Alfie Evans e l'idolatria religiosa statalista e miracolista

Alfie Evans e l'idolatria religiosa statalista e miracolista

Messaggioda Berto » mar mag 01, 2018 8:43 am

Gli idolatri complottisti cattolici che accusano la Gran Bretagna di essere come Mendele

Nicoletta Di Giovanni

E dunque,cari statolatri di questa beata,si è infine scoperto che in UK ammazzano di fame e di sete disabili e vecchietti,che nulla hanno di terminale.E gli ospedali che praticano il programma della morte,ricevono premi in denaro. RDiana

https://www.facebook.com/nicoletta.digi ... &ref=notif

Alberto Pento
Lo stato italiano nelle vesti del suo governo ha sbagliato a mettersi contro lo stato inglese, ha mancato di rispetto alle leggi e alle istituzioni inglesi, ha mancato di rispetto alla sanità e ai medici inglesi, in particolare all'ospedale che aveva i...Altro...

Nicoletta Di Giovanni
Non condivido nel modo più assoluto questa arrampicata di legalità statalista in versione estera: rispetto mortifero, un piffero! Neanche argomento.

Riccardo Giuliana
Applicando lo stesso principio avremmo dovuto rispettare il dottor Mengele, la cui attività - ricordiamolo - era perfettamente legale. Ma non sempre ciò che è legale è lecito.

Nicoletta Di Giovanni
siamo all'abc

Alberto Pento
L'italia è piena di leggi che portano i cittadini italiani alla morte: ad esempio quelle fiscali che portano al fallimento delle imprese, alla loro delocalizzazione, all'impoverimento e alla miseria, al suicidio, alla disoccupazione, alla mancanza o alla riduzione dell'assistenza sanitaria, alla deprivazione, agli stenti, alla depressione che inducono al suicidio. La malasanità poi uccide in varie maniere, in tanti ospedali pubblici per assenza di cure, di efficenza, per truffa, per irresponsabilità e negligenza degli operatori sanitari. Credo proprio che l'Italia abbia poco da insegnare alla Gran Bretagna.

ACCANIMENTO DI STATO
Nicoletta Di Giovanni
http://www.reteliberale.it/dettagli.asp?id=124&var=2

Alberto Pento
Per quanto mi riguarda Alfie era un cittadino inglese e non italiano. La concessione della cittadinanza italiana per motivi umanitari da parte dello stato italiano non fa affatto di Alfie un cittadino italiano, Alfie era e resta un cittadino inglese anche da morto. Questa concessione di cittadinanza da parte del governo italiano è puro statalismo, arroganza statalista (subordinata alla presunzione religiosa dell'idolatria miracolistica cattolico-romana) e un abuso della concessione della cittadinanza e delle risorse pubbliche.

Non si confonda la legge divina naturale e universale dove le creature nascono, anche soffrono e muoiono a volte tra i tormenti (dove trova spazio anche la volontà umana di migliorare e allungare la vita, curare le malattie e se occorre anticipare la morte) con le presunte leggi divine delle varie idolatrie religiose.
All'ospedale del Bambin Gesù non avevano alcuna nuova cura miracolosa, tanto meno il Papa ha mai dato prova di poter fare miracoli grazie al suo idolo, contro la volontà del vero Dio naturale e universale che dispensa vita sofferenza e morte.


???
ACCANIMENTO DI STATO
Nicoletta Di Giovanni
http://www.reteliberale.it/dettagli.asp?id=124&var=2

Tutti i complotti scoperti dai pro-life su Alfie Evans e l’Alder Hey
https://www.nextquotidiano.it/pro-life- ... -alder-hey


???
La storia dello scandalo dell’Alder Hey non ha nulla a che fare con Alfie
La vicenda viene messa in correlazione lo scandalo venuto alla luce quasi vent’anni fa quando si scoprì che tra il 1988 e il 1995 un anatomopatologo dell’ospedale aveva rimosso, senza il consenso dei genitori, organi a bambini deceduti all’Alder Hey. La vicenda viene raccontata come di un “traffico d’organi” e lascia intendere che i piccoli cuori venissero venduti. In realtà – e non è meno grave vista la mancanza di consenso – venivano conservati nell’ospedale per motivi di studio. In pochi però menzionano come in seguito a quella vicenda venne emanata una nuova legge per normale la materia (Human Tissue Act del 2004) e sia stata la Human Tissue Authority. È quindi improbabile che la questione abbia qualche attinenza con la vicenda di Alfie.


L'ospedale di Alfie Evans e quello scandalo sugli organi
Francesco Boezi
Mer, 25/04/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/los ... po-reale/1

L'ospedale in cui è ricoverato Alfie Evans è stato interessato da uno scandalo. Venivano espiantati degli organi senza il consenso dei genitori

L'Alder Hey Hospital è l'ospedale dove Alfie Evans è ricoverato. Quello in cui i medici hanno dato via al distacco della ventilazione. Molti, specie negli ambienti cattolici, hanno criticato questi dottori per il loro operato.

In questi giorni, i vescovi inglesi hanno rilasciato una nota stampa in cui veniva sottolineata la "professionalità e l'onestà di quanti stanno decidendo le sorti del piccolo". Le critiche, insomma, sarebbero del tutto infondate. Ma quali vicende hanno interessato il nosocomio di Liverpool, che è finito al centro di questo caso di cronaca internazionale? Se n'era mai parlato prima?

Basta spulciare negli archivi. Sicuramente l'Alder Hey Hospital è pieno di gente onesta che svolge al meglio il proprio lavoro. Vogliamo fidarci dei vescovi inglesi e della loro presa di posizione. Cercando in giro, però, si trovano episodi avvenuti in passato che hanno fatto discutere. Uno, in particolare, che è comunemente chiamato "Alder Hey Organ scandals".

Su Repubblica, in un articolo del 3 giugno del 2000, si legge di una madre che ha scoperto qualcosa "otto anni dopo" la morte del figlio, ma cosa?:"Ho visto i suoi organi sezionati in tre contenitori bianchi: il cuore, il cervello, il fegato, i reni. Mio figlio Marcello era stato fatto a pezzi. L' ho scoperto otto anni dopo. Aveva venti giorni quando è morto sotto i ferri all' ospedale "Alder Hey" di Liverpool". A parlare è Tracy Lowthian, coinvolta suo malgrado in uno scandalo dall'enorme clamore mediatico. L'Alder Hey, insomma, venne accusato di aver rimosso organi di bambini senza il necessario previo consenso dei genitori. Fatti che sono avvenuti in un periodo che va dal 1988 al 1995.

Il patologo olandese Dick van Velzen aveva ordinato, secondo quanto si legge qui in modo "sistemico", la "spogliazione non etica e illegale di ogni organo da ogni bambino che aveva avuto un post-mortem", ma era solo l'olandese a espiantare? Un virgolettato della signora Lowthian, riportato sul quotidiano già citato, suggerirebbe di no:"Nel frattempo eravamo diventati tanti a chiedere conto dei pezzi dei nostri figli: più di mille. E abbiamo scoperto che non era soltanto il patologo olandese van Velzen a espiantare gli organi. Prima di lui ce n' erano stati altri e la prassi continua anche ora. Ne abbiamo viste tante di quelle borse marroni, che abbiamo fatto portare via dall' ospedale. Ora sono negli studi degli avvocati...". Secondo quanto si legge su La Nuova Bussola Quotidiana, questo genere di pratiche potrebbe aver riguardato persino bambini "vivi". Quale fine potrebbero aver fatto alcuni di questi organi? Leggendo sul Guardian si scopre che:"L'ospedale può confermare che per un breve periodo tra il 1991 e il 1993 questi sono stati messi a disposizione di un'azienda farmaceutica per la ricerca, e che siamo consapevoli che durante quel periodo sono stati fatti dei contributi al dipartimento cardiaco del trust".

Questa storia è venuta fuori per "caso". In seguito a un intervento chirurgico non riuscito in un nosocomio di Bristol, dopo il quale un genitore ha chiesto all'ospedale la cartella clinica della figlia morta durante l'operazione a cuore aperto. Spunta così una lettera che parla della conservazione del cuore. La bambina di undici mesi, come detto era stata operata a Bristol, ma durante l'inchiesta viene fuori anche il nome dell'Alder Hey. Il motivo? "...il gran numero di cuori tenuti".

