Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » mer lug 26, 2017 7:17 pm

???

La laicità? Andiamo a lezione dai cristiani
Corrado Ocone Filosofo, liberale 11 luglio 2017
(pubblicato su “Il dubbio”, giovedì 6 luglio 2017)

http://blog.rubbettinoeditore.it/corrad ... -cristiani

La modernità, politica e filosofica, si svolge lungo due diversi e persino opposti binari che, con tutti i limiti delle definizioni, potremmo definire, rispettivamente, illuministico e romantico.
Lo stesso liberalismo è stato prima concepito (ed è un “prima” logico e storico) come razionalismo e persino giacobinismo, e poi come scetticismo e storicismo.
Che il liberalismo dei diritti e della lotta astratta alla “superstizione” e all’ “infame”, della Ragione trionfante per dirla con Benedetto Croce, abbia avuto un’importanza e svolto un ruolo storico decisivo, è fuor di dubbio. Che fosse ancora una teologia politica e un liberalismo incompiuto, e avesse pertanto necessità di compiersi o affinarsi, lo è altrettanto.
Ciò è avvenuto, ma la mentalità illuministica ha continuato a sopravvivere e a celebrare fasti, con il suo senso antistorico, il suo progressismo astratto e il suo individualismo disincarnato.
Elementi che, a volte in modo persino inconsapevole, ci ritroviamo in noi stessi: in tanti nostri automatismi e schematismi di pensiero, tic mentali, modi di concepire l’etica e la politica. Chi di noi non tende a pensare, ad esempio, che le religioni monoteiste, in quanto credono in una Verità unica, siano la contraddizione logica del liberalismo?
Che il Medioevo cristiano e cattolico sia stato pertanto un periodo di barbarie e superstizione? Che questo schema illuministico non regga né in punto di teoria, né di fatto, lo avevano già messo in evidenza i grandi pensatori liberali e conservatori dell’Otto e Novecento. Oggi è ormai, si può dire, un dato acquisito della storiografia. Si è infatti sempre più capito che il cristianesimo è una religione monoteistica molto particolare e che ad esso, e quasi solamente ad esso, è dovuta l’evoluzione in senso liberale delle nostre società.
L’idea di persona (l’individuo liberale), l’universalismo o l’uguaglianza morale di tutti gli uomini (“non esistono né ebrei né gentili”) in quanto tutti figli di Dio e pertanto fratelli; un’uguaglianza fondata sulla comune umana e dignità ma che ammette, e anzi promuove ed esalta, la diversità e specificità di ognuno al di là di ogni astratto egualitarismo (essendo ognuno in rapporto diretto con Dio attraverso la propria coscienza); la separazione fra potere spirituale e potere politico (“dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e quindi l’idea di laicità e quella, connessa, dei limiti del Potere rispetto alla libertà dell’individuo; l’idea della imperfezione e fallibilità dell’essere umano, un nominalismo anticostruttivista che vede la giustizia nei casi particolari, da esercitare nei rapporti interpersonali e non mercé la grande progettualità (sempre destinata a fallire e a generare effetti non intenzionali) di uno Stato che si fa promotore di essa a largo raggio; queste sono solo alcune delle idee che il cristianesimo ha immesso o travasato nella modernità. E persino le istituzioni cattoliche, come ci ha mostrato un illustre studioso liberale inglese quali Larry Siedentop, hanno anticipato i modi di organizzazione e democratizzazione del potere che si ritroveranno poi nei momenti migliori dello Stato liberale moderno.
Tutte queste idee, ormai patrimonio comune della storiografia liberale, si ritrovano ora nei saggi che compongono l’ultimo libro di Dario Antiseri: L’invenzione cristiana della laicità, Rubbettino, pagine 128, euro 12. È soprattutto nella seconda delle tre parti che compongono il volume -”Perché il destino dell’Europa è legato al messaggio cristiano- che Antiseri ci offre, fra l’altro, una essenziale e interessante rassegna di profili di “grandi maestri del liberalismo cattolico”. In linguaggio semplice, non parco di citazioni dirette, egli ci introduce alle idee di liberali cattolici o cattolici liberali come Antonio Rossini, Alessandro Manzoni, lord Acton, Luigi Sturzo, Wilhelm Roepke (ma molto presenti in queste pagine sono anche politici cattolico-liberali “colti” come Luigi Einaudi e Alcide de Gasperi). Ciò che egli, attraverso questi autori, va a delineare è, da una parte, una sorta di antropologia liberale, cioè un’idea di uomo quanto più possibile corrispondente alla sua realtà effettuale di essere finito, “ignorante” e fallibile; dall’alta, una dottrina dello Stato liberale, perfettamente compatibile, anzi richiamata come proprio riferimento, dalla teoria politica del cattolicesimo.
Dal primo punto di vista, i riferimenti di Antiseri sono Karl Popper e Friedrich Von Hayek, le cui teorie sono discusse nel secondo capitolo. L’idea che “il fallibilismo epistemologico -vale a dire la consapevolezza che le nostre idee sono e restano smentibili- è un fondamentale presupposto della società aperta”. Solo infatti una società che non ha un’idea sostantiva di Verità e di Bene da promuovere (come può essere ad esempio una società teocratica), ma crede che la verità e il bene siano sempre delle situazioni di fatto, particolari, storiche, e che comunque vadano ricercate insieme attraverso tentativi e errori, perché le conoscenze umane sono socialmente disperse e hanno bisogno di mettersi “in prova”; solo una società siffatta può dirsi veramente democratica e liberale. Una lezione che andrebbe bene appresa soprattutto oggi, nel tempo del dominio del conformismo “politicamente corretto”, ove il legislatore vorrebbe dirci ogni momento come vivere e viver bene, penetrando nell’intimo delle nostre coscienze, casomai “per il nostro bene”. E così dimenticando che il benessere, come la felicità, vive nella tensione individuale e non nel possedimento. “Se cerco la felicita, non sono più felice”: diceva John Stuart Mill. E in effetti, come già ci avevano insegnato Immanuel Kant e Wilhelm von Humboldt, paternalismo e pedagogismo (soprattutto di Stato) sono i forti nemici del liberalismo. E, per restare nell’ottica del discorso di Antiseri, del cristianesimo. Il quale con il costante richiamo alla coscienza, al rapporto diretto del singolo con Dio, alle intenzioni, vuole veramente liberarci dalle dande di chi vuol guidarci nella vita. Ovviamente, solo un essere finito, precario, imperfetto, può fare da pendant a questa concezione fallibilistica della conoscenza e della vita. Per quanto concerne invece il secondo punto, quello relativo allo Stato liberale, Antiseri, con appropriata formula, si augura “uno Stato forte ma non affaccendato”. Intende perciò sfatare, proprio all’inizio del suo volume, il mito per cui i liberali siano per l’estinzione dello Stato: un’idea che era di Marx ma non certo dei padri della dottrina. Lo Stato liberale è “minimo”, ma forte: poche leggi generali, limitate a pochi settori, ma una forte volontà di farle rispettare. Antiseri riporta in esergo del suo volume, e fa propria, la definizione che ne ha dato un altro dei suoi liberali di riferimento: “Secondo la concezione liberale, la funzione dell’apparato statale consiste unicamente –scrive Ludwig von Mises- nel garantire la sicurezza della vita, della salute, della libertà e della proprietà privata contro chiunque attenti a essa con la violenza”. Con una formula efficace, Antiseri afferma che “la concezione liberale della società è né “assenza di Stato”, né uno “sregolato laissez faire-laissez passer”, né darwinismo sociale”. In particolare, il liberale è molto attento ai problemi della povertà (che è altra cosa dalla diseguaglianza o dal mito della “giustizia sociale”). Egli crede molto nella solidarietà, che però, per essere “giusta” e effettiva, deve avvenire quanto più possibile ex post e non ex ante rispetto al libero svolgersi delle dinamiche di mercato. Qui un ruolo importante può giocare la solidarietà privata, e in particolare l’azione caritativa dei gruppi cattolici. In generale, per Antiseri, il principio a cui cercar di tener fede è quello della sussidiarietà: i problemi sociali li risolve la società stessa, attraverso i suoi gruppi e associazioni; solo dove la società non arriva, interviene poi lo Stato. In particolare, per Antiseri, come in genere per i liberali, il problema dell’istruzione è importantissimo.
Lo Stato, in questo caso, deve limitarsi a stabilire regole molto generali, favorendo poi l’emersione di una quantità di scuole, private e non, che, in competizione fra di loro, possano garantire l’educazione migliore e una sana competizione fra idee e metodi educativi. “La realtà –osserva Antiseri- è che, è bene insistervi, il monopolio statale dell’istruzione è la vera, acuta, pervasiva malattia della scuola italiana. Il monopolio statale nella gestione dell’istruzione è negazione di libertà; è in contrasto con la giustizia sociale; devasta l’efficienza della scuola. E favorisce l’irresponsabilità di studenti, talvolta anche quella di alcuni insegnanti e, oggi, pure quella di non pochi genitori”. Antiseri fa, quindi, propria l’idea del “buona scuola”, elaborata da Milton Friedman prima e von Hayek poi. “Con il ‘buono-scuola” i fondi statali sotto forma di ‘buoni’ nono negoziabili (vouchers) andrebbero non alla scuola ma ai genitori o comunque agli studenti aventi diritto, i quali sarebbero liberi di scegliere la scuola presso cui spendere il loro ‘buono’. Ed è così che, pressata nel vedere diminuire l’iscrizione alla propria scuola o vedere allievi già iscritti scappare da essa, ogni scuola sarà spinta a migliorarsi, e sotto tutti gli aspetti. In poche parole: quella del “buono-scuola” è una misura in grado di coniugare libertà di scelta, giustizia sociale ed efficienza del sistema formativo”. Il buono-scuola è pertanto, contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare (ma d’altronde la dottrina liberale è controintuitiva) “una carta di liberazione per le famiglie meno abbienti”. In questa giusta battaglia a favore del pluralismo scolastico e contro il monopolio statale dell’istruzione, Antiseri arruola, per così dire, anche don Lorenzo Milani. E’ la parte meno convincente del libro, a mio avviso: l’autore dimentica infatti che don Milani, con la sua idea non ortodossa di cultura e con il suo sessantottismo pedagogico, è uno dei (tanti) padri spirituali, diciamo così, del declino della nostra scuola. Un che di pedagogismo paternalistico ho poi letto anche nelle pagine dedicate alla televisione, in particolare alla poco liberale idea che Popper espresse, nell’ultima fase della sua vita, di istituire una sorta di autorità che vagliasse preventivamente la qualità etica e pedagogica dei programmi televisivi. Sono però questi i pochi punti di dissenso che sono in me maturati dalla lettura di questo libro, le cui idee condivido e che giudico molto istruttivo per chiunque considerare le questioni trattate al di fuori della vulgata più accreditata.
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Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » mer lug 26, 2017 7:52 pm

