12) Le caste intelettuali di sinistra, dette progressiste, socialisti, comuniste e catto comuniste
L'egemonia di sinistra ha creato un deserto e l'ha chiamato cultura
di Marcello Veneziani
http://www.ilgiornale.it/news/legemonia ... 90970.html
"In che consiste oggi l'egemonia culturale? In una mentalità dominante che eredita dal comunismo la pretesa di Verità Ineluttabile (quello è il Progresso, non potete sottrarvi al suo esito). Quella mentalità s'è fatta codice ideologico e galateo sociale, noto come politically correct, intolleranza permissiva e bigottismo progressista. Chi ne è fuori deve sentirsi in torto, deve giustificarsi, viene considerato fuori posto e fuori tempo, ridotto a residuo del passato o anomalia patologica.
Ma lasciamo da parte le denunce e le condanne e poniamoci la domanda di fondo: ma questa egemonia culturale cosa ha prodotto in termini di opere e di intelligenze, che impronta ha lasciato sulla cultura, la società e i singoli?
Ho difficoltà a ricordare opere davvero memorabili e significative di quel segno che hanno inciso nella cultura e nella società. E il giudizio diventa ancor più stridente se confrontiamo gli autori e le opere a torto o ragione identificate con l'egemonia culturale e gli autori e le opere che hanno caratterizzato il secolo. Tutte le eccellenze in ogni campo, dalla filosofia alle arti, dalla scienza alla letteratura, non rientrano nell'egemonia culturale e spesso vi si oppongono. Potrei fare un lungo e dettagliato elenco di autori e opere al di fuori dell'ideologia radical, un tempo marxista-progressista, se non contro.
L'egemonia culturale ha funzionato come dominazione e ostracismo ma non ha prodotto e promosso grandi idee, grandi opere, grandi autori. Anzi sorge il fondato sospetto che ci sia un nesso tra il degrado culturale della nostra società e l'egemonia culturale radical. I circoli culturali, le lobbies e le sette intellettuali dominanti hanno lasciato la società in balia dell'egemonia sottoculturale e del volgare.
E l'intellettuale organico e collettivo ha prodotto come reazione ed effetto l'intellettuale individualista e autistico che non incide nella realtà ma si rifugia nel suo narcisismo depresso. Ma perché è avvenuto questo, forse perché ha prevalso un clero intellettuale di mediocri funzionari, anche se accademici? Ci è estraneo il razzismo culturale, peraltro assai praticato a sinistra, non crediamo perciò che sia una questione «etnica» che riguarda la razza padrona della cultura. Il problema è di contenuti: l'egemonia culturale non ha veicolato idee, valori e modelli positivi ma è riuscita a dissolvere idee, valori e modelli positivi su cui si fonda la civiltà. Non ha funzionato sul piano costruttivo, sono naufragate le sue utopie, a partire dal comunismo; ma ha funzionato sul piano distruttivo. Se l'emancipazione è stata il suo valore fondante e la liberazione il suo criterio principe, il risultato è stato una formidabile, quotidiana demolizione di culture e modelli legati alla famiglia, alla natura, alla vita e alla nascita, al senso religioso e alla percezione mitica e simbolica della realtà, al legame comunitario, alle identità e alle radici, ai meriti e alle capacità personali. È riuscita a dissolvere un mondo, a deprimere ed emarginare culture antagoniste ma non è riuscita a generare mondi nuovi.
Il risultato di questa desertificazione è che non ci sono opere, idee, autori che siano modelli di riferimento, punti di partenza e fonti di nascita e rinascita. L'egemonia culturale ha funzionato come dissoluzione, non come soluzione.
Oggi il comunismo non c'è più, la sinistra appare sparita ma sussiste quella cappa asfissiante anche se è un guscio vuoto di idee, valori, opere e autori. Il risultato finale è che l'egemonia culturale è un potere forte con un pensiero debole (e non nel senso di Vattimo e Rovatti); mentre l'albero della nostra civiltà, con le sue radici, il suo tronco millenario e le sue ramificazioni nella vita reale, è un pensiero forte ma con poteri deboli in sua difesa. La prima è una chiesa con un episcopato in carica e un vasto clero ma senza più una dottrina e una religione; viceversa la seconda è un pensiero forte, con una tradizione millenaria, ma senza diocesi e senza parrocchie... Così viviamo una guerra asimmetrica tra un potere forte ma dissolutivo e una civiltà non ancora decaduta sul piano spirituale ma inerme e soccombente sul piano pratico e mediatico. La prevalenza odierna della barbarie di ritorno deriva in buona parte da questo squilibrio tra una cultura egemone ma nichilista e una civiltà perdente o forse già perduta.
La rinascita ha due avversari: la cultura nichilista egemone e il nichilismo senza cultura della volgarità di massa."
Comunisti, internazicomunisti e dintorni
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Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo e dell'umanità
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Utopie che hanno fatto e fanno più male che bene e molto più male del male che pretenderebbero presuntuosamente e arrogantemente di curare.
Totalitarismi e imperialismi maomettano (mussulmano o islamista), comunista (internazicomunista), nazista (fascista e nazista), globalista, idolatria cattolico-ecumenista, ...
Fascisti e antifascisti, nazisti, comunisti, maomettisti e zingari, la loro disumanità e inciviltà
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Manipolazione criminale dei valori e dei diritti umani universali, quando il male appare come bene
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Ogniversałixmi ke i vioła i Diriti Omani Ogniversałi
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ONU - UNESCO e altri FAO - UNICEF (no grazie!) - e Facebook ?
