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I primati negativi della incivile e malvagia Russia di PutinLa incivile e malvagia Russia nazifascista di Putin, i suoi primati negativi e le sue azioni criminali
viewtopic.php?f=143&t=3010 https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 4000746683 La Russia di Putin non è un faro di civiltà per il mondo, non è certo un paradiso per i cristiani e non è nemmeno una patria felice e ideale per i russi e per le altre etnie di questa federazione imperiale a egemonia suprematista russa.
Il Nazifascismo Separatista Putiniano Nel DonbassSpaziolibero Cris
Andrea Ferrario
6 giugno 2022
https://unaepidemiadivita.wordpress.com ... l-donbass/I nazifascisti ed estremisti di destra che hanno fondato e diretto le due “repubbliche popolari” del Donbass a partire dal 2014.
Messi temporaneamente da parte dal Cremlino una volta terminati i loro compiti, sono tornati in questi giorni sulla scena della guerra.
Documentiamo come le leggende sull’esistenza di un autentico antifascismo nel Donbass siano una colossale “patacca”, occupandoci in particolare della figura del defunto comandante Mozgovoy e dei suoi nessi con l’estrema destra.
1) I nazifascisti delle “repubbliche” del Donbass
Mentre in Italia ci si è sempre concentrati esclusivamente sui neofascisti ucraini, il problema macroscopico del nazifascismo nelle “repubbliche popolari” e in Russia è stato sistematicamente ignorato. La sinistra italiana, e la massima parte di quella internazionale, si è fatta passare sotto il naso senza pronunciare nemmeno un timido “ohibò” quella che probabilmente è stata la più ampia operazione politica e militare nazifascista in Europa dopo il 1945, la creazione nel 2014 delle “repubbliche popolari” separatiste di Donetsk e Lugansk e le loro azioni militari, condotte sotto l’egida di Mosca per ottenere il controllo del Donbass.
Le modalità di creazione delle “repubbliche” e il profilo dei nazifascisti che le hanno fondate sono descritti nell’approfondita indagine pubblicata da “Crisi Globale”, con decine di link a fonti principalmente separatiste e russe, a fine aprile 2014, cioè quasi in presa diretta:
L’anima nera della “Repubblica di Donetsk”
Nell’articolo viene descritto nei dettagli come i gruppi all’origine delle due “repubbliche” separatiste create subito dopo Maidan e l’annessione della Crimea fossero formati interamente da nazifascisti, razzisti, antisemiti ed estremisti di destra filozaristi. I più importanti di loro venivano dalla Federazione Russa e non avevano in precedenza avuto nulla a che fare con il Donbass.
I due leader principali, Igor Girkin “Strelkov” e Aleksandar Boroday, corrispondono esattamente a questo profilo, e almeno il primo, con esperienze militari in Bosnia e in Cecenia, era sicuramente legato ai servizi segreti russi.
Lo stesso vale quasi sicuramente per l’intera dirigenza separatista, che ha agito in perfetta sintonia con la pianificazione degli eventi da parte di Mosca, sebbene per ovvi motivi solo per alcuni dei suoi esponenti vi siano precise evidenze.
Anche le forze armate delle due “repubbliche” erano sotto controllo fascista, basti pensare che quelle della “repubblica di Lugansk” sono state a lungo sotto il comando di un noto neonazista di San Pietroburgo, Aleksey Milchakov, e quelle della repubblica di Donetsk sotto quello di un altrettanto noto neonazista, Aleksandr Matyushin, già a capo della sezione di Donetsk del gruppo neonazista Russkiy Obraz e dell’organizzazione giovanile della relativa “repubblica”, nonché fondatore del battaglione nazifascista Varyag.
Sotto gli ordini dei loro camerati inviati da Mosca hanno agito anche alcuni microgruppi neofascisti locali del Donbass, attivatisi in funzione anti-Maidan già prima degli eventi del marzo 2014. Questi ultimi erano privi di ogni legame con la popolazione locale e hanno ottenuto i loro risultati unicamente grazie al sostegno di Mosca, nonché all’appoggio condizionato ricevuto dai potentati mafio-oligarchici locali.
Inoltre, i nazifascisti e gli altri estremisti di destra a capo delle “repubbliche” separatiste, facevano parte di una rete internazionale creata dal Cremlino attraverso “Unioni eurasiatiche”, “conferenze internazionali”, convegni, convocazioni di “osservatori internazionali” a elezioni farsa, mirati a fare convergere l’estremismo di destra europeo (e negli anni successivi, anche statunitense) verso gli interessi di Mosca.
