Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo

Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo

Messaggioda Berto » mer ago 23, 2017 12:43 pm

LUX ISLAMICA
23 agosto 2017

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La luce palingenetica dell'Islam, illumina le menti e i cuori, soprattutto quello ardente di vecchi cultori di littori, gagliardetti, croci runiche e falci col martello. Wittgenstein avrebbe parlato di "somiglianze di famiglia".

Dall’Islam spira un’aria di novità, di fascinazione irresistibile. In passato esso era un afrodisiaco, un viagra psicologico per gli amanti della forza, dell’ordine, del sacro istituzionalizzato. Hitler ne apprezzava le virtù guerriere molto più vicine allo spirito delle Mannerbubde teutoniche, rispetto a ciò che egli poteva rinvenire in qualsiasi altra religione. Ed è un paradosso della storia, uno dei tanti, che non siano più le destre antimoderniste, se non in sacche di testimonialità criogenica, o in sporadici casi individuali vedi in Italia, Franco Cardini o Pietrangelo Buttafuoco, a subirne l’allure, ma la sinistra, soprattutto quella più radicalizzata.

La vocazione sistemica e totalitaria islamica convertirono Roger Garaudy, ex comunista duro e puro e Ilich (in onore di Lenin) Ramírez Sánchez meglio conosciuto come Carlos lo Sciacallo. Garaudy, autore di "Les Mythes fondateurs de la politique israélienne", in cui ripropose le immarcesicibili tesi dei "Protocolli dei Savi di Sion", condendole con tesi negazioniste che gli costarono cinque procedimenti penali, si convertì all’Islam nel 1982.

Carlos lo Sciacallo, pluriassassino condannato all’ergastolo, e membro attivo del FPLP, Fronte Popolare Per La Liberazione della Palestina, organizzazione che rivendicava nel marxismo-leninismo la propria matrice ideologica, a seguito della sua conversione all’Islam redasse insieme al giornalista francese Jean Michel Vernochet, "L’Islam rivoluzionario".

Dispositivo combinato di indubbia efficacia quello tra lotta armata, revolucionaria, Islam e virulento antisionismo e antiamericanismo. Quando si identifica nell’Occidente e nei suoi derivati, democrazia, liberalismo e capitalismo, il nemico da abbattere avendolo trasformato in una rapace entità imperialista e colonizzatrice, è difficile non trovarsi uniti da un afflato molto simile. Maometto e Che Guevara che danzano a braccetto.

L'ayatollah Kardini, in una recente intervista provvede a fornirci coordinate interpretative adatte:

"Ora siamo arrivati alla fase del redde rationem e l’imponente afflusso di migranti nel ricco Occidente ne è una delle espressioni più vistose. Il nemico da battere, lo ripeto, è questo ingiusto sistema economico: esso ha innegabilmente reso prospero l’Occidente, ma ha generato uno squilibrio che è ormai improcrastinabile curare, anche nel nostro stesso interesse. Invece, in Occidente, ci siamo concentrati di volta in volta su altri nemici che ci hanno distratto da quello più feroce: dapprima, tutto il male del mondo era causato dal nazismo e dal fascismo, poi, caduti quei regimi, tutte le colpe furono dell’Unione Sovietica e del comunismo; finito l’impero sovietico e il tramontato il comunismo, ora si è passati al fondamentalismo islamico (fingendo di non sapere che è stato tenuto a battesimo dalle potenze occidentali) e, più in generale, all’Islam”.

Le "distrazioni" di cui siamo stati vittima, fascismo, nazismo e comunismo ci hanno impredito di vedere il vero male, il capitalismo, la Grande Bestia occidentale. Parole che avrebbero estasiato un altro e più noto ayatollah, Ruhollah Khomeyni.

Sul "battesimo" del "fondamentalismo" da parte occidentale Kardini fa un grande torto invece al grande battezzatore originario nonchè inventore del dispositivo islamico, il Profeta stesso, il quale provvide già ampiamente nel VII secolo ad aspergere col loro proprio sangue tutti gli infedeli, gli empi miscredenti.

D'altronde come scrive Elias Canetti, "La bipartizione della massa nell'Islam è assoluta: da una parte i fedeli, dall'altra gli infedeli. Il loro destino, per sempre diviso, è di combattersi a vicenda. La guerra di religione è un sacro dovere".

Questa divisione così netta tra puri e impuri, tra male bene, è la stessa che abbagliava il Führer, il quale vedeva gli ubermenschen e gli untermenschen contrapporsi inevitabilmente in una lotta in cui avrebbero necessariamente prevalso i primi.

Estirpare il male dalla terra convertire al bene, la pensava così anche Lenin, per il quale il male assouto erano i borghesi, da sterminare "implacabilmente" essendo "i nemici della libertà".

Fedeli al credo, alla suprema Umma islamica, nazionalsociasista o proletaria, poco importa, l'importante è stringersi sodali contro il Male della Modernità così detestata dai sacerdoti della Tradizione e dalla superiore conoscenza, quella che contempla il destino dell'uomo e le leggi della Storia. Rossobrunoverdi uniti. Il verde dell'Islam risplendente.

Scrive Luciano Pellicani, "La Modernità costituisce una permanente minaccia per le tradizionali forme di vita del Dar al-Islam. Queste, per i musulmani sono di origine divina e, come tali, non possono essere oggetto di analisi critica, nè tantomeno possono essere modificate. La Sharia è la 'via' che Dio, tramite il suo Profeta, ha aperto davanti agli uomini, i quali non possono deviare da essa senza commettere un inescusabile peccato".
No, non si devia dalla luce risplendente, va seguita fino in fondo. Allāhu akbar.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » sab ago 26, 2017 7:11 am

??? Parassiti delle utopie demenziali che tanto male hanno fatto e fanno ???


Bertinotti: «Parlo da comunista ma a Rimini si dialoga come un tempo si faceva alle Feste dell’Unità»
Cesare Zapperi
19 agosto 2017

http://www.corriere.it/politica/17_agos ... 7363.shtml

«Io e Carrón siamo molto diversi ma come lui penso che siano morti i valori del 900». «La sinistra? In Italia ha smarrito il suo popolo Gentiloni è persona perbene ma interpreta il ruolo dato dalle oligarchie economiche»
Fausto Bertinotti

Fausto Bertinotti, poco più di un anno fa lei scatenò un vespaio dichiarando di guardare con molto interesse a Cl. Per chi ha una storia di sinistra è un’affermazione apparentemente sorprendente. È ancora di quest’idea?
«Intanto, lasciamo perdere la sinistra che o è evaporata o è poco significativa — spiega l’ex presidente della Camera che venerdì sarà ospite del Meeting —. Parlo da comunista e come tale, pur partendo da un punto di vista culturale e politico molto diverso, condivido l’analisi di Julián Carrón quando sostiene che sono venuti meno i valori (la giustizia sociale, l’eguaglianza) che hanno caratterizzato il Novecento. Ciò ha determinato la distruzione dell’umano».

Cl che risposta offre?
«Il comune denominatore tra chi muove dall’esperienza cristiana e chi affonda le sue radici nella storia del movimento operaio è il dialogo. Oggi il grande tema è proprio il confronto tra coloro che hanno fedi anche molto diverse».

A dispetto da chi la dipinge come un convertito, lei rivendica quindi la sua storia di comunista?
«Certo, la diversità è il sale e il nutrimento del dialogo che deve spingerci a trovare le risposte nel percorso di rinascita dell’uomo. Nessuno nega che tra noi ci siamo marcate differenze nell’analisi delle cause della crisi odierna. Ma proprio questo rende più vivo il confronto».

Il Meeting è solo un grande evento mediatico o è davvero il luogo in cui avviare il dialogo?
«È sicuramente un grande fenomeno di popolo. Vi rintraccio qualcosa che ho conosciuto nelle feste dell’Unità di un tempo. Come allora, non conta tanto quello che si dice nei dibattiti, ma il trovarsi insieme come momento costituente di un popolo».

Consiglia di andare al Meeting?
«Sì, e non solo per i dibattiti, di per sé molto interessanti, ma per quello spirito di condivisione che non si ritrova più da nessun altra parte».

Nemmeno a sinistra?
«La sinistra politica ha smarrito il suo popolo. Soprattutto in Italia. Non a caso qualche giorno fa Le Monde ha dedicato il titolo di prima pagina e due pagine interne alla crescita della sinistra radicale parlando di mezza Europa ma trascurando completamente il nostro Paese».

La «nuova» Cl sembra aver staccato il cordone ombelicale con la politica.
«E ha fatto benissimo. Per loro è stato salvifico. Cl è passata dentro il tormento del rapporto con il potere e ne sta traendo un insegnamento: meglio starne alla larga. Specie quando, come oggi, il potere istituzionale è corruttore».

Il Meeting si apre con l’intervento di Gentiloni. Come giudica la sua esperienza di governo?
«Gli abiti dei governi di oggi sono delle camicie di forza che ne determinano i comportamenti. Gentiloni è una persona perbene ma il ruolo che è costretto a interpretare è quello che gli assegnano le leggi dell’oligarchia economica. Come si dice, i mercati sono sovrani».

Uno scenario drammatico.
«Abbiamo di fronte a noi un’impresa terribile: ricostruire la democrazia. Il dialogo tra diversi può essere la base di partenza».


"La sinistra si è disfatta della storia, CL no". Bertinotti infiamma la platea del Meeting di Rimini
Per l'ex Rifondazione Comunista gli applausi più convinti. Citazioni di Bergoglio, Carron, Dossetti e l'esaltazione della "formazione del popolo" ciellino
25/08/2017
Gabriella Cerami

http://www.huffingtonpost.it/2017/08/25 ... a_23185793

La prima volta era stato osservato con un po' di diffidenza, ma a distanza di due anni Fausto Bertinotti, ex leader di Rifondazione comunista, torna davanti al popolo di Comunione e liberazione e per lui fioccano applausi convinti. Ad ascoltarlo, durante il convegno "Futuro della tradizione" ci sono almeno 1500 persone e Bertinotti si lascia coinvolgere e coinvolge il pubblico criticando la sinistra e ciò che è diventata: "Sarà significativo che la mostra sul 1917 la faccia il Meeting di Cl e non una forza politica di sinistra... Questo perché nella storia di Comunione e Liberazione la tradizione è viva, mentre certa sinistra se ne è disfatta diventando colpevole di una damnatio memoriae". Applauso facile. Colui che un tempo dai ciellini era guardato come il nemico, oggi considera un valore il suo rapporto personale con il 'capo' del movimento di don Giussani, monsignor Julian Carron e non si tira indietro dicendo che "dobbiamo porci il tema della fede".

Bertinotti cita anche Papa Francesco, lo stesso don Carron, ma anche Giuseppe Dossetti ed il subcomandante Marcos, senza però dimenticare di essere uno "che ha ancora in tarda età l'ambizione di dirsi comunista". Sostiene che la cosa che di più gli interessa di Cl "è la formazione di un popolo. A me ricorda la storia migliore, quella delle feste dell'Unità, dell'organizzazione comunitaria e degli scioperi". Il riferimento è ai tempi passati, perché parlando del presente osserva che dentro la sinistra italiana, quella rappresentata nelle istituzioni, ci sono "nomi che non dicono più nulla di emozionante". È avvenuta una "mutazione genetica" e ora apparse come una "nebulosa" che "non riesce più a rinnovarsi".