Mito e organizzazioni parassitarie e criminali che non promuovono affatto i diritti umani, le libertà, il rispetto e la fraternità tra gli uomini, le genti, i popoli, le etnie, le nazioni, gli stati.
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Il fascino discreto di Gramsci
Maurizio Molinari
2008/06/16
http://www.lastampa.it/2008/06/16/cultu ... agina.html
Gentile direttore,
la singolarità della figura di Gramsci sta nel fatto che per un verso essa è tutta collocata nella storia del Pcd’I degli anni Venti e Trenta, che per altro verso ha sviluppato una elaborazione culturale utilizzata da Togliatti e dal Pci dagli anni Quaranta agli anni Settanta, e che un aspetto della sua riflessione, con i dovuti cambiamenti, può essere tuttora utilizzata da qualunque forza politica, quindi, come ha scritto Lucia Annunziata, paradossalmente anche dal centro-destra.
Il nocciolo duro dei Quaderni dal carcere è costituito dalla riflessione sulle ragioni della sconfitta del leninismo, inteso come rottura rivoluzionaria, nell'Occidente. Gramsci ha rintracciato queste ragioni innanzitutto nell'esistenza nell'Occidente di una robusta società civile che non consentiva le scorciatoie trovate da Lenin e da Trockij («la rivolta contro il capitale», appunto) nella Russia zarista. Allora nei Quaderni si è posto il problema di quale doveva essere la strategia del movimento comunista nell'Occidente e l'ha identificata in quella che è stata chiamata la conquista dell'egemonia: in una società dominata sul terreno delle forze produttive dal capitalismo e sul terreno politico da conservatori, moderati e riformisti, l'obiettivo dei comunisti deve essere quello della graduale conquista del «cervello» di quella società, cioè delle sue casematte ideologico-culturali: la scuola, le case editrici, le redazioni dei giornali, la magistratura, l'elaborazione culturale e l'organizzazione della cultura in quanto tali. Partendo da tale lavorio nel profondo e sfruttando le eventuali crisi organiche di un determinato sistema economico-sociale-politico di stampo capitalista e moderato, un partito comunista dell'Occidente sarebbe potuto risalire alla conquista del totale potere politico.
La nozione gramsciana di egemonia, presa nella sua organicità, è caratterizzata da un totalitarismo sottile e sofisticato, diverso da quello rozzo e criminale dello stalinismo, ma comunque pervasivo e pericoloso. Togliatti ebbe la genialità di depurare il lascito gramsciano di tutti i suoi elementi ereticali rispetto allo stalinismo e si pose l'obiettivo di lavorare per superare la vittoria politica di De Gasperi e della Dc, attraverso l'esercizio dell'egemonia sul piano culturale e quindi con la graduale conquista delle casematte ideologico-istituzionali-giudiziarie del sistema. Su questo piano il Pci è stato di una bravura straordinaria anche approfittando della distrazione della Dc e poi del Psi e dei partiti laici su questo terreno.
L'importanza di questa operazione si è vista in una fase di crisi organica del sistema, dal 1989 al 1994, quando in seguito al crollo del muro di Berlino e all'adesione dell'Italia al trattato di Mastricht sono venuti meno alcuni dei fondamenti della Prima Repubblica, dall'assenza della concorrenza sul piano economico alla dialettica comunismo-anticomunismo sul piano politico. A quel punto la forza più attrezzata sul terreno del controllo delle casematte ideologico-culturali (giornali e magistratura), cioè il Pci-Pds, ha avuto gli strumenti insieme mediatici e operativi-militari per liquidare le altre (la Dc, il Psi, i partiti laici) come è avvenuto con Tangentopoli. Subito dopo, però, questa forza è stata messa in questione da chi, come Berlusconi - non per un disegno politico precostituito, ma anzi per via imprenditoriale - si era dotato di un mezzo, la presenza sul terreno della televisione privata, che, almeno nella fase iniziale, si è rivelato in grado di contestare il peso e il ruolo esercitato appunto da alcune delle «casematte tradizionali» (in primo luogo la carta stampata e la magistratura fortemente collegate). A ciò si sono aggiunti un nuovo modo di fare politica e la demistificazione dell'egemonia culturale della sinistra attraverso la valorizzazione di autori e culture cattoliche e liberalsocialiste fino ad allora emarginate e neglette.
Allora, a mio avviso, un «pezzo» dell'elaborazione gramsciana ha tuttora una sua modernità, a condizione che la si sottoponga a una duplice operazione culturale: quella di considerare Antonio Gramsci nel suo contesto storico e nella sua organica collocazione nella storia comunista e quella di relativizzare e storicizzare la nozione di egemonia che, presa nella sua globalità, ha una organica valenza totalitaria. Invece, se utilizziamo una nozione relativizzata di egemonia ridimensionandola al ruolo di strumento di quella «battaglia delle idee» che è uno degli elementi della lotta politica (relativismo che non è in Gramsci), allora parliamo di una categoria che ha tuttora una sua validità e funzione e che ogni schieramento politico deve essere in grado di esercitare al di fuori di ogni pretesa totalizzante. Nel passato il fatto di non essersi posto il problema della battaglia culturale è stato un punto debole della Dc. Su questo terreno, oggi, il centro-destra ha comportamenti contradditori ma delle carte da giocare, mentre la sinistra sta perdendo colpi per la crisi devastante della sua cultura: essa si difende per la permanente potenza della sua organizzazione culturale e della conseguente gestione del potere che finora è servita ad attutire gli effetti della disintegrazione del suo messaggio globale.
Presidente del Gruppo parlamentare del Popolo della Libertà alla Camera