Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » ven mag 15, 2020 7:59 pm

Che cos'è l'obamagate? e perché c'entra il governo renzi? una ricostruzione punto per punto
Gianluca Borrelli per www.termometropolitico.it

Obamagate: ecco di cosa si tratta


https://m.dagospia.com/che-cos-39-39-ob ... rno-236529


In questi ultimi giorni sta impazzando sui social il tema dell’Obamagate: pochi però sembrano aver compreso cosa stia succedendo esattamente. Questo termine è diventato virale da quando lo ha twittato Trump, ma perché Trump lo ha scritto proprio ora? Cos’è cambiato negli ultimi giorni? E che c’entrano Renzi e l’Italia?

Obamagate: sicuri di aver capito di cosa si tratta?

La notizia degli ultimi giorni è la pubblicazione delle trascrizioni degli interrogatori fatti tra il 2017 e il 2018 dall'“intelligence oversight committee” (sostanzialmente la commissione di controllo dei servizi segreti). In questi atti si fa riferimento a un coinvolgimento diretto di Barack Obama relativamente al caso delle indagini sul generale Michael Flynn in predicato di entrare nella amministrazione Trump in qualità di DNI (Director of National Intelligence).

Questi atti erano secretati e non si era mai riusciti a renderli pubblici per via di molte ostruzioni da parte di alcuni importanti personaggi, qualcuno di essi persino nominato da Trump. In particolare quello che negli ultimi tempi aveva cercato più di tutti di evitare queste pubblicazioni è stato Christopher Wray (repubblicano), capo dell’FBI, nominato nel 2017 da Trump per sostituire James Comey (anche lui repubblicano, che era stato nominato da Obama).


La questione Flynn era legata al tentativo di palesare una collusione tra Trump e la Russia, in modo da dimostrare che le elezioni del 2016 erano viziate e quindi da cancellarne il risultato, come se non fossero mai esistite. In un modo o nell’altro volevano mandare via Trump dalla Casa Bianca. Dimostrare che Flynn era colpevole era un primo passo importante per cercare di dimostrare la colpevolezza di Trump. La scoperta di documenti fino a poco tempo fa tenuti segreti ha ribaltato il tavolo, e ora quello che rischia di più non è Trump ma Obama.

Informazioni da tenere a mente

Ci sono alcune cose molto importanti sul funzionamento della politica americana che molti non sanno, ma che bisogna conoscere per seguire gli eventi che ci accingiamo a raccontare: le elezioni Usa si tengono il primo martedì utile del mese di novembre di ogni anno bisestile. Il primo giorno del mese non è considerato utile quindi le date oscillano dal 2 all’8 novembre. Questo meccanismo funziona dal 1848, senza eccezioni.

Il vincitore viene dichiarato “presidente eletto”, ma non entra in carica fino al 20 gennaio dell’anno seguente, quando si tiene il giuramento. Trump è stato dichiarato presidente eletto il 9 novembre del 2016, ma ha iniziato il suo mandato il 20 gennaio del 2017. Fino a quel momento è rimasto in carica Obama con pieni poteri. Ci sono quindi circa due mesi e mezzo di “interregno”. Questo dettaglio che non tutti conoscono, come vedremo, è fondamentale per lo sviluppo dell’Obamagate, perché i fatti contestati relativamente al caso Flynn sono avvenuti durante questa finestra temporale.


A differenza di quanto si crede il Presidente (anche dopo il giuramento) non è affatto un monarca con pieni poteri. Certo ne ha molti, ma su molte altre cose deve ricevere l’approvazione delle Camere. In particolare lui può nominare chi vuole per una qualsiasi carica del suo gabinetto, ma la cosa deve essere ratificata dal Senato. La Camera (House of Representatives) invece agisce più su questioni di budget che di nomine ed ha altre caratteristiche.

Questo tornerà utile per capire anche perché nel 2018, con le elezioni di “mid-term” (medio termine) Trump si è focalizzato solo sul Senato ignorando quasi del tutto il rinnovo della Camera. È importante sapere che pur avendo formalmente la maggioranza in Senato (51-49, diventati poi 53-47 dal 2019) Trump ha avuto non poche difficoltà a fare approvare i membri del suo gabinetto.

Trump è molto amato dagli elettori repubblicani (oltre il 90% lo approva), non dai politici repubblicani, ai quali, nel 2016, ha tolto la scena in modo completamente inatteso. Il fatto che un personaggio politico si dichiari repubblicano non vuol dire che sia certamente vicino a Trump, anzi. Questo è forse il punto più importante e al tempo stesso il più ignorato dalla stampa italiana. Il partito repubblicano (GOP) pur essendo il partito di Trump era ed è pieno di gente che letteralmente lo odia (never-trumpers).


Dei nemici acerrimi che lui si è creato negli anni, soprattutto durante le primarie repubblicane. Se non si conosce questo fatto non si riesce a comprendere perché ci sia voluto tutto questo tempo per fare emergere questi dettagli, e non si comprende perché Obama abbia rischiato tanto. Evidentemente sapeva di avere le spalle ben coperte anche da alcuni repubblicani che non vedevano l’ora di vedere cadere Trump (senza che la responsabilità fosse attribuita a loro, ovviamente, altrimenti la base elettorale li avrebbe linciati).

Ad uno sguardo esterno superficiale il GOP infatti sembra unito. Invece al suo interno c’è una lotta feroce tra correnti che ricorda un po’ la nostra Democrazia Cristiana. Chi non comprende questo punto essenziale non può capire cosa è successo davvero. Trump non ha lottato solo contro i democratici, gli uomini delle istituzioni nominati dai democratici, contro i media mainstream (CNN, MSNBC, Washington Post, NYTimes). Trump ha lottato soprattutto contro una parte consistente del partito repubblicano che ha cercato in tutti i modi di aiutare i democratici a farlo fuori, cercando di non uscire allo scoperto.

Come si arriva all’Obamagate -- Le “carte” di Granell

Cosa dicevano esattamente quelle carte che Granell ha portato all’Attorney General (qualcosa di simile al nostro ministro della Giustizia) William Barr?

Cosa era stato chiesto in quelle udienze a porte chiuse della commissione sui servizi segreti? Le domande erano tutte a proposito del Russia-gate e della presunta collusione tra Trump e Putin. E che cosa si è scoperto leggendo queste audizioni segrete? Che nessuno dei protagonisti aveva la benché minima prova che Trump avesse avuto contatti con i russi, né lui ne i suoi collaboratori. Per dimostrare la collusione tra Trump e i Russi le indagini si erano concentrate su 4 collaboratori: Papadopoulos, Flynn, Carter Page, Manafort. Il nome in codice di questa operazione era Crossfire Hurricane (nome preso da un documentario sui Rolling Stones).

Alla base di questa operazione, per giustificare l’apertura di queste indagini, oramai è chiaro che c’era solo il deprecato Steele Dossier. Dossier creato da un ex agente segreto britannico, Christopher Steele, su richiesta di una società legale chiamata Fusion GPS, il cui capo si chiama Glenn Simpson (personaggio misterioso e molto difficile da interrogare). Per Fusion GPS lavora anche Nellie Ohr moglie di Bruce Ohr, all’epoca numero 4 dell’FBI, che avrà un ruolo importante per reinserire in circolo il dossier che era stato inizialmente rifiutato dall’FBI.

La Fusion GPS viene pagata 12 milioni di dollari da Hillary Clinton e dal DNC (partito democratico americano) per fare una ricerca (opposition research) contro Trump. Curiosamente la Fusion GPS aveva iniziato questo suo lavoro nel 2015 per mandato del Washington Free Beacon, finanziato da Paul Singer che al tempo stesso ha finanziato la campagna elettorale presidenziale di Jeb Bush e Marco Rubio. Dietro il famigerato Steele Dossier c’erano inizialmente la famiglia Bush e Marco Rubio, rivali di Trump alle primarie repubblicane. Solo in un secondo momento sono subentrati i Clinton, apportando denaro fresco alla causa (i famosi 12 milioni).

