Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:30 am

Donald Trump Teases a President Bid During a 1988 Oprah Show | The Oprah Winfrey Show | OWN
25 giu 2015
https://www.youtube.com/watch?v=SEPs17_ ... ture=share

Storia:
Roscio è famoso ed è nelle cronache da anni.
In tutta la sua vita Newyorkese è stato famoso e celebrato per le sue amicizie ed anche connessioni professionali con moltissimi afro.
Molti dei suoi o sue collaboratrici più importanti erano afro, così come anche moltissimi ispanici e pure donne.
Ciò si riflette anche, in buona parte, nel suo "gabinetto" e tra i suoi consiglieri.
È un fatto storico facilmente verificabile da tutti.
Nota è la sua stretta amicizia con Oprah Winfrey ad esempio, poi cambiata date le differenze "politiche" che con il "razzismo" o la "misogenia" non hanno nulla a che fare.
Questa intervista è l'essenza del suo Patriottismo e del perchè alla fine ha deciso, contro i suoi interessi personali, di entrare in politica.
Candido, trasparente e super diretto come sempre.
Ma molti non lo sanno e quindi non possono capirlo.
Io sì ed è proprio per questo che ha avuto il mio voto e lo riavrà.
Avercene come lui...magari.




Eccoli gli antitrumpiani!

USA 2020: TRUMP È FOTTUTO?
Da una slavina sta diventando una valanga, Trump crolla in popolarità, soprattutto con gli anziani poco istruiti, quello che era stato il suo “zoccolo duro”.
Massimo Gaggi – Corriere della Sera

L’economia sta attraversando una crisi senza precedenti dai tempi della Grande depressione, ci vorranno anni per riprendersi. Impensabile una ripresa in cinque mesi, soprattutto perché Trump è ondivago ed imprevedibile, oltre che un inetto, narcisista e incompetente. Nessuna impresa investirebbe ed assumerebbe in un clima simile. I tre colpi del Codid-19, dell’impennata della disoccupazione e della rivolta nelle piazze sembra condannare il presidente ad una sconfitta umiliante a novembre. Anche il Senato repubblicano a novembre sarà probabilmente un ricordo.

Massimo Gaggi, il corrispondente a Washington del Corriere, illustra bene la situazione.
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NON SOLO I NUMERI NAZIONALI (CHE SIGNIFICANO POCO): ANCHE NEGLI STATI CHIAVE IL PRESIDENTE CONTINUA A PERDERE TERRENO RISPETTO A JOE BIDEN
La campagna di Donald Trump sta spendendo molto per sostenere la candidatura del presidente in Ohio, uno Stato vinto nel 2016 da Trump su Hillary Clinton con un margine ampio, l’8 per cento. E anche in Arizona, un altro Stato conservatore la cui conquista fino a qualche tempo fa era data per scontata dagli strateghi del Grand Old Party. Giorno dopo giorno i sondaggi nazionali proiettano un’immagine di crescente impopolarità di The Donald: quello di Real Clear Politics dà Biden avanti del 7,8%, mentre la rilevazione della Monmouth University fotografa un distacco di ben 11 punti.

Numeri nazionali che, come abbiamo imparato nel 2016, significano poco: mancano ancora cinque mesi al voto e Trump ha indubbie capacità mediatiche mentre, per come è costruito il sistema americano del collegio elettorale, il presidente può essere riconfermato anche perdendo il voto popolare: gli basta prevalere nei collegi rurali e nel Sud. Nel 2016 vinse pur avendo avuto tre milioni di voti meno di Hillary Clinton. Potrebbe accadere di nuovo: è stato calcolato che potrebbe farcela anche con 6-7 milioni di voti meno di Biden.

Eppure negli ultimi giorni i timori dei repubblicani sono diventati terrore: non si tratta più solo di poll nazionali più o meno attendibili. Arrivano segnali molto negativi anche dagli Stati-chiave per l’esito delle presidenziali — Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Florida — mentre ora appaiono in bilico anche Stati che dovrebbero essere nella colonna di quelli sicuri per i repubblicani: i sondaggi della Fox, la rete conservatrice, danno Trump e Biden alla pari in Texas e in Ohio, mentre il presidente è indietro in Arizona, oltre che in Wisconsin. E i frequenti viaggi del vicepresidente Mike Pence in Georgia indicano che anche il controllo di questo Stato del Sud sta diventando, per Trump, problematico.

Non sono sole le presidenziali ad allarmare il fronte conservatore: a preoccuparlo, forse ancora di più, è la prospettiva di perdere il controllo del Senato dopo aver ceduto due anni fa ai democratici quello della Camera. Fino a qualche settimana fa questa sembrava una prospettiva remota: per farcela i democratici dovrebbero mantenere tutti i loro senatori in scadenza e strapparne quattro o cinque ai repubblicani. Ma ora diversi collegi senatoriali dei conservatori sono traballanti: tra essi proprio quello della Georgia dove Kelly Loeffler è stata indagata per aver liquidato poco prima della crisi del coronavirus i titoli azionari in suo possesso appena ricevuto dai servizi segreti un rapporto riservato sui gravi danni economici che la pandemia stava per produrre.

[omissis] Mancano ancora 150 giorni al voto e con la riapertura dell’America l’economia comincerà a riprendersi, ma il processo sarà molto lento: arriveremo alle urne con una disoccupazione ancora nettamente superiore al 10%. Nessuno ce l’ha mai fatta con numeri simili [omissis].

Trump torna ai suoi istinti: dividere, alimentare conflitti, giocare sulla paura. Blinda il suo elettorato tradizionale, minoritario ma compatto, sperando che la sinistra, oggi maggioranza, si disperda tra le sue diverse anime.

«“Legge e ordine” è una linea che può funzionare anche oggi, come con Nixon mezzo secolo fa» sostiene il politologo Larry Sabato. «No, nel 1968 Nixon era rassicurante, il moderato tra il progressista Humphrey e il razzista Wallace: somigliava a Biden, non a Trump», replica David Frum che è stato consigliere e speechwriter di George Bush alla Casa Bianca.

Trump, secondo le rilevazioni, sta perdendo terreno in tutte le fasce sociali: dai bianchi laureati alle donne, ai pensionati (fan del trumpismo, ma ora spaventati dalla sua linea dura sul coronavirus) [omissis].



Eccoli gli antitrumpiani!

Elezioni Usa, da Bush a Romney: anche parte dei Repubblicani scarica Trump. Powell: "Voterò Biden, il tycoon è un pericolo" - Il Fatto Quotidiano
7 giugno 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... o/5827298/


Anche da dentro il Partito Repubblicano arrivano attacchi a Donald Trump che, il 3 novembre, sarà chiamato alla sfida elettorale con il candidato democratico, Joe Biden, per agguantare la riconferma alla Casa Bianca. Sono in diversi, nel Grand Old Party, a credere che il tycoon, secondo gli ultimi sondaggi in svantaggio di 10 punti rispetto all’avversario, non potrà sopravvivere politicamente alla pandemia di coronavirus e alle proteste che si sono scatenate dopo l’uccisione di George Floyd. Così aumentano i nomi tra coloro che, tra i conservatori, lo scaricano annunciando che non voteranno per lui o, addirittura, che sosterranno il candidato Dem.

Uno dei nomi più influenti apparsi sui media americani è certamente quello dell’ex presidente repubblicano, George W. Bush, che, scrive il New York Times, come nel 2016 ha fatto sapere alla sua cerchia di collaboratori di non avere alcuna intenzione di sostenere The Donald alle prossime elezioni. Una bocciatura che pesa ma che, quattro anni fa, non ha impedito al tycoon di diventare prima il candidato repubblicano alla Casa Bianca, nonostante la forte opposizione interna al partito, e poi di prendere il suo posto all’interno dello Studio Ovale vincendo il testa a testa con Hillary Clinton.

Simile al rifiuto di Bush è quello di Mitt Romney, senatore ed ex candidato alla presidenza da sempre volto degli oppositori al magnate statunitense tra i conservatori. Anche lui, come l’ex presidente, non metterà la croce sul nome di Trump il 3 novembre. Mentre la vedova del senatore John McCain, Cindy, ha addirittura deciso di sostenere Joe Biden, preferendo quindi dare il proprio sostegno ai Democratici.

E tra i nomi che potrebbero decidere di abbandonare la barca del tycoon, che adesso è riuscito a inimicarsi anche i militari, contrari all’intervento contro i manifestanti più volte minacciato dal presidente, ci sono anche Lisa Murkowski, una senatrice moderata dell’Alaska, e gli ex speaker della Camera John Boehner e Paul Ryan, anche se quest’ultimi non hanno ancora preso una decisione definitiva.

Ma chi si è espresso con maggiore durezza nei confronti di Donald Trump, anche lui annunciando il proprio sostegno a Joe Biden, è l’ex segretario di stato americano sotto la presidenza Bush, Colin Powell. Il generale, da sempre sostenitore del Gop, è stato il primo afroamericano a diventare capo della diplomazia Usa e in un’intervista alla Cnn ha dichiarato: “La gente sta realizzando che Donald Trump è un pericolo per il Paese. Si è allontanato dalla Costituzione”, ha detto in relazione alla gestione delle proteste degli ultimi giorni. E per questo, ha aggiunto, ritiene che non dovrebbe essere rieletto alla presidenza perché “mente continuamente”: “Penso che non sia un presidente efficace. Ha iniziato a mentire il giorno dell’inaugurazione, quando ci fu la disputa sulla dimensione del pubblico presente, non credo che questo sia nel nostro interesse”.

Alle dichiarazioni di Powell ha risposto lo stesso Trump, definendolo “un vero truffatore, responsabile di aver portato l’America nelle disastrose guerre in Medio Oriente. Ha appena annunciato che voterà per un altro truffatore, Sleepy Joe Biden”, ha scritto su Twitter dove, poco dopo, ha aggiunto che “Powell non aveva detto che l’Iraq aveva ‘armi di distruzione di massa’? Non le avevano, ma noi siamo andati in guerra!”.




Fabio Armano
5 giugno 2020

In questo momento in cui impera la grande crociata ideologica della peggiore sinistra violenta, prevaricatrice, ed arrogante, non posso pensare che tutto quello che sta accadendo non è altro che una colossale strumentalizzazione da parte dei potentati immigrazionisti del NWO, che semplicemente ancora oggi non accettano che il voto popolare sia andato in una direzione difforme da quella prescritta dalle sinistre.
Per sorridere un pò, e per ogni uomo e donna di questo mondo che non ragiona in base alla paghetta di Soros nella tasca del fido lercio jeans da "contestatore professionale", cioè quelli da 60 dollari a giorno di protesta, ripubblico volentieri il mio pezzo della notte di quelle elezioni, che tanta disperazione gettarono nei salotti "sinistra & champagne".

La notte tra l’8 ed il 9 novembre del 2016, la ricorderò per sempre come quella “dei morti viventi”.
Li ho visti prendere pimpanti posizione prima della mezzanotte sulle loro poltroncine “politicamente corrette”, con sorrisi supponenti, risatine sardoniche, battute ed occhiate ironiche ogni volta che il compagno conduttore, o l’opinionista in studio debitamente prono al regime Renziano, pronunciava anche solo il nome di Trump.
Erano sicuri e sprezzanti, nella migliore tradizione della sinistra intellettualmente superiore, erano più che certi che la rottamazione di Trump, sarebbe stata una pura formalità da sbrigare in meno di 3 ore per la loro pupilla Clinton, sostenuta dagli oscuri finanziatori dell’Arabia Saudita e Qatar , dalle banche, e dai poteri forti del NWO.
Li ho sentiti snocciolare i primi dati quasi con la noia e la superficialità di chi ritiene di aver puntato tutto su un cavallo vincente di razza, che deve gareggiare per qualche miglio con un bradipo.
Ma poi pian pianino, è accaduto quello che gli adoratori delle invasioni migratorie e delle sostituzioni etniche in Europa, non avrebbero mai potuto immaginare nemmeno nei loro peggiori incubi .
Col passare dei minuti, i sorrisi supponenti sono iniziati a scomparire in favore di bocche che diventavano secche, le risatine sardoniche hanno lasciato il posto a labbra serrate nella tensione, le battute hanno ceduto il posto a lunghi silenzi man mano che arrivavano i dati, e le occhiate ironiche sono divenute sguardi persi nel vuoto, come quelli degli gnu che di notte stando ammassati e fermi, osservano il buio temendo l’arrivo dei predatori.
Ed io ero li, sulla mia sedia, e mentre nel cuore della notte osservavo il nemico con la speranza che cresceva, mi è capitato di chiedermi :
“Esiste nella vita qualcosa di più appagante del vedere dei comunisti sbugiardati dagli eventi, presi a schiaffi dalla realtà, spazzati via come foglie secche da un vento di giustizia?”
La risposta è no ! Non esiste nulla di più piacevole.
Ed allora via, 3 stati a Trump già verso l’una, e subito dopo ecco la Florida che si tinge di uno sbiadito rosso repubblicano, poi all’una e 24 Trump prende il vantaggio in Georgia e Virginia, poco dopo in Ohio, all’una e 33 il West Virginia è di Trump, alle 3 anche il Dakota, 13 minuti dopo si prende anche l’Arkansas, poi 20 minuti dopo Hillary comunica al suo elettorato una frase che pare un presagio :
“Comunque vada , grazie a tutti!”
Alle 03:42 il New York Times da la possibilità di vittoria di Trump al 59%, mentre negli studi delle varie reti italiane i saccenti politologi comunisti iniziano a contorcersi come i vermi dello scatolotto delle esche vive di un pescatore . Alle 04:00 il Montana è di Trump e per me la tensione è a quel punto troppa, necessito di una tisana calmante. Metto sul fuoco una padella di zuppa di fagioli e crostoni di pane , annegati in abbondante soffritto di cipolla di Tropea, tanto da esser pronto ad eventuali spettacoli pirotecnici di li a poco.
Alle 04:30 Trump ha 150 grandi elettori contro i 109 della “signora della guerra”.
Alle 04:53 la Florida che è cruciale , viene data irrimediabilmente a Trump con i compagni ospiti di RAIPD3 in studio che sono prossimi a schiacciare le capsule di cianuro che il PD ha fatto installare loro in bocca nel dente finto, per casi come questi.
Alle 04:58 Trump ha 197 grandi elettori contro i 131 della babbiona filoislamica. Alle 05:03 il New York Times fa salire le probabilità di Trump di vincere al 95% , con il compagno giornalaio Damilano in studio su La 7, che ormai è mono espressivo, ed ha la stessa faccia di uno che legge il referto medico che ne attesta la certa sieropositività. Alle 05:36 Trump ha 232 grandi elettori contro i 209 di “madame primavera araba”, ed il compagno Friedman su RAIPD3 è alle lacrime mentre con il proverbiale e consueto rispetto per il volere popolare, tipico della sinistra “champagne”, proclama ebbro di odio :
“Così come l’Italia ha meritato Berlusconi, questa America merita Trump!”
Due minuti dopo, anche il Wysconsin va a Trump, mentre Friedman va di corpo dietro un divanetto piangendo !
Alle 06:08 l’Iowa va a Trump, mentre negli studi delle varie reti RAIPD, i compagni ospiti sono ormai morti viventi degni del miglior Romero, tenuti assieme da lembi di carne putrescente e tendini maleodoranti, con i bulbi oculari che penzolano fuori dalle orbite mentre con i vermi che banchettano sulle loro teste biascicano che c’è ancora speranza per la loro Hillary , con il voto degli islamici di un paio di seggi… ridotti al kebab da asporto insomma !
Alle 08:40, Trump sfonda la barriera dell’ipocrisia supponente, saccente ed arrogante della sinistra, e quella dei poteri centralisti massonici, filoislamici, immigrazionisti, e raggiunge quota 276 grandi elettori, mandando la vegliarda a casa a mettersi in vestaglia dopo una camomilla, chiudendo così una cavalcata trionfale e mettendo a tacere perfino il proprio partito, che ad un certo punto, era sembrato essere più dalla parte della Clinton che dalla sua.
Un uomo solo , che senza i poteri occulti del Piano Kalergi e dei moderni mercanti di schiavi di mezzo mondo a reggergli le mutande , ha messo a tacere il mondo!!!
Compresi i saccenti ed arroganti rappresentanti della nostra sinistra, perennemente convinta di rappresentare “il bene”, e di ravvedere in chiunque non la pensi come loro “il male”.
Ed ora???
Ed ora chi glielo dice a “lor compagni “ ???
Chi glielo spiega adesso a sua maestà Renzi che quando ha fatto visita a Nibali quello è caduto, quando ha elogiato la sonda Schiapparelli è precipitata, quando ha dichiarato che eravamo più forti del sisma la terra è sprofondata di mezzo metro, ed è stato l’ultimo ospite ufficiale della Casa Bianca prima di questo risultato?
Chi glielo dice ora a “Frankye il Bianco” , che le elezioni USA le ha vinte quel Trump definito da lui un “cattivo cristiano” perché parla di costruire muri e fermare l’immigrazione clandestina, mentre lui se ne sta ben protetto da quelle Vaticane alte e massicce , mantenendo ben in vigore l’articolo 21 della legge papale 3 del 1999, che prescrive anche l’incarcerazione per chi si dovesse introdurre sul suo santo territorio senza permesso?
Chi glielo dice ora al compagno Saviano, quello che esultava per la vittoria in Austria del rappresentate comunista dei verdi ai danni di Hofer, e pazienza se poi sono venuti fuori dei brogli talmente clamorosi che il voto si dovrà rifare , col sorriso di Saviano spento ?
Chi glielo va a dire ora al compagno Saverio Tommasi , che deve inventarsi un altro delirante post per il suo blog di nostalgici comunisti nel quale dare la colpa a Salvini anche per questo esito elettorale?
Chi avrà il coraggio di andare a dirlo al compagno Gad Lerner, immigrazionista, ma a patto che l’invasione islamica avvenga in Italia, lontano dalla sua terra di origine?
Chi glielo dice ora al compagno Bruce Springsteen e tutti gli altri saltimbanchi dello spettacolo sempre pronti a saltare sul carrozzone che apparentemente può garantire loro più uscite in prima serata sui canali più prestigiosi, che stavolta ha sbagliato carrozzone, e se anche ora dovesse mostrarsi simpatico con Trump, probabilmente la prossima volta che andrà alla Casa Bianca al massimo gli faranno suonare il citofono ?
Chi glielo va a dire ora alla compagna comunista Madonna, che l’unico “blowjob” tra quelli promessi agli elettori di Hillary se avesse vinto lei , potrebbe essere quello che gli toccherà fare a Bill Clinton , tanto per mantenere vive le tradizioni di famiglia ?
Chi glielo dice al Nobel per la pace “Obama Bin Barak”, che adesso i suoi dipendenti dell’ ISIS rischiano davvero grosso, visto che non ci sarà più un Presidente USA che bombarda il deserto, avendo cura di informare il suo compare “Al” (Al Baghdadi . ndr) su dove spostare le sue truppe di taglia gole, per stare a debita distanza dalle finte pagliacciate dell’aviazione americana?
Chi glielo spiega adesso alle redazioni di RAIPD1, RAIPD2, RAIPD3, e quelle di Ballarò e Piazza Rossa Pulita che forse è il caso che licenzino i propri sondagisti, visto che se avessero chiesto una previsione al dimesso e tranquillo Luca Morisi della redazione di Salvini, avrebbero fatto tutti un figurone ?
Chi glielo dice adesso ai direttori di SKYPD e PDCOM24 che gli ultimi 3 mesi di loro martellante demonizzazione a reti unificate contro Trump, non hanno certo convinto che ora sia stato eletto un Satana a capo della Casa Bianca, dato che molto probabilmente li l’unico vero Satana che abbiamo rischiato, aveva la gonna?
Chi glielo dice al compagno “giornalista” Marco Damilano, schierato nella maniera più assoluta a sinistra e pro Clinton, e che ieri tra la mezzanotte e le 6 del mattino, man mano che arrivavano i dati dai seggi, ha mostrato sulla sua faccia tutta la palette di colori del miglior Fantozzi dal rosso pompeiano al blu tenebra, che non deve prendersela così a male, anche perché a dicembre c’è il referendum del suo capo Renzi, e li rischia davvero un esaurimento nervoso in diretta?
Chi glielo dice adesso a Cardinal Bertone, accogliente e solidale ma a patto che l’accoglienza e la solidarietà per i migranti siano fatte a debita distanza dal suo attico, che in America ha vinto uno che con le sue idee bislacche sull’aiutare i bisognosi a casa loro anziché deportarli la dove ci guadagnano le Caritas, rischia di mettere i bastoni tra le ruote al business dell’immigrazione invasiva ed illimitata?
Chi glielo va a dire adesso a Confindustria , che la loro amata Hillary sostenuta da Soros e compagni , pronta a fornirgli tanta bella manodopera africana a basso costo da allineare nelle fabbriche europee magari licenziando padri di famiglia con 25 anni di anzianità per far posto alle invasioni indotte grazie a qualche altra guerra “democratica” in Nigeria, o Algeria, se ne tornerà a casa e va già bene se non finisce in qualche galera?
Io non so che presidente sarà Trump.
Ma so per certo che siamo scampati a quella che Sgarbi ha definito “una sconfitta per il mondo intero”.
So che questa è stata la risposta dei lavoratori, di quelli che in America sono diventati poveri grazie alle delocalizzazioni in Messico, grazie alla concorrenza sleale della manodopera a basso costo migratoria ispanica e cubana, ai traffici ed ai potentati dei Soros, dei Rothschild, dei Bilderberg, cioè dei POCHI ELETTI, che pensano di poter dominare TUTTI GLI ALTRI, quegli eletti senza scrupoli e morale, che stanotte erano rappresentati in maniera formale dalla Clinton.
So che hanno vinto quelli che gli esponenti della sinistra PD negli studi televisivi ieri notte, hanno più volte indicato con disprezzo definendoli , “i meno istruiti”, poiché come saprete per i comunisti italiani si è colti e buoni elettori solo se si soddisfano le istanze della sinistra, o se si vota come aggrada a Renzi, altro degno rappresentante di banchieri e potentati vari ai quali svendere il proprio popolo.
Ecco perché al di la di quello che sarà, mi prendo e custodisco questa notte, nella quale ho visto gli arroganti baroni delle più profonde tenebre rosse, perdere col passare delle ore la loro superbia, fino a quando l’alba di un nuovo radioso giorno, li ha spazzati via bruciandoli come vampiri al sole, prima di disperdere le ceneri della loro supponenza, nella brezza di questa meravigliosa sprangata piovuta sulle loro gengive.





LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE

Trump, Putin e Benedetto XVI ne hanno parlato in più occasioni. Questa è la nuova versione dell'eterna lotta tra il Bene e il Male che attraversa la Storia, la madre di tutte le battaglie in questa epoca storica. Deep State e Deep Church contro i difensori della libertà dei popoli. Magari qualcuno farà una risatina.
Invece è roba molto seria che si svolge sopra le nostre teste..

Dalla pagina di Rif Raf


https://www.facebook.com/groups/8991042 ... 499257721/

Lettera dell'Arcivescovo Viganò a Trump

7 giugno 2020

Domenica di Santa Trinità

Signor Presidente

Negli ultimi mesi abbiamo assistito alla formazione di due lati opposti che chiamerei Biblici: i figli della luce e i figli dell'oscurità. I figli della luce costituiscono la parte più cospicua dell'umanità, mentre i figli dell'oscurità rappresentano una minoranza assoluta. Eppure i primi sono oggetto di una sorta di discriminazione che li mette in una situazione di inferiorità morale rispetto ai loro avversari, che spesso detengono posizioni strategiche nel governo, in politica, nell'economia e nei media. In modo apparentemente inspiegabile, i buoni sono tenuti in ostaggi dai malvagi e da coloro che li aiutano per interesse di sé o paura.

Questi due lati, che hanno una natura biblica, seguono la chiara separazione tra la progenie della Donna e la progenie del Serpente. Da un lato c'è chi, sebbene abbia mille difetti e debolezze, è motivato dalla voglia di fare del bene, ad essere onesti, di crescere una famiglia, di impegnarsi nel lavoro, di dare prosperità alla propria patria, per aiutare i bisognosi e, in obbedienza alla legge di Dio, per meritare il Regno dei cieli. D ' altra parte, c'è chi si serve, che non ha alcun principio morale, che vuole demolire la famiglia e la nazione, sfruttare i lavoratori per rendersi indebitamente ricchi, fomenti divisioni interne e guerre, e accumula potere e denaro: per loro l'illusione fallace del benessere temporale un giorno, se non si pentiranno - cedere al terribile destino che li aspetta, lontano da Dio, nella dannazione eterna.

Nella società, signor. Presidente, queste due realtà opposte coesistono come nemici eterni, proprio come Dio e Satana sono nemici eterni. E sembra che i figli dell'oscurità - che possiamo facilmente identificare con lo stato profondo a cui vi opponete saggiamente e che in questi giorni sta facendo guerra contro di voi in questi giorni - abbiano deciso di mostrare le loro carte, per così dire, ormai rivelando i loro piani ....... Sembrano essere così certi di avere già tutto sotto controllo che hanno messo da parte quella circonspezione che fino ad ora aveva almeno parzialmente nascosto le loro vere intenzioni. Le indagini già in corso riveleranno la vera responsabilità di coloro che hanno gestito l'emergenza Covid non solo nel settore dell'assistenza sanitaria ma anche in politica, nell'economia e nei media. Probabilmente scopriremo che in questo colossale funzionamento dell'ingegneria sociale ci sono persone che hanno deciso il destino dell'umanità, arrogando a se stessi il diritto di agire contro la volontà dei cittadini e dei loro rappresentanti nei governi delle nazioni.

Scopriremo anche che le rivolte in questi giorni sono state provocate da chi, visto che il virus sta inevitabilmente svanendo e che l'allarme sociale della pandemia sta vagando, necessariamente dovuto provocare disturbi civili, perché sarebbero seguiti da repressione che , sebbene legittimo, potrebbe essere condannato come aggressione ingiustificata contro la popolazione. La stessa cosa sta accadendo anche in Europa, in perfetta sincronia. È abbastanza chiaro che l'uso delle proteste di strada è fondamentale per gli scopi di coloro che desiderano vedere qualcuno eletto nelle prossime elezioni presidenziali che incarna gli obiettivi dello stato profondo e che esprime fedelmente e con convinzione. Non sarà sorprendente se, tra pochi mesi impariamo ancora una volta che nascosti dietro a questi atti di vandalismo e violenza c'è chi spera di approfittare dello scioglimento dell'ordine sociale in modo da costruire un mondo senza libertà: Solve et Coagula, come insegna l'adage massonico.

Sebbene possa sembrare sconcertante, gli allineamenti opposti che ho descritto si trovano anche in ambienti religiosi. Ci sono pastori fedeli che si prendono cura del gregge di Cristo, ma ci sono anche infedeli mercenari che cercano di spargere il gregge e consegnare le pecore per essere divorate dai lupi ravenosi. Non sorprende che questi mercenari siano alleati dei figli dell'oscurità e odiano i figli della luce: proprio come c'è uno stato profondo, c'è anche una chiesa profonda che tradisce i suoi doveri e pergiura i suoi impegni adeguati davanti a Dio. Così il nemico invisibile, con cui i buoni governanti combattono negli affari pubblici, si combatte anche dai buoni pastori nella sfera ecclesiastica. È una battaglia spirituale di cui ho parlato nel mio recente appello pubblicato il 8. maggio

Per la prima volta, gli Stati Uniti hanno in voi un Presidente che difende coraggiosamente il diritto alla vita, che non si vergogna di denunciare la persecuzione dei cristiani in tutto il mondo, che parla di Gesù Cristo e del diritto dei cittadini alla libertà di culto. La tua partecipazione al Marzo per la vita, e più recentemente la tua proclamazione del mese di aprile come mese nazionale della prevenzione degli abusi infantile, sono azioni che confermano da che parte desideri combattere. E ho il coraggio di credere che entrambi siamo dalla stessa parte in questa battaglia, anche se con armi diverse.

Per questo motivo, credo che l'attacco a cui siete stati sottoposti dopo la visita al Santuario Nazionale di San Giovanni Paolo II faccia parte della narrazione dei media orchestrati che cerca di non combattere il razzismo e portare ordine sociale, ma di aggravare le disposizioni; non per rendere giustizia, ma legittimare la violenza e il crimine; non per servire la verità, ma per favorire una fazione politica. Ed è sconcertante che ci siano vescovi - come quelli che ho denunciato di recente - che, con le loro parole, dimostrano di essere allineati dalla parte opposta. Sono sottosservienti allo stato profondo, al globalismo, al pensiero allineato, al Nuovo Ordine Mondiale che invocano sempre più spesso in nome di una fratellanza universale che non ha nulla di cristiano, ma che evoca gli ideali massonici di chi vuole dominare il mondo portando Dio fuori dai tribunali, fuori dalle scuole, fuori dalle famiglie, e forse anche fuori dalle chiese.

Il popolo americano è maturo e ora ha capito quanto i media mainstream non vogliono diffondere la verità ma cerca di tacere e distorcerla, diffondendo la bugia utile ai fini dei loro maestri. Tuttavia, è importante che il bene - che sono la maggioranza - si svegli dalla loro sluggidità e non accettino di essere ingannato da una minoranza di persone disoneste con scopi inutili. È necessario che il bene, i figli della luce, si uniscano e facciano sentire le loro voci. Quale modo più efficace c'è di farlo, signor. Presidente, che per preghiera, chiedere al Signore di proteggere voi, gli Stati Uniti e tutta l'umanità da questo enorme attacco del nemico? Prima del potere della preghiera, gli inganni dei figli dell'oscurità crolleranno, verranno rivelati le loro trame, il loro tradimento verrà mostrato, il loro spaventoso potere finirà nel nulla, portato alla luce ed esposto per quello che è: un inganno infernale.

Signor. Presidente, la mia preghiera è costantemente rivolta all'amata nazione americana, dove ho avuto il privilegio e l'onore di essere inviato da Papa Benedetto XVI come Nuncio apostolico. In quest'ora drammatica e decisiva per tutta l'umanità, prego per voi e anche per tutti coloro che sono al vostro fianco nel governo degli Stati Uniti. Confido che il popolo americano sia unito a me e a voi nella preghiera a Dio onnipotente.

United contro il nemico invisibile di tutta l'umanità, benedica te e la First Lady, l'amata nazione americana, e tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

Carlo Maria Viganò

Arcivescovo Titolare di Ulpiana

Ex Nuncio apostolico negli Stati Uniti d'America




"Siamo alla resa dei conti": l'incredibile discorso di Trump che tutti gli italiani devono conoscere
Francesco Amodeo
8 giugno 2020

https://www.radioradio.it/2020/06/siamo ... conoscere/

Vi leggo un discorso di Donald Trump che racchiude perfettamente ciò che il popolo italiano sta subendo oggi sulla propria pelle.

“Non c’è nulla che l’establishment politico non farà, non c’è bugia che non diranno pur di mantenere il loro prestigio e potere a vostre spese. Ed è quello che sta succedendo.

L’establishment le Corporation finanziarie e dei media che finanziano esistono per una sola ragione: proteggere e arricchire sé stessi. Questo che siamo vivendo è un crocevia della Storia della nostra civiltà che determinerà se noi popolo riusciremo o no a reclamare il controllo del nostro governo.

L’establishment politico che sta cercando di fermarci è lo stesso gruppo responsabile per il nostro disastroso commercio, per la massiccia immigrazione clandestina e per le politiche economiche ed estere che hanno portato il nostro paese a secco. Per loro è una guerra e per loro niente ha un limite. Questa è una lotta per la sopravvivenza della nostra nazione.

In realtà siamo controllati da una piccola manciata di interessi particolari globali. Che pervertono con il loro sistema il nostro. Questa è la realtà: l’establishment e i loro media controllano questa nazione attraverso mezzi che sono ben noti. Chiunque sfidi il loro controllo è considerato sessista, razzista, xenofobo e moralmente depravato.

Loro ti attaccheranno, ti calunnieranno, cercheranno di distruggere la tua carriera e la tua fama, useranno ogni inganno per distruggere tutto di te, inclusa la tua reputazione. Mentiranno, faranno tutto ciò che è necessario.

La nostra civiltà è arrivata alla resa dei conti. Lo abbiamo visto già nel Regno Unito dove hanno votato per liberarsi del governo mondiale che ha distrutto la loro sovranità.

La base del potere politico globale è corrotta ed è la nostra corrotta classe politica. Le loro risorse finanziarie sono virtualmente illimitate, le loro risorse politiche sono illimitate, le risorse dei loro media sono senza eguali e la profondità della loro immoralità è assolutamente illimitata”.

Fate vostre queste parole, in queste c’è tutto quello che gli italiani dovrebbero sapere delle azioni della nostra classe politica e mediatica ai loro danni.


https://youtu.be/508i77gqtQs



TRUMP
Niram Ferretti
8 giugno 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... d_activity

Da quando il Mostro, l'Abiezione, lo Scandalo, ovvero Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti nel 2017, contro di lui si è mosso un rigetto organizzato come non si era mai visto prima, non solo in USA, ma soprattutto li, ovviamente.

Dimenticatevi l'avversione per Nixon, per Bush Jr., roba anodina, per odiatori minimali. Per Trump è venuto a galla un sistema di avversione come non si era mai visto prima dal dopoguerra ad oggi.

Odio allo stato puro. Senza sosta. I tentativi di delegittimazione, demonizzazione e detronizzzione sono cominciati immediatamente (i primi due ancora in campagna elettorale) il secondo dopo l'insediamento.

Dal Russiagate all'impeachment. A corollario non sono mai mancate le accuse di razzismo, fascismo e persino antisemitismo.

Da dove nasce tutto questo odio che trova fiancheggiatori anche all'interno del partito repubblicano? Da un semplice fatto. La paura.

Si sono accorti che Trump è fuori da ogni schema precostituito, bigger than life, e molto, molto determinato. Hanno capito che poteva e può smuovere dalle fondamenta equilibri costituiti, rendite di posizione, che nel suo modo brusco, umorale e imprevedibile può rovesciare molti tavoli, riconfiguare l'esistente.

Sembra il ritratto di un rivoluzionario. Esatto. Perchè Trump, uomo d'ordine ha questo impeto eversivo e fantasioso e fantasioso perchè eversivo, e in quanto tale pericoloso.

È umorale, è molto suscettibile, è il bambino adulto che se ne frega delle regole e che dice quello che pensa quando lo pensa (e non sempre, ovviamente, è giusto), ma soprattutto ha fatto della politica un gioco plastico in cui i colpi di scena e le innovazioni sono sempre dietro l'angolo, nel bene e nel male.

Trump non sopporta l'esistente, ciò che è consolidato e statico, sclerotizzato. La sua insofferenza per le regole costituite è palese, anche se mira all'ordine, all'ordine nuovo che deve nascere da un caos creativo, da una rabbia, da una avversione, o da una simpatia.

È un combattente che para e restituisce tutti i colpi, senza mai, mai una volta concedere qualcosa all'avversario. Le sue parole sono sferzanti, inopportune, indecorosamente precise nello smascherare l'ipocrisia degli altri (concedendosi una naturale autoindulgenza per le sue iperboli e i suoi abbellimenti deformanti della realtà).

La paura da parte dei suoi nemici è giustificata, la paura trasformata in odio. Trump non ha alcuna indulgenza per loro. Sa che se potessero gli taglierebbero la gola e sa che fino a quando resterà presidente rimarranno sempre in affanno, ingozzati dall'odio, incapaci di abbrancarlo.




Media di tutto il mondo unitevi. Contro Trump
Stefano Magni
9 giugno 2020

https://lanuovabq.it/it/media-di-tutto- ... 0.facebook

Il mondo dei media si ritrova unito almeno su un punto: l’odio nei confronti di Donald Trump. Un mondo che sta condizionando l’opinione pubblica più di ogni altro. Lo dimostra anche il caso New York Times, con le dimissioni di un caporedattore reo di aver ospitato un parere favorevole al presidente.