L'ex leader di Rifondazione comunista si dice esterno alla "dialettica politica del Paese" ("se ne parliamo ancora posso uscire..."); ma attacca ancora una la politica di oggi "che non indica una meta, che risente della progressiva 'cosificazione' dell'umanità" ed è caratterizzata da "un pensiero debole che produce persone deboli e popoli disarmati". Un messaggio che piace ai ciellini, che lo ascoltano e con il comunista interloquiscono in una critica del presente e nella condivisione che "la fede è il problema di sapere dove andare". Quindi, "dobbiamo porci il tema della fede, del senso della vita umana rispetto a una meta. Per chi ha l'ambizione, a questa tarda età, di dirsi ancora comunista, l'imprevisto è tutto ciò che ci può salvare". E il popolo di Cl fa un'ovazione a chi si definisce comunista.
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Messaggioda Berto » gio set 07, 2017 9:00 pm

Si scrive jihāddismo si legge comunismo

5 settembre 2017
di Francesco Carella

http://www.italiaisraeletoday.it/si-scr ... -comunismo

Tutto lascia pensare che la mano assassina di stampo islamista si stia preparando per colpire ancora una volta e, secondo voci sempre più insistenti, anche in Italia. Mentre nelle nostre città si cerca di mettere in sicurezza – per quanto ciò possa essere possibile – i centri storici considerati un possibile bersaglio, la sinistra italiana – ossessionata dal politicamente corretto e legittimata da un esercito di maître à penser – si ostina a non riconoscere che ci troviamo in piena guerra di civiltà e che gli jihadisti non sono un gruppo di terroristi senza bussola, ma agiscono razionalmente e perseguono con pervicacia un obiettivo: mandare all’altro mondo il maggior numero possibile di cittadini occidentali inermi, seminare il terrore nelle nostre vite e, infine, costringerci a rinunciare al bene più prezioso: la liberta di pensiero e di movimento.

Diciamolo brutalmente: tutto ciò accade perché la sinistra nel nostro Paese è, in gran parte, erede storico del bolscevismo e il bolscevismo è un parente stretto del fondamentalismo islamico. L’Urss è stata per oltre 70 anni una micidiale corazzata con le armi puntate contro l’Occidente e in guerra perenne contro la democrazia liberale e i suoi valori. Si trattava anche in questo caso di conflitto di civiltà: Lenin ha prima teorizzato e poi reso concreto, una volta raggiunto il potere, il rifiuto dello Stato di diritto, dell’individualismo e dei principi della civiltà borghese.

Forse, non tutti ricordano uno dei primi documenti, prodotti in Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979, in cui l’Ayatollah Khomeini scrive «che è giunto il momento per l’Islam di mettersi alla guida del proletariato esterno, sostituendo, in tale ruolo rivoluzionario, il comunismo sovietico».

La stessa guida suprema della Repubblica islamica iraniana, nel gennaio 1989 scrive una lettera all’allora numero uno del Cremlino, Michail Gorbaciov, in cui chiede di riconoscere pubblicamente «che il comunismo aveva fallito nel suo tentativo di distruggere la materialistica civiltà capitalistica e che, pertanto, sulla scena mondiale non restava che una sola forza spirituale in grado di perseguire l’obiettivo di liberare i popoli che si trovavano nella prigione realizzata dal brutale mondo occidentale».

Per comprendere una tale carica di odio, vale la pena di ricordare che già lo storico inglese Arnold Toynbee – nella sua opera monumentale, A Study of History – nell’illustrare la teoria «sull’aggressione culturale», chiarisce in modo netto le ragioni per le quali la civiltà occidentale esercita una grande forza attrattiva ed è temuta da altre forme di civiltà.

Una «potenza» che spaventa il mondo islamico, al punto che lo stesso Khomeini la definisce strumento al servizio di Satana e raccomanda, in diverse occasioni, ai Paesi islamici d’impedire ogni forma di contaminazione con le proprie popolazioni. Il jihad fa un passo in avanti, assumendo nel proprio disegno strategico la possibilità di distruggere quel mondo satanico direttamente nei luoghi in cui si è sviluppato: l’Occidente con i suoi diritti umani, la sua fondamentale distinzione fra potere politico e potere religioso, con le sue città corrotte e il suo stile di vita peccaminoso.

Il sociologo Luciano Pellicani qualche anno fa, rifacendosi agli studi di Toynbee, in un libro breve ma di grande efficacia, Jihad: le radici, spiega che l’Islam risponde all’attrazione della cultura occidentale organizzandosi in due partiti, quello «erodiano», favorevole all’integrazione e al dialogo (ma minoritario) e quello degli «zelòti», fondamentalista e violento (ma nettamente in maggioranza).

Distinzione che ci obbliga a fare i conti con la realtà: il terrorista islamico può seminare il panico nelle nostre città grazie anche all’esistenza di un’ampia «zona grigia», fatta di simpatie o di colpevole silenzio da parte del mondo musulmano cosiddetto moderato. Ma occorre essere altrettanto chiari nel dire che l’eredità politico-culturale della sinistra italiana impedisce di capire e di chiamare ciò che sta accadendo con il suo vero nome: una guerra fra due civiltà.

Intanto, le tesi contenute in un libro – scritto più di vent’anni or sono da un intellettuale comunista quale Alberto Asor Rosa – in cui si sostiene che l’obiettivo dell’élite colta progressista debba essere quello di aiutare l’Occidente a dissolversi continuano a essere apprezzate ancora oggi. Va da sé che per vincere la guerra contro il terrorismo jihadista, occorre, prima di ogni altra cosa, riuscire a mandare definitivamente in soffitta un tale modo di pensare. In caso contrario, rassegniamoci al fatto che gli allarmi lanciati da Oriana Fallaci, fra non molto, potrebbero diventare realtà. L’Eurabia è dietro l’angolo che ci attende.
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Messaggioda Berto » ven set 08, 2017 5:52 am

Perché volevamo sempre più immigrati
2013/06/16

http://identità.com/blog/2013/06/16/la-confessione-dellex-marxista-perche-volevamo-sempre-piu-immigrati


Peter Hitchens ex radicale di sinistra che oggi ha aperto gli occhi, scrive sul Mail on Sunday. La sua è una confessione e una denuncia:
Come io sono in parte responsabile per l’immigrazione di massa
Quando ero un rivoluzionario marxista, eravamo tutti a favore di più immigrazione possibile.

Non perché ci piacessero gli immigrati, ma perché non ci piaceva come era la società britannica. Abbiamo visto gli immigrati – da qualsiasi luogo – come alleati contro la società conservatrice che il nostro paese era ancora alla fine degli anni Sessanta. Volevamo usarli come grimaldello.

Inoltre, ci piaceva sentirci ‘superiori’ alle persone comuni – di solito delle zone più povere della Gran Bretagna – che videro i loro quartieri improvvisamente trasformati in presunte “comunità vibranti”.

Se avevano il coraggio di esprimere le obiezioni più miti, subito li accusavamo di razzismo. Era facile.

Noi studenti rivoluzionari non vivevamo in tali aree “multietniche” (ma venivamo, per quanto ho potuto vedere, per lo più dalle zone ricche e le parti più belle di Londra).

Potevamo vivere in luoghi ‘vibranti’ per alcuni (di solito squallidi) anni, in mezzo a degrado e bidoni traboccanti.

Ma noi lo facemmo come dei vagabondi senza responsabilità e in modo transitorio, non avevamo figli. Non come i proprietari di abitazioni, o come genitori di bambini in età scolare, o come gli anziani che sperano in un po ‘di serenità alla fine delle loro vite.

Quando ci laureammo e cominciammo a guadagnare soldi seri, in genere ci dirigemmo verso le costose enclave di Londra e diventammo molto esigenti su dove e con chi i nostri bambini andavano a scuola, una scelta che felicemente abbiamo negato ai poveri delle città, quelli che abbiamo sbeffeggiato come “razzisti”.

Ci interessava e ci siamo curati della grande rivoluzione silenziosa che già allora cominciava a trasformare la vita dei poveri inglesi?

No, per noi significava che il patriottismo e la tradizione potevano sempre essere derisi come ‘razzisti’.

E significava anche servi a basso costo per i ricchi della nuova classe media privilegiata, per la prima volta dal 1939, così come ristoranti a buon mercato e – in seguito – costruttori a buon mercato e idraulici che lavoravano in nero.

Non erano i nostri salari che erano depressi dall’immigrazione, o il nostro lavoro che finiva fuori mercato. Gli immigrati non facevano – e non fanno – il genere di lavoro che facevamo noi.

Non erano una minaccia per noi. Ma per la gente normale.

L’unica minaccia per noi, poteva venire dai danneggiati, dal popolo britannico, ma potemmo sempre soffocare le loro proteste, suggerendo che erano ‘moderni fascisti’.

Ho imparato da ciò, che ipocrita snob e persona arrogante ero (e la maggior parte dei miei compagni rivoluzionari erano).

Ho visto posti che ho conosciuto e nei quali mi sentivo a casa, completamente cambiati nel giro di pochi anni.

Ho immaginato come sarebbe stato, crescere in uno di quei posti, bloccato in un quartiere squallido come un inglese qualunque, strade strette dove i miei vicini parlavano una lingua diversa. E a poco a poco ho iniziato a diventare un solitario, traballante straniero in un mondo che conoscevo, ma che non riconoscevo più.

Mi sono sentito profondamente, irrimediabilmente triste per quello che ho fatto e per non aver detto nulla in difesa di coloro le cui vite sono state stravolte, senza che fosse loro mai stato chiesto il permesso, e che sono stati avvertiti in modo molto chiaro che, se si fossero lamentati, sarebbero stati disprezzati e reietti. Definiti “razzisti”.

Sembra l’Italia di oggi, dove se ti ribelli, sei “razzista”. Dove, o sei a favore della società multietnica, o sei “fuorigioco”, sei senza voce: perché chi e quando parla lo controllano loro. E se qualcuno rompe il monopolio, deve essere eliminato.

???
https://it.wikiquote.org/wiki/Peter_Hitchens

http://www.veja.it/2013/10/03/immigrazi ... la-societa

http://hitchensblog.mailonsunday.co.uk/ ... ation.html
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Messaggioda Berto » lun set 18, 2017 10:34 pm

"L'islam è l'ultima utopia della sinistra. Benpensanti alleati coi bigotti del Corano"
18 Settembre 2017

http://www.ilfoglio.it/il-foglio-intern ... ano-152693

“È un nuovo arrivato nel campo semantico dell’antirazzismo, un termine che ha l’ambizione di rendere l’islam intoccabile e sullo stesso livello dell’antisemitismo”. Così il filosofo e saggista Pascal Bruckner smonta la più micidiale accusa dei nostri giorni: “l’islamofobia”.