Pertanto la dimensione dell’operazione nazifascista separatista, al contrario per esempio di quella del neofascismo ucraino, è anche di natura paneuropea.
Infine, avevamo pubblicato sempre nel 2014, a titolo documentativo, il testo “teorico” di un ideologo della “Repubblica di Donetsk”, Igor Droz, che è emblematico della natura di estrema destra, integralista cristiana e omofoba delle repubbliche separatiste: L’”antifascismo” neofascista della Novorossiya.
Igor Droz era vicino a Igor Strelkov e partecipava alle riunioni del think-tank separatista Izborsky Club, di cui faceva parte anche il noto neofascista russo Aleksander Dugin.
Ma cosa è successo dopo il 2014-2015?
Mosca ha progressivamente rimosso la maggior parte degli uomini della prima ora, cioè i fascisti di cui sopra. Questi ultimi si dimostravano poco controllabili, molti comandanti avevano creato dei veri e propri feudi in reciproco conflitto, o in conflitto con le dirigenze di Donetsk e Lugansk.
Putin grazie ai nazifascisti separatisti aveva portato a termine con successo la prima fase della sua guerra contro l’Ucraina, non era per il momento interessato ad allargare un conflitto per il quale non si riteneva ancora preparato e puntava per il momento a tenere in scacco il governo di Kyiv dopo avere messo un’ipoteca sul funzionamento del paese con la creazione delle “repubbliche” separatiste, continuando però a intessere una rete di estrema destra a livello europeo che gli poteva tornare utile su temi come le sanzioni, il gas e altro ancora.
I separatisti della prima ora sono stati fatti quasi tutti uscire di scena in un modo nell’altro. Strelkov e Boroday sono stati richiamati a Mosca (il secondo oggi è deputato di Russia Unita), svariati comandanti sono stati uccisi.
Il primo nuovo uomo, che nell’estate del 2014 ha sostituito il “presidente” separatista Boroday, è stato Alexander Zakharchenko, anch’egli proveniente da ambienti di estrema destra, ma più grigio e obbediente – il che non lo ha salvato però dal morire in un attentato nel 2018.
Anche svariati altri comandanti noti, come Motorola, Givi o Alexey Mozgovoy, sono stati uccisi. Oggi al potere rimangono personaggi privi di ogni personalità, veri e propri burattini di Mosca, come Denis Pushilin, l’unico sopravvissuto della prima ora, anch’egli connesso con l’estrema destra, ma lungi dall’esserne stato un militante attivo: nel periodo prima del “separatismo” si limitava a rubare soldi ai pensionati come dirigente di una piramide finanziaria.
Battaglioni neonazisti (il Rusich) o con una nutrita presenza neofascista al loro interno (il Somali) hanno però continuato e continuano a operare sul terreno in Donbass e in queste settimane Pushilin si è fatto cogliere mentre decorava un comandante che recava sulla divisa un simbolo neonazista.
Di tendenze naziste è anche il gruppo mercenario stragista Wagner (si vedano ad esempio gli articoli di Res Publica e del Guardian) che, come già nel 2014, sta oggi operando nel Donbass a fianco dei separatisti e dell’esercito russo, dopo avere combattuto e compiuto eccidi in Medio Oriente e Africa al servizio di Mosca.
L’eliminazione della maggior parte dei fascisti dei primi due anni delle repubbliche separatiste non vuol dire che queste ultime si siano democratizzate. Sono sempre rimaste dittature dove si praticano sistematicamente la tortura, gli omicidi mirati contro le briciole sopravvissute della società civile, le politiche omofobe e integraliste cristiane. Inoltre la dirigenza separatista ha distrutto l’economia locale con una pura politica di saccheggio, non pagando gli stipendi agli operai, o consegnando i beni del paese a grandi capitalisti della Federazione Russa.
Su questi aspetti una delle migliori fonti è il dettagliato articolo di Natalia Savelyeva pubblicato dalla Fondazione Rosa Luxemburg.
Molto utili anche i precisi materiali pubblicati dallo storico e attivista di sinistra Simon Pirani nel suo sito “People and Nature”, come ad esempio The “republics” Putin is fighting for e Social protest and repression in Donbass.
Sulla natura di estrema destra delle “repubbliche” separatiste fondamentale è il saggio “Russian White Guards in the Donbass” di Zbigniew Marcin Kowalewski, pubblicato da International Viewpoint, così come il suo “The oligarchic rebellion in the Donbass”.