Il dossier contiene materiale non verificato a detta dello stesso autore, e proveniente da agenti segreti russi pagati da Steele coi soldi ricevuti da Simpson a sua volti avuti da Hillary Clinton. Se già a questo punto vi chiedete come mai un dossier pagato da un avversario politico (e non verificato) possa essere usato per una indagine segreta dell’FBI e per una campagna di diffamazione a mezzo stampa durata per anni, senza che nessuno si chieda la legittimità di tutto questo, non siete i soli. Glenn Simpson si trova al centro anche di un altro episodio chiave. Il meeting alla Trump Tower


Obamagate: Il meeting alla Trump Tower

A metà del 2016 il figlio di Trump, Don Junior, incontra una avvocatessa russa che promette di avere prove contro la Clinton. Ovviamente era solo un adescamento. Questa avvocatessa di nome Natalia Veselnitskaya cena con Glenn Simpson sia la sera prima che la sera dopo l’incontro alla Trump Tower. Una curiosa coincidenza che fa sospettare l’ennesima trappola. Anche qui ci sarebbe da chiedersi come mai se Hillary Clinton può pagare 12 milioni per fare creare un dossier da agenti segreti inglesi e russi, Don Junior non possa incontrare qualcuno che promette di avere documenti contro la Clinton. Perché se lo fa la Clinton pagando agenti russi si chiama “opposition research” ed è legale, mentre se lo fa il figlio di Donald Trump senza pagare nessuno si chiama collusione e tradimento ed è illegale?

Anche questa è una bella domanda e la risposta è sempre la stessa: dipende dal proprio “colore” politico. Per i nemici le regole si applicano, per gli amici si interpretano. Chi è spettatore esterno e disinteressato può farsene una propria opinione.


Dalle carte de-secretate si capisce che i vari componenti dei dipartimenti di giustizia uscente, DOJ FBI e CIA, scelti da Obama, la mattina venivano interrogati sotto giuramento in sessioni segrete dalla Commissione di controllo dei servizi segreti della Camera e dicevano di non avere prove; la sera andavano in TV sulla CNN e sulla MSNBC a dire che le evidenze erano chiare e inequivocabili contro Trump.

Nessun hackeraggio dai russi

C’è la conferma che nessuna agenzia ha mai verificato che il server di posta del DNC (partito democratico) sia stato hackerato dai russi, perché a nessuna agenzia pubblica è mai stato permesso di metterci le mani sopra. Ad essere incaricata è stata la società privata Crowdstrike (che qualcuno ricorderà perché Trump aveva chiesto aiuto al presidente Ucraino a proposito di questo). Il capo di Crowdstrike si chiama Shaun Henry e lui non ha mai detto di avere le prove che fossero stati i russi. Praticamente non esiste alcuna prova da nessuna parte che le email di John Podesta (che ricordiamo dimostravano come il partito democratico americano avesse truccato le primarie per favorire Hillary Clinton contro Bernie Sanders) siano state hackerate dai russi.

Assange di Wikilieaks, che ha reso pubbliche quelle email, ha sempre negato di averle ricevute dai russi. Più probabilmente si è trattato di un’attività interna. Una perizia che è filtrata stabiliva che il tempo di download era di 87 secondi per 1976MB di dati. È più simile al tempo di trasferimento dati su una chiavetta USB, piuttosto che un hackeraggio trans-oceanico. È più probabile quindi che sia stato un impiegato del partito democratico furioso per il fatto che Bernie Sanders fosse stato trattato in quel modo. Alcune teorie cospirative collegano questo evento alla morte misteriosa di tale Seth Rich.

Obamagate: mentivano tutti

Di sicuro dai documenti ufficiali una cosa si capisce: quando dicevano di essere sicuri che fossero stati i russi mentivano. Tutti.

Uno di quelli che più sosteneva questa tesi sul coinvolgimento dei russi era proprio Adam Schiff, democratico, membro senior del comitato di controllo dei servizi segreti della Camera dei deputati americana. È lui ad interrogare Shaun Henry, ma in TV va a dire qualcos’altro. Messo spalle al muro da Tucker Carlson in un memorabile scontro, accusa Carlson di essere al servizio dei russi e gli dice che Ronald Reagan si starà girando nella tomba guardandolo, per come tradisce gli Stati Uniti in favore della Russia. Guardate bene questo video.

Tucker Carlson è stato il primo, tra i conduttori televisivi più importanti (è da tempo quello con lo share maggiore in prima serata, e nel mese di aprile ha superato in numeri assoluti persino Hannity) a tirare fuori il tutto la sera del venerdì 8 maggio chiedendo le dimissioni di Adam Shiff e accusando pesantemente alla fine del video alcuni esponenti del partito repubblicano a lui particolarmente invisi come Mitch McConnel, Lindsey Graham e Richard Burr (trascurandone curiosamente altri ben più direttamente coinvolti, come poi vedremo).

Subito dopo Tucker Carlson sullo stesso canale ogni sera dal lunedì al venerdì c’è Hannity, che dedica ben due segmenti alla questione. Il primo intervistando Trey Gowdy (repubblicano),

e il secondo nel quale c’è anche Matt Gaetz (repubblicano, ma di una corrente politica molto diversa da quella di Gowdy). Questo secondo segmento è stato poi rimosso dal canale YouTube della Fox. Noi lo abbiamo trovato su un altro canale (dove sarà almeno fino a quando non lo cancelleranno per violazioni del copyright).

https://m.youtube.com/watch?v=O36KjckzCo8


Intorno al minuto 23:30 del video, Matt Gatez dice che lui, Jordan, Nunes e Meadows cercavano di inchiodare i democratici attraverso l’uso delle “subpoena” (citazione in giudizio) ma che Trey Gowdy e Paul Ryan lo hanno impedito. Quest’ultimo in particolare aveva il potere di emettere questi provvedimenti essendo Speaker of the House (equivalente del nostro Presidente della Camera). Verso il minuto 24 si sente Hannity dire: “he made a mistake” (tradotto: ha fatto un errore) cercando di difendere Gowdy che era stato con lui fino a pochi minuti prima.

Diceva Ronald Reagan “mai parlare male in pubblico di un tuo collega repubblicano”.

Trey Gowdy è andato poi anche da Tucker Carlson a spiegare il suo punto di vista ammettendo di aver commesso molti sbagli e di essersi fidato di quello che gli dicevano Rod Rosenstein (anche lui repubblicano, di cui parleremo dopo) e altri, senza andare a leggere i documenti per conto suo. Per uno che è famoso per non aver mai perso una causa in vita sua è davvero difficile credere che non si sia letto i documenti ora noti a tutti grazie a Grenell. Documenti segreti ai quali solo lui Devin Nunes e Adam Schiff avevano completo accesso.

Tornando alle accuse verso l’amministrazione Obama molti sostengono in sostanza che si è trattato di un tentativo fallito di colpo di stato da parte dell’amministrazione Obama, dell’FBI, della CIA, con l’aiuto di alcuni media amici (e col supporto velato di una parte dell’establishment repubblicano), contro Trump.

Obamagate: Colpo di Stato?

A parlare più esplicitamente di colpo di stato (coup d’état) è l’ex giudice Jeanine Pirro.

Chiariamo alcuni altri punti per comprendere meglio l’intera e complessa questione.

Queste interrogazioni sono avvenute quasi tutte quando la maggioranza era repubblicana. In particolare a fare le domande più argute c’era Trey Gowdy (come gli riconosce lo stesso Hannity in uno dei video postati sopra). Egli non è affatto un never-trumper, è un ex militare della South Carolina (quando gli chiedono qualcosa in TV lui risponde “yes sir!” con un atteggiamento da militare di carriera), ha i capelli bianchi non perché sia vecchio ma perché è quasi albino.

Non odia affatto Trump ma era della corrente di Marco Rubio, che odiava e odia Trump come pochi (come dicevamo curiosamente Tucker Carlson non nomina mai Marco Rubio ma si accanisce spesso contro altri senatori). Trey Gowdy fa le domande più argute, capisce tutto sin dall’inizio, e invece di rendere la cosa pubblica sta zitto o fa uscire fuori solo cose che non aiutino troppo Trump e Devin Nunes (grandissimo alleato di Trump). L’ordine che aveva ricevuto era evidentemente quello di non aiutare Trump, e lui non lo aiuta, lasciando Devin Nunes da solo a contrastare Adam Schiff (che nel frattempo andava raccontando in TV di avere delle prove schiaccianti contro Trump). La parola di Nunes contro quella di Schiff.

Trey Gowdy in TV diceva di fidarsi di quello che stava facendo l’FBI e che si fidava ciecamente di Rosenstein, che scopriremo essere un personaggio chiave della cospirazione.

Gli faceva eco lo stesso Marco Rubio, spesso ospite alla CNN, dicendo anche che nel FISA emesso su Carter Page c’erano altre ragioni oltre al deprecato Dossier Steele pagato 12 milioni da Hillary Clinton.

Ma viene subito contraddetto da un altro senatore, che secondo Tucker Carlson è il “barometro del GOP”: Lindsay Graham. Quest’ultimo è una banderuola ed è stato uno di quelli che ha più attaccato Trump all’inizio.

