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L'andamento della guerraLA TRAPPOLA DI VULHEDAR: UCCISI MILLE MARINES DI PUTIN, DISTRUTTI DECINE DI TANKdi Lorenzo Cremonesi, Il Corriere della Sera
17 febbraio 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063 KURAKHOVE (Donbass) La mattina dell’11 febbraio le unità corazzate russe muovono dal villaggio di Pavlivka verso quello di Vuhledar, a tre o quattro chilometri di distanza. Ma le forze speciali ucraine sono in allerta. È dal 3 febbraio che vedono crescere la concentrazione delle truppe nemiche qui, nella regione del Donetsk meridionale dove il Donbass si allunga verso Mariupol e s’incunea nella zona di Zaporizhzhia. Una regione strategica: chi la domina può aspirare a controllare l’Ucraina meridionale. «La nostra intelligence aveva avvisato che l’attacco era imminente, così la notte precedente avevano mandato i commando nei campi attorno ai villaggi e avevano deposto migliaia di mine su quelle che avevano stimato potessero essere le direttive dell’avanzata. All’alba avevano visto il fumo di centinaia di motori diesel appena accesi: era la conferma. Hanno lasciato che le colonne entrassero nel profondo dei campi minati, quindi, con le prime deflagrazioni che mettevano fuori uso i cingoli dei carri di testa, sono entrate in azione le artiglierie, assieme a droni armati, mortai e pattuglie dotate di missili terra aria Javelin e Nlaw», ci raccontano nelle sale comando delle unità ucraine nella cittadina di Kurakhove, a una decina di chilometri dal luogo del massacro.
Perché di massacro si tratta, di uomini e mezzi. Gli ucraini mostrano i video dei carri armati ripresi dai droni che saltano sulle mine, bloccano quelli appena dietro che poi vengono presi di mira dai razzi. I filmati zoomano su decine di soldati che cercano riparo dietro i mezzi in fiamme e nei crateri delle bombe. È il caos della battaglia, alcuni carri cercano la fuga e schiacciano i loro soldati, sulle torrette hanno preso fuoco le borse contenenti sacchi a pelo, vettovaglie e zaini. «In 48 ore, tra l’11 e 12 febbraio perdono la vita oltre 1.000 uomini della 40esima e 150esima brigata dei marines russi, le due unità sono decimate e non più in grado di combattere. Secondo lo Stato maggiore russo i loro morti sono 500, ma noi valutiamo siano almeno il doppio, compresa la distruzione di 120 mezzi, di cui 65 tank T-72B e T-80, che sono il meglio della tecnologia bellica russa», ci dicono ancora mostrando le mappe della zona.
«Ancora una volta a Vuhledar abbiamo visto scontarsi due filosofie della guerra opposte. Quella russa, che è ferma alle tattiche e strategie della Seconda guerra mondiale e invece quella ucraina proiettata nella tecnologia della futura Terza guerra mondiale. I russi hanno una concezione del comando verticistica, dove i generali a Mosca decidono i piani e i comandanti sul campo devono seguirli alla lettera, costi quello che costi. La nostra invece segue quella che in ucraino chiamiamo “Sergiansky Sostav”, l’autonomia del sergente: in poche parole, i sergenti e comandanti minori sul terreno hanno l’autorità per mutare e adattare i piani originari e reagire veloci all’evolversi della situazione», spiega un ufficiale dell’intelligence.
La conseguenza più immediata è che comunque i russi sembrano ancora bloccati sulle posizioni di partenza. E, se si va a guadare bene sulle mappe geografiche, non è difficile notare che, dopo decine di migliaia di morti, sofferenze e distruzioni immani, nel Donbass centro-settentrionale i russi si ritrovano a combattere solo a pochi chilometri dalle linee che occupavano dalla guerra del 2014. L’attacco su Vuhledar doveva essere la prova generale della tanto attesa «offensiva di primavera» e una sorta di regalo a Vladimir Putin in vista del suo discorso alla nazione previsto per il 21 febbraio, tre giorni prima l’anniversario del primo anno di guerra. Ma tutto lascia credere che ancora una volta sarà costretto ad attendere. Come del resto anche le aspettative di Mosca per la cattura di Bakhmut, un centinaio di chilometri a nord di Vuhledar, restano per ora deluse. Ai primi di ottobre era stato lo stesso padre-padrone della milizia mercenaria Wagner, Yevgeny Prigozhin, a promettere a Putin che i suoi uomini l’avrebbero presa velocemente. Ma ieri ancora lui ha annunciato che ciò «non potrà avvenire prima di marzo o aprile». In poche parole: l’assedio continua, Putin avrà ben poco di concreto da festeggiare e intanto la Wagner si sta dissanguando a Bakhmut. In mancanza d’altro, i comandi russi continuano i bombardamenti di missili sulle città ucraine. Ieri sembra ne abbiano tirati almeno 36, di cui 16 abbattuti dalla contraerea. Pare che l’obbiettivo più importante sia stata la raffineria di Kremenchuk, oltre alla zona di Dnipro e Zaporizhzhia.
"Invieremo altre armi...". I grandi del mondo avvertono PutinFederico Giuliani
18 fenbbraio 2023
https://www.ilgiornale.it/news/guerra/d ... 17820.html Continuare a sostenere l’Ucraina in tutti i modi, anche mediante l’assistenza militare. Chiedere alla Russia di ritirare le sue truppe dalla centrale nucleare di Zaporizhzhia e di aumentare il ritmo delle ispezioni e delle operazioni per soddisfare la domanda globale. Far sì, infine, che non ci sia alcuna impunità per i crimini commessi in guerra. Ecco i principali punti contenuti nel documento finale elaborato al termine della riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi del G7 alla Conferenza di Monaco, la prima sotto presidenza giapponese. Alla quale, per altro, ha partecipato anche il ministro di Kiev, Dmytro Kuleba.
Il sostegno all’Ucraina
È ormai passato quasi un anno dall’inizio della guerra in Ucraina. I membri del G7, rappresentati dai ministri degli Esteri dei vari membri del gruppo, si sono riuniti a Monaco per ribadire quale traiettoria da seguire. Innanzitutto è stata condannata con la massima fermezza "la brutale e non provocata guerra di aggressione del governo russo contro l'Ucraina".