Trump, conferenza stampa alla Casa Bianca

Il mondo si ritrova unito almeno su un punto: l’odio nei confronti di Donald Trump. Per “mondo” si intende il mondo mediatico, quello che raccoglie, analizza ed esprime notizie e opinioni, condizionando l’opinione pubblica più di ogni altro. È obiettivamente molto difficile trovare un quotidiano serio e dotato di una solida reputazione schierato dalla parte del presidente americano. E il meccanismo di selezione delle notizie e delle opinioni sta diventando sempre più rigoroso: se dai ragione a Trump, perdi il lavoro. L’esempio più recente ed eclatante è costituito dalle dimissioni, di fatto imposte, di James Bannet dal New York Times, neppure colpevole di aver scritto personalmente un articolo a favore del presidente, ma di aver ospitato, da caporedattore della sezione delle opinioni, un parere favorevole, espresso dal senatore repubblicano Tom Cotton.

La settimana scorsa, il New York Times aveva chiesto a Cotton di scrivere un suo punto di vista sull’Insurrection Act, la legge che consente di impiegare l’esercito per sedare una rivolta interna. Il senatore repubblicano ha scritto a favore dell’applicazione dell’Insurrection Act, che era appena stato invocato da Trump. La sua pubblicazione ha provocato una vera e propria insurrezione dei giornalisti e dipendenti del quotidiano, molti dei quali hanno indetto uno sciopero. La giornalista premio Pulitzer Nikole Hannah Jones ha scritto sul suo profilo Twitter: “Da donna nera e da giornalista, mi vergogno di questa pubblicazione”. Il quotidiano ha cercato, in un primo momento, di difendersi, affermando che la politica editoriale della colonna delle opinioni fosse anche quello di ospitare il parere di minoranza (rispetto alla linea editoriale). Poi ha cambiato linea, affermando che l’articolo non rispettasse gli standard editoriali. Così il caporedattore della sezione opinioni, James Bennet (in carica dal 2016) ha rassegnato le dimissioni e il suo vice è stato trasferito alla sezione cronaca.

Tom Cotton, personalmente, ha dichiarato di essere stato frainteso dalla redazione del New York Times, che parla del suo articolo come di una invocazione dell’esercito per reprimere la protesta. “Ho chiesto l’uso della forza militare come sostegno, solo se la polizia fosse stata saturata, per fermare i disordini, non per usarlo contro la protesta”, ha dichiarato il senatore, rispondendo alle dichiarazioni del grande quotidiano. Mentre Bennet, presentando le sue dimissioni, ha affermato di non aver controllato il pezzo, il suo autore, Cotton, ha descritto alla rivista National Review come era avvenuta la sua stesura: ben tre bozze mandate una dietro l’altra alla redazione e corrette a seconda delle richieste di verifica. Nelle prime due bozze la redazione del New York Times ha chiesto precisazioni di stile e di chiarezza, nella terza una maggior verifica dei fatti. Il processo è durato due giorni, lunedì e martedì della settimana scorsa, il pezzo è stato infine approvato il mercoledì mattina. Non si trattava, dunque, di un commento improvvisato e rimosso perché conteneva “bufale”, sfuggite al controllo redazionale, si trattava di un articolo a lungo controllato e corretto. La sua rimozione sembra, a maggior ragione, un atto puramente politico.

La censura nei confronti del presidente e dei pareri a lui favorevoli pare ormai riguardare tutti i media e i social media. Questi ultimi, ad esempio, stanno dando un giro di vite molto visibile, con Twitter che ha rimosso un commento dello stesso Trump e ne ha ritenuto “fuorviante” (con tanto di rimando ad approfondimenti sulla Cnn) un altro. Oscurare un presidente, da parte di un grande social media, è una novità assoluta nel dibattito democratico. Poi, in compenso, ci sono frasi e ragionamenti attribuiti al presidente americano, ma mai pronunciati, o i volutamente fraintesi. Solo per citare casi di questi ultimi tre mesi, Trump non ha mai suggerito di “iniettare disinfettanti” o “esporsi ai raggi UV” per curarsi dal Covid-19, eppure lo troverete scritto dappertutto. La battaglia sull’idrossiclorochina è iniziata quando è stata citata da Trump come cura promettente e subito dopo è entrata nel mirino di medici e ricercatori. Gli Usa non sono il Paese più colpito dal Covid per colpa della mancata prevenzione di Trump, come si legge pressoché ovunque. Al contrario, in rapporto alla popolazione, gli Usa sono molto meno coinvolti dall’epidemia rispetto all’Italia e alla maggior parte dei Paesi europei occidentali e la maggior concentrazione di vittime è nel solo Stato di New York, guidato dal governatore democratico Andrew Cuomo… che invece è presentato come il vero eroe della lotta all’epidemia. Ce n’è abbastanza per definire Trump la maggior vittima delle bufale, anche se i giornalisti lo accusano di essere un mentitore seriale.

La faziosità dei media contro Trump non è solo un’impressione di parte. Almeno un centro studi ha provato a quantificarla: il Shorenstein Center on Media, Politics and Public Policy di Harvard, nel 2017 aveva analizzato l’informazione dei 10 principali media statunitensi nei primi 100 giorni di amministrazione Trump e aveva trovato che il presidente fosse molto più sovra-esposto rispetto ai predecessori e il 98% dei servizi fosse da considerarsi “ostile” nei suoi confronti. Il novantotto per cento. Secondo questo studio, il rapporto fra media e Trump si è incrinato nel tempo. Ma almeno due casi dimostrano che vi fosse odio preventivo. Lo Huffington Post aveva relegato la campagna elettorale di Trump nella sezione “spettacoli” “Il motivo è semplice: la campagna di Trump è solo uno spettacolo. Noi non abboccheremo. Se siete interessati a quel che The Donald avrà da dire, lo troverete assieme ai nostri articoli sulle Kardashian e The Bachelor”. Per il New York Times, giustappunto, durante la campagna elettorale, Trump era “un essere umano ripugnante”. Lo scriveva nero su bianco l’editorialista Thomas Friedman, che tirava in ballo anche la famiglia dell’allora candidato presidente: “i figli di Trump dovrebbero vergognarsi del padre”. E concludeva con l’esortazione: “gente come te, non si faccia più vedere”.

Questi pareri sono ovviamente diffusi a cascata dai media americani più autorevoli a quelli stranieri, attraverso i loro corrispondenti. Giovanna Botteri, corrispondente Rai negli Usa all’epoca delle elezioni del 2016, dopo la vittoria di Trump commentava costernata: “Che cosa succederà a noi giornalisti? Non si è mai vista come in queste elezioni una stampa così compatta e unita contro un candidato... che cosa succederà ora che la stampa non ha più forza e peso nella società americana?” Chiaro il concetto? Non era una battaglia fra un candidato repubblicano e uno democratico, ma fra “noi giornalisti” e il candidato repubblicano. Mai nessuno è stato così esplicito, ma lo sfogo della Botteri riflette una realtà di fatto. E forse è proprio questa la vera emergenza democratica.



Libertà di religione e di non religione, rispetto dei diritti umani e della diversità civile
(il razzismo, il nazismo, il cannibalismo, il sacrificio umano, lo schiavismo, l'invasione e la violazione dei paesi altrui non sono diritti umani ma una loro violazione)
https://www.facebook.com/groups/2902168 ... 182527038/

Così Trump punisce chi vìola la libertà religiosa
Benedetta Frigerio
11 giugno 2020

https://lanuovabq.it/it/cosi-trump-puni ... -religiosa


L'ordine esecutivo firmato dal presidente Usa nel giorno in cui veniva attaccato dal vescovo della capitale per aver onorato san Giovanni Paolo II, stabilisce che i Paesi che violano la libertà religiosa saranno privati degli aiuti economici, saranno poi limitate le emissioni dei visti e aperte le porte ai perseguitati a causa della fede.

Si ridimensiona, e non solo a parole, l’epoca dei commerci e delle strette di mano fra le democrazie e i regimi totalitari. Se infatti i capi di governo occidentali hanno sempre supportato la causa della libertà religiosa, alle loro proclamazioni non sono mai seguiti fatti che la mettessero realmente in primo piano. Anche perché il capitalismo ha sempre fatto del commercio e del guadagno il suo valore primario.

«La libertà religiosa di ogni persona in tutto il mondo è una priorità della politica estera americana», così si legge nell’ordine esecutivo firmato da Trump il 2 giugno scorso, dopo la visita, che ha indignato il vescovo di Washington Wilton Gregory, al santuario di Giovanni Paolo II. Dove il presidente ha pregato davanti alle reliquie del santo papa che ha combattuto contro i regimi (quello comunista in particolare) e per la libertà religiosa.

La parola “priorità” non è nuova in riferimento al tema, ma quello che davvero conta è quanto segue. Trump non si è limitato a fare le carezze all’America religiosa: l’ordine esecutivo prevede, infatti, sanzioni per gli Stati e i funzionari che perseguitano le persone a causa del loro credo. Perciò, oltre a chiarire che «i nostri padri fondatori intendevano la libertà religiosa non come una creazione dello Stato, ma come un dono di Dio ad ogni persona e come un diritto fondamentale per il prosperare della nostra società», si legge che verranno stanziati «almeno 50 milioni di dollari all’anno per programmi che promuovano la libertà religiosa in tutto il mondo». Si elencano poi obiettivi graditi, come la prevenzione degli attacchi a singoli o gruppi, che promuovano la punizione dei colpevoli, o come l’incremento della sicurezza dei luoghi di culto etc.

Inoltre, «i dipartimenti e le agenzie che finanziano i programmi di assistenza esteri dovranno assicurare che le entità fondate sulla fede e religiose…non siano discriminate quando competono per la ricezione di fondi federali». Il Segretario di Stato (ora Mike Pompeo) dovrà poi aiutare gli ambasciatori negli Stati particolarmente a rischio, affinché sviluppino azioni concrete e incoraggino il paese ospite ad eliminare le violazioni di questa libertà. Gli ambasciatori, a colloquio con i governatori locali, «dovranno sollevare preoccupazioni riguardo alla libertà religiosa internazionale e ai casi che coinvolgono individui incarcerati a causa della loro fede». Si chiede poi alle agenzie di presentare al presidente Usa i propri piani di tutela delle minoranze religiose, mentre i dipendenti federali coinvolti in tali azioni avranno l’obbligo di «seguire corsi di formazione sulla libertà religiosa internazionale».

Ma la vera novità è contenuta alla fine della normativa: l’America priverà i Paesi che violano la libertà religiosa ritirando i propri aiuti economici e limitando «l'emissione di visti», aprendo invece le porte ai perseguitati a causa della fede. Si parla anche di sanzioni economiche: «Il Segretario del Tesoro, consultandosi con il Segretario di Stato, può prendere in considerazione l'imposizione di sanzioni», come il «blocco delle proprietà delle persone coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani». Significa, ad esempio, che i funzionari pubblici che perseguano i cristiani del proprio paese potranno perdere ogni bene posseduto negli Stati Uniti.

Nel frattempo i repubblicani sono riusciti a far passare una legge che prevede sanzioni contro i funzionari che violano la libertà religiosa in Cina (mentre continuano le proteste ad Hong Kong) dove sia i cristiani sia gli uiguri vengono perseguitati. La norma ha fatto reagire così l’ambasciatore cinese a Washington: «Invitiamo gli Stati Uniti a rimediare immediatamente al loro errore, a smettere di usare le questioni relative allo Xinjiang (la Regione dove la persecuzione è all’ordine del giorno, ndr) per intervenire negli affari interni alla Cina».

Ma la mossa di Trump risponde anche all’incremento delle nuove alleanze terroristiche islamiche in Africa, con attacchi crescenti contro i cristiani del Burkina Faso, del Mozambico, e della Nigeria. In quest’ultima nazione, settimana scorsa, gli ultimi ad essere uccisi dai jihadisti sono stati il pastore protestante Emmanuel Bileya e la moglie Juliana, che hanno lasciato orfani otto figli e una comunità fiorente.

«L’ordine esecutivo sottolinea che la libertà religiosa non è solo un diritto umano», ha affermato Tom Farr, presidente del Religious Freedom Institute, ma «un imperativo morale e di sicurezza nazionale». Farr ha chiarito che l'atto offre la «certezza» che il governo prenderà sul serio gli attacchi contro i credenti, data l’adozione di «misure importanti». Nina Shea, direttrice del Center for Religious Freedom presso l'Hudson Institute, ha dichiarato che l'ordine favorirà una maggiore «attività nei paesi che compaiono nella “Special Watch List” del Dipartimento di Stato».

Anche per questo Farr si è detto meravigliato dall’attacco del vescovo di Washington a Trump, perché «ti piaccia o meno il presidente…condannarlo per aver onorato questo grande santo - la cui difesa della libertà religiosa di ciascuno è onorata ovunque - è miope».
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:31 am

La Corte suprema Usa blocca Trump sui dreamer
18 giugno 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... dcfdb.html


La Corte suprema degli Stati Uniti ha bloccato il tentativo di Donald Trump di porre fine alla legislazione che protegge i dreamer così come varata dall'Amministrazione Obama. La decisione è stata presa a maggioranza, 5 a 4, con il presidente John Roberts, di nomina conservatrice, che si è unito anche stavolta ai giudici di nomina liberale. Esattamente come alcuni giorni fa con la decisione sulla protezione dei lavoratori Lgbtq. Un nuovo schiaffo al tycoon, dunque, stavolta sul tema immigrazione.

Il programma di protezione dei dreamer (Daca), gli immigrati entrati irregolarmente negli Usa quando erano minori, è stato varato con un decreto di Barack Obama nel 2012. Pur non fornendo la cittadinanza americana, esso permette a circa 700.000 immigrati di lavorare legalmente. Fin dal 2017 Trump ha istruito la sua Amministrazione per tentare di porre fine a tale programma e, a stretto giro, è giunto il suo commento via social: "Avete l'impressione che io non piaccia alla Corte suprema?", ha scritto ironicamente su Twitter. "Queste decisioni orribili e politicamente motivate che arrivano dalla Corte suprema sono fucilate in faccia alle persone che sono orgogliose di chiamarsi repubblicani o conservatori", ha aggiunto, invitando a rieleggerlo alla Casa Bianca. Più tardi, ha annunciato, entro il primo settembre, la stesura di una nuova lista di giudici conservatori dalla quale scegliere il prossimo giudice costituzionale. "Non è mai stato così importante", ha spiegato il presidente, sempre via social, ricordando alcune delle questioni su cui la Corte dovrà pronunciarsi: dal secondo emendamento sulle armi all'aborto, passando per la libertà di religione.

Altrettanto prevedibilmente, sono arrivate le esultanze in casa dem. Obama si è detto "felice" per la decisione della Corte suprema: "Otto anni fa - ha ricordato anche lui su Twitter - proteggemmo dall'espulsione i giovani cresciuti come parte della nostra famiglia americana. Possiamo sembrare diversi e venire da qualunque posto, ma ciò che ci rende americani sono i nostri comuni ideali". Quindi, ha invitato a "difendere quegli ideali" e ad eleggere Joe Biden e un Congresso democratico "che faccia il suo lavoro, protegga i dreamer e crei un sistema davvero meritevole di questa nazione di immigrati una volta per tutte".

Biden, da parte sua, ha dichiarato che "la decisione della Corte suprema è una vittoria resa possibile dal coraggio e dalla resilienza di centinaia di migliaia di dreamer che sono scesi in campo coraggiosamente e hanno rifiutato di essere ignorati. Come presidente lavorerò immediatamente per rendere permanente il programma a difesa dei dreamer inviando una proposta di legge al Congresso nel primo giorno della mia amministrazione. Se Trump tenterà nuovamente di cancellare il Daca - un'azione spregiudicata e particolarmente in questa crisi sanitaria pubblica senza precedenti - sarà responsabile dello stravolgimento delle vite di centinaia di migliaia di giovani, danneggiando le famiglie e le comunità in tutto il Paese". Biden ha quindi ricordato che i dreamer hanno contribuito al progresso di un Paese "che conoscono come loro casa" e che quasi un terzo di loro sono "lavoratori essenziali che aiutano le nostre comunità a rispondere alla pandemia". Circa 30mila di loro, ha concluso, sono operatori sanitari in prima linea.



Migranti, Trump sfida la Corte Suprema: “Boccia i miei provvedimenti? E io cambio i giudici”
18 giugno 2020

https://www.lastampa.it/esteri/2020/06/ ... 1.38982115


Il presidente Donald Trump ha lanciato da Twitter la sfida alla Corte Suprema. «Come presidente degli Stati Uniti - ha scritto - sto chiedendo una soluzione legale sul Daca, non una soluzione politica. La Corte Suprema non vuole darmela, così dobbiamo di nuovo ricominciare con il processo». Trump è infuriato per la decisione dei giudici di vietare la deportazione dei cosiddetti "dreamers", migliaia di giovani immigrati entrati senza avere documenti legali.

Il presidente ha annunciato anche la decisione di pubblicare una nuova lista di giudici conservatori da cui sceglierà il prossimo giudice. «Rilascerò una nuova lista - scrive - di candidati a giudici conservatori della Corte Suprema che può includerne alcuni, o molti di quelli presenti già nell’elenco, entro il 1° settembre 2020. Se ci sarà l’opportunità, io sceglierò il nome solo da questa lista, come in passato. Sulla base delle decisioni prese questa lista è più importante che mai (Secondo emendamento, diritto alla vita, libertà di religione, ecc. Vota 2020!».

Il programma di protezione dei Dreamer (Daca), gli immigrati entrati irregolarmente in Usa quando erano minori, è stato varato con un decreto di Barack Obama nel 2012. Pur non fornendo la cittadinanza americana permette a circa 700.000 immigrati di lavorare legalmente. Fin dal 2017 Donald Trump ha istruito la sua amministrazione per tentare di porre fine a tale programma.

La decisione della Corte Suprema di bloccare il tentativo di Trump per porre fine alla loro protezione è stata presa a maggioranza, 5 a 4, con il presidente John Roberts, di nomina conservatrice, che si è unito anche stavolta con i giudici di nomina liberale.

