L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:20 am

Un programma transgender

Garantire la piena effettività del diritto all’identità di genere e all’espressione di genere - Con-Te-Stare

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Garantire la piena effettività del diritto all’identità di genere e all’espressione di genere

Punti programmatici per una proposta di riforma della L. 164/1982 – “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”

A cura di MIT – Movimento Identità Trans Settore Sportello Legale – 13 febbraio 2020

Premessa: la genesi della L. 164

Nel 1982, l’approvazione della legge 164 in materia di rettificazione di attribuzione di sesso fu considerata una conquista importante, volta in particolare a riconoscere la possibilità, per chi avesse già effettuato gli interventi chirurgici di riattribuzione di sesso all’estero (si trattava all’epoca per lo più di donne trans), di ottenere le necessarie modifiche sull’atto di nascita e sui documenti.

Il MIT, insieme al Partito radicale, fu promotore attivo di questa legge, che innegabilmente consentì, come tuttora fa, le necessarie modifiche anagrafiche e sui documenti, possibilità non prevista fino a quel momento.

La legge fu oggetto di scrutinio da parte della Corte Costituzionale nel 1985, in seguito a dubbi di costituzionalità, ma fu confermata quale espressione di una civiltà giuridica in evoluzione, attenta a garantire i diritti inviolabili della persona.

Il decennio 2010-2020: nuovi standard internazionali e trend emergenti alla luce dei diritti umani

La legge 164 non specificava quali debbano essere i requisiti da soddisfare sia per accedere ai trattamenti medici per il mutamento di sesso, sia per ottenere la rettificazione anagrafica. Dopo le modifiche introdotte nel 2011, che ha semplificato il procedimento, la legge si limita oggi a precisare, che 1) l’intervento chirurgico – “quando risulta necessario” – viene autorizzato con sentenza, e che 2) la rettificazione anagrafica si fa in forza di sentenza del tribunale che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita “a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.

Purtroppo, nel corso del tempo si è instaurata una prassi giudiziaria che prevedeva, e per molti aspetti tuttora prevede, una serie di requisiti da intendersi come precondizioni per l’accesso ai trattamenti medico-chirurgici, che devono essere autorizzati dal giudice: tra essi spiccano la diagnosi psicologica, la terapia ormonale ed altri ancora. Nei ricorsi ai Tribunali si è soliti allegare almeno una perizia o relazione psicologica, con la diagnosi di disforia di genere, una perizia endocrinologica, con la prescrizione della cura ormonale già iniziata, e un certificato di stato libero, per dimostrare di non essere sposati.

Sulla scia di definizioni patologizzanti del ‘transessualismo’ o del ‘disturbo di genere’, si è dunque affermata una prassi medica cristallizzata in protocolli irti di numerosi passaggi. Il trend europeo, tuttavia, perlomeno a partire dalla pubblicazione dell’Issue Paper del Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani (Human Rights and Gender Identity, 29 luglio 2009) è stato, ed è tuttora, nel senso della de-patologizzazione della non conformità di genere. Il Commissario europeo segnalava all’epoca che “dal punto di vista dei diritti umani e delle cure sanitarie, non emerge l’esigenza di diagnosticare alcun disturbo mentale per assicurare l’accesso ai trattamenti per una condizione che abbisogna di cure mediche” (p. 26). Il trend nel senso della completa de- patologizzazione è sfociato nel 2018 nella revisione dell’ICD-11 (International Classification of Diseases dell’Oms), che non prevede più la ‘disforia di genere’ come malattia o disturbo mentale.

Un ulteriore trend, chiaramente identificabile, è che alcuni requisiti per ottenere la rettificazione anagrafica sono stati considerati eccessivi o arbitrari alla luce dei diritti umani. Infatti, già nel 2010 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa aveva adottato una Raccomandazione sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere (CM/Rec(2010)5). Al punto 20 dell’allegato, la Raccomandazione specifica che “i requisiti preliminari, comprese le modifiche fisiche, necessari per il riconoscimento giuridico dell’avvenuto cambiamento di sesso dovrebbero essere regolarmente riesaminati, al fine di eliminare quelli che si rivelino abusivi”. Al punto 21 precisa inoltre che “gli Stati membri dovrebbero adottare le misure appropriate per garantire il pieno riconoscimento giuridico dell’avvenuto cambiamento del sesso di una persona in tutte le sfere della vita, in particolare rendendo possibili le rettifiche dei dati anagrafici nei documenti ufficiali in modo rapido, trasparente e accessibile”.

Tale impostazione è stata ripresa e caldeggiata dalla Risoluzione 2048 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, del 22 aprile 2015, sulla Discriminazione contro le persone transgender in Europa. In tale Risoluzione, si invitano gli Stati membri a:

fare propria una piena de-patologizzazione della non conformità di genere
assicurare un percorso medico privo di aspetti stigmatizzanti
esplorare modelli di cura basati sul consenso informato
eliminare ogni forma di diagnosi di disturbo mentale
eliminare ogni trattamento medico obbligatorio
garantire comunque l’accesso a terapie ormonali sostitutive, supporto psicologico eintervento chirurgico a carico del servizio sanitario pubblico
istituire procedure di rettificazione anagrafica che siano rapide, trasparenti e accessibili,basate sull’auto-determinazione
considerare la possibilità di indicare un genere ‘altro’ sui documenti di identità, per coloroche lo desiderino
rimuovere ogni restrizione a proseguire un matrimonio [o un’unione civile] esistente
considerare preminente l’interesse del minore nei casi riguardanti soggetti minorenni.Anche in Italia si è venuta affermando una nuova sensibilità al riguardo. Per quanto concerne l’autorizzazione del Tribunale alla rettificazione anagrafica, la prassi è stata per lungo tempo nel senso di considerare obbligatorio l’intervento chirurgico demolitorio degli organi sessuali riproduttivi, considerato come conditio sine qua non. Era previsto dalla legge in maniera esplicita anche l’automatico scioglimento del matrimonio. E’ solo a cavallo del periodo 2014-2015 che importanti sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione hanno adottato

orientamenti cogenti che non postulano più né la necessità dell’intervento chirurgico (vedi i paragrafi successivi), né l’automatico scioglimento del matrimonio (Corte Cost., sent. n. 170 del 2014).

Ma non finisce qui. Il 24 giugno 2013 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato gli orientamenti per la promozione e la tutela dell’esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI). Il Consiglio ha riconosciuto esplicitamente che “il possesso di documenti di identità idonei è un presupposto per l’effettivo godimento di numerosi diritti umani. Le persone transgender che non dispongono di documenti di identità corrispondenti al genere da esse preferito possono essere di conseguenza esposte a trattamento arbitrario e discriminazioni ad opera di individui e istituzioni. In alcuni Paesi non è previsto il riconoscimento giuridico del genere preferito. In altri Paesi i requisiti per il riconoscimento giuridico del genere possono essere eccessivi, ad esempio l’obbligo di provare la condizione di sterilità o infertilità, il cambiamento di sesso tramite intervento chirurgico, un trattamento ormonale, una diagnosi di salute mentale e/o il fatto di avere vissuto per un determinato lasso di tempo nel genere preferito (la cosiddetta “esperienza di vita reale”)” (punto 20). Ne risulta che “tali disposizioni o pratiche eccessive sono contrarie al diritto alla parità e alla non discriminazione affermato agli articoli 2 e 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ICCPR) e all’articolo 2 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali”.

Assieme al trend emergente della de-patologizzazione, culminato nel nuovo ICD del 2018, si è dunque affermato il trend di rimozione di tutti quei requisiti eccessivi o abusivi che rendono eccessivamente gravoso sia l’accesso al trattamento medico-chirurgico, sia alla rettificazione dell’attribuzione di sesso all’anagrafe e sui documenti. Ne dà conto l’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione europea nell’ultima analisi giuridica comparata del 2015 (Protection against discrimination on grounds of sexual orientation, gender identity and sex characteristics in the EU, Vienna, 2015, pp. 15 ss.).

Questi nuovi trend trovano origine nelle rivendicazioni delle associazioni e dei movimenti trans di tutta Europa, che hanno reclamato e favorito una nuova sensibilità nei confronti, per esempio, 1) delle diverse modalità in cui si può manifestare l’identità e l’espressione di genere, 2) della specificità del percorso di transizione e dei vissuti degli uomini trans, 3) delle problematiche delle persone intersex, queste ultime acutamente interessate da prassi mediche invasive e potenzialmente dannose del benessere e della salute, e 4) delle identità di genere non binarie.

Con particolare riferimento alle persone intersex, nel 2018 si è avuta la prima Risoluzione del Parlamento europeo sui diritti delle persone intersessuali, nella quale il Parlamento europeo prende atto dell’urgente necessità di combattere le violazioni dei diritti umani delle persone intersessuali e invita la Commissione e gli Stati membri a proporre una normativa per affrontare tali questioni. Il Parlamento “condanna fermamente i trattamenti e la chirurgia di normalizzazione sessuale; accoglie con favore le leggi che vietano tali interventi chirurgici, come a Malta e in Portogallo, e incoraggia gli altri Stati membri ad adottare quanto prima una legislazione analoga” (Risoluzione del Parlamento europeo del 14 febbraio 2019 sui diritti delle persone intersessuali, P8_TA(2019)0128).

In particolare, riprendendo i contenuti espressi dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa del 2015 (Human rights and intersex people, Issue Paper, Strasburgo, 2015), dello studio

dell’Agenzia Ue per i diritto fondamentali (The fundamental rights situation of intersex people, Vienna, 2015) e della Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa sulla promozione dei diritti umani delle persone intersessuali e sull’eliminazione della discriminazione nei loro confronti (Risoluzione 2191, Strasburgo, 2017), il Parlamento europeo (punto 9 della Risoluzione):

sottolinea l’importanza di procedure flessibili di registrazione delle nascite;
accoglie con favore le leggi adottate in alcuni Stati membri che permettono ilriconoscimento giuridico del genere sulla base dell’auto-determinazione;
incoraggia altri Stati membri ad adottare una legislazione analoga, comprese procedure flessibili per modificare i marcatori di genere, a condizione che continuino ad essere registrati, nonché i nomi sui certificati di nascita e sui documenti di identità (compresa la possibilità di nomi neutri sotto il profilo delgenere).L’opzione ‘altro’ sui documenti di identità, prevista per le persone intersex che presentino un certificato medico, è stata già introdotta in Germania e Austria, facendo seguito a pronunce delle rispettive Corti costituzionali nel 2017 e nel 2018 che avevano giudicato la mancanza di tale possibilità una violazione del diritto al rispetto della vita privata delle persone intersex.

Tra i trend emergenti bisogna ricordare anche il fenomeno dell’abbassamento dell’età della presa di coscienza e della richiesta di accesso ai percorsi di transizione anche da parte di minorenni. La menzionata relazione giuridica comparata dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (2015, p. 19), segnala un lento trend nel senso di garantire l’accesso al percorso di transizione e alla rettificazione di sesso per i minori trans. Permangono notevoli difficoltà in questo specifico settore, come evidenziato anche dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa che già nel 2014 pose l’accento sull’esistenza di “specifici ostacoli nell’esercizio del diritto all’auto-determinazione” da parte dei minori LGBT (Human Rights Comment, LGBT children have the right to safety and equality, Strasburgo, 2014). L’Agenzia Ue per i diritti fondamentali (FRA, pubblicazione online, 2017, https://fra.europa.eu/en/publication/20 ... nimum-age- requirements/transgender-hormone-therapy), segnala che in vari Stati membri, compresa l’Italia, per accedere alle terapie ormonali è prevista l’età minima di 18 anni, un requisito più restrittivo rispetto all’età prevista per i minori che richiedano l’accesso ad altri servizi sanitari in materia di salute sessuale o riproduttiva senza consenso dei genitori (mentre con il consenso dei genitori attualmente è possibile accedere alle terapie ormonali a partire dai 16 anni di età).

Il decennio 2010-2020 ha dunque visto un rapido susseguirsi di circostanze – a livello nazionale e internazionale – che rendono urgente il completo ripensamento dell’impostazione normativa a suo tempo offerta dalla L. 164 e non solo. L’esigenza non più procrastinabile è, quindi, nel senso di integrare i correttivi introdotti per via interpretativa nel corso del tempo, eliminando prerequisiti eccessivi o abusivi (sul piano sia sostanziale che procedurale) e di valorizzare pienamente il significato del diritto all’identità di genere così come, più in generale, del principio di autodeterminazione dell’individuo. Principio che, del resto, già guida situazioni eticamente sensibili come, ad esempio, l’interruzione volontaria di gravidanza o le disposizioni anticipate di trattamento (c.d. testamento biologico, v. infra).

Nell’ordinamento giuridico italiano, come si è evoluto il diritto all’identità di genere?

In linea di principio, il diritto all’identità di genere ha assunto una valenza sempre più marcata a livello giuridico. Con sentenza n. 221 del 2015, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che l’ordinamento italiano riconosce “il diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona” garantiti dall’art. 2 della Costituzione e dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani.

La Corte ha anche precisato, nella sentenza n. 180 del 2017, come “l’aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli nei registri anagrafici, al momento della nascita, con quello soggettivamente percepito e vissuto costituisca senz’altro espressione del diritto al riconoscimento dell’identità di genere”.

Già con la sentenza n. 161 del 1985, la Corte Costituzionale aveva sottolineato che la legge 164 del 1982 “accoglie un concetto di identità sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, nel senso che ai fini di una tale identificazione viene conferito rilievo non più esclusivamente agli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita ovvero “naturalmente evolutisi”, sia pure con l’ausilio di appropriate terapie medico-chirurgiche, ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale”.

Presupposto della legge 164 era dunque “la concezione del sesso come dato complesso della personalità, determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio”.

Quali sono le condizioni per esercitare il diritto all’identità di genere?

Mentre per decenni si era ritenuto che la rettificazione di attribuzione di sesso nei registri anagrafici potesse essere disposta dal Tribunale solo a seguito di interventi chirurgici che si risolvevano di fatto in un obbligo di sterilizzazione dell’individuo – pratica censurata dal Consiglio d’Europa e dal relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura come violazioni del diritto all’integrità fisica e della salute sessuale e riproduttiva – è proprio dal 2015 che sia la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 15138) che la Corte Costituzionale hanno stabilito che la corretta interpretazione della L. 164/1982 esclude la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico.

L’impostazione generale, dunque, a partire dal 2015 è nel senso di riconoscere che la legge, “in coerenza con supremi valori costituzionali, rimette al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione” (Corte Cost., sent. 221/2015). Ancora più esplicitamente, la Corte di Cassazione ha affermato che ogni scelta relativa al percorso di transizione non può che essere il risultato di “un processo di autodeterminazione verso l’obiettivo del mutamento di sesso”.

Queste sentenze hanno adottato un’interpretazione della L. 164 che ha consentito di porre chiaramente l’accento, più di quanto fosse mai stato fatto in passato, sui diritti individuali e sull’autodeterminazione della persona.

Permangono tuttavia dei limiti intrinseci all’impostazione che deriva in seguito a queste importantissime pronunce.

Come si è visto, per la Corte di Cassazione il processo di autodeterminazione riflette, in sostanza, la complessità del percorso di transizione, realizzato “con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale”.

Si afferma, almeno in linea di principio, un più ampio spazio di libertà individuale nella scelta delle modalità con cui attuare il proprio percorso di transizione. Allo stato attuale, dunque, l’esercizio del diritto all’identità di genere, rimette all’interessato – con l’ausilio dei trattamenti medici e psicologici necessari – la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare il mutamento di sesso.

Tuttavia, non si spinge ancora fino al riconoscimento di un’autodeterminazione piena e compiuta. Infatti, sia la Corte di Cassazione che la Corte Costituzionale, proprio nel 2015 hanno sottolineato chiaramente che occorre bilanciare il diritto del singolo allo sviluppo della propria personalità individuale e sociale con “l’interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche”.

Questa esigenza rende “proporzionale”, quindi legittimo, l’attuale impianto della L. 164, che si fonda su un riconoscimento giudiziale del diritto al mutamento di sesso, preceduto da “un accertamento rigoroso del completamento di tale percorso da compiere attraverso la documentazione dei trattamenti medici e psicoterapeutici eseguiti dal richiedente, se necessario integrati da indagini tecniche officiose volte ad attestare l’irreversibilità personale della scelta” (Cass. 15138/2015).