I membri del G7 hanno quindi esortato la Russia a ritirare "immediatamente e senza condizioni tutte le forze e l'equipaggiamento dall'Ucraina" e a "rispettarne l'indipendenza, la sovranità e l'integrità territoriale all'interno delle sue frontiere internazionalmente riconosciute".
Nel frattempo, continuerà ad esser garantito il massimo impegno per una "continua solidarietà nei confronti dell'Ucraina" e "per tutto il tempo necessario".
Le richieste del G7 alla Russia
Il documento finale del G7 ha evidenziato anche "gli sforzi concertati dei partner del G7 nel fornire assistenza energetica per mitigare gli effetti dei brutali attacchi della Russia ai civili e alle infrastrutture critiche".
Oltre al ritiro e alla cessazione delle ostilità, è stato chiesto a Mosca di ritirare le sue truppe da Zaporizhzhia. "La retorica nucleare irresponsabile della Russia è inaccettabile e qualsiasi uso di armi chimiche, biologiche o nucleari o di materiali correlati avrebbe gravi conseguenze", ha fatto presente la dichiarazione congiunta dei ministri.
Gli stessi ministri "hanno condannano il sequestro e la militarizzazione da parte della Russia della centrale nucleare di Zaporizhzhia e hanno chiesto il ritiro immediato delle forze e del personale russi", ribadendo "il loro pieno sostegno agli sforzi dell'Aiea volti ad affrontare le preoccupazioni in materia di sicurezza nucleare in Ucraina".
I corridoi del grano e le sanzioni contro Mosca
Non è finita qui perché, accanto alle tematiche prettamente militari e strategiche, i Paesi del G7 hanno ribadito l'importanza fondamentale di continuare ed espandere l'Iniziativa per i cereali del Mar Nero e sottolineato "la necessità per le autorità russe di aumentare il ritmo delle ispezioni e delle operazioni per soddisfare la domanda globale".
Come se non bastasse è stato denunciato inoltre "il continuo uso da parte della Russia della manipolazione delle informazioni e delle campagne di disinformazione a livello globale".
Sul fronte delle sanzioni, infine, il Gruppo dei 7 resterà impegnato a "mantenere e intensificare le sanzioni contro la Russia" allo scopo di limitare il suo sforzo bellico, "e contro quegli stati che forniscono sostegno materiale alla guerra illegale della Russia contro l'Ucraina".
I governi del G7 hanno spiegato di aspettarsi che Paesi terzi non eludano e indeboliscano queste misure, invitando terze parti "a mettere fine all'assistenza all'esercito russo e alle sue forze affiliate". In caso contrario, dovranno pagare un prezzo altissimo.
Biden a sorpresa in Ucraina
FINO IN FONDO
Niram Ferretti
20 febbraio 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063Il significato concreto e simbolico della visita a sorpresa di Joe Biden in Ucraina, a ormai un anno dall'aggressione russa, non può essere sottostimato nelle sue implicazioni e conseguenze.
È la terza volta che un presidente americano si reca in visita in un paese che sostiene militarmente mentre la guerra è ancora in corso. Avvenne già con Bush in Iraq e Obama in Afghanistan.
Al di là dei nuovi impegni degli Stati Uniti nei confronti dell'Ucraina: razzi a più lungo raggio per il sistema Himars, mezzi corazzati e batterie di missili Patriot per intercettare i missili lanciati dalla Russia, gli Stati Uniti, a pochi giorni dai raduni di piazza annunciati a Mosca, anticipano Putin, confermando il pieno e incondizionato sostegno a Kiev.
«Grazie per aver combattuto in modo stupefacente, per aver ricordato al mondo intero cos’è il coraggio, per aver ricordato a tutti noi che la libertà non ha prezzo. Putin voleva cancellare l’Ucraina dalla carta geografica. Voi avete dimostrato che ha sbagliato i suoi calcoli e noi saremo al vostro fianco fino in fondo».
Il messaggio è netto, senza tentennamenti. Ci siamo e continueremo a esserci, fino a che l'aggressore dovrà rendersi definitivamente conto di non potere prevalere in alcun modo.
LA PARTITA SISTEMICA
Niram Ferretti
20 febbraio 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063Come ricorda Eric Voegelin, nelle sue "Riflessioni autobiografiche", quando l'Austria venne occupata dalla Germania, in lui montò una furia estrema per "l'idiozia criminale" delle democrazie occidentali che restarono a guardare senza muovere un dito.
"L'occupazione tedesca dell'Austria avrebbe creato una situazione strategica che avrebbe reso possibile la conquista della Cecoslovacchia e quest'ultima avrebbe consolidato a sua volta una posizione centroeuropea, che avrebbe reso potenzialmente vittoriosa una guerra con le potenze occidentali. Fu per me una grande sorpresa che queste stesse potenze non facessero niente".
La situazione non si è ripetuta a proposito dell'aggressione russa dell'Ucraina, della quale, tra quattro giorni, ricorrerà il primo anniversario.
Dopo l'uscita di scena disastrosa degli Stati Uniti dall'Afghanistan, e convinto che sotto il ricatto energetico russo, l'Europa avrebbe reagito in modo disunito, nonché rassicurato che il governo di Kiev si sarebbe sfaldato rapidamente, Putin ordinò l'attacco.
Il precedente dell'aggressione della Georgia (2008) e dell'annessione della Crimea (2014), senza che i due avvenimenti provocassero gravi e durature conseguenza per la Russia, costituivano una ulteriore garanzia che, anche in questo caso, la reazione all'invasione di uno Stato sovrano, non avrebbe generato reazioni dirompenti.
Fortunatamente per l'Ucraina, le cose non sono andate come auspicava Putin, e le potenze democratiche occidentali, in testa a tutte gli Stati Uniti, non hanno reagito come quando Hitler procalmò l'Anschluss.
Il disegno della grande Germania, disegno aggressivo e imperialista, il cui collante era l'etnonazionalismo, o suprematismo germanico, trova il suo esatto parallelo nel progetto neo-imperiale della grande Russia che Putin vorrebbe portare a compimento.