Un altro articolo che traccia con precisione i nessi tra neonazisti russi, Cremlino e nazifascisti del Donbass è “Neo-Nazi Russian nationalist exposes how Russia’s leaders sent them to Ukraine to kill Ukrainians”.
Utili anche “The Involvement of Russian Ultra-Nationalists in the Donbas Conflict”, di Richard Arnold, e il recente “Neo-Nazi Russian Attack Unit Hints It’s Going Back Into Ukraine Undercover”, sul battaglione neonazista Rusich.
Per quanto riguarda i documenti fotografici, consigliamo queste due “gallerie” di immagini sui nazifascisti del Donbass:
http://www.evasiljeva.ru/2017/08/blog-post_20.htmlhttps://glavnoe.ua/news/n1869572) Antifascisti nel Donbass? Ma non scherziamo…
In Internet circolano numerosi materiali fotografici e “reportage” sulla presenza di comunisti e antifascisti tra i separatisti del Donbass. Molti di questi materiali tendono ad affermare che l’intero Donbass separatista è una roccaforte antifascista. In Italia questo discorso è amplificato da una serie di piccoli gruppi di una galassia stalinista che, per sua natura, è sempre pronta a schierarsi dalla parte degli stragisti, dal sito Contropiano (vicino al sindacato USB filo-Assad e filo-Putin), fino alla band militante Banda Bassotti o a piccoli gruppi.
Queste tesi sono tornate alla ribalta con la morte nel Donbass di Edy “Bozambo” Ongaro che, condannato per aggressione, aveva trovato rifugio prima in Spagna e poi nel Donbass separatista, dove si era arruolato nel battaglione Prizrak, l’unico della regione che in effetti esibisce spesso bandiere rosse (dell’Unione Sovietica) e accoglie militanti “internazionalisti” di gruppi neostalinisti europei.
La storia del battaglione Prizrak e del suo comandante, Aleksey Mozgovoy è esemplare di come l’idea dell’esistenza di una tendenza di sinistra ed effettivamente antifascista sia una pura “patacca”.
Mozgovoy, che a differenza della maggior parte dei suoi camerati separatisti non aveva avuto una storia di militanza di estrema destra prima del 2014 (era stato soldato a contratto per cinque anni, poi aveva vissuto di occupazioni occasionali), si era tuttavia legato fin dall’inizio degli eventi di quell’anno a Igor Strelkov, l’estremista di destra di cui abbiamo già parlato e che ha guidato le fasi fondamentali dell’annessione della Crimea e della “primavera russa” separatista nel Donbass su ordini di Mosca.
Mozgovoy, che controllava un suo “feudo” ad Alchevsk, nella regione di Lugansk, faceva parte di un settore di comandanti meno direttamente controllabili da Mosca ed era presto entrato in conflitto con l’ala più burocratica che governava la cosiddetta “Repubblica di Lugansk”. Inoltre, dopo i primi mesi della “primavera russa” gli effettivi del suo battaglione stavano calando di numero. Alla fine, nel 2015, Mozgovoy è stato ucciso in un agguato quasi di sicuro organizzato dalla dirigenza di Lugansk e/o da Mosca.
Mozgovoy è sempre stato su posizioni che, per quanto confuse, erano di estrema destra e anticomuniste, come testimoniato da molto di più dei suoi soli legami con Strelkov. Per esempio, a fine agosto 2014 Mozgovoy ha preso parte a Yalta a un congresso che, sotto l’occhio paterno di Sergey Glazyev, uomo forte del Cremlino e allora consigliere di Putin, ha riunito neofascisti e neonazisti di tutta Europa, come per esempio Roberto Fiore di Forza Nuova, il neonazista belga Luc Michel o l’antisemita Israel Shamir, tra i tanti altri.
Nel novembre dello stesso anno organizzava un processo “popolare” in perfetto stile fascio-stalinista contro due uomini accusati di rapporti con una minorenne, durante il quale è riuscito a colpevolizzare con parole tipiche di un fascista le donne che non se ne stanno a casa, dopo avere annunciato che quelle trovate a frequentare un locale sarebbero state arrestate:
“Il compito [delle donne] è badare ai figli. Nella nostra città è pieno di donne nei bar, anche nei night-club. […] Una donna dovrebbe essere la guardiana del focolare, la madre. E che tipo di madri diventano dopo aver frequentato i pub? …
Una donna dovrebbe stare in casa a cuocere pirozhki e bere un bicchierino solo il giorno della Festa delle donne. È ora di ricordare che siete russe!