È un “never trumper” della prima ora che poi ha raddrizzato il tiro quando lo ha ritenuto necessario, e lui, che ha letto le carte senza “omissis” sul caso FISA, smentisce Rubio e dà ragione a Devin Nunes e al deputato John Goodlatte. Del caso FISA legato a Carter Page parleremo dopo.

La svolta di Graham

Lindsey Graham che inizialmente era contro Trump inizia a difenderlo: è il segnale che la maggioranza silenziosa del GOP è passata finalmente dalla parte di Trump. La corrente di Graham può essere paragonata in qualche modo a quella dei Dorotei di democristiana memoria. Da questo momento gli equilibri si spostano. Paul Ryan, speaker della Camera annuncia che non si candiderà più, e con lui nemmeno Trey Gowdy. Marco Rubio inizierà a parlare quasi solo di politica estera e non entrerà più in conflitto diretto con Trump. A differenza di Ted Cruz, anche lui acerrimo rivale di Trump durante le primarie del 2016, ma fedelissimo alleato dopo (al punto da implorare quasi Trump per fare un comizio con lui in Texas per aiutarlo a confermarsi nella carica di senatore nel 2018), Marco Rubio non ha mai fatto pace con Trump. Tuttora i due sembrano quasi evitarsi a vicenda.

Può essere interessante notare che Gowdy non si è ripresentato alle elezioni di mid-term del 2018 pur essendo uno dei deputati uscenti più importanti nella legislatura, ora fa il “contributor” (collaboratore esterno) della Fox News. Il suo era un collegio di quelli sicuri, il suo ritiro, pur essendo giovane, e considerato molto in gamba, è molto indicativo.


Tornando alle “carte” di Grenell

I documenti segreti sono stati resi pubblici grazie a Richard Grenell: ambasciatore USA in Germania (e, incidentalmente, unico gay dichiarato della amministrazione Trump). È stato nominato da Trump come direttore nazionale dell’intelligence (DNI) ad interim, dopo le dimissioni di Joseph Maguire, che aveva sostituito Dan Coats (repubblicano, che Trump ha identificato come “never-trumper” troppo tardi). In realtà Trump voleva nominare John Ratcliffe, deputato texano vicino a Jim Jordan, ma una quindicina di senatori repubblicani (probabilmente legati alla famiglia Bush, al senatore Marco Rubio, più altri che odiavano Trump per altri motivi come Mitt Romney) gli hanno fatto capire che avrebbero votato contro negandogli la fiducia. Quando c’è uno stallo politico dopo delle dimissioni, per non lasciare il posto vacante, sale ad interim il secondo in comando che in quel caso era Maguire (altro never-trumper ma più guardingo).

Il secondo in comando pero non può restare in quel ruolo troppo a lungo senza essere ratificato dal Senato e quindi dopo un certo numero di mesi decade, lasciando di nuovo il posto libero per un altro interim. Scaduto il tempo di Maguire questa volta Trump nomina Grenell, in attesa di poter fare passare finalmente John Ratcliffe. La prima cosa che fa Grenell è inserire nel suo team Kash Patel, che aveva già lavorato con Devin Nunes.

Grenell, sorprende tutti, non guarda in faccia a nessuno, prende questi documenti segreti e li rende pubblici, forzando la mano all’attuale direttore FBI Christopher Wray (rimasto oramai quasi l’unico nemico interno visto che quasi tutti gli altri sono stati scoperti e sostituiti). Wray è considerato ostile a Trump alla stregua di Rosenstein da molti commentatori.

I documenti desecretati da Grenell, dicono tra l’altro che il 4 gennaio del 2017 -- durante il periodo di transizione tra l’amministrazione uscente e quella subentrante -- gli agenti dell’FBI (tra i quali persino lo zelota anti-Trump Peter Stzrok, di cui parleremo dopo) dichiarano il caso Flynn sostanzialmente chiuso e Flynn innocente. A quel punto al 7 piano (dove risiede Comey, capo dell’FBI) si manda il chiaro ordine di tenere tutto aperto e di cambiare il verdetto. Il giorno dopo Obama chiama a sé tutti i suoi (Clapper, Brennan, Comey, Stzrok, McCabe, Sally Yeats e ovviamente anche Joe Biden) per organizzare quello che a destra definiscono l’agguato al generale Flynn. Nelle riunioni che si susseguono e che sono documentate nelle carte Obama chiede a tutti come procedono le ricerche per incastrare Flynn, col quale lui aveva avuto pesanti screzi nel 2014.

Che cosa aveva fatto Flynn?

Di che cosa è accusato Flynn? Di aver parlato con Sergey Kislyack, ambasciatore russo, pochi giorni prima. Loro lo sapevano perché lo stavano intercettando (anche lui con un ordine FISA che non trovava giustificazioni). Nelle telefonate i due non si dicono niente di strano, infatti nessuno contesta il contenuto in sé la telefonata. Va anche detto che Flynn in quei primi giorni di gennaio, sapendo di dover diventare DNI (ruolo poi preso da Coatts e ora di Grenell ad interim) parla con ambasciatori di mezzo mondo. Nelle note raccolte dall’FBI gli ordini erano precisi: confonderlo in modo che si potesse dire che aveva mentito per fare si che non diventasse DNI o che si dimettesse quanto prima e possibilmente che finisse sotto processo.

Agenti dell’FBI lo approcciano senza avvisarlo che lo stanno interrogando; nei film di solito c’è la frase “hai il diritto di restare in silenzio, quello che dici potrà essere usato contro di te”. In quel caso invece gli dicono che non c’è bisogno che ci sia un avvocato, quindi di fatto lo ingannano. Gli chiedono se ha parlato con l’ambasciatore Kislyak, lui risponde che non si ricorda, aveva parlato con tanta gente, loro registrano tutto di nascosto. Gli agenti vanno dal vice presidente Mike Pence e gli dicono che Flynn gli ha mentito perché non gli ha detto che aveva parlato con Kislyak facendo intendere che ci fosse una trama con la Russia. Pence interviene e chiede che si dimetta quanto prima.

Gli agenti questa volta prendono Flynn e gli dicono “avevi detto che non avevi parlato con Kislyak e invece abbiamo le prove della registrazione della vostra telefonata, confessa!”. Lui non ricordandosi cosa aveva detto e intimorito (pare che abbiano minacciato anche di fare arrestare suo figlio se non avesse confessato) e senza poter nemmeno parlare con un avvocato confessa di aver mentito sul fatto che avesse parlato con Kislyak.

Come altra prova a favore di Flynn c’è il fatto che dopo il primo interrogatorio a tradimento gli agenti hanno riportato che lui non aveva mentito, infatti lui semplicemente non ricordava e non si sentiva sotto interrogatorio. Gli ordini dall’alto hanno imposto di cambiare questo verdetto e di cercare di incastrarlo.

A questo punto a chiunque si chiedesse ma che male c’era a parlare con un ambasciatore di un Paese straniero la risposta è semplice: assolutamente niente. È una strategia di intimidazione vecchia quanto il maccartismo: una cosa che in America si era già vista. La prova più evidente di questo è che Flynn è accusato di aver mentito all’FBI, non di aver complottato con la Russia. Altra cosa che va precisata: c’è una legge che prevede che quando un cittadino mente all’FBI è passibile di condanna penale, anche se non è sotto giuramento. Per completare l’informazione va detto che era stato Kislyak a chiamare Flynn (come molti altri ambasciatori del resto) con la scusa di congratularsi della nomina, e che di seguito ci fossero state altre telefonate il 29 dicembre 2016 a seguito delle sanzioni imposte da Obama contro la Russia che avevano portato alla espulsione di 35 russi.

Insomma Flynn aveva la colpa di aver risposto alle telefonate dell’ambasciatore russo in America. Questo dà la misura del clima di isteria collettiva generato dai media contrari a Trump: quasi nessuno alza il dito per dire che è una caccia alle streghe e chi lo fa viene accusato di essere un traditore e un agente russo (abbiamo visto come Adam Schiff in diretta accusi Tucker Carlson proprio di questo). Altrettanto stranamente nessuno si è mai sognato di accusare Obama di complottare coi russi malgrado fosse stato colto a parlare di nascosto con Medvedev di “maggiore flessibilità” dopo la sua rielezione. Anche qui sembra esserci una doppia morale, avranno pensato omnia munda mundis…

Che questo processo a Flynn fosse una montatura se ne era già accorto qualcuno nel febbraio 2018. Non troppo stranamente, invece, nessuno in Italia aveva mai sentito parlare di articoli come questo. Qui arrivano solo mere traduzioni di servizi della CNN, del Washington Post, e del NY Times. Senza nessuna vera analisi.