Mettendo da parte questo scandalo, adesso sono in tanti a chiedere che i medici dell'Alder Hey mettano in azione il loro di cuore. Quello che, se azionato a dovere, permetterebbe ad Alfie Evans di prendere il primo aereo in direzione Bambin Gesù. Noi lo stiamo aspettando.



Ente Vaticano, fondi pubblici per il Bambino Gesù dirottati in investimenti finanziari
Ivan Cimmarusti
2016-10-07

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=ADg7QSYB

«Attività abusiva di investimento finanziario» per conto del nosocomio ecclesiastico Bambino Gesù, utilizzando finanziamenti dello Stato italiano destinati al servizio sanitario. Nel 2013 l’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede (Apsa) avrebbe compiuto operazioni finanziarie irregolari con 91 milioni di euro di fondi pubblici, denaro che era stato erogato all'ospedale del Vaticano per le prestazioni mediche.

Lo scenario emergerebbe dagli atti della vasta inchiesta della Procura della Repubblica di Roma sul presunto «abusivismo» bancario dello Ior. Tuttavia l'incartamento giudiziario svela particolari finora inediti, come le nuove ipotesi sull'Apsa. L'indagine, del sostituto procuratore Stefano Rocco Fava e degli investigatori del Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza, ha potuto constatare che nel solo 2013 l'ente della Santa Sede avrebbe compiuto in modo irregolare investimenti finanziari per un ammontare complessivo di 117 milioni 589mila 685 euro. Operazioni messe a punto per conto dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù (91 milioni di euro), per la Segreteria di Stato Vaticano (22 milioni 608mila 184 euro, parte dei quali dell'Obolo di San Pietro), per il dicastero Cor Unum (125mila 776 euro) e per il banchiere Giampiero Nattino (3 milioni 855mila 724 euro).

Il conto nr.400234314
Nel mirino, in particolare, sono finite le movimentazioni di soldi pubblici erogati all'Ospedale Bambino Gesù. Gli investigatori hanno individuato il conto corrente nr. 400234314 acceso alla Banca Unicredit, in cui sono risultate accreditate, «con ordinante ministero dell'Economia e delle Finanze, ministero della Salute e Regione Lazio, fondi di elevato importo erogati alla struttura in qualità di Irccs (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) nonché rinveniente dalle procedure attuative della Legge 187/95 relativamente alle prestazioni erogate a favore assistiti del Servizio Sanitario Nazionale, in virtù del richiamato Accordo tra il Governo italiano e la Santa Sede ratificato con la L. 187 del 19 maggio 2012». Stando ai documenti investigativi «l'analisi della predetta documentazione ha consentito di evidenziare come parte dei fondi che vengono accreditati sul conto corrente acceso a favore dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù vengano poi girati dalla struttura, con disposizione di bonifici e/o giroconti, in parte a favore dell'Apsa» con l'obiettivo di compiere presunti investimenti finanziari.
Il cardinale Bertone versa 150mila euro all’ospedale Bambin Gesù

I 91 milioni di euro
L'operazione finanziaria per il Bambino Gesù riguarda 91 milioni di euro di finanziamenti pubblici. Tuttavia gli investimenti sarebbero stati compiuti in tre diverse tranche, da 57 milioni, 24 milioni e 10 milioni. «L'operazione di investimento per 57 milioni ha rappresentato argomento di conversazione nel corso di una telefonata monitorata tra Paolo Mennini, delegato della Sezione Straordinaria dell'Apsa, e Massimo Spina, responsabile della Direzione Amministrazione e Finanza dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù». E' lo stesso Spina a chiedere: «Se ti mandassi 56, 57 milioni che mi compri?». L'obiettivo è di investire i fondi pubblici attraverso l'ente. Per questo lo stesso Mennini discute con monsignor Domenico Calcagno, «al fine - è scritto negli atti - di ottenere l'autorizzazione a investire».
Mennini: «M'ha telefonato Massimo Spina, loro avrebbero l'intenzione di farci pervenire 56, e da sistemare una parte a un anno e una parte su sei sette mesi. Posso sentire, Eminenza, come controparte il Gruppo Intesa, per i certificati a un anno che forse mi danno il 3, ancora...».
Calcagno: «Si! D'accordo».
Mennini: «E un 25 farlo col Credito, semmai, Artigiano, qual è l'ultimo a 6 mesi lui c'aveva dato il 3 anche...»
Calcagno: «D'accordo».
Il medesimo «modus operandi» risulta essere stato utilizzato per le altre due operazioni, da 24 milioni e 10 milioni.

Abusivismo bancario
Tra le ipotesi della Guardia di finanza sull'Apsa c'è anche la presunta «attività abusiva di tipo bancario». Secondo gli atti «ha esercitato abusivamente l'attività di raccolta del risparmio tra il pubblico, quantificata in complessivi euro 58 milioni 857mila 869 euro». Precisa la Guardia di finanza: « L'Apsa è un istituto che svolge attività di tipo bancario/finanziario, con sede nella Città del Vaticano (Paese considerato non equivalente ai fini della disciplina antiriciclaggio), che opera all'interno del sistema bancario italiano tramite rapporti accesi presso molteplici istituti di credito, i quali – come diretta conseguenza di tale classificazione – devono ottemperare agli obblighi rafforzati di adeguata verifica delle clientela per tutte le operazioni poste in essere con l'Apsa. L'Apsa ha operato e continua ad operare con gli istituti di credito attraverso rapporti continuativi intestati anche a se stessa, alcuni dei quali caratterizzati da promiscuità e/o “confusione” di disponibilità finanziarie riconducibili a soggetti terzi».


Papa Francesco contro la corruzione, e la sanità vaticana trema
di Francesco Peloso
Le parole di Bergoglio all'ospedale Bambin Gesù , e la sua riorganizzazione dell'ospedale, stanno modificando gli equilibri di potere della sanità vaticana, per decenni al centro di vicende poco trasparenti
23 Dicembre 2016

http://www.linkiesta.it/it/article/2016 ... rema/32785

Cadere nella corruzione è il grande rischio che corre un ospedale cattolico, tanto più se si tratta del Bambin Gesù. Non ha forse avuto l'attenzione mediatica che meritava l'udienza concessa dal papa, il 15 dicembre scorso, a medici, infermieri, pazienti, volontari personale amministrativo, del celebre ospedale pediatrico che sorge sul colle del Gianicolo, accanto alla Pontifica università urbaniana e ad altre istituzioni vaticane che celano dietro le mure grandi spazi, strade e giardini alberati, palazzi ampi e silenzi inaspettati. E' un po' un pezzetto di 'grande bellezza' celata dietro portoni di non facile accesso, nascosta alle folle.

Diverso è il caso del Bambin Gesù, uno degli ospedali più noti ai romani, frequentatissimo, centro di eccellenza per la città e a livello europeo, ma nel recente passato, in varie occasioni, al centro di storie finanziarie opache o sospette, di scandali che ne hanno macchiato la sua reputazione e messo in difficoltà il suo proprietario, il Vaticano, anche se non sotto l'aspetto strettamente medico-sanitario.

“Il cancro più forte di un ospedale come questo – ha detto parlando a braccio il papa - è la corruzione. E la corruzione non viene da un giorno all'altro: vi si scivola lentamente, oggi una mancia lì, una tangente là, domani una raccomandazione là, e lentamente, senza accorgersene, si finisce nella corruzione”. C'è la “tentazione - ha aggiunto Francesco – di uniformarsi, di trasformare una cosa tanto bella come un ospedale di bambini in un'impresa per fare affari, e i medici diventano affaristi, gli infermieri affaristi, e tutti sono affaristi”. Parole come pietre, è il caso di dire.

Per come è messa oggi, la sanità cattolica sta andandosi a schiantare. Molti si sono già schiantati, ne ho visti tanti

Da poco meno di due anni il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ha messo in atto quello che può essere definito oggettivamente solo come un repulisti: ha cioè rinnovato radicalmente i vertici dell'ospedale allontanando il manager Giuseppe Profiti – legato all'ex Segretario di Stato Tarcisio Bertone - nominando come nuovo presidente Mariella Enoc, manager cattolica esperta di economia e di sanità, fedele alla mission dell'istituzione, ovvero la cura dei più deboli, e soprattutto determinata a smantellare l'idea che il Bambin Gesù possa essere, magari solo per un sospetto, centro di potere o affaristico.

