Legittima difesa umana e cristiana

Re: Legittima difesa umana e cristiana

Messaggioda Berto » dom lug 04, 2021 10:23 am

È "giusto" uccidere un criminale?
Giuseppe De Lorenzo
4 Luglio 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cultura/ ... 1625383480

Vi è mai capitato di leggere due libri in fila, diversi, che non c’azzeccano l’uno con l’altro, eppure casualmente legati da un invisibile filo rosso? A chi scrive sì. È successo alternando un ottimo romanzo ad un bel saggio. Tema: la giustizia, o forse l’ingiustizia. O magari la “legge”.

Già, perché in fondo “Il vizio della solitudine” di Raul Montanari (Baldini+Castoldi, 330 pagine, 19 euro) si sviluppa attorno ad un interrogativo, vero e intelligente, dell’arguto ispettore Pozzanghera: “La giustizia è una cosa, la legge è un’altra”, dice, e “a volte la legge è il nemico numero uno della giustizia”. Che poi è solo un altro modo per formulare la “mancanza di certezza della pena” che cittadini, agenti, carabinieri, commercianti e via dicendo lamentano in questa Italia dove spacciatori, ladri e malandrini entrano in cella dopo un crimine e ne escono poche ore dopo. Legge e giustizia, che strana dicotomia. Quando un bandito torna in libertà si dice sempre che “la legge” prevede lo sconto di pena, non puoi mica lamentarti. E se un mafioso col vizio di scogliere nell’acido un bambino può vivere tranquillo dopo un ventennio dietro le sbarre è sempre “la legge” che lo prescrive. Cosa vuoi farci? Se uno spacciatore viene pizzicato con le mani nel sacco ma poco dopo gli agenti se lo ritrovano di nuovo al “lavoro” è “la legge”, o l’interpretazione che ne fa il giudice, ad averlo permesso. E la giustizia? La giustizia invece non dovrebbe avere cavilli. La “giustizia” divide il mondo in bianco e nero: chi picchia, uccide, stupra non può cavarsela grazie alle magie di un azzeccagarbugli.

È per questa idea di giustizia che un gruppo di poliziotti, in questo bel romanzo ambientato nella periferia milanese, si prende la briga di “ripassare” i mascalzoni a suon di pestaggi. Pestaggi moralmente “giusti”, sebbene illegali. Ed è sulla base della stessa idea di giustizia che una banda di fanatici stranieri ammazza, dopo un processo sommario, gli scafisti che si sono macchiati del sangue di tanti migranti lasciati morire in mare come bestie. La “legge” italiana non si è occupata di incarcerarli? Vivono liberi nonostante abbiano stuprato e torturato? Arriva la “giustizia” fai da te. La lingua italiana non mente e in questo caso si dice, appunto, "giustiziare" con un colpo di pistola. Così alla fine del libro viene da chiedersi: chi di noi si alzerebbe in piedi per difendere il sacrosanto diritto di quegli scafisti ad un giusto processo e ad una pena stabilita dalle “legge”? Nessuno, forse. O solo pochi pazzi che potremmo contare sulle dita di una mano. “Rifarei tutto - è il mantra del romanzo - perché era tutto giusto”. Picchiare banditi, minacciare ladri, uccidere assassini: tutto “giusto”, anche se illegale.

Poi ti ritrovi a leggere 30 aprile 1993 di Filippo Facci e il ragionamento si ribalta. Perché il saggio narrativo è un racconto dettagliato e sentito della più grande degenerazione della “giustizia” che l’Italia abbia mai conosciuto: Mani Pulite. Un’epoca di avvisi di garanzia, commistione tra giornalisti e procure, arresti facili e suicidi. Un tempo in cui i presunti “giusti” Di Pietro, Davigo e Borrelli davano la caccia alla sicuramente colpevole classe politica del tempo. Craxi ne è l’esempio principe, ma non l’unico. Tutte vittime di una foga manettara cui il Paese è andato dietro battendo largamente le mani. Ricordate le monetine all’hotel Raphael? Ricordate chi oggi si dice garantista e un tempo mostrava cappi in Parlamento? Oppure chi tifava per i pm e oggi li guarda con occhi storti? Da giustizia a giustizialismo. A forza di ubriacarsi per quell’opera di “pulizia” messa in atto dalla procura di Milano (“è giusto, è giusto”), i protagonisti dell’epoca si dimenticarono della “legalità” di un metodo che sembrava puntare più alla pubblica gogna che a un giusto ed equilibrato processo. Oggi forse ci interroghiamo sui “metodi sbrigativi della magistratura” che aveva trasformato la carcerazione preventiva “da auspicata extrema ratio” a “palese strumento di indagine a scopo confessorio”. Ma allora appariva tutto così “giusto”, utile a scacciare i potenti che a suon di mazzette avevano corrotto l’Italia. Chi a quel tempo si alzò in piedi per criticare i metodi della procura meneghina? Nessuno, o una sparuta minoranza. “Nel 1994 - scrive Facci - il cittadino manipulitista medio, moderato” vedeva ancora nel pool di Milano il supereroe “che arrestava i corrotti per rendere il mondo migliore”.