Obama rompe il silenzio

Interessante notare che Obama ha poi detto in pubblico che riteneva uno scandalo che fosse assolto uno spergiuro, ma come qualcuno (Johnatan Turley, giurista democratico) gli ha fatto notare Flynn non aveva parlato sotto giuramento, e poi lo stesso Obama aveva fatto graziare l’ex senatore Ted Stevens (dell’Alaska) proprio in circostanze simili, tra l’altro per un processo proprio di fronte allo stesso giudice Sullivan. Memoria corta?

Il caso dell’Unmasking

C’è un altro problema legato alla questione Flynn, e questo sarà probabilmente il fatto per il quale qualcuno dell’amministrazione Obama, rischia davvero la galera: l’Unmasking (il disvelamento). In pratica nel gennaio 2017 qualcuno della amministrazione Obama ha tolto il segreto sul nome di Flynn quando l’indagine era appena iniziata, ed ha fatto trapelare (leaking) tutta la storia, nome dell’accusato compreso, alla stampa.

In particolare fu comunicato tutto a David Ignatius del Washinton Post. Secondo il racconto di Adam Entous nella redazione del WaPo erano divisi sul se pubblicare o no questa storia. Per una cosa del genere si rischiano fino a 10 anni di carcere. Fino a qualche giorno fa si credeva che fosse stata Sally Yates, ma dai documenti de-secretati sembra invece che lei ne fosse all’oscuro, come di molte altre cose (cosa molto strana per un Attorney General, ma come abbiamo visto anche Jeff Sessions, suo successore, venne ignorato completamente). Chi è stato quindi a fare Unmasking+Leaking?

Grenell ha appena dichiarato che sta dando a William Barr la risposta a questa domanda. Chiunque sia questa persona rischia più di ogni altra di finire dietro le sbarre. Si tratta di un crimine grave perché compromette le indagini in modo pesante. Se si vuole fare condannare qualcuno in tribunale è un errore gravissimo. Se lo si vuole fare condannare dalla pubblica piazza fomentata dalla stampa allora è un altro discorso, ma resta un crimine, e in questo modo si dimostra che non si sta cercando giustizia ma un linciaggio mediatico. La cosa più interessante che è venuta fuori è che le richieste di unmasking sarebbero venute da decine di membri della amministrazione Obama, compreso Joe Biden.

Ma la cosa più sorprendente sembra essere che un gran numero di esse sarebbe stata richiesta da Samantha Power, ambasciatrice all’ONU ai tempi di Obama. Sarebbe da chiedersi per quale motivo la Power, che si occupava di tutt’altro, fosse così interessata a Flynn. La cosa si fa ancora più misteriosa quando si capisce che la Power, sotto giuramento, sostiene di non ricordare nessuna di queste richieste. In totale ci sono decine di richieste di unmasking contro Flynn, apparentemente chieste da 39 persone diverse a poche ore una dall’altra. Il sospetto a questo punto è che qualcuno le abbia attribuite a persone ignare per poter reiterare le richieste senza destare troppi sospetti o per depistare qualsiasi indagine.

Riassumendo: secondo le accuse dei repubblicani Obama ha dato l’ordine diretto di incastrare un generale a 3 stelle (Flynn) in predicato di diventare DNI, per odio personale e perché altrimenti avrebbe scoperto tutto quello che era successo nei mesi precedenti contro di lui e i gli altri 3 personaggi citati (operazione Crossfire Hurricane).

Una volta fatto fuori Flynn, hanno messo fuori gioco Jeff Sessions, accusando anche lui di aver parlato mesi prima con Kislyak in un evento pubblico dove c’erano decine di ambasciatori quando era senatore (anche a lui chiedono se avesse parlato in passato con questo ambasciatore Kislyak e lui non ricordava). Va detto che Sessions è evidentemente affetto da demenza senile. Chi lo ascolta, anche se non conosce l’inglese, capisce che è ormai non è più tanto sveglio, nella migliore delle ipotesi. Trump lo aveva messo lì per riconoscenza, visto che era stato il primo senatore repubblicano ad appoggiarlo quando tutto il resto del partito era contro di lui. Sessions quindi ricusa sé stesso, ma non si dimette, e mette come suo secondo in comando Rod Rosenstein. Quest’ultimo di fatto diventa per due anni il vero Attorney General.

Nominalmente era Jeff Sessions ma di fatto era Rosenstein. Anche lui repubblicano si scopre essere uno dei più feroci “never-trumper”. Cerca di trovare sponda nella amministrazione Trump per farlo esautorare con il 25esimo emendamento della costituzione (quando un presidente non è più considerato in grado di intendere e di volere).

Fallisce il piano di Rosenstein

Ma Mike Pence resta fedele a Trump e siccome la firma del vicepresidente era imprescindibile per cacciare Trump, il piano fallisce. Fallito il piano, Rosenstein negherà di averlo anche solo pensato e si dedicherà a portare avanti il lavoro che aveva iniziato l’amministrazione Obama rinnovando le richieste FISA contro i 4 target della amministrazione Obama ancora una volta (il Crossfire Hurricane). Successivamente nomina lo Special Counsel capeggiato da Robert Mueller (anche lui repubblicano, che aveva servito sia sotto Bush figlio che sotto Obama), dandogli uno scopo di ricerca molto ampio, al punto che fanno condannare Manafort per delle frodi fiscali risalenti a 12 anni prima.

Ah, incidentalmente Manafort era già stato accusato nel 2008 di frode fiscale relativamente al periodo intorno al 2006, ma il prosecutor (pubblico ministero) che aveva indagato su di lui a quel tempo aveva deciso che era innocente. Chi era quel prosecutor? Si chiamava Rod Rosenstein e non è un omonimo.

È la stessa persona che 10 anni prima lo aveva assolto (potremmo dire graziato) e ora lo condannava per lo stesso crimine, nel tentativo di estorcergli qualche testimonianza per fare fuori Trump.

Manafort però non ha alcuna prova contro Trump. Gli viene chiesto di testimoniare contro Trump. Sarebbe la sua parola contro quella di Trump, per i media basterebbe per fare abbassare il consenso degli elettori repubblicani verso Trump, ma Manafort non cede e lo condannano a 7 anni e mezzo di carcere. Trump potrebbe emettere il perdono presidenziale ma se lo facesse i sondaggi lo vedrebbero quasi certamente scendere. Con ogni probabilità lo farà scarcerare il 4 novembre, a urne chiuse.

10 anni prima Rosenstein e Manafort erano dalla stessa parte. Manafort è sempre stato considerato molto vicino alla famiglia Bush. Questi ultimi odiano Trump in modo particolare, G.W. Bush ha dichiarato pubblicamente di non avrebbe votato per Trump (facendo capire che avrebbe votato per Hillary) pur essendo anche lui ovviamente repubblicano. Il ruolo di Manafort è stato importantissimo nella primavera del 2016 per fare scattare la nomination di Trump. Manafort ha infatti convinto moltissimi super-delegati repubblicani (delegati non eletti durante le primarie, ma per meriti speciali) a passare con Trump (fino a quel momento erano pochissimi) facendogli scattare la soglia della nomination con largo anticipo. Coi soli delegati eletti sarebbe stato matematicamente impossibile.

Manafort era conosciuto per questa estrema capacità di fare lobby e di fatto consegnò la nomination definitivamente nelle mani di Trump. Inutile dire che i Bush e il vecchio establishment videro la cosa come un tradimento. La sentenza per mano di Rosenstein era anche una sorta di vendetta per aver contribuito a fare vincere Trump. Rosenstein sapeva benissimo cosa aveva commesso Manafort in quegli anni essendo stato proprio lui a graziarlo anni prima facendo finta di non vedere. E quindi sapeva come fargli pagare il tradimento verso i Bush. Ovviamente una storia di tasse del 2006 non poteva essere usata per corroborare la narrativa di collusione con la Russia, ma a questo punto non importava più a nessuno.

Uno dei più grossi nemici di Rosenstein era Jim Jordan che lo accusava apertamente in pubblico:

C’era un odio palese tra i due. Ad un certo punto Jim Jordan viene accusato da alcuni suoi ex colleghi di essere stato a conoscenza e di aver taciuto a proposito di un episodio di abusi sessuali in palestra nei primi anni 90. Non sorprenderà nessuno sapere che queste persone che tutto a un tratto accusavano Jordan avevano scelto tutte la stessa agenzia legale: ancora la famigerata Fusion GPS. Le accuse saranno poi tutte ritirate poco dopo.

Obamagate e Italia -- Cosa c’entra Renzi?