Esattamente come accaduto alcuni giorni fa come con la decisione sulla protezione dei lavoratori Lgbtq.

Barack Obama si dice "felice" per la decisione della Corte suprema. «Otto anni fa proteggemmo dall'espulsione i giovani cresciuti come parte della nostra famiglia americana. Possiamo sembrare diversi e venire da qualunque posto ma ciò che ci rende americani sono i nostri comuni ideali -, twitta, invitando a – difendere quegli ideali e ad eleggere Joe Biden e un Congresso democratico che faccia il suo lavoro, protegga i Dreamer e crei un sistema davvero meritevole di questa nazione di immigrati una volta per tutte».
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:31 am

Usa: quando i Democratici difendevano la schiavitù
Michael Severance
19 giugno 2020

https://lanuovabq.it/it/usa-quando-i-de ... -schiavitu

Sudisti, secessionisti, schiavisti: questa era la base del Partito Democratico nell'Ottocento, quando difendeva gli interessi dei proprietari terrieri del Sud. La difesa o quantomeno la tolleranza della schiavitù dei neri fu un peccato comune a tutti i primi presidenti degli Usa. Solo il nuovo Partito Repubblicano, con Lincoln, ebbe il coraggio di opporsi.
IL COLOSSO DEGLI ABORTI SI SCHIERA CON BIDEN, di Ermes Dovico
https://lanuovabq.it/it/il-colosso-degl ... -con-biden

Il Partito Democratico americano è il più antico partito elettorale al mondo. È ricco di una storia di cui si può andare fieri, in alcuni casi, ma piena di lati oscuri. La peggior macchia nel passato del Partito Democratico si trova nel Diciannovesimo Secolo, con un programma agrario schiavista, per non parlare delle ambizioni al “Destino Manifesto” alla base della persecuzione dei nativi americani.

Il Partito Democratico contemporaneo nacque da una scissione dal gruppo Democratico-Repubblicano nel 1820. Si è successivamente diviso ancora in due campi, uno “unionista” al Nord e l’altro “secessionista” al Sud, poco prima della Guerra Civile. Il suo rivale tradizionale era il Partito Whig. Gli Whig furono poi rimpiazzati dal Partito Repubblicano, il cui programma conservatore mirava a preservare l’Unione americana, difendere l’ortodossia della Costituzione quale atto fondatore nazionale (compresi i diritti naturali donati da Dio e le libertà civili che ne derivano), promuovere una società industrializzata che poteva prosperare e commerciare in tutti gli Stati. Entrambi i partiti favorivano un governo limitato, ma i Democratici vinsero il favore di una base elettorale fedele ergendosi a rappresentanti dell’“uomo comune”. I Democratici conquistarono un seguito di simpatizzanti fra i coltivatori del tabacco e del cotone, fra gli allevatori di bestiame, i lavoratori urbanizzati e molti immigrati che svolgevano lavori a basso reddito. Il programma originario del Partito Democratico del Diciannovesimo Secolo, combatteva per “gli umili” e per i diritti di autonomia dei singoli Stati. Era scettico sull’interventismo statale, sulle grandi banche e sulle lobby portatrici di interessi particolari che tessevano trame di interessi economici e politici.

Nonostante quanto di buono rappresentasse, il Partito Democratico sosteneva la conservazione dell’istituzione della schiavitù, nella stragrande maggioranza dei casi, fra i suoi membri al Congresso degli Stati Uniti e nei parlamenti degli Stati del Sud, nelle regioni che dominava politicamente. In estrema sintesi, il Partito Democratico difendeva il diritto degli Stati di scegliere se liberare o meno gli schiavi, ma non si oppose universalmente alla schiavitù, non la considerò anti-costituzionale, né come un male intrinseco.

Molti degli ex presidenti del Partito Democratico-Repubblicano erano padroni di schiavi. Ma in questo caso non possiamo dar la colpa ai soli Democratici. Questa sordida storia era bi-partisan e coinvolgeva tutti i primi presidenti americani. Una ventina di loro possedeva schiavi, prima, durante o dopo aver ricoperto la più alta carica dello Stato. Fra i presidenti padroni di schiavi figurano padri fondatori quali George Washington, Thomas Jefferson, James Madison, William Harrison, John Tyler, oltre al più noto, per la sua infamia, primo presidente Democratico: Andrew Jackson. Jackson venne anche accusato di aver partecipato alla tratta degli schiavi e fu il più attivo esecutore del programma del “Destino Manifesto” che portò alla deportazione di milioni di nativi americani “inferiori” mentre la giovane nazione espandeva ambiziosamente la sua frontiera a tutto il Nord America.

I Democratici ebbero l’opportunità di ripulirsi da questo passato oscuro quando Martin Van Buren contribuì a fondare il nuovo Partito Democratico. Van Buren prese le distanze dal suo predecessore, Andrew Jackson (di cui era vicepresidente), e da buona parte dei colleghi Democratici del Sud, parlando contro l’espansione degli Stati schiavisti. Però la sua aspirazione a riformare moralmente il programma del suo nuovo Partito Democratico sarebbe durata poco, finendo per essere ribattezzato sarcasticamente Presidente “Van Ruin” (rovina, ndr). Dopo un solo mandato presidenziale (1837-1841), Van Buren venne ben presto sostituito alla Convention Democratica da James Polk, che consolidò fortemente il consenso degli anti-abolizionisti e venne eletto presidente. Si disse che Polk avesse schiavi anche nella Casa Bianca. Nessuna sorpresa: quando Polk era presidente della Camera dei Rappresentanti, poneva il veto per fermare ogni richiesta popolare di aprire un dibattito sulla schiavitù. Questo peccato era ancora una volta comune ai partiti di allora, anche al successore di Polk, un presidente Whig, Zachary Taylor, un sudista che era proprietario di molti schiavi e che ancora una volta dimostrò la scarsa volontà politica a promuovere un’Unione abolizionista.

Fino al presidente Taylor, sia gli Whig che i Democratici erano entrambi tolleranti nei confronti degli Stati schiavisti, o erano almeno colpevoli di ipocrisia personale e di passività morale. Lentamente, da allora in poi, il movimento abolizionista prese piede nel Nord libero. Dopo Taylor, i tre successori alla presidenza divennero sempre meno favorevoli alla schiavitù, fino a James Buchanan, un Democratico convinto che si insediò nel 1857. Alcuni atti fondamentali della sua amministrazione contribuirono a far scoppiare una nazione già sull’orlo della guerra: Buchanan appoggiò la sentenza della Corte Suprema nel caso Dred Scott contro Sandford (che negò la cittadinanza e la libertà agli ex schiavi e ai loro discendenti, anche se risiedevano in Stati e territori liberi dalla schiavitù) e sostenne l’ingresso nell’Unione del Kansas, uno Stato schiavista.

La scena politica americana, già molto tesa negli anni precedenti la Guerra Civile, raggiunse il punto di rottura durante la presidenza del Democratico Buchanan. Quelle condizioni vennero determinate dalla decisione del Partito Democratico di appoggiare pienamente gli Stati del Sud, anti-abolizionisti e secessionisti, o la base elettorale dei Democratici del Nord, unionista, tollerante nei confronti della schiavitù e favorevole al diritto all’autonomia di scelta degli Stati.

Quando Abraham Lincoln si candidò presidente nel 1860, il primo in assoluto del Partito Repubblicano, il Partito Democratico si divise sostenendo due diversi candidati: Stephen Douglas, dell’Illinois, nordista, unionista e sostenitore dei diritti degli Stati, e John Breckinridge, del Kentucky, sudista e ideologicamente anti-abolizionista.

Lincoln ottenne una vittoria decisiva con un programma chiaro che mirava alla preservazione dell’Unione e si opponeva all’espansione degli Stati schiavisti. I Democratici sudisti videro la sua vittoria come la prima minaccia concreta al loro presunto “diritto” degli Stati alla schiavitù. Pochi giorni prima dell’insediamento di Lincoln, nel marzo 1861, sette Stati sudisti governati dai Democratici, proclamarono ufficialmente la secessione. In aprile scoppiò la Guerra Civile e 10 mesi dopo il senatore Democratico Jefferson Davis, filo-schiavista, del Mississippi, divenne il presidente della Confederazione degli Stati Americani.

Quel che seguì fu una guerra sanguinosa di quattro anni, combattuta non solo per preservare una vera “Unione” degli Stati Uniti d’America, ma anche per difendere un principio assoluto morale che riguardava la natura libera della persona, protetta dalla Costituzione. Il Partito Repubblicano scelse di difendere la libertà umana universale fino in fondo. Fra il 1861 e il 1865, la guerra venne combattuta nel nome di una verità assoluta: “tutti gli uomini sono creati uguali da Dio” e costò più vite americane (da 650mila al 750mila morti) di tutte le altre guerre nella storia dagli Stati Uniti messe assieme.

In conclusione, nessun partito politico statunitense delle origini è nato da immacolata concezione, senza il peccato originale della difesa della schiavitù. Whigs, Federalisti, Democratici-Repubblicani erano formati da padroni di schiavi, mentre molti dei vertici del governo tolleravano politicamente la schiavitù, barattandola con la preservazione dell’Unione. Altri uomini di Stato erano dei santi in pubblico, ma gravi peccatori in privato. Alla fine, la volontà politica di abolire la schiavitù arrivò solo con il Partito Repubblicano, anche se Lincoln stesso non sancì la sua abolizione fino alla Proclamazione di Emancipazione del 1863, quasi due anni dopo l’inizio della Guerra Civile. Fu un Repubblicano, non un Democratico, che ebbe il coraggio morale definitivo di proclamare la libertà donata da Dio agli uomini e alle donne di colore e agire per difenderla, in una battaglia epocale senza compromessi contro la più immorale delle istituzioni della nazione.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mar lug 07, 2020 7:49 am

Se avete voglia e pazienza pubblico un articolo davvero senza vergogna contro la persona del presidente Trump.
Io ormai da questi lestofanti, mi aspetto davvero di tutto, pure il tentativo di un nuovo assassinio, tanto sono accecati dall'odio.
Oltretutto, soffrono, da sempre, della sindrome da proiezione*.
Ovviamente, lo scribacchino prezzolato e pure bastardo ed infingardo, finge di non sapere o di non ricordare come si comportò Obama, il giorno dell'insediamento di Trump e delle numerose trappole disseminate ovunque, da vero criminale
Una su tutte?
Gli fece trovare il mondo in subbuglio, il nord africa destabilizzato e tutte e dico tutte le portaerei in rada, se fosse scoppiata una emergenza sarebbe stata una catastrofe, se non lo sapete, la procedura per rendere nuovamente operativa una sola portaerei e la flotta al suo seguito, richiede diverse settimane.

Alex Swan
7 luglio 2020

https://www.facebook.com/alex.swan.3785 ... 4073262929


"E se Trump non se ne andasse?
L’eventuale sconfitta del presidente repubblicano potrebbe minacciare la transizione pacifica del potere statunitense. The Donald potrebbe denunciare i brogli e rifiutarsi di fare un passo indietro per il suo successore."

YTALI
MARCO MICHIELI
5 Luglio 2020

"Quando Bill Clinton entrò alla Casa Bianca il 20 gennaio del 1993 trovò sulla scrivania dello studio ovale una lettera. Si trattava della tradizionale missiva che ogni presidente lascia al proprio successore. George H. Bush vi aveva scritto “sarai già presidente quando leggerai questa nota”, da oggi “i tuoi successi sono i successi del nostro paese”, per concludere con “faccio il tifo per te”. Immaginare Donald Trump lasciare una simile lettera per il suo eventuale successore è impensabile. Ma per alcuni oggi questo è il minore dei problemi. Molti si chiedono infatti se, qualora fosse sconfitto, The Donald lascerà la Casa Bianca o la trasformerà in un bunker.

Il tema non è davvero estraneo al terremoto politico che l’elezione di Donald Trump ha generato. La storia, le parole e i comportamenti del presidente repubblicano sollevano qualche dubbio sulla sua capacità di eventualmente accettare una sconfitta. E di dare seguito a quel passaggio di poteri da un presidente all’altro che è fatto di ritualità note e meno note. Come tutti i rituali il suo significato non si limita al mero gesto, ma parla a milioni di cittadini. Un rifiuto di Donald Trump di andarsene dalla Casa Bianca getterebbe forti ombre sulla transizione pacifica del potere. Un elemento fondamentale in ogni democrazia. Sacrale in quella statunitense.

L’ipotesi non è così balzana. Qualche settimana fa il candidato democratico Joe Biden in un’intervista con Trevor Noah, il comico e presentatore del The Daily Show, ha preconizzato questo scenario. E l’immagine del presidente sconfitto scortato a forza fuori dalla Casa Bianca dai militari non è apparsa irreale. Tanto che Donald Trump stesso ha dovuto chiarire su Fox News che in caso di sconfitta lascerà pacificamente la carica.

Più problematica però potrebbe essere la situazione se la vittoria di Biden fosse risicata e vi fossero del ricorsi giudiziari. In quel caso, molti scommettono sulla resistenza dell’attuale presidente. Col supporto del dipartimento di giustizia guidato da William Barr che in questi anni si è dimostrato completamente supino ai desideri del presidente. E nessuno scommette sul “beau geste” di The Donald, in un tentativo di emulare Al Gore, nella contesta elezione del 2000, quando la Corte suprema dichiarò la vittoria di G.W. Bush in Florida.

A sollevare dubbi è anche Lawrence Douglas, docente di diritto all’Amherst College in Massachusetts. Douglas è l’autore di un recente e fortunato libro – all’origine della discussione sul tema – dal titolo eloquente: Will He Go? (“Se ne andrà?”). Se per molti è impossibile uno scenario di questo tipo, il presidente ha dimostrato nel tempo che quello che Maya Angelou diceva – “quando qualcuno ti mostra chi è, credici la prima volta” – non è molto lontano dalla realtà.

Già nel 2016 l’allora candidato alla Casa Bianca aveva affermato durante il dibattito contro Hillary Clinton che avrebbe potuto non accettare i risultati delle elezioni di novembre. Ogni risultato che non fosse la sua vittoria sarebbe stato il frutto di manipolazioni e frodi elettorali. Il timore che Trump all’epoca non accettasse il risultato elettorale era così reale e diffuso che l’amministrazione Obama aveva elaborato anche un piano apposito. Secondo quando racconta Ben Rhodes, vice-consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, il piano prevedeva la convocazione dei leader repubblicani, degli ex presidenti e di personalità che avevano ricoperto ruoli rilevanti nelle amministrazioni, come Colin Powell e Condoleezza Rice, per validare pubblicamente la vittoria di Hillary. Le cose però andarono diversamente.

Oggi però quel copione è riproposto. Nei mesi scorsi infatti il presidente non ha smesso di parlare di “frodi elettorali” legate all’estensione del voto via posta. Una possibilità quella del voto postale sempre più possibile per evitare la diffusione del Covid-19. E si sono visti ricorsi giudiziari e file lunghissime ai seggi in questi mesi. La possibilità che a novembre vi siano dei problemi di gestione delle elezioni è quindi molto elevata.

Secondo Douglas, però, molto dipenderà dall’eventuale margine di sconfitta dell’attuale presidente. Se il presidente dovesse essere sconfitto pesantemente, per quanto possa non riconoscere il risultato, è difficile che il Partito repubblicano si schieri al suo fianco.

Diversa però potrebbe essere la situazione se il distacco fosse minimo tra i voti del collegio elettorale. E magari con contestazioni di voto in molti degli stati chiave. Perché, dice Douglas, i repubblicani in quel caso potrebbero in gran parte appoggiare il presidente e rallentare il processo di passaggio dei poteri, in attesa dei vari ricorsi giudiziari. Con una data limite. Perché il Ventesimo emendamento stabilisce che il mandato del presidente e del vice terminino il 20 gennaio a mezzogiorno. Qualora per svariate ragioni non ci fosse un vincitore chiaro prima di quella data, lo Speaker della Camera svolgerebbe il ruolo di presidente ad interim, secondo l’attuale legislazione sulla successione presidenziale.

Che cosa accadrebbe però tra il 3 novembre, la data delle elezioni presidenziali, e il 20 gennaio? Potrebbero accadere più cose. Innanzi tutto è il Congresso che deve confermare i risultati del collegio elettorale. Lo fa il 3 gennaio sotto la presidenza del vice-presidente, che presiede il Senato. E se Trump chiedesse a Mike Pence di non presiedere quella seduta, in attesa della risoluzione di ricorsi giudiziari? Perché i ricorsi a livello statale potrebbero essere moltissimi e in tutti gli stati chiave.

Ci potrebbero essere poi degli interventi dei singoli stati a guida repubblicana. Da costituzione sono infatti i legislatori statali a decidere le modalità di selezione dei membri del collegio elettorale. E in trentadue stati ci sono obblighi legali che richiedono ai grandi elettori di votare in accordo con il risultato elettorale statale (anche se non vi sono conseguenze legali in molti di questi in casi di violazione).

In una situazione di contestazione del risultato, alcune legislature stati a guida repubblicana potrebbero ad esempio approvare delle leggi per nominare direttamente i grandi elettori dello stato. Nel 2000, ad esempio, è quello che accadde nello scontro tra Bush jr e Gore. In Florida, infatti, la legislatura statale a guida repubblicana richiese una sessione speciale per discutere della nomina diretta dei grandi elettori dello stato, ancora in assenza di un vincitore chiaro. Poi intervenne la Corte suprema due settimane dopo.

Nella confusione post-elettorale potrebbe verificarsi anche lo scenario indicato da Newsweek. Il Collegio elettorale incompleto s’incontra anche in assenza dei delegati di alcuni stati. In assenza di alcuni stati, magari quelli chiave, né Biden né Trump hanno una maggioranza sufficiente. Dell’elezione del prossimo presidente se ne deve occupare quindi la Camera dei rappresentanti. Dove i democratici dovrebbero conservare la maggioranza, ma per questo tipo di elezione si vota per delegazione statale. E attualmente 26 delegazioni sono guidate dai repubblicani e 23 dai democratici, una è divisa a metà (la Pennsylvania). E la composizione non dovrebbe cambiare granché alle prossime elezioni della Camera. In questo modo Trump verrebbe ri-eletto presidente.