Sarà il tempo a dire se l'operazione trasparenza coniugata all'efficienza, andrà davvero in porto, se cioè la svolta andrà oltre la prima fase per diventare stabile. Sta di fatto, in ogni caso, che la Enoc – proveniente dalla Fondazione Cariplo e da Confindustria - gode della piena fiducia del Segretario di Stato, e ora anche del papa. Per altro fa parte pure di quella Pontificia commissione per le strutture sanitarie cattoliche che, nominata poco meno di un anno fa, sta svolgendo il suo lavoro dietro le quinte, riservatamente. Alla guida dell'organismo troviamo monsignor Luigi Mistò, che è pure a capo della sezione amministrativa della Segreteria per l'Economia, cioè il nuovo ministero delle finanze della Santa Sede. E del resto, a indurre il papa e il suo Segretario di Stato, ad aprire l'ennesimo dossier scabroso del pontificato, non poteva che essere una situazione giudicata particolarmente grave. Così dai sogni di un polo sanitario cattolico italiano, immaginato dal cardinal Bertone, si è arrivati alla commissione che deve mettere ordine e fare pulizia nelle numerose strutture sanitarie legate alla Chiesa in tutto il mondo. Un bel salto, in ogni caso.

D'altro canto fu la stessa Enoc, ad usare parole durissime per definire lo stato della sanità cattolica, nel corso di un convegno al Policlinico Gemelli di Roma, poco dopo essere stata chiamata al vertice del Bambin Gesù. “Io temo veramente – disse allora - che noi rischiamo di andarci a schiantare, e so di usare una parola terribile. Per come è messa oggi, la sanità cattolica sta andandosi a schiantare. Molti si sono già schiantati, ne ho visti tanti”. Assenza di managerialità, cattiva gestione, scandali vari, utilizzo di personale religioso come le suore, non messo a bilancio, declino delle congregazioni religiose, un tempo fiorenti, che si occupano spesso della gestione di grandi ospedali, crisi finanziaria dovuta ai tagli regionali alle convenzioni esterne.

Le indagini della giustizia vaticana sull'ex presidente Giuseppe Profiti e sull'ex direttore amministrativo Massimo Spina. È lunga la catena di storie incerte o opache, oggetto di indagini varie, che toccano più o meno direttamente la Chiesa, e in questo senso le parole allarmate del papa trovano ampia spiegazione

Queste alcune delle cause non piccole della crisi, alle quali si aggiungevano i rapporti non sempre limpidi con pezzi di potere e istituzioni per ottenere magari qualche risorsa economica in più. Ripartire dalla tutela dei più deboli, dei malati, dei poveri, dei bambini, associando a questa sfida qualità professionali, capacità, correttezza. Era questa l'indicazione di fondo della Enoc che, in buona sostanza, coincideva con quanto ripeteva il Papa. Alle spalle, del resto, restavano le macerie di una lunga serie di scandali traumatici a cominciare da quello dell'Idi, a Roma, l'Istituto dermopatico dell'Immacolata, gestito dai padri concezionisti (Figli dell'Immacolata concezione), un altro ospedale di fama dal punto di vista scientifico, trascinato però sull'orlo della bancarotta da una gestione truffaldina e divenuto un caso nazionale di cui si interessò il governo per scongiurare centinaia di licenziamenti.

La vicenda del San Raffaele di Milano è ormai storia, fra fallimenti economici, salvataggi e suicidi: quello di Mario Cal, a lungo braccio destro di don Luigi Verzè, il prete-manager e 'creatore' dell'ospedale milanese. La storia del Bambin Gesù ha fatto però rumore per la gestione disinvolta, al di là dei reati commessi o meno, sotto il profilo finanziario: in quanto istituzione vaticana, infatti, le risorse che vi affluivano - anche pubbliche, in base ad accordi con lo Stato e la Regione Lazio – potevano essere legittimamente dirottate nei vari istituiti finanziari vaticani, non sempre, come è noto, dei modelli di trasparenza e corretta gestione degli investimenti e del denaro.

Da ultimo ci fu la storia dell'appartamento del cardinale Bertone, delle somme spese per la sua ristrutturazione – l'accusa era che furono utilizzati anche fondi dell'ospedale - delle donazioni fatte successivamente dal porporato allo stesso Bambin Gesù, come risarcimento non richiesto, per dimostrare la propria correttezza. E poi, legate al caso, le indagini della giustizia vaticana sull'ex presidente Giuseppe Profiti e sull'ex direttore amministrativo Massimo Spina. È lunga la catena di storie incerte o opache, oggetto di indagini varie, che toccano più o meno direttamente la Chiesa, e in questo senso le parole allarmate del papa trovano ampia spiegazione.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Alfie Evans e l'idolatria religiosa statalista e miracolista

Messaggioda Berto » mar mag 01, 2018 8:46 am

La malasanità in italia: inefficenza, negligenza, irresponsabilità, truffe, tangenti e inciviltà


Negli ospedali italiani i batteri fanno 6mila morti all'anno
19 Giugno 2017

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... ifre-.html

Una ricerca presentata nel convegno "Superbugs, strumenti di intervento nell'era post antibiotica", fa luce sui batteri buoni e quelli cattivi che si contraggono in ospedale. In Italia - mette in luce un articolo de Il Giorno - studi molto recenti dell' Organizzazione mondiale della sanità parlano di una media annua di 5 o sei mila morti per infezioni prese in seguito a operazioni eseguite in ospedali pubblici. Talvolta anche solo dopo un semplice ricovero, oppure dopo un'intervento chirurgico.

La causa principale è che purtroppo i batteri sono diventati tutti e inesorabilmente antibiotico-resistenti. La diagnostica e le analisi, poi, quasi mai sono tempestive. Questo comporta un aggravio dei costi, non solo in termini di vite umane, ma anche per il sistema sanitario nazionale. Una delle vittime "illustri" di queste infezioni, nel giugno del 1998, fu lo stesso Marco Pannella dopo un' operazione al cuore. Si salvò per miracolo.

Sono importanti, evidenzia il convegno, i cosiddetti "probiotici", cioè batteri buoni analoghi a quelli che costituiscono la flora intestinale e che svolgono un' azione determinante nella digestione e in tutte le altre funzioni del nostro intestino, per combattere quelli "cattivi".

Nella ricerca si legge tra l' altro che batteri come lo Staphylococcus aureus Meticillino- Resistente (MRSA), sono presenti su un tasso che va dall' 1% al 27% delle superfici. Con un picco del 64% in reparti per il trattamento di gravi ustionati. I probiotici in pratica aprono un nuovo fronte di battaglia contro la famiglia dei batteri patogeni su indicati ( e altri ancora tra cui la "candida vaginalis") impedendo loro di attivare una carica letale contro l' organismo umano ricoverato in ospedale ed esposto al contagio.

In farmacia, un esempio di probiotico è l'enterogermina.



Sanità, la mappa degli ospedali dove si muore di più in Italia
2013/04/12

https://infosannio.wordpress.com/2013/0 ... -in-italia

Wired pubblica la mappa con le perfomance di 1200 ospedali italiani, basata sui dati dell’Agenas. In sei ospedali pubblici italiani il tasso di mortalità è più alto della media nazionale in tutti i tipi di interventi considerati.

Sanità, la mappa degli ospedali dove si muore di più in Italia

Conoscere con un click i risultati dell‘ospedale vicino a casa in merito ai successi ottenuti nei principali tipi di interventi chirurgici. Sapere in pratica quante persone sono state salvate e quante, invece, sono decedute dopo un intervento al colon o dopo un bypass aorto-coronatico. È possibile grazie a Wired.it che ha pubblicato sul suo sito una mappa interattiva, ricavata con i dati forniti dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), in cui è possibile scegliere tra 1200 ospedali italiani e vedere i risultati di queste strutture in merito ai principali tipi di interventi chirurgici. Sono stati considerati 19 indicatori diversi: si va dall’infarto miocardico, alla frattura del collo del femore fino al tumore al polmone. Per ognuno è stata calcolato il numero dei ricoverati e dei decessi, ottenendo la percentuale. I dati forniti dall’Agenas sono per la prima volta consultabili da tutti, anche dai non addetti ai lavori.