Dall’Obamagate all’Italia -- Il caso Italia-Renzi riguarda il caso Papadopoulos (il quale tra l’altro in quel periodo si è sposato con una italiana: Simona Mangiante). Questi era stato adescato nella primavera del 2016 da un professore, tale Mifsud (accademico maltese), il quale aveva fatto credere a Papadopuolos di poter avere informazioni sulle email cancellate della Clinton. L’accusa mossa dal dipartimento di giustizia, che all’epoca era quello di Obama, era che Papadopoulos tramite Mifsud avesse contattato i russi in quanto quest’ultimo appunto sarebbe stato un agente russo.

Il problema è che Mifsud non era un agente vicino ai russi, lui prendeva ordini dai servizi segreti occidentali, quindi era un agente della CIA. Chiaro segno che Papadopoulos era stato adescato per essere poi accusato ingiustamente. Lo scopo era quello di trovare pretesti per dire che gli associati di Trump erano in contatto con i russi e uno di questi tramiti sarebbe stato proprio Mifsud.

Peccato che, come abbiamo detto Mifsud fosse un agente dell’occidente e non avesse alcun contatto coi russi. Papadopoulos era visto come un anello debole, infatti gli mandarono anche Stephan Halper, un vecchio agente CIA molto legato alla famiglia Bush per cercare di fargli fare qualche sciocchezza per poi poterlo accusare, ma Papadopoulos rispose bene. Tanto che le sue risposte vennero poi nascoste nel rapporto in quanto sarebbero apparse come prove a sua discolpa.

Riescono a fare condannare Papadopuolos con la stessa accusa fatta a Flynn: di aver mentito all’FBI (non sotto giuramento ma durante un interrogatorio normale). Lo incastrano per aver fornito una data scorretta di una o due settimane mentre ricostruiva tutti i suoi movimenti (che loro sorvegliavano da tempo) e appena lui sbaglia a riferire una data gli mettono le manette ai polsi. Il giudice che lo ha giudicato ha tenuto a precisare, nella sentenza, che considerava l’evento davvero di pochissimo valore e pertanto gli dava il minimo possibile, 14 giorni di reclusione. Nella sentenza viene detto anche che questo non ha niente a che vedere con la Russia, esattamente come era successo con il caso Manafort.

Ok tutto chiaro, ma cosa c’entrava Renzi? Quasi nulla in realtà, semplicemente i servizi segreti italiani si sarebbero messi a disposizione dell’amministrazione Obama per aiutare Mifsud e gli altri attori della CIA e dell’FBI a circuire Papadopoulos.

L’Italia ha dato supporto a questa operazione. Ma davvero avrebbe potuto fare diversamente? Quando poi nell’estate del 2019 William Barr, attuale Attorney General (successore di Jeff Sessions) ha chiesto dei documenti al governo Conte, nel periodo di transizione tra Conte 1 e Conte 2, gli hanno dato tutto, persino il BlackBerry di Mifsud dove certamente c’erano prove del coinvolgimento degli agenti di CIA e FBI nella cospirazione contro Trump. Le prove sono state consegnate allo “special prosecutor” John Durham, il quale dopo l’acquisizione di queste prove ha fatto cambiare lo scopo dell’indagine, da conoscitiva a criminale.

Questo vuol dire che forse alcuni di questi protagonisti durante l’era Obama finiranno alla sbarra col rischio di venire condannati per cospirazione contro il candidato Trump e successivamente contro il presidente eletto Trump.

Obamagate: cospiratori alla sbarra

Se questo scenario si materializzasse sarebbe uno scandalo senza precedenti e Obama stesso rischierebbe moltissimo, non certo la galera (magari qualcuno dei suoi si ma lui no) quanto piuttosto vedere passare alla storia la sua amministrazione come forse una delle peggiori di sempre. Ecco cosa è l’Obamagate.

Ovviamente in tutto questo Renzi non rischia praticamente nulla ed è stato chiamato in causa a sproposito.

Per concludere la carrellata dei bersagli dell’FBI targata Obama/never-trumpers resta Carter Page che viene chiamato in causa per primo e solo per il “FISA abuse”. Come abbiamo visto si è poi scoperto che non era solo lui ad aver subito questo trattamento ma che erano in 4 (Crossfire Hurricane). Era stato messo sotto sorveglianza durante il periodo 2016-2017 senza che ci fosse una reale giustificazione.

Il rapporto Horowitz (nominato da Obama come Ispettore Generale e mantenuto in quel ruolo da Trump) mostrerà poi che erano stati commessi 17 abusi, uno dei quali commesso da tale Clinesmith dell’FBI, che lavorava sotto Peter Stzrok. Quest’ultimo passerà alla storia per i messaggi cospiratori scambiati con la sua collega ed amante Lisa Page, nei quali mostravano terrore verso l’ipotesi che Trump potesse vincere e si immaginavano come baluardi che avrebbero impedito in ogni modo che questo accadesse.

E se pure Trump avesse vinto le elezioni lui aveva una “insurance policy” (un asso nella manica) per risolvere comunque il problema. Parole inquietanti soprattutto se dette da quello che nei fatti era il numero 2 dell’FBI. Durante l’audizione alla Camera, sotto giuramento ha detto che “noi” intendeva “noi cittadini americani, col nostro voto”. Sta al giudizio del lettore farsi una propria opinione in merito.

Tornando a Clinesmith questi avrebbe modificato la mail ricevuta dalla CIA nella quale si diceva che Carter Page era un loro collaboratore affidabile, invertendo il significato della comunicazione, per poi inoltrarla al Tribunale del FISA (che autorizza lo spionaggio dei cittadini americani). Potrebbe sembrare una sciocchezza, in fondo chi è questo Carter Page? Un collaboratore marginale di Trump, quindi che segreti avrebbe mai potuto rivelare? Lui nessuno. Peccato che quando si autorizza l’intercettazione di un cittadino americano si autorizza automaticamente l’intercettazione di TUTTI quelli coi quali entra in contatto, quindi anche Trump…

Insomma chiedere l’autorizzazione FISA su Carter Page significava di fatto chiedere l’autorizzazione a intercettare Trump e tutto il suo staff. Tutto questo avveniva nel 2016 prima delle elezioni, prima che Trump vincesse, ed è continuato fino a metà 2017, quando era già presidente, con la firma finale di Rod Rosenstein. In pratica spiando Carter Page l’FBI spiava il proprio presidente (cosa non proprio nuova a dire il vero).

A questi quattro si è aggiunto successivamente come bersaglio Roger Stone, vecchio consigliere di Trump, reo -- a detta di chi lo accusava -- di aver cercato di ottenere informazioni sulle solite 33000 email che la Clinton aveva cancellato dal suo server privato (e che lei diceva che parlavano solo delle lezioni di yoga e poco altro), ma questa è un’altra storia.

Se vogliamo ricapitolare su come abbia fatto Trump a salvarsi con tutti questi nemici possiamo provare a elencare chi gli è stato leale e ha impedito che le cose andassero peggio:

Michael Rogers, capo della NSA (National Security Agency) nominato da Obama, scopre i primi tentativi di abuso delle intercettazioni e riesce inizialmente a bloccarli. Nella audizione pubblica negherà che il conteggio dei voti negli stati chiave sia stato alterato da qualcuno per favorire Trump. Nel video che segue Joe Di Genova spiega perché:

Mike Pence: viene invitato da Rosenstein a tradire Trump sostituendolo sulla base del 25esimo emendamento, diventando lui presidente al posto di Trump, ma si rifiuta.

Devin Nunes: racconta prima di tutti quello che viene fuori dalle interrogazioni relative ai FISA abuse subendo critiche feroci da tutte le parti. Aveva ragione su tutto. Ci sono voci secondo le quali il ruolo di Kash Patel sarebbe stato determinante per portare a termine il “Nunes memo”

Jim Jordan: protagonista di un momento chiave dell’impeachment. Sondland parla di “quid pro quo” di Trump e Jordan lo smonta con un controinterrogatorio degno del finale di un film

William Barr: era Attorney General anche con Bush padre (quasi 30 anni fa), considerato fedele ai Bush viene approvato senza problemi dal Senato per sostituire Jeff Sessions. Si dimostrerà l’alleato più forte che Trump avrebbe potuto desiderare.

Richard Grenell: viene mandato per sostituire Maguire in attesa della conferma di Ratcliffe e in pochi giorni sbanca tutto svelando tutto il materiale secretato da esponenti del suo stesso partito.