Eppure non sempre quello che ci sembra “giusto” è anche corretto. Dirà Rondolino: “Quella sera davanti al Raphael capii che cosa effettivamente fosse il giustizialismo (…), che cosa fosse Mani Pulite (…): nient’altro che una folla inferocita che tenta il linciaggio”. Perché in fondo aveva ragione Craxi, quando in un'intervista dell’epoca a Massimo Caprara metteva tutti in guardia: “La giustizia deve essere serena, equilibrata, umana. La giustizia politica è una barbarie”. Anche al più corrotto dei parlamentari, anche al più sporco dei colletti bianchi o al più infame degli scafisti va garantito il giusto processo. Sempre. Dovrebbe capirlo pure l’ispettore Pozzanghera.



Alberto Pento
Certo che sì, si può uccidere per legittima difesa, sia preventiva che in concomitanza del crimine sia dopo la giusta condanna definitiva laddove esiste la pena di morte per i crimini più efferati e disumani.
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Re: Legittima difesa umana e cristiana

Messaggioda Berto » lun set 13, 2021 8:40 pm

Quanto accaduto è la prova provata che non servono le armi da fuoco o da taglio o altri oggetti contundenti per fare del male, ferire ed uccidere, basta una spinta per cui la semplice presenza di un malvivente introdottosi nelle proprietà altrui tra cui e in modo particolare il domicilio, costituisce un pericolo mortale anche se non armato e giustifica appieno una qualsiasi reazione violenta di legittima difesa finanche l'uccisione dell'aggressore da parte dell'aggredito che è perciò sempre proporzionata.


Chiara sorprende il vicino in casa, lui la spinge e la uccide: «Un raptus, non volevo»
Giuseppe Scarpa
6 settembre 2021

https://www.ilmessaggero.it/italia/chia ... 79610.html

Emanuele Impellizzeri, 38 anni, domenica pomeriggio entra di nascosto a casa di Chiara Ugolini, 27 anni. Dal terrazzo, come un ladro. Un appartamento al secondo piano in una palazzina a Calmasino di Bardolino (Verona), una zona collinare sopra il lago di Garda. Impellizzeri vive al piano terra, nello stesso piccolo condominio. All’improvviso l’uomo si trova di fronte la ragazza. Lei è sola, il compagno con cui vive, Daniel Bongiovanni, il quel momento non è con lei. «Un raptus», ha detto agli investigatori il 38enne accusato di omicidio volontario aggravato. L’avrebbe spinta con violenza. Anche se, solo l’autopsia, potrà ricostruire con precisione la dinamica.

Chi era la 27enne uccisa a Verona: il killer è entrato in casa con una scusa

Chiara aveva 27 anni, fermato il vicino in fuga sull'A1

La spinta

La 27enne sarebbe caduta a terra, avrebbe battuto violentemente la testa. Poi sarebbe morta. Il motivo per cui Impellizzari, che ha precedenti per reati contro il patrimonio (un condanna per rapina) ed è in affidamento in prova ai servizi sociali, si sia introdotto in casa della vittima non è chiaro. L’uomo è uscito di carcere a giugno. Lo stesso 38enne esclude l’ipotesi sessuale. Ovvero un tentativo di violenza. Ma i carabinieri vogliono approfondire. La pista seguita dagli investigatori porta per adesso, visto anche il passato dell’assassino, ad un tentativo di furto. Non si esclude anche il “rancore”: la 27enne, pochi giorni fa, sarebbe intervenuta a difesa della compagna dell’uomo, dopo una lite furibonda tra i due.

Il ritrovamento

Chiara Ugolini è riversa sul pavimento di casa quando il compagno la trova. La 27enne è a pancia in giù, con una piccola chiazza di sangue vicino alla fronte.
Da una prima ispezione del cadavere non compaiono segni evidenti di ferite provocate da armi da taglio o da fuoco. Daniel Bongiovanni era subito rincasato, preoccupato, perché la compagna non gli rispondeva al telefono. Era in ritardo al lavoro. Commessa nel negozio di abbigliamento del suocero. Nel frattempo Impellizzari a bordo della sua moto è già lontano. A tutta velocità pensa di seminare gli investigatori. I carabinieri sono già sulle sue tracce. Convocano tutti i residenti del piccolo condominio. All’appello, guarda caso, manca proprio lui. È irrintracciabile. I sospetti si concentrano sull’uomo. I militari dell’Arma allertano i colleghi della polizia stradale.
Il 38enne molto probabilmente stava andando in Sicilia, dov’è nato, a Catania. Fermato alle 23 di domenica sull’autostrada A1 all’altezza di Firenze dalle forze dell’ordine ammette quello che ha fatto. «L’ho spinta» dice. «È stato un raptus», prosegue. «Non volevo che succedesse». Chiara Ugolini, 27 anni, però, è morta. E poco importa se lui non «voleva». La procura di Verona, il pubblico ministero è Eugenia Bertini, dispone lo stato di fermo in attesa che il gip convalidi l’arresto già oggi.

Chi era

La ventisettenne era una sportiva. Una ragazza appassionata di pallavolo sin dall’infanzia, militava nel Palazzolo Volley, squadra veronese di prima divisione. Sul profilo Facebook del club compare una scritta con accanto un cuore «Ciao Chiara». Sotto, tantissimi i commenti commossi. La vittima dell’efferato omicidio era anche allenatrice nelle giovanili della stessa formazione: «Una preghiera per Chiara, sentite condoglianze e un abbraccio alla famiglia», dicono i colleghi.