???

Libri LDP - CRISTIANI PER LA LIBERTA'
Recensione di Alberto Mingardi e Guglielmo Piombini

http://www.libreriadelponte.com/det-libro.asp?ID=146

Sono passati quasi cento anni da quando Max Weber, uno dei fondatori della sociologia moderna diede alle stampe “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo”. In questo suo celebre lavoro, uscito nel 1905, Weber sostenne l’esistenza di uno strettissimo legame causa-effetto fra il substrato religioso calvinista - o, per meglio dire, puritano - e l'economia capitalistica. La tesi è divenuta nel corso degli anni quasi un luogo comune. Peccato che, come molti luoghi comuni, ad un più attento esame essa si riveli falsa. A dimostrarlo è il documentato saggio di Alejandro A. Chafuen Cristiani per la libertà, recentemente tradotto Liberilibri, un piccolo quanto combattivo editore di Macerata.

In questo agile volumetto di duecento pagine ricche di spunti e citazioni, Chafuen riscopre i contributi economici della tarda “Scolastica” (la scuola di pensiero che, sulle orme di Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, cercò di fondere insieme cristianesimo e aristotelismo), dimostrando l’esistenza di radici autenticamente cattoliche dell’economia di mercato. Una testimonianza importante, che ha spinto Hector M. Robertson a dichiarare che “non sarebbe sbagliato sostenere che è stato il gesuitismo, e non il calvinismo, a favorire lo spirito del capitalismo”.

C'è molto di vero in quest’affermazione: il “capitalista” descritto, o forse immaginato, da Weber era essenzialmente un grigio accaparratore, del tutto privo dell’amore per il rischio, per l’avventura e, più in generale, per il genere di vita che contraddistingue la figura dell’imprenditore che noi conosciamo. Non solo: la tesi weberiana, identificando erroneamente capitalismo e Rivoluzione Industriale, risultava del tutto inadatta a spiegare il grande fiorire dell’economia di mercato nel Medioevo cattolico in paesi quali l’Italia comunale o la Svizzera. Al contrario, l’elaborazione degli Scolastici sembra più avanzata tanto sul piano strettamente economico quanto su quello, per così dire, “psicologico”: se già Tommaso aveva intuito che “ciascuno è più sollecito nel prodigarsi a vantaggio di ciò che appartiene a lui esclusivamente piuttosto che per ciò che appartiene a tutti”, Tomàs de Mercado va ben oltre, argomentando che “la gente ama di più le cose che le appartengono. Se io amo Dio, è il mio Dio, creatore e salvatore, che amo... L'amore implica sempre la parola “mio” e il concetto di proprietà è fondamentale per la natura e l'essenza dell'amore".

La proprietà privata, in barba ai luoghi comuni dei catto-comunisti, viene ampiamente legittimata da parte di questi pensatori cristiani: come già San Tommaso, i suoi discepoli sottolineano il carattere controproducente del collettivismo, ed evidenziano il modo in cui la proprietà privata possa essere un efficace strumento per arginare il problema della scarsità e, dunque, della povertà (sempre Mercado: “se l'amore universale non induce la gente a prendersi cura delle cose, lo farà l'interesse privato. Quindi i beni privati si moltiplicheranno. Se essi fossero rimasti proprietà comune, sarebbe vero il contrario”). L'interesse personale ed egoistico è dunque una “molla” che spinge l’uomo ad agire, e rappresenta quindi non la negazione, ma il presupposto della felicità e della ricchezza dell’intera società.

Anche da un punto di vista più strettamente scientifico, l’elaborazione dei tardoscolastici appare perfettamente in linea con il più recente pensiero della Scuola Austriaca d’Economia: il francescano Pietro Giovanni Olivi e San Bernardino, ad esempio, avevano anticipato le scoperte della dottrina marginalista individuando il valore dei beni nella loro utilità “soggettiva”. San Bernardino aveva infatti affermato che “può ben succedere che l'acqua sia valutata più dell'oro, perché in quel posto l'oro è più abbondante dell'acqua”.

Strenui difensori dei due pilastri dell'economia liberale - la proprietà privata e, appunto, la teoria marginale del valore - i tardoscolastici proponevano delle ricette di politica economica non lontane da quelle reaganiane o thatcheriane: “le tasse alte hanno originato povertà”, notava Pedro Fernàndez de Navarrete, aggiungendo che “chi impone tasse elevate riceve da pochi”. Allo stesso modo, pensatori come Juan de Mariana o Bartolomé de Albornòz non esitavano ad attaccare con vigore l’irresponsabile amministrazione religiosa dei beni comuni. De Mariana, per esempio, intuì in maniera fondamentale che in politica la cosa più importante non era tanto il sistema istituzionale (monarchia-repubblica ma, potremmo dire oggi, proporzionale-maggioritario), quanto il complesso di diritti e garanzie di cui poteva godere la gente di una data società. Mariana (secondo il quale il potere è come “il cibo per lo stomaco: troppo o troppo poco può indebolire") fu critico severo di molti governanti entrati nella leggenda e lodati nei secoli, come Ciro, Alessandro o Cesare, visti come tiranni senza scrupoli desiderosi di vampirizzare a loro favore le risorse degli individui.

Ed è sempre Mariana a notare “quanto è triste per la repubblica, e quanto è odioso per la gente, vedere coloro che entrano nella pubblica amministrazione senza un centesimo diventare ricchi e grassi col servizio pubblico”. Per questo motivo, secondo i tardoscolastici, i sovrani avrebbero dovuto eliminare ogni spesa superflua, moderare le tasse e mantenere le spese di bilancio inferiori alle entrate. Consiglio, si sa, non molto seguito in epoca moderna...

Incisiva anche la critica alla burocrazie e ai cortigiani che andrebbero, secondo Navarrete ( “Cappellano Canonista e segretario di Sua Maestà”, re di Spagna), licenziati in gran numero, onde evitare che le loro eccessive spese conducano a uno spropositato debito pubblico e che essi, da perfetti “squali”, si facciano largo nella selva di leggi ed imposte, utilizzandole a proprio favore.

Il pensiero dei tardoscolastici sembra oggi ben più adatto della fatalista etica protestante a fondare le basi morali della società di mercato: non sono un caso, infatti, le numerose assonanze con le teorie liberali più recenti, quali quelle di un Friedrich von Hayek o di un Murray Rothbard. Fra i riconosciuti maestri di Hayek, infatti, ci fu anche Lord Acton, il cui debito nei confronti della Scolastica è evidente.

A Rothbard, uno dei maggiori economisti del '900 e autentico fondatore del pensiero libertarian (il liberismo radicale americano), bisogna invece attribuire il merito di essere stato fra i primi a cogliere, nella sua monumentale Storia del pensiero economico, l’importanza delle elaborazioni teoriche della tarda scolastica.

Un pensiero, questo, che vale la pena di riscoprire in un mondo che, nel conflitto tra la globalizzazione dei mercati e l’invadenza dei governi, è più che mai alla ricerca di un riconoscimento del valore dell’agire dei singoli in tutti i campi della vita umana.