Esiste anche uno scenario pre-elettorale. Le difficoltà legate alla pandemia del Covid-19 potrebbero spingere il presidente a posporre le elezioni. È uno scenario molto improbabile perché esistono tre differenti disposizioni di legge che prevedono che le elezioni debbano tenersi il martedì successivo al primo lunedì di novembre. Anche se il Senato a maggioranza repubblicana fosse d’accordo su quest’eventuale rinvio, il presidente dovrebbe passare attraverso la Camera dei rappresentanti dove la maggioranza è democratica. Ed esiste sempre il ventesimo emendamento che prevede un nuovo presidente per il 20 gennaio.

Al di là però dei ricorsi giudiziari e della possibilità da parte degli stati di manipolare il collegio elettorale, che cosa potrebbe accadere se l’incertezza sul vincitore proseguisse fino al 20 gennaio? Che cosa farebbe Trump? Sarebbe la prima volta che un simile evento si verifica per un’elezione presidenziale. Anche se nel passato è accaduto che funzionari eletti non accettassero di fare un passo indietro di fronte al risultato elettorale.

Per esempio, nel 1874 in Texas. Qui il repubblicano governatore del Texas si chiuse a chiave nel seminterrato del Campidoglio poiché non riconosceva il risultato dello sfidante democratico, accusandolo di brogli elettorali. I ricorsi alla Corte suprema statale, dove sedevano giudici nominati dal governatore repubblicano, gli diedero ragione e le elezioni furono dichiarate non valide. I democratici tuttavia continuarono con i preparativi per la sostituzione fino al giorno dell’inaugurazione. In quel giorno lo sconfitto repubblicano si chiuse appunto nel seminterrato con i militari e richiese l’intervento del presidente Grant. quest’ultimo però rifiutò di inviare le truppe federali e il governatore repubblicano dovete accettare il risultato.

Una situazione simile accadde nel 1946 in Georgia con la “crisi dei tre governatori”. L’improvvisa morte del governatore-eletto, avvenuta poco prima dell’inizio del mandato, diede inizio a una contesa tra tre uomini. Infatti, il governatore uscente, il vice-governatore eletto e il figlio del governatore-eletto ne rivendicarono la carica. L’assemblea dello stato scelse il figlio del governatore per succedere al padre, ma il governatore uscente si rifiutò di riconoscere il risultato. Inizio quindi un’occupazione fisica da parte dei due uomini dello studio dell’ufficio del governatore che si risolse a vantaggio del figlio del defunto. Questi infatti fece cambiare le serrature dell’ufficio impedendo al governatore uscente di accedervi. Tre mesi dopo la corte suprema statale decise in favore del vice-governatore eletto.

Ma nel caso di un presidente che cosa potrebbe accadere? In primo luogo, a mezzogiorno del 20 gennaio l’U.S. Secret Service abbandona l’ex presidente. E il successore potrebbe utilizzare agenti federali per rimuoverlo dallo studio ovale. Da privato cittadino potrebbe anche essere arrestato e incriminato per violazione di domicilio, una volta messo piede fuori dalla Casa Bianca.

A mezzogiorno del 20 gennaio scadrebbero inoltre anche i codici nucleari che consentono a Trump di ordinare e autenticare un attacco nucleare. Anche la persona che segue il presidente con il libro dei codici l’abbandonerebbe a mezzogiorno. E qualora qualcuno tentasse di fermarlo, un nuovo funzionario sarebbe già pronto per affiancare il nuovo presidente alla cerimonia d’inaugurazione.

Che i militari facciano qualche cosa è difficile crederlo. Nelle scorse settimane il segnale, inusuale, è invece stato quello di richiamare il presidente al rispetto delle norme di base della democrazia americana.

Però esiste uno scenario più preoccupante. La continua denuncia di frodi elettorali e la possibile contestazione dei risultati potrebbero servire per altri scopi. Se il presidente uscente infatti non fosse sconfitto in maniera pesante e determinante dall’avversario democratico, per i repubblicani potrebbe costituire un problema futuro.

The Donald potrebbe infatti continuare a coltivare la propria base. E nutrirla col sospetto di elezioni truccate e di complotti. Per ripresentarsi alle primarie repubblicane del 2024. Oppure come terzo candidato. Riuscisse ad evitare i problemi giudiziari che potrebbero travolgerlo una volta uscito dalla casa Bianca, avrebbe la stessa età che oggi hanno Biden e Sanders nel 2024.

E non sarebbe nemmeno il primo presidente che ritenta la candidatura a qualche anno di distanza dall’aver ricoperto la carica presidenziale. Ci provò Grover Cleveland, democratico, che fu eletto presidente nel 1885, fu sconfitto nel 1889 e venne rieletto nel 1893. E Teddy Roosevelt che nel 1912 guidò il Partito Progressista contro il suo successore Howard Taft e ottenne il 27,4 per cento dei voti, vincendo in sei stati e ottenendo 88 voti elettorali. Roosevelt sorpassò il candidato repubblicano che ottenne il 23,2 per cento e 8 voti elettorali e consentì la vittoria di Woodrow Wilson, il candidato democratico."

Marco Michieli
Veneziano, sono un appassionato di politica. Che sia italiana, europea o internazionale ne leggo in quantità. Adoro in particolare le biografie, soprattutto degli sconfitti. Per capire in che cosa hanno sbagliato. Nella mia vita ho fatto anche un po’ di politica (brevemente). Oggi sono un “rital” a Parigi che cerca di guardare alle vicende italiane con interesse ma con minore coinvolgimento. Tra le varie cose fatte, per non farmi mancare nulla, anche il dottorato di ricerca. Ovviamente in Scienza Politica.
*Proiezione (psicologia) La proiezione è un meccanismo di difesa arcaico e primitivo che consiste nello spostare sentimenti o caratteristiche propri, o parti del Sé, su altri oggetti o persone.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom ago 02, 2020 9:34 am

Crisi da coronavirus, manipolazione dei dati


Il calo reale dell'economia e del PIL USA (8/9% circa) per effetto della pandemia è inferiore a quello europeo (10% circa) e italiano (13% circa), però i media antitrumpiani manipolano i dati in maniera da far apparire questo calo molto maggiore del reale attribuendone la responsabilità a Trump e alle sue politiche sbagliate anti covid, per farlo apparire in cattiva luce e demonizzarlo(oltre il 30/37% circa).




Stati Uniti, il Pil crolla del 32,9% nel secondo trimestre, record dal Dopoguerra
Crollano i consumi ma anche export e investimenti. Nuove difficoltà di ripresa: le richieste di sussidi di disoccupazione crescono di 1,43 milioni
di Marco Valsania
30 luglio 2020


https://www.ilsole24ore.com/art/stati-u ... ra-ADixe9g

L'economia americana nel secondo trimestre ha sofferto una contrazione record del 32,9% su base annuale, paralizzata dallo shock della pandemia da coronavirus e dei lockdown delle attività per cercare di arrestarla.
Anche considerando la contrazione dell'output tra aprile-giugno rispetto al primo trimestre dell'anno, anziché la tradizionale misura che proietta i dati nel corso di un intero anno, il crollo è stato ugualmente di dimensioni storiche, pari al 9,5 per cento.

Previsioni di cali del 35%

La profondità della crisi, secondo la maggior parte degli analisti, mostra quanto sarà arduo ogni recupero per la principale potenza mondiale, soprattutto davanti alla recrudescenza della malattia oggi in corso e nonostante gli aiuti fatti scattare dalla Federal Reserve e dal governo.
Gli analisti avevano previsto in media un crollo trimestrale del Pil anche superiore, del 34,7%, dopo il declino annualizzato del 5% già avvenuto nel primo trimestre. La caduta, la stima iniziale relativa al periodo aprile-giugno comunicata dal Dipartimento del Commercio, è stata tuttavia di gran lunga la più pronunciata di sempre dalla Seconda Guerra Mondiale, da quando esistono moderne statistiche trimestrali sul Pil. Le precedenti contrazioni più gravi risalgono al 1958, con il 10%; al 1980, con l'8%; e alla grande crisi finanziaria di dodici anni or sono, con l'8,4% del quarto trimestre del 2008.

Consumi cadono del 34,6%

Il secondo trimestre ha visto brusche contrazioni ad ampio raggio, a cominciare dai consumi personali caduti del 34,6 per cento. Forti flessioni sono state riportate anche nell'export, nelle scorte aziendali, negli investimenti e nella spesa locale di stati e municipalità. E i segnali che arrivano oggi dell'economia confermano continue difficoltà che minacciano di proseguire oltre i tre mesi passati.

Aumentano ancora i sussidi per i disoccupati

Le nuove richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sono aumentate di 1,43 milioni di unità rispetto a previsioni inferiori, di 1,4 milioni. Le domande di sussidi sono tornate ad aumentare da due settimane e sono superiori al milione ormai da 19 settimane. Sintomo che licenziamenti e tagli dei posti di lavoro continuano nella Corporate America, rinviando ogni recupero occupazionale. La fiducia dei consumatori in luglio ha risentito di nuove flessioni davanti alle marce indietro di numerosi stati sulla riapertura delle attività con il nuovo aggravarsi della pandemia.

Incognite politiche su nuovi aiuti

A rischiare di rendere più grave la crisi nel Paese è inoltre la polemica su nuovi interventi pubblici anti-crisi. La Federal Reserve ha ribadito ancora nel suo ultimo vertice del 28 e 29 luglio l'intenzione di mantenere il proprio impegno a sostenere una ripresa, prorogando molteplici programmi di prestiti e stimolo almeno fino a fine anno. Ma incertezze restano invece sul fronte politico: Congresso e Casa Bianca sono al momento nell'impasse su nuovi piani, soprattutto sul livello di sussidi straordinari di disoccupazione, 600 dollari alla settimana in scadenza a fine luglio. I repubblicani vogliono ridurli a 200 dollari, mentre i democratici chiedono di rinnovarli per il momento allo stesso livello di prima. Nell'insieme il pacchetto di aiuti proposto dai repubblicani è di mille miliardi di dollari; i democratici invocano lo stanziamento di altri tremila miliardi.




Crollo record del Pil Usa: -32,9%. Peggior dato di sempre, Borse giù
Giuseppe Sarcina
30 lug 2020

https://www.corriere.it/economia/finanz ... 785b.shtml

WASHINGTON - La voragine americana è profonda e uscirne sarà molto più complicato di quanto si sperasse solo un paio di mesi fa. Nel secondo trimestre il prodotto interno lordo è diminuito, su base annua, del 32,9%. Per trovare un dato così catastrofico bisogna risalire al 1947. Nel giro di tre mesi, da aprile a giugno, il Covid ha inghiottito un terzo dell’economia americana. È come se in un colpo solo il Paese avesse perso la ricchezza prodotta da California, Texas e Stato di New York. Il crollo era atteso e anzi, gli economisti dell’Us Department of Commerce avevano tirato l’elastico fino al -34%. .

Il problema, però, è che quelle stesse analisi confidavano in una risalita rapida nel terzo trimestre dell’anno. Il consigliere economico della Casa Bianca, Larry Kudlow, è ancora convinto che sarà così. Ma è uno dei pochi. Donald Trump, invece, è preoccupato. Mercoledì 29 luglio, il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha avvertito che non possiamo prevedere quanto durerà la depressione: «Finché il Covid-19 non sarà messo sotto controllo, le persone non si sentiranno sicure di spendere, cercare un lavoro, far ripartire il sistema».

Powell, dunque, ha introdotto nell’equazione la variabile coronavirus, come per altro suggeriscono la cronaca e anche le statistiche del ministero del Lavoro. Nella settimana terminata il 25 luglio, 1 milione e 430mila persone hanno chiesto il sussidio di disoccupazione, cancellando le labili tracce positive di giugno. In totale sono 17 milioni i senza lavoro che riceveranno l’assegno federale.

È abbastanza strano che Wall Street abbia ignorato i segnali chiari che arrivavano dalla società e dalla politica. Mercoledì 29 luglio l’indice Dow Jones ha chiuso in positivo, +0,6%. Solo ieri ha accusato il colpo, viaggiando intorno al -0,9%. Più marcate le perdite delle Borse europee, condizionate anche dalle notizie in arrivo dalla Germania: riduzione del 10% del Pil nel secondo trimestre. Piazza Affari ha ceduto il 3,8%; Francoforte il 3,45%; Parigi il 2,1% e Londra il 2,3%.

Il prodotto interno lordo americano poggia per due terzi sui consumi. E le tabelle mostrano come le spese personali dei cittadini siano diminuite complessivamente del 34,6%. La chiusura forzata dei singoli Stati ha penalizzato il settore dei servizi, specie quelli base: bar, ristoranti, tintorie, cura della persona, viaggi. Calo del 43,5%. Ci sono altri indicatori allarmanti. Il taglio del 49% degli investimenti privati, con un -34,9% della voce «strutture» e un -37,7% degli «equipaggiamenti». Segno che la crisi non solo ha spinto gli imprenditori a rinviare nuovi piani, ma ha già intaccato la tenuta del capitale fisso nelle aziende.

In caduta libera la domanda, in difficoltà l’offerta. In questo momento il sistema sembra reggersi sulla spesa pubblica, specie quella federale, che è salita del 17,4% e su pochi comparti privati, come l’industria tech e digitale, più la grande distribuzione. La flessione di un terzo dei consumi interni si è riflessa immediatamente sulle importazioni che nel periodo si sono addirittura dimezzate (-53,4%). Il motore americano perde visibilmente giri in un sistema di relazioni economiche internazionali che pare pietrificato. Tanto che anche le esportazioni Usa si sono ridotte del 64,1%.

Vedremo quale sarà l’effetto di questo bollettino disastroso sulla politica. Trump spinge per rafforzare le misure in discussione al Congresso: «Un miliardo di dollari non è niente in questa situazione». Democratici e repubblicani, però, sembrano ancora lontani dall’accordo e continuano a litigare sull’importo del sussidio per i disoccupati. I democratici vogliono confermare i 600 dollari alla settimana fino a gennaio; i repubblicani tagliarlo a 200 dollari. I think tank conservatori di Washington hanno calcolato che il 63% di chi riceve l’assegno guadagna più adesso e quindi non ha interesse a cercare lavoro. Ma se la prospettiva è così nera, anche questi tatticismi rischiano di essere travolti.



Usa, stime shock sul Pil: -35% per il Covid-19, peggio che nella Grande Depressione
Marco Sabella
30 lug 2020

https://www.corriere.it/economia/finanz ... 785b.shtml

La contrazione del Pil degli Stati Uniti del secondo trimestre sarà probabilmente la maggiore della storia. Lo ha affermato mercoledì il presidente della Fed, Jerome Powell, in conferenza stampa dopo la riunione del Fomc, il comitato che decide la politica monetaria degli Stati Uniti, alla vigilia della diffusione del dato del Pil del secondo trimestre atteso per giovedì alle 14.30 italiane. Un dato che potrebbe rivelarsi drammatico, tale da far impallidire i crolli della produzione che si erano osservati nel corso della Grande Depressione degli anni Trenta del Novecento. Gi analisti infatti prevedono un calo del Pil 34,8%. È come se in un solo trimestre fosse scomparsa l’intera economia di un Paese come la Germania.

I tassi invariati e a zero ancora a lungo

Di fronte a sfide di questa portata la politica monetaria sta facendo la sua parte. La Federal Reserve ha infatti lasciato i tassi di interesse invariati tra lo 0 e lo 0,25%. E i mercati scommettono che la Banca centrale continuerà a confermare il supporto all’economia mantenendo i tassi vicino allo zero ancora a lungo.

«Limitare i danni»

«Faremo il possibile per limitare danni duraturi all’economia: vogliamo assicurare una forte ripresa e limitare i danni», ha ribadito Powell. Che ha immediatamente puntato l’indice sui rischi all’orizzonte. «I casi di coronavirus sono in aumento in alcune aree degli Stati Uniti e ci sono segnali che questo sta pesando sull’economia: una piena ripresa dell’economia degli Stati Uniti è improbabile fino a quando la gente non si sentirà sicura di poter tornare alla normalità», ha affermato. «Il coronavirus rappresenta il più grande shock per l’economia Usa mai registrato a memoria d’uomo», ha aggiunto.

I mercati

Le dichiarazioni di Powell, e soprattutto la decisione di lasciare i tassi invariati, è stata accolta con favore ma senza euforia dai mercati finanziari, con i principali indici di Wall Street in rialzo di alcuni decimali. Secondo alcuni analisti le dichiarazioni di Powell erano largamente attese dagli operatori e l’attenzione dei mercati è già rivolta al mese di settembre, quando la Fed darà una maggiore «forward guidance», vale a dire indicazioni più precise sui suoi orientamenti futuri. Tuttavia è chiaro che la politica monetaria, da sola, non può risolvere tutti i problemi dell’economia Usa. E la Fed non ha mai smesso di ricordare al Congresso e ai politici l’importanza del sostegno finanziario dato dal governo federale alle famiglie e alle imprese.





Fmi: danni enormi per gli Usa Il pil trimestrale in calo del 37%
17 luglio 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronac ... 5f653.html

La più lunga espansione economica degli Stati Uniti è stata interrotta dal Covid-19, che ha causato "danni economici collaterali enormi": "ci vorra' un periodo prolungato per riparare l'economia e far tornare l'attivita' ai livelli pre-pandemia". Lo afferma il Fmi nell'Article IV per gli States, prevedendo una contrazione economica del 37% nel secondo trimestre e del 6,6% nel 2020. Il Fondo nota come le famiglie piu' povere sono quelle sulle quali sta ricadendo il peso maggiore della crisi: ci sono indicazioni su un possibile aumento sistemico della poverta'.

Sono Necessari ulteriori stimoli, ma balzo del debito - "Ulteriori sforzi di bilancio saranno necessari per reagire alla pandemia e affrontare le profonde sfide sociali ed economiche che continuano ad affliggere gli Stati Uniti". Lo afferma il Fmi nell'Article IV per gli States. Il Fondo osserva come le misure finora attuate hanno gia' fatto salire il debito pubblico, atteso al 160% nel 2030, e come la perdita di posti di lavoro si tradurra' "in un aumento dell'indebitamento delle famiglie." Preoccupano anche i livelli di debito delle imprese e il rischio default.