La giovane lavorava in una boutique di abbigliamento a Garda, sul lago, di proprietà del padre del fidanzato. Si era laureata a Padova nel 2020, come dimostrano le numerose istantanee pubblicate dalla stessa 27enne sul suo profilo Instagram dove viene ritratta sorridente in compagnia degli amici. Chiara Ugolini si era trasferita di recente a Calmasino per vivere insieme al fidanzato: era originaria di Fumane dove abita la sua famiglia. La donna aveva un fratello mentre il padre aveva lavorato a lungo in un’azienda scaligera nel settore enologico mentre la mamma è impiegata in un mobilificio della Valpolicella. La sua famiglia la piange disperata. I genitori, il fidanzato. Uccisa, molto probabilmente, per un tentativo di furto andato male.
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Re: Legittima difesa umana e cristiana

Messaggioda Berto » lun set 13, 2021 8:41 pm

Sparò a un ladro che gli stava rubando l'auto in cortile: macellaio condannato per tentato omicidio
12 settembre 2021

https://www.padovaoggi.it/cronaca/conda ... -2021.html

4 anni e 11 mesi per tentato omicidio e 25mila euro di risarcimento: la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dai legali di Walter Onichini, macellaio che nel luglio 2013 a Legnaro sparò a Elson Ndreca, che gli stava rubando l'auto in cortile, ferendolo in modo grave.


I fatti

Confermata quindi la condanna per tentato omicidio che era già stata inflitta a Onichini in primo e secondo grado: nella notte del 22 luglio 2013 l'uomo, dopo aver sentito dei rumori nel giardino, notò che qualcuno gli stava per rubare la macchina e sparò due colpi con il suo fucile, colpendo al fianco il ladro per poi caricarlo in auto e abbandonarlo in strada. Stando alla difesa il macellaio si comportò così perché Ndreca lo aveva minacciato puntandogli un coltello alla gola.


Alberto Pento
È vero che Walter Onichini avrebbe caricato il ladro ferito in un'auto per poi abbandonarlo distante da casa sua? In quale auto Onichini avrebbe caricato il ladro ferito, in quella del ladro o in quella sua?
In ogni caso dopo il legittimo ferimento del ladro Walter Onichini avrebbe dovuto chiamare la polizia o i CC e il 118, in questo modo le cose sarebbero andate diversamente.
Non avendo chiamato le forze dell'ordine e il 118 ha sbagliato vanificando la sua legittima difesa.
Io lo avrei assolto per il ferimento del ladro, in quanto legittima difesa della proprietà, ma lo avrei condannato per omissione di soccorso, condanna lieve ma dovuta per una questione di civiltà. Il ladro aveva già avuto quel che si meritava, una bella ferita (avrebbe potuto essere ferito a morte), quindi a questo punto si poteva benissimo chiamare le forze dell'ordine e il 118, il non averlo fatto è stata una esagerazione.
Che questo caso serva di lezione per altri.




https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4320407972

Gino Quarelo
Onichini ha fatto bene a sparare e a colpire il criminale per legittima difesa (lo avrei fatto anch'io) ma ha fatto male poi a non chiamare la polizia, a caricare il criminale ferito nella sua auto per poi abbandonarlo in aperta campagna lontano dalla sua abitazione. In questo modo Onichini ha vanificato il suo diritto sacrosanto alla legittima difesa esponendosi a questa condanna da parte dei giudici. Se Onichini avesse chiamato la polizia dopo aver sparato e ferito il criminale è più che sensato pensare che probabilmente sarebbe stato assolto per legittima difesa. Onichini è stato fortunato che il ladro non sia morto a causa del suo averlo abbandonato nel campo, se così fosse avvenuto forse avrebbe avuto una condanna ben maggiore.
Io lo avrei assolto per il ferimento del ladro, in quanto legittima difesa della proprietà, ma lo avrei condannato per omissione di soccorso, condanna lieve ma dovuta per una questione di civiltà. Il ladro aveva già avuto quel che si meritava, una bella ferita (avrebbe potuto essere ferito a morte), quindi a questo punto si poteva benissimo chiamare le forze dell'ordine e il 118, il non averlo fatto è stata una esagerazione ... .
Che questo caso serva di lezione per altri.




Sparò al ladro: finisce in carcere. Il rapinatore già libero
Gabriele Laganà
14 Settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 1631613594

Nulla da fare. La Suprema Corte ha confermato per Walter Onichini, macellaio di Legnaro (Padova), la sentenza di 4 anni e 11 mesi per tentato omicidio già inflitta in primo e secondo grado. Un duro colpo per l’uomo che nel luglio del 2013 sparò a un ladro che, penetrato nel cortile di casa sua, gli stava rubando la macchina. Il malvivente, il 30enne albanese Elson Ndreca, rimase ferito in modo grave.

In questa vicenda c’è anche quella che può essere considerata una beffa. Perché non è sfuggito il fatto che ad Onichini sia stata inflitta una pena molto più dura rispetto all’immigrato che ha compiuto l’azione criminale. Nel 2019, infatti, Ndreca era stato condannato a 3 anni e 8 mesi per il furto. Ma non è tutto. Perchè lo straniero ora non è in Italia: ha un ordine di espulsione e non può rientrare. Della pena ricevuta l’immigrato ne ha scontato solo una minima parte. L’uomo ora si trova da qualche parte all’estero, dove vive da uomo libero.