Riassumendo, nell’impostazione data dalla Corte di Cassazione risulta che:

Il diritto alla conservazione della propria identità psicofisica non può essere sacrificato dall’interesse pubblico alla definizione certa dei generi
ergo, l’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non postula la necessità dell’intervento chirurgico
Il Tribunale deve però accertare rigorosamente:
a) La serietà e univocità del percorso sceltob) La compiutezza dell’approdo finaleUgualmente, la Corte Costituzionale (sent. 221/2015) ha fatto eco a tale impostazione, ribadendo che:

La tutela della salute dell’individuo prevale sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico
ergo, il trattamento chirurgico non è un prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione anagrafica
il trattamento chirurgico è solo un possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico.Ha precisato tuttavia che rimane “ineludibile” un “rigoroso accertamento giudiziale”:

a) delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto
b) del suo carattere definitivo.

Riguardo l’ampiezza e il contenuto di tale “rigoroso accertamento giudiziale” (che nel nostro ordinamento non sussiste neppure nel caso di importanti fattispecie implicanti il rispetto del diritto alla salute e alla vita, come l’interruzione volontaria di gravidanza o il testamento biologico), vale la pena ricordare che nei giudizi di merito per la rettificazione di sesso davanti al Tribunale (in composizione collegiale, a carattere contenzioso con la necessaria partecipazione del Pubblico Ministero) la parte è tenuta ad allegare, a sostegno delle domande di autorizzazione al trattamento chirurgico e di rettificazione anagrafica:

una relazione psicologica attestante la diagnosi di disforia di genere o disturbo dell’identità di genere o transessualismo (il linguaggio varia), l’esclusione di psicopatologie e disturbi della personalità, il percorso psicoterapeutico intrapreso e gli esiti dell’esperienza di vita reale;
una perizia endocrinologica che informi i giudici circa l’esclusione di patologie da alterata differenziazione sessuale, il periodo di assunzione e gli esiti della terapia ormonale, nonché del follow up in seguito alla prova di vita reale.Nonostante spesso si tratti di documentazione medica in forma di perizia proveniente da strutture pubbliche o convenzionate, non è raro che il Tribunale richieda di verificare tutte le allegazioni e le stesse risultanze mediche prodotte dalla parte, disponendo una consulenza tecnica d’ufficio e affidando quindi a neuropsichiatri ed endocrinologi il compito di visitare la persona e porre con certezza, ad esempio, la diagnosi di transessualità, di confermare che la decisione del richiedente sia definitiva, irreversibile, seria ed univoca (perizia psicologica o psichiatrica) e di attestare l’impossibilità o la scarsa probabilità di un eventuale ritorno allo stato “quo ante”, validando la completezza del percorso di mutamento di sesso e l’inesistenza di incertezze o ambiguità (perizia endocrinologica). Si veda, ad esempio, Trib. Milano, Sez. I Civile, sent. n. 4090/2017 e, per un’ampia ricognizione della prassi giudiziaria, Schuster, A., La rettificazione di sesso: criticità persistenti,

2017, online al link: http://www.articolo29.it/2017/la-rettif ... criticita- persistenti/).

Una volta esclusa l’obbligatorietà dell’intervento chirurgico, ci sono altri requisiti obbligatori per ottenere la rettificazione anagrafica o basta che la persona si comporti socialmente secondo il genere di elezione?

Come appena menzionato, vi sono altri requisiti considerati obbligatori. Nel 2015 il Tribunale di Trento si è posto il problema se subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, quale il diritto all’identità sessuale, al requisito della sottoposizione della persona a trattamenti sanitari, anche solo ormonali, non presentasse profili di incostituzionalità.

Secondo le parti costituite in quel giudizio, il “completamento della transizione” potrebbe ritenersi soddisfatto laddove la persona interessata abbia già esercitato in maniera definitiva il proprio diritto all’identità di genere, ad esempio manifestando la propria condizione nella famiglia, nella rete degli affetti, nel luogo di lavoro, nelle formazioni di partecipazione politica e sociale. Questo anche senza interventi farmacologici sui caratteri sessuali secondari. Secondo questa impostazione, che mirava a superare non tanto l’obbligo di intervento chirurgico (questione già chiarita dal 2015) quanto la medicalizzazione del processo di transizione quale prerequisito per ottenere la rettificazione anagrafica, l’accertamento giudiziale ai sensi della legge servirebbe esclusivamente a verificare la serietà dell’intento di transizione di genere, quale manifestazione del diritto all’autodeterminazione della persona umana. Le parti chiedevano quindi che fosse esclusa dagli accertamenti giudiziali prodromici alla rettificazione anagrafica la sottoposizione della parte istante a “esami medici o psicologici, in quanto potenzialmente invasivi della sfera privata”. Tali accertamenti dovrebbero vertere esclusivamente sull’ estrinsecazione sociale dell’identità personale e sugli aspetti psichici, comportamentali e fisici che contribuiscono a comporre l’identità di genere.

Tuttavia, una volta esclusa dal 2015 l’obbligatorietà dell’intervento chirurgico, appare chiaro che – con riferimento questa volta ai supposti profili di incostituzionalità dell’obbligo di documentare e accertare in giudizio l’effettuazione di altri interventi, come il percorso psicoterapeutico o i trattamenti ormonali – la Corte Costituzionale ha messo un chiaro limite all’autodeterminazione individuale. Ha, infatti, specificato che “il solo elemento volontaristico” non può rivestire un “rilievo prioritario o esclusivo ai fini dell’accertamento della transizione” (sent. 180/2017).

Così statuendo, sembrerebbe in sostanza aver individuato un limite molto chiaro rispetto a ulteriori interpretazioni, logiche o estensive, della L. 164, motivando che l’attribuzione di sesso risultante dalle certificazioni pubbliche non può essere rimessa alla sola determinazione dell’individuo. Ha quindi avvalorato la “necessità di un accertamento rigoroso non solo della serietà e univocità dell’intento, ma anche dell’intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere”, affidando al giudice il compito di accertare la natura e l’entità delle intervenute modificazioni dei caratteri sessuali.

Ne consegue che, ad avviso della Corte costituzionale, subordinare l’autodeterminazione dell’individuo e il diritto all’identità di genere alla dimostrazione in giudizio, tramite appropriata documentazione medica e psicologica, della completezza della transizione, non integra un’intromissione eccessiva nella sfera di rispetto della vita privata dell’individuo, perché risulta essere un requisito proporzionale e giustificato dall’interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche, sulle quali si fonda il rilievo dei registri anagrafici.

In Italia per le persone che intendono effettuare la transizione e chiedere la rettificazione anagrafica, permane di fatto l’obbligo di adeguarsi a una serie corposa di requisiti di varia natura, prevalentemente medici, di età e di stato civile. Per quanto riguarda l’accesso al percorso di affermazione di genere, ancorché la legge 164 non si esprima sul punto, gli standard di cura per la salute delle persone trans sono ‘fissati’ in protocolli adottati quasi ovunque a livello mondiale, quindi anche in Italia dai centri specializzati nella transizione. I protocolli attualmente fanno chiaro riferimento a:

relazione psicoterapeutica per almeno 6 mesi (obbligatoria per accedere alle terapie ormonali secondo il protocollo ONIG, non per il protocollo WPATH)
real-life test (esperienza di vita reale)
diagnosi psicologica
terapia ormonale
Per le identità di genere non binarie le cose sono ancora più complicate, proprio perché la rettificazione anagrafica del sesso si può autorizzare, secondo la legge attuale, solo una volta “intervenute oggettive modificazioni dei caratteri sessuali” dall’uno all’altro sesso, non essendo previsti né un genere neutro (X o simili), né il cambio del solo prenome a prescindere dalla rettificazione del sesso.

Con riferimento ad alcuni passaggi previsti nel protocollo ONIG, già a partire dal 2019 il MiT, che siede nel consiglio direttivo dell’ONIG (Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere) ha proposto una mozione per assicurare maggior possibilità di autodeterminazione dell’individuo. Valorizzando il principio del consenso informato, l’ispirazione è di eliminare l’obbligatorietà di determinate cure, in particolare di un periodo minimo di sedute di psicoterapia.

Esistono altri modi per dare più spazio all’autodeterminazione dell’individuo?

Si. Come abbiamo visto, dal 2018 la classificazione internazionale delle malattie (ICD – International Classification of Diseases dell’Oms) non prevede più la transessualità come disturbo mentale. L’incongruenza di genere, come viene chiamata, è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali per essere inserita in un nuovo capitolo sulle “condizioni di salute sessuale”, che nasce dall’esistenza di un bisogno di importanti cure sanitarie a cui deve essere garantito l’accesso (al pari della menopausa o della gravidanza).

Per quanto concerne la rettificazione anagrafica, dal punto di vista giuridico, in sette Paesi europei si è dato ampio rilievo all’autodeterminazione dell’individuo maggiorenne. Prendendo a modello l’innovativa legge dell’Argentina del 2012, in Belgio, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Norvegia e Portogallo i richiedenti la rettificazione vengono riconosciuti formalmente nel genere di elezione senza dover soddisfare alcun requisito, tranne quelli di forma o, in alcuni casi, un breve periodo di riflessione.

Tale impostazione comporta un cambio radicale di paradigma. Scompare la richiesta dell’individuo, sia essa a organi giudiziali o amministrativi, e la conseguente procedura di autorizzazione. Ciò che rileva è l’auto-affermazione di una stabile connessione con il genere cui si sente di appartenere, connessione formalmente attestata dall’individuo che necessita della correzione delle risultanze anagrafiche, attraverso una dichiarazione solenne ricevuta dal pubblico ufficiale.

Come riconosce la relazione del Network europeo di esperti giuridici sull’eguaglianza di genere e la non discriminazione (Trans and intersex equality rights in Europe – a comparative analysis, novembre 2018), dal punto di vista delle persone trans e intersex, il modello dell’autodeterminazione presenta visibili vantaggi:

si fonda su una procedura accessibile e semplificata, che minimizza gli adempimenti burocratici
riduce o elimina la necessità di integrare un serie requisiti di merito, come quelli relativi alla salute mentale, all’età, o quelli di tipo sociale, economico o familiare
riconosce che le persone trans e intersex (cui sarebbe opportuno aggiungere le persone non binarie) sono i soli arbitri del proprio genere, senza necessità di scrutinio da parte di soggetti terzi o poteri pubblici.

Come funziona concretamente il modello basato sull’autodeterminazione piena?

Per quanto concerne la parte riguardante la rettificazione anagrafica, all’interessato è richiesta un’attestazione o dichiarazione solenne, il più delle volte giurata, di possedere un collegamento stabile e duraturo con il genere in cui desiderano essere riconosciuti, senza necessità alcuna di produrre documentazione in merito.

Per esempio:

In Danimarca, la dichiarazione comporta “una conferma del senso di appartenenza algenere opposto” (art. 3, c. 5, Act on Civil Registration 2014)
A Malta è richiesta una “chiara, non equivoca e informata dichiarazione che la propriaidentità di genere non corrisponde al sesso attribuito nell’atto di nascita” (art. 5(b), GenderIdentity, Gender Expression and Sex Characteristics Act 2015)
In Belgio, la legge richiede che si dichiari la propria “convinzione duratura che il sessomenzionato nel certificato di nascita non è congruente con l’identità di genere sentitainternamente” (art. 3, Gender Recognition Act 2017).
In Lussemburgo, la legge richiede l’attestazione di una “convinzione intima e stabile” chel’attuale attribuzione di sesso non è conforme con l’esperienza interiore del genere (Law of25 June 2018).
In Portogallo, è sufficiente una richiesta all’Ufficiale di stato civile sulla basedell’attestazione che il sesso attribuito alla nascita non corrisponde alla propria identità di genere (Capo II, artt. 6-9, Decreto N. 203/XIII del 2018).Excursus: il parallelismo con il testamento biologico (L. 2 dicembre 2017, n. 219)

Nell’ordinamento italiano, a tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’auto- determinazione della persona, la nuova legge sul testamento biologico consolida il principio per cui nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.

La legge 2 dicembre 2017, n. 219 introduce e disciplina le “disposizioni anticipate di trattamento”, con le quali le persone possono dare indicazioni sui trattamenti sanitari da ricevere o da rifiutare nei casi in cui si trovassero in condizioni di incapacità.

Come riferisce il sito nazionale del notariato (https://www.notariato.it/it/famiglia/testamento- biologico), può dichiarare le proprie disposizioni anticipate di trattamento qualunque persona che sia maggiorenne e capace di intendere e di volere. La forma prevista per manifestare le disposizioni anticipate è plurima:

Atto pubblico notarile
Scrittura privata autenticata dal notaio
Scrittura privata semplice consegnata personalmente all’Ufficio dello Stato Civile delComune di residenza del disponente.L’atto non è soggetto ad alcun tipo di imposta (di registro, di bollo) né tassa o diritto. Se il paziente non è in condizioni di firmare, la legge notarile prevede la possibilità di stipulare l’atto in presenza

di due testimoni. Può, inoltre, manifestare le disposizioni anticipate anche attraverso una videoregistrazione o anche altro dispositivo che consenta di comunicare. Occorre una preventiva consultazione con un medico, nel senso che la legge stabilisce che la persona acquisisca preventivamente adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte.

L’impianto della legge sul testamento biologico può fornire, sotto molteplici punti di vista, un utile esempio cui ancorare i principi ispiratori di una riforma della L. 164, dettagliati qui di seguito. Vi è comunque una differenza importante: mentre con le disposizioni anticipate di trattamento si manifesta una volontà, nel caso del percorso di affermazione di genere si constata o dichiara uno stato o qualità personale (la non conformità tra risultanze anagrafiche e genere di appartenenza).

10 punti per una riforma della normativa italiana

Come si è visto, le importanti sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale del 2015 e del 2017, pur ampliando notevolmente il contenuto del diritto all’identità di genere, hanno posto limiti precisi all’operatività del principio dell’auto-determinazione del genere vissuto intimamente e socialmente, stante il tenore letterale della L. 164 del 1982.

Sembra quindi imprescindibile cambiare radicalmente il modello legislativo attualmente vigente attraverso una riforma legislativa. Alla luce sia dei più recenti trend internazionali già ricordati in apertura, sia di recenti normative interne come quella sul testamento biologico, occorre ora lasciarsi decisamente alle spalle l’impianto paternalistico-autorizzativo della L. 164, per approdare a un’impostazione più rispettosa dell’autodeterminazione individuale, basata su un’attestazione dell’interessato invece che su procedimenti burocratici, pareri medici e intervento dell’autorità (sia essa giudiziale o amministrativa).

Del resto, vecchie e nuove disposizioni di legge (per esempio, l’interruzione volontaria di gravidanza o il testamento biologico) offrono già ampio margine all’operatività del principio di auto-determinazione dell’individuo. E’ giunto il momento di adeguare le disposizioni della L. 164 sulla rettificazione di sesso ai medesimi principi ispiratori, per declinare pienamente e compiutamente anche il diritto all’identità di genere all’interno della solida cornice tracciata dal pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona.

In particolare, ma senza pretese di completezza, una nuova proposta di legge di riforma delle norme in materia di rettificazione di sesso dovrebbe fondarsi sui seguenti 10 principi ispiratori:

1. Riconoscimento del diritto all’identità di genere e all’espressione di genere per ogni individuo e divieto di discriminazione sulla base esplicita di tali fattori

2. Libertà nella scelta delle modalità di attuazione del percorso di affermazione di genere, con eliminazione dell’autorizzazione giudiziaria all’intervento chirurgico

3. Gratuità delle terapie ormonali sostitutive e mantenimento di ogni trattamento medico- chirurgico come prestazione a carico del servizio sanitario nazionale, al fine di garantire il pieno benessere psico-fisico della persona e la sua salute sessuale

Rettificazione anagrafica del sesso fondata, per i maggiori di anni 16 (con il consenso dei genitori se minorenni), sulla sola attestazione solenne da parte dell’interessato che la propria identità di genere non corrisponde al sesso attribuito nell’atto di nascita
Richiesta di rettificazione anagrafica del sesso all’Ufficiale di stato civile e cambiamento di ulteriori documenti (patente, codice fiscale, titoli di studio e professionali, ecc.) solo sulla base di una autocertificazione del nuovo atto di nascita
Possibilità di cambiamento del solo prenome sull’atto di nascita e altri documenti rilevanti, anche in assenza di rettificazione del sesso
Divieto di intervento medico sui neonati e minori intersex, possibilità di posticipare l’annotazione del genere ad un momento successivo alla nascita e/o di indicare un genere neutro, fino alla libera scelta dell’interessato
Divieto di terapie riparative per orientamento sessuale, identità di genere e espressione di genere
Formulazione di linee guida ministeriali o normative aggiornate per:
la piena inclusione nelle scuole di ogni ordine e grado
il rispetto delle persone trans detenute
il rispetto delle persone trans in occasione delle operazioni di voto
una sanità accessibile e rispettosa della salute delle persone trans
Rispetto rigoroso della privacy da parte delle autorità e dei privati; azioni positive per l’effettiva inclusione delle persone trans nel mondo del lavoro, dell’impresa e nelle istituzioni; programmi di formazione su prevenzione della discriminazione, promozione della diversità e diffusione di una cultura delle differenze.