Pil, Istat: "Nel secondo trimestre calo senza precedenti: -12,4%. Come nel resto del mondo". Male anche l'Eurozona: -12,1%
31 luglio 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... i/5885944/

Secondo l'istituto di statistica si tratta del "valore più basso dal primo trimestre 1995, periodo di inizio dell’attuale serie storica". Se anche nei prossimi mesi si dovesse registrare una "crescita congiunturale nulla", la variazione acquisita del prodotto interno lordo per tutto il 2020 sarebbe pari a -14,3%. Italia ufficialmente in recessione. Gualtieri: "Meglio del previsto"

È un tonfo del Pil “senza precedenti” quello stimato dall’Istat nel secondo trimestre 2020 in Italia: -12,4% rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Un passo indietro di oltre 50 miliardi che si aggiunge alla forte riduzione già registrata nel primo trimestre (-5,4%). E che testimonia ancora una volta l’impatto dell’emergenza sanitaria e delle misure di lockdown sull’economia italiana, nonostante la fase 2 iniziata a maggio. “Con il risultato del secondo trimestre il Prodotto interno lordo fa registrare il valore più basso dal primo trimestre 1995, periodo di inizio dell’attuale serie storica”, sottolinea l’istituto, spiegando che i numeri sono corretti per gli effetti di calendario e destagionalizzati. Se confrontato con lo stesso periodo dello scorso anno, il calo è ancora peggiore: -17,3%, sintesi di una diminuzione del valore aggiunto in tutti i comparti produttivi, dall’agricoltura, silvicoltura e pesca, all’industria, al complesso dei servizi.

“Le stime diffuse oggi dall’Istat, pur negative a causa dell’inevitabile impatto della pandemia sui diversi settori produttivi, indicano una flessione meno grave di quanto atteso dalla maggior parte delle previsioni (la stima media era di un ribasso superiore al 15%) e pari a quasi la metà del calo atteso dalle previsioni più negative circolate nelle ultime settimane”, ha commentato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Resta il fatto che il coronavirus ci riporta indietro nel tempo a metà anni Novanta. E fa entrare ufficialmente l’Italia in recessione, dal momento che in termini congiunturali è stato rilevato il terzo ribasso consecutivo del Pil. Anche se, contrariamente alle previsioni di molti analisti, in Europa c’è chi fa peggio di noi.

Proprio oggi sono arrivati i dati della Francia: -13,8% nel secondo trimestre, a dimostrazione di quanto sia generalizzato l’impatto del Covid sulle economie mondiali. Non fa meglio la Spagna, dove il Pil è crollato del 18,5% tra aprile, maggio e giugno, mentre si stima che il 2020 si chiuda a -22,1%. La caduta del Pil italiano, spiega quindi il nostro istituto di statistica, “si colloca all’interno di un contesto internazionale dove le principali economie registrano riduzioni di analoga portata a causa del diffondersi della pandemia”. Forse è anche per questo che, dopo la diffusione della notizia, lo spread fra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi rimane stabile a 150 punti base, mentre il tasso sul decennale del Tesoro resta sotto l’1%, allo 0,96%. Il problema è che se le cose dovessero continuare ad andare male, cioè se si registrasse una “crescita congiunturale nulla”, aggiunge l’Istat, la variazione acquisita del Pil per tutto il 2020 sarebbe pari a -14,3%. Un dato ancora più basso rispetto a quello stimato da Bankitalia solo poche settimane fa e alle previsioni del Fondo monetario internazionale per il nostro Paese. La speranza è che a partire dal terzo trimestre l’economia italiana inizi a manifestare i primi segnali di ripresa.

Male anche l’Eurozona: nel scontro trimestre il Pil destagionalizzato è sceso del 12,1% nell’area euro e dell’11,9% nell’Ue nel suo insieme, rispetto al trimestre precedente, secondo la stima pubblicata da Eurostat. Per l’Italia la stima è di -17,3%, ben peggiore rispetto a quella diffusa da Istat. Nel primo trimestre 2020, il Pil era sceso del 3,6% nell’eurozona e del 3,2% nell’Ue a 27 . Rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, il Pil destagionalizzato è sceso del 15% nell’area euro e del 14,4% nell’Ue nel secondo trimestre 2020. Tra gli Stati membri per i quali sono disponibili i dati, la Spagna (-18,5%) ha registrato il calo maggiore rispetto al trimestre precedente, seguito dal Portogallo (-14,1%) e Francia (-13,8%). La Lituania (-5,1%) ha registrato il calo minore.

Di fronte a questi dati, non si sono fatte attendere le reazioni dalla politica. La capogruppo di Forza Italia alla Camera Mariastella Gelmini parla di “campanello d’allarme per la politica e per il governo. Se è vero che in tutti i Paesi colpiti dal Covid si registrano cali di dimensioni simili, è altrettanto vero che solo in Italia questa flessione va ad innestarsi su un’economia che era già in recessione e in un Paese con un altissimo debito pubblico”. L’ex premier Enrico Letta, invece, parla di una caduta “peggiore” ovunque. “Chi pensa che la crisi sia passata e si possa ricominciare con le vecchie abitudini – scrive su Twitter – straparla, danneggia i propri concittadini e distrugge il paese”. Secondo Confesercenti, il Pil italiano ha registrato “un crollo peggiore delle aspettative, che pregiudica il raggiungimento del pur pesante -8% previsto dal Def per quest’anno, che a questo punto sarebbe un traguardo mantenere. Sicuramente ci sarà un rimbalzo da qui a dicembre ma, visti i numeri, non bisogna dare niente per scontato”. Più ottimista Nomisma, secondo cui “il dato aggregato ci spaventa ma ci racconta una realtà a metà. La metà che non ci racconta è quella positiva. Ci sono comparti che stanno procedendo bene e talune imprese crescono anche in quei settori che in termini aggregati crollano. Vi sono ampie differenze di performance connesse ai comparti, alle dimensioni dell’impresa e al contesto regionale e di filiera nel quale le imprese operano” si legge nel comunicato. “Se da un lato questo dato spaventa, dall’altro c’è una parte economica che sta crescendo e sulla quale dobbiamo edificare le basi per la ripresa del Paese nel suo complesso. Per questo non dobbiamo avere paura”.






Anche la Verità usa i dati manipolati e scrive di un crollo del PIL del 30% annuo

Trump sfida Big Pharma
Andrea Amata
31 luglio 2020

https://www.nicolaporro.it/trump-sfida-big-pharma/


Donald Trump continua a spiazzare i Democratici con provvedimenti popolari che rischiano di provocare una voragine tra il mainstream e i ceti sociali più esposti alla virulenza della crisi, che negli Stati Uniti ha causato 20 milioni di disoccupati e falcidiato la ricchezza nazionale con un decremento veemente di oltre il 30% del Pil. Tuttavia, il 45esimo presidente degli Stati Uniti non è rimasto impotente al clima afflittivo generato dal Covid ed ha reagito emanando 4 ordini esecutivi per calmierare i prezzi dei farmaci. Una battaglia, certamente popolare, contro i Big Pharma e le loro lobby che sono sempre riusciti a disinnescare le iniziative del Congresso americano in funzione dei prezzi farmaceutici più equi.

Contro i colossi dell’industria farmaceutica le precedenti amministrazioni non hanno prodotto riforme per limitarne lo strapotere che si materializza in un cartello oligopolista. In tale cornice i prezzi non li fa il mercato, ma direttamente i produttori che convergono nella massimizzazione dei profitti con effetti di ingiustizia sociale per le categorie più deboli. Trump, durante l’intervento alla firma degli ordini esecutivi sulla riduzione dei prezzi dei farmaci, ha usato toni euforici per descrivere il passaggio memorabile del governo degli Stati Uniti: «Oggi sto intraprendendo un’azione audace e storica, molto significativa per ridurre il prezzo dei farmaci da prescrizione per i pazienti e gli anziani americani».

Non si può disconoscere la portata storica dell’iniziativa di Donald, considerando l’inerzia delle precedenti amministrazioni sul contenimento dei prezzi. Anzi, durante il mandato di Barack Obama i prezzi dei farmaci sono aumentati del 55%, penalizzando le comunità “periferiche” a cui di fatto è precluso l’accesso a cure mediche dispendiose. Il repubblicano Trump ha agito con ordini esecutivi, esprimendo un concreto indirizzo politico orientato ai principi della giustizia sociale. Mentre a sinistra si abusa del concetto, intestandosi un primato teorico, la destra trumpiana ne ha dato una declinazione pratica, scontrandosi con le multinazionali farmaceutiche e assicurando maggiore libertà nell’accesso all’assistenza sanitaria.

La stampa progressista leggerà con il solito pregiudizio i provvedimenti esecutivi di Trump, attribuendogli un valore strumentale, nell’imminenza delle presidenziali, per ghermire il voto della popolazione nera. Così il 2020 potrebbe replicare il canovaccio del 2016 quando l’informazione del politicamente corretto fallì nei suoi pronostici avventati e disprezzanti, che ignorarono i brusii di malessere della profondità sociale americana, rimanendo sconfitti e rintronati da un risultato che ne certificò la divergenza con il Paese reale.




Fmi: Pil globale in calo del 4,9%, Italia -12,8%. Impatto «catastrofico» sull’occupazione e povertà in aumento
La pandemia del Covid lascia cicatrici profonde sull’economia globale, sui conti pubblici e sull’occupazione, che subirà un impatto addirittura «catastrofico». Il Fondo monetario internazionale ha aggiornato le stime di crescita per il 2020 e ora prevede una contrazione del Pil mondiale del 4,9%
di Gianluca Di Donfrancesco
24 giugno 2020

https://www.ilsole24ore.com/art/fmi-pil ... to-ADzSs4Z


Eurozona, prosegue recessione delle imprese ma si smorza a maggio
La pandemia del Covid lascia cicatrici profonde sull’economia globale, sui conti pubblici e sull’occupazione, che subirà un impatto addirittura «catastrofico». Il Fondo monetario internazionale ha aggiornato le stime di crescita per il 2020 e ora prevede una contrazione del Pil mondiale del 4,9%

Una recessione più acuta, seguita da una ripresa più lenta: la pandemia del Covid lascia cicatrici profonde sull’economia globale, sui conti pubblici e sull’occupazione, che subirà un impatto addirittura «catastrofico». Il Fondo monetario internazionale ha aggiornato le stime di crescita per il 2020 e ora prevede una contrazione del Pil mondiale del 4,9% (contro il 3% stimato ad aprile). Le conseguenze sui ceti più deboli, scrive l’Fmi, saranno tali da minacciare i progressi fatti nella lotta alla povertà. Solo la Cina potrebbe riuscire a salvare il segno “più” davanti al Pil.

L’Fmi calcola che tra il 2020 e il 2021, l’economia globale perderà 12.500 miliardi di dollari rispetto alle proiezioni fatte a gennaio, quando per quest’anno si stimava una crescita del 3,3%. È questo il costo il Great Lockdown, come l’Fmi ha ribattezzato la crisi del Covid. Una crisi senza precedenti.



Una crisi senza precedenti

«La pandemia di Covid-19 - si legge nel World economic outlook (Weo) - ha avuto un impatto più negativo del previsto nella prima metà del 2020 e si prevede che la ripresa sarà più graduale». L’anno, prossimo, il Pil globale crescerà del 5,4% (contro il 5,8% previsto ad aprile). Il Pil del 2021 rimarrebbe così di circa 6,5 punti percentuali più basso rispetto alle proiezioni di gennaio 2020, prima del Covid. Il commercio mondiale subirà una contrazione di quasi il 12%.

Nel primo trimestre dell’anno la crisi è stata più grave del previsto, ma l’Fmi si aspetta il peggio nel secondo: tra aprile e maggio la pandemia ha accelerato in molti Paesi, costringendo a misure di clausura più stringenti. L’Fmi ribadisce che l’eventuale seconda ondata di contagi aggraverebbe la recessione, prolungandola al 2021.



Segno più solo per la Cina

In questo scenario, fa eccezione la Cina, che già da aprile ha cominciato a revocare il lockdown e per la quale l’Fmi continua a scommettere su una crescita complessiva nel 2020, anche se ferma all’1%, ai minimi dagli anni 70. Robusta l’accelerazione nel 2021 (oltre l’8%). Al netto dei rischi di seconda ondata. L’Ocse, invece, prevede per la Cina una contrazione del 2,6%.




Fake News dei Media sull’Economia USA! Il PIL non è crollato del 32,9%! Anzi, rimane migliore di quello europeo!
6 agosto 2020

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... o-europeo/

Infranti i sogni degli “euroinomani” che comparano il dato del calo del PIL su base trimestrale dei Paesi dell’Unione al dato annualizzato degli Stati Uniti per far credere a tutti che questi ultimi abbiano subito la recessione economica peggiore. Ma l’economia americana, invece, rimane più forte di quella europea.

La “notizia” è stata data da tutte le principali testate di “prostituzione intellettuale”, sostenendo che l’Italia e gli altri Paesi europei avessero avuto una contrazione del loro Prodotto Interno Lordo mediamente tra il 10% e il 15% circa, mentre gli Stati Uniti registrerebbero un “crollo” del PIL addirittura…. del 32,9%! Una cifra incredibile…

I “trinariciuti” lettori del CorrispondeteUnico® hanno ovviamente ed immediatamente iniziato i caroselli su Twitter e sui vari Social Network esibendo la loro consueta retorica da 140 caratteri diffondendo la strepitosa notizia! “Il cattivone Trump è finito!” – tra l’altro, lo stesso che ha evitato che tutti i Paesi Europei regalassero il loro settore telecomunicazioni al 5G del Cinesi.

Peccato che abbiano sbagliato a paragonare i dati!
Esempio della manipolazione dell’informazione di questa notizia da parte dei Mass Media italiani. Il Sole 24 Ore, che dovrebbe essere il giornale economico del nostro paese, fa un titolo fuorviante e falso, indicando un calo del PIL su base trimestrale del 32,9% salvo poi specificare nell’articolo come si tratti invece del dato annuale

Il -32,9% degli Stati Uniti non si riferisce alla contrazione del PIL su base trimestrale, ma è il suo dato annualizzato! Ovvero è una stima, in questo caso, della contrazione (così come può esserlo anche della crescita) dell’economia supponendo che il “tasso di contrazione” (o di crescita) rimanga invariato per tutti e quattro i trimestri dell’anno di riferimento.

Utilizzando quindi i dati annualizzati delle economie europee, emerge il vero dato con cui confrontare il -32.9% degli Stati Uniti, ovvero un range di dati che va dal -40% della Germania al -55% della Spagna.

Confrontando invece la sola variazione tra i trimestri gli Stati Uniti hanno una contrazione del Pil del 9% circa, inferiore quindi ai numeri dei Paesi Europei.

Possiamo inoltre notare altri segnali positivi dell’economia americana, ad esempio le vendite al dettaglio nel mese di Maggio sono cresciute del 7,5% rispetto al mese precedente e dell’1,1% rispetto all’anno precedente, includendo anche il settore automobilistico.

Per quanto riguarda il settore manifatturiero, il Composite PMI raggiunge soglia 50 che è considerata la soglia minima per l’espansione economica. Anche la produzione industriale è cresciuta negli ultimi due mesi, arrivando ad un +5,4% a Giugno, nonostante registri un -10% rispetto all’anno precedente.

Per quanto riguarda il debito pubblico statunitense, è anch’esso in crescita al pari di tutte le altre economie sviluppate, con un deficit di circa 2 Trilioni di dollari e un Rapporto Debito/PIL del 98,5%, mentre nell’Eurozona il rapporto è mediamente al 103% secondo la Banca Centrale Europea. Anche sul lato monetario la situazione è migliore rispetto che all’Unione, dove la BCE ha un Bilancio che equivale al 53% del PIL mentre la FED è al 33%, il tutto condito da una domanda crescente del dollaro dall’inizio della pandemia.

Questi sono i dati riportati su The Epoch Times da Daniel Lacalle, PhD Economist e Autore affermato… quindi non da una Giovanna Botteri dal CorrispondeteUnico qualunque.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mar ago 04, 2020 12:20 am

Il Presidente Donald J. Trump sfida lo Stato del #Nevada per aver approvato il sistema del voto per corrispondenza (c.d. mail-in voting), minacciando una causa legale.
3 agosto 2020

https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 8291833257

"Con un colpo di stato illegale a tarda notte, il Governatore del Nevada ha reso impossibile ai Repubblicani la conquista dello Stato" ha scritto Trump su Twitter.

“Il Servizio Postale non è mai stato in grado di gestire il traffico dei voti per corrispondenza senza preparazione. Usano il Covid per rubare lo Stato. Ci vediamo in tribunale!”

I Democratici del Nevada avevano tenuto una sessione parlamentare d'emergenza domenica scorsa, approvando un disegno di legge che prevede l'invio a tutti gli elettori registrati del voto per corrispondenza e che permette persino ad altre persone di compilare e consegnare queste schede per conto di anziani e disabili.

Inoltre, la legislazione così proposta bypasserebbe i poteri del Segretario di Stato del Nevada, la repubblicana Barbara Cegavske (R), di sorvegliare le procedure elettorali e lo svolgimento delle elezioni, dando questi poteri al Governatore nel caso egli dichiarasse lo Stato di Emergenza.

La legge, che si annuncia foriera di drammatici cambiamenti nel sistema di voto nello Stato, dovrebbe essere firmata dal governatore del Nevada, Governor Steve Sisolak (D), un democratico. Arriva dopo settimane di polemiche sulla questione del voto per corrispondenza.