Alberto Pento
Se così fosse, come si piega che i paesi cattolici sono i meno liberali, libertari, democratici e federali e i più statalisti, castuali, illiberali, a democratici, i più castuali e parassitari, ipocriti, corrotti ... a cominciare dall'Italia e dalla sua capitale corrotta e parassita Roma, sede del cattolicesimo romano e del Vaticano?


I primati dello stato italiano e dell'Italia in Europa e nel mondo
viewtopic.php?f=22&t=2587


Realtà italiana e cristianismo cattolico romano
viewtopic.php?f=199&t=2670
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 0396375382


Vi siete mai chiesti perché
un paese-stato come l'Italia che è la sede storica del cristianismo cattolico romano, che ha la maggiore presenza cattolico romana, le maggiori organizzazioni cattoliche e la stessa sede vaticana del Papato a Roma, con il vicario di Cristo, migliaia di chiese e di santuari, migliaia di santi, monasteri e conventi, decine di migliaia di preti, di monaci e di suore e che perciò dovrebbe essere un paese modello di civiltà, di moralità, di giustizia sociale, di armoniosa convivenza, di miracoli di provvidenza divina, di manna dal cielo, ... un paese prospero ricco sia invece il paese-stato con i peggiori primati di tutto il mondo cristiano dell'occidente?
Se a ciò si aggiunge Il tutto aggravato dall'influenza dell'ideologia e dalla prassi comunista.
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Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » ven ott 20, 2017 8:23 pm

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... ment_reply


Gino Quarelo
Guardi Flini Flawer, io preferisco di gran lunga la mia confusione e la mia ignoranza, alla sua idolatra e invasata certezza. La trascendenza è come la vita dopo la morte, per me sono solo assurdità; per me ciò che viene trasferito nel trascendente e nell'aldilà sta invece nell'aldiquà e nell'immanenza. Personalmente non sento il bisogno né del trascendente, né dell'aldilà che per me sono insensate e inutili/non necessarie; per me il trascendente e l'immanente coincidono; lei poi è libero di credere a quello che le pare, basta che non mi dia disturbo e molestia con le sue credenze e non cerchi di impormi il suo idolo, il suo credo, la sua fede, la sua religione, il suo profeta come fanno anche i nazisti maomettani.
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Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » ven ott 20, 2017 8:37 pm

Liberata dai curdi e dagli americani, a Raqqa le donne bruciano i burqa e gli uomini si tagliano la barba, dopo la fine del Califfato durato tre anni. Cos'altro puó essere sinonimo della libertà? E cos'altro dovrebbero raccontare i giornali, anziché di Asia Argento e della Boldrini? Forse non sappiamo più neppure emozionarci alla vista di queste immagini.

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 9737247396
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Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » mar mar 20, 2018 7:49 pm

Un appello contro il “nuovo totalitarismo islamista”
Giulio Meotti
20/03/2018

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 1070209938

Un appello contro il “nuovo totalitarismo islamista” è stato lanciato sul Figaro da 100 intellettuali francesi fra cui gli storici Georges Bensoussan e Alain Besançon, il medievista Rémi Brague, lo scrittore Pascal Bruckner, l'ex ministro Luc Ferry, i filosofi Alain Finkielkraut e Jean-Pierre Le Goff, lo studioso Pierre Nora, il professor Robert Redeker, il romanziere algerino Boualem Sansal, il politologo Pierre-André Taguieff e altri.

“Non molto tempo fa, l'apartheid regnava in Sud Africa. Oggi l'apartheid di un nuovo tipo viene proposta alla Francia, una segregazione capovolta grazie alla quale i 'dominati' preserverebbero la loro dignità riparandosi dai 'dominatori'.

Il nuovo separatismo avanza mascherato. Vuole apparire benigno, ma è in realtà l'arma della conquista politica e culturale dell'islamismo. Vogliamo vivere in un mondo in cui entrambi i sessi si guardano l'un l'altro senza sentirsi insultati dalla presenza dell'altro. Vogliamo vivere in un mondo in cui le donne non sono giudicate inferiori per natura. Vogliamo vivere in un mondo in cui le persone possano incontrarsi senza paura. Vogliamo vivere in un mondo in cui nessuna religione detta legge”.

Non so se la Francia sia perduta, come spesso temo, ma almeno esistono ancora delle teste pensanti che hanno il coraggio di battersi per ciò che siamo e che sanno bene quale sia la minaccia più grande alla nostra cultura.
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Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » mer mag 16, 2018 7:24 am

Lo sfinimento della civiltà europea
Giulio Meotti
15 maggio 2018

https://it.gatestoneinstitute.org/12307 ... ta-europea

In una profetica conferenza tenuta a Vienna il 7 maggio 1935, il filosofo Edmund Husserl disse: "Il maggior pericolo dell'Europa è la stanchezza". Ottanta anni dopo, la stessa fatica e passività domina ancora le società europee occidentali.

È il tipo di sfinimento che ravvisiamo nel calo dei tassi di natalità degli europei, nella proliferazione del debito pubblico, nel caos nelle strade e nel rifiuto dell'Europa di investire le risorse nella sua sicurezza e nella forza militare. Nel marzo scorso, in un quartiere di Parigi, la Basilica di Saint Denis, in cui sono sepolti i re cristiani di Francia, è stata occupata da 80 migranti e da attivisti favorevoli all'immigrazione illegale. È dovuta intervenire la polizia per liberare il sito.

Stephen Bullivant, un docente di teologia e sociologia della religione presso la St Mary's University di Londra, di recente ha pubblicato una ricerca dal titolo "Europe's Young Adults and Religion":

"Il Cristianesimo non è più la condizione predefinita, la norma, e forse non lo sarà più – almeno per i prossimi 100 anni", ha detto Bullivant.

"Secondo Bullivant, molti giovani europei "sono stati battezzati e poi non oltrepasseranno mai più la porta di una chiesa. Le identità religiose culturali non vengono trasmesse dai genitori ai figli. Scivolano loro addosso...". E sappiamo che il tasso di natalità musulmano è superiore alla popolazione generale e hanno tassi di ritenzione [religiosi] molto più alti".

Richard Dawkins, un ateo e l'autore di "The God Delusion", ha replicato alla pubblicazione dello studio, twittando quanto segue ai suoi milioni di follower:

"Prima di compiacerci della terribile agonia della religione cristiana relativamente benigna, non dimentichiamo la minacciosa poesia di Hilaire Belloc:

'E sempre tieni la mano dell'infermiera/ Per paura di trovare qualcosa di peggio'".

Dawkins sembra essere preoccupato che dopo la scomparsa del Cristianesimo in Europa, non ci sarà un'utopia atea, ma un Islam in crescita.

Questo è ciò che Philippe Bénéton in un libro ha definito come Le dérèglement moral de l'Occident, il disordine morale dell'Occidente: l'Islam sta colmando il vuoto culturale di una società senza figli e che crede – a torto – di non avere nemici.

Secondo Sveriges Radio, l'emittente radiofonica pubblica nazionale di Stato svedese, in quel paese viene battezzato un minor numero di neonati a causa del cambiamento demografico. In Svezia, entro il 2050, quasi una persona su tre sarà musulmana, stando a un recente studio del Pew Research Center.

La mentalità mainstream europea ora sembra credere che "il male" derivi essenzialmente dai nostri peccati: razzismo, sessismo, elitarismo, xenofobia, omofobia, i peccati del maschio bianco eterosessuale occidentale, e mai da culture non europee. Pertanto, l'Europa ora postula un'infinita idealizzazione dell'"altro", soprattutto dei migranti. L'eredità della civiltà occidentale viene sezionata pezzo per pezzo in modo che non ne rimanga nulla; i nostri valori vengono derisi e il nostro istinto di sopravvivenza è inibito. È un processo di decomposizione che le autorità hanno deciso di mediare, come se fosse inevitabile. Ora, l'Unione Europea aspetta di ricevere la prossima ondata di migranti dall'Africa.

Nell'importante discorso pronunciato davanti al Bundestag, dopo il lungo e difficile processo senza precedenti per formare un nuovo governo, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha usato un tono conciliante sull'immigrazione lanciando un messaggio inclusivo sull'Islam. "Con 4,5 milioni di musulmani che vivono nel paese, la loro religione, l'Islam è diventata parte della Germania", ha affermato la cancelliera.

Il leader politico più influente d'Europa ha capitolato: a quanto pare ha dimenticato (di nuovo) la differenza esistente tra i diritti civili degli individui, di cui godono i cittadini musulmani in Germania, e le fonti di una identità nazionale, su cui si fonda l'Europa: i valori umanistici, giudaico-cristiani. Questa consapevolezza potrebbe spiegare il motivo per cui una settimana prima il neo-ministro dell'Interno tedesco, Horst Seehofer, aveva detto che "la Germania è stata forgiata dal Cristianesimo" e non dall'Islam.

