On bon filò de andropoloja

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Messaggioda Berto » dom mar 02, 2014 1:48 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: On bon filò de andropoloja

Messaggioda Berto » lun mar 10, 2014 9:20 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: On bon filò de andropoloja

Messaggioda Berto » gio mar 27, 2014 6:53 pm

http://www.antrocom.org/2013/12/23/il-c ... el-livelet
http://veneto.antrocom.org/veneto/identity.html

IDENTITÀ
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Identità, oggigiorno, è un termine sospetto. Che fa paura. Un termine tabù. Nello spazio sociale comune, sui mass media, rievoca all'istante le forze recondite che animano l'umano. Identità psicologica, identità culturale, identità etnica. Identità è l'uguale, secondo Aristotele.
Ma cosa è uguale, in un momento storico dove la differenza, l'alter, il molteplice, la trasformazione, la fluidità e il divenire sono eretti a paradigma? Identità richiama a legami "troppo" stretti, a categorie "troppo" forti e pregne di emotività, a vincoli arcaici, a resistenza al cambiamento, a costruzioni "posticce", a chiusura, a scarsa misura, a lentezza, tutte caratteristiche che la globalizzazione e la postmodernità, qualsiasi cosa siano, non contemplano. Richiama il pre-moderno, ormai morto e sepolto. Ma, soprattutto, richiama due fattori: il politico, le forze che strutturano e ordinano il reale, e l'esclusione, la delimitazione tra A e non-A.
L'antropologia, disciplina ipoidentitaria, la tratta spesso come una patata bollente, perché potenzialmente foriera, più di altri temi, di deragliamenti imbarazzanti dalle rotaie del politically correct, primo ingrediente, spesso sovradosato, di una certa scienza dell'Uomo accademica. Nonostante ciò, essa è e rimane uno dei temi centrali della disciplina. Perché l'obiettivo dell'antropologia non è tanto lo studio dell'alter, quanto lo studio consapevole dell'alter attraverso l'Id (il noi) o, meglio, lo studio della relazione tra Alter e Id. Se si sopprime ideologicamente l'Id, l'Alter fluttua nel vuoto cosmico. L'antropologia occidentale traduce gli alter attraverso il noi, rispetto ai nostri Id. Ma l'antropologia insegna, tra le altre cose, che prima di andare per il mondo a "conoscere gli altri" sia opportuno, e sensato, capire da dove si venga, la propria storia biografica e sociale, in modo da essere meno proiettivi, superficiali e parziali nei confronti di chi è nella posizione di "rappresentato".
Antropologicamente curiosi, politicamente non schierati, riteniamo opportuno presentare qui delle ricerche e delle riflessioni attorno alle "identità" che popolano i nostri spazi sociali, qualsiasi esse siano, in qualsiasi modo sia costruiti, qualsiasi cosa rivendichino in quello che ormai è un "mercato delle identità", all'insegna della neutralità e dello sforzo costante, per dirla con Pierre Bourdieu, di "pensare il politico senza pensare politicamente".
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Re: On bon filò de andropoloja

Messaggioda Berto » gio mar 27, 2014 7:02 pm

Eh sì anca sti kì de ANTROCOM ... li ke casca sol nome NORDEST anvense ke VENETO:

http://www.hakomagazine.net/archeonorde ... o_2014.pdf

Immagine
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Re: On bon filò de andropoloja

Messaggioda Berto » ven giu 26, 2015 11:29 am

Il femminile nelle culture native americane. Introduzione

1
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La Terra/Pietra ebbe origine dalla vecchia Nokomish ed era sola. Allora la Pietra costruì una ciotola e la immerse nel terreno; lentamente il terriccio contenuto nella ciotola si trasformò in sangue e cominciò a mutare forma. Così il sangue si trasformò in Wabus, il Coniglio e questo assunse sembianze umane e in breve tempo divenne un uomo chiamato Manabush, il grande demiurgo dei Menomini, che è anche il Fuoco.
Questo mito dei Menomini, indiani della regione dei Grandi Laghi, corrisponde a un tema diffuso in gran parte dell’America: la nascita da un grumo di sangue, che si coagula e cresce sino a diventare un essere vivente nel grembo della madre. Gli Sweet Grass Cree raccontano che un tempo, quando gli animali non si distinguevano ancora dagli esseri umani, Puzzola e Tasso vennero affamati da un orso grizzly voracissimo, che nella sua ingordigia lasciò loro solo un po’ di sangue di bisonte. Allora Puzzola mise il grumo in una pentola dove si trasformò in un fanciullo miracoloso che uccise l’orso. Più tardi questo fanciullo riuscì a cavarsela da una situazione molto imbarazzante, dove una vecchia gli si era appiccicata alla schiena senza che nessuno potesse liberarlo, solo riprendendo la sua forma di grumo di sangue.
Già in questi miti abbiamo molti degli elementi e dei personaggi che incontreremo nel linguaggio simbolico degli indiani del Nordamerica e che per molti versi assomigliano ai simboli che ci sono familiari anche nel Vecchio Mondo, perché, dall’inizio del tempo il sacro sangue mestruale e puerperale è inserito nella nostra psiche e domina inconsciamente opinioni, costumi, pregiudizi, ingiustizie.
Immagini lenticolari rappresentanti la vulva esistono disegnate o graffiate nelle caverne europee fin da epoca Aurignaziana (circa 30.000 avanti Cristo). Immagini del genere, una ellisse verticale attraversata da una linea verticale, ripetute in continuazione nelle pareti di arenaria di una caverna dello Iowa, non sono databili facilmente, ma i sacri rotoli di corteccia di betulla degli iniziati della società di medicina di molte tribù dei Grandi Laghi nota come Midewiwin riproducono in forma rapida la vagina proprio con lo stesso segno. Lo storico delle religioni Jordan Paper in un suo acuto articolo osservava come sia notevole che in un’area culturale indiana largamente matrilocale e matrilineare e dove la donna aveva un ruolo economico, politico e religioso di tutto rispetto come l’area dei Grandi Laghi non si trovi praticamente traccia dei riti e dei culti femminili nelle testimonianze d’epoca. Nonostante l’importanza della Dea fosse tale tra gli Uroni di lingua irochese, sfortunati alleati dei francesi, da farli chiamare da uno studioso i “figli di Aataentsic”, la Donna nel Cielo, la divinità creatrice. In modo particolare non c’è traccia dell’aspetto femminile della religione indiana nelle relazioni dei Gesuiti francesi che così a lungo risiedettero tra le popolazioni di lingua irochese che sono note anche ai profani per l’alta considerazione e il grande potere concessi alle donne. Per lo studio della comprensione degli spiriti femminili pre contatto – afferma Paper – ci sono ulteriori difficoltà. Tutte le prime fonti etnostoriche furono scritte da maschi provenienti da una cultura patriarcale, molti dei quali appartenenti alla sottocultura misogina gesuita del 16° e 17° secolo. I primi etnologi tendevano ad essere ugualmente dimentichi degli aspetti femminili della religione, sia dei rituali che degli spiriti femminili. Questo approccio ebbe come risultato una comprensione alquanto sghemba, in particolare per quel che riguarda le culture native americane, che hanno una considerevole quantità di specializzazione di genere, sia economica che rituale. Data l’orientazione maschile dei valori occidentali, le etnologhe, tranne poche eccezioni (per esempio Underhill 1949) preferirono concentrarsi sulla cultura maschile. Solo di recente si è quindi sviluppata tra gli studiosi occidentali una coscienza che esiste all’interno delle tradizioni religiose native americane un modo esclusivamente femminile di religiosità accessibile solo ad osservatrici. (J. Paper, op. cit. p. 40) (segue)