Tutta un’altra storia quella del macellaio che ha visto la sua vita andare in rovina in modo improvviso. Un incubo iniziato in una calda sera di estate e che forse segnerà per sempre la sua esistenza. Per l’uomo, infatti, si sono aperte le porte del carcere di Padova. Come se non bastasse in questa storia vi è anche un altro tassello che farà molto discutere. Onichini dovrà dare al ladro anche 25mila euro di risarcimento.

"Non condivido la decisione soprattutto alla luce della modifica della legittima difesa del 2019 e della condanna che lo straniero ha avuto per furto in abitazione, delitto che consente di difendersi a prescindere dalla proporzione con l’offesa", ha affermato l’avvocato difensore del macellaio, Ernesto De Toni. Quest’ultimo ha spiegato che Ndreca era “illegittimamente presente in Italia, era un ladro professionista domiciliato a Milano dove viveva nel lusso grazie ai furti, quella notte con i suoi complici aveva fatto 300 km per razziare le abitazioni in Veneto nonostante la condanna di tre anni e 8 mesi, è venuto a testimoniare senza che venisse emesso a suo carico l’ordine di carcerazione che l’avrebbe portato in carcere".


I fatti

La vicenda risale al 22 luglio del 2013. Era notte quando il macellaio, che si trovava in casa insieme alla moglie e al figlio piccolo, sentì dei rumori in giardino. Preoccupato, andò a controllare e vide dei ladri che gli stavano rubando la macchina. A quel punto imbracciò il fucile e sparò due volte: il secondo proiettile colpì il ladro al fianco.

Come raccontò un vicino di casa del macellaio, dopo il primo sparo il malvivente disse che se ne stava andando. Onichini sparò un secondo colpo che raggiunse lo straniero. Il macellaio, poi, caricò in auto il ladro e lo portò nei campi, abbandonandolo. Il ferito fu trovato da uno straniero che lo portò in ospedale. Stando alla difesa Onichini si comportò così perché Ndreca lo aveva minacciato puntandogli un coltello alla gola.


La speranza

Nel corso del tempo sono stati molti gli attestati di solidarietà manifestati nei confronti di Onichini. Negli ultimi anni il macellaio è diventato una sorta di eroe per chi sostiene che "la difesa sia sempre legittima" e nessuno debba finire sotto processo per aver sparato nel tentativo di opporsi ai malviventi. Matteo Salvini, quando era ministro dell’Interno, definì "assurda" la sua condanna.

Dopo la prima condanna del 2017, per il macellaio si aprì una speranza legata alla nuova legge sulla legittima difesa. Speranza che si era fatta più forte quando il Parlamento, nell’aprile del 2019, approvò la legge. Il macellaio si augurava che la prima sentenza sarebbe stata ribaltata. Ancor di più contava sul fatto che la corte accogliesse la richiesta di assoluzione formulata dal procuratore generale che il 2 aprile 2019 aveva chiesto anche che il reato venisse derubricato in eccesso colposo di legittima difesa.

Tutto inutile. I giudici dell’Appello hanno dato ragione a quelli padovani. L’ultimo passo è avvenuto in Cassazione che ha chiuso il caso in quanto non sono emersi motivi nuovi per rivalutare il caso e rispedirlo indietro a una delle due corti territoriali.


Il dolore della moglie

Sara Scolaro, moglie di Walter Onichini, è arrabbiata. E ammette il suo stato d’animo parlando telefonicamente con il Corriere della Sera. "Non è facile da accettare: uno di questi giorni lo Stato italiano verrà a prendere Walter per portarlo in prigione. Ovvio che la viviamo come un’ingiustizia: mi strapperanno mio marito, strapperanno un padre ai suoi due figli…", ha affermatola donna. Proprio mentre parlava ecco che i carabinieri bussano al cancello. La signora è sconvolta. "Mio Dio. Sono i carabinieri, sono venuti a portarlo via… No, non adesso: ci sono i bambini in casa, non volevo che vedessero…". La telefonata si interrompe.

Due ore dopo l’arrivo della pattuglia, la moglie di Walter risponde di nuovo al telefono. "Devo farmi forza, pensare ai bambini e alla fattoria. Sono preoccupata per mio marito: non so come reagirà in carcere, temo possa crollare. Lui non è un criminale, non ha mai avuto precedenti penali, è abituato agli spazi aperti, alle sue passeggiate. Ma d’ora in avanti vivrà le sue giornate dentro una cella, circondato da gente pericolosa".

La donna cerca in qualche modo di pensare positivo, per quanto possibile: "L’unica speranza è che tra un anno possa chiedere i domiciliari". Con la mente ritorna a quella drammatica notte di 8 anni fa: "Solo chi l’ha provato sulla propria pelle può capire cosa significhi svegliarsi nel cuore della notte con dei criminali in giardino, e sapere che la tua famiglia, i tuoi figli, sono in casa". La donna spiega che in quella "situazione di stress, al buio, non si può pretendere che una persona agisca in modo perfettamente razionale, che riesca a valutare con lucidità ogni dettaglio. Perfino il procuratore generale l’aveva capito, ma i giudici non l’hanno ascoltato".

