Trump, schiaffo ai rossi: istituisce il "giorno per le vittime del comunismo"Luca Romano - Mer, 08/11/2017
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tru ... 60845.htmlDonald Trump istituisce la giornata in ricordo delle vittime del comunismo proprio nel giorno dell'anniversario della rivoluzione bolscevica
Più chiaro di così non poteva essere: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di istituire una giornata nazionale in ricordo delle vittime del comunismo. E come data ha scelto proprio il 7 novembre, giorno in cui, nel 1917, i bolscevichi hanno dato il via alla rivoluzione russa.
Per rimarcare ulteriormente il valore simbolico del proprio gesto, l'inquilino della Casa Bianca ha scelto di farlo proprio nel centesimo anniversario di quell'avvenimento storico foriero di sviluppi così decisivi per la storia della Russia e di tutto il mondo. Storia di lutti e di morte, come dovunque il comunismo è andato al potere con la violenza.
Durante il viaggio in Asia - e precisamente alla vigilia della visita in Cina - Trump ha dichiarato che "durante il secolo scorso, i regimi totalitari comunisti nel mondo hanno ucciso più di 100 milioni di persone e ne hanno sottomesse molte di più a sfruttamento, violenza e devastazione indicibile".
"Oggi noi ricordiamo quanti sono morti e quelli che continuano a soffrire sotto il comunismo - ha aggiunto il presidente senza timore di conseguenze diplomatiche con gli strategici interlocutori cinesi - Dobbiamo far brillare la luce della libertà per tutti quelli che aspirano a un futuro più libero e più radioso".
La gita dei nostalgici comunisti Tutti a Mosca per la RivoluzioneTony Damascelli
Mer, 08/11/2017
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 60719.htmlI compagni si sono ritrovati tutti come quel giorno di cento anni fa. Cantando e marciando con il pugno chiuso verso la Cattedrale del Salvatore sul Sangue Versato a San Pietroburgo, la chiesa che venne eretta nel luogo dove venne ammazzato lo zar Alessandro II e ancora il treno di Lenin e la stazione ferroviaria Finlyandsky, dove Lenin tornò dopo l'esilio, e la fermata della metropolitana Gorkouskaya, dedicata allo scrittore Gorky, il palazzo museo della politica Kshesinskayaj e poi a Mosca, il Cremlino, la piazza Rossa, siti di nostalgia e di fede, falce e martello, la barba di Lenin e il suo copricapo agitato nell'aria gelida di novembre, poi i baffoni di Stalin e, ancora a San Pietroburgo, il museo galleggiante dell'incrociatore Aurora dal quale partì il colpo di cannone che segnò la conquista del Palazzo d'Inverno.
Fedeli nel secolo, i comunisti di ogni dove, si sono visti, rivisti, conosciuti e riconosciuti, infine radunati, venendo da Cuba e dal Vietnam, dalla Corea del Nord e dalla Cina, Paesi dove la rivoluzione ha lasciato segni e sogni, eroi e vittime ma nel silenzio e con la propaganda che si deve ai regimi, tutti ma quelli di estrema sinistra con il privilegio particolare. Vladimir Putin si è tenuto alla larga da bandiere e icone, lontano dai cortei, dagli altri siti delle celebrazioni, niente falce e martello, fine di un'epoca, non della storia, la nuova Russia non dimentica ma evita il ricordo drammatico. I morti si contano, non si cancellano con la propaganda ma la memoria cerca di onorarli diversamente. In contemporanea ai cortei nostalgici, l'altra Mosca ha celebrato, con la consueta parata, i 76 anni della marcia dell'Armata Rossa che, il 7 novembre del '41, partiva verso il fronte per opporre resistenza al nemico. Sul fronte russo contemporaneo si sono presentati i nostalgici comunisti nostrani, di ogni sezione e cellula, Rifondazione, Pci, Pc dei lavoratori, con a capo, si fa per dire, Marco Rizzo e con lui Maurizio Acerbo, Marco Consolo, Mauro Alboresi, ultimi bolscevichi, in verità menscevichi, non più maggioranza ma ormai minoranza, coda di un tempo che fu, festival malinconico dell'Unità, smarrita non soltanto nelle edicole.