Quando si creano paralleli storici tra personaggi del presente e del passato, non si intende puerilmente affermare che essi sono uguali, ma, mostrare comparativamente le analogie che li apparentano tra di loro.
La logica putiniana è, in merito alla geopolitica analoga a quella hitleriana, di allargare i confini della Russia, potenziandola e ridisegnando completamente l'architettura geopolitica emersa dopo il crollo dell'URSS, costringendo, come conseguenza di ciò le potenze democratiche occidentali a riconoscerle una posizione di potere accresciuta con la quale fare i conti.
Sotto questa prospettiva, tutti coloro che sono ostili o apertamente antagonisti all'ordinamento liberale occidentale e all'egemonia americana su di esso, si trovano a tifare per la Russia, nella speranza che essa sia in grado di disarticolarlo.
Dunque, la partita che si gioca in Ucraina, è, di fatto, una partita fondamentale per il futuro dell'assetto globale e dei rispettivi ruoli delle potenze coinvolte direttamente e indirettamente. Si tratta, infatti, di una partita sistemica, il cui esito avrà ripercussioni enormi nel presente e nel futuro.
DENTRO LA REALTA'
Due discorsi contrapposti. Putin, a Mosca parla alla platea dell'Assemblea Federale Russa, Biden, in Polonia al Castello Reale di Varsavia.
Niram Ferretti
21 febbraio 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... &ref=notifDue mondi opposti, due visioni del mondo incompatibili. Come durante la Guerra Fredda, come negli anni '40.
«Un anno fa i principi di pace e sicurezza che avevano garantito la stabilità in Europa per 75 anni rischiavano di andare in pezzi. Come alleati siamo rimasti forti e uniti. Lo abbiamo fatto anche per il diritto a vivere liberi dall’aggressione; siamo rimasti al fianco degli ucraini per questi valori. La posta in gioco è la libertà e la democrazia. Le democrazie oggi sono più forti e gli autocrati indeboliti. Loro capiscono solo una parola: “no, no e no”. Non vi prenderete il nostro Paese, non vi prenderete la nostra libertà».
L'Ucraina rappresenta oggi per l'Europa quello che la Polonia, non a caso il paese dell'est Europa più vicino a Kiev, più frontalmente avverso ai disegni egemonici russi, rappresentò nel '39.
Quando Hitler la invase, si prese atto che una linea invalicabile era stata superata. Si era aspettato troppo. Si era accettato l'Anschluss senza muovere un muscolo, gli era stata data la possibilità di prendersi la Cecoslovacchia confidando che la sua fame si sarebbe saziata, ma poi arrivò il momento, per le potenze democratiche, di doverlo arginare.
Quando Putin intrervenne in Georgia nel 2008 lo si lasciò fare, e nulla di rilevante accadde quando si annesse la Crimea nel 2014, nè ci furono impedimenti nel permettergli di insediarsi in Siria nel 2013.
Si guardò, si pensò che sarebbero bastate delle sanzioni, che alla Russia fecerò il solletico. Si è dovuto aspettare il 2022 e l'invasione dell'Ucraina per capire che, se non si fosse intervenuti, sarebbe stata la catastrofe.
I presupposti della Terza guerra mondiale, non fingiamo di non vederlo, ci sono già tutti, e sono tutti in circolazione dal 24 febbraio dell'anno scorso. La sua deflagrazione oltre i confini dell'Ucraina è semplicemente congelata a causa della consapevole devastazione senza pari che verrebbe causata dall'uso delle atomiche, ma di fatto, la sua fisionomia è chiara, e si è fatta ancora più plasticamente chiara oggi con i due interventi parallelli del presidente russo e di quello degli Stati Uniti.
Non ci saranno negoziati. Non possono esserci. La nuova minaccia per l'Occidente, per i suoi interessi, i suoi valori, la sua architettura geo-politica, è, al momento, la Russia, anche se la Cina è dietro l'angolo.
Si è creduto per molto tempo, dalla caduta dell'Unione Sovietica, che il mondo, l'Europa in primis, si avviasse progressivamente, con le dovute eccezioni, verso la stabilità e la pace, che l'irenismo kantiano avrebbe trionfato.
L'Europa erbivora sonnecchiava, aspettava di cogliere i frutti maturi delle proprie convinzioni. Ma, come insegna la storia, la pace non è mai perpetua, e quello di Kant resta un sogno, una escatologia intramondana irrealizzabile.
Thomas Hobbes vedeva l'inevitabilità dei conflitti e la necessità di di costruire le modalità per contrastarli. Per lui non era la razionalità a guidare l'uomo, ma erano le passioni, in primis la libido dominandi, così perfettamente definita dalla filosofia cristiana.
Si è dovuto sconfiggere miltarmente la Germania, metterla in ginocchio, per sopire la sua libido dominandi, la si è democratizzata, ma alla Russia non è successo nulla del genere. Dopo il crollo del regime sovietico, e la breve parentesi di caos e velleità riformiste, essa ha di nuovo rigenerato dal suo ventre la propria fame di dominio e di espansionismo, che, nel corso della sua lunga storia, non è mai venuta meno.
Con la guerra scatenata in Ucraina ne vediamo in atto un'ulteriore tappa.
VERTICI STRATOSFERICI
La solita pantomima. Il discorso di Putin all'Assemblea Federale Russa, ne rappresenta un condensato.
Niram Ferretti
21 febbraio 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063Noi volevamo la pace, loro la guerra, l'Occidente vuole eliminarci, noi andremo avanti, ecc. con l'aggiunta che l'Ucraina si voleva dotare di testate nucleari, omettendo che con il Memorandum di Budapest del 1994, l'Ucraina cedette alla Russia le 2000 testate nucleari di fabbricazione sovietica che si trovavano sul proprio territorio, in cambio della garanzia di salvaguardia delle sue frontiere.
Con 2000 testate nucleari sul territorio ucraino, l'invasione russa non avrebbe mai avuto luogo.