Riferimenti
John Biehorst, Miti pellerossa. Milano 1984, pag. 129.
C.Lévi-Strauss, L’origine delle buone maniere a tavola, Milano 1971, pag.47.
J. Paper, Through the Earth Darkly: The Female Spirit in Native American Religions, in Ch. Vecsey ed. Religion in Native North America, Moscow, Idaho, 1990. pag. 3-19.
B. Trigger, The Hurons: Farmers of the North, New York, 1969.


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Secondo le tradizioni degli Hidatsa, agricoltori dell’Alto Missouri di lingua Siouana, che vivevano in case multifamiliari di zolle di terra, poco dopo che Primo Creatore e Lone Man (Uomo Solo) ebbero creato la terra e gli animali maschi, una donna sacra di nome Village-Old-Woman (Vecchia Villaggio) che viveva a sud apprese di questa nuova terra e decise di creare le femmine di ciascuna specie creata dagli altri due dei allo scopo di perpetuare la vita e dare agli Hidatsa creature femminili da venerare.Molto dopo aver creato le femmine, ella venne a sapere del popolo che abitava presso il fiume Knife e seguì il Missouri fino alla sorgente per vie sotterranee, ma non riuscì a trovare il villaggio. Da questa ricerca nacquero il letto del fiume e quelli dei suoi tributari. Ella tornò sottoterra al fiume Knife, dove entrò nell’utero di una donna del villaggio e così nacque tra gli Hidatsa. Quando diventò adulta creò le Sante Donne nei boschetti delle quattro direzioni, Donna Lassù e tutte le divinità femminili, introducendo ogni tanto nuove pratiche e cerimonie, oggetti e fagotti sacri. Ordinò anche che le Sante Donne fossero venerate in ogni cerimonia, stabilendo così l’eguale importanza del sacerdozio maschile e femminile. In tempi storici la società religiosa delle Holy Women, Sante Donne, era composta da donne anziane che avevano comprato i loro diritti individualmente dalle madri dopo aver sognato le Sante Donne. Le componenti della società erano soprattutto figlie di Sante Donne e mogli o sorelle di proprietari di fagotti sacri di Donna Lassù. La società però soffrì della concorrenza di un’altra società femminile di anziane, la società Bisontessa Bianca. Il capo della società delle Sante Donne era l’impersonatrice di Village-Old-Woman e le altre rappresentavano le Sante Donne dei boschetti delle quattro direzioni, spiriti femminili benevoli identificati con le gazze, uccelli “femminili”, “guerrieri” e “lunari”. Esse partecipavano a ogni cerimonia e danzavano per il ritorno dei guerrieri.
Donna Lassù era una specie di Dea della Morte, uno spirito malevolo che, insieme a suo fratello, il Sole, era gelosa e vendicativa e aiutava i nemici se si sentiva trascurata nelle offerte. Donna Lassù e il Sole erano cannibali che si cibavano dei caduti in battaglia, degli animali uccisi e inviavano la siccità nei campi. Per questo venivano lasciate loro offerte vicino alle tombe. I riti di cura di Donna Lassù miravano soprattutto ad allontanare il suo maleficio, per evitare aborti spontanei, nascite premature, pazzia e paralisi. Gli uomini che sognavano Donna Lassù diventavano suoi “prigionieri”, trasformandosi in travestiti o “berdache” (omosessuali), che erano considerati membri della società delle Sante Donne.
La Vecchia Che Non Muore Mai era una dea della vegetazione e sembra derivare dai Mandan Nuitadi, la più antica popolazione dell’Alto Missouri, che influenzarono con i loro riti gli altri Mandan, gli Hidatsa e in seguito i Crow e i Cheyenne. I riti più semplici e comuni della Vecchia Che Non Muore Mai erano eseguiti dalle donne individualmente o come gruppo familiare e consistevano soprattutto di semplici offerte di carne e pezzi di pelle conciata posta su bastoni negli orti durante il volo degli uccelli migratori verso nord o verso sud. Qualche volta una donna mentre lavorava nei campi sognava questi spiriti agricoli rappresentati dai volatili e alzava nel suo campo un alto palo a cui appendeva un fardello sacro personale di nuova costituzione come “protettore”. Dopo il raccolto, però, i fagotti sacri erano ritirati e custoditi in casa fino a primavera, pena la cattiva fortuna nei campi se erano lasciati esposti all’aperto d’inverno. Oltre a questi semplici rituali che coinvolgevano le donne di una famiglia, c’erano cerimonie incentrate sui sacri fardelli della Vecchia Che Non Muore Mai, che i proprietari organizzavano nel periodo della migrazione degli uccelli acquatici in primavera e in autunno. Possiamo senz’altro pensare che la Vecchia Che Non Muore Mai e Donna Lassù siano due aspetti delle Grandi Dee venerate in altre culture agricole neolitiche. Un’idea simile si ritrova nel mito cosmogonico dei popoli di lingua irochese: tra gli Irochesi e gli Uroni la Vecchia dapprima appare come una potenza positiva e creatrice, poi con inspiegabile cattiveria appoggia in tutto il gemello malvagio e assassino della propria madre, che rappresenta le forze distruttive della natura, rientrando così nell’aspetto della dea della morte. Donna Sole dei Cherokee conserva anch’essa un aspetto benefico e uno malefico.