Il compagno Lenin è sempre presente fra loro e nei manifesti, nei quadri, nei fogli d'epoca, ovviamente nel mausoleo, sotto una teca di cristallo, cadavere imbalsamato, monumento di se stesso, cioè di una filosofia e di un'azione politica poi devastata dai suoi successori come testimonia un sondaggio effettuato dal Levada center, un centro studi non governativo, anzi marchiato come «agente straniero». Secondo il 23% degli intervistati, Lenin ha portato il Paese sulla via del progresso e della giustizia, il 21% pensa che i successori, Stalin basta e avanza, abbiano distrutto il sogno e il 15% ritiene che Lenin abbia invece portato alla Russia morti e disgrazie. Lenin non si tocca ma c'è chi vorrebbe seppellirlo, portarlo via dalla Piazza Rossa, togliere quel macabro sito e trasformarlo in un museo perché la gente di Russia è ormai stanca delle tragedie. I nostri combattenti della falce e del martello, stimolati dal tovarisch Gennady Zjuganov, primo segretario dell'unione dei partiti comunisti, non la pensano così, sono imbalsamati, come il compagno Vladimir Ilic, sventolano idee, drappi e parole impolverate e polverose, residuati dell'altro secolo, non c'è più l'albergo Lux, dove i rivoluzionari si radunarono per l'assalto, oggi il viaggio tutto compreso, prevedeva albergo a tre stelle, escursioni con pranzo, trasferimento aeroporto-hotel-stazione, viaggio in treno Sapsan (collega ad alta velocità Mosca a San Pietroburgo, Sapsan significa «Falco» ed è la Freccia Rossa, guarda un po' le combinazioni cromatiche, delle ferrovie russe), tutto per euro 700, volo dall'Italia escluso. Non si resta più in coda per tre ore al controllo passaporti, scomparse le Zighuli si viaggia su vetture lussuose, le lampadine cimiteriali sono state sostituite con luci a cento watt, gli alberghi sono carichi di euro e dollari, il cambio al mercato nero è una barzelletta antica, così le calze di nylon e le penne bic, la mafia domina, la classe operaia spera nel paradiso in terra.
Cento anni dopo, la Russia è ancora viva, da Lenin a Putin, sempre cinque lettere in testa a tutti, il Paese rivoluzionario è rivoluzionato. Il gruppo vacanze nostalgia dei comunisti nostrani rientra ai rispettivi domicili, con il selfie di un Paese che non è più quello dei loro sogni. Sabato prossimo il Partito Comunista dei Lavoratori terrà una conferenza per il centenario della Rivoluzione di Ottobre. Il sito: Reggio Calabria. Boia chi molla.
Il comunismo vive sotto falso nomeMarcello Veneziani
8 novembre 2017
http://www.marcelloveneziani.com/artico ... falso-nomeIl 7 novembre di cent’anni fa il comunismo andò al potere a Mosca. E la storia del mondo cambiò, in peggio. Tutti celebrano da giorni la rivoluzione bolscevica, raccontano il clima e gli accadimenti di quei giorni ma nessuno ha osato fare un bilancio storico dei frutti tragici di quella Rivoluzione.
Eppure il costo umano del comunismo supera quello di ogni altro regime, movimento, evento storico e perfino delle guerre mondiali.
Ricordando giorni fa la Marcia su Roma i media si sono spinti fino alla Shoah che storicamente c’entra poco con l’Italia fascista del ’22; parlando della Rivoluzione d’ottobre invece hanno osservato l’omertà totale sui gulag, le repressioni, i massacri, il regime totalitario e tutta la storia che seguì a quella presa del potere.
Di questo e di altri Tramonti, ho dialogato ieri a Roma con Fausto Bertinotti, comunista non pentito ma mente onesta e appassionata.
Della rivoluzione bolscevica si sono registrate in questi giorni due significative rivendicazioni nostalgiche.