La stanchezza dell'Europa può essere anche vista in un conflitto generazionale rappresentato dall'allarmante aumento del debito pubblico. In Italia, l'establishment politico è stato di recente scosso dall'elezione di due grandi partiti populisti. L'Italia è un paese con un debito pubblico di 40 mila euro pro-capite e una pressione fiscale pari al 43,3 per cento del prodotto interno lordo. L'età media della popolazione ne fa il terzo Paese più vecchio al mondo, insieme a un tasso di natalità tra i più bassi del pianeta, una delle età pensionabili più basse d'Europa e il più alto rapporto tra spesa pubblica per la sicurezza sociale e PIL del mondo occidentale. L'Italia è inoltre un paese in cui le pensioni rappresentano un terzo di tutta la spesa pubblica e in cui la percentuale dei pensionati rispetto ai lavoratori passerà dal 37 per cento di oggi al 65 per cento nel 2040 (da 1 su 3 a 2 su 3).

Una sfida islamista a questa società stanca e decadente potrebbe essere decisiva. Solo la popolazione cristiana dell'Europa è sterile e invecchia. La popolazione musulmana è fertile e giovane. "Nella maggior parte dei paesi europei – tra cui Inghilterra, Germania, Italia e Russia, le morti di cristiani sono state superiori alle nascite dal 2010 al 2015", scrive il Wall Street Journal.

In Europa, continueranno gli attacchi terroristici. Di recente, a Trèbes, nel sud della Francia, un jihadista ha preso degli ostaggi in un supermercato, rivendicando la fedeltà all'Isis. Sembrerebbe che le società europee si reputino così forti e la loro capacità di assorbire l'immigrazione di massa così estesa, che nulla impedirà loro di credere di poter assimilare e gestire gli atti terroristici come si fa con gli incidenti automobilistici e i disastri naturali. La stanchezza sembra essere il motivo per cui questi paesi non adottano misure significative per sconfiggere il jihadismo, come la chiusura delle moschee salafite o l'espulsione degli imam radicali.

Gli estremisti musulmani si accorgono di questo vantaggio: finché eviteranno un altro grande massacro come l'11 settembre, potranno continuare a portare via vite umane e a insidiare l'Occidente senza risvegliarlo dalla sua inerzia. Lo scenario più probabile è quello in cui tutto continua così, con la frattura interna dell'Europa, due società parallele e lo svilimento della cultura occidentale. Pezzo dopo pezzo, la società europea sembra irreparabilmente andare in rovina.

Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.


Gino Quarelo
Credo che il problema sia risolvibile incominciando a trattare l'Islam come nazismo maomettano e idolatria, quindi sottoponendolo a denuncia e critica serrata e poi promuovendo la democrazia diretta sul modello svizzero e combattendo le caste ademocratiche, irresponsabili e parassitarie. Porre come basi civili e culturali dello stato la laicità dell'uomo di buona volontà (la sua libertà e responsabilità) e i valori/doveri/diritti umani universali.




Liberiamo l'Europa dai sensi di colpa, dai miti e dai pregiudizi
viewtopic.php?f=92&t=2669

Cultura e civiltà - incultura e inciviltà
viewtopic.php?f=205&t=2675
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Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » gio set 27, 2018 5:19 am

Fede e ragione: "credo ut intelligam" e "intelligo ut credam"
di Padre Giacobbe Elia
28 giugno 2016

https://www.intelligonews.it/spirituali ... ut-credam/

Muovendoci alla ricerca della Verità Eterna “abbiamo sottoposto le religioni e i loro fondatori a tre verifiche decisive per appurare quale sia quella vera”, certi di potere riconoscere con il lume della ragione tra i tanti il volto del vero Inviato di Dio; e abbiamo considerato che Egli dev’essere stato da Dio innanzitutto preannunciato con profezie; munito della Sua conoscenza e della potenza dei miracoli, che, dominando la natura, provano la sua effettiva comunione con l’Onnipotente, e che il suo insegnamento non dev’essere contrario alla ragione umana, pur trascendendola.

L’ultimo di questi tre criteri di discernimento, che trovano soltanto in Gesù e nel suo Vangelo la loro più piena soddisfazione, è particolarmente interessante perché ha avviato quella dialettica tra fede e ragione che ha fatto dell’Occidente il semenzaio e la fucina della scienza. Questo felice processo è tutto nella celebre e vibrante ammonizione che Dante mette in bocca ad Ulisse, per incoraggiare i suoi compagni di avventura a non abbandonarlo nell’impresa di navigare oltre le colonne di Ercole, metafora del limite estremo del mondo conosciuto: «Considerate la vostra semenza: / Fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza» (Inferno, c. XXVI, vv.118–120). L’esercizio della virtù (intesa nella sua pregnanza semantica latina, come affermazione del proprio valore) e l’acquisizione della scienza sono i due grandi ideali che qualificano l’uomo occidentale, originando dalla sua stessa semenza, la sua natura privilegiata che lo distingue dai bruti. Ma Dante è un finissimo teologo e sa che è proprio della Trinità arricchire i cristiani con i doni dello Spirito Santo che vedono l’intelletto e la scienza incastonati tra la Sapienza e la pietà. Dante sa che è il credente ad aver ricevuto il dono di andare oltre, perché credere è sinonimo di oltre-passare i limiti della sola ragione.

Chiamato a conoscere e ad amare Dio, a immagine del quale è stato fatto, l’uomo nota che le molteplici perfezioni delle creature riflettono la perfezione infinita del Creatore e scopre così alcune «vie» che lo conducono alla Sua conoscenza. Queste vie, che hanno come punto di partenza la creazione, cioè il mondo materiale e l’uomo, sono dette «prove dell’esistenza di Dio», non nel senso che il termine “prova” ha nel campo delle scienze naturali, ma nel senso che queste vie offrono «argomenti convergenti e convincenti» (CCC, 31) che permettono all’uomo, con la sola ragione, di conoscere con certezza Dio come origine e fine dell’universo e come sommo bene, verità e bellezza infinita.

Sulla scorta di san Paolo che afferma che anche i pagani possono arrivare a questa conoscenza di Dio (ma non a quella della sua vita intima, che solo Gesù rivela), perché: «Ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità», sant’Agostino concludeva: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria [... e] del cielo, [...] interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode [“confessio”]. Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli [cioè contingenti], chi le ha fatte se non uno che è bello [“Pulcher”] in modo immutabile?». A ragione Victor Hugo dichiarava che «Dio è l’invisibile evidente». «Il mondo e l’uomo – insegna il CCC n. 34 - attestano che essi non hanno in se stessi né il loro primo principio né il loro fine ultimo, ma che partecipano di quell’ «Essere» che è in sé senza origine né fine». Ma «l’uomo con le sole forze della sua natura, non ha potuto conoscere bene, completamente e senza errori, tutto il complesso delle verità naturali che riguardano i suoi rapporti con Dio», anzi ha conosciuto ben poche verità religiose, mescolate, però, a confusioni, errori, incertezze e deviazioni. Ci basti pensare allo sviluppo del concetto di religione, che dal monoteismo - affermato nelle epoche primitive e conosciuto dagli Ebrei – ha virato verso il politeismo e l’antropomorfismo, che finiscono per divinizzare l’uomo e le sue passioni.

«L’uomo, nel conoscere Dio con la sola luce della ragione, incontra molte difficoltà e, senza la grazia di Cristo, non può entrare da solo nell’intimità del mistero divino». Per farlo ha assoluto bisogno della rivelazione di Dio, la sola capace di illuminarlo non solo su ciò che supera la sua comprensione, ma anche sulle «verità religiose e morali che, di per sé, non sono inaccessibili alla ragione, affinché [esse] nella presente condizione del genere umano possano essere conosciute da tutti senza difficoltà, con ferma certezza e senza mescolanza d’errore».

È necessaria la Rivelazione di Cristo perché l’uomo non confonda «il Dio “ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile” con le sue rappresentazioni umane. Le parole umane restano sempre al di qua del mistero di Dio». Questa tensione ha avviato e sostenuto il rapporto fecondo e proprio tra la Rivelazione cristiana, iniziata con l’A.T., e la scienza. La Chiesa cattolica non ha mortificato la scienza, ma l’ha vigorosamente impulsata, perché è convinta che «anche se la fede è sopra la ragione, - come insegna infallibilmente il Concilio Vaticano I - non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero». La dialettica tra fede e ragione trova la sua illustrazione classica nella sintesi di sant’Anselmo, dove il «Credo ut intelligam» trova il suo termine speculare nella «fides quaerens intellectum», per cercare di giustificare la realtà misteriosa della fede da cui muove e, così, giungere, nel rispetto del mistero ineffabile di Dio e con l’indispensabile aiuto della grazia di Cristo, all’«intelligo ut credam». La ragione – spiega sant’Anselmo - raggiunge il culmine della sua attività e autonomia quando comprende che l’oggetto a cui crede (Dio) è incomprensibile. Né può essere altrimenti, dirà Pascal.