“A Istanbul, nell’ottobre 2013, l’Organizzazione della Conferenza islamica, finanziata da decine di paesi musulmani che perseguitano senza vergogna ebrei, cristiani, buddisti e indù, ha chiesto ai paesi occidentali di porre fine alla libertà di espressione sull’islam. L’intenzione dei firmatari era di fare della critica alla religione del Corano un crimine internazionale. Questa richiesta è sorta alla Conferenza mondiale delle Nazioni Unite contro il razzismo a Durban già nel 2001 e sarà riaffermata quasi ogni anno. Il primo obiettivo è quello di imporre il silenzio agli occidentali, colpevoli del colonialismo, della laicità e della ricerca dell’uguaglianza tra uomini e donne. Il secondo obiettivo, ancor più importante, è quello di forgiare un’arma di esecuzione contro i musulmani liberali che hanno osato criticare la loro fede e che hanno chiesto la riforma. Il concetto di ‘islamofobia’ maschera l’offensiva, guidata dai salafisti, dai wahhabi e dalla Fratellanza musulmana in Europa e in Nordamerica per islamizzare l’intero mondo occidentale. Una grande religione universale come l’islam include un vasto numero di popoli e non può essere assimilata a un particolare gruppo etnico. Il termine ‘islamofobia’, tuttavia, invita alla confusione tra un sistema di credenze specifiche e i fedeli che aderiscono a queste credenze.

Dovremmo allora parlare di ‘razzismo’ o fobia anticapitalista, antiliberale o antimarxista? Nonostante le minoranze cristiane nelle terre islamiche siano perseguitate, uccise e costrette all’esilio, e siano ormai minacciate di estinzione entro la metà di questo secolo, la parola ‘cristianofobia’ non ha mai attecchito. In Francia, con la sua tradizione anticlericale, possiamo prenderci gioco di Mosè, di Gesù e del Papa, e li descriveremo in ogni posizione, anche la più oscena. Ma non dobbiamo mai ridere dell’islam. Perché questo doppio standard? Per aver criticato due gruppi islamici francesi per complicità ideologica con gli assassini di Charlie Hebdo, mi sono ritrovato davanti a un tribunale, accusato di diffamazione. Ed ecco dove emerge il più strano fattore di tutta la polemica sulla ‘islamofobia’: una parte della sinistra americana e europea a difesa della forma più radicale dell’islam. Dopo aver perso tutto – la classe operaia, il Terzo mondo – la sinistra si aggrappa a questa illusione: l’islam, ribattezzato come la religione dei poveri, diventa l’ultima utopia, sostituendo quelle del comunismo e della decolonizzazione per i militanti disincantati.

Il musulmano prende il posto del proletario. Ora è il credente del Corano che incarna la speranza globale per la giustizia, che si rifiuta di conformarsi all’ordine delle cose, che trascende i confini e crea un nuovo ordine internazionale, sotto l’egida del Profeta: un Comintern verde. Peccato per il femminismo, l’uguaglianza femminile, il dubbio salvifico, lo spirito critico. Questo atteggiamento politico è evidente sul velo islamico: il velo è lode ai cieli, tanto che per alcuni commentatori di sinistra una donna musulmana svelata e che sostiene questo diritto può solo essere una traditrice, una rivoluzionaria, una donna in vendita. L’ironia di questa fascinazione neocoloniale per gli uomini barbuti e le donne velate – e per tutto ciò che suggerisce un bazar orientale – è che il Marocco stesso, il cui re è il ‘comandante dei fedeli’, ha recentemente proibito l’uso, la vendita e la fabbricazione del burka nel suo paese. Chiameremo la monarchia marocchina ‘islamofobica’? Saremo più lealisti del re?

Generazioni di sinistra hanno visto la classe operaia come il lievito messianico di un’umanità radiosa; adesso, disposti a flirtare con la bigotteria più oscurantista e a tradire i propri principi, hanno trasferito le loro speranze agli islamisti. Secondo il punto di vista dei fondamentalisti islamici e di molti progressisti, il musulmano dovrebbe sostituire l’ebreo, che ha disonorato il suo status ed è diventato a sua volta un colonizzatore con la creazione dello Stato di Israele. La giudaizzazione dei musulmani comportava la nazificazione degli israeliani. C’è il buon ebreo di ieri, eternamente perseguitato, e il cattivo israeliano che si è impadronito del medio oriente, imperialista e razzista. Il vero ebreo di oggi porta il copricapo e parla arabo; l’altro è un impostore e un usurpatore. Una volta stabilita l’equivalenza tra la giudeofobia e l’islamofobia, il passo successivo è quello di mettere in atto il principio di eliminazione. In questo modo l’islam è in grado di presentarsi come creditore dell’umanità nel suo complesso: siamo in debito a causa dei torti inflitti dalle Crociate, dalla ferita della colonizzazione e dall’occupazione della Palestina da parte dei sionisti, e infine per la cattiva immagine di cui soffre la religione del Profeta. (…)

La Francia è attaccata non perché opprime i musulmani, ma perché li libera dalla presa della religione. Offre loro una prospettiva che terrorizza il devoto, quella dell’indifferenza spirituale, il diritto di credere o di non credere, come gli ebrei e i cristiani sono in grado di fare. Passeggiate per le strade di qualsiasi grande città europea o americana e passerete vicino a innumerevoli chiese battiste, cattoliche, luterane e evangeliche, templi indù, sinagoghe, moschee, pagode. Questa pacifica convivenza di diverse espressioni del divino è una meraviglia dell’occidente. Il meglio che possiamo desiderare per l’islam non è ‘la ‘fobia’ o la ‘philia’ ma un’indifferenza benevola in un mercato spirituale, aperto a tutte le fedi. Ma è proprio questa indifferenza che i fondamentalisti vogliono sradicare”.

Questo articolo è apparso originariamente sul City Journal
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Messaggioda Berto » gio nov 09, 2017 7:12 am

Trump, schiaffo ai rossi: istituisce il "giorno per le vittime del comunismo"
Luca Romano - Mer, 08/11/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tru ... 60845.html

Donald Trump istituisce la giornata in ricordo delle vittime del comunismo proprio nel giorno dell'anniversario della rivoluzione bolscevica

Più chiaro di così non poteva essere: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di istituire una giornata nazionale in ricordo delle vittime del comunismo. E come data ha scelto proprio il 7 novembre, giorno in cui, nel 1917, i bolscevichi hanno dato il via alla rivoluzione russa.

Per rimarcare ulteriormente il valore simbolico del proprio gesto, l'inquilino della Casa Bianca ha scelto di farlo proprio nel centesimo anniversario di quell'avvenimento storico foriero di sviluppi così decisivi per la storia della Russia e di tutto il mondo. Storia di lutti e di morte, come dovunque il comunismo è andato al potere con la violenza.

Durante il viaggio in Asia - e precisamente alla vigilia della visita in Cina - Trump ha dichiarato che "durante il secolo scorso, i regimi totalitari comunisti nel mondo hanno ucciso più di 100 milioni di persone e ne hanno sottomesse molte di più a sfruttamento, violenza e devastazione indicibile".

"Oggi noi ricordiamo quanti sono morti e quelli che continuano a soffrire sotto il comunismo - ha aggiunto il presidente senza timore di conseguenze diplomatiche con gli strategici interlocutori cinesi - Dobbiamo far brillare la luce della libertà per tutti quelli che aspirano a un futuro più libero e più radioso".



La gita dei nostalgici comunisti Tutti a Mosca per la Rivoluzione
Tony Damascelli
Mer, 08/11/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 60719.html

I compagni si sono ritrovati tutti come quel giorno di cento anni fa. Cantando e marciando con il pugno chiuso verso la Cattedrale del Salvatore sul Sangue Versato a San Pietroburgo, la chiesa che venne eretta nel luogo dove venne ammazzato lo zar Alessandro II e ancora il treno di Lenin e la stazione ferroviaria Finlyandsky, dove Lenin tornò dopo l'esilio, e la fermata della metropolitana Gorkouskaya, dedicata allo scrittore Gorky, il palazzo museo della politica Kshesinskayaj e poi a Mosca, il Cremlino, la piazza Rossa, siti di nostalgia e di fede, falce e martello, la barba di Lenin e il suo copricapo agitato nell'aria gelida di novembre, poi i baffoni di Stalin e, ancora a San Pietroburgo, il museo galleggiante dell'incrociatore Aurora dal quale partì il colpo di cannone che segnò la conquista del Palazzo d'Inverno.


Fedeli nel secolo, i comunisti di ogni dove, si sono visti, rivisti, conosciuti e riconosciuti, infine radunati, venendo da Cuba e dal Vietnam, dalla Corea del Nord e dalla Cina, Paesi dove la rivoluzione ha lasciato segni e sogni, eroi e vittime ma nel silenzio e con la propaganda che si deve ai regimi, tutti ma quelli di estrema sinistra con il privilegio particolare. Vladimir Putin si è tenuto alla larga da bandiere e icone, lontano dai cortei, dagli altri siti delle celebrazioni, niente falce e martello, fine di un'epoca, non della storia, la nuova Russia non dimentica ma evita il ricordo drammatico. I morti si contano, non si cancellano con la propaganda ma la memoria cerca di onorarli diversamente. In contemporanea ai cortei nostalgici, l'altra Mosca ha celebrato, con la consueta parata, i 76 anni della marcia dell'Armata Rossa che, il 7 novembre del '41, partiva verso il fronte per opporre resistenza al nemico. Sul fronte russo contemporaneo si sono presentati i nostalgici comunisti nostrani, di ogni sezione e cellula, Rifondazione, Pci, Pc dei lavoratori, con a capo, si fa per dire, Marco Rizzo e con lui Maurizio Acerbo, Marco Consolo, Mauro Alboresi, ultimi bolscevichi, in verità menscevichi, non più maggioranza ma ormai minoranza, coda di un tempo che fu, festival malinconico dell'Unità, smarrita non soltanto nelle edicole.

Il compagno Lenin è sempre presente fra loro e nei manifesti, nei quadri, nei fogli d'epoca, ovviamente nel mausoleo, sotto una teca di cristallo, cadavere imbalsamato, monumento di se stesso, cioè di una filosofia e di un'azione politica poi devastata dai suoi successori come testimonia un sondaggio effettuato dal Levada center, un centro studi non governativo, anzi marchiato come «agente straniero». Secondo il 23% degli intervistati, Lenin ha portato il Paese sulla via del progresso e della giustizia, il 21% pensa che i successori, Stalin basta e avanza, abbiano distrutto il sogno e il 15% ritiene che Lenin abbia invece portato alla Russia morti e disgrazie. Lenin non si tocca ma c'è chi vorrebbe seppellirlo, portarlo via dalla Piazza Rossa, togliere quel macabro sito e trasformarlo in un museo perché la gente di Russia è ormai stanca delle tragedie. I nostri combattenti della falce e del martello, stimolati dal tovarisch Gennady Zjuganov, primo segretario dell'unione dei partiti comunisti, non la pensano così, sono imbalsamati, come il compagno Vladimir Ilic, sventolano idee, drappi e parole impolverate e polverose, residuati dell'altro secolo, non c'è più l'albergo Lux, dove i rivoluzionari si radunarono per l'assalto, oggi il viaggio tutto compreso, prevedeva albergo a tre stelle, escursioni con pranzo, trasferimento aeroporto-hotel-stazione, viaggio in treno Sapsan (collega ad alta velocità Mosca a San Pietroburgo, Sapsan significa «Falco» ed è la Freccia Rossa, guarda un po' le combinazioni cromatiche, delle ferrovie russe), tutto per euro 700, volo dall'Italia escluso. Non si resta più in coda per tre ore al controllo passaporti, scomparse le Zighuli si viaggia su vetture lussuose, le lampadine cimiteriali sono state sostituite con luci a cento watt, gli alberghi sono carichi di euro e dollari, il cambio al mercato nero è una barzelletta antica, così le calze di nylon e le penne bic, la mafia domina, la classe operaia spera nel paradiso in terra.