È ora di recuperare la vostra spiritualità!
Perché una donna era innanzitutto una madre. Ma che madre potrebbe mai essere se rovina il suo organismo con l’alcool, e ai tempi d’oggi addirittura con le droghe?”.
Alcuni giorni dopo in un’intervista alla Novaya Gazeta Mozgovoy esprime il suo disprezzo per la Rivoluzione russa definendola “una sceneggiata” frutto di una cospirazione, interpretandola come l’inizio delle sventure della Russia, tutti concetti che sono un cavallo di battaglia dei reazionari di Mosca.
Della sua posizione politica sono testimonianza anche i video pubblicati dal canale Youtube del battaglione Prizrak quando era ancora vivo: Mozgovoy parla sullo sfondo di icone, bandiere nere con il teschio, ritratti di generali zaristi che hanno colonizzato il Caucaso facendo strage e simili.
La bandiera dello stesso battaglione Prizrak ha sullo sfondo una croce nera con un motivo chiaramente littorio, cosa che non deve meravigliare, visto che del battaglione hanno fatto parte come sottosezioni nel 2014-15 formazioni armate di gruppi neonazisti come Rusich, Feniks e Varyag.
Inoltre, il comandante aderiva all’ideologia omofoba imperante nelle “repubbliche” separatiste. Successivamente, verso la fine della sua carriera, il comandante ha allargato il suo battaglione anche alla partecipazione di volontari “comunisti”, ma senza alcuna contromarcia politica su tutto il resto.
Trovandosi in difficoltà e a corto di uomini nel contesto che contraddistingueva allora della regione di Lugansk, Mozgovoy ha poi cercato evidentemente di trovare una sponda in più in una serie di minigruppetti, o addirittura singoli, di tendenza stalinista. Tra di essi vi erano anche militanti di Borot’ba, un gruppo ultrastalinista che ha collaborato attivamente con i neofascisti e ha avuto pesanti responsabilità nei tragici eventi che hanno portato alla strage di Odessa del 2 maggio 2014.
Negli anni successivi è poi emerso che questo gruppo “di sinistra” era direttamente al soldo del Cremlino (si vedano Bellingcat e Nihilist).
Sappiamo benissimo tutti da sempre, e come minimo dal patto Hitler-Stalin del 1939, che non vi è alcuna stranezza nel nesso fascismo-stalinismo.
L’antifascismo dei “comunisti” del battaglione Prizrak è privo di ogni contenuto concreto, non critica il fascismo come tale, con i suoi sistemi di oppressione e repressione, che in realtà fa in buona parte propri.
Si limita a slogan di natura esclusivamente retorica e all’esaltazione della vittoria militare dell’Urss nel 1945 (interpretata però abusivamente come espressione della potenza della Russia, dimenticandosi i resistenti ucraini, bielorussi e di altri popoli che costituivano il nucleo portante della lotta sovietica contro il nazismo dopo il 1941 e che sono morti a milioni nella lotta contro i nazisti).
Infine, sulle divise dei combattenti del Prizrak, così come su ogni sfondo delle interviste a Mozgovoy, campeggia in bella vista la bandiera rossa con la X azzurra in bordi bianchi della Novorossiya.
Non solo il concetto di Novorossiya (Nuova Russia) è stato creato dal colonialismo dell’ultrareazionario Impero Russo, ma la sua bandiera odierna non si richiama ad alcuna tradizione locale: è stata scelta nel 2014 dai neofascisti che hanno fondato le repubbliche del Donbass copiandola intenzionalmente da quella dei loro camerati dell’estrema destra sudista americana.
E’ insomma una bandiera razzista, che esprime l’analoga ideologia di chi la utilizza come emblema, predicando lo schiavismo per gli ucraini e l’annullamento della nazione ucraina, che secondo loro deve essere diluita in quella russa con gli strumenti dello stragismo e della “rieducazione” forzata.
Lo studio più approfondito su Aleksy Mozgovoy è il lungo testo in tre parti di Kyrylo Tkachenko sui nessi tra neonazisti del Donbass e sinistra stalinista – scritto in tedesco, ma facilmente leggibile con un traduttore automatico:
Wie Teile der deutschen Linken Faschisten in der Ukraine unterstützen (Come parti della sinistra tedesca sostengono i fascisti in Ucraina).