Una delle meraviglie del discorso però è questa:
«Noi non lottiamo contro il popolo ucraino, il popolo ucraino è ostaggio del regime dell’Occidente, che per decenni ha saccheggiato le sue risorse e portato il popolo alla povertà. L’Occidente usa l’Ucraina come una piazza d’armi, come un poligono contro la Russia. Più verranno forniti sistemi a lungo raggio all’Ucraina più saremo costretti a tenere lontana la minaccia dai nostri confini. L’Occidente vuole portare un conflitto locale a una dimensione globale, e noi reagiremo».
Sublime. L'Ucraina depredata dall'Occidente quando fino a poco tempo fa la guidava un pupazzo russo, Yanukovych. Invadono un paese sovrano che si difende e poi lo accusano di volere minacciare i confini dello Stato invasore. Generano una guerra in Europa, e pretendono che l'Occidente, in testa gli Stati Uniti, resti a guardare mentre la Russia si incorpora l'Ucraina così come la Germania si incorporò l'Austria e poi la Cecoslovacchia (entrambe con la connivenza delle potenze occidentali) e poi la Polonia.
Quest'uomo, gli va dato merito, ha superato Joseph Goebbels nel elevare la menzogna e la surrealità della propaganda a vertici stratosferici.
TUTTI ASCOLTERANNO LE PAROLE DI PUTIN DI OGGI. VISTO CHE SONO LA SOLITA SEQUENZA DI PROPAGANDA E MENZOGNE, CONSIGLIO DI LEGGERE LE PAROLE DELL'ALTRA RUSSIA. QUELLA PACIFICA E DEMOCRATICA DI NAVALNY CHE DAL CARCERE CI DICE CHE UN'ALTRA RUSSIA E' POSSIBILE: DOVE I RUSSI NON SIANO IN GUERRA COL MONDO E DOVE NON VENGANO OBBLIGATI A MORIRE PER LE MANIE DI GRANDEZZA DELLO ZAR. E SOPRATTUTTO DOVE SI POSSA USARE UN LINGUAGGIO DI VERITA' SULLA GUERRA. A PARTIRE DAL CHIAMARLA CON IL PROPRIO NOME
Davide Riccardo Romano
21 febbraio 2023
https://www.facebook.com/davide.romano. ... 0055849961Il dissidente russo Aleksei Navalny ha pubblicato, dal carcere in cui sconta una condanna a più di nove anni, un manifesto in 15 punti per la pace e, soprattutto, il futuro della Russia in cui prevede l'impiego dei proventi dell'export di gas e petrolio per risarcire l'Ucraina dai danni della guerra, la convocazione di elezioni generali libere, l'istituzione di un'assemblea costituente, ma soprattutto, che la Russia intraprenda la strada dell'Europa, la sua unica scelta. Il documento è stato pubblicato in coincidenza con l'anniversario dell'inizio dell'invasione dell'Ucraina da parte delle forze russe.
"Il Presidente russo Putin ha dato inizio a una guerra di aggressione ingiusta contro l'Ucraina, con pretesti ridicoli. Sta disperatamente cercando di renderla una guerra popolare, trasformando tutti i russi in suoi complici, ma i suoi tentativi stanno fallendo. Non ci sono quasi volontari per questa guerra e le forze militari devono fare affidamento sui detenuti e sulle persone costrette a mobilitarsi", sottolinea l'oppositore in carcere in Russia dal gennaio del 2021.
"Le ragioni reali di questa guerra sono questioni politiche ed economiche interne alla Russia, il desiderio di Putin di mantenere il potere a tutti i costi e la sua ossessione con il suo lascito storico. Vuole passare alla storia come 'lo zar conquistatore' e 'colui che conquista terre su terre'". Per questo, "decine di migliaia di ucraini innocenti sono stati uccisi e dolori e sofferenze sono precipitati su milioni di altri. Sono stati commessi crimini di guerra. Le città e le infrastrutture ucraine sono state distrutte".
"La Russia sta subendo una sconfitta militare. Averlo realizzato ha fatto cambiare la retorica delle autorità, che sono passate dal dire 'Kiev cadrà in tre giorni' a minacciare in modo isterico l'uso di armi nucleari nel caso in cui la Russia sarà sconfitta. Le vite di decine di migliaia di soldati russi sono state rovinate senza motivo. La sconfitta potrà essere rimandata al costo delle vite di centinaia di migliaia di altri soldati mobilitati, ma sarà inevitabile. La combinazione di una guerra aggressiva, corruzione, generali inetti, economia debole, eroismo e motivazioni elevata delle forze che si difendono può solo risultare in una sconfitta", aggiunge Navalny.
"Quali sono i confini dell'Ucraina? Sono simili a quelli della Russia: sono confini riconosciuti a livello internazionale nel 1991. Anche la Russia li ha riconosciuti allora e deve riconoscergli anche oggi. Qui non c'è nulla da discutere. Quasi tutti i confini del mondo sono più o meno accidentali e causa dello scontento di alcuni. Ma nel ventunesimo secolo, non possiamo dare inizio a guerre per ridefinirli, il mondo precipiterebbe nel caos".
"La Russia deve lasciare l'Ucraina per conto suo e consentirle di svilupparsi nel modo in cui vogliono gli ucraini. Porre fine all'aggressione, alla guerra e ritirare tutti suoi militari dall'Ucraina. Il proseguimento di questa guerra è solo un capriccio causato dall'impotenza e porre fine al conflitto sarebbe un gesto forte". "Insieme all'Ucraina, Usa, Ue e Gb devono cercare modi accettabili per compensare i danni fatti all'Ucraina". "Un modo per farlo sarebbe quello di sollevare le restrizioni imposte sul petrolio e il gas russo, e reindirizzare parte dei proventi ricevuti dalle esportazioni di idrocarburi ai risarcimenti. Questo potrebbe essere fatto solo dopo un cambio di potere in Russia e alla fine della guerra". "I crimini di guerra commessi durante la guerra devono essere perseguiti in cooperazione con le istituzioni internazionali".
