagamento dal 1982, e pone le basi per un calcolo delle pensioni future proporzionato al reddito dichiarato.
La riforma del sistema previdenziale italiano, realizzata nel 1995 dal Governo e dalle parti sociali, ha riconosciuto alcuni punti forti della previdenza artigiana: l'autonomia della gestione artigiani presso l'INPS, il rigetto di aumenti previdenziali a carico degli artigiani e di penalizzazioni a danno degli imprenditori che, già in pensione, continuano a lavorare; così come di proposte di riequilibri fra gestioni in attivo e gestioni in passivo, come ventilato da alcune forze politiche.
Nel gennaio 1990 in Valle Strona, per iniziativa dei cittadini, degli artigiani e dei coltivatori della zona, nasce la Cassa rurale ed artigiana di Valle Strona, una banca cooperativa che inizia la sua operatività nell'agosto 1991 con uno sportello a Valstrona, capoluogo della Valle.
Tra i promotori dell'iniziativa è Tarcisio Ruschetti, Delegato di sezione dell'Unione Artigiani e rappresentante comunale per Omegna, che viene chiamato alla presidenza dell'istituto di credito. Nell'estate 1994 la Cassa rurale ed artigiana di Valle Strona amplia la propria zona di influenza ad Omegna ed ai comuni limitrofi, allargando la base associativa. Ai quattrocento soci fondatori si affiancano così altri seicento soci e la Cassa, che nel frattempo ha mutato il nome in Banca di credito cooperativo del Cusio e della Valle Strona- apre una sede ad Omegna nel luglio 1995.
Sul fronte sindacale, nel 1990, viene ricostituita la Commissione provinciale per l'artigianato, non più con elezioni ma attraverso designazioni che tengono conto della rappresentatività delle associazioni di categoria sul territorio.
L'Unione Artigiani, anche in questa occasione, vede riconosciuto il proprio ruolo leader sul territorio, e ottiene l'assegnazione della maggioranza dei componenti della Commissione. Prosegue anche la sottoscrizione di importanti contratti di lavoro ( e per molti settori si tratta dei primi contratti specifici per l'artigianato) che evidenziano l'importanza e la specificità delle imprese artigiane nell'economia del paese. Ricordiamo l'accordo per il settore dell'autotrasporto di merci, per il settore chimica- gomma- plastica- vetro e per il settore della panificazione, siglati nel 1991.
Nel 1992, a distanza di dodici anni dalla prima sottoscrizione, viene rinnovato il contratto per l'acconciatura e l'estetica. Il lungo periodo trascorso dalla prima firma è motivato dalle difficoltà incontrate nel trovare un'intesa sulla nuova regolamentazione dell'apprendistato. Nello stesso anno viene approvata la legge di qualifica per il settore dell'autotrasporto di persone (Legge 21/1992) e per l'autoriparazione (Legge 122/1992).
Nel 1993 viene sottoscritto il primo contratto collettivo nazionale per le imprese artigiane del settore alimentare, mentre nel 1994 sono approvate due leggi di qualifica per le imprese di pulizia e di sanificazione (Legge 82/94 e Legge 146/94). Nel 1990 lo Statuto dei lavoratori viene esteso anche alle imprese artigiane.
La norma approvata per evitare il referendum popolare che doveva pronunciarsi sull'introduzione della norma nelle imprese con meno di quindici dipendenti, non tiene in alcun conto le specifiche peculiarità del comparto artigiano, né approfondisce i problemi che, in prospettiva, si possono verificare nel settore introducendo una legge che vincola gli imprenditori senza concedere loro gli ammortizzatori sociali riconosciuti invece alla grande industria.
I commenti sono tutti improntati al pessimismo: una legge che ci allontana dall'Europa, un provvedimento che impedirà alle aziende di assumere manodopera, per qualcuno un vero errore.
La prima metà degli Anni Novanta è segnata dalla Minimum Tax, un provvedimento varato per cercare di limitare l'evasione fiscale e che -come spesso accade- finisce con l'essere un grave freno per le imprese. Basato su criteri presuntivi di reddito, calcolati in base a parametri prefissati ed indipendenti dall'effettivo reddito dichiarato dall'imprenditore, la Minimum Tax diviene ben presto il primo motivo di mortalità delle imprese.
Centomila imprese artigiane si cancellano improvvisamente dagli Albi italiani: molte chiudono definitivamente, molte altre sono costrette a entrare nel sommerso, non potendo sopportare i costi che la nuova normativa impone. Contro la nuova imposizione, ma soprattutto contro il metodo presuntivo utilizzato per accertare il reddito d'impresa, l'Unione Artigiani e la Confartigianato mobilitano le categorie.
Nell'ottobre 1992 prima con una manifestazione regionale a Torino e poi con la partecipazione alla grande manifestazione nazionale di Roma, che vede sfilare cinquantamila artigiani giunti da tutta Italia, si afferma il rifiuto degli artigiani verso metodi ricattatori che non rendono giustizia al fisco e danneggiano le imprese.
La mobilitazione delle categorie artigiane non si ferma: il 18 ottobre 1993 a Milano, capitale economica e morale d'Italia, centomila artigiani, con lo slogan "Vogliamo tenere aperta l'Italia", manifestano contro la pressione fiscale sulle imprese, contro gli assurdi obblighi burocratici e, naturalmente, contro la Minimum Tax.