La vita stravolta da chi voleva compiere un’azione illegale ed ora è libero. Il dolore per il marito in carcere e la tristezza per aver detto addio ai luoghi di sempre. "Ci siamo trasferiti perché in quella casa non riuscivo neppure a chiudere occhio, avevo troppa paura. Abbiamo cambiato città, provincia perfino". Vi è poi la non secondaria questione economica che ha contribuito a peggiorare la situazione: "Abbiamo anche dovuto spendere molti soldi per sostenere le spese legali. Le nostre intere esistenze sono state stravolte. E oggi, dopo che mi è stata tolta la serenità, hanno portato via anche mio marito".


La solidarietà

Walter Onichini alla vista dei carabinieri che lo venivano a prendere ha scosso la testa ed ha ricordato quando Ndreca, nel 2017, si presentò in tribunale a Padova per testimoniare contro di lui. Il ladro era già stato condannato ma nei suoi confronti non era ancora scattato l’ordine di carcerazione che l’avrebbe portato dietro le sbarre. "Ora siete venuti in cinque per prendere me ma quando lo Stato ha avuto l’occasione di arrestare quel criminale, nessuno ha mosso un dito", ha detto Onichini.

Poi, prima di andare, l’abbraccio a Sara ed ai bambini. C’è chi, nonostante tutto, non vuole lasciare il macellaio da solo. Questa sera, come si legge in un post pubblicato nella pagina Facebook "Tutti insieme a Walter Onichini", è previsto un flash mob davanti al carcere di Padova. Solidarietà non solo a parole.


La moglie del signor Onichini mentre viene abbracciata dai figli davanti al carcere dove i giudici dell’italia hanno sequestrato suo marito e condannato a risarcire il ladro che gli stava rubando la macchina in giardino (AZ)
https://www.facebook.com/fabio.cintoles ... 5658162720


Alessandro Baldi
Gli ha sparato una volta mentre era in macchina, una seconda volta alle spalle mentre scappava poi, dopo aver chiesto alla moglie di cancellare le macchie di sangue con la varichina lo ha montato in macchina e abbandonato in un fossato dove è stato ritrovato la mattina seguente.... legittima difesa??? non credo proprio

Cristiana Viti
Alessandro Baldi scusa....stai dicendo che il signore è una vittima innocente?

Alessandro Baldi
Cristiana Viti dico che in questo caso la legittima difesa è inesistente e che scandalizzarsi se il tipo va in carcere è sbagliato....

Fabio Cintolesi
Se entri in casa mia e ho con me moglie e figli io ti sparo. E se un giudice mi condanna, per me è complice dei ladri.

Alessandro Baldi
Fabio Cintolesi se non capisci la differenza tra legittima difesa (e anche difesa della proprietà) e quello che è successo... il problema è tuo...
La legittimità finisce nel momento in cui la minaccia è cessata...(puoi sparare ad un ladro o aggressore che ti entra in casa ma se gli spari alle spalle quando questo scappa è reato) e abbandonare una persona ferita in un fossato è un aggravante...

Mario Libero Bloise
Alessandro Baldi sicuramente ha delle colpe, non piccole. Soprattutto perché non ha chiamato subito per denunciare il fatto e ha provato a farla franca. Detto questo la legislazione italiana è troppo attenta a chi per primo commette il reato. La proprietà privata è inviolabile e se ci entri con cattive intenzioni rischi di brutto. Se scappi, dipende, bisogna vedere il momento e cosa hai fatto. Se scappi dopo aver fatto violenza e ti sparo non sono forse legittimato? Lo deciderà un giudice. Ma dai noi ripeto son tiepidi con gli aggressori.

Alessandro Gini
Alessandro Baldi se si è arrivati a questo punto significa che le pene per chi delinque non sono sufficenti... Se lo stato non garantisce giustizia e sicurezza, i cittadini se la faranno da soli

Alessandro Baldi
Le Vs obiezioni sono corrette anche se opinabili in alcuni punti, io mi son sentito in dovere di intervenire perché il post di Fabio era veramente insulso... Faceva passare un falso messaggio e non approfondiva quello che veramente era successo, serviva solo a far indignare chi o non conosceva i fatti o non gli interessavano...
La legge è troppo morbida con chi delinque abitualmente? Penso di sì... ma non vanno alleggerite le conseguenze e giustificate le azioni di chi commette atti così violenti con la giustificazione della legittima difesa...
Ricordo che non è contemplata la pena di morte nella nostra nazione...

Claudio Otto Menghini
Alessandro Baldi il problema è che la valutazione se la minaccia sia cessata o meno... Beh. Un conto è farla facile scrivendo su facebook in tutta tranquillità. Un altro conto è trovarsi di persona in quella situazione, pochi secondi per decidere e la … Altro...
Adgreditus non habet staderam in manu
BROCARDI.IT
Adgreditus non habet staderam in manu
Adgreditus non habet staderam in manu

Alessandro Baldi
Qui non si tratta di aggressione ma di furto di auto.. e chi ha sparato ha poi caricato il ferito in auto e lo ha lasciato in un fossato...