Le parti specificamente dedicate a Mozgovoy e ai suoi collegamenti con l’estrema destra sono la seconda e la terza. Si tratta di un’inchiesta corredata di link a centinaia di fonti (quasi tutte separatiste o contigue) e molte foto che documentano i nessi tra il comandante e i neonazisti.
Sulla figura del comandante Mozgovoy si possono consultare anche un articolo con video di Vice, una testimonianza dell’anarchico Volodarskij ripubblicata con un commento dal sito di sinistra Ukraine Solidarity Campaign, nonché il profilo VKontakte di Mozgovoy stesso.
La realtà della guerra di oggi conferma in pieno che gli eventi del Donbass nel 2014 non sono stati altro che il primo capitolo della messa in atto di un programma genocida di chiara ispirazione fascista e neozarista.
A questo va aggiunto che chi nella sinistra italiana sostiene ossessivamente le tesi inventate di sana pianta di un’Ucraina da anni in mano a un governo fascista e in preda al terrore nazifascista, mentre in Ucraina vi è sì un preoccupante problema di estrema destra fascista da non sottovalutare, ma che rientra in limiti del tutto analoghi a quelli dell’Europa Occidentale, ignorando invece volutamente l’entità enorme del nazifascismo e dell’estrema destra nel Donbass e in Russia nell’ultimo paio di decenni, si schiera di fatto con la galassia nazifascista più potente, violenta e guerrafondaia del secondo dopoguerra.
Cosa è successo in Crimea dopo l’occupazione russa?10 giugno 2022
https://ormedidonne.com/2022/06/10/crim ... cupazione/Si dà per scontato che essendo la popolazione largamente russofona, la Crimea sia oggi una ridente e felice regione della Federazione Russa. Per capirne di più sono andata a visionare i documenti dell’ONU, di Amnesty International e di altre organizzazioni umanitarie.
Nella notte dal 26 al 27 febbraio 2014 le unità delle forze speciali russe sequestrano la Verkhovna Rada della Repubblica autonoma di Crimea, il parlamento. I cosiddetti “omini verdi” (militari senza insegne), bloccano le unità militari ucraine e la marina; assumono il controllo delle linee di confine, degli edifici amministrativi e delle infrastrutture.
Pochi giorni dopo, un documento di Amnesty International, datato 7 marzo 2014 chiede l’immediato intervento dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) nell’istituire una missione di monitoraggio in Crimea a causa della grave situazione delle violazioni dei diritti umani.
“Il tentativo di monitorare la situazione dei diritti umani in Crimea è diventato un compito quasi impossibile.” Dichiara John Dalhuisen, direttore dell’Europa e dell’Asia centrale di Amnesty International. “I gruppi di autodifesa della Crimea stanno attaccando manifestanti, giornalisti e difensori dei diritti umani pro-ucraini con totale impunità”.
Forze occupanti presidiano le amministrazioni – foto di Amnesty International
Monitoraggio impossibile
Due rappresentanti dell’OSCE vengono costretti a interrompere la loro visita per problemi di sicurezza. Ad altri membri dell’organizzazione viene impedito di entrare nella penisola. Il 5 marzo, anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Crimea deve interrompere la visita dopo essere stato forzato da uomini armati a tornare all’aeroporto.
“L’OSCE deve rapidamente stabilire una missione di monitoraggio e godere di un accesso illimitato a tutte le parti dell’Ucraina, compresa la Crimea, che rimane al margine, e dove le tensioni sono ancora elevate. La Russia dovrebbe accogliere, non bloccare questa iniziativa,” ribadisce John Dalhuisen.
I manifestanti che tentano di esprimere il loro sostegno all’unità dell’Ucraina e l’opposizione alla presenza militare russa nella penisola vengono intimidati da parte di attivisti filorussi. La polizia è spesso assente, presente in numero limitato o non interviene.
Amnesty riporta dell’attacco e delle minacce di morte a un giornalista di “News of the Week – Crimea” mentre cercava di filmare un evento. Gli agenti di polizia che si trovavano a circa 30 metri non intervengono. Il 6 marzo, uomini con uniformi militari russe e uomini della Crimea Self-Defence League minacciano di morte una giornalista di Kerch.fm.
Blocco dei media indipendenti russi
Il 14 marzo, Amnesty denuncia che le autorità russe hanno lanciato un assalto in vasta scala ai pochi media indipendenti rimasti in Russia, bloccando una serie di siti Internet nella Federazione Russa.