"Dire che tutti i russi sono intrinsecamente imperialisti è privo di senso. Anche la Bielorussia per esempio è coinvolta in questa guerra. Ma questo non vuole dire che i bielorussi lo siano. Hanno solo un dittatore al potere. Ci sarà sempre qualcuno con opinioni imperialistiche in Russia. Così come in ogni altro Paese con le precondizioni storiche perché questo avvenga, ma sono tutt'altro che la maggioranza. Non c'è ragione per lamentarsi di questo. Queste persone devono essere sconfitte in elezioni, così come i radicali di destra e di sinistra vengono sconfitti nei Paesi democratici".
"La Russia è un Paese enorme con una popolazione che diminuisce e sparisce nelle zone rurali. L'imperialismo e la necessità di appropriarsi di territori sono la cose più dannosa e distruttiva per il Paese. Una volta ancora, il governo russo sta distruggendo il nostro futuro con le sue mani solo per far sembrare il Paese più grande sulle cartine. Ma la Russia è grande abbastanza come è. Il nostro obiettivo deve essere quello di mantenere le nostre persone e sviluppare quello che abbiamo in abbondanza".
"Per la Russia, il lascito di questa guerra sarà una serie di problemi complessi e, a priva vista, quasi insolubili. E' importante stabilire da soli che vogliamo risolverli e iniziare a farlo in modo onesto e aperto. La chiave del successo è nel capire che porre fine alla guerra il prima possibile non sarà solo positivo per la Russia e i russi ma anche molto conveniente. E' l'unico modo per iniziare ad andare verso la rimozione delle sanzioni, il rientro di chi ha lasciato il Paese, il ripristino della fiducia nel mondo degli affari e della crescita economica. Lasciatemi sottolineare che dopo la guerra, dovremo rimborsare l'Ucraina per tutti i danni provocati dall'invasione russa. Ma il ripristino delle normali relazioni economiche con il mondo civile e della crescita economica ci consentiranno di farlo senza interferire con lo sviluppo del Paese".
"Dobbiamo smantellare il regime di Putin e la sua dittatura. Idealmente, con elezioni generali libere e convocando una Assemblea costituente. Abbiamo bisogno di istituire una Repubblica parlamentare basata sull'alternanza di poteri attraverso elezioni libere, tribunali indipendenti, federalismo, auto governance locale, libertà economiche complete e giustizia sociale". "Riconoscendo la nostra storia e le nostre tradizioni, dobbiamo essere parte dell'Europa e seguire il percorso di sviluppo europeo. Non abbiamo altra scelta e non abbiamo bisogno di averne altre".
Il capo della Wagner Prigozhin ammette le difficoltà: «Abbiamo centinaia di morti al giorno»
Fabrizio Dragosei
22 febbraio 2023
https://www.corriere.it/esteri/23_febbr ... e67e.shtmlIl «cuoco di Putin», fondatore e capo del gruppo armato Wagner, si scaglia contro i vertici dell’Esercito: «Stanno cercando di distruggerci, sono come traditori»
Nel suo discorso Putin non ha parlato della situazione militare, ma a dare notizie che non sembrano certo confortanti per la Russia è stato il fedelissimo Evgenij Prigozhin, ex ristoratore, fondatore e capo del gruppo armato Wagner. Tra la sua organizzazione e i vertici militari, compreso il ministro della Difesa, ci sono scontri continui.
Ai suoi uomini e a tante altre unità al fronte non arrivano rifornimenti e munizioni, altra conferma del fatto che l’Armata ha enormi problemi logistici. Inoltre, per la prima volta qualcuno dalla parte russa ammette che l’attacco disperato contro Bakhmut sta costando «centinaia di morti al giorno». Questo a fronte delle dichiarazioni ufficiali degli alti vertici militari ferme a cinque mesi fa, quando in un comunicato venne riconosciuta la perdita di 5.937 uomini. Poi più nulla. Organizzazioni umanitarie in Russia hanno documentato la morte di quasi 15 mila uomini fino a metà febbraio. Ma secondo le stime degli ucraini e degli occidentali, le perdite sarebbero molto più alte. Kiev parla addirittura di 150 mila morti, mentre ipotesi più prudenti superano comunque i cinquantamila.
A Bakhmut tutte le testimonianze raccontano di attacchi russi scriteriati, con reclute ed ex carcerati mandati a ondate contro le mitragliatrici ucraine, come avveniva nei folli attacchi della Prima guerra mondiale. Ora le parole dello stesso Prigozhin sembrano confermare questa strategia: «Centinaia di morti ogni giorno».
Prigozhin ha fatto rilasciare un suo documento sonoro nel quale accusa senza mezzi termini e con un tono particolarmente concitato lo Stato Maggiore e il ministro della Difesa in persona. «Impartiscono a destra e a manca ordini per dire che alla Compagnia Wagner non si devono dare munizioni e non la si deve aiutare con il trasporto aereo». Secondo l’uomo, conosciuto come il «cuoco di Putin» per la sua attività di ristoratore (con la quale ha fatto soldi a palate), «ora sono state cancellate perfino le forniture di pale per scavare le trincee». Per Prigozhin, è in corso «un tentativo di distruggere la Wagner che può essere equiparato al tradimento della Patria». Accuse pesantissime che erano state avanzate anche nel recente passato, sia pure non in termini così espliciti. Lui gode della protezione di Putin, ma fino a un certo punto. Tanto che l’11 gennaio il presidente ha invece riconfermato la sua fiducia nel Capo di Stato Maggiore Gerasimov facendolo nominare anche responsabile diretto dell’Operazione militare speciale.
In più, nel discorso alle Camere riunite, il capo dello Stato ha lodato le Forze Armate, gli «eroici combattenti», ma non ha mai citato la Wagner. Prigozhin afferma che i suoi non ricevono rifornimenti e anche che «altre unità accusano una costante carenza di munizioni». Quella del «cuoco» è una denuncia disperata. Gli alti papaveri dell’Esercito, secondo lui, chiamano poi in continuazione i responsabili dei canali Telegram e di altri media chiedendo di non mostrare sue immagini o di mettere in giro voci false sul suo conto. La conclusione è amara: «Non ne posso più di scrivere lettere che tanto non legge nessuno».