La presente piattaforma è stata redatta su iniziativa del MIT – Movimento Identità Trans e vede come co-promotori le seguenti associazioni:

Consultorio Transgenere
Associazione Trans Napoli
Sunderam Identità Transgender Torino Gender X
Azione Trans
Mixed LGBTI

Aderiscono a titolo personale:

Giovanni Guercio, avvocato
Cristina Leo, assessora Muncipio VII – Roma Capitale Ottavia Voza, attivista



Spagna, approvata la "Ley trans": nuove tutele sui diritti Lgbtq+ e sull'autodeterminazione di genere
Marianna Grazi
2 Luglio 2021

https://luce.lanazione.it/spagna-approv ... di-genere/

La maggioranza spagnola ha approvato la nuova normativa, che ora passa all'esame del Parlamento. Secondo Irene Montero, ministra per le Pari opportunità e tra le promotrici: "Facciamo la storia con una legge che fa un passo da gigante in avanti per i diritti delle persone LGBTI". Le nuove norme riguardano identità e riassegnazione di genere, transgender, intersessuali, madri lesbiche o single e tanto altro

Paese che vai, diritti che trovi. E la Spagna sta facendo enormi passi avanti perché chiunque possa sentirsi al sicuro. Diventando, così, uno dei Paesi europei più aperti e inclusivi in termini di libertà e tutele per la comunità Lgbtqi+.
Il Consiglio dei ministri iberico, infatti, ha recentemente approvato il disegno di legge della “Ley trans”, una normativa che garantisce il riconoscimento dei diritti delle persone transgender attraverso l’autodeterminazione dell’identità di genere. “Facciamo la storia con una legge che fa un passo da gigante in avanti per i diritti delle persone Lgbtqi”, ha dichiarato Irene Montero, ministra per le Pari opportunità, tra le promotrici. In precedenza erano stati presentati due diversi disegni disegni di legge, che facevano parte del patto di governo di Psoe e Unidas Podemos: uno destinato appunto ai diritti delle persone transgender, l’altro, più generale, rivolto alla comunità Lgbtqi+. La nuova legge è il risultato della fusione delle due proposte, che incorpora integralmente. La ‘palla’ passa ora al Parlamento per l’approvazione.

Identità di genere: autodeterminazione sì, patologia no

Non è stato semplice raggiungere un accordo sul testo: negli ultimi mesi ci sono state lunghe discussioni in seno alla maggioranza, con un acceso confronto con associazioni e organizzazioni della comunità. Secondo quanto riportato da El Pais, l’ostacolo più grande era rappresentato dalla libera autodeterminazione di genere. La normativa attuale in Spagna prevede che per cambiare il proprio sesso sui documenti siano necessari 2 anni di trattamento ormonale e una diagnosi di disforia di genere. Con la nuova, invece, si va verso una totale depatologizzazione per tutte le persone con più di 16 anni, che potranno chiedere la rettifica dei documenti senza che siano necessari certificati che attestino la disforia di genere o “modifiche dell’aspetto o delle funzioni del corpo della persona attraverso procedure mediche, chirurgiche o di altra natura”. Per chi ha tra i 14 e i 16 anni la stessa richiesta può essere fatta con l’assistenza e il consenso di genitori o tutori e, per chi invece ha tra i 12 e 14 anni servirà l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Una legge all’avanguardia “in quei paesi che combattono e proteggono i loro cittadini indipendentemente dalle loro differenze, perché sono tutti uguali nei diritti”, secondo il ministro della Giustizia Juan Carlos Campos.


Le nuove norme per garantire i diritti della comunità Lgbtq+

Nel testo, inoltre, viene espresso il divieto alle cosiddette “terapie di conversione”, ossia le pratiche che vogliono modificare l’orientamento sessuale di una persona, che saranno punibili con multe fino a 150 mila euro. Le donne lesbiche, bisessuali e quelle single potranno invece nuovamente avvalersi delle tecniche di procreazione assistita previste dal servizio sanitario nazionale. Una possibilità che era stata eliminata sette anni fa, ed ora è estesa (per la prima volta) anche a tutte le “persone trans con capacità di gestazione”. Un’altra norma si occupa, invece, dei bambini nati da coppie di donne non sposate. La partner della madre biologica potrà avere diritti e doveri nei confronti del figlio/della figlia facendo una dichiarazione ufficiale come “genitore non gestante” all’atto della registrazione della nascita. Attualmente è necessaria l’adozione, ma la modifica entrerà in vigore grazie ad un cambiamento del codice civile.

Tra le novità viene legiferato, per la prima volta, sui diritti delle persone intersessuali (coloro che possiedono caratteri sessuali che non rientrano nelle tipiche nozioni di maschile e femminile): queste non potranno più subire mutilazioni o interventi chirurgici se non per motivi di salute/medici, né dovrà essere assegnato un determinato sesso per il primo anno di vita. Potranno essere introdotti dal governo percorsi riguardanti le ‘diversità’ e la comunità LGBT+ per l’accesso all’insegnamento e nei programmi scolastici, dove sarà inserita anche l’educazione sessuale. Sarà maggiormente favorito l’accesso all’occupazione delle persone LGBT+ e saranno messi a disposizione di tutti i cittadini procedimenti facilitati per denunciare le discriminazioni.

Nel nuovo disegno di legge sono previste ovviamente anche alcune sanzioni. Tra le ‘infrazioni minori’ – che prevedono multe da 200 a 2000 euro – viene compresa la molestia a una persona per via del suo orientamento sessuale o della sua identità di genere; tra quelle ‘gravi’ invece (da 2001 a 10.000 euro) l’inserimento o la ‘tolleranza’ di clausole discriminatorie nei contratti di lavoro. Infine corrispondono a infrazioni ‘molto gravi’, punibili con una multa da 10.001 a 150 mila euro, l’uso e la diffusione di libri di testo e materiali che “presentino le persone come superiori o inferiori nella dignità umana in funzione del loro orientamento sessuale, espressione di genere o caratteristiche sessuali”.
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L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:23 am

Il cambio sesso sui minori? In Texas diventa un "abuso"
Secondo il procuratore generale del Texas, il repubblicano Ken Paxton, il trattamento per il cambio sesso sui minori è da considerarsi a tutti gli effetti un "abuso".
Roberto Vivaldelli
23 Febbraio 2022

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ca ... 1645645969

Nel Texas a guida repubblicana, i trattamenti per il cambio sesso sui minori - come le terapie ormonali - potrebbero essere considerati degli abusi a tutti gli effetti. Come riportato dal Daily Beast, a seguito di una direttiva del governatore del Texas Greg Abbott, l'agenzia statale per l'assistenza all'infanzia ha dichiarato che inizierà a considerare i trattamenti per il cambio sesso sui bambini "transgender" come potenziali abusi sui minori e che devono essere sospesi. La lettera di Abbott è stata inviata martedì al dipartimento per la famiglia e i servizi di protezione, un giorno dopo che il procuratore generale dello stato, Ken Paxton, ha emesso un parere non vincolante sostenendo che i minori sono troppo giovani per acconsentire a trattamenti di cambio sesso. È dunque dal Texas conservatore che arriva un duro colpo alla narrazione Lgbtq, decisione che indigna la stampa "liberal" americana.

Secondo la legge statale, ha affermato in una nota Paxton, i trattamenti sui minori come la castrazione, la fabbricazione di un "pene" utilizzando tessuti di altre parti del corpo e di una "vagina" che comporta l'asportazione degli organi sessuali maschili, la prescrizione di bloccanti della pubertà sono degli abusi ai sensi della sezione 261.001 del codice della famiglia del Texas. Il parere di Paxton è stata pubblicata dal suo ufficio dopo che il rappresentante dello stato repubblicano Matt Krause gli ha chiesto di fare chiarezza sulla questione. "Farò tutto il possibile per proteggermi da coloro che approfittano e danneggiano i giovani texani", ha detto Paxton, secondo cui la procedura medica per il cambio sesso è "sperimentale".

Gli attivisti Lgbt e i dem accusano Paxton di aver agito secondo motivazioni politiche. Come riporta Cbs News, infatti, Adri Pèrez, stratega politico presso l'American Civil Liberties Union del Texas, ha affermato che l'opinione del procuratore è motivata politicamente. Pèrez ha infatti osservato che il procuratore generale ha diffuso il parere appena poco prima delle elezioni primarie repubblicane del 1° marzo, sottolineando inoltre che le opinioni del procuratore generale non sono giuridicamente vincolanti. Gli oppositori di Paxton la buttano sul populismo giudiziario e ricordano i suoi recenti problemi legali: è in attesa di processo per un'accusa di frode risalente al 2015, ed è indagato dall'Fbi per accuse di corruzione e abuso d'ufficio. Linzy Foster, un genitore di Austin interpellato dalla Cbs, ha dichiarato che leggere il parere di Paxton l'ha riempita di un "vecchio sentimento di ansia e rabbia" che ha provato per tutto l'anno scorso, quando ha visitato il Campidoglio una dozzina di volte per difendere il cambio sesso della figlia di 8 anni. "Vuole essere rieletto e stanno usando i bambini trans come prede, come pedine". Ma davvero all'età di 8 anni qualcuno può essere in grado di decidere di sottoporsi a un - pesantemente invasivo - trattamento di cambio sesso ed esserne perfettamente consapevole? È una scelta da cui è - praticamente impossibile - tornare indietro.

Quei pericoli sui minori ignorati dai liberal

Eppure le argomentazioni di Paxton sono scientificamente fondate e non sono affatto campate per aria. Come riportato lo scorso ottobre da InsideOver, nei mesi scorsi due medici per trans di fama mondiale hanno lanciato un'allarme inerente proprio con il cambio di sesso sui pazienti minorenni. Trattasi di Marci Bowers, medico che ha eseguito più di 2.300 interventi chirurgici di cambio del sesso durante la sua carriera – una specialista di vaginoplastica che ha operato – fra gli altri – la star dei reality televisivi Jazz Jennings – ed Erica Anderson, psicologa presso la Child and Adolescent Gender Clinic dell’Università della California a San Francisco. Intervistate da Abigail Shrier sul blog dell’ex giornalista del New York Times, Bari Weiss, Bowers ed Anderson hanno raccontato di aver tentato invano di pubblicare un articolo al New York Times nel quale provano a spiegare che molti operatori sanitari transgender stanno trattando i bambini "in modo avventato".

Bloccare la pubertà in una fase così delicata per lo sviluppo sviluppo come quella dell'adolescenza ha infatti delle ripercussioni molto serie sul corpo umano poiché in quel periodo non solo si stimola la crescita degli organi sessuali ma anche l’appetito sessuale. "Se non hai mai avuto un orgasmo prima dell’intervento chirurgico, e poi la tua pubertà viene bloccata, è molto difficile averlo dopo", spiegava Bowers. Pesanti controindicazioni che la stampa liberal ha deciso di ignorare per pura partigianeria e idelogia.
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L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:23 am

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L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:23 am

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L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:24 am

4)
Orban e l'Ungheria contro la criminale propaganda gender e omosessuale ai minori

Promuovere presso i bambini, i ragazzi e i giovani, l'omosessualità, la teoria del gender e la transessualità come un bene, come naturali, corrette, libere, normali, auspicabili scelte alternative all'eterosessualità naturale ricevuta in dono alla nasciata è un crimine contro l'umanità.
Bene hanno fatto Orban e l'Ungheria a vietarne la promozione e propaganda ai minori di 18 anni.


L’Ungheria vieta la transizione di genere per i bambini. Anzi, no. È la Svezia
Giulio Meotti
25 giugno 2021

https://meotti.substack.com/p/lungheria ... sizione-di

Le parole d'ordine progresso-scienza-ragione, sulle quali una certa cultura laica aveva edificato robusti grattacieli, lasciano intravedere crepe pericolose….

Per raccontare la storia di quello che è successo a sua figlia, Asa prende l'album in cui ha le sue fotografie ogni mese e a partire da quando aveva quattordici anni. “Questo è il momento in cui Johanna ha iniziato a tagliarsi i capelli molto corti, a mettere una benda sul petto per appiattirlo”. Poi il sorriso scompare, il viso si spenge: “Si è ammalata, anoressia. All'ospedale, ho notato che seguiva account transgender sui social. Mi ha annunciato che soffriva di disforia di genere, che non sopportava più il suo corpo... Ha deciso di diventare Kasper, un ragazzo”. Poi, a 19 anni, Johanna torna ragazza. “Ha avuto l'immenso coraggio di ammettere il suo errore. Sono molto orgogliosa di lei”.

Si apre così una inchiesta drammatica di Le Figaro non sull’Ungheria, ma sulla Svezia, che è stato il primo paese al mondo, nel 1972, a riconoscere e a offrire la transizione di genere. Il primo, inoltre, a offrire cure. Tutti i trattamenti sono forniti nelle cliniche pubbliche: bloccanti della pubertà, iniezioni di testosterone o estrogeni, chirurgia del seno, logopedisti per cambiare voce, depilazione, trapianti di barba. A diciotto anni, chirurgia genitale.

Da qui l'incredulità provocata dalla decisione del prestigioso ospedale Karolinska di Stoccolma. Questo pioniere dell’identità di genere, dipendente dall'istituto che assegna il Nobel per la medicina, ha vietato il trattamento ormonale ai minori. Invoca il principio di precauzione e studi che dimostrano che assumere questi ormoni potrebbe favorire malattie cardiovascolari, tumori, osteoporosi e trombosi. Da fenomeno raro, che colpisce alcuni individui, la disforia di genere è diventata una patologia di massa. “Nel 2001, solo 12 persone sotto i 25 anni sono state diagnosticate... nel 2018, erano 1.859", dice Sven Roman, uno psichiatra infantile. Tutti gli adolescenti sono colpiti, ma soprattutto le ragazze tra i 13 e i 17 anni che vogliono diventare ragazzi: tra il 2008 e il 2018, l'aumento in questo gruppo è del 1.500 per cento. Nell'ottobre 2019, un documentario shock sulla televisione svedese ha rivelato che l'ospedale Karolinska eseguiva la rimozione del seno su ragazze di 14 anni. Anche il caso di Jennifer Ring ha commosso il paese: si è impiccata dopo aver subito una transizione di genere nella stessa struttura, anche se altre cliniche avevano rifiutato il suo trattamento a causa dei segni di schizofrenia. Sono andati troppo oltre?

A lungo ha dominato la paura di non essere abbastanza “inclusivi”, o peggio, di essere visti come “transfobici”. Conclude Johanna: "Oggi, in Svezia, è un tabù mettere in dubbio l'identità di qualcuno". Poi hanno visto qualche crepa nel progresso e si sono fermati. Sono così irrazionali e oscurantisti, questi ungheresi?



Ungheria, passa la legge contro la “promozione dell’omosessualità” voluta da Orban: vietati ai minori di 18 anni film e libri a contenuto Lgbt
21 giugno 2021

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/0 ... t/6231110/

Il Parlamento ungherese ha approvato il disegno di legge volto a vietare la “promozione dell’omosessualità ai minori“, presentato da Fidesz – il partito del Primo ministro Viktor Orban – la scorsa settimana e criticato da Amnesty International e Human Rights Watch come un attentato ai diritti Lgbtq. Il provvedimento è passato con 157 voti a favore e un solo contrario. “Al fine di garantire la protezione dei diritti dei bambini – si legge nel testo – la pornografia e i contenuti che raffigurano la sessualità fine a se stessa o che promuovono la deviazione dall’identità di genere, il cambiamento di genere e l’omosessualità non devono essere messi a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni”. Fidesz ha promosso l’iniziativa come parte di un programma per proteggere i minori dalla pedofilia.

Le lezioni di educazione sessuale, inoltre – si legge ancora – “non dovrebbero essere finalizzate a promuovere la segregazione di genere, il cambiamento di genere o l’omosessualità“. In base a questo testo, una pubblicità come quella lanciata dalla Coca-Cola nel 2019 per promuovere l’accettazione dei gay in Ungheria non sarebbe ammessa, così come film e libri che mettono in scena dinamiche di amore omosessuale. E infatti il canale televisivo commerciale RTL Klub Hungary ha già fatto sapere che pellicole come “Il diario di Bridget Jones“, “Harry Potter” e “Billy Elliot” saranno trasmesse d’ora in poi soltanto in seconda serata e accompagnate da un divieto di fruizione ai minorenni.

Lunedì sera oltre 5mila persone si erano radunate di fronte al palazzo dell’assemblea legislativa, in riva al Danubio, per protestare contro un testo che – sostengono – limita gravemente la libertà di espressione e i diritti dei bambini. Anche Dunja Mijatovic, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, aveva invitato a “vigilare contro tentativi di introdurre misure che limitano i diritti umani o stigmatizzano alcuni membri della società”. Le organizzazioni per i diritti umani, ha ricordato, sostengono il diritto dei bambini a un’educazione sessuale completa, che verrebbe resa impossbile dalla censura sui temi Lgbt. “La legge contrasta con gli standard internazionali ed europei”, ha detto.