Sant’Anselmo insegna che tra fede e ragione non c’è frattura, perché l’una e l’altra sono chiamate a operare in modo sinergico: la ragione non solo non contraddice la fede, ma si fa suo strumento. Nel Proslogion illustra chiaramente il suo metodo d’indagine, teso a rendere – per quanto è possibile – ragionevole, cioè comprensibile e accessibile, la verità rivelata:

«Io non tento, Signore, di sprofondarmi nei tuoi misteri perché la mia intelligenza non è adeguata, ma desidero capire un poco della tua verità che il mio cuore già crede ed ama. Io non cerco di comprenderti per credere, ma credo per poterti comprendere».Sant’Anselmo è un cristiano e come tale ha fiducia nella ragione donata all’uomo dal Dio che in Cristo si rivela apertamente. Egli è convinto che la fede invoca la nostra intelligenza (fides quaerens intellectum) come sua alleata, preziosa e necessaria, per illuminare e illustrare, per quanto le è possibile, i misteri rivelati (la verità rivelata) e così aiutare il credente ad aderirvi consapevolmente. Egli sa bene che l’intelligenza dell’uomo si avvilisce e si involve se rinuncia alla luce della fede. “Credo per capire”, credo ut intelligam, è la celebre formula con la quale Sant’Anselmo rivendica il primato della fede sull’impegno della ragione. È la fede a fondare e ad avviare l’investigazione della ragione (è la certezza di essere figlio che giustifica la fiducia del bambino nei confronti del padre, anche in quello che egli non può ancora ben capire), la quale con le sue spiegazioni fa comprendere e gustare il contenuto della fede, che è la verità rivelata.

Sant’Anselmo vede chiaramente sia che i misteri divini superano la ragione sia che la fede cristiana e la ragione convergono verso l’unica verità che viene raggiunta attraverso strade diverse. Non ci sono infatti due verità, ma un «duplice ordine di conoscenza» (DS 3015) che non possono tra loro entrare in contrasto perché la verità è unica11, come insegnerà anche il Conc. Vat. I.

Contro gli errori delle teorie illuministiche e razionaliste e quelle dei tradizionalisti, il Concilio Vaticano I con la Costituzione Dogmatica Dei Filius (24 aprile 1870) afferma che la fede non è un «moto cieco dell’animo», ma deve essere accompagnato dalla ragione.

«Nella teologia scolastica – ha scritto Giovanni Paolo II – il ruolo della ragione filosoficamente educata diventa ancora più cospicuo sotto la spinta dell’interpretazione anselmiana dell’intellectus fidei. Per il santo

Arcivescovo di Canterbury la priorità della fede non è competitiva con la ricerca propria della ragione. Questa, infatti, non è chiamata ad esprimere un giudizio sui contenuti della fede; ne sarebbe incapace, perché a ciò non idonea. Suo compito, piuttosto, è quello di saper trovare un senso, di scoprire delle ragioni che permettano a tutti di raggiungere una qualche intelligenza dei contenuti della fede. Sant’Anselmo sottolinea il fatto che l’intelletto deve porsi in ricerca di ciò che ama: più ama, più desidera conoscere» (Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Fides et Ratio, n. 42).

Le scienze (sia quelle naturali, dalla fisica all’astronomia, passando per la botanica e la zoologia…, che quelle umane: sociologia, psicologia, storiografia...) s’interrogano sul “come?” dei fenomeni e li descrivono, la religione invece non si accontenta d’investigare il “come?”, ma si chiede anche “perché?” dei fenomeni. E non dimentichiamo che tutti i grandi padri della scienza moderna furono grandi credenti, e che lo è anche oggi una percentuale sorprendentemente alta di scienziati. L’uomo moderno che s’illude di essere adulto e si proibisce di andare oltre il “come?” è responsabile della crisi di senso della nostra epoca, che cerca nei maestri esoterici e nelle sette le risposte alle domande più profonde dell’animo umano. Quest’atteggiamento ha fatto osservare a Malcolm Muggeridge (1903-1990): «Sappiamo così tanto! E capiamo così poco!». «La scienza descrive. Ma la Bibbia spiega. Al vertice, si riuniscono in una sola verità», recita un celebre detto.

André Frossard13 (1915–1995), il noto scrittore francese eletto all’Académie française nel 1987, ha spiegato bene che non bisogna cadere in equivoco quando si parla di “provare” l’esistenza di Dio, perché il compito della ragione consiste nel «riunire quelli che, nel diritto, si chiamano “indizi concordanti”, che salvaguardino il carattere di scommessa della fede e al contempo non rendano il credente irragionevole».

La dialettica tra fede e ragione è alla base della civiltà occidentale, ma anche del suo benessere. Uno dei più illustri sociologi del mondo Rodney Stark, specializzato in sociologia della religione e uno dei maggiori esponenti della teoria della “scelta razionale” e dal 2004 co-direttore dell’istituto di studi religiosi alla Baylor University (Texas), dopo aver insegnato per 32 anni all’Università di Washington, conclude uno dei suoi libri di maggior successo con il resoconto di un “intellettuale cinese”: «Una delle cose che ci è stato chiesto di indagare è che cosa ha permesso il successo, o meglio, il primato dell’Occidente su tutto il resto del mondo. Abbiamo studiato tutte le possibilità da un punto di vista storico, politico e culturale. All’inizio abbiamo pensato che fosse perché voi avevate armi più potenti delle nostre. Poi abbiamo ritenuto che voi aveste un sistema politico migliore. Poi ci siamo concentrati sul vostro sistema economico. Ma negli ultimi vent’anni abbiamo compreso che il cuore della vostra cultura è la vostra religione: il cristianesimo. Ecco perché l’Occidente è così potente. Le basi morali cristiane della vita sociale e culturale sono state ciò che ha permesso l’emergere del capitalismo e poi la riuscita transizione verso politiche democratiche. Non abbiamo alcun dubbio in proposito» (Rodney Stark, La Vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza, Lindau, Torino 2006).

Desidero concludere con la preghiera di un grande scrittore e giornalista francese, premio Nobel per la letteratura nel 1952; vincitore del Grand Prix du Roman, fu anche membro dell’Académie française, giornalista e critico letterario per Le Figaro e decorato con la Legion d’onore, François Charles Mauriac (1885–Parigi 1970): «“Nessuno va al Padre se non per me”. Se non avessi conosciuto il Cristo, Dio sarebbe per me una parola vuota di senso, l’Essere infinito per me sarebbe stato inimmaginabile, impensabile. È stato necessario che Dio entrasse nell’umanità e che, a un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano fatto di carne e di sangue pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi gettassi in ginocchio. Se il Cristo non avesse detto: «Padre Nostro...» io non avrei mai avuto da me stesso il senso di questa filiazione, questa invocazione non sarebbe mai salita dal mio cuore alle mie labbra» (F. Mauriac).

David Aikman, corrispondente estero di lungo corso di “Time”, in un suo libro, pubblicato solo pochi anni fa, dedicato al vertiginoso sviluppo economico della Cina e al crescente numero di conversioni al cristianesimo in quello sterminato paese, che ben conosceva, riporta il dialogo di un brillante studioso della “Chinese Academy of Social Sciences “ (CASS) di Pechino, con un gruppo di giovani americani: “una delle cose che ci è stato chiesto di indagare è che cosa ha permesso il successo, o meglio, il primato dell’occidente su tutto il resto del mondo. Abbiamo studiato tutte le possibilità da un punto di vista storico, politico, economico e culturale. Al’ inizio abbiamo pensato che fosse perché voi avevate armi più potenti delle nostre. Poi abbiamo ritenuto che voi aveste un sistema politico migliore. Poi ci siamo concentrati sul vostro sistema economico. Ma negli ultimi venti anni abbiamo compreso che il cuore della vostra cultura è la vostra religione: il cristianesimo. Ecco perché l’occidente è così potente. Le basi morali cristiane della vita sociale e culturale sono state ciò che ha permesso l’emergere del capitalismo e poi la riuscita transizione verso politiche democratiche. Non abbiamo alcun dubbio in proposito”.

Un’affermazione del genere, ripetuta oggi, in Italia e in Europa, rischierebbe di essere totalmente ignorata o, peggio, ridicolizzata. Siamo talmente bombardati di luoghi comuni che dipingono il pensiero cristiano come oscurantista, retrogrado e nemico della ragione che una tale idea risulti quasi improponibile. Una cappa di pensiero unico si è imposta negli ambienti degli “intellettuali” alla moda, che sbeffeggiano tutto ciò che sia in qualche maniera riconducibile al cristianesimo, rifacendosi in nome della cultura, della modernità e del progresso, alla assoluta contrapposizione fra società laica e religiosa. La storiografia positivista ottocentesca, continua ancora oggi a proporre libri di testo che descrivono il “Medio Evo” non come la culla delle future glorie dell’occidente ma come epoca buia, inneggiando piuttosto al “secolo dei lumi” e alle grandi “rivoluzioni”. E così scuola, stampa e comunicazione in generale, fanno da cassa di risonanza talmente potente che oggi pare impresa impossibile affermare che no, non è vero! Anzi è esattamente il contrario: se la scienza, la libertà e il progresso si diffusero in occidente e ne decretarono l’incredibile sviluppo il merito è stato essenzialmente del cristianesimo e della sua irremovibile fiducia nella ragione.