I dati evidenziano una qualità mediamente superiore delle perfomance sanitarie nel nord Italia, anche se non mancano le eccezioni. Per esempio, la Liguria è la regione italiana con la più alta mortalità in tre indicatori: scompenso cardiaco (12,9%), collo del femore fratturato (8,68%) e tumore maligno al colon (5,87%). In generale la regione italiane con le peggiori perfomance, considerando tutti gli indicatori, è la Campania, dove, ad esempio, più di sette pazienti su dieci che si sottopongono ad bypass aorto-coronatico muoiono. L’altro dato che impressiona è quello relativo ai sei ospedali pubblici italiani di grandi dimensioni in cui i tassi di mortalità dei pazienti sono superiori alla media nazionale in tutti i 19 indicatori considerati: sono l’ospedale civile di Venezia, il San Paolo a Civitavecchia, il San Giovanni Evangelista di Tivoli (RM), il San Paolo a Napoli, l’ospedale di Venere a Bari e il Gravina e San Pietro di Caltagirone (CT).

Questi dati, ci tiene a precisare il direttore scientifico di Agenas Carlo Perucci, non vanno considerati come una “pagella degli ospedali” in quanto “ogni indicatore ha una sua valenza specifica”. Gli indicatori, spiega Perucci, “misurano solo ciò che è possibile misurare” e vanno presi con precauzione in quanto si basano sulle schede di dimissione ospedaliera che raccontano solo alcuni aspetti dell’attività dei nostri ospedali. (http://www.net1news.org/italia/sanit%C3 ... talia.html )



Clamorosa classifica: dove si rischia di più e dove è più alta la probabilità di cavarsela
I dati si riferiscono al: 2007-2011
Fonte: Agenas

https://www.truenumbers.it/ictus-infarto-ospedali

Ogni anno circa 185 mila italiani, in prevalenza ultra 65enni, sono colpiti da ictus. Per circa 35mila di loro non si tratta del primo caso e il 10-20% di chi viene colpito da questo evento morirà entro un mese.

Gli anziani che hanno avuto un infarto sono stati invece 120mila e 95mila sono quelli che si sono salvati. Di fronte a queste statistiche diventano importanti anche altri numeri: ad esempio, quelli che ci mostrano in quali ospedali avremmo maggiori probabilità di cavarcela se dovessimo avere un attacco di cuore. Ecco i tassi di mortalità per infarto e per ictus nelle strutture ospedaliere italiane.
Dati ufficiali

In questo post sono riassunti i dati raccolti dal Programma Nazionale Valutazione Esiti (Pne), gestito da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) per conto del Ministero della Salute. Essi raggruppano una serie di indicatori: la proporzione di ricoveri con una certa lunghezza di degenza, la percentuale di parti cesarei o, appunto, la mortalità per alcune patologie molto diffuse (ad esempio ictus e infarti).
Ictus, la classifica dei 20 migliori ospedali

Nel grafico sopra sono raggruppati i dati dei migliori e peggiori ospedali per quanto riguarda la sopravvivenza post ictus. Sono stati due ospedali del Centro Sud quelli che, nel periodo osservato (2007-2011, ultimi dati disponibili), hanno presentato una percentuale uguale a zero di decessi nei 30 giorni dopo il ricovero. Si è trattato della Casa di Cura Nuova Clinica Latina Istituto di Neuroscienze di Roma e la Casa di Cura S.Anna Hospital di Catanzaro.

L’indice utilizzato per stilare la classifica è stato il tasso di mortalità a 30 giorni dal ricovero, il dato è stato ponderato tenendo conto dell’età dei pazienti, del genere, della gravità della patologia, di presenza di altre malattie, ecc.

In pratica assieme alla mortalità grezza, ovvero a quanti sono morti sul totale entro i 30 giorni, è stato considerato se in un dato ospedale vi sono, a parità di altri dati, più o meno pazienti anziani, o con altre patologie gravi, rispetto alla media. La percentuale è quindi stata rivista al ribasso se nel contesto ospedaliero c’era una presenza maggiore di pazienti più gravi.

Il numero che appare scorrendo i vari istogrammi corrisponde, quindi, al numero di persone che morte nei primi 30 giorni tenuto conto di tutte le variabili.

Tra gli ospedali più sicuri 11 strutture del Sud

Ai primi sei posti nella graduatoria degli ospedali con il minor numero di morti ci sono stati solo ospedali del Centro Sud: Roma, Benevento, Sassari e Catania. Dobbiamo attendere il settimo posto per trovare un ospedale del Trentino. Anche per questo motivo i dati sul cosiddetto “turismo sanitario” dovrebbero far riflettere.

Nel complesso se consideriamo le prime venti realtà, vi troviamo solo 7 strutture del Nord: 1 in Trentino, 2 a Milano, 2 nel Veneto, 1 a Brescia, 1 a Genova. Poi 2 ospedali romani e 2 marchigiani, e ben 9 del Sud, di cui 2 in Campania, 1 in Molise, 1 in Calabria, 2 in Sicilia, ben 3 in Sardegna.

Quali son o gli ospedali peggiori

Il Sud quindi sorprende per i buoni posizionamenti in classifica di diverse delle sue strutture, tuttavia si distingue anche quando esaminiamo gli ospedali con le performance peggiori. Per essere più esatti non parliamo dell’intero Sud, ma in particolare della Campania.

In questa regione si trovano 8 dei peggiori 20 ospedali in termini di la sopravvivenza post ictus, e nello specifico è stata la provincia di Napoli quella messa peggio, come si vede dal grafico qui sotto.

Sono state del napoletano 3 delle 5 peggiori strutture per mortalità, e salgono a 6 sui primi 20 ospedali. Il primo nella top twenty è stato l’ospedale di Santa Maria Capua a Vetere, dove nel giro di 30 giorni sono morte in media il 35,49% delle persone colpite da un ictus. Complessivamente di questi 20 ospedali, 19 sono stati quelli del Mezzogiorno o del Frusinate, e solo uno, quello di Savigliano (CN) del Nord.

Infarti, meglio Emilia Romagna, Veneto e Liguria

Per quanto riguarda gli infarti, sono risultati avvantaggiati gli abitanti dell’Emilia Romagna e del Veneto. A queste regioni appartengono 4 dei 5 ospedali con minore mortalità dopo 30 giorni, come si vede dal grafico sotto.

Al primo posto vi è stato l’ospedale di Guastalla (RE), con solo l’1,29% di mortalità per infarto, seguito da quello di Sarzana. Così come anche per gli ictus, nella classifica degli ospedali migliori in termini di sopravvivenza post infarto ci sono state diverse strutture del Sud. Sono state 7 su 20.

Ha deluso invece la Lombardia, il miglior posizionamento delle sue strutture è stato il 14esimo posto dell’Humanitas di Rozzano (Mi). In ogni caso 9 ospedali dei 20 migliori sono risultati essere nel Nord Italia.
Gli ospedali con la maggiore mortalità per infarto

Ancora gap territoriali tra i 20 ospedali peggiori per sopravvivenza in caso di infarto, anche se non agli stessi livelli osservati con l’ictus.

Quattro delle 20 peggiori strutture per mortalità per infarto sono state campane e 3 siciliane, nel complesso ci sono stati 12 ospedali del Sud.

Il peggiore in assoluto è stato l’Ospedale Castelli di Verbania, con il 25,08% di infartuati morti entro 30 giorni dall’intervento o dall’attacco. E il secondo peggiore è stato quello di Ancona, con il 24,38% di mortalità per infarto, come si vede nel grafico qui sotto.

Brutti risultati anche per un’area relativamente piccola in quanto a popolazione, quella dell’Abruzzo e del Molise. Gli ospedali di Sulmona, Lanciano e Termoli sono stati tutti e 3 tra i 20 peggiori d’Italia.



La solitudine di chi muore negli ospedali italiani
25 Febbraio 2015

http://www.healthdesk.it/storie/solitud ... 1424871971

“Tanto ormai…” è l'espressione che alcuni medici e infermieri ripetono con le parole e con i fatti quando si trovano davanti malati terminali. Un’espressione che porta con sé terribili conseguenze. I pazienti vengono abbandonati nei propri letti, senza cure né terapie contro il dolore. Lasciati soli, insieme ai loro familiari, ad aspettare la morte. Accade anche in alcuni ospedali d'eccellenza, nonostante sia in vigore in Italia dal 2010 la legge sulle cure palliative, che obbliga i sanitari ad attivare una serie di prestazioni per eliminare la sofferenza di questi malati e renderli, seppure inguaribili, “curabili”.