Il Presidente degli Stati Uniti e l’importanza delle nomine dei giudici federali – le Corti Distrettuali
Il sistema giudiziario degli USA si basa su un ordinamento giuridico di tipo Common Law. È il presidente degli Stati Uniti a nominare i giudici federali.
Il Presidente degli Stati Uniti e l’importanza delle nomine dei giudici federali – le Corti Distrettuali
Luca Maragna de L’Osservatore Repubblicano
30 giugno 2020

https://www.termometropolitico.com/1570 ... tuali.html

Il sistema giudiziario degli Stati Uniti D’America si basa su un ordinamento giuridico di tipo Common Law, di origine britannica, in cui la decisione nelle controversie giudiziarie si basa principalmente sui precedenti della giurisprudenza, piuttosto che sulle leggi e i codici, come nei sistemi di Civil Law, che derivano dal diritto romano.
Com’è strutturato il sistema giudiziario federale statunitense

Il sistema giudiziario federale statunitense è strutturato su tre gradi di giudizio ed è competente per le cause/controversie che riguardano persone appartenenti a Stati diversi e su materie e questioni federali.

1. Corti distrettuali – 94 distretti, di cui 91 corti distrettuali e 3 corti territoriali;

2. Corti d’appello – 11 circuiti di corti d’appello + il circuito federale + il circuito di Washington D.C.;

3. Corte Suprema




Nell’immagine sottostante la competenza territoriale delle Corti distrettuali e di Appello degli Stati Uniti d’America e di seguito l’elenco delle Corti.




Presidente degli Stati uniti
Fonte: Osservatore Repubblicano

1° Circuito (sede, Boston)

Distretto del Maine
Distretto del Massachusetts
Distretto del New Hampshire
Distretto di Puerto Rico
Distretto del Rhode Island

2° Circuito (sede, New York City)

Distretto del Connecticut
Distretto orientale di New York
Distretto settentrionale di New York
Distretto meridionale di New York
Distretto Occidentale di New York
Distretto del Vermont

3° Circuito (sede, Filadelfia)

Distretto del Delaware
Distretto del New Jersey
Distretto orientale della Pennsylvania
Distretto centrale della Pennsylvania
Distretto occidentale della Pennsylvania
Distretto delle Isole Vergini

4° Circuito (sede, Richmond)

Distretto del Maryland
Distretto orientale della Carolina del Nord
Distretto centrale della Carolina del Nord
Distretto occidentale della Carolina del Nord
Distretto della Carolina del Sud
Distretto orientale della Virginia
Distretto occidentale della Virginia
Distretto settentrionale della Virginia Occidentale
Distretto meridionale della Virginia Occidentale

5° Circuito (sede, New Orleans)

Distretto orientale della Louisiana
Distretto centrale della Louisiana
Distretto occidentale della Louisiana
Distretto settentrionale del Mississippi
Distretto meridionale del Mississippi
Distretto orientale del Texas
Distretto settentrionale del Texas
Distretto meridionale del Texas
Distretto occidentale del Texas

6° Circuito (sede, Cincinnati)

Distretto orientale del Kentucky
Distretto occidentale del Kentucky
Distretto orientale del Michigan
Distretto occidentale del Michigan
Distretto settentrionale dell’Ohio
Distretto meridionale dell’Ohio
Distretto orientale del Tennessee
Distretto centrale del Tennessee
Distretto occidentale del Tennessee

7° Circuito (sede, Chicago)

Distretto centrale dell’Illinois
Distretto settentrionale dell’Illinois
Distretto meridionale dell’Illinois
Distretto settentrionale dell’Indiana
Distretto meridionale dell’Indiana
Distretto orientale del Wisconsin
Distretto occidentale del Wisconsin

8° Circuito (sede, St. Louis)

Distretto orientale dell’Arkansas
Distretto occidentale dell’Arkansas
Distretto settentrionale dello Iowa
Distretto meridionale dello Iowa
Distretto del Minnesota
Distretto orientale del Missouri
Distretto occidentale del Missouri
Distretto del Nebraska
Distretto del Nord Dakota
Distretto del Sud Dakota

9° Circuito (sede, San Francisco)

Distretto dell’Alaska
Distretto dell’Arizona
Distretto centrale della California
Distretto orientale della California
Distretto settentrionale della California
Distretto meridionale della California
Distretto di Guam
Distretto delle Hawaii
Distretto dell’Idaho
Distretto del Montana
Distretto del Nevada
Distretto delle Isole Marianne settentrionali
Distretto dell’Oregon
Distretto orientale di Washington
Distretto occidentale di Washington

10° Circuito (sede, Denver)

Distretto del Colorado
Distretto del Kansas
Distretto del New Mexico
Distretto orientale dell’Oklahoma
Distretto settentrionale dell’Oklahoma
Distretto occidentale dell’Oklahoma
Distretto dello Utah
Distretto del Wyoming

11° Circuito (sede, Atlanta)

Distretto centrale dell’Alabama
Distretto settentrionale dell’Alabama
Distretto meridionale dell’Alabama
Distretto centrale della Florida
Distretto settentrionale della Florida
Distretto meridionale della Florida
Distretto centrale della Georgia
Distretto settentrionale della Georgia
Distretto meridionale della Georgia

Circuito del Distretto di Columbia (sede, Washington DC)

Distretto di Columbia

Circuito Federale

Corte del commercio internazionale
Corte di appello dei reclami dei veterani
Corte dei reclami federali

Il sistema giudiziario e le nomine del Presidente degli Stati Uniti

I giudici delle Corti dei diversi gradi di giudizio sono nominati dal Presidente degli Stati Uniti d’America.

Queste nomine devono però essere ratificate dal Senato, affinché siano valide, e sono “a vita” per i giudici della Corte suprema, delle Corti d’Appello e di quelle distrettuali, tranne per i giudici delle corti territoriali, che durano 10 anni.

È giusto ricordare che una posizione all’interno delle Corti di giustizia (sia d’appello che distrettuale) si rende vacante, e quindi il Presidente può effettuare la nomina, quando un giudice muore o si ritira o assume lo status di “senior”, una specie di pre-pensionamento (ma continua comunque a lavorare).

Le nomine di un Presidente riflettono generalmente i valori e i principi a cui si ispira il partito di provenienza dell’inquilino della Casa Bianca e quindi si avranno giudici “conservatori” o “progressisti liberal” a seconda che il presidente sia repubblicano o democratico.

La prevalenza di giudici conservatori o liberal è fondamentale per quanto riguarda le controversie riguardanti:

La limitazione o meno, del diritto a portare armi (secondo emendamento);
L’inasprimento o meno, delle norme sul diritto d’asilo dei migranti;
La tutela o meno dei diritti civili riguardanti il mondo LGBT;
Il blocco o meno delle norme riguardanti la costruzione del Muro al confine meridionale;
Il blocco o meno delle norme sul bando dei viaggi da paesi islamici
L’inasprimento o meno contro le Città-Contee-Stati santuari che proteggono gli immigrati clandestini dalla deportazione e dall’arresto
La concessione o meno, della possibilità per le donne ad abortire fino al giorno precedente la nascita

Quindi, per fare un esempio sull’impatto enorme che le nomine dei giudici possono avere, le Corti distrettuali, d’appello o una Corte Suprema prevalentemente composta da giudici “liberal” sarebbe un ostacolo enorme per un presidente repubblicano, anche se avesse i due rami del Congresso (Camera e Senato) dalla propria parte.

Basterebbe infatti una “ingiunzione nazionale” (una sentenza) di una Corte per bloccare su tutto il territorio nazionale l’implementazione di scelte politiche, come ad esempio è già successo per il Travel Ban, il Muro, i DACA (ovvero i “dreamers”, cioè illegali che sono arrivati da bambini) etc.

Le scelte dell’Amministrazione Trump sono state molte volte bloccate, temporaneamente, da giudici “liberal” che hanno rallentato l’azione esecutiva.

Di fatto, con le “ingiunzioni nazionali“, una persona non eletta può, a sua discrezione, bloccare l’implementazione delle politiche governative che derivano la sua legittimazione dal mandato elettorale degli elettori, che su quelle politiche si sono espressi. Pertanto, ecco perché le nomine presidenziali dei giudici federali assumo un’importanza enorme.


Un risultato notevole per Trump: una comparativa con i suoi predecessori

Corti d’Appello:

Analizzando le nomine dei giudici delle corti d’appello, il Presidente Donald Trump ha nominato e confermato, grazie alla maggioranza repubblicana al Senato, 53 giudici, riempendo tutte le posizioni vacanti all’interno delle 13 Corti. Un risultato notevole, considerato che sono passati solo 3 anni e mezzo dall’inizio del mandato. Il presidente George W. Bush, in otto anni di mandato (dal 20 gennaio 2001 al 20 gennaio 2009), ha nominato 61 giudici ed il presidente Barack Obama, sempre in otto anni (dal 20 gennaio 2009 al 20 gennaio 2017) ha nominato 55 giudici.

Per un’analisi dettagliata delle corti d’appello leggere l’articolo dell’Osservatore sulle Corti d’Appello al seguente link

Corti Distrettuali:

Per quanto riguarda le Corti Distrettuali, l’analisi ha evidenziato che il Presidente Trump in 3 anni e 5 mesi, ha nominato e confermato dal Senato, 144 giudici nelle corti distrettuali e 1 in una corte territoriale.

Un risultato anche in quest caso notevole in qaunto, Il presidente George W. Bush, in otto anni di mandato (dal 20 gennaio 2001 al 20 gennaio 2009), ha nominato 149 giudici ed il presidente Barack Obama, sempre in otto anni (dal 20 gennaio 2009 al 20 gennaio 2017) ha nominato 269 giudici.

Di seguito, la tabella con la composizione delle Corti Distrettuali alla data di fine giugno 2020 e la distinzione tra giudici conservatori e liberal all’interno di ogni corte (Blu = maggioranza progressista-liberal, Rossa = maggioranza conservatrice, Bianca: nessuna maggioranza/parità):





Fonte: Osservatore Repubblicano

La pianta organica nei 94 distretti giudiziari comprende 684 posizioni di giudici di cui:

4 posizioni riguardano giudici Art. IV con la nomina decennale (corti territoriali di Guam, Isole Marianne Settentrionali e Isole Vergini)
680 riguardano giudici Art. III con la nomina a vita (91 corti distrettuali)

Alla data del 30/06/2020 le posizioni scoperte nei 94 distretti giudiziari erano 71. Il Presidente Donald J. Trump ha nominato e ratificato dal Senato 144 giudici Art. III e 1 giudice Art. IV.

Su 613 giudici attualmente operanti vi sono 320 giudici nominati dai democratici e 293 dai repubblicani.

Su 94 distretti giudiziari, 37 hanno la maggioranza di giudici conservatori, 41 la maggioranza di giudici liberal-progressisti e 16 sono senza nessuna maggioranza (parità di giudici conservatori e liberal).

Ovviamente, bisogna prendere in considerazione anche i giudici con lo status di “senior”, che lavorano ancora, e che quindi giudicano:

I giudici Senior sono 264 di cui 179 nominati dai democratici e 284 nominati dai repubblicani e 1 non nominato.





Fonte: Osservatore Repubblicano

Si rammenta che la maggior parte delle sentenze delle Corti d’Appello avviene tramite la decisione, generalmente di un comitato di almeno 3 giudici (o più se le regole lo prevedono). La maggior parte dei ricorsi davanti alle corti d’appello e le loro decisioni sono definitive, a meno che non si rinvii la causa al tribunale per ulteriori procedimenti, o che le parti chiedano alla Corte Suprema degli Stati Uniti di rivedere il caso. In alcuni casi la decisione può essere riesaminata da un gruppo più ampio di giudici (di solito tutti) della corte d’appello per il circuito e in questo caso i giudici senior non possono far parte del comitato giudicante tranne se non erano presenti nel comitato di 3 giudici che aveva precedentemente gestito il caso.

Per quanto riguarda invece le sentenze delle Corti Distrettuali, queste avvengono tramite la decisione di un giudice unico, anche se in determinati casi è possibile che l’organo giudicante sia composto da 3 giudici.

Con i giudici aventi lo status di “senior”, i conservatori contando anche i giudici ordinari, complessivamente sono 577 (293 giudici ordinari + 284 giudici senior) e i progressisti sono 499.

La maggioranza di giudici senior conservatori (284) rispetto ai progressisti (179) è dovuta al fatto che si tratta di giudici nominati da Bush padre e figlio e, alcuni, ancora da Reagan e che quindi, questi giudici, hanno raggiunto in questi anni l’età pensionabile, e dunque lo status di “senior”.

Bisogna ricordare che, prima della presidenza di George W. Bush nel 2001, ci sono stati otto anni di presidenza democratica, con Bill Clinton, e dal 2009 altri otto anni di presidenza democratica con Obama. Pertanto era fisiologico, considerata l’età anagrafica dei giudici, che, in questi anni, i giudici nominati dai presidenti repubblicani (i due Bush e Reagan) raggiungessero i requisiti del pre-pensionamento (status “senior”), liberando dei posti che venivano coperti dalle nomine effettuate da Obama.

In conclusione, se non ci fosse stata l’elezione di Donald Trump, le corti distrettuali sarebbero diventate decisamente liberal.

Infatti, ipotizzando una vittoria democratica nel 2016, ed una maggioranza al Senato “democratica”, la composizione delle Corti distrettuali, con le 145 nomine come ha effettuato Trump, sarebbe stata la seguente:

Su 94 distretti giudiziari, 79 avrebbero avuto una maggioranza progressista-liberal (invece dei 41 attuali), 10 invece una maggioranza conservatrice (contro i 37 attuali) e 5 senza nessuna maggioranza (a fronte dei 16). Inoltre dal punto di vista delle Corti d’Appello su 13 solo 1 sarebbe stata a maggioranza conservatrice.

Su 613 giudici, 465 sarebbero stati nominati da democratici contro solo 148 nominati dai repubblicani e comprendendo i Senior si avrebbero avuti 644 giudici progressisti contro 432 giudici conservatori.





Fonte: Osservatore Repubblicano

In conclusione, l’elezione di Trump è stata per i democratici, e la loro visione di una società sempre più liberal e progressista, un disastro.

Con le nomine giudiziarie effettuate da Trump e le conferme al Senato a maggioranza repubblicana, guidata da Mitch McConnel, si è garantito, per gli anni a venire, di preservare le idee ed i valori della società conservatrice, mettendola al riparo dagli attacchi dei democratici e della loro volontà di trasformarla in senso sempre più liberal e progressista.





La procura di Manhattan indaga per frode bancaria sull'azienda di Trump. Presidente Usa: "Caccia alle streghe"
Inchiesta di Cyrus Vance Jr. che fece arrestare Dominique Strauss Kahn. A dare la notizia il "New York Times" a 90 giorni dalle presidenziali
di FEDERICO RAMPINI
03 agosto 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 263648369/

A 90 giorni dall’elezione presidenziale, dalla procura di Manhattan trapela la notizia che l’azienda di Donald Trump è sotto indagine per possibili frodi ai danni di banche e assicurazioni. L’annuncio è stato dato in anteprima dal sito del New York Times. A capo della procura di Manhattan c’è un noto magistrato democratico, Cyrus Vance Jr., figlio di un ex segretario di Stato e già sotto i riflettori per l’inchiesta sull’ex direttore del Fondo monetario Dominique Strauss Kahn.

"E' un nuovo capitolo della caccia alle streghe" ha commentato il presidente statunitense in una conferenza stampa.

La notizia a tre mesi dal voto rappresenta un notevole ampliamento delle indagini già in corso per eventuali reati fiscali a carico del gruppo immobiliare e alberghiero, le cui icone sono le Trump Tower presenti in diverse città degli Stati Uniti e del mondo.

Quando Trump divenne presidente, lasciò la direzione dell’azienda ai due figli maschi (Donald, Eric), ma senza mai dissociarsene completamente né abbandonare il suo ruolo di supervisione. Il nome più usato dell’azienda è The Trump Organization, si tratta di una galassia che raggruppa circa 500 società, nessuna delle quali è quotata in Borsa. L’opacità è totale, l’ultima stima (non confermata) le attribuisce un reddito annuo di quasi 700 milioni di dollari.

L’indiscrezione è filtrata quando la procura di Manhattan ha presentato nuovi dossier a sostegno della sua richiesta: vuole poter accedere alle dichiarazioni dei redditi presentate negli ultimi otto anni dall’azienda del presidente. Trump si è sempre rifiutato di consegnare quei documenti: sia le dichiarazioni fiscali dell’azienda sia quelle sui suoi redditi personali, in questo infrangendo una tradizione che durava dai tempi del presidente Richard Nixon.

Il procuratore Vance ha già incassato una vittoria procedurale un mese fa, quando la Corte suprema ha dichiarato legittima la richiesta della procura di Manhattan. Tuttavia per il decorso dell’istruttoria sembra escluso che le dichiarazioni dei redditi possano diventare di pubblico dominio prima dell’elezione. Il nuovo filone dell’istruttoria diretta da Vance dovrebbe appoggiarsi sulle confessioni dell’ex avvocato di Trump, Michael Cohen, secondo il quale il presidente gonfiò il valore delle proprie aziende. In questo caso ci sarebbero gli estremi della truffa ai danni delle banche e altri creditori del gruppo.

Personaggio di primo piano a New York, Vance ebbe un periodo di notorietà mondiale quando fece arrestare Strauss Kahn per le accuse di stupro da parte di una cameriera di albergo. L’indagine stroncò la carriera di colui che all’epoca era considerato un potenziale presidente francese.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » gio ago 06, 2020 7:19 am

Trump firma ordine che protegge i lavoratori americani dalla sostituzione con stranieri.
di Ezia Giovanino
4 agosto 2020

https://www.lavocedelpatriota.it/trump- ... stranieri/

Il Presidente Trump ha firmato nella giornata di ieri un ordine esecutivo per proteggere i posti di lavoro americani dalla manodopera straniera.

Trump è intervenuto per evitare che gli americani siano sostituiti da lavoratori stranieri e manodopera offshore con l’utilizzo di dollari federali.

Il nuovo ordine esecutivo combatte l’uso improprio dei visti H-1B, che troppo spesso sono stati sfruttati per sostituire i lavoratori qualificati statunitensi con quelli stranieri a basso costo. Il presidente Trump sta ordinando a tutte le agenzie federali di concentrarsi sull’assunzione di americani e richiede che solo i cittadini statunitensi siano nominati al servizio del Governo.