Cento anni dopo, la Russia è ancora viva, da Lenin a Putin, sempre cinque lettere in testa a tutti, il Paese rivoluzionario è rivoluzionato. Il gruppo vacanze nostalgia dei comunisti nostrani rientra ai rispettivi domicili, con il selfie di un Paese che non è più quello dei loro sogni. Sabato prossimo il Partito Comunista dei Lavoratori terrà una conferenza per il centenario della Rivoluzione di Ottobre. Il sito: Reggio Calabria. Boia chi molla.



Il comunismo vive sotto falso nome
Marcello Veneziani
8 novembre 2017

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... falso-nome

Il 7 novembre di cent’anni fa il comunismo andò al potere a Mosca. E la storia del mondo cambiò, in peggio. Tutti celebrano da giorni la rivoluzione bolscevica, raccontano il clima e gli accadimenti di quei giorni ma nessuno ha osato fare un bilancio storico dei frutti tragici di quella Rivoluzione.

Eppure il costo umano del comunismo supera quello di ogni altro regime, movimento, evento storico e perfino delle guerre mondiali.

Ricordando giorni fa la Marcia su Roma i media si sono spinti fino alla Shoah che storicamente c’entra poco con l’Italia fascista del ’22; parlando della Rivoluzione d’ottobre invece hanno osservato l’omertà totale sui gulag, le repressioni, i massacri, il regime totalitario e tutta la storia che seguì a quella presa del potere.

Di questo e di altri Tramonti, ho dialogato ieri a Roma con Fausto Bertinotti, comunista non pentito ma mente onesta e appassionata.

Della rivoluzione bolscevica si sono registrate in questi giorni due significative rivendicazioni nostalgiche.

Da una parte Mario Tronti, lucido teorico dell’operaismo, ha elogiato in Parlamento la rivoluzione leninista mentre i suoi colleghi erano presi dalla legge elettorale e lo vedevano come un marziano. La sua nota così vistosamente stonata, così fuori luogo e fuori tempo, ha acquisito perlomeno la nobiltà della sconfitta e il valore di una testimonianza decisamente fuori moda.

Ancor peggio, sfidando la parodia, ha fatto Marco Rizzo, esponente dell’ultimo comunismo, che ha marciato su Mosca in una replica virtuale dell’assalto al Palazzo d’Inverno per onorare la memoria della rivoluzione russa.

C’è qualcosa di grottesco, di patetico ma anche di rispettabile in questi ultimi “conati sovietici” in pieno nichilismo globale. Anche se è l’esatta applicazione di una celebre massima di Marx secondo cui la storia si presenta la prima volta come tragedia e poi si ripete come farsa.

Ma come ricordare oggi il comunismo, a cent’anni dalla nascita e dopo il suo tramonto, più qualche grosso residuo come il comunismo tecno-capitalista in versione cinese? A parte la tragica contabilità delle vittime, qual è il suo bilancio storico?

Quando il comunismo va al potere e in ogni parte del mondo fallisce, si fa apparato poliziesco e regime repressivo, ovunque genera vittime e profughi: questo vuol dire che il difetto non è nelle singole realizzazioni o nei singoli artefici ma è proprio nell’essenza stessa del comunismo.

Qual è allora il vizio d’origine del comunismo che lo ha destinato a produrre ovunque catastrofi e atroci fallimenti? È la pretesa di cambiare la natura umana, il mondo, l’umanità, di sacrificare l’uomo reale all’uomo futuro che non verrà. È la contrapposizione radicale tra la società imperfetta ma reale in cui viviamo e la società perfetta dell’utopia comunista. È l’abolizione del mondo reale per far posto al mondo migliore e venturo.

Finita l’utopia e l’attesa messianica della rivoluzione salvifica, è rimasta un’eredità del comunismo: la pretesa di correggere l’umanità si è fatta politicamente corretto.

Dal PC al PC, dal partito comunista al politically correct. Quello è il viaggio di ritorno del comunismo, a cui ho dedicato un’ampia parte del mio libro Tramonti, uscito il mese scorso.

Dopo il comunismo, è venuto fuori questo canone ideologico ed etico, questo codice progressista dell’ipocrisia che risponde a una nuova lotta di classe dal sapore razzista: noi siamo i custodi, missionari e portatori del Politicamente corretto e chi non si conforma è fuori dalla modernità e dalla democrazia, dal progresso e dal consesso civile, merita disprezzo ed esclusione.

Chi non fa parte della razza illuminata del nuovo PC merita l’infamia, va cancellato o demonizzato, e se va al potere, anche democraticamente, va processato e poi scacciato.

Questa è l’eredità primaria del comunismo, della lotta di classe, della guerra finale tra il mondo migliore e il mondo reale.

Nel politicamente corretto spicca il tema dell’accoglienza. Il nuovo proletariato sono i migranti, accoglierli è la missione del comunismo prossimo venturo. O, se preferite, del catto-comunismo.

Bisogna abbattere ogni frontiera, espiantare ogni legame territoriale, non porre limiti a nessun diritto, come a nessun desiderio. È il diritto di avere diritti, separato da ogni dovere. Il rigurgito dell’utopia calpesta la realtà, la natura, i legami comunitari, l’appartenenza a una civiltà, a una nazione, a una città.

Il comunismo è morto ma le sue eredità sono molto pesanti.

Ma dove confluiscono oggi le speranze del comunismo, i miti di Gramsci, Berlinguer e Che Guevara? Convergono sulla figura di Papa Bergoglio, visto come una specie di misericordioso vendicatore del comunismo, di don Milani giunto al pontificato, di paladino dei migranti, dei poveri e come demitizzatore, se non demolitore della tradizione cattolica. Lui visto come l’antiTrump, l’anti-Curia, lui, leader delle Ong.

Su Bergoglio converge la simpatia sia dei fautori del Politically correct che i reduci del comunismo, sia gli Eugenio Scalfari che i Bertinotti. Atei sì ma papisti… I sorprendenti voltafaccia della storia.



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Re: Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mond

Messaggioda Berto » gio nov 09, 2017 7:17 am

Ebrei comunisti


La nuova fuffa di Avraham Yehoshua
Niram Ferretti
11 settembre 2017

http://www.linformale.eu/stadio-termina ... m-yehoshua

Avraham Yehosuha, di cui ci siamo già occupati, costituisce insieme ad Amos Oz e David Grossman la più celebre trimurti de-occupazionista israeliana. Per Yehoshua e gli altri due celebri scrittori israeliani il grande peccato di Israele è “l’occupazione” della Giudea e Samaria (Cisgiordania-West Bank) da parte dell’esercito israeliano dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967. Certo, Yehoshua è consapevole di una certa animosità araba e islamica nei confronti di ebrei e israeliani, tuttavia l’”occupazione” trafigge e fa sanguinare il suo cuore di illuminista progressista. Una volta rimossa, le cose andranno bene.

In una recente e lunga intervista concessa a Wlodek Goldkorn dell’Espresso, Yehoshua tesse la sua narrazione sul conflitto alternando menzogne e whisful thinkings che purtroppo si scontrano con il solito inscalfibile scoglio rappresentato dalla pietra dura dei fatti, che, nella fantasia del romanziere, diventa molle come plastilina e plasmabile in molti modi.

Ma occorre ascoltarlo.

“Il fatto è che i palestinesi ripetutamente hanno rifiutato le vane offerte dei vari premier israeliani; da Rabin a Barak a Olmert. La loro leadership non è mai stata in grado di prendere decisioni difficili. E così oggi gli stessi palestinesi sono consci del fatto che, nel quadro di una ipotetica spartizione della Palestina storica (Israele più Cisgiordania) il massimo che possono ottenere è un territorio frammentato, discontinuo. Ho detto che sono consci, ma talvolta ho invece l’impressione che la leadership palestinese speri in un miracolo, un qualcosa di prepolitico che risolva i problemi. Ma poi, al di là delle mie critiche e della sua narrazione della quotidianità (e vorrei ricordarle che ci sono interi strati della popolazione che soffrono) va detto che la realtà dell’occupazione militare è disgustosa e perversa. E non se ne vede la fine. Il numero dei coloni è in crescita e loro sono sempre più arroganti. Ogni tanto mi viene la voglia di dire ai palestinesi: ma vi rendete conto che più dura l’occupazione e più terra vi viene confiscata, rubata? Mi permetta di aggiungere un altro elemento: i palestinesi cittadini israeliani. Sono quasi due milioni, potrebbero avere 25 deputati sui 120 in Parlamento e cambiare fin dalle fondamenta la stessa struttura della nostra politica. Invece ci sono solo 13 deputati palestinesi che litigano tra di loro. Prendiamo il caso dell’Irlanda ai primi del Novecento: i deputati Irlandesi al parlamento di Londra hanno saputo lavorare dentro le istituzioni inglesi per favorire la nascita di una repubblica nel Sud della loro isola. I palestinesi nostri non ne sono capaci e mi dispiace”.

Su una cosa Yehoshua ha ragione. Va detto subito. È quando afferma che “la leadership palestinese spera in un miracolo”. Si tratta infatti della sparizione di Israele. Intento perseguito fin dalla fondazione dell’OLP nel ’64, non a caso la “l” e la “P” nell’acronimo stanno per “liberazione” della “Palestina” dal Giordano al Mediterraneo. Ma è un miracolo che non è occorso, al suo posto, invece c’è stato l’altro miracolo, quello della persistente esistenza di Israele, circondato com’è da nemici che hanno tentato a più riprese di farlo fuori. Al di là di questa breve considerazione tocca soffermarsi sulla rappresentazione nera dei “coloni”, veri e propri villain che così tanto appassionano Yehoshua e i suoi sodali letterari (e non solo loro, naturalmente). Essi “confischerebbero” e “ruberebbero” la terra ai palestinesi. Curioso. Perché una proprietà venga confiscata e rubata essa deve avere un legittimo proprietario. Tuttavia i territori della Giudea e Samaria, assegnati senza limitazioni dal Mandato Britannico per la Palestina del 1923 agli ebrei per potervisi insediare e successivamente annessi illegalmente dalla Giordania nel 1951 fino al 1967, non hanno un legittimo assegnatario, anche se, con ottime ragioni, (la Conferenza di San Remo del 1922 e appunto e il Mandato Britannico del 1923), Israele potrebbe rivendicarne piena e legittima sovranità. Ma questo a Yehoshua non interessa. A lui, romanziere di successo interessa la fiction dei coloni espropriatori, perfettamente funzionale alla narrativa dei palestinesi vittime espropriate. Ma non si ferma qui. Come da estratto, si auspica un incremento della presenza araba alla Knesset. 13 deputati sono pochi. Dovrebbero essere almeno il doppio e fare come i deputati irlandesi. Favorire la nascita di una repubblica palestinese. Invece litigano. Peccato. Soprattutto continuano a chiamare i terroristi “resistenti” e ad appoggiare la propaganda antiebraica e antisionista dell’Autorità Palestinese. Andrebbe fatto notare allo scrittore che tra gli irlandesi e i palestinesi c’è la stessa differenza che sussiste tra i cinesi e gli svedesi. Basta paragonare l’Accordo di Good Friday del 1998 raggiunto in Irlanda e che ha messo fine ad anni di sanguinosa lotta civile con gli Accordi di Oslo del 1993, dopo i quali Arafat, diversamente dall’IRA, diede vita con la Seconda Intifada, al più sanguinoso periodo di terrorismo che Israele ricordi.