Così è morta anche Chiara Palazzolo, affermata scrittrice di origini siciliane morta il 6 agosto 2012 al Policlinico Gemelli di Roma per un tumore al fegato, dopo un ricovero di due settimane. A denunciare le carenze assistenziali subite da Chiara Palazzolo durante i suoi ultimi giorni di ricovero e vita è Anselmo Terminelli, giornalista esperto di politica sanitaria e marito della scrittrice, nell’ebook “Tanto ormai…” scaricabile gratuitamente all’indirizzo http://www.tantormai.it.

A parere di Terminelli, infatti, il ricovero di Chiara Palazzolo è stato gestito dal personale sanitario del Gemelli in modo «negligente e inappropriato», e «non ha portato nessun beneficio clinico né tantomeno è riuscito a rendere sereni gli ultimi giorni di vita in quanto non sono state erogate neppure le cure palliative e la terapia del dolore». Non solo. «Le più comuni forme di ‘pietas’ per il cadavere, riconosciute ai congiunti del defunto dalle leggi italiane e dalla religione cattolica, sono state tutte vietate ai parenti di Chiara, pur essendo il Gemelli una struttura sanitaria di ispirazione cattolica, definita da san Giovanni Paolo II ‘Vaticano 3’», prosegue il giornalista. Secondo il quale al Gemelli il cristianesimo è oggi «solo un elemento di facciata».

Affinché quello che è avvenuto a Chiara Palazzolo non accada più, Terminelli avanza nel libro anche alcune proposte. Anzitutto l’istituzione, in ogni ospedale, della figura del Garante per la tutela della dignità del malato con la funzione di ripristinare le cure appropriate quando emergono negligenze. «Questa figura sarebbe innanzitutto di ausilio ai malati, ma anche all’ospedale poiché bloccherebbe sul nascere eventuali casi di malpractice, oggetto poi di contenzioso legale», spiega Terminelli. E poi la formazione pratica e obbligatoria per tutti i sanitari sul rapporto con il malato. Infine, per il monitoraggio in ogni struttura sanitaria di questo rapporto, auspica l'individuazione di uno specifico indicatore.



Paziente muore sulle scale dell’ospedale. Cadavere scoperto dal figlio 2 giorni dopo
di Annalisa Dall'Oca
4 gennaio 2013

https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/0 ... rni/460934


È morto dimenticato al freddo, accovacciato con il pigiama e scalzo, sulle scale antincendio a pochi metri dall’ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove si trovava per un malore. A scoprirlo non gli infermieri o i medici, ma il figlio, il 31 dicembre, dopo due giorni di ricerche. Gino Bragaglia, anziano di 83 anni, era stato ricoverato il 28 dicembre e la mattina del 29 era scomparso. Ma non aveva lasciato il padiglione Albertoni. Si trovava a pochi metri dalla sua stanza, vicino al reparto di medicina interna, disteso senza vita sui gradini di cemento all’altezza del primo piano. Si era alzato dal suo letto e, probabilmente disorientato, era uscito nella notte poco prima dell’alba.

“Il paziente – racconta il direttore sanitario dell’area Sant’Orsola Malpighi, il dottor Mario Cavalli – aveva trascorso la notte in stato d’agitazione, gli infermieri l’avevano sedato, poi erano ricorsi alle strisce di contenzione, era molto sorvegliato”. Durante la notte si era svegliato, si era alzato più volte, e così era stato legato al letto con fasce di contenzione. Ma lui è riuscito a liberarsi, ha cominciato a vagare ed è infine uscito sulle scale esterne. Scale accessibili dal corridoio del reparto attraverso una porta a vetri con maniglia antipanico, collegata a un allarme. A più riprese, spiega Cavalli, gli infermieri erano passati a controllarlo. “Abbiamo avviato una serie di accertamenti con audizioni del personale in servizio in quelle ore e ci vorrà qualche giorno per avere una ricostruzione”.

Per il momento la Procura di Bologna non ha ancora iscritto nessuno sul registro degli indagati. L’autopsia, ordinata dal pubblico ministero di turno, Domenico Ambrosino, è stata eseguita mercoledì dal medico legale Sveva Borin, che ancora non ha sciolto la riserva sul caso. Tuttavia, sembra di capire dalle indiscrezioni che trapelano dai corridoi della Procura, sarà molto difficile chiarire le cause della morte. Secondo l’esame autoptico il corpo di Bragaglia aveva delle lesioni lacero contuse alla testa dovute a una caduta, ma non sarebbe chiaro se l’anziano sia morto a causa della caduta stessa o piuttosto a causa del freddo, dopo aver passato tante ore al gelo.

La dinamica della scomparsa. Il personale infermieristico alle 5.30 del mattino aveva verificato che il paziente fosse nella sua stanza, ma venti minuti dopo, alle 5.50 era sparito. “Gli infermieri – continua il direttore sanitario – hanno allertato subito la sicurezza e le ricerche sono iniziate immediatamente. Alle 6.30 la vigilanza ci ha informati che il paziente non era stato ritrovato e abbiamo chiamato il 113”.

Bragaglia, colpito da un malore, era stato trasportato dall’ambulanza del 118 al pronto soccorso, la mattina del 28 dicembre. Dopo poche ore era stato ricoverato nel reparto di medicina interna, al terzo piano del padiglione 2. Di turno, quella notte in reparto, 34 letti in tutto, c’erano due infermieri e il medico di guardia, “come sempre, come da norma” chiarisce Cavalli.

I magistrati vogliono capire quali fossero le procedure da seguire all’interno della struttura, nel momento in cui un paziente scompare. E poi c’è quella sirena della porta d’emergenza. L’allarme ha suonato, probabilmente per pochi istanti, dato che il suono cessa non appena l’anta si chiude. E dunque chi doveva badare a quel suono all’interno della struttura?

Il figlio: “Non l’hanno cercato, perchè era lì a pochi metri da loro”. “Nessuno ci ha chiamati per dirci che mio padre non stava bene, che era agitato – racconta il figlio, Danilo Bragaglia – altrimenti saremmo andati noi in ospedale ad assisterlo quella notte. Invece abbiamo saputo cos’era successo solo verso le 6.15 del mattino, quando ci hanno telefonato per dirci che l’avevano perso”. A quel punto Danilo e la madre si sono precipitati al Malpighi. “Non l’hanno cercato, e lo dimostra il fatto che l’abbia trovato io – continua ­- ho parlato con alcuni dottori e con le infermiere: dicevano che non era compito loro, che avevano avvisato la sorveglianza e tanto bastava”. Non si spiega, Danilo, come il personale sanitario non abbia sentito l’allarme collegato alla porta antincendio: “o stavano facendo altro, o pur sentendo suonare non sono andati a vedere se qualcuno fosse uscito. Eppure lui era lì”. Difficilmente, però, sarebbe potuto tornare in camera da solo. “Avevamo avvisato i medici che mio padre faceva fatica a camminare e ci vedeva poco, se anche non fosse caduto, se si fosse seduto su un muretto sarebbe comunque morto di freddo. Le ricerche avrebbero dovuto coinvolgere più persone, essere più veloci”. Ora spetterà agli esami istologici, avviati dopo l’autopsia, a determinare cosa ne abbia causato il decesso. Intanto lunedì, intorno alle 9 o alle 10 del mattino, sarà allestita la camera ardente in Certosa, a Bologna. “L’unica speranza che ci è rimasta è vincere la causa – conclude Danilo – così da poter dire che avevamo ragione a chiedere maggiore attenzione da parte dell’ospedale”.

Il malumore dei parenti in visita e i tagli alla sanità. “E’ un fatto terribile” commenta chi si trova in ospedale per fare visita a parenti ricoverati, “è incredibile che siano trascorsi due giorni prima di trovarlo”. “Continuano a tagliare risorse, la sanità dovrebbe essere una priorità però”. Allo sconcerto generato dalla notizia circa la scomparsa di Gino Bragaglia, si affiancano malumori per i recenti tagli operati al settore della sanità regionale che, con 260 milioni di euro in meno per il 2013, dalla spending review subirà una vera e propria ‘stangata’.

“Questo fatto non è riconducibile a ciò che è capitato – assicura il dottor Cavalli – che qualche paziente lasciasse l’ospedale purtroppo era già successo, capita un paio di volte l’anno, di solito li troviamo”. Qualche volta, ha aggiunto, è capitato che qualcuno, residente nei pressi dell’ospedale, tornasse persino a casa.