“È una legge incompatibile con i valori fondamentali delle società democratiche europee e con i valori dei cittadini ungheresi, soltanto l’ultimo dei molti vergognosi attacchi ai diritti Lgbtiq dal governo di Viktor Orbán”, scrive in una nota Anna Donath, eurodeputata ungherese del gruppo liberale Renew europe (successore dell’Alde). Il gruppo a Bruxelles condanna la “putinizzazione dell’Ungheria da parte di Viktor Orban” e descrive la legge come “una replica della legge russa in vigore dal 2013 che vieta la propaganda Lgbtiq e che, proprio come in Russia, diventerà uno strumento di molestia e discriminazione“.


Ue condanna la legge anti Lgbt dell’Ungheria. L’Italia aderisce (ma in ritardo)
Claudio Del Frate
22 giugno 2021

https://www.corriere.it/esteri/21_giugn ... 4a6d.shtml

La dichiarazione congiunta definisce la legge approvata dal parlamento di Budapest «una palese forma di discriminazione» in contrasto con la libertà di espressione garantita dai trattati dell’Unione

I rappresentanti di 14 Paesi della Ue hanno sottoscritto martedì un documento di condanna della legge che limita i diritti delle persone Lgbt di recente introdotta in Ungheria attraverso un voto del Parlamento. Tra i firmatari inizialmente non figurava l’Italia ufficialmente perché attendeva delucidazioni dal governo di Budapest. Il documento preso in seno al Consiglio europeo per gi affari generali esprime «grave preoccupazione» per la legge introdotta da Viktor Orban che «viola il diritto alla libertà di espressione con la scusa di proteggere i bambini». Il Consiglio per gli affari generali è un organismo che serve a coordinare le politiche tra tutti i governi dell’Unione ed è composto dai ministri per gli affari europei (per l’Italia il sottosegretario Enzo Amendola).

Il documento sottoscritto oggi afferma che la legge adottata dall’Ungheria «rappresenta una palese forma di discriminazione basata su orientamento sessuale , identità di genere ed espressione e merita di essere condannata. Inclusione, dignità umana, eguaglianza sono valori centrali dell’Unione Europea e non possono essere compromessi». La dichiarazione congiunta conclude sollecitando la Commissione Europea «in quanto garante dei Trattati a usare tutti gli strumenti a sua disposizione per assicurare il rispetto di tutte le leggi della Ue». Il documento è stato firmato da Francia Germania, Belgio, Olanda, Spagna, Svezia Lussemburgo. Irlanda, Lettonia, Lituania, Estonia, Finlandia e Danimarca. In serata si è aggiunta anche l’adesione italiana.

L’Italia, dove proprio oggi è riesplosa la polemica sil decreto Zan in seguito alla nota ufficiale inviata al governo dal Vaticano. aveva inizialmente così motivato il mancato appoggio per voce del sottosegretario Amendola: «Ho personalmente ribadito con altri ministri oggi in Consiglio Affari Generali l’esigenza di avere chiarimenti sui recenti emendamenti del parlamento ungherese alle disposizioni in materia di minori e istruzione che lasciano perplessi per i passaggi discriminatori sull’orientamento sessuale». Poi in serata il cambio di atteggiamento: «A fine Consiglio Affari Generali non sono arrivati chiarimenti soddisfacenti dall’Ungheria sulle leggi approvate che producono discriminazioni in base all’orientamento sessuale. Per questo, dopo dibattito, anche l’Italia ha firmato la richiesta degli altri 13 stati membri dell’UE».

La legge votata dal parlamento di Budapest ( solo dai partiti della maggioranza fedele a Orban) vieta la rappresentazione di qualunque orientamento sessuale che non sia quello etero per chiunque abbia un’eta inferiore ai 18 anni. Il divieto riguarda l’insegnamento nelle scuole ma investe anche la programmazione televisiva, la pubblicità, il cinema. Bruxelles sta considerando l’ipotesi di mettere ufficialmente sotto accusa Viktor Orban anche per questo provvedimento aprendo una procedura d’infrazione. «Stiamo esaminando la normativa per vedere in che misura violi le norme Ue perché riguarda l’istruzione, la libertà di espressione, per me riguarda anche la questione della discriminazione. Dobbiamo trovare la base giuridica adatta, ci serve tempo per trovare la soluzione giusta» ha detto la vicepresidente della Commissione Vera Jourova.


Interessante ed esplicativo parallello tra il Ddl Zan In Italia e il caso dell'Ungheria di Orban in Europa


Orban, il mascalzone ideale
Giulio Meotti
25 giugno 2021

https://meotti.substack.com/p/orban-il- ... one-ideale

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen dice che “nell’Unione europea sei libero di essere chi vuoi essere e di amare chi vuoi”. Come se la legge ungherese, dove ci sono le unioni civili per gli omosessuali, vietasse omosessualità o transgender. Quello che fa è vietare l’educazione Lgbt nelle scuole e nei cartoni animati per bambini. Legittimo criticarla, non sostenere che criminalizza una categoria di persone.

“Siamo pronti a discutere la legge con coloro che si sono espressi contro di essa”, ha detto alla BBC il governo ungherese. “La legge riguarda rigorosamente la protezione dei bambini. Dice che per i minori di 18 anni l'educazione sessuale deve essere appropriata e quello che non vogliamo è l'intrusione delle ONG di lobby LGBTQ+ e dei gruppi di pressione che entrano negli asili e nelle scuole per spiegare ai bambini perché è una grande idea avere trattamenti ormonali e operazioni per cambiare sesso prima dei 18 anni. Queste non sono pratiche accettabili”. Nelle settimane scorse, anche il più grande ospedale svedese, il Karolinska di Stoccolma, ha bandito i trattamenti ormonali per i minori.

Ma più precisamente, perché i legislatori ungheresi eletti democraticamente non possono decidere cosa è permesso insegnare ai bambini ungheresi? Il disprezzo è mozzafiato. Dovrei preoccuparmi e sentire come un attacco alla democrazia e alla libertà che i bambini magiari debbano andare online per guardare Kermit la rana che tiene un concerto assieme a una drag queen, invece di guardarlo sulla tv ungherese? O che ai bambini magiari di sette anni non venga detto a scuola che avere il pene non significa essere maschi?

E perché dovrebbe essere meno discriminatoria la legge di un altro paese membro dell’Unione Europea, la Finlandia, dove un vescovo e un ex ministro sono appena finiti sotto processo per “incitamento all’odio”, solo per aver sostenuto la visione cristiana del matrimonio? In Francia hanno appena approvato una legge che cancella la figura del padre come riferimento nella filiazione. In Ungheria pensano che un bambino abbia diritto a un padre e a una madre. Quale paese è più discriminante e oscurantista? La battaglia fra il progresso e la reazione è complicata…

Leggendo oggi il Corriere della Sera su Orban un lettore non informato arrivava a farsi l’idea di un leader che "alimenta l’antisemitismo ad arte”. Ora, questo è il sondaggio ufficiale dell’Unione Europea su dove gli ebrei si sono mentono meno al sicuro in Europa. In testa, la Francia. In fondo, l’Ungheria. Fine della discussione, a meno che non si agiti lo spettro di George Soros, la cui battaglia con Orban non c’entra niente con l’antisemitismo. Nei giorni scorsi Ronald Lauder, presidente del Congresso Ebraico Mondiale, era a Budapest a rendere omaggio a Orban.

È vero, l'Ungheria di Orban ha molti difetti e non è l’Olanda o il Massachusetts. Può piacere o meno. Diverso, da bugiardi in malafede, è dire come fa tutta la stampa mainstream che l‘Ungheria è come l’Uganda.

È la differenza fra l’Est e l’Ovest europeo spiegata su Le Figaro da una filosofa di fama mondiale come Chantal Delsol: “Ritengono ancora di avere un'identità, una caratteristica specifica, depositata dalla storia, che merita di essere difesa. Mentre l'Europa occidentale, e l'istituzione europea, considerano l'identità una cosa del passato: in una società materialista e libertaria, un'identità culturale non ha più senso. Molti pensano che se non insultiamo questi paesi, allora siamo i loro difensori. È il segno di questo mondo manicheo, tagliato col coltello, che io denuncio. Pensano che la libertà abbia dei limiti, che da tempo abbiamo dimenticato. In Europa occidentale, questo è il nostro slogan, crediamo che ‘la mia libertà finisce dove inizia la libertà degli altri’. Ma si può anche pensare, questo è il mio caso, che la mia libertà finisca dove inizia la mia responsabilità. Che è molto diverso. Se gli ungheresi votano per chiamare ‘matrimonio’ il contratto tra un uomo e una donna, proteggendo così il nome e il simbolo, è un limite che mettono e non dovrebbero essere insultati per questo”.

Se noi diamo di matto su un piccolo paese ricchissimo di storia e di pochi milioni di abitanti è perché non tolleriamo che qualcuno in Europa ci ricordi che c’era anche un’altra strada. Abbiamo la vocazione della terra bruciata. Non tolleriamo più alcun dissenso culturale?


PREFERIREI DI NO
Niram Ferretti
25 giugno 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il cattivo, naturalmente è Victor Orban, reo di avere approvato una legge a tutela dei bambini che vieta fermamente contenuti e rappresentazioni di sessualità non eterosessuale a loro rivolta. Insomma, Orban è cattivo, perchè sostiene una legge che indica ai bambini, si suppone nati in famiglie eterosessuali, dove sono presenti figure genitoriali tradizionali, dicasi, uomo e donna, papà e mamma, che questa è la norma e non una modalità tra le altre.
Ancora vent'anni fa, non nell'Inghilterra vittoriana, o nell'Italia bacchettona degli Anni 50, nessuno pensava fosse necessaria una legge simile, nè in Ungheria nè altrove. Ma in vent'anni il Progresso ha fatto larghi passi, e il Progresso ha stabilito che gli omosessuali possono sposarsi e ordinare o adottare figli, che si può essere esteriormente donne o uomini, ma dichiararsi a piacimento di sesso opposto a quello biologico, oppure declinarsi una identità neutra, che la differenza biologica tra i sessi non può più essere ritenuta normativa, perché normativo non è più nulla, tutto è soggettivo. E se qualcuno obbietta, che no, non è così, che ci sono differenze e gerarchie, che la natura presenta confini e paratie, immediatamente lo si accusa di discriminazione, di essere omofobo o fascista. Perché, le magnifiche sorti e progressive, incarnate dal movimento LGBT e dalla UE, che ne è oggi ormai una succursale, non ammettono dissensi, ma solo sudditi belanti. E Orban, che non bela, ed è premier di un paese all’avanguardia nella produzione e distribuzione della pornografia gay, che non proibisce, perché i maggiorenni possono fare del loro corpo ciò che credono e come credono, ma si limita a tentate di arginare il lavaggio del cervello dei minori, deve essere respinto nelle tenebre, le tenebre dove è collocato chiunque osi dissentire.
Eppure non si deve essere orbanisti per opporsi all’onda totalitaria arcobaleno, basta semplicemente dire quello che diceva il Bartleby del celebre racconto melvilliano: “Preferirei di no”.


VIKTOR ORBÁN: "L'EDUCAZIONE SESSUALE DEI BAMBINI APPARTIENE ESCLUSIVAMENTE AI GENITORI
Giuseppe Ingaglio
25 giugno 2021

https://www.facebook.com/adriano.mastro ... 2326342607

"La nostra legge non si applica alle persone con più di 18 anni. Questa legge è una legge per proteggere i nostri figli. Chiunque abbia più di 18 anni non è coperto da questa legge. Vivano come vogliono. Gli adulti quale orientamento, stile di vita e percezione abbiano dipende da loro. Ma quelli che non sono adulti, cioè bambini e adolescenti devono essere protetti. E questa legge riguarda il modo in cui li proteggiamo. E se i membri della comunità gay continuano a leggere questa legge, vedranno anche che il punto di partenza della nostra legge è che l'educazione sessuale dei bambini appartiene esclusivamente ai genitori. L'educazione sessuale dei bambini non può essere presa in carico da nessuna istituzione. I bambini appartengono ai genitori. Non alla scuola, non allo stato. Padre e madre decidono sulla loro educazione. I diritti dei genitori devono essere garantiti e i minori devono essere protetti dall'accesso a contenuti contrari all'idea educativa secondo cui i genitori li stanno crescendo. Una delle questioni importanti è chi decide in merito all'educazione dei bambini nell'Unione europea, e l'Ungheria insiste sulla posizione secondo cui l'educazione dei nostri figli dovrebbe essere decisa dai genitori" (Dichiarazione di Viktor Orbán su Kossuth Radio).
Nella foto Viktor Orbán con la moglie Anikó Lévai (si sono sposati nel settembre 1986) e i loro cinque figli: Rachel, Gaspar, Sarah, Rose e Flora, nati dal 1989 al 2004.



PM Orbán: la nuova legge ungherese protegge bambini e genitori
25 giugno 2021

https://www.islamnograzie.com/pm-orban- ... -genitori/

Lo Stato deve creare le condizioni per la protezione, in modo che i genitori possano fare il loro lavoro

Il nuovo regolamento ungherese riguarda il modo in cui il bambino conosce la questione altrimenti difficile e complicata della sessualità, e la legge aiuta il genitore a prendere tale decisione per la propria famiglia. Ecco perché si tratta di una legge sulla protezione dei minori e dei genitori, ha sottolineato giovedì a Bruxelles il primo ministro Viktor Orbán, in vista di una riunione di due giorni dei leader dell’UE.

Orbán al suo arrivo al vertice ha incontrato i suoi omologhi di Visegrád Four, il primo ministro slovacco Eduard Henger, il primo ministro ceco Andrej Babis e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki.

Rispondendo a una domanda dei giornalisti, Orbán ha dichiarato: “È un onore per l’Ungheria se un primo ministro o un presidente del Consiglio europeo è interessato a una legge ungherese”.

“Mi piacerebbe dire loro che non si tratta di alcuna legge che si applichi all’omosessualità. Questa legge non riguarda questo, questa legge riguarda l’educazione dei bambini, l’educazione di qualsiasi contenuto sessuale”, ha detto, aggiungendo che “è sempre meglio leggere qualcosa prima e solo allora reagire ad esso; questo è l’ordine giusto.

La nuova legge ungherese, che ha promulgato una varietà di leggi anti-abuso e antidofilia, ha anche vietato i contenuti LGBT o i contenuti che promuovono i bambini che cambiano sesso dall’essere mostrati ai bambini sotto i 18 anni. La legge è stata criticata da diversi paesi dell’UE. Il Primo Ministro ungherese ha sottolineato che il regolamento consente ai genitori di decidere come il bambino debba conoscere la questione della sessualità.

“E spetta allo Stato creare le condizioni affinché i genitori esercitino effettivamente questi diritti. Questa è una legge sulla protezione dei minori e dei genitori”, ha detto Orbán.

“Sono un attivista per i diritti. Ero un combattente per la libertà durante il comunismo quando l’omosessualità era punibile. Ho lottato per la libertà e i diritti, il che significa che ho combattuto anche per i diritti degli omosessuali”, ha detto Orbán. “Questa legge non riguarda loro, questa legge riguarda i diritti dei bambini e dei genitori.”

Immagine del titolo: il primo ministro ungherese Voktor Orbán (L), il primo ministro slovacco Eduard Henger (di schiena), il primo ministro ceco Andrej Babis e il primo ministro polacco Mateusz Morawieczki si coordinano in vista del vertice ue tenutosi a Bruxelles il 24 giugno. (Ufficio stampa del Primo Ministro)

Alberto Pento
La demenzialità detta dalla Ursula von der Leyen : “nell’Unione europea sei libero di essere chi vuoi essere e di amare chi vuoi”.
Non si è liberi di essere quello che non si è, poiché a decidere la nostra configurazione genetica e sessuale non siamo noi ma sono i nostri genitori e la genetica della specie umana. Se nasciamo femmine non siamo liberi di trasformarci in maschi innanzi tutto perché è impossibile e assurdo per quanti ormoni possiamo inocularci e assumere e per quante mutilazioni ed operazioni chirurgiche possiamo fare.
Allo stesso modo non siamo liberi di fare sesso (amare) con chi vogliamo, per esempio non siamo liberi di farlo con i bambini, con i disabili, con gli anziani interdetti, con i figli e con i genitori, non siamo liberi di stuprare e di ridurre in schiavitù sessuale chichessia, non siamo liberi di praticare la sessualità con gli animali ridotti in schiavitù, come non siamo liberi di praticare sesso e di infettare il prossimo se ammalati di hiv, di epatite, di ebola, di covid e di ogni altra malattia virale o batterica contagiosa , ...
Se nasciamo maschi e poi ci sentiamo femmine non possiamo considerare la nostra conformazione sessuale avuta alla nascita come una malattia e pretendere che il servizio pubblico impieghi risorse pubbliche per il nostro impossibile e assurdo cambio di genere.
Non siamo nemmeno liberi di propagandare illusioni, inganni, vane speranze, demenzialità politicamente corrette come la teoria del gender presso le persone innocenti e prive di capacità di giudizio come i bambini e i minori.