“Il blocco di questi siti è una chiara violazione del diritto alla libertà di espressione. È un attacco senza vergogna a coloro che osano ancora mettere in discussione la narrativa dettata dal Cremlino fornendo informazioni indipendenti e imparziali e offrendo una piattaforma per un dibattito gratuito”, dichiara John Dalhuisenl. “Negli ultimi mesi e settimane le autorità russe hanno intrapreso una campagna per soffocare i media indipendenti. È iniziato con la censura non ufficiale e l’autocensura e si è rapidamente evoluto in un bavaglio ai media indipendenti. Questo ricorda il blocco delle stazioni radio dell’era sovietica.”
Tra i vari siti bloccati figura anche quello dell’attivista dell’opposizione Aleksei Navalny. “La Russia sta stringendo la vite sulla libertà di espressione prima del referendum che le autorità della Crimea hanno programmato questa domenica. È un palese tentativo di mettere a tacere qualsiasi voce critica di questa iniziativa”, sostiene ancora John Dalhuisen.
Il referendum
Il referendum avviene il 16 marzo, con la presenza dell’esercito russo sul territorio, con solo pochi giorni di preparazione e il controllo totale dei media da parte di Mosca. Infine, nessuno dei quesiti riguarda il mantenimento dello status quo. I crimeani possono solo scegliere tra il far parte della Federazione Russa oppure l’indipendenza. Non hanno la possibilità di scegliere di restare a far parte dell’Ucraina.
Per quanto è indubbio che larga parte della popoloazione fosse filorussa, le modalità del referendum contravvengono le leggi internazionali. Così, il 27 marzo 2014, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva una risoluzione che dichiara non valido il referendum della Crimea per recedere dall’Ucraina, con un voto di 100 Stati membri a favore e 11 contrari, con 58 astensioni.
Persecuzioni e violazioni dei diritti umani
Il 9 luglio 2014 compaiono su Amnesty le prime denunce di persecuzione dei tartari e a dicembre 2014, un rapporto dell’ONU riporta di violazioni sistematiche dei diritti umani che colpiscono, per la maggior parte, le persone che si sono opposte al “referendum” di marzo, compresa la minoranza tartara. Si segnalano casi di sequestro di persona. I cittadini vengono obbligati a prendere la cittadinanza a rischio di ripercussioni; molti dei loro beni vengono confiscati.
Tartari in Crimea
Comunità tartara in Crimea – foto di Amnesty International
Nella primavera del 2015, Amnesty denuncia che a un anno dall’annessione illegale della Crimea da parte della Russia, la violazione dei diritti alla libertà di espressione, riunione e associazione è sistematica. Le autorità russe impediscono d’indagare su casi di rapimenti e torture di oppositori e perpetrano un’ implacabile campagna intimidatoria contro i media filo-ucraini, contro i tartari e chiunque sia critico verso il regime.
John Dalhuisen dichiara: “Da quando la Russia ha annesso la Crimea, le autorità stanno usando una vasta gamma di tattiche intimidatorie per reprimere il dissenso; una serie di rapimenti tra marzo e settembre ha spinto molti critici vocali a lasciare la regione. I rimanenti affrontano persecuzioni da parte delle autorità, determinate a mettere a tacere i loro avversari”.
Rapimenti, sparizioni e torture
Nello stesso documento, Amnesty riporta che dall’annessione sono avvenuti numerosi casi di arresti ingiustificati, torture e uccisioni. “Le autorità della Crimea ci dicono che stanno indagando su tutti i casi di rapimento e tortura, ma non abbiamo ancora visto alcuna prova concreta di ciò”, afferma John Dalhuisen.
Blocco dei media
Prima dell’occupazione e dell’annessione della penisola da parte della Russia, i media in Crimea operavano in gran parte liberamente: l’accesso a media critici nei confronti delle autorità era all’ordine del giorno.
A partire dal 2014, almeno tre stazioni televisive, due agenzie di stampa e altri media indipendenti devono chiudere. La legislazione russa consente alle autorità di bloccare l’accesso a siti Web specifici senza un ordine del tribunale per presunte violazioni della legislazione anti-estremismo della Russia. È così che le autorità creano un clima di paura: attraverso intimidazioni e leggi restrittive per mettere a tacere media e ONG.
Il 26 gennaio 2015, circa 30 uomini armati di un’unità di polizia speciale, accompagnati da 10 funzionari di sicurezza, fanno irruzione negli uffici del canale televisivo tartaro, ATR, interrompono la trasmissione e portano via documenti risalenti a febbraio dell’anno precedente. Molti redattori ricevono minacce. Diversi giornalisti e blogger sono costretti a fuggire temendo persecuzioni.