Fabio Cintolesi
Forse avrebbe agito diversamente, portando il ferito in ospedale, se non avesse ritenuto, come li ritengo io, i giudici italiani molto solidali coi delinquenti.

Fabio Adelgardi
Fabio Cintolesi avesse chiamato la polizia, in base alla nuova legge sulla legittima difesa, se la sarebbe cavata. Probabilmente si è fatto prendere dal panico, ma in questo caso, non me la sento di dare torto al giudice.

Oscar Marcato
Alessandro Baldi peccato che non gli abbia sparato direttamente in testa


Alberto Pento

Il primo sparo mentre il criminale sta compiendo il crimine è più che legittimo.
La difesa dei beni che sono una estensione della persona e della sua integrità e dignità, aggrediti dal malvivente e da considerare quindi una aggressione alla persona, giustifica pienamente il ricorso alle armi da parte dell'aggredito anche a rischio di uccidere il criminale che in quanto tale nel momento in cui compie il crimine perde il diritto al rispetto della sua vita.
Il secondo sparo intendibile come tentativo di fermare il criminale che sta scappando per assicurarlo alla giustizia e al giusto risarcimento dei danni oltre che per prevenzione di ulteriori crimini a beneficio dell'intera comunità, potrebbe trovare lo stesso legittima giustificazione.

Ciò che risulta esagerato e poco giustificabile è l'abbandono del ferito all'esterno della proprietà con omissione di soccorso e la mancata denuncia del fatto alle forze dell'ordine.
Io lo avrei assolto completamente per il ferimento del criminale e lo avrei condannato ad una lieve pena per omissione di soccorso, pena da non scontare in carcere e nessun risarcimento al criminale.



Alberto Pento
Mattarella non concederà mai la grazia a Onichini, ecco perché;
questi sono i casi in cui Mattarella ha concesso la grazia e il caso di Onichini non rientra in alcun modo in questa casistica omogenea per situzioni umane difficili tutte con caratteri simili:

Chi sono i tre graziati di Mattarella

https://www.agi.it/cronaca/grazia_matta ... 019-02-15/

Sergio Mattarella ha concesso la grazia a Franco Dri, Giancarlo Vergelli e Vitangelo Brini, tre uomini che hanno ucciso moglie o figli, ma per pietà o disperazione.

Vergelli, 88 anni, era stato condannato nel 2016 a 7 anni e 8 mesi per aver ucciso la moglie 88enne malata di Alzheimer. L'omicidio era avvenuto il 22 marzo 2014 nella loro casa, a Firenze. Vergelli strangolò la moglie con una sciarpa e le rimase accanto per circa un’ora. Poi andò a costituirsi dicendo alla polizia “Non ce la faccio più” e spiegando di non reggere a un repentino aggravamento della malattia della moglie.

Storia simile quella di Brini, 89 anni. Ex vigile urbano in pensione, l’uomo era stato condannato a 6 anni e 6 mesi per l’omicidio della moglie malata di Alzheimer, venuto nel 2007. A lungo Vitangelo aveva assistito in casa la moglie Mara Tani malata da 12 anni di Alzheimer. Poi diventò necessario ricoverarla in una struttura sanitaria, a Prato. Le condizioni della donna peggiorarono sempre di più, così come le sue sofferenze. E così Brini prese una pistola dalla sua collezione di armi e la raggiunse nel reparto di degenza uccidendola con tre colpi.

Diverso il caso di Franco Dri, 79 anni, condannato a 4 anni. Per lui la richiesta di grazia era arrivata al Quirinale col sostegno di mille firme di cittadini di Fiume Veneto in testa alle quali stava quella della moglie Annalisa Morello. L’uomo, nel 2015, al termine di una lite, aveva sparato un colpo al cuore del figlio, Federico di 47 anni, tossicodipendente senza speranza.

Gli altri graziati da Mattarella

Dal 2015 Mattarella ha concesso la grazia a 15 persone colpevoli di reati comuni, perlopiù omicidi dettati dalla disperazione. Eccone alcuni:

Gastone Ovi, 87 anni, fiorentino. Nel febbraio del 2012, ricorda il Corriere, Gastone, uomo mite, volontario nelle ambulanze, soffocò con un cuscino la moglie Ester, la parrucchiera più famosa del quartiere, divorata dall’Alzheimer, dopo un matrimonio durato più di 50 anni e un lavoro comune nel negozio della donna. Non confessò subito quel delitto. Poi crollò. Al pm raccontò gli ultimi anni accanto “all’amore della sua vita”. Disse che non usciva di casa per cercare di far mangiare Ester, riuscendo appena a farle bere un po’ di latte.

Raccontò che l’ultimo giorno aveva tentato di calmarla durante le continue crisi, che l’aveva soccorsa faticosamente dopo due cadute dal letto. E che, disperato, aveva telefonato al medico di famiglia. “Chiama l’ambulanza” gli aveva risposto il dottore. Infine aveva “iniziato piano piano a perdere la testa perché così non era più una vita, né per lui né per la moglie”. E non si poteva continuare più a sopravvivere in quell’inferno.