Il totalitarismo UE contro l’Ungheria e una legge giusta
Luca Volontè
25 giugno 2021

https://lanuovabq.it/it/il-totalitarism ... gge-giusta

Prosegue la falsa narrazione contro la legge approvata dal Parlamento ungherese che combatte la pedofilia e vieta pornografia e contenuti Lgbt per minori di 18 anni. Attacchi gravissimi dei leader dell’UE (da von der Leyen a Michel) e di 17 Paesi membri (Italia inclusa), in violazione dei Trattati. Oggi tocca al Paese di Orban, domani toccherà a chiunque si opponga all’agenda arcobaleno.

Nel giorno in cui il Parlamento Europeo ha approvato l’indegna e illegale Risoluzione Matic sul “diritto umano” all’aborto (378 voti a favore e 255 contrari, 18 gli astenuti) è andata in scena al Consiglio Europeo la condanna, senza alcun fondamento, dell’Ungheria per aver approvato una legge che punisce duramente la pedofilia e vieta l’indottrinamento Lgbt. Sarebbero questi gli eredi del venerabile figlio di Dio e fondatore dell’Ue Robert Schuman?

La grande menzogna ha preso posto nelle istituzioni europee e, ahinoi, in molte capitali dei suoi Paesi membri, tutti in fila per lapidare Orban e prendersi la medaglia del miglior promotore dell’ideologia Lgbt. Una pena. Della legge ungherese abbiamo detto: prevede la lotta alla pedofilia, l’incremento delle pene per gli ‘orchi’, la tutela dell’identità biologica, la protezione dei bambini, il divieto di diffusione e promozione di materiale pornografico tra i minori di 18 anni, un registro delle organizzazioni e dei progetti riconosciuti per la cura ed educazione dei bambini.

La narrativa massmediatica - palesemente falsa e smaccatamente ideologica, come già descritto sulla Bussola - ha dipinto le norme come “omotransfobiche”. Già questo avrebbe dovuto mettere tutti sull’attenti. Gettare discredito su persone e nazioni che combattono apertamente pedofilia e pedopornografia è parte del tentativo delle tante, troppe reti di pedofili che vogliono proseguire indisturbate con i propri abusi e omicidi. Ebbene, Orban (che difende i bambini) sarebbe l’“orco”, mentre la Commissione e il Parlamento europei sarebbero i paladini della giustizia, anche se non hanno proferito parola, né aperto procedure contro i Paesi dove pedofili e pedopornografi da anni fanno incetta di innocenti; le indagini degli ultimi anni mostrano il lassismo consolidato e le complicità autorevoli di Germania, Francia, Olanda.

Facciamo ordine in questo groviglio di menzogne. La legge ungherese è stata approvata il 15 giugno, con due terzi dei voti disponibili e un solo voto contrario, mentre l’opposizione socialista e liberale decideva di non partecipare al voto marchiando la legge come “omotransfobica”. Il 22 giugno alla riunione dei ministri degli Esteri comunitari, su iniziativa del Belgio (governo nel quale siede come vice primo ministro “Petra” De Sutter, primo governante transessuale della storia belga), 13 paesi hanno firmato una dichiarazione comune contro la legge ungherese (Belgio, Germania, Francia, Spagna, Irlanda, Olanda, Svezia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Lussemburgo e Italia). La legge sarebbe stata, secondo i firmatari, “discriminatoria per le persone Lgbti, contraria ai valori e principi europei e la Commissione avrebbe dovuto usare tutti gli strumenti necessari per far rispettare le norme europee, sino alla denuncia alla Corte Europea”.

Il 23 giugno il presidente della Repubblica ungherese, János Áder, ha firmato la legge nonostante la richiesta di non farlo proveniente da Amnesty International, Human Rights Watch e varie organizzazioni Lgbt. Lo stesso giorno, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, dichiarava di considerare la legge ungherese una “vergogna” e una lettera, con l’avvio di una formale procedura di contestazione del commissario della Giustizia, Didier Reynders, e di quello al Mercato interno, Thierry Breton, veniva spedita al ministro della Giustizia ungherese Judit Varga per avere spiegazioni esaurienti entro il 30 giugno. Il premier Orban rispondeva, definendo vergognose le parole della presidente della Commissione, in quanto: “… la legge ungherese recentemente adottata protegge i diritti dei bambini, garantisce i diritti dei genitori e non si applica ai diritti di orientamento sessuale dei maggiori di 18 anni, quindi non contiene elementi discriminatori”.

La falsa narrativa sulla natura e i contenuti della legge è proseguita su tutta la stampa dell’unico regime globale anche ieri, dal Guardian a Deutsche Welle, da El Pais a Le Monde. Ormai la macchina del regime era partita, violando tutte le regole minime di autonomia, riserva legislativa, trattati internazionali europei, autonomia decisionale e legislativa degli Stati. In questa polemica è chiara la pretesa europea, oggi verso Orban e domani verso chiunque altro: l’indottrinamento Lgbt deve essere promosso nelle scuole e sui mass media per tutte le età, per tutti i bambini e non solo dopo i 18 anni.

Ancor più grave, la scelta irrituale del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, di includere nell’agenda dei 27 leader europei il dibattito sulla legge ungherese, in aperta violazione ad ogni regola formale e informale del Consiglio e cedendo alle pressioni di 17 paesi (ai 16 iniziali - vedi lettera in foto - si è aggiunta l’Austria), Italia inclusa, e lobby Lgbt. Nonostante nella lettera di invito alla cena serale del 25 giugno dei capi di Stato e Governo non fosse menzionato l’argomento di discussione ungherese, il presidente Michel ha permesso già nella prima riunione di ieri attacchi contro l’Ungheria e la legge anti-pedofilia. Il Consiglio Europeo doveva decidere su questioni cruciali (immigrazione, rapporti con la Turchia, Russia ed EuroSummit su moneta e mercato), non doveva certo insultare l’Ungheria.

Ciononostante, nelle prime tre ore del vertice si sono ascoltati strali contro Orban; lo stesso invitato speciale alla riunione, Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha preso parte al processo sommario contro l’Ungheria. Il diktat a Orban è chiaro: abolisci la legge o esci dall’Ue. In prima fila gli scandinavi e i Paesi Bassi, oltre a quel Macron che, in casa sua, promuove la barbarica “Legge sulla bioetica”. Questa Ue, violando apertamente ogni Trattato vigente, ogni competenza nazionale e ricattando i Paesi sui fondi del Recovery e Next Generation, vuole imporre all’Ungheria la nuova dottrina Lgbt e spinge per un nuovo governo anti-Orban per le elezioni del 2022. Anche l’Italia sostiene, come visto, le procedure contro Orban. Questo significa che, una volta approvato il Ddl Zan, si imporrà l’indottrinamento Lgbt a tutti i bambini italiani, di qualunque età e con qualunque mezzo.



LA VESTALE UE E LA DIFESA DEI DIRITTI
Niram Ferretti
10 luglio 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Da David Sassoli apprendiamo alcune cose fondamentali su come funzioni il progresso incarnato dalla UE.
Sassoli, in una intervista a Il Corriere della Sera, così risponde alla seguente domanda.
Eppure, nell’Europa di oggi molti chiedono la difesa della propria identità contro l’omologazione del «SuperStato bruxellese».
«Un conto è il rispetto delle differenze nazionali, culturali, che sono un arricchimento per l’Europa e che ben si riassumono nel nostro motto “uniti nella diversità”. Su questo noto una riflessione in corso anche in gruppi che un tempo volevano dividerci e ora invece chiedono un’Europa più governativa e meno federalista. Discutiamone. Altra cosa è se autorità locali, invece, dichiarano il loro territorio come “Lgbt free zone”. Quando sento parlare di zone “libere da qualcuno” mi vengono in mente i nazisti, che nel 1942 dichiararono Belgrado prima città “Judenfrei”. In Europa i diritti di ogni persona sono diritti di tutti. Da noi non possono esservi discriminazioni su base politica, religiosa, etnica o di orientamento sessuale. Punto. Bene che la Commissione abbia dall’inizio dell’anno aperto circa 40 casi di infrazione legati alla protezione dello Stato di diritto. Il Parlamento farà la sua parte».
Il riferimento, ovviamente è Orban e la recente legge promulgata dal Parlamento ungherse. Dunque, secondo il presidente del Parlamento europeo, il premier ungherese sarebbe paragonabile ai nazisti, Budapest sta a Belgrado. Là, nel 1942, il Terzo Reich prese le sue misure per togliere di mezzo gli ebrei, oggi, nel 2021, Orban ne prende di analoghe per una sanificazione legislativa contro quelli che una volta venivano chiamati i "diversi".
La legge ungherese a tutela dei minori contro l'indottrinamento LGBT è per l'Unione europea una legge discriminatoria e, per il presidente del Parlamento europeo, addirittura "nazista".
A questo scopo bisogna dichiarare il falso: «La legge ungherese equipara omosessualità e orientamenti sessuali alla pornografia e usa la protezione dei bambini come pretesto per discriminare le persone sulla base del loro orientamento sessuale. Tutto questo è contrario ai nostri principi sul rispetto delle minoranze, dell’uguaglianza e della dignità umana. Siamo determinati nel difendere con forza l’articolo 2 del nostro trattato».
L'affermazione che la legge voluta dal parlamento europeo usi la protezione dei bambini come "pretesto" per la discriminazione degli omosessuali è del tutto apodittica, così come è falso che l'omosessualità e altri orientamenti sessuali ("altri" quali?) vengano equiparati alla pornografia. Equiparazione che anche solo sotto il profilo della pura logica è del tutto priva di senso, perché esiste la pornografia omosessuale come quella eterosessuale, quella omosessuale non ha l'esclusiva.
Sassoli o mente sapendo di mentire o non sa di cosa parla. Ecco cosa dice la legge incriminata:
“È vietato mettere a disposizione dei minori un contenuto che presenta qualsiasi rappresentazione della sessualità fine a se stessa, qualsiasi deviazione dall'identità corrispondente al proprio sesso assegnato alla nascita, cambio di sesso o promozione dell’omosessualità”.
In altre parole la legge ha il fine di proteggere i minorenni dalla pornografia in senso generale, come è chiaramente esplicitato dalla frase, "qualsiasi rappresentazione della sessualità fine a se stessa" e poi anche da contenuti specificamente orientati al transessualismo, al transgenderismo e alla "promozione" dell'omosessualità.
"L'eguaglianza" e "i diritti umani", sono il solito e ben noto abracadabra demagogico che viene sempre messo in campo tutte le volte che una minoranza agguerrita vuole imporre la propria agenda. Agenda di cui Sassoli, in virtù del ruolo che ricopre, è, ovviamente zelante vestale.
Ma proseguiamo.
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Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:25 am

Hamilton e Vettel a Budapest con scarpe arcobaleno: "Le leggi Orban anti Lgbt inaccettabili e codarde"
29 luglio 2021

https://www.repubblica.it/sport/formula ... 3-P2-S6-T1

Scarpe arcobaleno contro Orban. La Formula sbarca a Budapest in quell'Ungheria dove è in vigore un disegno di legge che vieta la "promozione dell'omosessualità ai minori" voluto dal partito del primo ministro Viktor Orban. Le norme, considerate dalle associazioni un attentato ai diritti umani, proibiscono di mostrare (in tv e sui giornali) i minorenni a qualsiasi maeriale che contenga riferimenti a cambiamento di genere e omosessualità. E il campione del mondo Lewis Hamilton si presenta conscarpe arcobaleno: definisce la legge "inaccettabile e codarda". E prima del Gran Premio di questo fine settimana a Budapest scrive su Instagram: "Voglio condividere il mio sostegno per le persone colpite dalla legge anti-Lgbt del governo. È inaccettabile, codardo e fuorviante per chi è al potere suggerire una legge del genere. Tutti meritano di avere la libertà di essere se stessi, non importa chi amano o come si identificano".

Il premier sovranista, in cerca di consensi per le elezioni del prossimo anno, chiamerà i cittadini ungheresi a esprimersi con un referendum sulla legge per lanciare la sfida a Bruxelles e contrastare la Commissione che sul provvedimento ha appena avviato una procedura di infrazione per "discriminazione e violazione dei diritti delle persone Lgbt+".


E lo stesso quattro volte campione del mondo tedesco ed ex ferrarista Sebastian Vettel, che ha indossato scarpe da ginnastica adornate con una bandiera arcobaleno durante la conferenza stampa pre-gara, ha sostenuto il punto di vista di Hamilton. "Trovo imbarazzante per un paese dell'Unione Europea votare leggi come questa ", ha detto Vettel ora all'Aston Martin. "Ognuno è libero di fare quello che vuole e questo è il punto. È sulla falsariga del vivi e lascia vivere. Non sta a noi fare la legge ma solo esprimere il sostegno a coloro che ne sono colpiti".


Gino Quarelo
No alla propaganda gender e transgender nelle suole e ai minori, si tratterebbe di un crimine contro l'umanità e chi la sostiene è un criminale e come tale va trattato.
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Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:25 am

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Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:25 am

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Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:26 am

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Messaggioda Berto » ven lug 02, 2021 6:27 am

5)
La demenziale e criminale proposta Zan

https://www.senato.it/service/PDF/PDFSe ... 356433.pdf


Chi è Zan, padre del Pride "vietato agli omofobi" che vuole imporre il suo ddl
Giuseppe De Lorenzo
7 maggio 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 44546.html

È il deputato del momento, il cognome che tutti usano e pochi comprendono. Alessandro Zan, onorevole Pd, paladino dei diritti Lgbt. Prima che il disegno di legge sull’omofobia di cui è firmatario diventasse terreno di scontro politico, non è che fosse davvero noto al grande pubblico di stirpe non veneta. Sul sito dei deputati Pd, in teoria vetrina ufficiale per gli onorevoli eletti sotto le insegne dem, la sua pagina è praticamente bianca. Inoltre non ha un sito ufficiale e di ritratti lui dedicati ne esistono ben pochi.

Chi volesse conoscerlo un po’ deve spulciare su Google per trovare una vecchia pagina del sito del gruppo parlamentare Pd. Nella foto Alessandro è senza barba, quella che ora invece lo identifica insieme al capello tirato all’indietro. Dicono sia un bell’uomo. Tanto che sotto la foto profilo di Facebook, un follower apprezza e scrive: “Comprendo perché è nato il gruppo a sostegno chiamato ‘Le bimbe di Zan’”. Si tratta probabilmente di una boutade (non ce n'è traccia), anche perché sarebbe un controsenso: Alessandro è omosessuale dichiarato, anzi fiero. Nel 2016 un suo intervento alla Camera fece spellare le mani ai colleghi di partito quando raccontò di come i genitori abbiano accettato e sostenuto il suo outing senza problemi.

Nato a Padova, classe 1973, la militanza politica inizia sin dalle superiori. Prima si avvicina ai movimenti per la pace, poi sposa la bandiera arcobaleno per le battaglie Lgbt. Organizza manifestazioni per i diritti civili, va in piazza, si fa sentire. Ma soprattutto nei primi anni Duemila s’inventail “Kiss2Pacs”, una sorta di gaia slinguazzata collettiva in piazza, e i cosiddetti “pacs alla padovana”, il primo registro anagrafico per le coppie di fatto aperto ai gay. Negli anni è stato presidente dell’Arcigay Veneto e ancora oggi risulta tra i soci benemeriti del circolo Tralaltro Arcigay di Padova. Inoltre non nasconde di essere tra i fondatori dell’enorme Padova Pride Village, il tempio della cultura e del divertimento Lgbt+, una manifestazione estiva vietata agli omofobi (ma ce l’hanno scritto in faccia?) che dura da giugno a settembre e che - dicono i politici locali - “ha surclassato tutte le altre manifestazioni gay”. Zan non è solo ancora oggi un fervido sostenitore del “più grande evento Lgbt+ d’Italia”, ma risulta essere anche azionista di maggioranza al 52% della Be Proud srl, cioè la società che si occupa di organizzarne i dibattiti. Lui all’Espresso ha assicurato di non aver “alcun ritorno economico” né compensi per il ruolo di amministratore unico di una società “che non fa alcun tipo di utile”. Ma certo essere a capo di un evento da 200mila visitatori all’anno non è roba da poco, anche in termini di ritorno elettorale.