Noi, che del Segno più grande del cristianesimo portiamo il nome, proveremo a ripercorrere le tappe di questo straordinario sviluppo della nostra civiltà, fondata proprio su quelle radici, rifacendoci alle opere di Rodney Stark, da molti considerato il più grande sociologo delle religioni vivente. 80 anni compiuti lo scorso luglio, docente alla Baylor University (Texas), oltre 30 libri, tradotti in 15 lingue, il suo è un approccio originale e intriso di quel sano pragmatismo americano, come ci rivela questa intervista rilasciata in occasione della presentazione del suo “Il Trionfo del Cristianesimo. Come la religione di Gesù ha cambiato la stora dell’uomo ed è divenuta la più diffusa al mondo”, nel 2012. Secondo Stark è stata la “convenienza umana” della proposta cristiana a risultare “vincente” ieri e oggi, nei diversi contesti: «l’impegno del primo cristianesimo alla misericordia è stato tanto capace di mitigare la sofferenza al punto che i cristiani vivevano pure più a lungo dei loro fratelli pagani […] si facevano carico di chi era ammalato, di quanti erano vecchi, di chi era in condizioni di povertà. Con il risultato che essi erano capaci di sopravvivere più lungo nei momenti difficili».

Inoltre, a proposito delle donne: «le donne cristiane vivevano meglio delle loro pari grado pagane: ad esempio, si sposavano ad un’età più matura, i loro mariti erano più fedeli rispetto a quelli non cristiani, gli uomini non divorziavano e le mogli non dovevano far fronte ai pericoli di aborti, una pratica molto diffusa tra i pagani del tempo. Per questo, al di là di aspetti più prettamente spirituali, i cristiani conducevano una vita decisamente più attraente rispetto ai non cristiani».

Le donne cristiane insomma godevano di uno status più alto rispetto alle donne del mondo greco-romano, osserva Stark, i cristiani promossero il matrimonio, combatterono la poligamia, la schiavizzazione e lo sfruttamento sessuale e proibirono la pratica dell’infanticidio, dell’aborto (che spesso veniva esercitato proprio nei confronti della nascita delle bambine). Questi elementi insieme al culto di Maria, fecero sì che nelle comunità cristiane, fin dall’inizio ci fu una prevalenza numerica delle donne e questo fu decisivo per la loro crescita demografica. In sostanza una serie di osservazioni che ci aspetteremmo uscire dai testi di Storia della Dottrina Sociale della Chiesa, mentre invece provengono da un laicissimo sociologo statunitense, di famiglia luterana, pervenuto alla Fede proprio grazie ai suoi studi e alla sua onestà intellettuale. Per comprendere bene il pensiero scientifico di Stark, riteniamo di fondamentale importanza il libro “La vittoria della ragione”, la cui prima edizione tradotta in italiano appare nel 2006 preso le edizioni Lindau. Il punto di partenza del testo è il seguente: quando iniziarono a esplorare il mondo, le sorpresa più grande per gli europei non fu l’esistenza dell’emisfero occidentale ma la scoperta del loro grado di superiorità tecnologica rispetto alle altre società. A soccombere di fronte alla superiorità degli invasori europei non furono solo maya, azteca e inca ma anche le leggendarie civiltà orientali: Cina, India, e persino l’Islam erano arretrati in confronto all’Europa del XVI secolo. Com’era accaduto? Come avevano fatto quelle nazioni sorte dalla barbarie e dalle rovine della caduta di Roma a superare il resto del mondo?

La risposta più convincente per spiegare questo predominio, secondo Stark, consiste nell’ascesa del capitalismo, inteso come la massima applicazione dell’intelletto umano al commercio. Un fenomeno che si verificò solo in Europa, proprio grazie a quella “fede” straordinaria nella ragione che è fondamento non solo del progresso tecnologico ma di tutto l’Occidente.

Quale sia stato il ruolo del cristianesimo in questa “vittoria della ragione” per l’autore è evidente. E’ la sola religione a privilegiare l’utilizzo della ragione e della logica come guida principale verso la verità. Mentre altri culti nel mondo enfatizzavano il mistero e l’illuminazione, i cristiani, influenzati dalla filosofia greca, insegnarono fin da principio che la ragione era il dono più grande che Dio avesse offerto agli uomini e lo strumento per accrescere progressivamente la comprensione delle Sacre Scritture. Il cristianesimo in sostanza guarda verso il futuro e la fede nel potere della ragione, incoraggiato dalla Scolastica e dalle grandi università medievali, pervade la cultura occidentale stimolando le scienze e l’evoluzione della teoria e della pratica democratica. Il capitalismo è anch’esso una vittoria della ragione ispirata dalla Chiesa e nasce proprio per la prima volta al’interno delle grandi proprietà monastiche.

Insomma questa di Stark è una vera rivoluzione copernicana sull’origine della nostra civiltà e ribalta definitivamente anche la famosa teoria di Max Weber secondo cui è l’etica protestante a fondare lo spirito del capitalismo. Niente di tutto questo: molto tempo prima della Riforma il capitalismo aveva già creato ricchezza e benessere. Specie dove maggiormente avevano attecchito le idee di libertà e di uguaglianza proclamate dalla Chiesa. Aveva certamente ragione Weber, invece, nel sostenere che le idee religiose avessero giocato un ruolo fondamentale nella nascita dell’Europa. La sua ascesa si fonda infatti su quattro principali “vittorie” della ragione. La prima fu lo svilupparsi nella teologia cristiana della fede nel progresso. La seconda fu la traduzione in pratica di questa fede con le innovazioni tecniche e amministrative. La terza fu che, grazie alla teologia, la ragione pervase la filosofia e la prassi politica favorendo nell’Europa Medievale la diffusione di una certa libertà personale. L’ultima vittoria fu l’applicazione della ragione al commercio, evidente nella nascita del capitalismo all’interno di stati dinamici e sicuri.….



Fede naturale e fede religiosa
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Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » ven giu 19, 2020 12:45 pm

Perché l'Illuminismo non è solo l'età del freddo esercizio della ragione

https://youmanist.it/categories/cultura ... FLv_O1Bz_w

Dal vostro lato dell’Atlantico, gli intellettuali stanno lanciando un appello alle armi: la cittadella della scienza, dei fatti e delle politiche basate sui fatti è sotto assedio, e ha bisogno di essere difesa, dicono. Questi cavalieri bianchi del progresso – come ad esempio lo psicologo Steven Pinker e il neuroscienziato Sam Harris – condannano l’apparente risorgimento della passione, delle emozioni e delle superstizioni in campo politico. Il fondamento della modernità, ci dicono, è la capacità umana di piegare le forze distruttive con il solo ragionamento; quello di cui abbiamo bisogno, quindi, è una riedizione dell’Illuminismo, ora.

Sorprendentemente, l’immagine rosea che ci viene offerta di questa “Età della ragione” è molto simile a quella descritta dai suoi detrattori più ingenui. L’interpretazione negativa dell’Illuminismo parte dalla filosofia di Hegel e arriva alla teoria critica della scuola di Francoforte, nella metà del Ventesimo secolo. Questi pensatori riscontravano un errore fondamentale nel pensiero Occidentale, ovvero quello di stabilire un’equazione diretta tra razionalità e scienza positivista, sfruttamento capitalista e dominazione della natura – Max Horkheimer e Theodor Adorno arrivarono addirittura a collegare razionalità con il Nazismo e l’Olocausto.

Ma posto che l’Illuminismo è stato un movimento guidato dalla ragione, in opposizione alle passioni, i suoi apologeti, così come i suoi critici, rappresentano semplicemente due lati della stessa medaglia. Il loro errore condiviso è proprio ciò che rende il cliché dell’età della ragione così pervasivo ed efficace.

Le passioni – gli affetti, i desideri, gli appetiti del corpo – sono i predecessori della moderna concezione delle emozioni. Già a partire dagli stoici, la filosofia ha generalmente guardato alle passioni come a una minaccia per la libertà del singolo: i deboli ne sono schiavi, i forti riescono a far prevalere la loro ragione e la loro volontà, e dunque restano liberi. Il contributo dell’Illuminismo è stato quello di aggiungere la scienza a questo quadro, e accostare la superstizione religiosa alla concezione di schiavitù della passione.

Tuttavia, dire che l’Illuminismo è stato un movimento razionalista contro la passione, il movimento della scienza contro la superstizione, delle politiche progressiste contro il conservatorismo tribale è profondamente sbagliato. Questo genere di affermazioni non riflettono le sfaccettature dell’Illuminismo stesso, che ha saputo dare valore anche il ruolo della sensibilità, del sentimento e del desiderio.

L’Illuminismo è iniziato con la rivoluzione scientifica del Diciassettesimo secolo, ed è culminato con quella francese della fine del Diciottesimo. Hegel, all’inizio del 1800, è stato il primo ad attaccarlo, sostenendo che il soggetto razionale concepito da Immanuel Kant – il filosofo illuminista par excellence – ha prodotto cittadini alienati, privati della passione e estraniati dalla natura. E il razionalismo del Regime del Terrore che è seguito alla rivoluzione francese ne è la logica conseguenza.