Nel 2017 la grazia fu concessa a Livio Bearzi, dirigente scolastico friulano che fu preside del convitto aquilano "Domenico Cutugno", travolto dal terremoto e spezzò la vita di tre studenti che vi alloggiavano. Bearzi era da pochi mesi a dirigere l'istituto. Ma tanto bastò per condannarlo in via definitiva dalla Corte di Cassazione a 4 anni di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per omicidio colposo plurimo e lesioni personali.

Numerosi gli attestati di stima, dalla regione del Friuli agli studenti aquilani, a fronte di una condanna che appariva sorprendente, soprattutto se paragonata a scandali che hanno caratterizzato la gestione del prima e dopo-terremoto. Il dirigente fu ritenuto colpevole per la mancata ristrutturazione dell'ottocentesco edificio del Convitto e l'assenza di un piano sicurezza.

Fabrizio Spreafico. Nel 1997, a 23 anni, Spreafico uccise la madre strangolandola durante l'ennesimo litigio nella loro abitazione nel milanese. Condannato a 18 anni e 4 mesi di reclusione, Spreafico, gravemente malato dal 2005, ha ricevuto la grazia per motivi umanitari da Mattarella. L'omicidio avvenne la sera del 16 settembre 1997 a Trezzano sul Naviglio, nel milanese. La donna, rimasta vedova da due anni, venne strangolata con un filo dell'elettricità dal figlio, allora idraulico, e con cui i litigi erano continui.

Spreafico, confessò quasi subito. Il movente, stando alle indagini, era di natura economica. La signora aveva ottenuto un mutuo di 80 milioni di lire da una banca locale, ipotecando il loro appartamento. I soldi dovevano servire al figlio per aprire un'attività commerciale: il giovane stava appunto per dare l'esame per ottenere la licenza di esercente come idraulico. Ma, col passare del tempo, e forse per necessità familiari, i soldi cominciavano a diminuire. Da qui i frequenti litigi tra mamma e figlio, che si accusavano reciprocamente di avere fatto delle spese in modo irresponsabile. La sera del delitto l'ennesimo bisticcio tra i due.

Nel 2015 Mattarella firmò tre decreti di grazia. Due riguardano Betnie Medero e Robert Seldon Lady, gli ex agenti della Cia coinvolti nel sequestro dell'imam Abu Omar. I due - ricorda la nota del Quirinale - sono stati condannati, in concorso tra loro e con altre ventiquattro persone, per il reato di sequestro di persona, avvenuto a Milano nel febbraio del 2003.

La grazia per i due americani, spiega Repubblica, è più che altro un gesto simbolico: nel processo sul sequestro di Abu Omar, infatti, erano stati condannati solo i cittadini americani poiché gli italiani si erano potuti avvalere del segreto di Stato concesso dai governi italiani. Inoltre, nessuno dei cittadini americani condannati per il sequestro, in totale 26, si trova attualmente nel nostro Paese, avendo tutti già da tempo raggiunto gli Stati Uniti.

Per Romani, il decreto concede la grazia totale della pena ancora da espiare, relativa alla condanna ad anni trenta di reclusione, inflittagli dopo il riconoscimento, da parte della Corte di appello, della sentenza thailandese di condanna alla pena di quaranta anni di reclusione (ridotti a trenta in Italia), per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti. L'esecuzione della pena è in corso dal 17 aprile 2008, dapprima in Thailandia e dall'agosto 2014 in Italia.


Come funziona il potere di grazia

Come si legge sul sito del Quirinale, l’art. 87 della Costituzione prevede, al comma undicesimo, che il Presidente della Repubblica può, con proprio decreto, concedere grazia e commutare le pene. Si tratta di un istituto clemenziale di antichissima origine che estingue, in tutto o in parte, la pena inflitta con la sentenza irrevocabile o la trasforma in un'altra specie di pena prevista dalla legge (ad esempio la reclusione temporanea al posto dell’ergastolo o la multa al posto della reclusione).

Il procedimento di concessione della grazia è disciplinato dall’art. 681 del codice di procedura penale. La domanda di grazia è diretta al Presidente della Repubblica e va presentata al Ministro della Giustizia. È sottoscritta dal condannato, da un suo prossimo congiunto, dal convivente, dal tutore o curatore, oppure da un avvocato. Se il condannato è detenuto o internato, la domanda può essere però direttamente presentata anche al magistrato di sorveglianza. Il presidente del consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario può proporre, a titolo di ricompensa, la grazia a favore del detenuto che si è distinto per comportamenti particolarmente meritevoli.

Sulla domanda o sulla proposta di grazia esprime il proprio parere il Procuratore generale presso la Corte di Appello e, se il condannato è detenuto - anche presso il domicilio – ovvero affidato in prova al servizio sociale, il Magistrato di sorveglianza. Acquisiti i pareri, il Ministro trasmette la domanda al Capo dello Stato compete la decisione finale. Se il Presidente della Repubblica concede la grazia, il pubblico ministero competente ne cura l’esecuzione, ordinando, se del caso, la liberazione del condannato.
Le grazie degli altri presidenti

Giorgio Napolitano è il presidente della Repubblica che ha concesso meno grazie durante il suo mandato. Nella classifica, infatti, il presidente della Repubblica dimissionario è ultimo per numero di grazie concesse: 23 nel primo settennato e neppure una dopo la rielezione. Secondo il sito Il Dubbio, considerando che le richieste giudicate ammissibili sono state oltre 1.800, si tratta dell’ 1,3 per cento. L’ultima grazia concessa da Napolitano – la penultima è stata concessa ad Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale – è spettata a Joseph Romano, colonnello dell’Air Force One, condannato nel 2012 nell’ambito della vicenda del rapimento dell’ex imam di Milano Abu Omar.