Ma proseguiamo.

“Al netto delle sue analisi: oggi una soluzione di due Stati non è più possibile. Dobbiamo cambiare il paradigma se non vogliamo diventare una società e uno Stato di apartheid. Mi spiego: nel 2005 siamo fuggiti da Gaza. I palestinesi ci hanno sconfitti. Il nostro esercito aveva perso. E cosa è successo? Ci hanno sparato addosso i razzi. Il precedente di Gaza ha fatto sì che molti israeliani hanno paura di un possibile ritiro dalla Cisgiordania. E questo, ripeto, mentre continua l’espansione degli insediamenti. Ecco, non è più possibile sradicare i coloni. Non c’è oggi un’autorità in grado di costringerli a lasciare le terre che hanno rubato. Ora come ora la situazione (prendendo in considerazione Israele più la Cisgiordania) è complessa. Potrei descriverla cosi: gli arabi israeliani hanno quasi tutti i diritti; quelli di Gerusalemme Est, qualche diritto, quelli dell’Autorità nazionale palestinese (che controlla il 40 per cento della Cisgiordania) un pezzettino di sovranità. Resta la realtà dell’occupazione militare. Ci sono palestinesi privi di qualunque diritto. Ed è una situazione insopportabile per qualunque persona voglia definirsi un democratico”.

Occorre domandarsi a quale “fuga” da Gaza da parte israeliana Yehoshua si riferisca, ma non è dato saperlo, e l’intervistatore non gli pone la domanda. Non ci fu alcuna sconfitta dell’esercito israeliano se non nella fervida immaginazione dell’anziano romanziere. Ariel Sharon decise la smobilitazione di Israele da Gaza per blindare la Giudea e la Samaria e concedersi a seguito di questa concessione, l’annessione di due rilevanti insediamenti come Ma’ale Adumim e Ariel (cosa che non avvenne). Altro che fuga, si trattò di una mossa politica precisa. Quanto alla “continua espansione degli insediamenti”, anche qui ci troviamo al cospetto di un’altra fabula. Dal 2004 è in vigore l’accordo che Ariel Sharon fece con l’Amministrazione Bush il quale permette l’espansione degli insediamenti in esistenza all’interno del confine di costruzione degli edifici già in essere e non oltre di esso. Quasi tutte le costruzioni che sono state autorizzate dal governo Netanyahu si trovano o a Gerusalemme o nell’ambito degli insediamenti autorizzati dagli americani. Veniamo ai “palestinesi privi di qualsiasi diritto”. Bisognerebbe capire chi siano e dove sono localizzati. Yehoshua intende riferirsi ai palestinesi che in Cisgiordania si trovano nell’Area A interamente amministrata dall’Autorità Palestinese, nell’Area B, ad amministrazione congiunta, o nell’Area C, a sovraintendenza israeliana? Non è dato saperlo. Ma la frase che indica una casta di palestinesi paria non manca di esercitare il suo effetto affabulatorio sulla mente del lettore sprovveduto. Anche qui l’intervistatore glissa.

Il canovaccio prosegue. Occorre vederlo fino in fondo perché ci riserverà ulteriori sorprese.

“Oggi, da democratico, da persona razionale e illuminista, voglio l’uguaglianza dei palestinesi di fronte alla Legge. Israele deve offrire ai palestinesi della Cisgiordania la cittadinanza; con tutti I vantaggi: dal servizio sanitario al sistema pensionistico. Ma, ripeto: la cosa più importante è l’assoluta uguaglianza davanti alla Legge. Non sono un ingenuo. E probabile che molti non vorranno prendere la cittadinanza israeliana. Molti diranno: accettarla significa approvare l’annessione della Cisgiordania a Israele. Ed è ovvio che io non posso imporre loro la cittadinanza. Ma l’importante è il gesto, l’intenzione: per me voi siete cittadini con pari dignità e uguali”.

E qui assistiamo al pieno divorzio con i fatti. L’illuminismo, ci mancherebbe, va benissimo, solo che per essere davvero tale dovrebbe spandere più luce sulla realtà e non avvolgerla di bei pensierini con la messa in piega, perché purtroppo sarà poi la realtà a incaricarsi brutalmente di spettinarli. In un recente sondaggio, Daniel Polisar, del Jerusalem Shalom College ha rilevato che in una proporzione di 3 a 1, i palestinesi rifiutano uno stato palestinese a fianco di uno stato israeliano. Tuttavia per lo Yehoshua, “razionale e illuminista”, Israele dovrebbe offrire ai palestinesi della Cisgiordania, indottrinati fin da bambini che tutta la Palestina appartiene di fatto ai palestinesi, che gli israeliani sono degli usurpatori omicidi, che i terroristi sono martiri da onorare con piazze e strade in loro nome, la cittadinanza. Come quella già data a una buona parte dei terroristi arabi-israeliani che si sono distinti dal 2015 a oggi in uccisioni di civili e militari israeliani. L’ultimo episodio registrato quello del luglio scorso al Monte del Tempio, quando due poliziotti di guardia vennero ammazzati da un commando di terroristi arabo-israeliani. Ma a Yehoshua la realtà non interessa. Come tutti gli allucinati di astrazioni valgono solo i principii, non i fatti.

Non possiamo congedarci se non giungendo fino in fondo, o meglio, toccando il fondo di questa devastante débâcle cognitiva. Per Yehoshua l’odio nei confronti degli arabi, che egli vede crescere nella società israeliana è dovuto a

“Due motivi: perché loro sono deboli e perché noi ci sentiamo in colpa. Si odiano i deboli e le vittime, è un meccanismo universale”.

Dunque ecco fissato il paradigma. L’odio, o l’avversione da parte israeliana, non è dovuta alla consapevolezza che da parte araba sussiste un rigetto permanente di Israele e degli ebrei che si è manifestato negli anni con tre guerre nate da una intenzionalità genocida e successivamente da un terrorismo continuativo che raggiunse l’apice con la Seconda Intifada. No. Tutto questo scompare dalla scena. Al suo posto c’è la colpevolezza ebraica, il senso di colpa ebraico, nei confronti delle “vittime”, i palestinesi.

Quando si giunti ad invertire a tal punto la realtà si può solo affermare che si è arrivati a uno stato terminale. Lo stesso che pervade ormai l’Occidente meaculpista e schiere di intellettuali i quali, come scriveva Leszek Kolakowski, scartano “ostentatamente i valori della loro civiltà per umiliarsi di fronte allo splendore di una inequivocabile barbarie”.


Ari Gardener
Sai, ci fu un momento, negli anni '50, in cui l'Est Europa rischiò seriamente un robusto antiebraismo di massa. E questo, per due ragioni. La prima, particolarmente dolorosa, dovuta al fatto che, nell'apparato sovietico di invasione, c'erano anche degli alti dirigenti ebrei. Che, oltre a imporre con gli ordini di ferro, ogni tanto facevano una visita nelle carceri del regime per torturare di persona. Il loro zelo era devastante, e pochi trovarono come spiegazione l'istinto di sopravvivenza per eccesso, teso a evitare la Siberia.
La seconda, invece, fu più sottile, inaspettata e desolante. Sotto l'impressione del nazismo, il meglio del meglio dell'élite culturale ebraica cadde nella trappola della proclamata "uguaglianza senza discriminazione per razza, etnia o religione". Persone a dir poco intelligenti e a dir poco colte - di enorme talento e, perciò, amatissime - pensarono, purtroppo, che la soluzione di un estremo fosse l'estremo opposto. Senza capire che i due sistemi avevano lo stesso DNA - almeno, per quanto riguardasse l'annientamento dell'individuo. Con assoluta ingenuità, tanto da avere un'idea molto... come dire... "romantica" del socialismo-comunismo, avrebbero sostenuto il regime - convintamente, pubblicamente e con entusiasmo - per altri due decenni.
Ci sono stati, così come ci sono stati i Kapò.
Dopo la caduta del Muro, furono in molti a chiedere che queste persone fossero rintracciate e processate. Ma alcuni erano morti, altri erano già scappati altrove, le estradizioni non funzionarono - principalmente, per paura di una Nemesi di massa - e non si fece niente. Quello che rimase fu il senso profondo di ingiustizia nei confronti di un numero di vittime che, ancora oggi, non si riesce a quantificare e nei confronti delle vite profondamente devastate dei figli resi prigionieri nella mente e nell'anima. Così, il seme dell'odio per gli Ebrei fu inghiottito e assimilato da qualcosa di più grande e potente: la xenofobia. Perché, quando la lista è lunga e comprende invasioni varie, secoli di Impero Ottomano, dominazioni tedesche e russe nonché serissime colpe inglesi e francesi, se prima potevi non volere qualcuno, dopo non vuoi più nessuno.
Non vorrei semplificare troppo parlandoti della campana di Gauss, ma credo che ci saranno sempre degli individui come quelli della "trimurti de-occupazionista israeliana". Auguriamoci e assicuriamoci che rimangano marginali e residuali.


Niram Ferretti
Grazie Ari per il tuo commento così vero. L'intossicazione dell'anima e della mente è terribile. In nome dei "diritti universali" e della "giustizia per gli oppressi" sono state falcidiate molte più vite di quante ne ha soppresse il nazismo. E' un mero computo oggettivo che nulla sottrae alla spaventosa demonicità del nazionalsocialismo. La sconfitta del nazismo e l'alleanza con l'Unione Sovietica ha concesso per più di settanta anni credito al totalitarismo più sanguinario e dispotico del Novecento, di cui vediamo ancora epigoni in circolazione, vedi Maduro.