Il mito cosmologico degli Uroni e degli Irochesi appartenenti alla Lega delle Cinque (in seguito Sei) Nazioni è simile e narra di una Donna Celeste che cadde dal cielo, un tema comune anche a molte altre popolazioni indiane e che presenta molte varianti.La Donna Celeste chiamata la Vecchia, Aataentsic degli Uroni o Eagen’tci dei Seneca rappresenta un personaggio “lunare”; viene inviata, secondo molte versioni, vergine ma incinta, da un personaggio di carattere solare nel mondo di sotto la volta del cielo, attraverso il buco ottenuto sradicando temporaneamente l’albero al centro del mondo superiore, un melo (una pianta portata in America dagli europei e facilmente assimilata nell’economia indigena), che è anche qui simbolo di immortalità, che produce tutti i possibili fiori e frutti per tutto il popolo celeste e che in cima porta un globo luminoso per illuminare quel mondo. Nella caduta ella strappa dei semi e dei pezzi di radice dell’albero e così porta la vegetazione (e quindi l’agricoltura) sulla nuova patria. Viene avvolta in un raggio di luce fabbricato dalla Bestia del Fuoco e cade attraverso il vuoto. Gli animali la vedono e decidono di soccorrerla, trovando un luogo dove possa atterrare. A turno si tuffano nell’oceano primordiale e raccolgono del fango da posare sul dorso della Tartaruga, formando così la superficie della Terra, che viene ritualmente chiamata anche Grande Tartaruga, un simbolo femminile di grande importanza. Il pugno di fango pescato da Topo Muschiato forma lo spazio che viene fatto ingrandire dalla donna: ella cammina in cerchio, dando così inizio alle stagioni e al tempo. Per continuare a far crescere la terra, la donna cammina nel senso del sole, muovendosi nella direzione in cui ancora si muove la gente nelle danze rituali.
Sulla Terra ha una figlia, che ha un parto virginale (è messa incinta dal Vento) e dà alla luce due gemelli., Colui che Regge il Cielo, il Bianco, o Ioskeha degli Uroni, chiamato anche Germoglio dai Mohawk e Uomo Fatto di Fuoco dai Wyandot (i rifugiati Uroni- Petun della regione occidentale dei Grandi Laghi che poi furono trasferiti in Kansas e Oklahoma e Canada) rappresenta la vita primaverile, il principio solare, la pace e nasce dall’apertura naturale; oggi i tradizionalisti fanno riferimento a lui come alla Mente Buona o il Luminoso. L’altro è l’Oscuro, la Mente Malvagia. il Foruncoloso, Tawiscara (quarzo, cristallo) degli Uroni ed è chiamato anche Selce o Gelo. Nasce dal fianco o da un’ascella della madre, uccidendola e rappresenta il principio invernale e ctonio, la guerra e la morte, il coltello di selce. Dal corpo della madre Germoglio crea il sole (la faccia) e la luna (dal seno) e le stelle (le palme delle mani). E’ interessante vedere come questi astri siano di qualità inferiore, passiva e astronomica. Non rappresentano i principi solari e lunari: la Luna, come sorgente di vita e di morte e divinità femminile è infatti la Vecchia e il Sole come sorgente di Luce e di potere maschile è il personaggio celeste che ha provocato la caduta della Vecchia su questo universo di mezzo e che Germoglio cercherà e troverà, facendosi riconoscere come erede legittimo al termine di onerose prove magiche. Dal corpo della madre egli crea anche le piante coltivate: Dove erano i piedi, dalla terra germogliò una pianta che diventò la patata, dove riposavano le dita nacquero i fagioli, dove era l’addome nacque la zucca, dove erano i seni nacque la pianta del mais e nel luogo sopra la sua fronte nacque la pianta del tabacco. … Quando la nonna (La Vecchia o Donna del Cielo) vide le piante spuntate dalla tomba della figlia e Spirito Buono che se ne prendeva cura, gliene fu grata e disse: “D’ora in poi noi potremo vivere di queste cose, ed esse potranno essere cotte in recipienti sul fuoco e il grano sarà il tuo latte e ti sosterrà. Dovrai far crescere il grano in colline simili a mammelle, in modo che il grano possa far fluire la vostra vita”. Poi la Donna del Cielo condusse Spirito Buono per l’isola e gli insegnò come produrre piante e alberi . L’Oscuro Gelo crea il tramonto del sole, le piante selvatiche nocive come i rovi e quelle velenose, ma anche le piante medicinali e rende più difficoltosi il rapporto dell’uomo con la natura: alle bestie miti create dal fratello oppone i predatori; fiumi, montagne e laghi sono meno facili da attraversare. Questa coppia di gemelli rivali rappresenta le due metà dell’anno e assomiglia alla corrispondente coppia egizia di rivali Osiride-Seth, che hanno caratteristiche simili, solo che nel mito irochese il fratello distruttivo è quello che soccombe: viene ucciso con un corno di cervo (simbolo di rinnovamento) ed è relegato in una caverna sotterranea; altre culture indiane invece preferiscono la coppia gemellare collaboratrice, dove il maggiore è “maschile” e il minore è “femminile”.
La maschera di Child-of-the-Water. Figlio dell’Acqua, dei Navajo possiede nella parte anteriore dei disegni a forma di clessidra in bianco, che rappresentano degli scalpi (riproducono la tipica acconciatura sulla nuca) e proprio in mezzo, a coprire gli occhi e il naso un triangolo nero con il vertive verso il basso, un’ inconfondibile immagine del triangolo pubico femminile.La natura “femminile” del gemello “debole” è presenta anche presso gli Apache, dove i cavalli bianchi, considerati “femminili” non hanno la stessa considerazione nel mito che godono presso i Navajo : infatti il solo rapporto importante che essi hanno con una divinità si trova nella mitologia degli Apache White Mountain, dove un cavallo bianco è la cavalcatura di Figlio dell’Acqua. Dato che i colori associati con Figlio dell’Acqua sono gli stessi associati a sua madre, il bianco e il giallo, e dato che esso è identificato con la Luna in tutto il mito, ciò spiega la natura priva di virilità del cavallo bianco (Clark 1983:23-24) (segue)
Riferimenti
Clark, L. H. They Sang For Horses. The University of Arizona Press, 1966 (1983).
White, R. The Middle Ground, Indians, Empires, and Republics in the Great Lakes Region, 1650-1815, Cambridge 1991
Bowers, A.W.Hidatsa Social and Ceremonial Organization, Washington 1963
Hertzberg, H.W. The Great Tree and the Longhouse. The Culture of the Iroquois, New York 1966.
Parker, A. C.Leggende dei Pellirossa, Milano 1995. pag. 26.