Tuttavia, l’Illuminismo è stato un fenomeno piuttosto diversificato; la maggior parte della sua filosofia era lontana da quella kantiana, e ancora di più dalla lettura hegeliana della filosofia di Kant. La verità è che Hegel e i romantici del Diciannovesimo secolo, che credevano di essere mossi da un nuovo spirito di bellezza e sentimento, hanno riassunto l’età della ragione” in modo da renderla adatta alla loro stessa identità. Il soggetto kantiano era un uomo perso, così come il dogmatico razionalismo dell’Illuminismo.

In Francia, i philosophes erano sorprendentemente entusiasti delle loro passioni, ma anche profondamente sospettosi nei confronti delle astrazioni. Piuttosto che aggrapparsi alla ragione come unico mezzo per contrastare l’errore e l’ignoranza, l’Illuminismo francese enfatizzava il sentire. Molti pensatori dell’Illuminismo erano per una versione polifonica e malleabile della razionalità, che fosse conciliabile con le particolarità della sensazione, dell’immaginazione e dell’incarnazione. In opposizione all’introspettività dei filosofi speculativi – Cartesio e i suoi seguaci erano spesso soggetti a critiche – i philosophes si sono rivolti all’esterno e hanno portato allo scoperto il corpo come punto di contatto passionale con il mondo. Si può persino dire che l’Illuminismo francese ha provato a produrre una filosofia senza ragione.

Per il filosofo Étienne Bonnot de Condillac, per esempio, non aveva senso parlare della ragione come di una “facoltà”. Tutti gli aspetti del pensiero umano partono dai sensi, diceva, specialmente l’abilità di riconoscere e tendere verso sensazioni piacevoli mentre si schivano quelle dolorose. Questi impulsi hanno dato vita alle passioni e ai desideri, quindi allo sviluppo del linguaggio nelle sue varie forme e alla completa prosperità della mente umana.

Per evitare di cadere nella trappola della falsa articolazione linguistica, e per rimanere il più vicino possibile all’esperienza sensoriale, Condillac sosteneva la superiorità degli idiomi positivi rispetto a quelli più evoluti o complessi, che si basano su idee astratte. Per Condillac la razionalità ha richiesto alle società di sviluppare metodi più “naturali” di comunicare. Questo significa che la razionalità doveva essere necessariamente plurale, non universale, e presentava variazioni da luogo a luogo.

Un’altra figura totemica dell’Illuminismo francese è stato Denis Diderot, meglio conosciuto come l’autore dell’ambiziosa Encyclopédie (1751-1772). Diderot scrisse molti articoli sovversivi e ironici – una strategia atta principalmente a evitare la censura – ma non spiegò mai la sua filosofia attraverso trattati astratti. Così come Voltaire, Jean-Jacques Rousseau e il Marchese de Sade, Diderot era un maestro della novella filosofica (così come della narrazione pornografica e sperimentale, della satira e della critica dell’arte). Un secolo e mezzo dopo René Maigritte realizzò l’iconica opera The treachery of images (1928-29) con la scritta “Ceci n’est pas une pipe”; Diderot aveva scritto una breve storia chiamata Ceci n'est pas un conte (Questa non è una storia).

Diderot credeva nell’utilità della ragione nella ricerca della verità – ma aveva anche un certo entusiasmo per le passioni, in particolare quando si trattava di moralità ed estetismo. Come alcune delle figure centrali dell’Illuminismo scozzese, per esempio David Hume, Diderot credeva che la moralità fosse fondata sull’esperienza sensoriale e che il giudizio etico fosse strettamente allineato, persino indistinguibile, rispetto al giudizio estetico. Giudichiamo la bellezza di un dipinto, di un panorama o del volto di un amante esattamente come giudichiamo la morale di un personaggio di un romanzo, di uno spettacolo teatrale o della nostra stessa vita. Ciò implica che giudichiamo il bello e il buono in maniera diretta, senza la mediazione della ragione. Per Diderot, quindi, eliminare le passioni potrebbe produrre degli abomini. Una persona che non abbia la capacità di essere colpita dalle cose, per assenza di passione o dei sensi, sarebbe un mostro immorale.

In questo senso l’illuminismo ha celebrato la sensibilità e il sentimento, senza però rigettare la scienza, anzi. L’individuo più sensibile era considerato il più acuto osservatore della natura. L’esempio archetipo di questo era il medico, in armonia con i ritmi del corpo dei pazienti e con i loro sintomi. Al contrario, è colui che costruisce un sistema speculativo il vero nemico della scienza – come ad esempio il fisico cartesiano che vede il corpo come una mera macchina, o coloro che pensano di aver imparato la medicina leggendo Aristotele e non osservando i malati. Quindi, il sospetto filosofico nei confronti della ragione non era dettato da un rifiuto della razionalità per se; si trattava semplicemente di un rifiuto dell’isolamento dai sensi, dell’alienazione del corpo privo di passioni. In questo, i philosophes erano in realtà molto più allineati con i Romantici di quanto i loro successori amassero credere.

Generalizzare su un movimento intellettuale è sempre pericoloso. L’Illuminismo ha presentato delle caratteristiche distinte in base al Paese, e persino in una singola nazione non era un blocco monolitico di pensiero. Alcuni hanno sì invocato una dicotomia a tenuta stagna tra ragione e passioni, così come il privilegio del ragionamento a priori sulla sensazione – primo tra tutti Kant. Ma da questo punto di vista lo stesso Kant era isolato rispetto ad alcuni, se non la maggior parte, dei suoi contemporanei. Specialmente in Francia, la razionalità non era considerata in opposizione alla sensibilità, ma come un continuum. Il Romanticismo è stato per molti un prosieguo dei temi dell’Illuminismo, non una rottura con essi.

Se oggi vogliamo guarire le lacerazioni che si sono create in questo momento storico, dovremmo abbandonare l’idea che la ragione sia mai stata predominante. Il presente merita certamente delle critiche, ma queste sono inutili se sono basate sul mito di un freddo passato glorioso che non è mai esistito.

Articolo di Henry Martyn Lloyd (tradotto da Aeon)
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Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » ven giu 19, 2020 12:46 pm

Yom Kippur: anche il caso è nelle nostre mani?
Rav Scialom Bahbout
21 Settembre 2015

https://www.progettodreyfus.com/yom-kip ... 8_fdmkUPSM

Uno degli aspetti del servizio che il Gran Sacerdote faceva il giorno di Kippur era quello di scegliere due capri identici e poi estrarre a sorte quale doveva essere sacrificato al Tempio in onore del Signore e quale doveva andare ad Azazel, cioè condotto in un luogo impervio, dove sarebbe morto precipitando da una rupe.

Al di là delle molte domande che pone questa procedura, due mi sembrano particolarmente importanti. La prima, perché i capri dovevano essere identici dato che assolvevano a funzioni diverse e subivano sorti diverse? Una possibile risposta a questa domanda è forse questa: se il capro simboleggia l’uomo, allora questo vuole dirci che in linea di principio ognuno parte dalle stesse condizioni iniziali e ha le stesse opportunità, ognuno può essere il “capro per il Signore” o il “capro per Azazel” e non dobbiamo pensare che anche a noi non potrebbe toccare la sorte di cadere nelle mani di Azazel. Quindi potremmo dire che il destino è nelle nostre mani, ma il sorteggio sembra escludere questa possibilità tranquillizzante. Infatti noi siamo abituati a pensare che il sorteggio sia dovuto solo al caso.

Ora sappiamo che uno dei punti centrali nella contrapposizione tra pensiero ebraico e pensiero greco è proprio il fatto che i greci credevano nel caso, come qualcosa che era al di fuori della volontà degli dei, mentre per il pensiero ebraico “Tutto è previsto, ma il libero arbitrio è dato”. La libertà è l’idea fondamentale che ritorna in tutte le feste ebraiche ed è quella che rende l’uomo simile a Dio, libero creatore. L’idea che anche la Divinità sia sottoposta al fato è un retaggio dell’idolatria e della cultura greca. L’idea che una parte di ciò che accade sia dovuta al caso è uno degli elementi che caratterizza gran parte del pensiero moderno.

Ora il sorteggio dei capri avviene in un contesto in cui tutto è invece dovuto alle scelte libere che l’uomo può fare e cioè osservare la legge oppure distaccarsene. Probabilmente l’inserimento del sorteggio nell’ambito del giorno destinato alla Teshuvà ci vuole dire che anche ciò che a noi sembra dovuto al caso è in definitiva una conseguenza delle nostre scelte.

In sintesi questo è il messaggio che ci arriva da Yom Kippur: ognuno può divenire “capro per il Signore” o “capro per Azazel” e sta a lui creare le condizioni ambientali per le scelte che guideranno il suo futuro.