Nella primavera del 1994 la Minimum Tax viene abolita, sopravvivendo solo, per il 1994, come metodo per la verifica successiva dei redditi. Proseguendo nell'azione di sviluppo dei servizi alle imprese e percorrendo nuove strade organizzative, nel 1990 l'Unione Artigiani promuove il Consorzio edile EDARCO, un utile strumento di lavoro che consentirà alle imprese artigiane di concorrere alle pubbliche gare d'appalto ed occupare così quella parte di mercato dedicata alla piccola impresa fino ad allora appannaggio di imprese provenienti da fuori provincia e addirittura da fuori Regione.
Il nuovo organismo viene affidato operativamente all'architetto Luigi Formoso, mentre alla presidenza del Consorzio viene chiamato Giuliano Nicola, vicepresidente dell'Unione Artigiani.
Due anni dopo , nel luglio 1992, si costituisce il Consorzio Argo per la formazione professionale. Si tratta di un Consorzio, costituito da venticinque aziende, che si occupa di promuovere la formazione professionale nella zona del Verbano Cusio Ossola.
Nell'estate 1993 il Consorzio realizza la prima esperienza formativa: un corso di duecento ore sulla gestione dell'impresa artigiana, avvalendosi dei finanziamenti concessi dalla Comunità Europea per la zona del VCO in quanto zona soggetta a declino industriale.
Si tratta di un'esperienza pilota nella Provincia che si va ad affiancare ad esperienze analoghe già realizzate nel resto del paese. Nel 1995, dopo aver concluso in modo positivo il primo corso ed aver istruito presso la Regione Piemonte due nuovi progetti formativi, il Consorzio ha proseguito la sua attività.
Nei programmi degli amministratori, oltre a corsi per imprenditori artigiani, anche corsi di qualificazione per giovani in cerca di prima occupazione o disoccupati, un'azione per rilanciare l'economia delle nostre province e meglio qualificare la presenza sul territorio delle imprese artigiane.
Nell'ambito dei progetti formativi, è da ricordare anche la presentazione di un disegno di legge regionale alla Regione Piemonte sulla nascita delle botteghe scuola, uno strumento importante per non perdere le professionalità dei maestri artigiani e per contribuire a salvaguardare mestieri altrimenti destinati alla scomparsa.
La proposta, presentata dalla Confartigianato Piemonte, prevede l'istituzione di botteghe scuola dove gli artigiani pensionati possano insegnare, in corsi riconosciuti dalla Regione, i loro mestieri a giovani studenti.
E' un progetto interessante che potrà dare i suoi frutti solo fra qualche tempo, appena terminato il proprio iter burocratico.
In un momento di grande fervore di iniziative l'Unione Artigiani perde il proprio vicepresidente Lino Giazzi. Stroncato da un male incurabile, Lino Giazzi si spegne a Gozzano nel luglio 1993.
Alla vicepresidenza viene designato Tarcisio Ruschetti.
Lino Giazzi ricopriva anche la carica di presidente del Consorzio Argo: a sostituirlo e a proseguire nel suo impegno viene eletto Riccardo Godino, artigiano di Verbania.
Per rilanciare l'economia, creare nuove strutture e iniziative per la nascita e il sostegno di nuova imprenditorialità, l'Unione Artigiani, alla fine del 1994, lancia il progetto Punto Nuove Imprese. Si tratta di un pacchetto di proposte (iscrizioni gratuite agli Albi professionali, consulenze qualificate, corsi gratuiti di formazione, finanziamenti agevolati per iniziare l'attività).
Il riscontro dell'iniziativa, che viene pubblicizzata con una vasta campagna promozionale, è subito lusinghiero: nei primi tre mesi del 1995 sono oltre cento le nuove imprese artigiane che nascono in provincia di Novara e nella neocostituita provincia del Verbano Cusio Ossola: più di una impresa al giorno.
Tra i momenti della storia recente dell'Unione Artigiani ricordiamo il grande e nobile slancio profuso in occasione dell'alluvione che ha colpito le zone di Alessandria, Asti e Cuneo nel novembre 1994.
Davanti al dramma di migliaia di persone che hanno perso ogni cosa, davanti all'elevato prezzo pagato da quelle zone in termini di vite umane (i morti nel disastro sono sessantaquattro) e di danni (il solo comparto artigiano lamenta perdite per migliaia di miliardi), centinaia di artigiani del Novarese e del Verbano Cusio Ossola si sono recati nelle zone colpite dall'alluvione, in particolare nel quartiere Orti di Alessandria, portando la loro professionalità per riattivare impianti elettrici e di riscaldamento, ricostruire infissi danneggiati.
Ma soprattutto far sentire con la loro presenza ed i loro lavoro che gli abitanti di Alessandria, Asti, Cuneo non erano soli, meritando per questo un encomio da parte della Croce Rossa.
Nel dicembre 1994, il presidente dell'Unione Artigiani Mario Galli viene eletto presidente della Confartigianato Piemonte.
Galli ricopriva già la carica di vicepresidente dal gennaio 1986; nell'ottobre 1991 diviene vicepresidente vicario. Galli affianca gli incarichi regionali a quelli nazionali, come membro della Giunta esecutiva nazionale di Confartigianato.