2
http://www.veneto.antrocom.org/blog/?p=1966
Il contatto con il cristianesimo militante, il commercio delle pellicce e la conduzione patriarcale dell’agricoltura occidentale portò alla scomparsa o alla clandestinità delle dee e favorì il sorgere di culti messianici rivoluzionari, come quello dell’irochese Handsome Lake, quello del Profeta Delaware Neolin, ispiratore della rivolta di Pontiac e quello del Profeta Shawnee Tenskwatawa, ispiratore della guerra di Tecumseh. Questi riformatori politico-religiosi indiani dovevano “aggiustare” la loro società alla nuova realtà e adeguarla al monoteismo patriarcale, all’asimmetria sessuale europea, molto più accentuata di quella indiana.

Prima del nuovo predominio del “Grande Spirito” o del “Creatore” esistevano le dee o divinità asessuate o bisessuali; la divinità femminile creatrice era caratteristica di molte tribù orticultrici appartenenti all’area culturale delle cosiddette Terre Boscose Orientali (Woodlands), che comprendeva gran parte del territorio di prima colonizzazione inglese e francese, e delle tribù del Sudovest degli USA, denominate collettivamente Pueblo (villaggio) dagli spagnoli per via dei loro villaggi in muratura. Vale la pena di delineare brevemente le relazioni tra i sessi in alcune aree di più antica colonizzazione.
Gli indiani Pueblo, che abitano tuttora villaggi in muratura in Arizona e New Mexico, furono tra i primi popoli nordamericani a venir conquistati dagli europei. Dalla prima spedizione dello spagnolo Francisco Coronado nel 1540 alla Rivolta Pueblo del 1680, la prima grande rivolta che scacciò gli invasori dal territorio per 12 anni, la società indiana subì profonde modifiche a causa del regime religioso ed economico-politico della colonia. Questo regime aumentò di molto il grado di asimmetria sessuale, presente nella società indiana anche se in modo debole, ma non riuscì a distruggere del tutto la posizione di potere che le donne avevano.
In un libro eccellente, When Jesus Came, the Corn Mothers Went Away (Quando venne Gesù, le Madri Grano se ne andarono) , Ramòn A. Gutierrez analizza la situazione dei Pueblo prima e durante la colonia spagnola e l’ideologia della classe dominante religiosa e laica in New Mexico dal 1500 al 1846. Egli osserva come gli indiani Pueblo vedessero le relazioni tra i sessi in modo abbastanza equilibrato. Uomini e donne avevano le loro forme di ricchezza e potere, che modellavano sfere di azione indipendenti ma cooperanti, simbolicamente espresse nei rispettivi oggetti donati ai neonati: una punta di selce ai maschi e un feticcio di mais alle femmine. Il mais era un prodotto della terra e la base dell’alimentazione Pueblo e la selce era considerata fulmine pietrificato e quindi rappresentava l’acqua della pioggia, ma essi esprimevano anche i principi cosmici della femminilità e della mascolinità. Selce, pioggia, sperma e caccia erano maschili, mentre mais, terra e gravidanza erano femminili; questo concetto è espresso bene dalla parola Hopi posumi, che significa sia grano di mais sia fanciulla nubile. La capacità femminile di creare la vita era messa in maggior rilievo dalle donne Zuni quando celebravano e celebrano il sesso dei loro figli: sopra la vulva pongono una grossa zucca piena di semi, pregando perché i genitali femminili crescano grandi e diano frutti abbondanti, mentre spruzzano d’acqua il pene, pregando che resti piccolo. Gli uomini rispondono provocatoriamente a questo rituale indossando enormi falli posticci. Il rapporto tra sesso e nutrimento, entrambi promotori della vita, era espresso dal compito di nutrici che avevano le donne; l’idea di nutrimento era chiarita dai Pueblo con il concetto di adozione, per cui ogni forma di vita, materiale e spirituale, poteva venire trasformata in un parente attraverso il cibo. Le donne nutrivano non solo i parenti di sangue, ma anche il Sole, gli spiriti kachina, i feticci animali della casa, gli scalpi dei nemici uccisi e le carcasse delle prede cacciate dagli uomini. Quando giungevano capi stranieri lo scambio sociale del cibo significava pace ed era compiuto attraverso la mediazione femminile espressa tramite la nutrizione. Dopo la nutrizione l’attività di maggiore importanza culturale per le donne Pueblo era l’attività sessuale. La sessualità era equiparata alla fertilità, alla rigenerazione e al sacro; attraverso di essa le donne incorporavano i mariti nei clan materlineari, addomesticavano gli spiriti della natura e davano vita ai figli che avrebbero provveduto rispettosamente alla loro vecchiaia. Le donne donavano il proprio corpo ai mariti volontariamente, aspettandosi in cambio doni dotali, lavoro e rispetto. Se una donna faceva l’amore con un uomo che non era il marito si aspettava in cambio coperte, carne, sale o pelli, mentre l’uomo, se non le donava nulla, si indebitava con lei con obblighi vincolanti. La sessualità impregnava di sè anche il paesaggio Pueblo e i toponimi lo esprimono con chiarezza: Sorgente della Clitoride, Punta di Seno di Fanciulla, Chiappe-Vagina, Pene che Spinge e così via sono tutti nomi di località. Per i Pueblo, infatti, l’atto sessuale era il simbolo dell’armonia cosmica, in quanto univa in equilibrio tutte le forze maschili del cielo e tutte le forze femminili della terra. Per questo motivo i rituali del solstizio del Pueblo di Acoma terminavano con un coito, mentre uno scandalizzato frate Nicola de Chavéz nel 1660 riferiva