In serata in un comunicato inviato alla stampa il direttore generale del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, Sergio Venturi, si è rammaricato del fatto accaduto: “Al di là dei risultati dell’ indagine interna, dobbiamo chiedere scusa di una cosa che non doveva accadere”.




Protesi al seno, 120 denunce per truffa e lesioni da tutta Italia
Milano, 14 gennaio 2015 - 08:27
Gravi danni provocati dal silicone: indagato il francese Mas, patron della Pip. Le donne sono state costrette a ricorrere a nuovi interventi

http://roma.corriere.it/notizie/cronaca ... 8d7f.shtml

ROMA - Emergenza sanitaria per le protesi al seno prodotte dalla Poly Implant Prothese (Pip). Ingrossamento di linfonodi al seno, dolori provocati da infiammazioni, operazioni per la rimozione degli impianti. Centoventi le donne con gravi problemi.

Silicone commerciale

A provocarli l’utilizzazione di silicone commerciale anziché di quello medicale, il solo ritenuto sicuro a livello internazionale. Una scelta aziendale compiuta da Jean-Claude Mas, proprietario della ditta, ora indagato con l’accusa di lesioni dolose gravissime. Tra i reati contestati, anche la truffa e la contraffazione di cose in danno alla salute pubblica. Il ricorso al silicone commerciale sarebbe stato deciso per aumentare i guadagni attraverso il taglio dei costi di produzione. Nella maggioranza delle situazioni al vaglio del pm Mario Dovinola le vittime hanno riportato lesioni guaribili oltre i 40 giorni mentre solo una piccola percentuale è riuscita a curarsi contenendo i tempi di guarigione tra tre e sei settimane.

L’inchiesta

Le denunce provengono da tutta Italia e i fatti riguardano operazioni tra il 2000 e il 2013. Lo scandalo per l’uso di silicone commerciale da parte della società francese esplode nel 2010, quando la Pip chiude. Tuttavia in un primo momento si ritiene che il materiale non abbia effetti dannosi. L’inchiesta viene avviata nel 2012 ma in una prima fase si procede solo per la frode commerciale. La svolta è più recente, con il deposito delle querele che aumentano in modo progressivo con il passare del tempo. Il racconto delle donne presenta elementi comuni: sostengono di essersi sottoposte alle operazioni di chirurgia estetica con l’assicurazione di procedere a un intervento banale che prevedeva l’inserimento di apparecchi ritenuti affidabile dalla totalità dei medici, ignari dalla bassa qualità del materiale delle protesi.

I certificati medici

Le complicazioni si manifestano solo diverso tempo dopo l’impianto: cominciano dolori sparsi in varie parti del corpo. Nei certificati medici allegati alle centoventi denunce all’esame della procura, i problemi di salute sono i medesimi: crescita dei linfonodi, infiammazioni, nuovi interventi chirurgici di rimozione degli apparecchi. Al momento non si registrano casi di tumori. Un precedente destinato ad avere un peso nell’inchiesta: nel dicembre del 2013 Mas è stato condannato a quattro anni di carcere per frode dal Tribunale di Marsiglia.




Monza, corruzione nella sanità: arrestati 12 medici. "Compravano protesi di bassa qualità in cambio di soldi e regali"
di Ersilio Mattioni
14 settembre 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/0 ... li/3856006

Le misure cautelari sono scattate nell'ambito dell'inchiesta Disturbo. In carcere anche il promoter di Ceraver Marco Camnasio e Denis Panico, responsabile commerciale del gruppo. Secondo la procura ortopedici e medici di base hanno agito per "favorire gli utili della multinazionale francese Ceraver" anche a "discapito della salute pubblica"

Ancora arresti nella sanità. Alcuni chirurghi del Policlinico di Monza, secondo la Procura, hanno favorito la Ceraver Italia Srl, comprando a spese degli ospedali protesi ortopediche e moltiplicando il numero delle operazioni, con la complicità di medici di base e manager. L’accusa è di aver agito “per aumentare gli utili” di una multinazionale francese “anche a discapito della salute pubblica”. In cambio hanno ottenuto denaro, regali, viaggi, vacanze, assunzioni di personale, partecipazioni a congressi e cene in locali di lusso, come quelle al ristorante Unico Milano, dove la cucina creativa si sposa all’atmosfera glamour del ventesimo piano con vista sul Duomo. Stamattina all’alba, nell’ambito dell’inchiesta “Disturbo”, sono scattate in Lombardia – ma anche in Emilia Romagna, Toscana, Piemonte e Campania – le misure cautelari per 14 persone, a seguito dell’ordinanza firmata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza, Federica Centonze. In carcere sono finiti gli ortopedici brianzoli Fabio Bestetti, Claudio Manzini e Marco Valadè, assieme al promoter di Ceraver Marco Camnasio (considerato il vero ‘dominus’ del meccanismo criminoso) e Denis Panico, responsabile commerciale della multinazionale. Tutti sono accusati, in concorso tra loro, di corruzione e associazione a delinquere.

Arresti domiciliari, invece, per altri ortopedici e medici di base, 9 in totale: Filippo Cardillo di Boltiere (nella Bergamasca), Fabio Peretti di Ispra nell’Alto Varesotto, Francesco Alberti di Fasdinovo (Massa Carrara), Carmine Naccari Carlizzi, Michele Massaro e Andrea Pagani (tutte tre di Milano), Paolo Ghiggio di Ivrea (Torino), Davide Cantù di Lecco e Lorenzo Panico di Salerno. Destinatario di un’analoga misura anche Carlo Santuccione di Capegatti (Pescara), ma il medico è nel frattempo deceduto. Altri 6 camici bianchi (Michele Bonanomi di Merate in provincia di Lecco, Marco Mandelli di Dalmine e Francesco Mangiardo di Cologno al Serio (comuni della Bergamasca), Stefano Rosino di Varese, Olga Franchini di Lecco e Aniello Iannaccone di Capiago Intimiano (nel Comasco) sono stati indagati a piede libero e sospesi dalla professione. I dottori di base – tutti accusati di corruzione – sarebbero stati, con differenti livelli di responsabilità, complici del meccanismo messo in atto dalla multinazionale francese allo scopo di aumentare il proprio fatturato, mettendo a disposizione degli ortopedici i propri studi medici e reclutando pazienti bisognosi di protesi, in particolare tra gli anziani, in cambio di una percentuale sulle visite degli specialisti (il 20 per cento) e a volte di un benefit erogato direttamente da Camnasio sotto forma di pagamento dell’affitto degli ambulatori. Infine, è stato disposto l’obbligo di dimora per Ivano Caracciolo, residente a Bologna, considerato un mediatore negli affari illeciti. Pure lui è indagato per corruzione.

Le indagini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano, coordinate dal Pubblico ministero Manuela Massenz, si sono svolte tra il 2014 e il 2017 e hanno avuto origine da una denuncia di un dipendente del Policlinico di Monza. Complesso il meccanismo corruttivo, portato alla luce grazie a centinaia di intercettazioni telefoniche: i manager Ceraver si adoperavano per “incentivare” i chirurghi del Policlinico di Monza (ma anche di tante altre strutture afferenti, sempre convenzionate con il Sistema sanitario nazionale) a comprare esclusivamente protesi della multinazionale francese a un prezzo variabile tra i 1.500 e i 2.500 euro a pezzo, pagando al chirurgo dagli 80 ai 100 euro per ogni acquisto. A tal fine coinvolgevano i medici di base, il cui compito era quello di identificare pazienti da sottoporre a operazione, i quali venivano prima visitati dagli specialisti presso gli ambulatori territoriali (visite che venivano pure pagate ‘in nero’) e poi indirizzati al Policlinico o in altre strutture sanitarie collegate per il ricovero e l’intervento. Gli accordi illeciti e le dazioni di denaro hanno avuto un’impressionante cadenza regolare, gestita dal “dominus” Camnasio. I chirurghi coinvolti peraltro, sostengono gli investigatori, hanno dato l’impressione di far passare in secondo piano la valutazione sulle caratteristiche delle protesi Ceraver, protesi che i medici intercettati hanno definito di qualità inferiore rispetto a quelle di altre marche. Proprio questa circostanza, paradossalmente, avrebbe fatto alzare il prezzo del “disturbo”, corrisposto agli ortopedici in virtù del maggiore rischio di fallimento degli interventi.