Quegli ebrei che odiano Israele
Gianluca Veneziani

http://www.lintraprendente.it/2015/07/q ... no-israele

Ci sono ebrei che non solo non sognano il ritorno in Israele, vedendovi l’Origine perduta o la Patria ideale cui tornare, ma tanto più ne prendono le distanze quanto più ne sono lontani, geograficamente e politicamente. Parliamo, nella fattispecie, di ebrei italiani, piuttosto noti, con un grande seguito mediatico, e di orientamento sinistrorso. Gente che ama fare il controcanto, atteggiandosi a filo-palestinese, pur essendo di origine ebraica. Gente che non perde occasione per dire peste e corna del governo in carica a Tel Aviv e dello Stato d’Israele in sé (rischiando così di metterne in discussione non solo l’azione politica contingente, ma anche la sua stessa esistenza). E tutto ciò, solo per avere il plauso dei benpensanti del lettorato radical chic. Venduti al nemico, o quasi.

Ecco perché suscita molto fastidio sentire un Moni Ovadia, attore ebreo, nato in Bulgaria, ma da una vita a Milano, elogiare l’accordo sul nucleare Iran-Usa come un passo avanti sulla strada del dialogo internazionale e uno schiaffo in faccia a quei guerrafondai dei nazionalisti israeliani. «Questo accordo aumenta le prospettive di pace», assicura Ovadia, dimenticandosi che la possibilità per l’Iran di continuare ad arricchire l’uranio (seppur con un certo limite) aumenta semmai le prospettive che lo Stato degli ayatollah giunga a costruirsi un’atomica e a minacciare il mondo col consenso della comunità internazionale. Ma per Ovadia sono «meglio le intese che i bombardamenti, come vorrebbe il premier israeliano Benjamin Netanyahu»: e già, perché chi mette a repentaglio l’Occidente e vorrebbe costruire una bomba atomica per asfaltarlo è Israele, mica l’Iran; l’aggressore insomma è Netanyahu, non chi un giorno sì e l’altro pure sostiene che lo Stato israeliano dovrebbe scomparire dalle cartine geografiche. Ma chi ci volete fare, secondo l’ebreo (anti-israeliano) Ovadia, la colpa è delle «grandi comunità ebraiche appiattite sulle posizioni del governo israeliano in carica». Quasi fosse un crimine difendere il proprio premier e il proprio Stato, che si batte ogni giorno per garantire la propria sopravvivenza (e quella di tutto il mondo libero), redarguendo gli alleati che «si arrendono all’asse del male».

Moni Ovadia, però, è in buona compagnia, perché con lui, appunto, c’è un altro compagno ebreo della vecchia guardia (di sinistra), Gad Lerner che, a ogni piè sospinto, si cimenta in sofismi retorici contro Israele e, in particolare, contro il suo attuale leader. Si era appena raggiunto l’accordo sul nucleare, che il giornalista esultava sul suo blog al suon di «Obama mira a nuovo equilibrio mondiale. Buona notizia!», e poi dava spazio all’intervista a Emma Bonino che definiva «quello raggiunto con l’Iran, il miglior accordo possibile», dopo aver già garantito sul rinsavimento degli ayatollah in quanto «la storia ci insegna che le rivoluzioni a un certo punto si esauriscono e subentra una qualche forma di normalizzazione» e avanzato sospetti sull’«alleanza di fatto che collega Israele alle petrolmonarchie reazionarie sunnite del Golfo, prima tra tutte l’Arabia Saudita».

Insomma, il vero pericolo, per Ovadia e Lerner, non sono gli ayatollah, improvvisamente diventati docili e mansueti come agnellini, né il combinato disposto teocrazia-tecnologia proprio dello Stato iraniano (che lo configura come un’inquietante teo-tecnocrazia, mix tra ideologia religiosa e scienza all’avanguardia), ma è l’atteggiamento di Israele che, temendo di non avere più appoggi, neppure in Occidente, prova a garantire come può il proprio diritto a esistere. Ci risiamo: Israele non solo non può minacciare di attaccare – come pure a lungo ha fatto Teheran – ma non può neanche provare a difendersi.




Ebrei e non più ebrei che odiano gli ebrei e Israele
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Utopie demenziali e criminali - falsi salvatori del mondo

Messaggioda Berto » gio nov 09, 2017 7:38 am

La Dichiarazione di Parigi l’Europa e il Cristianesimo
5 novembre 2017
di Giulio Meotti

http://www.italiaisraeletoday.it/la-dic ... stianesimo

Qualche giorno fa, alcuni dei più importanti intellettuali europei – tra i quali il filosofo britannico Roger Scruton, l’ex ministro polacco dell’Istruzione Ryszard Legutko, lo studioso tedesco Robert Spaemann e il francese Rémi Brague, docente alla Sorbona – hanno firmato la “Dichiarazione di Parigi”. Nel loro ambizioso manifesto, hanno respinto “la fasulla Cristianità di diritti umani universali” e ” l’utopistica crociata pseudo-religiosa votata a costruire un mondo senza confini”.

Piuttosto, hanno invocato un’Europa basata sulle “radici cristiane”, che s’ispiri alla “tradizione classica” e bocci il multiculturalismo: “I padrini dell’Europa falsa sono stregati dalle superstizioni del progresso inevitabile.

Credono che la Storia stia dalla loro parte, e questa fede li rende altezzosi e sprezzanti, incapaci di riconoscere i difetti del mondo post-nazionale e post-culturale che stanno costruendo. Per di più, ignorano quali siano le fonti vere del decoro autenticamente umano cui peraltro tengono caramente essi stessi, proprio come vi teniamo noi. Ignorano, anzi ripudiano le radici cristiane dell’Europa. Allo stesso tempo, fanno molta attenzione a non offendere i musulmani, immaginando che questi ne abbracceranno con gioia la mentalità laicista e multiculturalista”.

Nel 2007, riflettendo sulla crisi culturale del continente, Papa Benedetto XVI disse che l’Europa sta “dubitando della sua stessa identità”. Nel 2017, l’Europa ha fatto qualcosa in più: creare un’identità post-cristiana pro Islam. Le sedi istituzionali e i musei ufficiali dell’Unione europea in realtà stanno cancellando il Cristianesimo e accogliendo l’Islam.

Uno di questi musei ufficiali che di recente è stato aperto dal Parlamento europeo, la “Casa della storia europea”, è costato 56 milioni di euro. L’idea era quella di creare una narrativa storica del Dopoguerra costruita attorno al messaggio pro-Ue di unificazione. L’edificio è un bellissimo, esempio di Art Deco a Bruxelles.

Ma come ha scritto lo studioso olandese Arnold Huijgen, la casa comune europea è culturalmente “vuota”:”Sembra che la Rivoluzione francese abbia dato vita all’Europa, sembra che non ci sia nulla prima della Rivoluzione. Viene data grande importanza al Codice Napoleonico e alla filosofia di Karl Marx, mentre la schiavitù e il colonialismo sono considerati i lati più oscuri della cultura europea. (…) Ma la cosa più incredibile della Casa è che, per quanto riguarda la narrativa, è come se la religione non esistesse. Di fatto è come se non fosse mai esistita e non avesse mai influenzato la storia del continente. (…) Non si tratta più di laicismo europeo che combatte la religione cristiana, viene semplicemente ignorato ogni aspetto religioso della vita”.

La burocrazia di Bruxelles ha anche cancellato le radici cattoliche della sua stessa bandiera, dodici stelle che simboleggiano gli ideali dell’unità, della solidarietà e dell’armonia tra i popoli dell’Europa. È stata disegnata dall’artista cattolico francese Arséne Heitz, che pare si sia ispirato all’iconografia della Vergine Maria. Ma nella versione ufficiale dell’Unione europea sulla bandiera non c’è traccia delle radici cristiane.

Il dipartimento monetario ed economico della Commissione europea ha persino ordinato alla Slovacchia di ridisegnare le sue monete commemorative eliminando i santi cristiani Cirillo e Metonio. Non si fa una sola menzione al Cristianesimo nella bozza abortita di 75 mila parole della Costituzione europea.

Il ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maizière, membro dell’Unione cristiano-democratica, il partito della cancelliera Angela Merkel, ha proposto di recente di introdurre le festività islamiche. “Perché non si dovrebbe pensare di introdurre una festività islamica in parti del paese dove vivono molti musulmani?”, egli ha detto.

“La sottomissione sta avanzando”, ha replicato Erika Steinbach, già autorevole presidente della federazione che rappresenta i tedeschi espulsi da vari paesi dell’Europa orientale durante e dopo la Seconda guerra mondiale.

Beatrix von Storch, una dei leader di Alternativa per la Germania, (AfD), ha laconicamente twittato: “No no no!” La proposta di De Maizière dimostra che quando si tratta di Islam, il laicismo europeo ufficiale “post-cristiano” è semplicemente latitante.

Poche settimane fa, a Bruxelles è stata ospitata una mostra finanziata dall’Unione europea e intitolata “L’Islam è anche la nostra storia!”. L’esposizione traccia l’impatto dell’Islam in Europa. Un comunicato ufficiale afferma quanto segue: “La prova storica mostrata in questa esposizione – la realtà di un’antica presenza musulmana in Europa e l’interazione complessa fra due civiltà che hanno lottato l’una contro l’altra ma che si sono compenetrate a vicenda – sottende un impegno educativo e politico: aiutare gli europei musulmani e non musulmani a comprendere meglio le loro radici culturali comuni e a coltivare la loro cittadinanza condivisa”.

Isabelle Benoit, una storica che ha contribuito a ideare la mostra, ha dichiarato ad AP: “Vogliamo rendere chiaro agli europei che l’Islam è parte della civiltà europea e che non è un’importazione recente, ma ha radici che risalgono a tredici secoli”.

L’istituzione ufficiale europea ha voltato le spalle al Cristianesimo. L’establishment sembra essere ignaro di quanto il continente e la sua popolazione continuino a dipendere dall’orientamento morale dei suoi valori umanitari, specialmente in un momento in cui l’Islam radicale ha lanciato una sfida di civiltà all’Occidente. “È semplicemente un problema di ‘pieno’ e di ‘vuoto'”, scrive Ernesto Galli della Loggia nel quotidiano italiano Il Corriere della Sera. “È impossibile non considerare che mentre dietro il ‘pieno’ si stagliano i profili di due grandi tradizioni teologico-politiche — quella dell’ortodossia russa della Terza Roma da un lato, e quella dell’Islam dall’altro — dietro il ‘vuoto’, invece, c’è solo la progressiva evanescenza della coscienza cristiana dell’Occidente europeo”.

Ecco perché è difficile capire la “logica” alla base dell’animosità ufficiale europea nei confronti del Cristianesimo e la sua attrazione per un Islam essenzialmente totalitario. L’Europa potrebbe essere tranquillamente laicista senza essere ferocemente anti-cristiana. È più facile capire perché migliaia di polacchi hanno partecipato a una manifestazione di massa lungo i confini del loro paese per protestare contro “la laicizzazione e l’influenza dell’Islam”, che è esattamente la linea dell’assurdo credo ufficiale dell’Ue.

Durante la Seconda guerra mondiale gli Alleati evitarono di bombardare Bruxelles, perché doveva essere il luogo della rinascita europea. Se l’élite europea continuerà con questo rifiuto culturale della propria cultura giudaico-cristiana e umanistica, la città potrebbe essere la sua tomba.