che “uomini e donne si unirono sessualmente in modo bestiale” ogni volta che gli spiriti kachina apparivano durante il lungo ciclo cerimoniale. I kachina infatti portavano con sè la pioggia fertilizzante, che fa germogliare le piante e prosperare gli animali. Le donne, tramite il coito rituale trasformavano gli estranei (uomini di altri villaggi o clan e gli spiriti) in nativi, cioè membri della famiglia o del villaggio. Questa funzione era visibile nelle società femminili che, secondo Elsie C. Parsons erano geneticamente società guerriere. Frate Atanasio Dominguez narrò nel 1776 che le donne salutavano con canti e mimiche di battaglia l’arrivo degli uomini che portavano gli scalpi freschi appesi alle pertiche e, una volta che la processione era entrata nel villaggio, “le donne toccavano i propri genitali con gli scalpi in modo indecente”. Un altro testimone dichiarò che esse si denudavano il sesso e, dichiarando che gli scalpi erano i loro mariti, mimavano la copula, per togliere il potere ai nemici. Una volta espropriati del loro potere tramite l’atto sessuale, gli scalpi diventavano un’incombenza delle donne, che li nutrivano con farina di mais. Il rapporto con la preda animale mostra il legame di identità concettuale che esiste tra la copulazione e l’alimentazione, dato che le donne incorporavano l’animale nel villaggio e ne addomesticavano la natura, mimando la copula, usando un linguaggio licenzioso e infine “nutrendolo”. Questo rituale era eseguito soprattutto per prede “nobili” come il cervo; ad Acoma il cacciatore cominciava a macellare il cervo aprendone il ventre, poi tagliava il pene o la vulva dell’animale e li deponeva nello stomaco. Questa unione di genitali e stomaco rafforzava la stretta associazione tra sesso e cibo.
Il rafforzamento del rapporto che esisteva tra fertilità agricola e fertilità umana era uno degli scopi delle società femminili Pueblo. Dato che le società Hopi sono state meglio descritte, parleremo delle società Marau, Lakon e Oaqol, a cui venivano iniziate le ragazze Hopi in base al clan con la comparsa delle mestruazioni. La società Marau sembra aver fornito il modello delle altre due e, in base al mito fondatore, fu creata dal Sole che incontrò e sedusse una donna del mondo sotterraneo, da cui ebbe molti figli. Il Sole insegnò ai figli maschi le cerimonie segrete della società Wuwutcim e alle femmine quelle della società Marau, che significa “decorazione delle gambe” e appartiene al clan Sabbia, custode del suolo Hopi. Sull’altare figure in legno celebrano l’amore e le qualità riproduttive femminili, mentre le strisce verticali lungo le gambe che danno il nome alla cerimonia simboleggiano l’inizio del periodo mestruale e richiamano l’attenzione maschile sull’attraenza delle ragazze e, ovviamente, sull’inizio del loro periodo fertile. La società Marau ha due cerimonie, in gennaio e in settembre. Quella di gennaio celebra la fertilità femminile ed è composta da un periodo preparatorio di 4 giorni, in cui si preparano bastoni di preghiera, si canta e si fuma. Il quinto giorno le iniziate sono introdotte nella società tramite il lavaggio dei capelli poi, nei due giorni successivi le donne danzano all’aperto. Anticamente danzavano nude in cerchio, con la schiena rivolta alla folla, accarezzando un fallo di ceramica e cantando canzoni licenziose sulle nuvole, che rappresentano la pioggia e lo sperma e il fulmine, che simboleggia il pene, chinandosi ripetutamente in avanti per mostrare agli uomini i genitali. La danza finiva con un coito rituale, simbolo dell’armonia cosmica. La cerimonia di settembre era identica, tranne che per il rituale in cui si confrontavano le donne Marau e due impersonatori degli Dei Gemelli della Guerra. Mentre le donne danzavano tenendo in mano degli steli di mais che portavano delle pannocchie, i Gemelli tiravano delle frecce contro un fagotto di prodotti agricoli che rappresentavano la capacità riproduttiva femminile della terra. Le frecce erano il simbolo del lampo-pene e i colpi erano il simbolo della germinazione-copula. Le danzatrici Marau poi nutrivano i Gemelli con farina di mais, che quando era scambiato simboleggiava la pace e affiliava gli estranei. Perciò al termine della danza le donne deponevano le frecce nel santuario dei Gemelli della Guerra, esplicitando così il nesso tra sangue sparso, fertilità e vita, di cui esse erano mediatrici. Attualmente il coito rituale è stato sostituito dal lancio di canestri (Oaqol e Lakon), dove il canestro rappresenta il ventre materno e l’abbondanza, oppure dal lancio di cibo (Marau), sottolineando ancora una volta l’equivalenza tra cibo e sesso. Il significato delle cerimonie delle società femminili Lakon, Marau e Oaqol è espresso perfettamente, secondo Frank Waters, dal rilievo scolpito su una grande roccia nel deserto vicino a Oraibi: vi è rappresentata una Fanciulla Marau con la sua tipica acconciatura e i particolari segni verticali sulle gambe aperte, che lasciano vedere un’enorme vulva esposta, pronta per la copula e la fertilizzazione. Queste tre cerimonie concludono l’anno rituale Hopi. Quando arrivò Gesù, però, tutto questo cambiò. (segue)
Riferimenti
R.A. Gutierrez, When Jesus Came, the Corn Mothers Went Away, Stanford 1991.
F. Waters, The Boook of the Hopi, New York 1963, pag. 291
R. White, The Middle Ground, Indians, Empires, and Republics in the Great Lakes Region, 1650-1815, Cambridge 1991 pag. 60-65.