A seguito dell’annessione, le autorità richiedono la nuova registrazione di tutti i media ma alle pubblicazioni in lingua tartara, ai siti Web e ai canali TV rifiutano arbitrariamente le licenze.
“Questo palese attacco alla libertà di espressione, vestito come una procedura amministrativa, è un rozzo tentativo di reprimere i media indipendenti, imbavagliare le voci dissenzienti e intimidire la comunità tartara di Crimea”, afferma Denis Krivosheev, Vicedirettore di Amnesty International per l’Europa e l’Asia centrale.
Non viene rispariamto neanche l‘intrattenimento per bambini. Le autorità negano le licenze alla rivista per bambini Armantchikh e al popolare canale televisivo, Lale.
Nessun diritto di protestare o di celebrare la cultura tartara
Le autorità bandiscono le manifestazioni pubbliche. L’autorizzazione per incontri e manifestazioni culturali o celebrativi tradizionali da parte dei tartari è spesso negata oppure accordata solo in luoghi remoti.
“A un anno dall’annessione della Crimea, l’atteggiamento delle sue autorità sul territorio e dei loro padroni russi può essere riassunto semplicemente – fattelo piacere oppure zitto o vattene”, riporta John Dalhuisen. “C’è poco interesse da parte della comunità internazionale per ripristinare l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma dovrebbe almeno esercitare maggiore pressione sulla Russia per garantire i diritti di tutti i residenti della Crimea”.
Continuano segnalazioni di scomparse, morti sospette, perquisizioni e arresti che seminano paura e disperazione tra i tartari.
Repressione del Mejlis
Nell’aprile 2016, la Corte suprema di Crimea sospende il Mejlis, un organo rappresentativo dell’etnia tartara, peggiorando la situazione dei diritti umani dei tartari. La decisione – annunciata dal procuratore della Crimea, Natalia Poklonskaya – segnala una nuova ondata di repressione contro il popolo tartaro. Avviene dopo un aumento degli attacchi ai diritti alla libertà di riunione, associazione ed espressione perpetrati dalla Russia dall’annessione della Crimea. Alla base della decisione, ci sono le dichiarazioni rilasciate dal leader esiliato di Mejlis Refat Chubarov, che rifiuta di riconoscere la legalità dell’annessione russa della Crimea e chiede un blocco economico ed energetico della penisola dall’Ucraina continentale.
Nel rapporto di Amnesty “Ukraine: Crimea in the dark: The silencing of dissent” leggiamo:
Dall’occupazione russa e dall’annessione della Crimea nel febbraio-marzo 2014, le autorità locali russe e di fatto hanno chiesto la totale sottomissione. Con la maggior parte degli oppositori in esilio o silenzio, i leader e gli attivisti dei tartari sono stati i più organizzati dell’opposizione e hanno dovuto maggiormente sopportare il peso della repressione. La loro struttura rappresentativa, i Mejlis, è stata bandita come organizzazione “estremista” e qualsiasi associazione con essa è stata messa fuori legge; i suoi leader sono stati esiliati o perseguiti con accuse inventate; molti sono scomparsi. I più famosi media in lingua tartara sono stati costretti a chiudere. La protesta pubblica si è estinta. Al di là delle questioni politiche fondamentali relative all’annessione della Crimea, la Russia rimane vincolata dall’intera gamma del diritto internazionale dei diritti umani. Eppure, ha dimostrato che è pronta a infrangerli mentre cerca di consolidare la sua presa sulla penisola.
Amnesty si lamenta anche del fatto che le autorità rifiutino sistematicamente incontri con i loro rappresentanti o la presenza di organizzazioni umanitarie.
I diritti umani dopo il 2017
Tre anni dopo l’annessione illegale della penisola, la situazione dei diritti umani in Crimea continua a peggiorare, aggravata anche dall’assenza di un meccanismo di monitoraggio internazionale.
Un rapporto dell’ONU del 25 settembre 2017 menziona “violazioni multiple e gravi” commesse da agenti russi. “Sono state documentate gravi violazioni dei diritti umani, come arresti e detenzioni arbitrari, sparizioni forzate, maltrattamenti e torture e almeno un’esecuzione extragiudiziale”. Tra gli altri abusi, rileva l’uso dell’internamento forzato in un ospedale psichiatrico di oppositori politici.