Mark Meadows: Unico dei 4 cavalieri dell’Apocalisse di Trump che non avevamo ancora citato. Ha abbandonato il seggio alla Camera dei deputati per dirigere lo staff della Casa Bianca, in pochi giorni ha stanato “Anonymous” che aveva pubblicato editoriali sul NYTimes e scritto un libro contro Trump rivelando dettagli dall’interno della Casa Bianca. Si trattava di Victoria Coates, ora mandata da Meadows a pettinare la sabbia dell’Arabia Saudita. Qui tutta la storia

I 4 cavalieri dell’Apocalisse trumpiana

Adam Schiff ha coniato questo termine per i 4 suoi avversari più fastidiosi, appunto, i 4 cavalieri dell’apocalisse “trumpiana”:

jim jordan jim jordan

Devin Nunes – cavaliere della morte
Jim Jordan – cavaliere della guerra
Trey Gowdy – cavaliere della carestia
Mark Meadows – cavaliere della pestilenza

Possiamo tranquillamente sostituire Gowdy con Matt Gaetz e il quadro è perfetto.

Come sono divisi i blocchi del partito repubblicano americano (GOP)?

Guardando i voti espressi nelle camere possiamo dire che i trumpiani duri e puri sono circa il 25%, poi c’è il ventre molle della vacca, quelli che prima abbiamo definito “Dorotei” che hanno circa il 50% degli eletti, e infine c’è circa il 25% di deputati più vicini alla alleanza Bush-Rubio. Questi ultimi sono praticamente sovrapponibili, come politica estera, ai centristi democratici come Hillary Clinton. I leader di Camera e senato del GOP sono Kevin McCarthy e Mitch McConnell e appartengono al ventre molle del GOP. In questo momento, grazie al fatto che il consenso verso Trump della base elettorale repubblicana è sopra il 90% sono in stretta alleanza con il gruppo dei trumpiani. Per definizione stessa del gruppo, i trumpiani sono quelli che sono politicamente vicini a Jim Jordan, leader indiscusso della corrente e molto molto amato dalla base elettorale. Per molti il vero successore di Trump.

Al momento sembra reggere il patto Jordan-McCarthy-Graham-McConnell-Trump. L’altro 25% per ora si mimetizza col resto del ventre molle della vacca, ed esce fuori solo a Senato per mettere veti a qualche nomina a loro sgradita. Così sarà probabilmente fino a novembre, poi si vedrà.

Come ultimo dettaglio aggiungiamo la storia con la quale Adam Schiff viene ingannato da dei comici russi che gli fanno credere di avere foto di Trump nudo. Impressionante è l’ipocrisia con la quale egli aveva condannato Don Jr Trump per aver fatto la stessa identica cosa.

Lui ci casca al punto da fare mandare dal suo staff una email chiedendo di ottenere quel materiale compromettente, per poi essere deriso.

Nota dell’autore: tutti questi fatti sono stati raccontati sulla base di articoli pubblicati dalle più prestigiose testate sia di destra che di sinistra. Ci sono link ad articoli del NY Times, del Washington Post, della Associated Press, video della Fox News e della CNN e di moltissime altre testate giornalistiche. Questa versione dei fatti aderisce alle ricostruzioni fatte da grandi giornalisti di inchiesta, sia di destra che di sinistra, come John Solomon e Glenn Greenwald (premio Pulitzer). Molte cose ancora mancano, come il caso delle email di Hillary Clinton, ma di questo ve ne parleremo in un’altra puntata.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:21 am

Così l'ex capo della Cia Brennan ha occultato la verità sul Russiagate
Roberto Vivaldelli
15 maggio 2020

https://it.insideover.com/politica/cosi ... agate.html

L’ex capo della Cia John Brennan e acerrimo nemico del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, secondo alcuni documenti recentemente declassificati dal capo dell’intelligence Richard Grenell, avrebbe “occultato” alcune informazioni essenziali sulle presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. Lo scopo era quello di alimentare la narrativa della collusione fra la Campagna di Trump e Mosca. Come spiega Federico Punzi su Atlantico Quotidiano, Brennan avrebbe nascosto informazioni di intelligence in contraddizione con le conclusioni del gennaio 2017 secondo cui la Russia aveva interferito nel processo elettorale per aiutare Trump e danneggiare Hillary Clinton. A questo si aggiunge il fatto che la società privata incaricata dal Comitato nazionale democratico di esaminare i propri server dopo l’hackeraggio della primavera 2016, non avrebbe in realtà una prova certa che i russi abbiano rubato le email che poi Wikileaks avrebbe diffuso.


“Il più grande crimine nella storia del nostro Paese”

“Il più grande crimine politico nella storia del nostro Paese”. Così il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump definisce l’Obamagate, la controinchiesta dell’amministrazione Trump sulle origini del Russiagate e sulla fabbricazione delle false prove al fine di provare la collusione – poi smentita – fra la Campagna di Trump e il Cremlino all’indomani delle elezioni presidenziali del 2016, potrebbe travolgere i vertici delle agenzie governative di allora – l’ex direttore dell’Fbi James Comey e l’ex vicedirettore Andrew McCabe, l’ex capo della Cia John Brennan, James Clapper, ex direttore dell’intelligence – oltre allo stesso ex presidente Barack Obama e l’ex vicepresidente Joe Biden. Nel mirino dei repubblicani c’è l’incontro del 5 gennaio 2017 a cui parteciparono Obama, Biden e gli ex funzionari citati poc’anzi.

“È stato il più grande crimine politico nella storia del nostro Paese”, ha dichiarato Trump in un’intervista a Maria Bartiromo di Fox News. “Se fossi un democratico anziché un repubblicano, penso che tutti sarebbero andati in prigione molto tempo fa. È una vergogna quello che è successo. Questa è la più grande truffa politica, una bufala nella storia del nostro Paese”. Trump ha poi aggiunto: “La gente dovrebbe andare in galera per questa roba e, si spera, molte persone dovranno pagare. Nessun altro presidente dovrebbe passare quello che ho passato io, e vi dirò, il generale Flynn e gli altri sono eroi”. Di recente, il Dipartimento di Giustizia ha affermato di aver concluso che l’interrogatorio di Flynn da parte dell’Fbi era “ingiustificato” e che è stato condotto “senza alcuna legittima base investigativa”. Flynn è stato scagionato da ogni accusa dopo che un giudice federale statunitense ha desecretato documenti del Federal Bureau of Investigation (Fbi) che dimostrano come l’ex consigliere di Trump sia stato vittima di un “piano deliberato” del bureau allo scopo di incastrarlo.


Graham: “Vendetta politica dei funzionari di Obama”

L’influente senatore repubblicano Lindsey Graham, a capo del Comitato giudiziario del Senato degli Stati Uniti e molto vicino al presidente Donald Trump, ha messo in dubbio l’operato dei funzionari dell’amministrazione Obama coinvolti nell’unmasking dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Michael Flynn, affermando che tale azione dovrebbe essere fatta solo per chiari motivi di sicurezza nazionale. “Ecco la preoccupazione: se non hai un motivo di sicurezza nazionale, stai fondamentalmente spiando un avversario politico”, ha detto il repubblicano della Carolina del Sud a Fox & Friends.

“Qual è il motivo della sicurezza nazionale per procedere con l’unmasking di Flynn? Non riesco a pensare a uno. Ma, credo, dato il loro comportamento, stessero cercando di sbarazzarsi di Flynn, e se hanno usato il nostro apparato di intelligence per agire fondamentalmente con una vendetta politica, questo è agghiacciante”.



Obamagate, i documenti che provano gli abusi di potere contro Trump
Roberto Vivaldelli - Sab, 16/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ob ... 63517.html

Decadute tutte le accuse contro il generale Michael Flynn, primo consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, ora l'attenzione si sposta sulla condotta dei funzionari di Obama. Il giornalista Gleen Greenwald: "Abusi di potere"

L'Obamagate, ovvero la controinchiesta dell’amministrazione Trump sulle origini del Russiagate e sulla fabbricazione delle false prove al fine di provare la collusione fra la Campagna di Trump e il Cremlino all’indomani delle elezioni presidenziali del 2016, è al centro del dibattito politico americano.

Come riportato da InsideOver, il caso potrebbe travolgere i vertici delle agenzie governative di allora – l’ex direttore dell’Fbi James Comey e l’ex vicedirettore Andrew McCabe, l’ex capo della Cia John Brennan, James Clapper, ex direttore dell’intelligence – oltre allo stesso ex presidente Barack Obama e Joe Biden, candidato dem alle prossime elezioni presidenziali. Tutti coinvolti nel grande "complotto" contro Donald Trump, che ora ha sete di vendetta.

Al centro c'è Michael Flynn, primo consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, vittima eccellente del Russiagate. Il Dipartimento di Giustizia ha affermato di aver concluso che l’interrogatorio di Flynn da parte dell’Fbi era "ingiustificato" e che è stato condotto "senza alcuna legittima base investigativa”. Com'è emerso la scorsa settimana, su richiesta dei legali di Flynn, un giudice federale statunitense ha desecretato documenti del Federal Bureau of Investigation (Fbi) che dimostrano come l’ex consigliere di Trump stato vittima di un "piano deliberato" del bureau allo scopo di incastrarlo. Tali rivelazioni hanno portato il Dipartimento di Giustizia a ritirare ogni accusa contro il generale.