Slava Ukraini! | Secondo Meloni la resistenza ucraina è come il Risorgimento italiano
22 febbraio 2023
https://www.linkiesta.it/2023/02/ucrain ... ra-russia/ La resistenza ucraina contro l’invasione russa è come il Risorgimento italiano. Un momento storico in cui è l’azione militare a definire l’identità della nazione. Giorgia Meloni ha scelto la metafora più patriottica possibile per far capire agli italiani e al resto del mondo che il nostro paese continuerà a sostenere militarmente l’Ucraina, fino alla vittoria. Un messaggio forte a chi ha «sottovalutato l’eroica reazione di un popolo disposto a fare tutto ciò che va fatto per difendere la sua libertà, la sua sovranità e la sua identità».
Durante la conferenza stampa congiunta col presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kyjiv la presidente del Consiglio ha confermato «una pace giusta e duratura non può esserci con una resa dell’Ucraina, una vittoria della Russia non sarebbe pace ma una invasione» e ha assicurato che «l’Italia non intende tentennare e non lo farà. Darà ogni possibile assistenza perché si creino le condizioni di un negoziato, ma fino ad allora darà ogni genere di supporto militare, finanziario, civile. Quando c’è un aggredito tutte le armi sono difensive».
Meloni è rimasta vaga sul possibile invio di aerei da combattimento ed elicotteri, che l’Ucraina chiede da tempo, «è una decisione da prendere con i partner internazionali, ci siamo concentrati su sistemi di difesa antiaerea. La priorità è difendere infrastrutture e cittadini», ma assicura che il sostegno non mancherà, nonostante le dichiarazioni ambigue dei suoi alleati di governo: Matteo Salvini e Silvio Berlusconi: «C’è un programma chiaramente schierato, è sempre stato rispettato da tutti e confido che sarà ancora così. Al di là di alcune dichiarazioni, nei fatti la maggioranza è sempre stata compatta».
Meno diplomatico il presidente Zelensky che ha attaccato il leader di Forza Italia per le sue critiche sulla guerra: «La casa di Berlusconi non è mai stata bombardata, né sono arrivati con i carri armati nel suo giardino, nessuno ha ammazzato i suoi parenti, non ha mai dovuto fare la valigia alle tre di notte per scappare e tutto questo grazie all’amore fraterno della Russia». L’attacco di Zelensky è in realtà un messaggio alla nostra opinione pubblica: «Auguro pace a tutte le famiglie italiane, anche a chi non ci sostiene, ma la nostra è una grande tragedia che va capita. Voglio che vengano qui a vedere con i propri occhi la scia di sangue che hanno lasciato».
Zelensky ha ringraziato Meloni per l’ottenimento di «sistemi di difesa antiaerea importantissimi», e ha affermato di non aver sentito il discorso di Vladimir Putin perché «stavamo pensando a difendere il nostro cielo. In quel momento stavano bombardando Kherson, dove ci sono stati sei morti».
La presidente del Consiglio che in giornata è stata anche in due luoghi simbolo della guerra, Bucha e Irpin, ha annunciato che il governo italiano sta lavorando a una conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina che dovrebbe tenersi ad aprile: «Abbiamo parlato molto del tema della ricostruzione, non solo al termine della guerra, ricostruire ora un palazzo distrutto è un segno di speranza, vuol dire scommettere sull’Ucraina. Qui non è in gioco la teoria o numeri astratti ma la vita e la morte delle persone, è impossibile girarsi dall’altra parte e sarebbe stupido farlo: gli interessi dell’Ucraina coincidono con quelli dell’Europa».
L’Unione fa la differenza | Proteggere l’Ucraina oggi significa proteggere l’Europa di domani, dice Pina Picierno - Linkiesta.it
Vincenzo Genovese
22 febbraio 2023
https://www.linkiesta.it/2023/02/proteg ... ntervista/ A un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, «l’Unione europea c’è e sta facendo la differenza» nel consentire la resistenza di Kyjiv. Così la pensa Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, che ha da poco visto da vicino il presidente Volodymyr Zelensky. E che il 24 febbraio, nell’anniversario dell’inizio della guerra, parteciperà all’evento organizzato a Milano da Linkiesta e dall’ufficio di Milano del Parlamento europeo per celebrare l’assegnazione del premio Sakharov al coraggioso popolo ucraino.
In questa occasione, quale sarà la cosa più importante da ricordare in Italia?
Che guerra contro l’Ucraina è una guerra contro il nostro sistema valoriale e democratico. Le guerre nel ventunesimo secolo sono ibride e tendono al sovvertimento delle democrazie liberali. Per questo il nostro supporto non può venir meno: proteggere l’Ucraina oggi significa proteggere l’Europa di domani.
Finora la risposta dell’Unione europea è stata all’altezza?
Sento troppo spesso dire che «l’Europa deve fare di più per fermare il conflitto» o che «dovrebbe lavorare di più per la pace». Sono affermazioni che lasciano il tempo che trovano, perché gli sforzi della nostra diplomazia sono sempre stati incentrati sulla costruzione di una pace giusta e duratura. L’Unione europea c’è e sta facendo la differenza: i nostri sforzi sono stati molteplici e progressivi, ma in una guerra del genere bisogna essere elastici e mobilitarsi per comprendere quale possa essere il supporto ulteriore che il conflitto richiede.
In questa risposta, che ruolo ha giocato il Parlamento europeo?
Il Parlamento europeo è stata la prima istituzione a sostenere con fermezza il governo ucraino e il Presidente Zelensky contro l’aggressione russa. In questi dodici mesi di conflitto non abbiamo offerto una vicinanza teorica ma pratica. La visita di Zelensky è stata un momento molto importante, perché la nostra assemblea ha dimostrato ancora una volta di essere la casa della democrazia e dello Stato di diritto.
Eppure, proprio tra i membri dell’Eurocamera ci sono voci critiche, pur minoritarie, sulla posizione europea di sostegno all’Ucraina e le sanzioni alla Russia. Perché?
Il nostro continente è stato esposto per lungo tempo a un bombardamento di propaganda da parte del Cremlino, propaganda che continua anche tempo di guerra e che confonde i piani tra aggrediti e aggressori. Ancora oggi, un anno dopo l’inizio della guerra, assistiamo spesso non al consapevole esercizio del ragionamento, ma alla volontaria mistificazione della realtà.