La Dichiarazione di Parigi
Un’Europa in cui possiamo credere
https://thetrueeurope.eu/uneuropa-in-cu ... mo-credere

L'Europa la nostra Casa
1. L’Europa ci appartiene e noi apparteniamo all’Europa. Queste terre sono la nostra casa; non ne abbiamo altra. Le ragioni per cui l’Europa ci è cara superano la nostra capacità di spiegare o di giustificare la nostra lealtà verso di essa. Sono storie, speranze e affetti condivisi. Usanze consolidate, e momenti di pathos e di dolore. Esperienze entusiasmanti di riconciliazione e la promessa di un futuro condiviso. Scenari ed eventi comuni si caricano di significato speciale: per noi, ma non per altri. La casa è un luogo dove le cose sono familiari e dove veniamo riconosciuti per quanto lontano abbiamo vagato. Questa è l’Europa vera, la nostra civiltà preziosa e insostituibile.
...



Alberto Pento
Questa Dichiarazione per molti aspetti non mi piace per nulla:
Io chiarirei meglio il concetto di "stato nazione" e lo legherei ai popoli e alle varie comunità europee liberandolo dai vincoli presuntuosi, falsi e mortiferi dei nazionalismi ottocenteschi.
Io legherei la casa europea all'umanità europea, alle sue varietà-diversità etniche e culturali, poi come legante bastano i tratti e i valori comuni a cominciare dai Valori-Doveri-Diritti Umani Universali.
Poi non è vero che il cristianismo come religione si sia espanso e imposto senza imperialismo politico (ci si ricordi il periodo imperiale da Costantino a Carlo Magno); inoltre non va confuso lo spirito con la religione poiché lo spirito è universale e non appartiene ad alcuna religione che di per sé è idolatra.
Ridurre lo spirito a una qualsiasi religione è ridurre Dio a un idolo: le religioni sono tutte surrogati dello spirito.
L'evangelizzazione dell'umanità è una forma di imperialismo, di presunzione idolatra imperialista, uno dei grandi limiti del cristianismo.
Le radici europee non sono solo elleniche, romane e giudaico-cristiane ma anche non elleniche, non romane, altro elleniche e altro romane, preistoriche e non solo storiche; la spritualità è universale e la religiosità è molto altro da quella giudaico-cristiana, "spiritualità religiosa" che non va scambiata per la "spiritualità naturale e universale" che è la sola e vera spiritualità.
Sono d'accordo nel rifiutare la manipolazione dei Valori-Doveri-Diritti Umani Universali a spese degli uomini, dei cittadini e dei popoli europei, delle loro identità, tradizioni e libertà, operata da Papa Bergoglio e da tutti i presuntuosi massificatori "progressisti" mondialisti-globalisti.
Però questa Dichiarazione è una variante sul modello fascista : Dio/idolo, Patria/stato e Famiglia. Per molti aspetti non mi piace, sarebbe una involuzione più che un'evoluzione. Per me va corretta profondamente.
Ricordo agli estensori della Dichiarazione che la democrazia, quella vera, è solo diretta e che la rappresentativa e indiretta è un surrogato da adoperare unicamente in casi limitati e con precisi vincoli di mandato onde evitare il formarsi di caste e di tirannie.
La Svizzera federale e a democrazia diretta che è il cuore dell'Europa ci sia da modello.


Niram Ferretti
Ci sono molte cose assai discutibili in quello che lei scrive qui e estremamente problematiche sotto l'aspetto filosofico, teologico, storico. Lei parla di "Spirito", ma non specifica che cosa sia nè i criteri per identificarlo e riconoscerlo. Afferma che le religioni sono idolatrie, affermazione del tutto apodittica che si basa sul presupposto di uno Spirito non circoscrivibile e identificabile il quale non sarebbe dunque monopolio di alcuna religione. Questo è un assunto massonico e che necessita di una rigorosa disamina che questo spazio su Facebook non può offrire, e che io, personalmente, rigetto. La tradizione giudaico-cristiana si oppone frontalmente a quanto lei afferma essendo basata su una rivelazione diretta di Dio nello spazio e nel tempo. Si può, naturalmente, rifiutare questo assunto, ma questa è la specificità dell'ebraismo e del cristianesimo, e anche, va detto, del terzo monoteismo, quello islamico. L'Europa è stata fecondata per oltre un millennio soprattutto dal cristianesimo innestatosi su base giudaica di cui è una derivazione con le specificità proprie e irriducibii che ben conosciamo. La preistoria non ha alcun ruolo di plasmatrice di forme di vita specificamente occidentali, a meno che lei non voglia ritenere la scoperta del fuoco, l'invenzione della ruota, la differenziazione degli strumenti, le prime opere d'arte e il venire in essere dell'agricoltura come tali. L'evangelizzazione dell'umanità parte dal dettato stesso di Gesù come pronunciato nei Vangeli. Gesù era imperialista quanto Carlo Magno era un conquistatore mongolo. Il cristianesimo nella sua declinazione imperiale si è ovviamente imposto con le armi, ma per favore non concludiamo che l'essenza del cristianesimo sia armigera, evitiamo di scadere nella farsa. Gli autori della Dichiarazione di Parigi, alcuni dei quali storici, filosofi e politologi, sono profondi conoscitori della storia europea e del cristianesimo. Si può essere in disaccordo con quanto scrivono, ma concedere già in premessa che intellettuali del calibro di Remi Brague, Roger Scrouton, Robert Spaeman, non siano dilettanti allo sbaraglio. In finale mi consenta di dirle che fare della Svizzera, con la sua pur rispettabilissima storia, il cuore dell'Europa, è sicuramente suggestivo, ma la storia dell'Europa, la sua grandezza non si è mai basata sul modello federale svizzero. Paragonando solo per un attimo la storia della Francia o quella della Spagna o della Gran Bretagna come potenze costitutrici di civilità, a quella della Svizzera, se ne evidenzia subito l'assoluta marginalità nell'avere contribuito a plasmare la civilità occidentale dal Medioevo in poi. Il cuore dell'Europa è la Svizzera tanto quanto la pittura del Verrocchio è il fulcro dell'arte del Rinascimento.

Alberto Pento
Ci mancherebbe altro che quello che io scrivo non sia discutibile.
Sappiamo tutti cosa è lo Spirito che taluni chiamano Spirito Santo e che anima la vita e l'intero universo e che generalmente viene anche chiamato Dio; non occorre che io aggiunga altro; sarei ben stolto se mi dilungassi a cercare di definirlo.
Se permette, Dio o lo Spirito Santo non è certo nato con gli Ebrei e nemmeno con l'ebreo Gesù Cristo che per i cristiani sarebbe l'incarnazione di Dio, mentre per gli ebrei Cristo altro non sarebbe che un giudeo eretico blasfemo (per me anche invasato e presuntuoso). L'imperialismo politico cristiano a cui ho accennato era quello che da Costantino passa per Carlo Magno.

Io non so cosa abbiano detto e dicano i massoni, io so soltanto ciò che sento, penso e dico io e cioè che Dio, il Creatore di tutte le cose e di tutte le creature non è una proprietà di chichessia, di alcun popolo, di alcun profeta, di alcuna chiesa, di alcun libro, di alcuna religione.
Per me chi scambia la propria interpretazione di Dio o Spirito Santo e Universale per Dio stesso altro non è che un idolatra e le religioni costruite su questa credenza o fede sono idolatrie e la loro interpretazione di Dio altro non potrebbe essere che il loro idolo.
Dio è per tutti e non può essere di nessuno, se fosse di qualcuno altro non potrebbe che essere un idolo.
Gli ebrei e i cristiani sono liberi di credere a quello che vogliono e io sono altrettanto libero di non credere alle loro credenze rivelate e sono altrettanto libero di dir loro che per me sono degli idolatri (i più idolatri di tutti sono i maomettani che sono anche umanamente dannosi) e che la loro idolatria è pura presunzione.
Per quanto mi riguarda Dio si rivela a tutti da sempre e ovunque. Per me si può essere naturalmente spirituali e naturalmente credenti senza alcuna religione codificata.

Mi fa sorridere la sua incauta affermazione "che la preistoria non abbia alcun ruolo di plasmatrice di forme di vita specificamente occidentali, a meno che lei non voglia ritenere la scoperta del fuoco, l'invenzione della ruota, la differenziazione degli strumenti, le prime opere d'arte e il venire in essere dell'agricoltura come tali."
Noi siamo il prodotto del nostro passato, di tutto il nostro passato da quando esistiamo sulla terra e quindi anche della preistoria, della protostoria e della storia: le nostre radici biologiche, genetiche, linguistiche, culturali (tra cui le ideologie politiche, le istituzioni sociali, le credenze religiose, ...) e ciò che distingue gli europei dall'umanità degli altri continenti ha anche radici preistorico universali e preeuropee (il fuoco e la ruota e molto altro sia in ambito linguistico che istituzionale e religioso) a cui si sono aggiunte specificazioni preistorico europee prima delle specifiche protostoriche e storiche.
Sino a pochi secoli fa gli europei credevano che il mondo fosse nato qualche migliaio di anni prima come raccontava la Bibbia (poco più di 6mila anni), oggi sappiamo che non si tratta di qualche migliaio di anni ma almeno di qualche miliardo che poi per Dio che è eterno un secondo o un miliardo di anni siano quasi niente è un'altra storia.

Anche la sua idea che la Svizzera sia poca cosa in fatto di Civiltà, beh mi lasci dire che per me la Civiltà di un paese si misura con il benessere della sua umanità, della sua gente. La Svizzera per me è il cuore dell'Europa sia in senso geografico che in quello politico-culturale e per me è un buon esempio di paese democratico e federale più di ogni altro in Europa e più di Israele; un paese la Svizzera dove oggi gli ebrei non vengono ammazzati come invece accade in Francia.