Eletto per la prima volta consigliere comunale nel 2004 nelle liste dei Ds, a Padova è stato anche assessore al lavoro, all’ambiente e alla cooperazione internazionale in quota Sel, il partito di quel Nichi Vendola che 1996 provò a far passare una legge simile all'attuale ddl. Di quegli anni, dal 2009 al 2013, Zan ricorda lo sforzo fatto per installare pannelli fotovoltaici in città (ammazza) e per aver incrementato il flusso di racconta differenziata (arrabbiete). La prima volta alla Camera risale al 2013, dove entra subito dopo essersi dimesso dall’assessorato. Eletto nella lista di Sel, uscirà poco dopo dal partito per finire nel gruppo Misto e appoggiare la salita a Palazzo Chigi di Matteo Renzi. I suoi avversari lo definiscono un “renziano che, appena l’ex premier è andato in vacca, ha smesso di essere renziano”. Nel novembre del 2014 confluisce nel Pd, dove ancora oggi risiede senza più travasi partitici. Pochi mesi prima, secondo quanto racconta una fonte padovana, “aveva partecipato alle primarie di coalizione di sinistra per la scelta del sindaco, d’accordo con l’uomo scelto dal Pd, Ivo Rossi, al solo scopo di portare via voti al vero avversario di Rossi, tale Roberto Fiore, esponente dell’area riferibile a coalizione civica”. Questo suo “gesto di lealtà verso il Pd”, sostengono i detrattori, “è stato ovviamente premiato” con l’accoglienza nel partito e “con la successiva ricandidatura in Parlamento”. Solo malelingue?

La collega Alessia Rotta lo definisce un “grande lavoratore”, “attento”, “empatico”, “garbato” e “generoso”. Uno che in Parlamento si è “sempre occupato del tema dei diritti omosessuali” e che ora col ddl Zan “mantiene un cammino coerente”. Parole smielate, e ci saremmo sorpresi del contrario. Anche perché oggi dalle fila piddine Zan muove la sua battaglia politica contro la Lega per approvare il “suo” disegno di legge e tutti i colleghi gli danno corda. E poco importa se sull’argomento la maggioranza è spaccata, quasi a rischio tracollo; poco importa se la Cei e i cattolici chiedano di rivedere il testo, spaventati dal rischio che possa essere il cavallo di Troia del gender e dell’utero in affitto nelle scuole; poco importa se anche giuristi, politologi, femministe e arcilesbiche siano contrari all’introduzione per legge del concetto di “identità di genere”. Lui è “molto determinato” e “convinto delle proprie ragioni”. E infatti l’idea di mettere mano al suo testo non lo entusiasma: “La politica decida, o approvare questo testo oppure presentare migliaia di emendamenti per affossarla”, dice perentoreo. Il compromesso ci sarà? Difficile immaginarlo, viste le ultime dichiarazioni. Nei giorni scorsi, per dire, Zan ha affermato che in Italia “i gay dalla destra sono ancora visti come persone diverse, da curare”, quando esistono esponenti omosessuali (e pure elettori) che militano in Lega e FdI. Non proprio il miglior modo per trovare una mediazione.




L'art. 4 è assai ambiguo e pericoloso, si presta a libere interpretazioni estremamente soggettive da parte di pm e di giudici che possono arrestarti e condannarti.


Il ddl Zan smontato pezzo per pezzo da una prospettiva libertaria: ecco perché sarebbe una legge pericolosa
Andrea Venanzoni
4 Mag 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... ericolosa/

La polarizzazione del dibattito sul ddl Zan sembra aver eradicato qualunque ipotesi di analisi seria, e tecnica, sul testo: è scomparsa – sommersa da accuse di omofobia, da un lato, e di distruzione della famiglia, dall’altro, di razzismo e odio elevato a sistema versus limitazione della libertà di espressione – la possibilità di riflettere sine ira et studio sugli eventuali problemi che quel testo di legge potrebbe ingenerare laddove approvato.

Si sono costituiti due fronti, contrapposti, irriducibili alla discussione tra loro.

E se un dibattito viene ridotto ai minimi, e farseschi, termini di un kitsch mediatico di starlette che si pittano il palmo delle mani, in una consistenza mantrica da stakanovismo post-sovietico virato alle cause di cui nulla si sa e di cui nulla si è letto, e dall’altro lato la difesa della libertà di espressione, quella vera, quella autentica, profonda, sostanziale, viene sub-appaltata all’oltranzismo cattolico, cessa di essere dibattito, e diventa solo teatrino, scaramuccia rusticana al coltello per accontentare le rispettive claque.

Il ddl Zan, diciamolo subito, è un testo di legge pericoloso. Sì, pericoloso: ha una impostazione generale regressiva e panpenalistica, culturalmente orientata a rispondere a un problema, reale o potenziale che davvero sia, mediante la criminalizzazione generalizzata.

Arriviamo da decenni di retorica sulla necessità di fuggire dalla pena, di de-criminalizzare la società, di superare la sfera punitiva, e poi quello stesso mondo “culturale” che si atteggia a progressista sforna provvedimenti meramente segnaletici, simbolici, sloganistici, più tesi, si direbbe, ad una captatio benevolentiae nei confronti di un certo mondo elettorale piuttosto che mirante al contrasto reale di un fenomeno grave ma dai contorni, in chiave di definizione giuridica, liminali e confusi.

È noto come l’attuale disegno di legge origini dall’intreccio e dall’incrocio di cinque precedenti testi, ciascuno dei quali con differenti sensibilità concettuali sottese e con una serie di presupposti non del tutto omogenei gli uni con gli altri, finendo per integrare una mera, incoerente, sommatoria tra i vari, piuttosto che una razionale sintesi. Un testo unico complessivo, ma frammentario e oleografico del contrasto alla violenza di genere.

E d’altronde, già leggendo la serie di definizioni contenute in apertura del ddl appaiono concetti che esulano del tutto dall’orizzonte del diritto innervandosi invece nelle prospettive della psicologia, della antropologia, della sessuologia, concetti accademici su cui ferve dibattito e scarseggia univocità definitoria.

Primo grave problema, visto che il ddl Zan prevede sanzioni di natura penale e il diritto penale è governato da una serie di principii garantistici tra cui figura la determinatezza della fattispecie e della norma incriminatrice: in questa prospettiva la evanescenza delle definizioni, dei beni giuridici sottesi e protetti è maglia larga che finisce per irradiare la sfera di punizione al di là della mera attitudine criminale materiale, l’atto di violenza, per involgere, al contrario, anche espressioni concettuali ed opinioni vertenti su aspetti non univoci.

Cosa è mai, infatti, l’identità di genere se non un concetto su cui ferve un acceso dibattito in sede accademica? Davvero si può trasformare in presupposto concettuale di una sanzione penale un elemento su cui manca sostanziale concordia e univocità tra gli esperti e gli studiosi e su cui la Corte costituzionale, pur richiamata da Zan, non ha preso posizione strutturata?

Si tratta di una potenziale deriva molto grave perché si rimetterebbe poi la specificazione concreta all’aula del tribunale, trasformando il giudice in una sorta di demiurgo capace di infliggerci una pena, grave, sulla base di idee personali prive di una rispondenza organicamente e coerentemente giuridica.

D’altronde, leggendo in maniera spassionata e priva di pregiudizi la lettera d) dell’articolo 1 si sperimenta un fremito di paura nell’apprendere che una persona potrebbe essere chiamata a rispondere di un reato in riferimento a “percezione” e “manifestazione di sé” della “vittima”: discriminare non in senso fattuale e sulla base di presupposti acclarabili, anche in termini di evidenze probatorie, bensì sulla base di elementi da foro interiore, psichici, soggettivi, inconoscibili dal lato del presunto “aggressore”.

Che cosa potrà mai significare in termini di punizione penale e di integrazione della fattispecie di reato discriminare sulla base della percezione che l’altro ha di sé stesso in riferimento al genere?

Se un uomo, in maniera apparentemente convincente, dichiara di identificarsi con una donna, senza alcuna apparenza biologica o transizione e io nego questo aspetto, magari perché gestisco una palestra solo femminile e non posso farlo accedere, potrei finire sotto la scure della inquisizione penale perché, magari, la persona per altri motivi suoi depressivi finisce per uccidersi? Sarei io l’istigatore di quel suicidio?

Oppure, senza dover arrivare a questa tragedia, se dovesse lamentare semplici disturbi dettati dalla mia “negazione” del suo percepirsi una donna, essendo ai miei occhi un maschio biologico e non potendo sapere io in maniera reale se lui davvero si percepisce come una donna, ne potrei comunque dover rispondere?

O ancora, per quanto paradossale possa apparire, sostenere il fondamento naturale della famiglia, come in fondo stabilisce anche l’articolo 29 della Costituzione, potrebbe arrivare ad integrare, nella confusione redazionale della norma incriminatrice, presupposto per farmi finire a doverne rispondere davanti gli inquirenti?

La Relazione che accompagna il ddl e che dovrebbe, condizionale davvero d’obbligo, spiegare la matrice e le scelte anche semantiche e concettuali adottate nella formulazione lessicale del testo non solo non aiuta a dipanare le nebbie ermeneutiche ma addirittura le aumenta e le complica: alla lettura infatti sembra di trovarsi al cospetto di uno di quei saggi post-strutturalisti da università californiana dentro cui si pasturano critical legal theories e costrutti che non sarebbero dispiaciuti a Deleuze e Derrida, e mi viene da chiedere come potrebbe tradursi in prassi giuridica e sanzionatoria, rispettosa dell’ordito costituzionale e della libertà, un concetto come “dimensione multipla o intersezionale della discriminazione”.

In fondo, l’articolo 4 del ddl, sotto l’apparente e suadente tutela del pluralismo delle opinioni spara ad alzo zero contro le opinioni sgradite, mediante una clausola introdotta dal “purché” a mente della quale viene punita l’espressione di frasi, concetti, scritti che potrebbero istigare o portare empiricamente ad atti discriminatori.

Siamo nel campo indefinito, ombroso, evanescente delle fattispecie istigatorie, concettuali: e come si sa, è un terreno molto sdrucciolevole visto che la tenuta processuale e penale del discrimine che separa libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente tutelata, da effettiva istigazione o discriminazione è più che labile.

L’odio stesso è una emozione, un sentimento, la sua giuridificazione un abominio. Noi possiamo punire la estrinsecazione materiale dell’odio quando esso si manifesta nella violenza concreta, empirica, misurabile e valutabile per tale, non se rimane una espressione concettuale e filosofica controversa. Diceva Karl Kraus che l’odio deve rendere produttivi, altrimenti è meglio amare: forse oggi rischierebbe pure lui l’incriminazione.

In questo senso, sembra riecheggiare un triste passato in cui romanzi, poesie, canzoni venivano portati in giudizio in quanto ritenuti ispiratori di fatti delittuosi.

Gli anni grigi e preoccupanti di Tipper Gore, della PMRC, degli adesivi ‘explicit lyrics’ appuntati sulle copertine degli album musicali, il processo contro gli AC/DC ritenuti, con la loro canzone Night Prowler, istigatori dei terribili delitti del serial killer The Night Stalker, al secolo Richard Ramirez. Un pernicioso puritanesimo di Stato pronto a far soccombere sotto il suo maglio qualunque, per quanto spigolosa, complessità.

Gran parte di quelli che oggi garruli, giulivi e festanti si dipingono ‘ddl Zan’ sulla mano, possono avere in cantina e nel repertorio qualche canzone o qualche scritto che potrebbe fungere da detonatore istigatorio di atti di violenza o di discriminazione. La fattispecie penale non è retroattiva, certo, ma loro quelle canzoni continueranno a proporle nei concerti, e comunque, è accaduto negli Stati Uniti, anche il mero album, il mero romanzo, pur riferiti al passato, potrebbero essere ritenuti istigatori e propulsivi dell’atto delittuoso nel contingente.

Immaginiamo una violenta aggressione e che l’arrestato dichiari in maniera reiterata di essere stato ispirato da una certa canzone, è possibile che l’artista si vedrebbe entrare nel cuore del processo per approfondimenti sul nesso di effettiva sussistenza della condotta istigatoria.

Intere discografie hip hop, hardcore e metal finirebbero al macero, può ben immaginarsi. Ma anche romanzi e saggi. Molti scritti proprio da omosessuali.

Certe scene di “Querelle de Brest”, di Fassbinder, o di “Tenderness of the Wolves”, di Lommel, potrebbero essere ritenute ispiratrici di delitti o di feroci discriminazioni, per non parlare poi di certi passaggi delle opere di un Jean Genet o di William Burroughs, questo ultimo addirittura ‘reo’ di aver scritto un romanzo “Queer” che rappresenta, con gli occhialini del politicamente corretto psicotico dell’oggi, una sorta di summa discriminatoria per il linguaggio scelto, essendo invece chiaramente e ovviamente l’esatto contrario di quanto verrebbe considerato oggi.

Fassbinder, Genet, Lommel e Burroughs per loro fortuna sono morti prima di assistere a questo surreale scempio, ma immaginiamo un autore vivente che potrebbe essere chiamato a rispondere penalmente di qualche sua pagina particolarmente controversa e indigesta per le vestali del politicamente corretto, a seguito della commissione di un fatto violento ‘omofobo’ ispirato a parole proprio da quelle pagine.

La patina dolciastra e semplificatrice del mondo immaginato da questo disegno di legge finirebbe per problematizzare e far finire sotto il metaforico tappeto gente come Cèline, Bukowski, Bunker, il Friedkin di “Cruising”, eradicando la bellezza cruenta dell’arte, la quale per essere davvero arte deve far male e far pensare, non essere accomodante.

Che vi piaccia ammetterlo o no, c’è arte eruttata dal ventre squarciato della storia proprio grazie all’odio, alla ferocia, al voler mancare di qualunque prospettiva compromissoria.

Al contrario, il grigio spirito di normalizzazione porterebbe molti ad auto-censurarsi per non incorrere in problemi di ordine legale, perché non si sa mai, ‘quel verso’ potrebbe aver ispirato l’aggressione omofoba commessa da un tale che non abbiamo mai visto né incontrato.

Vero è che il ddl Zan riproduce tutti gli schemi fallaci e altamente problematici che hanno ispirato altre norme sloganistiche, come ad esempio il pessimo ddl Gambaro in tema di contrasto alle fake news: alla fin della fiera, con quel disegno di legge si sarebbe istituita una autentica verità di Stato, come non si mancò di rilevare assai criticamente in dottrina, punendo qualunque forma espressiva dissonante rispetto ad una narrazione istituzionale approvata, come avviene nelle dittature, dal potere pubblico.

Insegnava Marc Bloch, il celebre storico francese fucilato dai nazisti e che alla propaganda di guerra e alle false notizie ha dedicato un bellissimo libro, “La Guerra e le false notizie”, come la vera resistenza al falso, anche crudele, sia la conoscenza, il dibattito vero e informato. Perché se concediamo allo Stato la comoda giustificazione del proteggerci, sarà poi assai plausibile ritenere che lo Stato stesso inizierà a imporre una sorta di racket delle idee, tollerandone alcune per mera convenienza (magari elettorale o di consolidamento del proprio status) e mettendone al bando altre.

In questo senso, ‘magistrale’, in negativo, la connessione che il ddl Zan opera con la legge Mancino, la legge recante la normativa contro l’istigazione all’odio razziale e già sottoposta anche questa a forte vaglio critico all’epoca per motivazioni similari a quelle espresse sino ad ora: lo schema concettuale è assai simile, si assommano e si fondono tra loro tutti gli elementi inaccettabili, e indifendibili, quali omofobia, neonazismo, odio razziale, per lasciar intendere che quelle norme non colpirebbero la libertà ma soltanto chi la libertà minaccia.

Criticate la legge Mancino e vi troverete additati quali nostalgici del Terzo Reich, nella stessa misura, è questo il giochino, analizzate in maniera critica e puntuale il ddl Zan e verrete descritti come feroci omofobi.

D’altronde, non sentiamo già ripetere “non vengono punite le opinioni ma solo l’omofobia”, o peggio ancora “solo gli omofobi devono averne timore”, uno stanco mantra privo però di sostanza e verità per tutte le motivazioni che abbiamo visto sopra?

Ma possibile, dico io, che a nessuno sia venuto in mente che il problema non è di politica criminale, bensì di politica culturale? Atteggiamenti retrivi e ignoranza non possono avere come sbocco fisiologico la galera. Bruciamo ogni scuola, ogni accademia, allora, perché ogni problema potrà essere affrontato (risolto non credo) dalle manette, da un processo e da qualche anno passato a rieducarsi dietro le sbarre.

Avete davvero innalzato metaforiche barricate per espungere dal nostro ordinamento l’osceno reato di plagio, in forza del quale venne condannato il filosofo Aldo Braibanti sulla base di asserzioni lombrosiane che colpivano appunto il pensiero, i comportamenti, le scelte e non i fatti, per poi riprodurne integralmente lo schema, solo rovesciato nel segno?