Il Qatargate è probabilmente lo scandalo più grande nella storia del Parlamento europeo. Quali ripercussioni può avere?
Le istituzioni europee si sono dimostrate forti e compatte: nonostante i tentativi di ingerenza, la politica europea non ha modificato il suo corso. Così come la Presidente Roberta Metsola ha detto più volte, occorre implementare le regole di trasparenza che mettano al riparo il nostro continente da ingerenze dei Paesi terzi. Sono sicura che questa sfida verrà vinta.
Intanto il presidente del Partito popolare europeo Manfred Weber ha bollato il Qatargate come «scandalo dei socialisti» e in effetti i deputati coinvolti appartengono tutti al vostro gruppo, S&D. C’è un motivo particolare o poteva capitare anche in altre famiglie politiche?
La discussione non è individuare le responsabilità di un gruppo politico, ma tutelare la credibilità delle istituzioni. La storia ci ha insegnato che nessun partito è immune dalla corruzione. La questione morale non si affronta per stabilire chi è più morale dell’altro, ma per fare avanzare le istituzioni, nazionali o europee che siano, nella propria autonomia e onorabilità.
Come cambierebbe il Partito democratico se venisse eletta vicesegretaria alle primarie?
Innanzitutto significherebbe avere Stefano Bonaccini segretario del Pd, e mi sembra già una novità strutturale importante. Il nostro sarebbe un Pd che avrebbe nell’Europa non un orizzonte elettoralistico ma un approdo politico. Oggi la politica estera si sovrappone con quella interna e dobbiamo saper sfruttare l’occasione di metterla al centro della nostra azione. Non è più tempo di essere europeisti a parole, le sfide attuali non ci lasciano alternative.
Il Pd di Bonaccini-Picierno guarderebbe più al Terzo Polo, al Movimento Cinque Stelle o all’alleanza Europa Verde/Sinistra Italiana?
Il dibattito sulle alleanze per me viene dopo. Ora vogliamo ridare al Partito democratico quella vocazione maggioritaria che col tempo ha smarrito. E che può metterci su una strada in cui le alleanze non sono esperimenti di laboratorio, ma puntelli per rafforzare una proposta di Paese.
PUTIN PUÒ CADERE? E LA RUSSIA PUÒ SGRETOLARSI?
di Paolo Valentino, Il Corriere della Sera
Niram Ferretti
22 febbraio 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063Nel lanciare un anno fa la sua sciagurata «Operazione Speciale» contro l’Ucraina, Vladimir Putin ha sostanzialmente commesso tre cruciali errori di valutazione: si è illuso sulla forza militare della Russia, ha sottovalutato la determinazione e la capacità di resistenza del popolo ucraino, non ha previsto l’unità e la tenuta dell’Occidente nel sostenere Kiev e imporre sanzioni contundenti contro Mosca.
Dodici mesi dopo, nessuno degli obiettivi che lo Zar si era prefissato è stato raggiunto. Anzi, dopo i primi successi, pagati a caro prezzo in termini di vite umane e risorse militari, la Russia ha subito perdite devastanti, è stata costretta a ritirarsi da buona parte del territorio guadagnato nei primi mesi di guerra e si è vista costretta in una guerra di logoramento, il cui esito rimane aperto perfino a una sconfitta definitiva.
Il potere dello Zar appare ancora saldo. Putin ha rafforzato la verticale del potere, completato la trasformazione totalitaria e neostalinista del sistema russo, intensificato la repressione, chiuso il Paese al mondo esterno come ai tempi dell’Urss e avviato la riconversione verso un’economia di guerra autarchica, dove l’intera società è subordinata ai bisogni del complesso militare. Di più, la distribuzione del potere all’interno del Cremlino è tale da escludere alcuna alternativa valida a Putin. Priva di una linea di successione o di un delfino designato, concepita in modo da incoraggiare il conflitto tra le diverse cricche, è stato lui stesso a volerla così, nel segno di una logica imperiale in tutto e per tutto tranne che nel titolo formale.
Eppure, il destino di Putin non è scritto nel marmo. L’incerto finale della partita ucraina, con la possibilità di una storica sconfitta per il Cremlino, lascia infatti aperti molti scenari, alcuni dei quali considerati estremi ma non per questo impossibili o relegabili nel novero delle pure speculazioni. Non solo. Perché il futuro personale dello Zar si intreccia in modo indissolubile a quello della Russia in quanto Stato, che lui ha costruito a propria immagine. Domandarsi quindi se Putin possa cadere e se la Federazione Russa sia a rischio di collasso, non è soltanto un esercizio intellettuale o arbitrario.
A renderlo plausibile è in primo luogo la Storia, che non si ripete, ma spesso fa rima. E quella della Russia è costellata di sconfitte in guerra che hanno condotto a un’implosione del regime: successe nel 1598 al Regno di Moscovia dopo la sconfitta contro la Svezia nella Prima Guerra del Nord. Successe di nuovo nel 1917 quando il tracollo delle forze russe nella I Guerra Mondiale innescò la Rivoluzione bolscevica, la guerra civile e la fine del secolare impero zarista. E più di recente, successe nel 1991, con il collasso dell’Unione Sovietica seguito alla sconfitta nella Guerra Fredda. E se poi non vogliamo limitarci soltanto alla Russia, è utile ricordare che nel 1918, altri tre grandi imperi — Ottomano, Austro-Ungarico e Reich guglielmino tedesco — non sopravvissero alla sconfitta militare.
Ma nel caso della Russia, a renderne dubbia la sopravvivenza nel caso di una sconfitta in Ucraina ci sono altre due buone ragioni. La prima è la stessa che oggi rende saldo il potere di Putin, cioè la mancanza di alternative: se Putin uscisse di scena, in seguito a una congiura di palazzo o magari con un colpo a sorpresa sotto la sua regia alla vigilia delle elezioni del 2024 cercando di guidare la propria successione, è infatti più probabile che si scateni una feroce lotta di potere tra gli ultranazionalisti che vogliono continuare lo sforzo di guerra e distruggere l’attuale gerarchia e la fazione autoritaria, disposta a finire la guerra pur di salvare il regime e i propri privilegi. Come sempre nelle vicende russe, un fattore importante in questa equazione è l’incerta salute dello Zar, che ne mina il culto della personalità e l’immagine macho, ormai un lontano ricordo. Un Putin indebolito dalla malattia potrebbe essere costretto a cedere lo scettro.