I funzionari dell'amministrazione Obama e quegli abusi di potere contro Trump

Come spiega The Intercept, testata di orientamento liberal non certo vicina all'amministrazione Trump fondata dal giornalista investigativo Gleen Greenwald, i documenti recentemente diffusi rivelano che la condotta dell'Fbi, sotto la guida dell'ex direttore James Comey e dell'allora vicedirettore Andrew McCabe (che fu costretto a lasciare il bureau dopo essere stato sorpreso a mentire agli agenti ), "era impropria" e animata da un grave pregiudizio politico. Innanzitutto, nota Greenwald, non si capisce perché l'Fbi abbia dovuto interrogare Flynn per le sue conversazioni con l'ambasciatore russo Kislyak. "Non c'è nulla di lontanamente spiacevole o insolito - o di criminale - in un funzionario senior della sicurezza nazionale che sta per insediarsi e che si rivolge a una controparte in un governo straniero per cercare di ridurre le tensioni" sottolinea Greenwald. Ciò che rivelano i documenti resi noti nell'ultimo mese, sottolinea Greenwald, è che "i poteri delle agenzie dello stato di sicurezza - in particolare l'Fbi, la Cia, l'Nsa e il Doj - sono stati sistematicamente abusati" per "fini politici piuttosto che legali".

Flynn, nota Greenwald, "è un generale falco di destra, le cui opinioni sulla cosiddetta guerra al terrorismo sono lontani dalle mie convinzioni". Ciò, sottolinea, "non rende giustificata la sua azione penale. Le opinioni di Flynn su una persona o sulla sua politica (o quelle dell'amministrazione Trump in generale) non dovrebbero assolutamente influire sulla valutazione della giustificabilità di ciò che il governo degli Stati Uniti ha fatto". In generale, è tutto l'impianto accusatorio del Russiagate a vacillare, secondo le ultime rivelazioni. Come riportato anche da InsideOver, l’ex capo della Cia John Brennan e acerrimo nemico del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, secondo alcuni documenti recentemente declassificati dal capo dell’intelligence Richard Grenell, avrebbe "occultato" alcune informazioni essenziali sulle presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. Lo scopo era quello di alimentare la narrativa della collusione fra la Campagna di Trump e Mosca. Come spiega Federico Punzi su Atlantico Quotidiano, Brennan avrebbe nascosto informazioni di intelligence in contraddizione con le conclusioni del gennaio 2017 secondo cui la Russia aveva interferito nel processo elettorale per aiutare Trump e danneggiare Hillary Clinton. A questo si aggiunge il fatto che la società privata incaricata dal Comitato nazionale democratico di esaminare i propri server dopo l’hackeraggio della primavera 2016, non avrebbe in realtà una prova certa che i russi abbiano rubato le email che poi Wikileaks avrebbe diffuso.



Declassificate le telefonate Flynn-Kislyak: nessuna collusione e Obama, Comey e Mueller lo sapevano

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -sapevano/

Non fu Flynn a mentire sulle sue conversazioni telefoniche con l’ambasciatore russo, ma il procuratore speciale Mueller

Declassificate e trasmesse al Congresso venerdì sera, possiamo finalmente leggere le trascrizioni delle telefonate del dicembre 2016 (22, 23, 29, 31 dicembre e 12 e 19 gennaio 2017) tra il consigliere per la sicurezza nazionale in pectore del presidente-eletto Trump e l’ambasciatore russo a Washington Sergey Kislyak, quelle che porteranno l’FBI a interrogare il generale il 24 gennaio 2017 e ad accusarlo di aver mentito agli agenti su quelle conversazioni.

Ora che si possono confrontare le trascrizioni con le accuse formulate dall’FBI prima e dal procuratore speciale Mueller poi, appare ancora più evidente ciò che è già emerso dai documenti declassificati di recente: nessun elemento in quelle chiamate indica che Flynn fosse un “agente russo” o colludesse con i russi, erano conversazioni del tutto appropriate per un membro della squadra Trump che di lì a pochissimi giorni sarebbe diventato consigliere per la sicurezza nazionale. È prassi infatti che nella fase di transizione il team di sicurezza nazionale del presidente entrante prenda contatti con i rappresentanti dei leader stranieri. L’FBI era arrivata a queste stesse conclusioni, tant’è che nel rapporto del 4 gennaio era pronta a chiudere l’indagine di controintelligence Razor, il filone aperto nell’agosto 2016 proprio sul generale Flynn nell’ambito dell’indagine Crossfire Hurricane sulla Campagna Trump.

Tenete bene a mente: l’ipotesi che giustificava l’indagine era che Flynn potesse essere, o agire come un agente della Russia. Questo è importante perché in assenza di elementi che supportassero questo sospetto, anche nelle telefonate con l’ambasciatore russo, non c’erano le basi legali per l’interrogatorio a cui fu sottoposto il consigliere per la sicurezza nazionale il 24 gennaio alla Casa Bianca. Un interrogatorio-trappola, dato che l’FBI aveva già le trascrizioni di quelle telefonate avvenute un mese prima, sapeva già che nulla di inappropriato era emerso, e nemmeno le ha fornite a Flynn per aiutarlo a ricordare. L’unico scopo era indurlo in errore per poterlo accusare di falsa testimonianza o farlo dimettere, come poi è avvenuto.

Anche il presidente Obama e il direttore dell’FBI Comey sapevano che non c’erano elementi di collusione, avendo ricevuto le trascrizioni di quelle chiamate. Eppure, furono proprio i vertici dell’FBI, il 4 gennaio, tramite l’agente Strzok, a decidere di tenere aperta l’indagine e procedere all’interrogatorio del 24 gennaio, senza alcuna base legale, al solo scopo di incastrare Flynn. E pur sapendo come stavano realmente le cose, nell’incontro del 5 gennaio nello Studio Ovale il presidente Obama diede indicazioni ai suoi di non mettere al corrente il presidente-eletto e il suo team dell’indagine sulla Russia e delle chiamate di Flynn. Evidentemente, a quel punto, il problema era evitare che l’amministrazione entrante scoprisse che la squadra Trump era stata spiata dall’amministrazione Obama sia durante la campagna che durante la transizione.

Un comportamento grave in ogni caso, perché a maggior ragione se Flynn fosse stato un agente russo, o ci fossero stati elementi per sospettarlo, il presidente-eletto doveva esserne informato per evitare che venisse compromessa la Casa Bianca.

Ma come dicevamo, non solo dalle trascrizioni non emerge alcuna collusione e nulla di inappropriato, ma nemmeno emergono le “bugie” di Flynn. Le trascrizioni smentiscono le accuse formulate nei suoi confronti dal team Mueller che portarono al patteggiamento.

Innanzitutto, Flynn e Kislyak discussero delle espulsioni dei diplomatici russi, non delle sanzioni finanziarie nei confronti di entità e singoli dell’intelligence russa esplicitamente citate dal team Mueller nei documenti d’accusa. Flynn fu accusato nello specifico di aver mentito perché durante l’interrogatorio non aveva ricordato la sua discussione con Kislyak riguardo le sanzioni finanziarie adottate dal presidente Obama il 28 dicembre 2016 con l’ordine esecutivo n. 13757, ma ora sappiamo che con l’ambasciatore russo discusse delle espulsioni dei diplomatici russi decise dal Dipartimento di Stato, non delle sanzioni adottate da Obama. Si tratta di due misure completamente diverse.

Solo Kislyak nelle telefonate usa la parola “sanzioni” o “sanzionati” riferendosi agli agenti del FSB/GRU, in un passaggio sulla comune volontà di combattere il terrorismo islamico, ma Flynn risponde “yeah yeah” un paio di volte, come si fa al telefono quando si sta seguendo il discorso dell’interlocutore. Nessuna sostanziale discussione sulle sanzioni su cui Mueller ha accusato Flynn di aver mentito.

E questo spiega perché il procuratore del team Mueller che sosteneva l’accusa nel caso Flynn, Brandon Van Grack, non ha mai prodotto le trascrizioni, sfidando addirittura un ordine della Corte.

Le trascrizioni quindi provano che il team Mueller, non Flynn, ha mentito sulle conversazioni.

Come ricorderete, alla base della teoria della collusione c’era il fatto che Flynn avesse offerto all’ambasciatore russo la revoca delle sanzioni Usa non appena la nuova amministrazione si fosse insediata, e che per questo fosse riuscito a ottenere dai russi di soprassedere da una reazione all’espulsione dei loro diplomatici.