Sempre per aumentare i guadagni, secondo gli inquirenti, venivano “reclutati” pazienti da regioni diverse dalla Lombardia, in modo da ottenere rimborsi pubblici maggiori. Significativo, a questo proposito, un dato: al Fatebenefratelli di Milano i degenti fuori regione sono il 4,7 per cento e al Niguarda il 9, percentuale che, al Policlinico di Monza, sarebbe lievitata fino al 24,5 per un totale di oltre 15.000 pazienti ‘esterni’. A destare perplessità anche il numero degli interventi. Se la media degli ospedali lombardi è di 4 operazioni per ogni seduta in sala operatoria, quella del nosocomio brianzolo è di 12, con una punta di 36 operati in un solo giorno.

Coinvolti nell’inchiesta Disturbo (termine scelto dagli stessi indagati per indicare le dazioni illecite di denaro) anche altri istituiti afferenti al Policlinico di Monza e dislocati in Lombardia, Piemonte e Toscana. I magistrati brianzoli stanno valutando eventuali responsabilità amministrative dei manager ospedalieri.



Vibo Valentia, ospedale della vergogna tra tangenti, mafia e casi di malasanità
federico capurso
2008/01/29

http://www.lastampa.it/2008/01/29/itali ... agina.html

Con la denuncia di 30 fra medici e dirigenti da parte dei Carabinieri del Nas, dopo l’ennesimo sopralluogo, la tormentata stagione della sanità vibonese fa scrivere un altro capitolo negativo. Fra inchieste su presunte tangenti e morti sospette, lo «Jazzolino» è passato alle cronache come «l’ospedale della vergogna» di cui gli stessi operatori hanno recentemente sollecitato la chiusura, in attesa del nuovo manufatto.

Le accuse

Un’opera già in costruzione il 21 settembre 2005 quando scattò l’operazione denominata «Ricatto». L’inchiesta dei Carabinieri, coordinata dal sostituto procuratore Giuseppe Lombardo, ha visto indagate 29 persone, tra cui ex direttori generali dell’Asl, politici, massoni, esponenti dell’Opus Dei e qualche alto grado dell’esercito, nonchè tecnici ed imprenditori. A loro carico accuse che vanno dall’associazione per delinquere, alla truffa, al falso, alla concussione e all’illecito finanziamento dei partiti. Due anni d’indagini, un dossier di circa 4.000 pagine, 350.000 intercettazioni, una piattaforma accusatoria insomma che ha fatto scattare per 15 indagati la richiesta di altrettante ordinanze di custodia cautelare in carcere che il gip ha invece rigettato.

Gli appalti

A dare l’avvio alle indagini la gara d’appalto relativa alla costruzione del nuovo ospedale nel gennaio del 2003, vinta dal TIE, un consorzio d’imprese esistente soltanto sulla carta, una scatola vuota che fungeva come raccoglitore di tangenti da spartire appunto a partiti politici, in questo caso l’ Udc nazionale e locale. Quasi tutti gli indagati sono stati rinviati a giudizio dal gup. Per alcuni di loro che avevano scelto il rito abbreviato il 12 gennaio scorso sono state emesse condanne a pene che vanno dai due ai cinque anni, mentre gli altri stanno per essere giudicati col rito ordinario dinnanzi al tribunale di Vibo.

L'ombra della mafia

Nel corso dell’operazione «Ricatto» è stata sequestrata anche l’area su cui avrebbe dovuto sorgere il nuovo ospedale e su cui alla vigilia delle elezioni amministrative, era stata messa anche la prima pietra da una impresa di Lamezia in odore di mafia che aveva avuto, secondo l’accusa, il subappalto dietro pagamento di una tangente. Fu così che i vibonesi si videro sfumare il sogno d’avere un nuovo ospedale degno di questo nome. Tutto questo mentre il vecchio ospedale evidenzia carenze sempre più evidenti. Il 20 gennaio del 2006 scoppia il primo vero caso di malasanità.

I casi di malasanità

Federica Monteleone, una ragazza di 16 anni, operata per una banale appendicite, va in coma in seguito ad un black out e muore una settimana dopo all’ospedale di Cosenza. Scattano subito le indagini dei carabinieri ed arrivano i Nas percontrolli a tappeto. Il 4 dicembre 2007, un’altra sedicenne, Eva Russo, muore sempre in sala operatoria per un intervento di tracheotomia: era stata ricoverata tre giorno prima per un ascesso tonsillare. A cavallo tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, in clima già pesante, la morte di Orazio Maccarone, un uomo di 88 anni. Si parla di un altro presunto caso di malasanità.

Raffica di denunce da parte del Nas
L’ottuogenario, trasportato al pronto soccorso di Vibo Valentia per una broncopolmonite, sarebbe rimasto quattro ore in attesa che venisse trovato un posto in un altro nosocomio. Le condizioni dell’uomo, durante il trasferimento nel vicino ospedale di Tropea si sono aggravate: riportato a casa su indicazione della figlia, qualche ora dopo l’anziano è morto nella sua abitazione. Un caso di malasanità tutto d’accertare, che però ha gettato benzina sul fuoco, aggravando ancor di più la brutta nomea dell’ospedale di Vibo, oggetto ieri della visita dell’ex prefetto Achille Serra e stamattina di una raffica di denunce da parte del Nas.



http://siciliainformazioni.com/sparlagr ... e-vertenze


https://www.tv2000.it/tg2000/video/napo ... -7-arresti
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Alfie Evans e l'idolatria religiosa statalista e miracolista

Messaggioda Berto » mar mag 01, 2018 8:46 am

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Alfie Evans e l'idolatria religiosa statalista e miracolista

Messaggioda Berto » mar mag 01, 2018 8:47 am

Alfie, questa volta ha ragione lo Stato
Laura Zambelli Del Rocino

http://www.einaudiblog.it/alfie-questa- ... e-lo-stato

Premetto che sono una liberale istintiva non allineata a dogmi e ideologie. Individuo prima di tutto e Stato ridotto ai minimi termini: servizi necessari, regole di convivenza per non scannarci, tutela da violenze e ingiustizie. In quest’ultima rientra anche la tutela dei minori qualora i genitori non siano all’altezza del compito.

Ritenere genitori, insegnanti e “società” la culla della buona educazione è l’allegra utopia che dilata i confini del liberalismo a tutti i costi. Perché peggio dello Stato e di chi lo rappresenta a volte ci sono i cittadini, e tra questi molti genitori. Esisterebbero altrimenti i servizi sociali e l’attenzione giuridica per famiglie disastrate e ingiustizie subite da creature innocenti?

Il 70% della pedofilia viene consumata in famiglia, le dipendenze da droghe e alcol non sono prerogativa dei figli, i testimoni di Geova e i naturalisti arrivano a uccidere i propri bambini con l’omeopatia pur di non far ricorso a chemioterapie e sostanze “nocive”, i novax fanno di peggio, creano presupposti ex ante affinché si ammalino anche se nati sani.

“Chi decide non deve essere mai lo Stato” è un’asserzione fondamentalista che non tiene conto dell’oggetto: su cosa verte la decisione. “Il figlio è mio e lo gestisco io” trova un confine naturale nella salvaguardia della vita stessa del piccolo. Poi gli si legga pure Cappuccetto Rosso procurandogli notti insonni col lupo che sbuca dall’armadio, fatti dei genitori se lo educano male, ma se non sono in grado di gestire un’emergenza vitale, è giusto che lo Stato si sostituisca all’ignoranza e all’arroganza, che spesso vanno a braccetto.

Alfie non era più e forse non era mai stato un bambino, nell’accezione della completezza umana, forse non era solo in stato vegetativo, in quanto ciucciava e muoveva le braccine. Lascio a laicisti, eticisti, scientisti e religiosi vari marcare il confine terminologico, ma su un fatto erano tutti quanti d’accordo: il bimbo era condannato.

Il problema si spostava dunque sul “come” arrivare al termine.