La seconda ragione sono le tensioni etniche, che la guerra in Ucraina ha esacerbato. Sono state finora le minoranze povere cecene, daghestane, ingusce e così via a pagare il più alto tributo di sangue delle perdite militari di Mosca. Anche la mobilitazione di 300 mila nuovi coscritti è stata fatta lungo linee etniche, per tenere il più possibile fuori i giovani di Mosca e San Pietroburgo dove la guerra deve rimanere un fenomeno astratto e lontano. Detto altrimenti, le etnie non russe sono state usate come carne da cannone. E questo ha fatto crescere in periferia risentimento e rabbia verso il centro, creando un potenziale esplosivo di rivolte ed eventuali secessioni.
Lo scenario di un collasso innescato dalle tensioni etniche evoca quello che portò alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, quando furono le proclamazioni d’indipendenza delle varie Repubbliche (i Baltici, l’Ucraina, la Bielorussia, l’Asia centrale sovietica) a mostrare nudo il potere moscovita e condannare Gorbaciov all’impotenza. In questo caso, il centro di gravità potrebbe essere il Caucaso del Nord. In Cecenia, il sanguinario Ramzan Khadyrov potrebbe approfittare dell’uscita di scena di Putin, che finora ha sostenuto, per rilanciare la battaglia per una totale indipendenza da Mosca, dopo quelle represse nel sangue del 1994-96 e del 1999-2009. Intanto è già in piena fibrillazione il Daghestan, dove le manifestazioni contro la campagna di mobilitazione del Cremlino hanno prodotto scontri violenti con la polizia. Altri candidati potenziali alla secessione sono Tatarstan, Inguscezia e Bashkortostan, che potrebbero cercare di avvicinarsi a Turchia e Kazakhstan. Nell’estremo oriente della Federazione, potrebbero seguire Sakhalin, Primorskiy , Khabarovsk, Kamchatka e Jacuzia, grandi depositi di petrolio, gas naturale, diamanti e oro.
Nelle attuali condizioni, una sconfitta in Ucraina potrebbe fare da detonatore. Non è scontato naturalmente. Un osservatore autorevole come l’ex premier svedese Carl Bildt ritiene improbabile lo scenario di una dissoluzione ed è convinto che «le élite russe stiano già discretamente sondando le possibilità offerte dal dopo-Putin». Per Bildt il collasso della Russia non è negli obiettivi dell’Occidente, che tuttavia dovrebbe lavorare e cercare modi «per creare condizioni e incentivi che facciano emergere e prevalere forze più democratiche».
Ma se così non fosse? Se invece l’implosione della Federazione russa prendesse rapidamente il volo, in che modo avverrebbe? Sarebbe relativamente pacifica, come successe nel caso dell’Unione Sovietica? Ovvero sarebbe destabilizzante e violenta, compreso il rischio di una guerra civile?
Henry Kissinger è convinto di questa seconda ipotesi: «La dissoluzione della Russia o la distruzione della sua capacità di fare politica strategica ne trasformerebbe il territorio, che si estende per 11 fusi orari, in uno spazio contestato», dice l’ex segretario di Stato americano. Gruppi russi potrebbero dar vita a una lotta violenta e senza esclusione di colpi, mentre potenze esterne potrebbero usare la forza per raggiungere i propri obiettivi: «Tutti questi pericoli — continua Kissinger — sarebbero amplificati dalla presenza di migliaia di armi nucleari». Ecco perché il vecchio statista, profeta della Realpolitik, consiglia all’Occidente come migliore linea d’azione di «non rendere impotente la Russia attraverso la guerra» e invece di «includerla in un processo di pace», i cui dettagli e la cui applicabilità al momento rimangono però ancora nebulosi. Ancor più pessimista è la storica Marlene Laruelle, direttrice dell’Istituto per gli studi europei, eurasiatici e russi della George Washington University, secondo la quale un collasso della Russia «produrrebbe diverse guerre civili, con piccoli staterelli in guerra fra di loro per i confini e le risorse economiche» e un centro moscovita che «reagirebbe con violenza a ogni secessione».
Anche senza scenari così estremi, una Russia frammentata metterebbe però a rischio la sicurezza regionale e globale. Poiché, a differenza di quanto avvenne nel 1991 con l’Urss, quando tre dei quattro nuovi Stati che possedevano armi nucleari (Bielorussia, Kazakhstan e in modo più riluttante Ucraina) accettarono di cederle alla Russia e metterle in sicurezza grazie all’aiuto degli americani, oggi anche una secessione localizzata creerebbe una o più entità statali pronte a rivendicare il diritto di tenersi le armi nucleari presenti sul loro territorio.
L’ipotesi più realistica e verosimile è comunque la sopravvivenza del regime. Con o senza Putin, probabilmente sarà ancora una Russia autoritaria, repressiva, militarizzata e chiusa verso l’esterno. Il corollario è che, quando arriverà, la fine della guerra in Ucraina assomiglierebbe tanto a quella della Guerra di Corea: un armistizio senza pace, con l’Ucraina che grazie agli aiuti per la ricostruzione potrebbe seguire lo stesso percorso della Corea del Sud, integrandosi nella comunità occidentale via l’adesione all’Ue e alla Nato. Mentre la Russia diventerebbe una gigantesca Corea del Nord, armi nucleari, economia decrepita e pochi amici nel mondo, di fatto un protettorato cinese. Ma anche in questo scenario, il Cremlino dovrebbe misurarsi con problemi drammatici ed eccezionali: il ritorno a casa delle truppe, le tensioni etniche, la ricostruzione economica in condizioni di autarchia e di introiti ridotti dalle esportazioni di materie prime, non ultima l’ennesima umiliazione agli occhi del mondo. Ci vorranno decenni, ammesso che ci riesca, perché la Russia appaia di nuovo un Paese quasi normale. Nel frattempo, la sua stessa esistenza rimarrà ancora precaria.