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Tra i Cherokee di lingua irochese, acerrimi nemici della Lega delle Cinque Nazioni, il Sole è in realtà Donna Sole e il suo nome è Sutalidihi, che significa Sei Uccisore (Six Killer). Secondo il mito riportato da J. Mooney ella è connessa ai Tuoni e ai serpenti. A causa del calore terribile e delle febbri che Donna Sole provocava negli esseri umani per via della sua gelosia per suo fratello Luna, più mite e come tale più amato dall’umanità, gli esseri umani chiesero aiuto ai Tuoni, e questi li aiutarono nel loro tentativo di uccidere Donna Sole. Tuttavia uno dei due uomini inviati a compiere la missione, trasformato nel Serpente a Sonagli uccise per errore la figlia di Donna Sole e in questo modo fu peggio di prima, perché nel suo dolore ella restava chiusa in casa e lasciava il mondo al buio. Così sette uomini entrarono negli inferi per riportare nel mondo la figlia di Donna Sole, ma anch’essi, come il greco Orfeo e altri come lui non riuscirono ad obbedire alla lettera alle istruzioni e all’ultimo momento lo spirito della figlia del Sole se ne tornò indietro. Per il gran dolore causato da questo fallimento Donna Sole rischiò di uccidere tutti con il diluvio delle sue lacrime, ma l’umanità salvò la situazione inviando i giovani e le ragazze più belli a danzare e cantare per divertirla. Dopo un pò di tempo una ragazza cantò suonando un tamburello e riuscì ad attirare la sua attenzione: Donna Sole si consolò, alzò lo sguardo e sorrise all’umanità.
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Presso gli spagnoli e i francesi i supremi arbitri del sesso erano precisamente quelli che, in teoria, ne avevano meno esperienza: i preti e i frati. Gesuiti e francescani assunsero un interesse attivo e vociante riguardo le attività sessuali degli europei e degli indiani. Gutierrez acutamente osserva come i Pueblo guardassero con sospetto e infine con timore delle persone che osservavano la castità rituale tipica dei guerrieri non per il periodo della spedizione di guerra, ma per tutta la vita e giunsero correttamente a identificare Cristo con il dio della guerra.
Richard White precisa che le tribù di lingua algonchina dei Grandi Laghi guardavano il celibato dei gesuiti francesi con un misto di curiosità e repulsione, poiché nulla del genere esisteva tra loro; era lo stesso sentimento con cui i francesi consideravano gli omosessuali indiani, che formavano una categoria integrata nel tessuto sociale indiano. Ma se gli Algonchini alla fine giunsero ad accettare il celibato dei gesuiti, questi non accettarono mai i costumi sessuali indiani. Alcuni osservatori videro le donne semplicemente come gente che sfacchinava e “schiave” (JR 2 :77, 4 :205) ma quelli che giunsero a conoscere i Montagnais più intimamente videro le donne come detentrici di “grande potere” (JR 5 :181) che avevano “quasi in ogni esempio  la scelta dei programmi e imprese, sui viaggi e i luoghi dove svernare” (JR 68 :93). In realtà l’indipendenza delle donne era considerata un problema dai gesuiti, che sgridavano gli uomini perché “permettevano” alle loro donne libertà sessuale e altre libertà (JR 5 :181, 6 :255). Come nel caso dei capi, i gesuiti cercarono di introdurre principi europei di obbedienza. I Montagnais convertiti al cristianesimo presero dul serio le esortazioni dei gesuiti e predicarono alle donne di obbedire si loro mariti, ai bambini di obbedire ai loro genitori e alla gente di obbedire ai loro nuovi capi eletti formalmente.
Nonostante i diversi scopi tutte le testimonianze francesi sembrano univocamente incapaci di riconoscere lo status femminile se non in termini di rapporto coniugale e di riconoscere gli atti sessuali se non tramite la divisione su due poli di condotta opposti: matrimonio e prostituzione. Questa incapacità impediva agli europei di vedere come il rapporto con il marito, effettivo o potenziale, fosse molto più debole per la donna indiana del rapporto con la madre, la famiglia materna, le altre donne con cui formava gruppi di lavoro in casa o nei campi o con cui formava società politico-religiose. Le donne degli agricoltori dell’Est derivavano il loro status e il loro potere dalle loro cariche politiche e religiose oppure dall’eredità materna o paterna e non dallo status del marito. Tra le tribù della costa atlantica le donne sachem (capo) si contano a dozzine; tra queste la Sunsquaw (Donna Capo) dei Narragansett, Magnus, che venne giustiziata insieme agli altri capi dopo la sconfitta, mentre le mogli e i figli dei capi furono venduti come schiavi dai puritani. In Virginia la prima “regina” indiana nominata dagli inglesi, Appamatuk, si trova nel giornale di John Smith della fine del 16° secolo ed è presente nel consiglio che decideva la morte dell’inglese, una decisione che Pocahontas, figlia di Powhatan, rovesciò esercitando le sue prerogative, come fecero la moglie e le figlie di un capo della Florida, Hirrihigua, salvando la vita a uno spagnolo della spedizione del conquistador de Soto (1539-43): gli raccontò (al capo Mocozo) che ultimamente il suo signore era deciso a ucciderlo, per divertirsi con la sua morte e celebrare la festa che presto vi sarebbe stata. E che la moglie e le figlie del capo tribù, suo padrone, sebbene molte volte gli avessero salvato la vita, non osavano allora parlare in suo favore perché il signore glielo aveva impedito, con la minaccia della sua ira: e che la figlia maggiore del suo signore, desiderando che non morisse, quale ultimo e miglior rimedio, gli aveva ordinato e lo aveva incoraggiato a fuggire, dandogli una guida che lo indirizzasse al suo paese e alla sua casa e dicendogli che a suo nome si presentasse dinanzi a lui . E’ evidente in questo caso che stiamo assistendo alla lotta per il potere tra il capo, comprensibilmente desideroso di vendicarsi degli spagnoli, che gli avevano fatto sbranare la madre dai cani e gli avevano tagliato il naso nella precedente spedizione Narvaez, e le donne regali, che vogliono esercitare le loro prerogative fino in fondo, anche se la bilancia comincia a pendere a loro sfavore e devono ricorrere a un sotterfugio. Tra le figure indimenticabili di regine indiane abbiamo la famosa “signora” di Cofachiqui, nel territorio che poi sarà noto come quello della Confederazione Creek: giovane, bella e molto intelligente andò incontro all’esercito del conquistador de Soto e, comprendendo che egli voleva fare prigioniera anche sua madre, la “vedova”, regina del paese, come egli aveva fatto con lei, lo fece girare senza scopo per il paese finché non riuscì a liberarsi insieme alle sue dame.