La mancanza di rispetto e di tolleranza, le idee ritenute a torto o a ragione ‘oscene’, non si combattono con la polizia e con la magistratura, ma col dibattito, civilizzando la stessa politica che da un lato predica continenza espressiva, rispetto, tolleranza e poi dall’altro si accapiglia in guerriglia verbale da lotta nel fango: date il buon esempio, invece di sbatterci in un inferno di repressione.

E datelo anche voi sostenitori del ddl Zan il buon esempio, incapaci di accettare che qualcuno la possa pensare in maniera diversa da voi, senza per questo dover essere dipinto come un disgustoso intollerante, e coperto di insulti, minacce, ingiurie in ogni profilo di social network.

Chi oggi usa violenza, la vera, reale, crudele violenza, lo sapete benissimo anche voi, è già punito dal nostro ordinamento. Quella che voi chiedete è una battaglia di cultura, educazione e di rispetto che però non si può portare avanti con il bastone della legge e il gelo di un carcere.

Dato che vi piace tanto parlare di ‘modelli tossici’, ecco, prendiamo la tossicodipendenza: il carcere ha migliorato davvero la situazione?

Non mi sembra. Proibizionismo, repressione, anzi, hanno notevolmente aggravato la situazione, ed è paradossale che le medesime forze politiche che a parole si sono proposte di superare la criminalizzazione della anomia sociale e di riportarla nell’alveo di una società inclusiva, adesso vogliano replicare quel modello repressivo, profondamente, intimamente sbagliato, contro chi viene frettolosamente rubricato come “omofobo”.

E questo, chiaramente, vale anche, a contrario, per chi oggi difende la libertà di parola assoluta e poi magari invoca la galera per il tossicodipendente o per chi detiene ridicole quantità di cannabis. Dimostrate coerenza, se vi riesce. Tutti.

Si dirà: esagerazioni. Se uno esprime una mera opinione, non andrà incontro a nulla e il ddl Zan mira a punire solo la vera, reale violenza. No, è una posizione sbagliata, superficiale o peggio puramente strumentale. Perché una volta approvato, divenuto legge, modificato il codice penale, una denuncia darà avvio ad un procedimento penale avente ad oggetto la vostra opinione, la vostra frase, il vostro saggio o romanzo, e il nesso diretto che potrebbe aver innescato un effettivo atto violento omofobo magari commesso da un altro soggetto, questo sì davvero violento.

E chiunque abbia una minima familiarità con le indagini penali sa benissimo che esse stesse sono una pena, una condanna prima ancora del rinvio a giudizio.

Sottoposti a gogna mediatica, a stress emotivo, a spese economiche, potrete anche finire archiviati ma intanto sarete passati per mesi nel tritacarne: e poi, un giudice per le indagini preliminari potrebbe ritenere che la genericità di quei concetti espressi nella legge meriti approfondimento dibattimentale, laddove magari possa darsi un confronto tra tecnici, esperti, accademici per capire se l’identità di genere, una volta definita in chiave processuale, sia stata violata davvero dalla vostra opinione, e in che modo.

È il trionfo della stabilizzazione dell’emergenza: si legifera sulla spinta incalzante della emotività, senza davvero ragionare in termini penalistici e gius-filosofici, senza valutare concretamente l’impatto che una data norma finirà per produrre nel cuore della nostra società.

Ogni singola legge approvata in questo Paese nel nome di una emergenza vera o presunta ha ingenerato esiziali fenomeni libertidici, asimmetrie e distorsioni di vario ordine e grado che ci hanno portato, passo dopo passo, a rinunciare a frammenti sempre più consistenti della nostra libertà. Una deriva inaccettabile e che nessuno dovrebbe passivamente subire, perché come ha scritto Baudelaire “è degno della libertà soltanto chi sa conquistarla”.


TOTALITARISMO LGBT
Si vorrebbe fare credere che il movimento LGBT, la chiesa omosessualista militante (e un tantino antisionista, laddove Israele è notoriamente l'unico paese mediorientale dove chi è gay non rischia di essere ucciso), parli a nome di tutti gli omosessuali. Ma non è così. E Alessandro Zan, parlamentare PD, promotore del DDL che porta il suo nome, e militante LGBT, non promuove una legge che, come si vorrebbe fare credere, semplicemente tutela gli omosessuali insieme ad altre minoranze, ma promuove una ben precisa visione ideologica.
Tempo fa, due noti gay, gli stilisti Dolce e Gabbana, finirono in un vero e proprio shitstorm, poichè avevano osato criticare il matrimonio omosessuale e si erano detti contrari ai figli surrogati forniti a coppie gay. Oggi, Platinette, osa criticare il DDL Zan.
Eretico? Certamente per il movimento LGBT, ma in realtà, testa pensante, autonoma, capace di una motivata elaborazione critica.
In una intervista a "Famiglia Cristiana" (apriti cielo!) afferma:
"Per le aggressioni esiste già il codice penale mentre se vogliamo considerare offensivo e persino reato l'utilizzo di un linguaggio anche dissacratorio o imporre come diktat ad esempio la dicitura 'genitore 1' o 'genitore 2', ecco tutto questo mi fa paura. Sono leggi liberticide, da Germania dell'Est...Io non sono la comunità Lgbt ma una persona che tenta di ragionare con la propria testa. La comunità rischia di diventare una specie di prigionia. Se uno ha un'inclinazione omosessuale deve appartenere per forza a un gruppo? Io ho partecipato con la mia band musicale composta tutta da donne a diversi gay pride ma ho sempre sentito una forma di chiusura da quel mondo come se gli omosessuali dovessero essere tutti di una parte politica rispetto a un'altra o comunque con un'etichetta precisa addosso".
Ma è così che li si vuole. E' lo schiacciasassi del pensiero Unico, del conformismo unidirezionale. Oggi tutto è brand, merce.
Il brand LGBT pretende l'esclusiva e sulla base di questa esclusiva desidera imporre la propria Weltanschauung. Per chi si oppone, specialmente se è gay come Platinette, sono già pronti gli autodafè.


Già all'articolo uno abbiamo la demenza assoluta:
Art. 1.(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge:
a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico;
b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso;
c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;
a ) per sesso si intende il sesso identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.
https://www.senato.it/service/PDF/PDFSe ... 356433.pdf


Art. 4.(Pluralismo delle idee e libertà delle scelte)1.
Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.
https://www.senato.it/service/PDF/PDFSe ... 356433.pdf

??? purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti. ???
In altre parole per es. : se un figlio o una figlia minori e gay o non minori e conviventi, volessero portarsi a casa un moroso o una morosa gay i genitori che si opponessero potrebbero essere denunciati, perseguiti e arrestati per discriminazione omofoba.
Caso possibile quando in famiglia vi sono più figlioli magari piccoli che potrebbero essere influenzati in senso omosessuale.


L'art. 7 poi:

Articolo 7

L'articolo 7 del Ddl Zan, se approvata la legge, prevede che il 17 maggio diverrà la giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, e sarà dedicata a promuovere, anche nelle scuole di ogni ordine e grado, il rispetto e l'inclusione e contrastare pregiudizi e discriminazioni. Prevede sia un’occasione di commemorazione, informazione e riflessione in cui le scuole e le amministrazioni pubbliche organizzino iniziative di sensibilizzazione contro i pregiudizi omotransfobici, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Poiché esistono molte scuole paritarie cattoliche si tratta – come si illustra più sotto - di uno dei punti di preoccupazione espressi dal Vaticano circa le libertà che lo Stato italiano garantisce alla Chiesa attraverso il Concordato.

https://www.gqitalia.it/news/article/dd ... o-vaticano



Invito tutti e, soprattutto, gli autori e i sostenitori del DDL Zan a riflettere oltre che sul 7
Claudio Martelli

https://www.facebook.com/groups/8991042 ... 5231964137

Invito tutti e, soprattutto, gli autori e i sostenitori del DDL Zan a riflettere oltre che sul 7, come ho fatto ieri, anche sull’articolo 4 che in conclusione così recita: ”… ai fini della presente legge sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
Ebbene, queste frasi sono auto contraddittorie: opinioni e condotte non possono essere contemporaneamente “legittime” e però “idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Questa contraddizione logica consegnerebbe ai giudici un’abnorme discrezionalità, quella di sentenziare in base a una norma che fa a pugni con se stessa.
Non solo, così come è scritta la norma apre la strada a perseguire non solo il compimento di atti discriminatori o violenti, ma anche “il concreto pericolo” dunque l’eventualità che essi possano determinarsi a causa di opinioni peraltro considerate legittime.
In conclusione se l’art. 7 va cassato, il 4 va riscritto alla luce della Costituzione e delle leggi che escludono i reati di opinione, ma ben contemplano (art 414 cp) l’istigazione a delinquere e l’apologia di delitti.




L'art. 8 poi:

Articolo 8
L'articolo 8 stabilisce che ai compiti dell’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, si aggiungano quelli relativi alla «prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere» e che questo deve essere fatto «compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».



Legge Zan: colpire l’intenzione per criminalizzare il dissenso
Giu 17, 2021

https://www.centrostudilivatino.it/legg ... -dissenso/


Domenico Airoma

Audizione al Senato di Domenico Airoma

Il 15 giugno 2021 Domenico Airoma, Procuratore della Repubblica di Avelino e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, ha svolto davanti alla Commissione Giustizia del Senato un’audizione sui “Disegni di legge n. 2005 e n. 2205, contrasto della discriminazione o violenza per sesso, genere o disabilità”, il c.d. d.d.l. Zan sull’omofobia. A seguire il testo della relazione, trasmessa agli atti della Commissione, centrata sui profili penalistici della nuova disciplina.

Onorevole Presidente,
Onorevoli Senatori,
vi ringrazio per l’invito.

Desidero sottoporre alla vostra attenzione alcune brevi riflessioni su un aspetto, in particolare, del disegno di legge recante il nr. 2005, già oggetto, per la verità, di condivisibili rilievi critici da parte di insigni esponenti della scienza penalistica: mi riferisco alla disposizione incriminatrice che andrebbe ad integrare l’art. 604 bis del codice penale.

L’indeterminatezza del precetto penale non è mera questione accademica, da puristi del diritto. Chi vi parla è un pratico del diritto, un tecnico che è chiamato ad interpretare la norma, a farla vivere nella concretezza delle relazioni personali. La mia, dunque, è la preoccupazione di chi cerca di capire quali saranno i possibili scenari applicativi, mostrando al legislatore come verosimilmente andrà a finire. Ed il finale, assai prevedibile, non tranquillizza. Cerco di spiegare in sintesi le principali ragioni di siffatta preoccupazione.
L’art. 2 del disegno di legge in questione non incrimina un fatto, una condotta che abbia una sua materialità, bensì l’istigazione, cioè una condotta di incitamento che è fatta di parole. Un incitamento, peraltro, non a commettere reati ma a compiere atti di discriminazione. Va pure evidenziato che abbiamo a che fare con discriminazioni sui generis, perché non si tratta di situazioni oggettivamente uguali trattate in modo disuguale (si pensi al razzismo, pure considerato dall’art. 604 bis c.p.), ma situazioni ritenute uguali secondo prospettazioni soggettive e, nel caso della cosiddetta identità di genere (come definita dall’art. 1 del medesimo d.d.l.), volutamente distoniche rispetto all’evidenza, oggettivamente percepibile, del corpo.
Come farà l’interprete a stabilire quando quelle parole di incitamento siano da considerare penalmente rilevanti? L’interprete è chiamato a stabilire, in buona sostanza, se quelle parole siano espressive di un hate speech, di un discorso di odio. E qui incontriamo la prima grande difficoltà.
Il pubblico ministero, prima, ed il giudice, poi, non sono psicologi; direi di più, non devono fare gli psicologi. L’indagine su una disposizione interiore non compete ai magistrati, è strutturalmente estranea alle aule di giustizia. Può esservi interesse ad accertare i motivi che hanno spinto a commettere un reato, certo! Ma il motivo, così come il movente, innervano la condotta; e dunque si rivestono di materialità. L’odio può essere al fondo del movente, ma è quest’ultimo che va provato, che può essere provato.
Nel caso dell’art. 2 del disegno di legge in questione, tuttavia, è proprio questo che si chiede all’interprete, soprattutto se lo si legge unitamente all’art. 4. Si chiede a chi dovrà applicare quel precetto di stabilire quando le parole di incitamento siano motivate da ragioni culturali, etiche o religiose, e quando, invece, da odio. Ed allora bisogna chiedersi quali potrebbero essere le strade, processualmente praticabili, che possono consentire di dimostrare che si è in presenza di un discorso di odio penalmente rilevante. Leggo, nelle relazioni di accompagnamento ai testi normativi poi unificati nel presente disegno di legge, che la differenza dipenderà dalle modalità di estrinsecazione del pensiero o da precedenti condotte dell’autore.E però questi sono indici che il diritto penale considera ai fini della graduazione della pena o della pericolosità sociale; oppure, come nel caso delle modalità espressive, quando siam dinanzi a parole che sono oggettivamente offensive. Ma quando si è dinanzi a chi sostiene -come ha fatto Luciana Piddiu, autodefinitasi femminista e comunista su Micromega del 26 aprile di quest’anno- che “la differenza sessuale, che piaccia o no, non è un’opinione. E’ ciò che ha consentito alla nostra specie di riprodursi e sopravvivere”; cioè dinanzi a chi incita a non obliterare l’evidenza del corpo, potrà dire l’interprete che quella frase è da ritenersi omofoba, che cioè è un discorso di odio, sol perché espressa in modo polemico?
Il pericolo è che, allora, la vaghezza del precetto finisca con l’attribuire all’interprete il compito di stabilire, egli, quando si è dinnanzi ad un discorso di odio; cioè quando un’opinione integra un crimine. Ed in una materia così delicata e controversa, terreno di scontri culturali accesi, assegnare il compito non di arbitro ma, per il contenuto etico che lo stigma omofobico porta con sé, il ruolo di vero e proprio scrittore delle tavole della nuova legge morale al giudice appare operazione rischiosa. Essendo questo uno dei risvolti, ed il peggiore, del cosiddetto panpenalismo, che altro non è, come avvertito da autorevoli giuristi, che la delega dell’etica pubblica alle aule giudiziarie.
Vi è, poi, un secondo aspetto sul quale desidero richiamare la vostra attenzione; anche questo tratto dalla mia esperienza professionale. Questa tecnica normativa fondata sulla individuazione dell’odiatore può condurre ad un effetto, certo non voluto, ma assai probabile, di aumentare, paradossalmente, la conflittualità su questi temi anziché attenuarla. Ed infatti, dal momento che si tratta di temi ad alto contenuto di contrapposizione culturale, direi antropologico, può manifestarsi la tentazione, una volta che si ha a disposizione l’arma della sanzione penale, di trasferire il confronto dal piano del confronto delle idee a quello del confronto nelle aule di giustizia, attraverso la denuncia penale dell’avversario. Denuncia che sarebbe agevolata proprio dalla vaghezza del precetto penale. Denuncia che porterebbe all’apertura di un procedimento penale, che, a prescindere dal suo esito, espone, di suo, chi lo subisce ad una pena, spesso dalla durata intollerabile.
Non solo: invocando l’intervento del giudice penale, si espone il denunciato allo stigma pubblico dell’odiatore omofobo, con tutto quel che ne consegue. E se consideriamo la vastità dei campi che possono essere interessati dal confronto su questi temi (dalla famiglia alla scuola, dagli ambienti religiosi a quelli più ampiamente sociali e politici), non sfugge quali e quante persone potrebbero ritrovarsi incasellati in questa categoria non proprio piacevole, al pari, appunto, di un razzista. Con ciò alimentando rancore, conflittualità, discordia.
Qualcuno ha detto che la legge penale di una generazione diventa la morale della generazione successiva: ecco, io non vorrei che passasse l’idea che l’indispensabile confronto culturale su temi importanti come la sessualità sia vissuto come una battaglia che si concluda con la criminalizzazione del dissenso. Usando la sanzione penale non più come extrema ratio, ma come, osservato dal presidente emerito della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, “come strumento primario di controllo sociale”.