Alberto Pento
Il caso è fuori dal controllo umano ma non di Dio e se gli dei non hanno il contrallo del caso o fato significa che sono più simili all'uomo che a Dio a cui nulla sfugge.
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Re: Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede

Messaggioda Berto » ven giu 19, 2020 12:47 pm

Storia. Così il Medioevo cristiano ha posto le basi della scienza
ANTONIO GIULIANO
venerdì 10 luglio 2015

https://www.avvenire.it/agora/pagine/medioevo-

«Mille anni vissuti dall’uomo senza che abbia espresso niente di bello? A chi si vuole darlo a credere?». Così Régine Pernoud già nella prima metà del Novecento attaccava la leggenda nera che da secoli squalifica il Medioevo. La storica francese fu tra le prime voci a firmare libri controcorrente (come Luce del Medioevo, ripubblicato da Gribaudi). Ma mai come in questo caso il pregiudizio è duro a morire. Basta oggi sbirciare la cronaca per riscontrare come 'medievale' sia tra gli aggettivi più gettonati per denigrare qualcuno. Per non parlare poi di certi manuali scolastici. Eppure un testo da poco tradotto anche in italiano La genesi della scienza di James Hannam (a cura di Maurizio Brunetti) smonta uno per uno i luoghi comuni più diffusi. Fisico, storico e filosofo della scienza a Cambridge, Hannam sfodera un volume poderoso e scorrevole, scritto con punte di ironia britannica. «Il Medioevo è stato un periodo di enormi progressi in ambito scientifico, tecnologico e culturale», scrive. I mille anni che vanno dalla caduta dell’impero romano (476) al 1500 sono stati decisivi in ogni campo. Ma soprattutto «il Medioevo ha posto le basi per la scienza moderna». In barba alla condanna illuminista, il fisico britannico ricorda come la Chiesa non abbia mai appoggiato l’idea che la Terra fosse piatta, né abbia mai bandito la dissezione umana o l’introduzione del numero zero.
Hannam con sarcasmo non si stanca di ripetere: «I Pontefici non hanno vietato nulla, né hanno scomunicato qualcuno per la cometa di Halley. Nessuno è stato mai bruciato sul rogo per le sue idee scientifiche. Eppure, tutte queste storie sono ancora tirate fuori come esempio di intransigenza clericale verso il progresso scientifico ». Ma anzi la Chiesa cattolica, argomenta Hannam dati e fonti alla mano, è stata il principale sponsor della ricerca scientifica. L’ha fatto proprio in virtù di quell’approccio che distingue il cristianesimo dalle altre tradizioni culturali e religiose. Se la scintilla del progresso scientifico si accese nell’Europa cristiana medievale è proprio perché «attraverso la natura l’uomo poteva imparare qualcosa del suo Creatore», il quale era «coerente e non capriccioso ».

Del resto, fa notare l’autore, il termine 'scienziato' nacque nel 1833 alla British Association for the Advancement of Science: «Prima d’allora nessuno ne aveva avvertito la necessità. Solo nel secolo XIX la scienza era diventata una disciplina autonoma, separata dalla filosofia e dalla teologia». È venuto il momento di chiedersi se il vero 'Rinascimento' non sia stato nel XII secolo, quando ad esempio nacquero le università. Scoprire nella natura l’impronta del creatore fu poi anche il convincimento dei religiosissimi Copernico, Keplero, Newton e Galilei, il cui contrasto con le autorità ecclesiastiche, spiega Hannam, fu dettato più da motivi politici. La stessa rivoluzione scientifica del XVII secolo è fondata su scoperte dei secoli precedenti: la bussola, la carta, la stampa, la staffa, la polvere da sparo... Invenzioni provenienti dall’Estremo Oriente, ma gli europei le perfezionarono a livelli «incomparabilmente superiori». E gli occhiali, gli orologi meccanici, i mulini a vento, gli altiforni? «Obiettivi e apparecchiature fotografiche, quasi ogni tipo di macchinario, la stessa rivoluzione industriale devono tutto a inventori del Medioevo. Non conosciamo i loro nomi, ma non è un buon motivo per ignorare le loro conquiste». IL LIBRO James Hannam LA GENESI DELLA SCIENZA Come il Medioevo cristiano ha posto le basi della scienza moderna D’Ettoris.Pagine 494. Euro 26,90



Gino Quarelo
Non è la fede cristiana che ha promosso la scienza europea ma piuttosto la fede naturale e umana, non religiosa, dell'uomo di buona volontà. Il libero pensiero è altro dalla fede religiosa ed alberga in ogni uomo, anche in chi ha fede religiosa a meno che non sia una fede che ostacola il libero pensiero come quella nazi maomettana.
Non è la fede religiosa in un dio che porta l'uomo a sviluppare la scienza, la conoscenza scientifica, ma è la sua natura umana che attraverso l'esperienza genera la conoscenza, poi la scienza moderna si sviluppa attraverso l'esperienza riproducibile nei laboratori, questo processo naturale accompagna la vita di tutte le creature e dell'uomo da quando esse esistono e fa parte della vita, non è un portato indotto dalla rivelazione/fede religiosa.

Certo ma non è sta la Chiesa cattolico romana in sé e la fede cristiana a promuovere la scienza, il pensiero scientifico, la ricerca, lo studio, la fame di conoscenza, la curiosità umana, l'esperienza.

L'articolo parla di Medioevo, ossia di un periodo storico preciso che è caratterizzato non solo dall'elemento cristiano, ma anche dal pensiero non religioso che si continua dall'antichità e che prescinde dalla fede religiosa.


Un esempio del libero pensiero è Ipazia uccisa da demenziali cristiani, ancora in epoca romana:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ipazia



Se fosse la fede e la religiosità cristiana e più specificatamente la vita religiosa del clero, di coloro che si sono consacrati alla religione più degli altri e che la vivono pienamente, quotidianamente, intensamente, a produrre la scienza avremmo i conventi, i seminari, gli istituti religiosi e le chiese fonti primarie della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche e la maggior parte degli scienziati, degli inventori, dei ricercatori sarebbero religiosi, in realtà non è mai stato così e lo si è visto chiaramente quando nei primi secoli del secondo millennio le università scientifiche si sono formate lontano dai centi culturali legati alla chiesa, al clero e alla tecologia.

Gli ingegneri, gli architetti, i medici, gli astronomi, gli innovatori linguistici e letterari, ecc. dal mille in poi furono prevalentemente non religiosi: Dante, Leonardo Da Vinci, Copernico, Galileo, Claudio Tolomeo, Cartesio, Leon Battista Alberti, Paracelso, Francesco Bacone, Pascal ... .
Non confondiamo gli ammanuensi e i traduttori dal greco, dall'ebraico, dall'arabo, dei monasteri con gli scienziati e la ricerca scientifica delle università e di altri centri di ricerca.

Uno studioso filosofo e prete fu Ruggero Bacone
https://it.wikipedia.org/wiki/Ruggero_Bacone
In precedenza i centri istituzionali del sapere erano tutti legati alla Chiesa cristiana e al suo potere temporale, per accedere a queste scuole/università era d'obbligo farsi prete o monaco e studiare teologia.

Università di Padova
https://it.wikipedia.org/wiki/Universit ... _di_Padova
La prima registrazione notarile di una regolare organizzazione universitaria patavina (lo Studium Patavinum, già esistente) risale al 1222, quando un gruppo di studenti e professori migrarono dall'Università di Bologna alla ricerca di una maggiore libertà accademica, anche se è certo che scuole di diritto e medicina con studenti di varie nazioni esistevano a Padova da qualche secolo prima del 1222. Non essendo nata ex privilegio, è impossibile definire una data precisa di fondazione dell'Università, dunque il 1222 è considerato convenzionalmente l'anno di fondazione dell'Università di Padova; in questa data per la prima volta, in un atto notarile della città, si nomina con precisione lo Studio Patavino (quindi già esistente).
Inizialmente esisteva come Universitas Iuristarum, che impartiva insegnamenti di diritto civile e diritto canonico, ma già attorno al 1250 iniziò l'insegnamento della medicina e delle arti

Università di Bologna
https://it.wikipedia.org/wiki/Universit ... di_Bologna
Nonostante i primi statuti universitari risalgano al 1317, data della prima edizione nota dello statuto dell'Università dei Giuristi, già all'XI secolo risalirebbe lo Studium, una fiorente scuola giuridica. Nel 1888, una commissione presieduta da Giosuè Carducci fissò convenzionalmente l'anno di fondazione al 1088, accogliendo le ipotesi di alcuni storici; il fondatore viene considerato Irnerio, morto presumibilmente dopo il 1125.

Irnerio
https://it.wikipedia.org/wiki/Irnerio
Irnerio (in latino Irnerius o Wernerius, di origini germaniche soprannominato anche Theutonicus; 1060 – 1130) è stato un giurista, accademico e glossatore medievale italiano che nell'Università di Bologna, in cui era magister e di cui è considerato uno dei fondatori (Scuola di Diritto), riportò in auge i testi legislativi giustinianei appena riscoperti e su cui si stava propagando un diffuso interesse.


Il filone scientifico in Europa si continua dalla preistoria, senza interruzione, indipendentemente dalla religiosità delle varie epoche italica-celtica-etrusco-venetica preromana, greco-romana, germanica.
Il fatto che a partire dal secondo secolo del secondo millennio gli scienziati fossero quasi tutti o prevalentemente non religiosi, non appartenenti al clero dimostra proprio come la scienza appartenga a un filone culturale indipendente dalla religione.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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