Nel New England la storia nomina varie “regine” della Confederazione Wamponoag e ricorda che all’inizio del 17° secolo la Confederazione Massachusetts era governata dalla “regina Massachusetts”. Vi è anche la “regina” dei Pocasset, Wetamoo, che servì come capo di guerra al comando di 300 guerrieri contro gli inglesi nella cosiddetta “guerra di Re Filippo” dei Wamponoag. Alla fine del 17° secolo regnò la “regina” dei Sakonnet, che combattè anch’essa nella guerra di Re Filippo, ma fu costretta ad arrendersi. La Confederazione Esopus ebbe come “regina” importante Mamanuchqua, uno dei 5 sachem della confederazione. Tra le donne capo più famose tra le Algonchine della Costa Atlantica vi sono la semi-leggendaria Pocahontas e Cockacoeske.
Pocahontas era una dei 20 figli del grande capo Pohwatan che dà il nome alla confederazione Algonchina omonima, ma secondo una tradizione indiana che resiste ancora presso certe tribù, era la figlia preferita e per questo godeva di uno status speciale (c’era anche un figlio preferito). E’ una delle “principesse” più famose della storia americana perché salvò John Smith, capo della colonia inglese della Virginia, dalla condanna a morte durante le guerre del 16° secolo e poi fu fatta sposare a John Rolfe. Chiamata con il nome cristiano di Rebecca andò in Inghilterra, fu ricevuta a corte come una aristocratica, ebbe un famoso ritratto e qui morì di malattia nel 1617. Suo figlio Thomas le sopravvisse senza macchia nè lode. Vi sono controversie sul nome indiano, perché alcuni dicono significasse in Powhatan “puttanella”, mentre la traduzione letterale è “pene”. A mio parere, quello che in realtà il nome indicava era la completa libertà sessuale che le spettava come donna, riconosciuta dai membri della sua tribù. E’ interessante osservare che ella creò scalpore a corte perché come aristocratica “principessa” figlia di un “re” indiano aveva sposato un borghese come Rolfe. Una sua nipote, Cockacoeske, “regina” dei Pamumkey, indossò il mantello di Powhatan, come capo principale della Confederazione Powhatan della Virginia nel 1656 e lo portò per 30 anni, tentando di ricostruire l’importanza perduta del suo popolo e dimostrò grande acume politico. Fu vittima della cosiddetta Ribellione di Bacon, dal nome di uno schiavista che si ribellò al governatore della Virginia perché non gli lasciava mano completamente libera nel razziare schiavi indiani e liberare il territorio dalla popolazione indigena, ma riuscì a fuggire. Come risarcimento la Corona Inglese le inviò doni preziosi fatti fare su misura dagli artigiani reali. Alla sua morte le successe la nipote, la “regina” Anna, che governò nel primo quarto del 18° secolo.
Anche le Cherokee godevano di grande prestigio politico. Facendo riferimento al Consiglio delle Donne, John Adair nel 18° secolo affermava che i Cherokee erano stati per un considerevole periodo di tempo sotto il governo delle “sottane” e stavano emergendo, come tutti i popoli irochesi, dal loro periodo matriarcale. Adair poteva già osservare ai suoi tempi il processo di mascolinizzazione in atto a causa delle guerre e del commercio delle pelli e degli schiavi. Il Consiglio delle Donne aveva a capo la Donna Amata della Nazione, la cui voce, secondo Adair, era considerata quella del Grande Spirito che parla attraverso di lei; le donne del Consiglio avevano il potere di decidere la sorte dei prigionieri, come accadeva in tutto l’Est; la decisione era presa dalla Donna di Guerra con il voto del Consiglio e trasmessa tramite staffette all’intero distretto. Le Donne di Guerra portavano il titolo di Donna Venerabile (Beloved Woman) e il loro potere era così grande che potevano liberare un disgraziato condannato dal consiglio e già legato al palo della tortura con un cenno del ventaglio di ala di cigno. Un meticcio Cherokee nato all’inizio del 19° secolo disse di aver conosciuto una vecchia che si chiamava Da’nawa-gasta, Guerra Tagliente, cioè “feroce guerriero”. Altrettanto potere avevano le donne di lingua irochese più settentrionali, appartenenti alla confederazione Urone o alla Lega degli Irochesi. Un gruppo di donne aristocratiche era a capo dei clan matrilineari e possedeva la riserva dei nomi importanti, cioè i nomi-titolo che davano accesso a prerogative e potere politico: La linea di discendenza del popolo delle Cinque Nazioni scenderà per linea femminile. Le donne saranno considerate i progenitori della nazione. Esse possiederanno la terra e il suolo. Gli uomini e le donne seguiranno lo status delle loro madri. Le donne eredi dei titoli di capo della Lega saranno chiamate Oianer o Otiianer (Nobili) per il tempo a venire. Le donne delle 48 (ora 50) famiglie nobili saranno le eredi dei Nomi Autorizzati per il tempo a venire Nella Lega esse nominavano i candidati alla carica di capo all’interno del clan e, salendo di importanza, all’interno della tribù e all’interno della Lega, potevano far dimettere i capi “indegni”, decidevano , almeno all’inizio, della sorte dei prigionieri e potevano scatenare o far ritirare i guerrieri nella “piccola guerra” (mourning war o guerra per estinguere il