Tutt’altra storia rispetto agli oltre 15mila atti di clemenza di Luigi Einaudi, in un’Italia segnata dalla violenza e dalla criminalità anche come conseguenza della dilagante povertà figlia della guerra. Fra i beneficiati, sebbene con suo profondo rammarico, ci furono anche numerosi collaborazionisti: quelli maggiormente responsabili erano riusciti a evitare le conseguenze dell’epurazione grazie all’amnistia di Togliatti e a Einaudi, come spiegò lui stesso, non sembrava giusto che alla fine gli unici a pagare fossero quelli meno coinvolti.

Giovanni Gronchi ne concesse 7.423, Antonio Segni/ Cesare Merzagora 926, Giuseppe Saragat 2.925, Giovanni Leone 7.498, Sandro Pertini 6.095 e Francesco Cossiga 1.395. Dal presidente Oscar Luigi Scalfaro in poi, il numero della concessione della grazia è sceso vertiginosamente. Quest’ultimo concesse 339 grazie, a seguire Carlo Azeglio Ciampi con 114, fino ad arrivare a Napolitano con 23. Con Scalfaro siamo nel periodo di Tangentopoli e le stragi mafiose: da allora ci fu un inasprimento delle pene, il ripristino della carcerazione dura con il 41 bis e fu modificato l’articolo della Costituzione riguardante l’amnistia.
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Re: Legittima difesa umana e cristiana

Messaggioda Berto » mar ott 05, 2021 9:02 pm

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Re: Legittima difesa umana e cristiana

Messaggioda Berto » mar ott 05, 2021 9:02 pm

Uccise i rapinatori, accusato di omicidio doloso plurimo
Samuele Finetti
5 Ottobre

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 1633438029

Il gioielliere Mario Roggero aveva affrontato i rapinatori, li aveva inseguiti e aveva sparato, uccidendone due. La Procura ha scoperto che non deteneva il porto d'armi
Uccise i rapinatori, accusato di omicidio doloso plurimo

Omicidio doloso plurimo, tentato omicidio e porto illegale di arma comune da sparo. Sono queste le accuse che la procura di Asti, al termine delle indagini preliminari, ha formulato per Mario Roggero, il gioielliere di Grinzane Cavour (Cuneo) che uccise due rapinatori e ne ferì un terzo lo scorso 28 aprile.

"Dagli elementi raccolti nel corso delle investigazioni, e in particolare dalle consulenze tecniche compiute nel contraddittorio tra tutte le parti - si legge in una nota della Procura - è emerso che Roggero, dopo la conclusione della rapina, inseguiva all’esterno dell’esercizio i tre rapinatori che, già usciti dalla gioielleria con la refurtiva, stavano dandosi alla fuga. E da distanza ravvicinata sparava contro gli stessi, disarmati, scaricando l’intero caricatore, con la volontà di cagionarne la morte, eccedendo in tal modo volontariamente i limiti della legittima difesa patrimoniale". Non è tutto. Perché il gioielliere è accusato anche di porto illegale di arma: "È emerso altresì che il gioielliere è privo di porto d’armi e quindi il fatto di aver portato l’arma, legittimamente detenuta nella gioielleria, all’esterno della stessa, comporta anche l’accusa di porto abusivo d’armi".

Roggero non è l'unica persona coinvolta nelle indagini. Il rapinatore sopravvissuto, Alessandro Modica, è accusato di rapina pluriaggravata e si trova in carcere, in custodia cautelare. Per il padre di Modica, Giuseppe, accusato di favoreggiamento personale, è stata chiesta l'archiviazione: non sono state raccolte prove del fatto che abbia favorito la fuga del figlio dopo il colpo.

Nel tardo pomeriggio del 28 aprile tre uomini, fingendosi normali clienti, erano entrati nella gioielleria Roggero di Grinzane. Nascosti dietro le mascherine, avevano chiesto alla moglie del titolare di mostrare loro alcuni preziosi. Una volta aperta la teca, uno dei rapinatori aveva estratto una pistola - poi rivelatasi finta - e l'aveva puntata contro la donna che aveva urlato per la paura. Roggero, in quel momento nel retrobottega, si era precipitato al bancone e si era scagliato contro i malviventi. Poi la fuga, l'inseguimento di pochi metri e i colpi esplosi che avevano lasciato sull'asfalto due cadaveri.

Il gioielliere accusato di omicidio era già stato vittima di una rapina. Il 22 maggio 2015 una banda di ladri lo aggredì, lo malmenò brutalmente e le due figlie furono legate nel bagno del negozio. Pochi giorni dopo la rapina finita nel sangue, Roggero aveva spiegato: "Dovevo difendere mia figlia e mia moglie, ho quel che avrebbe fatto qualunque papà nella mia condizione. Sono intervenuto. È in casi come questo che bisogna mantenersi lucidi. E io ero lucido: sapevo che dovevo intervenire: o loro o la mia famiglia".
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