La decisione arriva dopo la notizia che la Tennessee Valley Authority (TVA), creata nel 1933 nell’ambito del New Deal del presidente Franklin Roosevelt, ha pianificato di esternalizzare il 20% dei suoi posti di lavoro nel settore tecnologico ad aziende con sede all’estero. Questa azione da sola avrebbe messo a rischio più di 200 posti di lavoro americani.

Ancora peggio, l’esternalizzazione di centinaia di posti di lavoro durante una pandemia globale sarebbe stata particolarmente dannosa per questi lavoratori, le loro famiglie e le loro comunità.

Poi ieri è successo qualcosa di straordinario. Durante la riunione per la firma dell’ordine esecutivo, il presidente Trump è stato informato che il CEO di TVA Jeff Lyash aveva appena chiamato e “aveva indicato una forte volontà di invertire la rotta” del piano di outsourcing.

Grazie all’ordine di ieri, anche altri lavoratori americani saranno protetti in futuro. “Non stiamo solo risolvendo il vostro problema”, ha detto il Vice Presidente Mike Pence ai lavoratori riuniti alla Casa Bianca. “Quello che il Presidente si sta impegnando a fare oggi è porre fine all’abuso del nostro programma di visti per i lavoratori, una volta per tutte”.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom ago 09, 2020 8:48 pm

Obamagate, parla Trump: "Prove scioccanti, presto saranno diffuse"
Roberto Vivaldelli
4 agosto 2020

https://it.insideover.com/politica/obam ... ffuse.html

Donald Trump torna a parlare dell’inchiesta condotta dal Procuratore John Durham sulle origini del Russiagate, che ha l’obiettivo di acclarare se la condotta delle agenzie governative nei confronti della Campagna di Trump alle elezioni presidenziali del 2016 sia stata lecita e appropriata e se c’è stato un effettivo tentativo di “sabotare” l’elezione del tycoon. Come riportano i media americani, martedì sera il Presidente Trump ha dichiarato che il Dipartimento di Giustizia ha scoperto prove “scioccanti” della cattiva condotta delle agenzie nelle indagini sul Russiagate, e si aspetta che tali prove vengano preso rese note. “Hanno usato l’apparato dell’intelligence del nostro Paese per spiare un avversario politico, sia prima, sia dopo le elezioni” ha spiegato Trump in un’intervista rilasciata a Fox News.

Trump: “Prove scioccanti, mi hanno spiato”

Trump ha dichiarato di non voler “essere troppo coinvolto” nell’indagine di Durham, ma si aspetta una conclusione “drammatica” dalle indagini degli investigatori. “Ho sentito che è incredibile quello che hanno trovato. Questo è tutto ciò che posso dire, scioccante. E spero che uscirà presto” ha affermato il presidente. Lo scorso ottobre, l’indagine preliminare del Dipartimento di Giustizia guidata dall’Attorney general William Barr e condotta dal Procuratore John Durham si è “evoluta” in un’indagine penale a tutti gli effetti. Questo significa che i dirigenti e gli ex funzionari dell’Fbi e del Dipartimento di Giustizia eventualmente coinvolti rischiano un’incriminazione. Significa anche che l’indagine preliminare condotta in questi mesi ha portato alla raccolta di prove significative. Durham, a seguito della conclusione delle indagini del procuratore speciale Robert Mueller che ha “sgonfiato” l’ipotesi della “collusione” fra lo staff di Trump e la Russia, è stato incaricato da William Barr di determinare se il Dipartimento di Giustizia, l’Fbi e le autorità dell’intelligence hanno agito in maniera impropria e “cospirato” contro Donald Trump nel 2016.

L’Italia potrebbe essere coinvolta nell’indagine degli investigatori americani. Secondo Fox News, infatti, l’indagine di Durham “si è estesa” sulla base “delle prove raccolte durante i viaggi a Roma con il procuratore generale William Barr”, ossia i due incontri con i vertici dei servizi segreti italiani risalenti al 15 agosto e 27 settembre 2019. Secondo alcuni testimoni chiave, fra cui l’ex advisor della Campagna di Trump George Papadopulos, l’Italia è “il cuore della cospirazione”. Intervistato da InsideOver, Papadopoulos ha spiegato che l’Italia ha un ruolo centrale in questa incredibile spy story. Tant’è che, secondo l’ex advisor di Trump, ci sarebbe il docente maltese Joseph Mifsud al centro dei colloqui romani fra Barr, Durham e i vertici dei nostri servizi segreti.

Il Presidente Usa spiato dall’agosto 2016

I nuovi documenti da poco resi noti dimostrano come l’Fbi abbia “spiato” in maniera impropria l’allora candidato Donald Trump e la sua Campagna sin dall’agosto 2016. Al centro dei memo il briefing datato 17 agosto 2016 fra l’agente dell’Fbi Joseph Pientka, Donald Trump, il governatore del New Jersey Chris Christie e il Generale Michael T. Flynn. Il documento che riassume quell’incontro è stato approvato dall’ex ufficiale del bureau Peter Strzok e dall’ex legale dell’Fbi Kevin Clinesmith. Si tratta di briefing informali che i candidati alla presidenza normalmente fanno con le agenzie governative: in questo caso, però, Trump e la sua quadra non sapevano che l’Fbi aveva appena avviato un’indagine sulla sua Campagna e sulla presunta collusione con il Cremlino.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom ago 09, 2020 8:49 pm

Qual è il programma di Joe Biden per la politica estera Usa
Alberto Bellotto
5 agosto 2020

https://it.insideover.com/politica/elez ... stera.html


La battaglia per la conquista della Casa Bianca è tutta da giocare. Ma i comitati dei due candidati lavorano a pieno regime. Mentre i sondaggi fotografano un’estate complessa per il presidente Donald Trump, dalle parti di Joe Biden si definisce un programma sempre più dettagliato. Uno dei dossier più caldi è quello sulla politica estera. L’ex vice di Barack Obama sta preparando una grossa virata rispetto a quanto fatto dal presidente repubblicano negli ultimi quattro anni.

Il piano di Biden

Una delle cifre distintive della presidenza Trump è stata quella di regolare i rapporti con gli altri Paesi all’insegna dell’American First, cioè un approccio che massimizzasse gli interessi americani anche a discapito degli alleati. Nel corso degli anni Trump ha smantellato poco alla volta il multilateralismo che aveva regolato la politica di Washington fino all’amministrazione Obama, in favore di un’assertività che premiava gli incontri bilaterali e un approccio meno accondiscendente con avversari e alleati.

Come scrive Associated Press l’ex vicepresidente e i collaboratori si preparano a un vero e proprio ribaltone, una retromarcia che smantelli o limiti molte delle azioni più significative di The Donald dal Medio Oriente all’Europa passando per Asia e America Latina. Una restaurazione che coinvolgerebbe commercio, terrorismo, immigrazione, guerre e corsa agli armamenti. Solitamente nel passaggio da un presidente all’altro, anche tra repubblicani e democratici, non c’è mai stata una rottura netta. Pensiamo solo alle guerre in Iraq e Afghanistan che Obama ha ereditato dall’amministrazione di Bush. Non ci sono stati cambiamenti radicali con ritiri repentini. Biden promette invece di agire già dal giorno zero.

Sull’immigrazione con ogni probabilità si arriverà al ritiro del contestato muslim ban e a chiudere la partita sui Dreamers. Sul fronte degli accordi internazionali con ogni probabilità si cercherà di rientrare nell’Organizzazione mondiale della sanità e di riattivare gli accordi sul clima di Parigi. Sul piano militare Biden cercherà di ridare nuove energie alla Nato, con la promessa di riallacciare i rapporti coi leader europei all’insegna del “We’re back”, cioè siamo tornati.

Per capire meglio questo ritorno al periodo obamiano prendiamo in esame i singoli dossier. Per quanto riguarda il cortile di casa, l’America Latina, con ogni probabilità ci sarà una nuova policy sulla gestione dei flussi, magari con modalità di richiesta di asilo meno stringenti. Poi con ogni probabilità verrà anche rivisto il finanziamento per il muro con il Messico e si ripristinati i contatti con Cuba.

Come abbiamo detto nel contesto Europeo ci sarà una sorta di ammorbidimento nel rapporto coi vari alleati nel Vecchio continente, magari con il congelamento della riduzione di truppe in Germania. In Medio Oriente potrebbe esserci un ritorno ad appoggiare l’Autorità palestinese, magari riaprendo le agenzie di supporto per i rifugiati chiuse da Trump, ma soprattutto una ripresa del dialogo con Teheran e un raffreddamento dei rapporti con l’Arabia Saudita, che invece l’amministrazione Trump ha rinforzato. Sul fronte asiatico invece potrebbe esserci un rilassamento dei rapporti con gli alleati storici Corea del Sud e Giappone, spesso criticati dal presidente repubblicano per non spendere abbastanza. Mentre in Africa è quasi certo un maggiore coinvolgimento in chiave anti-cinese.

Gli uomini di Obama al lavoro sui dossier

Per portare avanti questa rivoluzione Biden ha imbarcato nella sua piattaforma diversi consiglieri la cui provenienza ci fa capire quanto la restaurazione dem guardi sia ad Obama che all’establishment che ha guidato il Paese fino al 2016. Tra i nomi che circolano nella campagna dell’ex vicepresidente c’è quello di Jake Sullivan, vice assistente di Obama e direttore della pianificazione al dipartimento di Stato nonché ex collaboratore di Hillary Clinton durante la campagna elettorale del 2016; quello di Nicholas Burns consigliere in politica estera sia del presidente George W. Bush che di Bill Clinton; e quello Tony Blinken, in passato vice segretario di Stato e vice consigliere di Obama per la sicurezza nazionale. A completare il quadro potrebbe anche esserci Susan Rice, in passato ambasciatrice alle Nazioni Unite e consigliera per la sicurezza nazionale dal 2013 al 2017, che potrebbe essere scelta come candidata alla vicepresidenza.

Per capire quanto la politica estera sarà terreno di scontro tra Biden e Trump durante la campagna elettorale basta guardare la complessa infrastruttura che l’enturage del candidato dem ha messo in piedi per elaborare proposte e dossier. Foreign Policy è riuscita a mettere le mani su una lunga lista di nomi a lavoro per Biden fuori dalla macchina della sua campagna elettorale.

Secondo i documenti è stata creata una struttura parallela con oltre 2.000 persone tra consulenti di politica estera e di sicurezza nazionale. Questi sono poi inquadrati in una ventina di gruppi di lavoro che affrontano temi specifici come controllo degli armamenti, la Difesa o l’intelligence. A capo dei gruppi ci sono poi una cinquantina di funzionari quasi tutti con un passato nell’amministrazione di Obama dal dipartimento di Stato a quello della Difesa e dell’Homeland security. Tra tutti i volontari ci sono poi consulenti confluiti da altri candidati alle primarie dem come Elizabeth Warren e Pete Buttigieg.

Questi gruppi inviano poi i risultati del lavoro a una sorta di cerchio magico intorno al candidato dem: tra questi il già citato Jake Sullivan, ma anche Antony Blinken, ufficialmente consigliere per la politica estera del comitato per l’elezione di Biden, ma in passato vide segretario di Stato, Avril Haines ex vide direttrice della Cia tra il 2013 e 2015 e il duo di ex consiglieri per la sicurezza di Biden ai temi della sua vicepresidenza, Julie Smith e Brian McKeon. Questo team filtra poi i contenuti che arrivano sulla scrivania dell’ex senatore del Delaware.

Gli obiettivi dietro a questa grossa struttura non riguardano solo idee elaborate per superare le politiche di Trump, ma anche quella di preparare l terreno per la ricostruzione del National Security Council, un organo con funzioni di consulenza all’interno della Casa Bianca in parte abbandonato da Trump. Alcune voci anonime hanno però sottolineato che questa mole di lavoro non serva solo a produrre proposte, ma a far crede a tutte le anime del partito di essere coinvolte, in particolare la fetta della sinistra che può essere ricondotta a Bernie Sanders.

Non a caso tra i gruppi di lavoro ne sono stati creati due che si occupano di migliorare la presenza di minoranze e donne nelle istituzioni. Temi molto sentiti dalla base del senatore del Vermont. Tra le proposte prodotte dai gruppi di lavoro sono arrivate anche alcune molto care alla sinistra dem: la fine delle guerre, l’abbandono dell’aggressività di Trump contro l’Iran, la fine del sostegno militare e logistico all’Arabia Saudita per la guerra in Yemen. Questa immensa macchina però rischia di incepparsi ancora prima di iniziare il rodaggio.
Perché il piano di Biden potrebbe non funzionare

Più di qualche analista ha passato al setaccio questa “rivoluzione” di Biden. Il punto, hanno sottolineato, è che non ci troviamo più nel 2016 e che l’era Obama è finita così come lo spazio per il multilateralismo. Un ribaltone come quello che i consiglieri stanno disegnando per Biden è molto difficile, sia che lo si osservi dal fronte esterno che dal fronte interno.

Il terreno geopolitico in cui si muove Biden, ha scritto Todd Mariano dell’Eurasia Group, presenta una contrapposizione con le altre potenze come Cina e Russia molto più aggressiva e accesa. Rispolverare il multeralismo potrebbe scontrarsi con le difficoltà di convincere nuovi e vecchi alleati a seguire la guida americana e questo per diverse ragioni tra qui la vasta influenza economica di Pechino.

Il dossier cinese infatti è uno dei temi più complessi per Biden. Nel caso dovesse vincere le elezioni del 3 novembre non sarà semplice elaborare una nuova policy asiatica – e soprattutto cinese – coerente. La volontà di ritornare al multilateralismo farebbe comodo in alcuni dossier come quello climatico o iraniano. Ma l’aggressività di Pechino in vari quadranti, come Taiwan, Hong Kong e Mar Cinese Meridionale, non lascia molto spazio di movimento. È probabile quindi che anche con Biden il contenimento della Repubblica popolare resti al centro dell’azione di Washington, come chiesto anche dal Pentagono in più di un’occasione, ma che si rispolveri il vecchio “Pivot to Asia” di Obama per coinvolgere altri partner nell’area.

Stesso discorso anche per la battaglia tecnologica intorno all’uso dei dati, alla diffusione del 5G e alle violazioni dei diritti umani soprattutto a Hong Kong e Xinjiang. Da ultimo, ma non meno importante, la stessa guerra commerciale non può essere liquidata facilmente. L’idea di tornare a una maggiore liberalizzazione del mercato potrebbe scontrarsi con le nuove correnti interne al Congresso. La difficoltà a portare il trattato trans-pacifico in parlamento durante la presidenza Obama è stato uno dei segnali di una certa resistenza di deputati e senatori a maggiori aperture in tema commerciale.

Questo aspetto ha a che fare anche con il delicato fronte interno. L’America del 2020 è cambiata e la tendenza verso un minor coinvolgimento negli scenari globali va oltre Trump. La richiesta di isolazionismo voluta dai cittadini, scrive ancora Mariano, limiterà le possibilità di intervento di un eventuale presidente Biden. La stessa base di Sanders è già pronta a opporsi a nuovi coinvolgimenti all’estero, soprattutto dopo gli effetti della pandemia. Non a caso il coronavirus resta il pensiero primario dei cittadini che andranno alle urne, al di là di promesse sulla ricostruzione di una leadership globale.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom ago 09, 2020 8:49 pm

Facebook e Twitter hanno rimosso un post del Presidente Donald J. Trump che affermava che i bambini sono praticamente immuni dal virus.
Il motivo è: disinformazione, fake news

6 agosto 2020

https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 6094970810

Altro esempio di pregiudizio politico nei confronti del Presidente Trump, ma le elezioni presidenziali si avvicinano ed è risaputo la posizione politica delle aziende della silicon valley.

Trump nel video rimosso, aveva detto a Fox & Friends che le scuole dovrebbero rimanere aperte.

"La mia opinione è che le scuole dovrebbero essere aperte", ha detto Trump. "Se guardi i bambini, i bambini sono quasi - e direi quasi sicuramente - ma quasi immuni da questa malattia."
Ha aggiunto che i bambini hanno "sistemi immunitari molto più forti" e "semplicemente non hanno un problema".

In sostanza Trump ha detto che i bambini non sono colpiti da questa malattia se non raramente, che non vuol dire che non possono essere contagiati, ma che lo possono essere senza conseguenze tranne in alcuni rari casi.

Infatti l'affermazione è corretta perché analizzando i decessi avvenuti in Italia, ma la medesima situazione avviene in tutto il mondo, l'Istituto Superiore della Sanità ha constatato che l'età media è pari a 80 anni.
La distribuzione dei decessi avviene nelle fasce di età dai 40 in sù e in particolare è concentrata dai 70 anni in sù.
Sotto i 40 anni i decessi sono praticamente inesistenti se non per rari casi.
https://www.epicentro.iss.it/coronaviru ... ssi-italia

Il portavoce della campagna di Trump, Courtney Parella, ha dichiarato a Fox News che il presidente Trump stava "affermando il fatto che i bambini sono meno sensibili al coronavirus".

"Un altro giorno, un'altra dimostrazione del flagrante pregiudizio della Silicon Valley contro questo presidente, dove le regole vengono applicate solo in una direzione", ha aggiunto. "Le società di social media non sono gli arbitri della verità".

Parella ha anche affermato che il portavoce di Twitter che ha segnalato che l'account della Campagna di Trump era sospeso per aver ritwittato il video di Trump, era l'ex segretario stampa della senatrice democratica Kamala Harris.

Le National Academies of Medicine ha riferito che "rispetto agli adulti, i bambini che contraggono il COVID-19 hanno maggiori probabilità di manifestare infezioni asintomatiche o lievi sintomi respiratori superiori", e che oltre il 90% dei bambini risultati positivi avrà sintomi lievi o assenti.

I bambini di età inferiore ai 18 anni rappresentano il 7%, o più di 200.000, dei casi di COVID-19 segnalati, secondo il CDC. Rappresentano anche l'1% dei ricoveri per coronavirus e meno dell'1% dei decessi per coronavirus (come scritto in precedenza citando il caso italiano).


Facebook removes Trump post over coronavirus misinformation rules; Twitter also clamps down
https://www.foxnews.com/politics/facebo ... nformation
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