E qui apro una parentesi, perché da ciò che leggo e ascolto, mi pare un isterismo collettivo ideologico e scollato dalla realtà. A mio padre, 65 anni, fu negata la possibilità anche solo di iscriversi nelle liste per il trapianto di cuore. Premetto che il precedente quintuplo bypass effettuato dal prof Senning a Zurigo prevedeva una aspettativa di vita di 6-7 anni, quando invece lui ne visse altri 18. Ma per il trapianto gli dissero chiaro e tondo, in Svizzera e in Germania, che le priorità sanitarie prevedevano precisi limiti di età.
Gli fu quindi negata la possibilità di tentare di prolungarsi la vita, nonostante fosse senziente, sano per il resto e cosciente di essere altrimenti condannato.

Mio marito trascorse 8 giorni tra la vita e la morte dopo un delicato intervento, ma il primo giorno i medici svizzeri riunirono la nostra famiglia per premettere che avrebbero fatto il possibile per salvarlo ma che avrebbero escluso l’accanimento terapeutico di qualsiasi tipo e che in merito avevano un’autorità superiore rispetto a quella della famiglia stessa.

Queste e altre tristi storie le vivono milioni di persone ogni giorno in ogni parte del mondo occidentale “civilizzato”. Che il problema siano le priorità legate all’economia sanitaria o altro, poco importa, è una realtà che noi malati, lì al momento, non possiamo cambiare.

Ma ciò che trovo scandaloso è la propaganda liberale, anti UK, anti Stato di principio, anti umanità che ruota intorno a un bimbo che avrebbe dovuto essere spostato a casa o addirittura nel vaticanissimo Bambin Gesù con annesse prediche bergogliane e cittadinanza italiana regalata (alla faccia del fatto che non avremmo un governo), quando per Alfie, non senziente e sedatissimo, morire in ospedale o in casa o in Germania, Italia, Polonia (tutti Paesi sponsor di umanità pur dichiarando di non poterlo curare ma solo farlo morire) non cambiava assolutamente nulla!

E i poveri genitori? Già. Sono sicura che non fosse sete di pubblicità, poveracci, solo una disperazione che ha trovato nella condivisione mondiale un po’ di sollievo. Ciascuno reagisce come può.
L’unico Stato che si è preso le sue tristi responsabilità dribblando gli sciacalli ideologici e mediatici è stato UK, guarda caso la culla del liberalismo…
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Alfie Evans e l'idolatria religiosa statalista e miracolista

Messaggioda Berto » mar mag 15, 2018 8:50 am

???

Alfie, contro la congiura del silenzio
Riccardo Cascioli
12/05/2018

http://lanuovabq.it/it/alfie-contro-la- ... I.facebook

Dalle ultime ore di Alfie agli interventi delle autorità fino ai funerali blindati, sembra che il Potere sia più che mai unito nel far calare il silenzio sulla vicenda di Alfie. Che però non riguarda solo il destino di un bambino, ma tutti noi.

C’è una strana congiura del silenzio intorno al caso di Alfie Evans. Non parliamo ovviamente dei genitori che, dopo mesi di battaglie per evitargli la morte procurata dai medici dell’Alder Hey, hanno senz’altro l’esigenza di vivere questo periodo di dolore lontano da microfoni e taccuini. Parliamo invece di quanti, in tanti modi, si stanno adoperando per spegnere i riflettori sulla vicenda che, ricordiamolo, ha scoperchiato una realtà inquietante e molto diffusa che va ben oltre il caso del singolo bambino. E guarda caso si cerca anche di colpire coloro che per Alfie si sono adoperati e vanno avanti ad indagare e raccontare perché hanno consapevolezza che la vicenda ha conseguenze drammatiche per tutti, e non solo per Alfie e i suoi genitori.

Si era già cominciato nelle ultime ore di vita di Alfie quando l’Alder Hey ha praticamente costretto i genitori Tom e Kate a far sgombrare i dintorni dell’ospedale promettendo in cambio di lasciare portare Alfie a casa. Abbiamo visto come è andata a finire: Alfie è tornato a casa solo da morto e dopo un altro estenuante tira e molla durato diversi giorni, ma sempre nel silenzio. Nel frattempo gli avvocati britannici che hanno rappresentato Alfie sono entrati nel mirino dell’Autorità statale che vigila sull’operato dei legali, una chiara intimidazione a prescindere da come andrà a finire. Del sacerdote italiano, reo di essere accorso a dare sostegno spirituale agli Evans, abbiamo già detto. Nel suo piccolo anche la Bussola è stata presa di mira sui social network per aver pubblicato documentati resoconti su tutto quanto accaduto all’Alder Hey e non solo. E pace se a questa operazione danno il contributo anche sedicenti amici degli Evans.

Poi c’è il capitolo sulle cause della morte di Alfie. In molti si aspettavano un’autopsia, cosa che l’Alder Hey si è guardata dal permettere. Se davvero non c’era nulla da nascondere, avrebbe giovato allo stesso ospedale una “operazione trasparenza” dopo le roventi polemiche degli ultimi giorni. Invece niente, e qui il problema va ben oltre la famiglia. Il caso Alfie aveva ormai un interesse nazionale, e non solo, tale da giustificare un intervento del locale Coroner. Significativo al proposito quanto scritto da un blogger inglese, John Allman, esperto di inchieste sulle morti sospette, che infatti ha chiesto conto al Coroner della morte di Alfie. Lo scambio di mail che viene riportato nel blog di Allman dà la misura del muro di omertà che è stato eretto intorno alla morte di Alfie.

Anche un certo agitarsi politico, e non solo, in Italia non sembra andare oltre una certa reattività emotiva. Come scrivevamo ieri, se si è stati davvero seri nell’interesse al destino di Alfie, ci si deve mobilitare anche in Italia per cancellare la legge sulle Dat o, quantomeno, riaprire un dibattito serio. Ma di impegni di questo tipo, in realtà, non si sente parlare, neanche da chi in questi giorni è più volte sfilato davanti alle telecamere agitando il nome di Alfie.

C’è poi il capitolo funerali, questione molto delicata perché coinvolge i sentimenti di una famiglia duramente provata dal dolore. Come è ormai noto si svolgeranno lunedì mattina in forma strettamente privata, per volontà della famiglia. Ciò malgrado in tanti ha suscitato una certa curiosità il fatto che davanti alla chiesa dove si svolgeranno i funerali saranno schierati un certo numero di agenti di polizia per garantire la privacy.

È la stessa polizia del Merseyside ad aver rilasciato un comunicato sull’argomento, in cui l’ispettore capo Chris Gibson spiega che è la famiglia a chiedere la privacy, che la polizia sarà lì solo per «dare supporto a quanti parteciperanno al funerale», comunque precluso al pubblico e ai media. Chi volesse comunque mostrare affetto agli Evans, potrà farlo aspettando in una via indicata il passaggio del corteo funebre. Il comunicato è stato rilanciato sulla pagina di Alfies Army da alcuni familiari di Tom e Kate, quindi non si discute che questa sia davvero la volontà degli Evans.

Ciò non toglie che non si possano non rilevare alcune stranezze: quando mai la polizia è intervenuta a un funerale per confortare i parenti del deceduto? E perché deve essere la polizia a dare questo annuncio, come se coloro che fino a pochi giorni fa hanno chiesto la liberazione di Alfie dall’Alder Hey fossero dei facinorosi fuori controllo? Quando Tom ha chiesto di lasciare il cortile dell’ospedale tutti se ne sono andati rispettosi della sua scelta. Perché dovrebbero ora comportarsi male?

A questo poi si deve aggiungere un altro particolare, anche a beneficio di quei tristi mestatori che in questi giorni stanno accusando la Bussola di aver diffuso false notizie circa la data dei funerali. In realtà, possiamo confermare che originalmente era stata fissata la data dell’11 maggio (cioè ieri) per i funerali pubblici, a cui sarebbe poi seguita (prima il 12, poi spostata al 14) una cerimonia privata. Solo domenica scorsa è stato deciso di cancellare il funerale pubblico nella cattedrale di Liverpool. Scelta legittima, che merita il massimo rispetto, ma si può rilevare che questo evita comunque una situazione imbarazzante per la diocesi di Liverpool che è stata, insieme ai giudici, la più grande alleata dei medici assassini dell’Alder Hey in tutto questo periodo.

Ecco il punto: lo Stato britannico, i medici, la gerarchia cattolica britannica, restano tutti uniti per cancellare in fretta ogni traccia di quanto accaduto e di quanto continua ad accadere. Motivo in più per alzarsi in piedi e continuare a fare luce a difesa dei tanti Alfie che vengono sacrificati in Inghilterra, in Italia e ovunque in Occidente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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