Niram Ferretti
Lei è libero di credere in ciò che desidera. Nello Spirito, in Manitù, in Odino, poi sa, a sostegno di ciò che si crede vanno in genere fornite argomentazioni che abbiano il più possibile un certo rigore logico. Ma non è questa la sede per disamine teologiche sullo Spirito Santo, l'ebraismo, il cristianesimo, la natura di Dio. Su ognuno di questi argomenti si potrebbe dibattere per anni, ognuno con la sua competenza. Lei considera idolatri gli ebrei e i cristiani, curioso visto che il culto di Dio da parte ebraica e cristiana, con le debite e radicali differenze, si rivolge a un Dio assolutamente invisibile, che, anche nel caso dell'incarnazione come pensa il cristianesimo, resta assolutamente indeterminabile e avvicinabile solo per analogia dal pensiero umano. Credo anche, da ciò che scrive, che lei abbia un'idea piuttosto grossolana, me lo consenta, della religione, nello specifico dei due monoteismi. L'ebraismo non ha mai affermato di avere alcun "monopolio" di Dio, ma di essere stato latore di una rivelazione che si configura per il popolo ebraico come patto specifico ma che ha, tuttavia, una valenza universale. Sì, so anche io che il passato comprende anche la preistoria e la polvere di stelle, ma nè la preistoria nè la polvere di stelle hanno concorso minimamente nell'avere edificcato la civilità occidentale nella sua specificità, più di quanto abbiano concorso nell'edificare la civiltà mesopotamica nella sua specificità. Sì, di nuovo, in Svizzera si sta bene, e c'è benessere, anche in Lussemburgo si sta bene e c'è benessere, e anche in Nuova Zelanda e in Australia e in Israele. Naturalmente lei è libero di ritenere che la Svizzera sia il migliore paese del mondo, così come io sono libero di pensare che sia Israele o la Nuova Zelanda. Ma vede, non è solo il benessere economico che fa di un paese un grande paese, è anche la sua storia, il suo livello di cultura, il contributo che ha dato in generale alla civiltà e all'umanità. Il peso della Svizzera, per altro paese assai piacevole e rispettabilissimo, nella storia della civiltà occidentale è stato tenue, anche se forse lo sarà di più in futuro. Amo ricordare, a questo proposito, una celebre battuta di Orson Welles, "In Italia per trent'anni sotto i Borgia hanno avuto guerra, terrore, omicidio e spargimento di sangue, ma hanno prodotto il Rinascimento, Leonardo da Vinci e Michelangelo. In Svizzera per cinquecento anni hanno avuto l'amore fraterno, hanno avuto cinquecento anni di democrazia e pace, e cosa hanno prodotto? l'orologio a cucu".

Alberto Pento
Per me l'ebraismo è la religione meno idolatra tra le tre dette del Libro. Cristo non è invisibile come pure la voce di Dio che si manifesta ad Abramo e a Mosè; l'idolatria non si caratterizza solo con le immagini.
Con le religioni non esistono argomentazioni ma solo la fede.
Sulla penisola italica si è dimenticato le "cose" forse più importanti: la democrazia comunale e Venezia con la sua secolare repubblica (anche se aristocratica).
Il benessere della Svizzera prima che economico è sociale e civile, non per nulla dalle statistiche mondiali è uno dei paesi più felici della terra se non il più felice.
La Svizzera ha avuto le sue guerre interne come le ha avute anche Israele prima dell'ultima diaspora.
Lei forse non ha idea di come la tecnologia di precisione e microscopica degli orologi svizzeri sia stata di grande aiuto allo sviluppo di quella applicata alla medicina (in particolare la chirurgia) e all'informatica.


Marco Saiaci
L'Ebraismo é l'unica religione .
cristianesimo e islam sono solo sette / organizzazioni messe su circa 4000 anni dopo da uomini che hanno avuto l'arroganza e la prepotenza di copiare la Torah e modificarla a loro piacimento per perseguire i loro subdoli scopi personali .


Gino Quarelo
Marco Saiaci Le ricordo che Cristo era un ebreo al 1000%, forse era solo un po' invasato ed estremista. Maometto l'assassino invece è stato tutt'altro. Le ricordo anche che la religione ebraica ha radici in un contesto religioso più antico dell'area mesopotamica ed egiziana. Le ricordo anche che le religioni al mondo sono tante e non sono solo quelle dette del Libro. In ogni caso Dio non è proprietà degli ebrei tanto meno può essere imbrigliato dalle religioni. Io non sono di alcuna religione e non sento il bisogno di averne una, però sono un credente naturale aidolo.


Europa e i diritti negati e calpestati dei cittadini nativi europei
viewtopic.php?f=92&t=2682
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Messaggioda Berto » sab nov 25, 2017 5:06 pm

FRIEDRICH A. VON HAYEK – La presunzione fatale (1988)

http://tramedoro.eu/?p=4706

Pubblicata dal suo autore a quasi novant’anni, La presunzione fatale costituisce il testamento intellettuale di Friedrich A. von Hayek, sintesi e approdo della sua quasi secolare attività di ricerca.
In questo libro l’economista e filosofo austriaco sostiene che la nostra civiltà dipende, nella sua origine e nella sua conservazione, dall’ordine esteso della cooperazione umana, un ordine più comunemente conosciuto come capitalismo.
Seguendo le tradizioni morali sorte spontaneamente e sottostanti all’ordine del mercato (tradizioni che non soddisfano i canoni di razionalità accettati dalla maggioranza dei socialisti, come la proprietà e i contratti) noi possiamo infatti generare e raccogliere una quantità di conoscenza e ricchezza immensamente più grande di quella utilizzata in una società pianificata dal centro secondo i dettami della ragione.
Se questo è vero, allora il socialismo è un errore, una nostalgia atavica della vita in piccoli gruppi che l’umanità primitiva ha praticato per decine di migliaia di anni.
Secondo Hayek, anche quando sono animati dalle migliori intenzioni i socialisti che avversano l’ordine esteso del mercato e anelano riscrivere a tavolino le regole della morale, del diritto e dell’economia, si troveranno sempre nell’impossibilità di realizzare i loro obiettivi.
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Messaggioda Berto » lun nov 27, 2017 8:20 pm

Cento anni di comunismo e cento milioni di morti. Una catastrofe per l'umanità
27 Novembre 2017

http://www.ilfoglio.it/il-foglio-intern ... ita-165576

Cento anni fa i bolscevichi presero il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo dando inizio “a una serie di eventi che avrebbero portato alla morte di milioni di persone e avrebbero inflitto una ferita quasi fatale alla civiltà occidentale”, scrive David Satter sul Wall Street Journal. I rivoluzionari riuscirono a occupare le stazioni, gli uffici postali e i telegrafi mentre la città dormiva e, quando i cittadini si svegliarono, trovarono il loro universo capovolto. I bolscevichi dicevano di voler abolire la proprietà privata, ma il vero obiettivo era spirituale: trasformare l’ideologia marxista-leninista in realtà. Per la prima volta si posero le basi per uno stato esplicitamente ateo e quindi incompatibile con i valori su cui si fondava la civiltà occidentale per la quale stato e società erano sovrastati da un potere superiore.

Il golpe bolscevico ha avuto due conseguenze. Nelle nazioni che si sono lasciate influenzare la rivoluzione ha svuotato la società della morale, ha degradato gli individui e li ha resi degli ingranaggi della macchina statale. I comunisti hanno ucciso, eliminando il valore della vita stessa e i sopravvissuti hanno perso la loro coscienza individuale. Ma i bolscevichi non si sono limitati a influenzare queste nazioni. A occidente, il comunismo ha intaccato la società sovvertendo i suoi valori e mettendoli in discussione. Ha creato una confusione politica che perdura fino ai nostri giorni.

Durante un discorso del 1920 al Komsomol, Lenin ha detto che i comunisti subordinavano la morale alla lotta di classe. Tutto ciò che fosse in grado di distruggere “la vecchia società sfruttatrice e che aiutasse a costruire una nuova società comunista” era considerato positivo. Questo approccio ha separato il peccato dalla responsabilità. Martyn Latsis, ufficiale della Cheka, la polizia segreta, nel 1918 scrisse come dovesse essere condotto un interrogatorio: “La nostra guerra non è contro gli individui. Noi stiamo sterminando la borghesia in quanto classe sociale. Non cerchiamo la prova che l’atto di cui qualcuno è stato accusato sia stato effettivamente commesso. Come prima cosa bisogna chiedere a quale classe sociale appartiene un individuo. Questo determinerà il suo destino”.

“Queste convinzioni furono alla base di decenni di omicidi”, scrive Satter, “non meno di venti milioni di cittadini sovietici vennero uccisi dalle politiche repressive. Questo numero non include i milioni di vite spezzate dalle guerre, dalle epidemie e dalla fame generate in modo prevedibile dai principi del bolscevismo”. Si contano 200.000 vittime del terrore rosso tra il 1918 e il 1920, 11 milioni di persone decedute o per la fame o per la dekulakizzazione, 700.000 esecuzioni tra il 1937 e il 1938, almeno 2.700.000 prigionieri morti nei gulag. Alla lista bisognerebbe aggiungere un milione di detenuti, che durante la Seconda guerra mondiale vennero liberati dai campi di lavoro e impiegati nell’Armata rossa andando incontro a morte certa, partigiani e civili uccisi in Ucraina e nelle repubbliche baltiche. Se a questo novero aggiungiamo anche le morti causate dai regimi supportati dall’Unione sovietica – Corea del nord, Cina, Cuba, Vietnam, Cambogia e altre nazioni dell’Europa orientale – il numero totale delle vittime sfiora i 100.000.000 e “questo basta per fare del comunismo la più grande catastrofe dell’umanità”.

Il risultato di queste morti doveva essere la creazione di un uomo nuovo, pronto ad agire nel nome della causa sovietica. La battaglia di Stalingrado è il paradigma di tutto ciò. Quando le unità di blocco dell’Armata rossa spararono sui soldati che tentavano la fuga e sui civili che cercavano rifugio dalla parte tedesca, ai bambini che andavano a riempire le bottiglie dei soldati del Reich con l’acqua del Volga, il generale Vasily Chuikov, comandante a Stalingrado, cercava di giustificare queste azioni affermando: “Un cittadino sovietico non può concepire la propria vita al di fuori delle necessità della patria”.

Questi sentimenti permangono ancora oggi. Quando nel 2008 la Duma ammise che la carestia del 1932 fu causata dalle requisizioni di grano ordinate dallo stato per finanziare l’industrializzazione, aggiunse che i giganti industriali dell’Urss, il mulino di Magnitogorsk e la diga del fiume Dnepr, sarebbero stati “eterni monumenti” per le vittime.

L’Unione sovietica ha rimodellato la natura umana, ma ha anche diffuso il caos intellettuale. Il termine “politicamente corretto” trae le sue origini dall’assunto secondo il quale il socialismo, un sistema di proprietà collettiva, in sé era virtuoso, senza avere la necessità di valutare il suo operato alla luce di criteri morali trascendenti.

Quando i bolscevichi si presero la Russia, alcuni intellettuali occidentali, influenzati dalla stessa mancanza di etica, chiusero gli occhi di fronte alle atrocità del comunismo. Quando gli omicidi divennero troppo ovvi per essere negati, “i simpatizzanti iniziarono a giustificare le crudeltà dicendo che i sovietici facevano tutto con nobili intenzioni”.

Ma a occidente prevaleva una profonda indifferenza. La Russia veniva utilizzata come pretesto per risolvere le liti politiche. Come scrive lo storico Robert Conquest, il ragionamento era semplice: “Il capitalismo era ingiusto, il socialismo avrebbe potuto mettere fine all’ingiustizia, quindi andava sostenuto senza condizioni”.

L’Unione sovietica è roba del passato ma è necessario ricordare quanto scrisse il filosofo russo Nikolaj Berdyaev: “La nostra gioventù istruita non riesce ad ammette il significato intrinseco e indipendente delle parole scolarizzazione, filosofia, erudizione, illuminismo, università, lo subordinano agli interessi della politica, dei partiti, dei movimenti e dei circoli”.

Se c’è una lezione che possiamo trarre dal secolo comunista è che un potere indipendente dai principi universali della morale non può avere ripensamenti, dal momento che “è la convinzione da cui dipende tutta la civilizzazione”.
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