“L’istruzione in lingua ucraina è quasi scomparsa dalla Crimea”, riporta lo stesso rapporto dell’ONU, “evidenziando l’impatto sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali.”
Centinaia di prigionieri e detenuti vengono trasferiti in strutture della Federazione Russa – una pratica severamente vietata dal diritto internazionale umanitario. I Testimoni di Geova sono messi fuorilegge in virtù di una decisione della Corte Suprema della Federazione Russa che ritiene questa organizzazione religiosa in violazione della legislazione anti-estremismo del Paese. Anche i festival religiosi di musulmani, ebrei e quelli di altre minoranze vengono severamente limitati.
La Chiesa ortodossa ucraina
La Chiesa ortodossa ucraina è sottoposta a crescenti pressioni, inclusa la potenziale perdita dei suoi due più grandi luoghi di culto in Crimea. Complessivamente, il numero delle parrocchie è diminuito da 49 prima dell’occupazione a solo 5 nel 2020, con una diminuzione parallela del numero di sacerdoti da 22 a 4.
Intanto, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, continua a non avere accesso alla Crimea, ed è costretto ad analizzare la situazione dagli uffici situati in Ucraina.
Nel 2020, si calcola che circa 140.000 tra ucraini e tartari abbiano lasciato la penisola dal 2014. Nello stesso periodo, circa 250.000 persone si sono trasferite dalla Russia alla Crimea. L’afflusso ha incluso truppe e marinai, dopo che il Cremlino ha rafforzato la sua presenza militare sulla penisola.
La situazione dei diritti umani in Crimea oggi
Le scuole devono usare il curriculum statale russo. I bambini sono esposti alla propaganda militare russa. Alcuni hanno ricevuto una formazione militare di base negli ultimi anni. L’istruzione in lingua ucraina viene quasi completamente eliminata. In una sentenza del 2017, la Corte internazionale di giustizia ha ordinato alla Russia di garantire la disponibilità d’istruzione in ucraino, ma le autorità non hanno rispettato questo ordine.
L’FSB incoraggia i residenti a informare di persone che esprimono opposizione all’annessione. Secondo quanto riferito, i commenti sui social media sono monitorati dalle autorità. L’FSB apre spesso procedimenti penali contro coloro che criticano l’occupazione e l’oppressione dei tartari.
La Crimea è soggetta al sistema giudiziario russo, che manca d’indipendenza ed è effettivamente dominato dal ramo esecutivo. Molti giudici si trasferiscono dalla Russia per lavorare in Crimea. Questi giudici emettono sistematicamente sentenze politicamente motivate contro chi si oppone all’annessione.
Un rapporto dell’OHCHR del 2020 ha rilevato resoconti di “esecuzioni, percosse, scosse elettriche e violenza sessuale”. Le vittime di tortura hanno scarse possibilità di ricorso legale, consentendo alle forze di sicurezza di agire impunemente.
Dopo il 2014, la Crimea è diventata soggetta alla legge russa del 2013 che vieta la diffusione d’informazioni che promuovono “relazioni sessuali non tradizionali”, che limita strettamente le attività delle persone e delle organizzazioni LGBT.
La violenza domestica è un altro problema della Crimea e le leggi russe non offrono protezioni. Nel 2017, Putin ha firmato una legislazione che ha parzialmente depenalizzato gli abusi domestici in Russia.
Un sondaggio dell’ONG Freedomhouse pone la Crimea tra uno dei luoghi meno liberi al mondo, con meno libertà della stessa Russia e notevolmente meno dell’Ucraina.
Ucraina, dalla guerra civile nel 2013/14, causata dal nazifascista russo Putin a oggi, dalle stragi di Euromaidan del 2013 a quella di Odessa del 2014 viewtopic.php?f=143&t=3006 https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 9099264249 Guerra civile in Ucraina nel 2013/2014 con repressione violenta del governo filorusso dei manifestanti filoeuropei e feroci scontri tra i filo russi e i filo europei, con centinaia di morti e migliaia di feriti.
Con interventi di cecchini, mercenari, infiltrati e squadre speciali russe contro gli ucraini antigovernativi e filoeuropei.
Fu in questo contesto di guerra civile, di repressioni poliziesche e militari, di scontri e violenze generalizzate, tra cui l'invasione russa della Crimea e l'inizio dei moti separatisti terroristici nel Donbass che avvenne anche la Strage di Odessa in cui morirono una quarantina di persone a causa di un incendio di cui non si conosce con certezza l'origine.