Italia Della Ragione
23 giugno 2021

https://www.facebook.com/groups/1887053 ... 9817867994

Con il ddl Zan la libertà di espressione sarà una concessione della lobby Lgbt. - L'articolo 4, detto «salva idee», è in realtà il più insidioso: lascia spazio alle opinioni, però a patto che non siano ritenute discriminatorie. Così, ogni cittadino può essere denunciato in modo arbitrario e processato. - 23/06/2021




DDL ZAN e STATO LAICO CHE DIFENDE LA LIBERTA' DI PENSIERO
Pietro Marinelli
23 giugno 2021

https://www.facebook.com/pietro.marinel ... 8689374520

A proposito del disegno di legge Zan di cui tanto si parla in questi giorni, vorrei fare alcune osservazioni di principio; nel “preambolo” di tale disegno di legge si vuole chiaramente introdurre l’ideologia “gender”, in quanto si afferma che il genere non è necessariamente quello che ci si ritrova (cioè dato dalla natura), ma quello che “si sente” come proprio, e quindi deve essere possibile un cambiamento di sesso, in quanto ognuno deve potere realizzare quello che desidera. In quest’ottica si mette al primo posto la decisione dell’individuo di potere fare ciò che vuole della sua vita, come se essa stessa non gli fosse stata data ma l’avesse “fabbricata” lui e quindi avesse il diritto di cambiarla. In quest’ottica si introduce totalmente l’idea che l’uomo sia “padrone della propria esistenza” e possa cambiare il suo destino a proprio piacimento; in quest’ottica si da’ per scontato che la decisione dell’individuo, basata su “ciò che gli piace” sia il criterio assoluto della vita tra le persone. In quest’ottica si immette in maniera “subliminale” una ideologia ben precisa, quella del “gender”. Ora, io ho sempre saputo che lo Stato laico, quello al quale noi dovremmo ispirarci, è lo Stato che sceglie di non imporre una visione del mondo ideologica, ma che lascia la libertà a ciascuno di decidere quale mentalità avere. Se lo Stato laico è quello che non impone una visione del mondo religiosa, è anche quello che non può imporre una visione del mondo atea (come invece faceva lo Stato comunista), altrimenti diventerebbe uno Stato “etico”, che invade la sfera personalissima delle credenze dell’individuo. Perché allora questo non deve valere anche per l’imposizione dell’ideologia “gender”? Perché deve essere dato per scontato che tale ideologia sia giusta e comunque vada comunicata ed insegnata a tutti? Non è una deriva di Stato etico anche questa? La posizione di un corretto “Stato laico” sarebbe quella di permettere il confronto tra le diverse ideologie, ma non quella di imporne una, per quanto in modo “nascosto”. Che poi tanto nascosto non è, perché l’impostazione è chiaramente dichiarata. Dobbiamo quindi diventare uno Stato etico che fa passare l’ideologia di un gruppo di pressione? Dobbiamo cedere ai dettami del gruppo LGBT, che influisce notevolmente sui mezzi di comunicazione? Dobbiamo proporre una sorta di “relativismo sessuale” che renda sempre più difficile l’identificazione nel genere che Madre Natura ci ha dato?


"Non resteremo indifferenti all'ideologia gender per legge"
Serena Sartini
25 Giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1624636770

L'arcivescovo critica il ddl Zan: "Il testo minaccia la libertà d'espressione. Da Draghi considerazione per la Santa Sede"
"Non resteremo indifferenti all'ideologia gender per legge"

L'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita ed ex presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, interviene in modo critico sul ddl Zan.

Monsignor Paglia, cosa pensa del ddl Zan?

«La Costituzione stabilisce che non sono ammesse discriminazioni per motivi di sesso. È ovvio, allora, ed è anche un bene, che una legge ordinaria realizzi il dettato costituzionale, promuovendo una tutela contro le discriminazioni. L'attuale testo, però, mentre vorrebbe presentarsi come baluardo a tutela di eventuali discriminazioni, rappresenta un serio rischio di minaccia alla libertà di espressione del pensiero e di discriminazione del sentimento religioso di gran parte del popolo italiano. Per realizzare un articolo della Costituzione si rischia di negarne altri. L'impostazione di fondo mi pare inaccettabile perché si vorrebbe inserire per legge un'idea: quella del gender, che finirebbe così per imporsi come ideologia. La Chiesa propone un cammino diverso. Rispetto delle persone: ogni uomo e ogni donna hanno una dignità che nasce dalla propria storia, dalle gioie e dai dolori. La strada maestra è quella della vicinanza e del discernimento di ogni vicenda personale. Una legge manifesto imporrebbe una ideologia, inaccettabile sia per la Chiesa che per la società».

Cosa pensa dell'intervento del premier?

«Draghi ha ricordato come in Italia esistano gli strumenti per tutelare i diritti e i doveri previsti dalla Costituzione. Ha mostrato rispetto e considerazione per la Santa Sede e le sue posizioni. L'indipendenza di uno stato democratico e liberale è una garanzia anche per la Chiesa e i suoi diritti. Indipendenza non significa indifferenza. Che uno Stato sia indipendente nel processo legislativo mi pare sacrosanto: nessuna fede religiosa potrà mai proporre che diventi legge una credenza che non sia rispettosa di quelle libertà per cui tanti cattolici si sono battuti e continuano a battersi con tenacia e coraggio».

Cosa risponde a chi dice che c'è ingerenza da parte del Vaticano?

«Se l'Europa può legittimamente intervenire se e quando un paese minaccia i diritti di cittadini con tendenze omosessuali, non vedo perché la Santa Sede non possa fare altrettanto in Italia. Non è ingerenza, è interesse del bene comune a partire dalla preziosa visione antropologica che la Chiesa tutela come una ricchezza. Il Vaticano è una realtà internazionale e un piccolo Stato sovrano. Ma la sua storica vicinanza con l'Italia gli permette di cogliere con estrema sensibilità il sentire comune del popolo italiano: per noi italiani la famiglia basata sul matrimonio di un uomo e una donna, la realtà di un padre e di una madre come genitori, è qualcosa che rappresenta un valore di estremo rilievo. Se qualcuno vuol chiamare ingerenza questa passione per l'umanità».

Eccellenza, lei ha detto che è stato uno sbaglio la nota del Vaticano. Può spiegare meglio?

«Preciso che una giornalista ha estrapolato da un mio articolato intervento una falsa intervista che non ho mai concesso. Ho, ad ogni modo, espresso dei dubbi, come tanti. Sono un vecchio prete romano. Ho pensato, forse sbagliando, che tra le due sponde del Tevere sia sempre esistita una creatività nell'immaginare vie di colloquio e di composizione delle divergenze dalle quali i media dovessero e potessero rimanere fuori. Oggi, purtroppo, la riservatezza non sembra più un valore. Lo sbaglio, a mio avviso, è stato rendere pubblica un Nota che doveva rimanere segreta. Questa era l'intenzione originaria della Santa Sede, qualcuno deve aver pensato diversamente. La pubblicità ha rischiato di far alzare muri ancora più alti. Sono stato frainteso anche io: la Nota ha avuto il prezioso effetto di far luce sulle gravi problematiche di un Decreto che, così come è, è inaccettabile. Non solo dalla Chiesa, direi dalla maggior parte degli italiani».


La teoria del gender, che negli ambienti lgbt è considerata alla stregua di una teoria del complotto, trova la sua piena codificazione nella legge zan in esame al senato. Come ha spiegato lo stesso Zan, il sesso è considerabile un dato puramente anatomico e cromosomico. C'è poi il genere che, sarebbe, bontà sua , un semplice costrutto culturale. In pratica la donna quale essere più sensibile o materno e scarsamente aggressivo o violento (in media) sarebbe il frutto di un condizionamento sociale e non il frutto di un qualcosa che precede le varie declinazioni della femminilità. C'è poi l'identità di genere..ovvero la percezione di appartenere ad un genere che, come detto in precedenza, nemmeno esisterebbe a priori...un pasticcio insomma visto che di identità di genere se ne contano a decine. Che una ideologia che di scientifico ha poco venga impiantata in una legge è una cosa che fa tremare i polsi..di seguito c'è la storia del vero fondatore di questa teoria il quale potè eseguire un esperimento che non è stato praticamente eseguito da nessun altro : veder allevare un bambino sin da piccolissimo come una bambina per verificare che il sesso sia un dato ininfluente nella costruzione del genere : esperimento fallitissimo...ma, nonostante questo, la sua strampalata teoria vorrebbe essere insegnata nelle scuole dell'infanzia
https://www.facebook.com/groups/fede.sc ... 2619958065



"Parola di Radicale: io sono inorridito dal testo sull'omofobia"
Alberto Giannoni
30 Giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1625036711

"Sono semplicemente inorridito da quel testo". Anche per il professor Tullio Padovani il ddl Zan dev'essere "riscritto dalle fondamenta"
"Parola di Radicale: io sono inorridito dal testo sull'omofobia"

«Sono semplicemente inorridito da quel testo». Anche per il professor Tullio Padovaniil ddl Zan dev'essere «riscritto dalle fondamenta». «Così davvero non può passare». Docente di diritto penale a Pisa da 40 anni, avvocato, accademico dei Lincei, Padovani è quanto di più lontano da posizioni reazionarie o bigotte. Oltre a essere un giurista prestigioso infatti è politicamente un radicale. E il Partito Radicale lo ha eletto «presidente d'onore». Fautore dei diritti civili, è convinto che l'omofobia sia «spregevole», «quando è il caso anche da punire». Ma - avverte - «si tratta di vedere come», «a volte il rimedio è peggiore del male».

Professore, quel testo le fa orrore?

«Fa cascare le braccia. Ha le migliori intenzioni, per quanto i Radicali guardino con sospetto a questi interventi, ma il modo in cui le traduce è sconcertante».

Perché?

«Pretende di definire tutte le sfaccettature. Sesso, orientamento, genere, identità: un groviglio inestricabile, un gioco di specchi. La Costituzione parla già di uguaglianza, e sesso. C'è bisogno di questa caterva di nozioni? Non mi capacito».

Si vuole fotografare una realtà che è magmatica?

«Non possiamo trattare il sesso come situazione neutraleí. Esempio, i minori hanno una fascia di tutela. E se un omosessuale è pedofilo e dice: Tutelatemi? La questione è delicata, serve umiltà legislativa, invece si avverte la pretesa di riedificare il mondo».

Un pasticcio?

«Un'autentica follia e si complica quando si vuol mettere una pezza con quella clausola di esclusione che fa salve le condotte riconducibili a pluralismo idee e libertà delle scelte, purché non idonee determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti". Ma chi parla in modo legittimo deve badare alla conseguenza del comportanti altrui? Nel catechismo si qualifica l'omosessualità come peccato che grida al Cielo, un sacerdote nella predica lo ribadisce; e se tra le sue pecorelle si trovano dei lupacchiotti pronti ad agire, che si fa? Lo incriminiamo?».

La Chiesa insomma...

«Mai avuto simpatie per il Concordato se mi metto in quella logica non hanno tutti i torti con un articolo 4 così stralunato».

Come uscirne?

«Tagliare, semplificare, ridurre. Un solo articolo che introduca nell'articolo 604 bis e ter il riferimento al sesso, e via tutto il resto».

Firmerà i referendum di Pr e Lega?

«Ne ho seguito la gestazione, corrispondono a idee che ho sostenuto da sempre, le pare che non firmo? Firmerei 500mila volte, se potessi».



Difendete la laicità dello Stato dai nuovi clericali
Marcello Veneziani
27 giugno 2021

https://www.marcelloveneziani.com/artic ... clericali/

Egregio Presidente Draghi ed egregi confratelli della Loggia Laica del Grande Occidente, se volete davvero difendere la laicità dello Stato, del governo e del Parlamento italiano, dovete prendere meglio la mira. Scappucciatevi per vedere bene la realtà circostante. Non è la Chiesa cattolica apostolica romana, e tantomeno la Chiesa bergogliana, umanitaria e accogliente, a vagheggiare il ritorno a uno Stato confessionale, prono ai precetti religiosi e teso a restaurare la devozione popolare. Per una volta – in modo magari maldestro, “gesuitico” e un po’ vile, appellandosi al Concordato – la Chiesa ha perorato il suo contrario, ha sposato una causa che più laica non si può: si è richiamata alle leggi, alla libertà di pensiero e di espressione, messa in pericolo dalla Legge Zan. Non è ingerenza nella vita laica dello Stato e della politica italiana – nemmeno paragonabile alle numerose ingerenze della Chiesa bergogliana in tema di migranti, modelli sociali ed economici, giudizi politici e ideologici – ma al contrario chiedeva di fermare l’ingerenza di una legge, col relativo strascico d’intimidazione psicologica e ideologica, nella vita dei cittadini, non solo credenti e praticanti, se solo trasgrediscono ai precetti della nuova religione bioetica imposta al culto di tutti i cittadini.

Se volete difendere davvero la laicità dello Stato, della politica, del governo e del parlamento italiano, abbiate il coraggio di affrontare il nuovo clericalismo e la nuova inquisizione che stanno instaurando in Italia e in occidente le leggi, le proposte, i comitati di vigilanza, denuncia e sconfessione, che sorgono qua e là nel nostro Paese a difesa e protezione della nuova religione umanitaria fondata sull’antifascismo, l’antirazzismo e l’antiomotransfobia. Una religione anti, molto curiosa, imperniata sul principio di “odiare gli odiatori”, “perseguitare i persecutori”, farsi intollerante con gli intolleranti. Con la differenza che i presunti odiatori, persecutori e intolleranti sono in larga parte inermi, innocui e non dispongono del potere e delle armi di cui dispone la nuova Macchina dell’Inquisizione che dovrebbe colpirli a norma di legge.

Ormai in Europa non ci sono più nemmeno i cattolici popolari a frenare questa deriva clerico-progressista: sono intruppati con la Van Der Lewen nella stessa processione a punire chi non rispetta il nuovo catechismo e non s’inginocchia al passaggio dei Santi. Il meccanismo ideologico-punitivo si fonda su un’inversione: ogni tentativo di difendere la famiglia o proteggere i bambini o di tutelare la sovranità nazionale e la civiltà in pericolo, viene letta e condannata al contrario come attacco a gay e trans o razzismo contro neri e migranti. Vedi il caso Orban.

Se prestate attenzione e ragionate con la mente sgombra e non tramite riflessi condizionati, imbecillità di gregge e conformismo ideologico, vi accorgerete che si sta applicando alla vita quotidiana, alla vita laica di tutti i giorni, un protocollo clericale fatto di processi alle intenzioni, catechismi impartiti in tutte le sedi, a cominciare dai bambini, caccia alle streghe, battesimi e cresime progressiste o al contrario scomuniche, esorcismi e sospensioni a divinis, inginocchiatoi e santini, devozioni e ricorrenze, nel nome di quel canone ormai sacro che ci nausea ripetere per l’ennesima volta: il politically correct e i suoi derivati tossici, le sue varianti, i suoi codicilli.

Se entrate nel dettaglio vi renderete conto che la blasfemia, l’oltraggio alla religione, la bestemmia e la dissacrazione posti una volta a tutela della religione vengono trasferiti pari pari alle nuove categorie protette: neri senza g di mezzo, femministe del me-too, omotrans e affini, rom e altre categorie minori. Non si può nemmeno fare una battuta su di loro, è ritenuta e punita come blasfemia. Puoi raccontare una barzelletta dissacrante su Dio (purché non sia Allah), puoi fare battute pesanti sulla Madonna e irridere tutti i Santi, per non dire dei loro devoti e sacerdoti; ma prova a scherzare su una di queste categorie o farne la caricatura. Ti inguai, a volte ti rovini per sempre, ti macchi la fedina penale come se fosse il peccato originale. Vite onorate, laboriose, generose sono state compromesse solo da una battuta, un giudizio, sugli Intoccabili sullodati: il peccato mortale è stato applicato alla lettera in questi casi con tutti i provvedimenti punitivi del caso. E così le leggi che colpiscono i reati d’opinione, deferiti alla Nuova Laica Inquisizione, la Congregazione del Sant’Uffizio. Il gay pride sarà il prossimo Ognissanti, a Natale si festeggerà il bimbo in Provetta o l’Abortino, a Pasqua si ricorderà non il Risorto ma l’Insorto, il Salvatore Nero.

Come chiamate tutto questo se non clericalismo, riduzione della laicità a uno stato confessionale, regime teocratico col nuovo Dio Nero-Arcobaleno? E come chiamate i nuovi imam, i nuovi muezzin, i nuovi Ayatollah che queste leggi stanno partorendo nei tribunali, nelle commissioni di vigilanza, nei comitati politici? Clero, sono clero alle cui dirette dipendenze lavora la polizia psicopolitica, i nuovi battaglioni della Santa Fede. Il servizio d’ordine del Pci e di Lotta Continua è diventato ora milizia di stato della Nuova Religione Umanitaria. E se non ti puniscono in modo esemplare, ti intimano quanto meno di cospargerti il capo di cenere: Chiedi Scusa! Inginocchiati! Fai la penitenza! Recita l’atto di Contrizione, dieci Avemarie al gay profanato, cento Paternoster al Migrante dissacrato, ricordati di Santificare le lesbiche…

Insomma, il nuovo clericalismo da cui dovremmo difendere la laicità dello Stato e delle istituzioni è proprio quello che state elevando sugli altari e i tribunali a norma di legge.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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