lutto) a caccia di prigionieri o bottino. Il processo di adattamento alla cultura europea disgregò il potere femminile, mentre la sua base economica, l’agricoltura, veniva quasi distrutta dalle guerre e dalla caccia commerciale in mano ai guerrieri. Il Seneca Handsome Lake promosse una riforma religioso-politica all’interno della Lega degli Irochesi, il cui scopo principale consisteva nel tenere il governo tribale fuori dalle mani delle “vecchie intriganti”, le Madri delle Lunghe Case, su modello patriarcale cristiano. Le tribù del Sudest, tra cui i Cherokee, adottarono il cristianesimo e la schiavitù dei neri e all’inizio del 19° secolo tracciarono una costituzione che toglieva il diritto di voto alle donne, ottenendo così la qualifica di Tribù Civilizzate. L’ultima Donna Amata dei Cherokee, Nancy Ward, diede le dimissioni nel 1817, a favore della legge costituzionale scritta e dell’accettazione del sistema parlamentare; solo dopo più di un secolo i Cherokee hanno ritrovato una donna capo: Wilma Mankiller, capo per due legislature.
Parlando delle Algonchine dei Grandi Laghi il francese Lahontan dichiarava che le donne Algonchine nubili godevano di libertà sessuale virtualmente completa: “Una giovane donna, dicono, è Padrona del proprio Corpo e per suo Diritto Naturale di Libertà è libera di fare quel che le piace” . La sola barriera sociale ai rapporti prematrimoniali era la gravidanza, ma questo non rappresentava un problema; un figlio concepito in questo modo avrebbe impedito matrimoni aristocratici. La maggior parte delle donne finivano con lo sposarsi e, anche se il divorzio era estremamente facile, esisteva l’adulterio, che poteva provocare gravi conseguenze, soltanto per la donna. Questo era più vero per le società algonchine socialmente stratificate: tra gli Illinois la donna poteva essere mutilata in faccia, uccisa o stuprata a morte in gruppo dagli amici del marito offeso. Tuttavia, dato che le testimonianze sono contraddittorie, è possibile che questo uso si sia stabilito e rinforzato con il commercio delle pellicce, in cui lo status femminile cominciò progressivamente a decadere. Nelle società algonchine del 17° e 18° secolo esistevano anche donne che non si sposavano affatto: erano le Ickone ne Kiowssa o Donne Cacciatrici, che accompagnavano i cacciatori nelle loro spedizioni, erano padrone del loro corpo e i loro figli erano integrati nella famiglia, con l’unico neo di non poter entrare nelle famiglie dei grandi guerrieri o capi. Le Donne Cacciatrici e altre ragazze nubili furono fondamentali nello stabilire rapporti di consuetudine sessuale tra francesi e indiani, tanto che i francesi giunsero a considerare questi legami consuetudinari nel commercio delle pellicce, anche se i gesuiti lanciavano strali contro queste “prostitute”. Tuonava il gesuita padre Carheil: Mi riferisco a donne nubili, donne senza marito, donne che sono padrone del proprio corpo, donne che possono disporre di sé per questi uomini (i cacciatori) e che questi ultimi sanno che lo vogliono, in una parola, esse sono tutte le prostitute di Montreal. Ma il gesuita aveva torto: queste Donne Cacciatrici non sollecitavano clienti e non vendevano atti sessuali; il sesso accompagnava un accordo in generale a fare il lavoro che la società indiana si aspettava dalle donne. Non era neppure un matrimonio temporaneo, come ce n’erano molti à la façon du pays, secondo l’uso locale, dato che una moglie non era libera come una Cacciatrice di dissolvere così facilmente un rapporto e non era neppure un contratto tra famiglie.
Il contatto e in seguito il dominio delle culture cristiane per parecchi secoli hanno influenzato le culture indigene in vario modo e in particolare ne hanno prodotto la patriarcalizzazione, spostando la struttura socioeconomica da egualitaria a dominata dall’uomo. Uno degli effetti della patriarcalizzazione è stato il cambiamento di un vocativo rivolto agli spiriti, dove “Grandfathers” (Nonni) viene usato per spiriti maschili e femminili, mentre un tempo gli indiani si rivolgevano ad essi in modo distinto, Nonni e Nonne, (Grandfathers e Grandmothers), un’uso ancora conservato in Columbia Britannica dove il cristianesimo è giunto molto tardi. Vi è anche la tendenza ad adottare il concetto di un Creatore a causa dell’influenza del Dio della Genesi, per contrastare l’accusa di essere “senza Dio” fatta dai missionari. Un’altra conseguenza della mascolinizzazione della religione indiana fu che i rituali femminili diventarono ancora più esoterici di quelli maschili, in particolare quando le varie religioni indiane vennero dichiarate illegali negli Stati Uniti e in Canada. Digiuni femminili, rituali della pubertà (tranne che per gli Athapaska), cerimonie della Luna Piena e riti per le mestruazioni sono virtualmente privi di documentazione nella letteratura etnografica, anche se continuano ancora oggi. L’effetto più importante di tutti fu però che gli spiriti femminili vennero intesi, seguendo il modello della Eva biblica, come malvagi. Il declino della spiritualità femminile fu parallelo al rapido declino del ruolo sociopolitico e di status delle donne indiane. (J. Paper, op. cit. p. 16-17) (segue)
Riferimenti
R. White, The Middle Ground, Indians, Empires, and Republics in the Great Lakes Region, 1650-1815, Cambridge 1991 pag. 60-65.

Eleanor Leacock, Seventeenth-Century Montagnais Social Relations and Values, Handbook of North American Indians, vol. 6. Subartic, Smithsonian institution, Washington, D. C. 1981, p. 191.
Inca Garcilaso de la Vega, Storia della spedizione di Hernando de Soto, Governatore e capitano generale del Regno di Florida (1539-43), Verona 1986, p.119
The Great Law of Peace of the Longhouse People (Kaianerekowa) pubbl. Akwesasne Notes, Mohawk Nation, 1977
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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