Da una parte Mario Tronti, lucido teorico dell’operaismo, ha elogiato in Parlamento la rivoluzione leninista mentre i suoi colleghi erano presi dalla legge elettorale e lo vedevano come un marziano. La sua nota così vistosamente stonata, così fuori luogo e fuori tempo, ha acquisito perlomeno la nobiltà della sconfitta e il valore di una testimonianza decisamente fuori moda.
Ancor peggio, sfidando la parodia, ha fatto Marco Rizzo, esponente dell’ultimo comunismo, che ha marciato su Mosca in una replica virtuale dell’assalto al Palazzo d’Inverno per onorare la memoria della rivoluzione russa.
C’è qualcosa di grottesco, di patetico ma anche di rispettabile in questi ultimi “conati sovietici” in pieno nichilismo globale. Anche se è l’esatta applicazione di una celebre massima di Marx secondo cui la storia si presenta la prima volta come tragedia e poi si ripete come farsa.
Ma come ricordare oggi il comunismo, a cent’anni dalla nascita e dopo il suo tramonto, più qualche grosso residuo come il comunismo tecno-capitalista in versione cinese? A parte la tragica contabilità delle vittime, qual è il suo bilancio storico?
Quando il comunismo va al potere e in ogni parte del mondo fallisce, si fa apparato poliziesco e regime repressivo, ovunque genera vittime e profughi: questo vuol dire che il difetto non è nelle singole realizzazioni o nei singoli artefici ma è proprio nell’essenza stessa del comunismo.
Qual è allora il vizio d’origine del comunismo che lo ha destinato a produrre ovunque catastrofi e atroci fallimenti? È la pretesa di cambiare la natura umana, il mondo, l’umanità, di sacrificare l’uomo reale all’uomo futuro che non verrà. È la contrapposizione radicale tra la società imperfetta ma reale in cui viviamo e la società perfetta dell’utopia comunista. È l’abolizione del mondo reale per far posto al mondo migliore e venturo.
Finita l’utopia e l’attesa messianica della rivoluzione salvifica, è rimasta un’eredità del comunismo: la pretesa di correggere l’umanità si è fatta politicamente corretto.
Dal PC al PC, dal partito comunista al politically correct. Quello è il viaggio di ritorno del comunismo, a cui ho dedicato un’ampia parte del mio libro Tramonti, uscito il mese scorso.
Dopo il comunismo, è venuto fuori questo canone ideologico ed etico, questo codice progressista dell’ipocrisia che risponde a una nuova lotta di classe dal sapore razzista: noi siamo i custodi, missionari e portatori del Politicamente corretto e chi non si conforma è fuori dalla modernità e dalla democrazia, dal progresso e dal consesso civile, merita disprezzo ed esclusione.
Chi non fa parte della razza illuminata del nuovo PC merita l’infamia, va cancellato o demonizzato, e se va al potere, anche democraticamente, va processato e poi scacciato.
Questa è l’eredità primaria del comunismo, della lotta di classe, della guerra finale tra il mondo migliore e il mondo reale.
Nel politicamente corretto spicca il tema dell’accoglienza. Il nuovo proletariato sono i migranti, accoglierli è la missione del comunismo prossimo venturo. O, se preferite, del catto-comunismo.
Bisogna abbattere ogni frontiera, espiantare ogni legame territoriale, non porre limiti a nessun diritto, come a nessun desiderio. È il diritto di avere diritti, separato da ogni dovere. Il rigurgito dell’utopia calpesta la realtà, la natura, i legami comunitari, l’appartenenza a una civiltà, a una nazione, a una città.
Il comunismo è morto ma le sue eredità sono molto pesanti.
Ma dove confluiscono oggi le speranze del comunismo, i miti di Gramsci, Berlinguer e Che Guevara? Convergono sulla figura di Papa Bergoglio, visto come una specie di misericordioso vendicatore del comunismo, di don Milani giunto al pontificato, di paladino dei migranti, dei poveri e come demitizzatore, se non demolitore della tradizione cattolica. Lui visto come l’antiTrump, l’anti-Curia, lui, leader delle Ong.
Su Bergoglio converge la simpatia sia dei fautori del Politically correct che i reduci del comunismo, sia gli Eugenio Scalfari che i Bertinotti. Atei sì ma papisti… I sorprendenti voltafaccia della storia.
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