Nulla di tutto questo risulta dalle trascrizioni delle telefonate. Flynn non ha offerto al rappresentante russo la revoca delle sanzioni e di nessun’altra misura adottata dall’amministrazione Obama, nemmeno un’allusione.

I temi delle telefonate di dicembre tra Flynn e Kislyak furono politici. Sostanzialmente due.

Flynn era interessato alla cooperazione con Mosca per combattere un nemico comune, i terroristi islamici: “Dobbiamo essere molto saldi in ciò che faremo perché abbiamo certamente un nemico comune adesso in Medio Oriente”. E ancora: “Non conseguiremo la stabilità in Medio Oriente senza lavorare l’uno con l’altro contro queste masse islamiste radicali”.

L’altra preoccupazione di Flynn, strettamente legata al primo tema, era di evitare una reazione sproporzionata di Mosca all’espulsione dei propri diplomatici, che avrebbe provocato a sua volta una escalation da parte Usa: se avesse rispedito a casa una sessantina di americani contro i 35 russi espulsi dall’amministrazione Obama, “l’ambasciata Usa avrebbe chiuso”.

Secondo le accuse del team Mueller, Flynn avrebbe mentito dichiarando agli agenti dell’FBI che lo interrogarono il 24 gennaio, di non aver chiesto all’ambasciatore Kislyak di “astenersi dall’escalation” in risposta all’espulsione dei 35 diplomatici russi decisa dall’amministrazione Obama, e avrebbe mentito anche quando dichiarò di non ricordare che Kislyak gli disse che la Russia avrebbe “moderato la sua risposta” alle espulsioni.

In realtà, la trascrizione della telefonata del 29 dicembre, citata da Mueller negli atti d’accusa, mostra che Flynn non chiese all’ambasciatore russo “not to escalate” nella risposta, o di non rispondere, ma chiese solo “make it reciprocal”, in modo che gli Stati Uniti, non la Russia, non fossero costretti all’escalation.

È chiaro dalla trascrizione che Flynn si aspettava eccome che la Russia avrebbe reagito espellendo dei diplomatici americani e la sua prima preoccupazione era evitare una situazione in cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto aumentare le tensioni.

“I know you have to have some sort of action… Make it reciprocal”. E agli agenti dell’FBI che lo interrogarono il 24 gennaio 2017 riferì, correttamente, di non aver chiesto “don’t do anything”, di non fare nulla.

Flynn: “Make it reciprocal. Don’t – don’t make it – don’t go any further than you have to. Because I don’t want us to get into something that has to escalate, on a, you know, on a tit for tat.”

Kislyak: “I understand what you’re saying, but you know, you might appreciate the sentiments that are raging now in Moscow”.

Flynn: “I really don’t want us to get into a situation where we’re going, you know, where we do this and then you do something bigger, and then you know, everybody’s got to go back and forth and everybody’s got to be the tough guy here, you know? We need cool heads to prevail, and uh, we need to be very steady about what we’re going to do because we have absolutely a common uh, threat in the Middle East right now”.

Flynn usò la parola “escalate” in riferimento non a una potenziale reazione di Mosca, ma a ciò che sperava gli Stati Uniti non fossero costretti a fare in risposta alle azioni russe.

“If you have to do something, do something on a reciprocal basis. And, and then, we know that we’re not going to escalate this thing”.

“… if we send out 30 guys and you send out 60, you know, or shut down every Embassy, I mean we have to get this to a… let’s keep this at a level that… is even-keeled (bilanciato, ndr), okay?”.

Un altro aspetto interessante che emerge dalle conversazioni è la consapevolezza in entrambi che le espulsioni decise dall’amministrazione Obama non erano mirate solo a colpire la Russia, ma a minare i futuri rapporti dell’amministrazione entrante con la Russia. Che Flynn cercasse di disinnescare questa mina, per non compromettere la possibilità di cooperare con Mosca contro il terrorismo islamico, è una scelta politica legittima, non una collusione. E comunque, nessuna discussione sulle sanzioni ci fu, tanto meno un’offerta di revocarle.

Flynn: “Number One, what I would ask you guys to do – and make sure you, make sure that you convey this, okay? – do not, do not uh, allow this administration to box us in, right now, okay?”.
Kislyak: “We have conveyed it”.

Anche Kislyak ha l’impressione che “queste azioni sono mirate non solo contro la Russia ma anche contro il presidente eletto”.

Flynn: “Quello che allora possiamo fare è, quando entriamo in carica, di avere una conversazione migliore su dove stiamo andando, riguardo la nostra relazione…”.

Kislyak: “Speriamo che tra due settimane saremo in grado di iniziare a lavorare in modo più costruttivo”.

Dunque, i due correttamente rinviano ulteriori discussioni e approfondimenti a quando la nuova amministrazione si sarà insediata.

Non fu il generale Flynn a interferire nelle politiche dell’amministrazione Obama, era l’amministrazione Obama che aveva interferito nella transizione con la nuova amministrazione per pregiudicarne i rapporti con la Russia. Flynn era intervenuto per provare a disinnescare alcune delle mine piazzate da Obama e quello dell’FBI e del procuratore speciale Muller è stato un cover-up.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:23 am

Gli orridi nemici di Trump


Coronavirus, Obama attacca Trump: 'Non sa quello che fa'
L'ex presidente Barack Obama attacca l'amministrazione Trump sulla gestione dell'emergenza
17 maggio 20200

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... be9a4.html

L'ex presidente Barack Obama attacca l'amministrazione Trump sulla gestione dell'emergenza coronavirus. "Non fanno neanche finta di sapere quello che fanno", ha scritto nel suo intervento ad una cerimonia di laurea di studenti afroamericani. "Questa pandemia alla fine ha completamente alzato il sipario sul fatto che tantissimi uomini al comando non sanno cosa fare. E molti di loro non fingono nemmeno", ha detto senza nominare direttamente il presidente Trump.




Soros: "Trump dittatore e Salvini vuole far uscire l'Italia dall'Ue"
Roberto Vivaldelli
Dom, 17/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 63620.html

Soros dice di essere "molto preoccupato per la sopravvivenza dell'Ue" perché è un'unione incompleta. E attacca Matteo Salvini: "Per fortuna, la sua popolarità personale è diminuita da quando ha lasciato il governo"

Il finanziere liberal George Soros, fondatore dell'Open Society Foundations, non demorde e rilancia la proposta dei bond perpetui per "salvare" l'Unione europea.

Intervistato da IlSole24Ore, il magnate di origini ungheresi ne ha per tutti, a cominciare dai suoi acerrimi nemici: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il leader leghista Matteo Salvini e il primo ministro magiaro Viktor Orban, oltre ai nazionalismi che minacciano l'Unione europea e la "società aperta". A proposito della crisi causata dal Covid-19, Soros non ha dubbi: si tratta di "un evento senza precedenti e che sta mettendo in serio pericolo la sopravvivenza della nostra civiltà". Quanto all'Unione europea, il finanziere si dice estremamente preoccupato per il suo futuro. La soluzione, naturalmente, è più Europa: "Sono molto preoccupato per la sopravvivenza dell'Ue perché è un'unione incompleta. Era in corso di definizione ma il processo non si è mai concluso e questo rende l'Europa vulnerabile, non solo perché è un'unione a metà ma anche perché si basa sullo stato di diritto. Gli ingranaggi della giustizia sono molto lenti mentre le minacce simili al coronavirus viaggiano a grande velocità".

Ciò che mette in serio pericolo il futuro dell'Unione europea, dice Soros, è senza dubbio la sentenza di Karlsruhe. Come spiegato da InsideOver, in buona sostanza la Bundesbank non potrà partecipare più al programma di acquisto dei titoli di Stato se non vi sarà un chiarimento della Bce entro tre mesi, di fatto dichiarando il Quantitative Easing (Qe) parzialmente "illegale". Secondo George Soros, la sentenza "la sentenza rappresenta una minaccia in grado di distruggere l'Ue quale istituzione basata sullo stato di diritto". Quando è entrata nell'Ue, nota il finanziere, "la Germania ha accettato di conformarsi alla legge europea. Ma la sentenza solleva un problema ancora più grande: se la corte tedesca può mettere in discussione le decisioni della Corte di giustizia europea, altri Paesi potranno fare lo stesso? L'Ungheria e la Polonia possono decidere se attenersi alla legge europea o a quanto stabilito dalle rispettive corti? Questa domanda investe l'essenza stessa dell' nione, che è fondata sullo stato di diritto".

Soros attacca Salvini e Donald Trump

Non possono poi mancare le immancabili "stoccate" contro i suoi acerrimi nemici: se Donald Trump "vorrebbe agire da dittatore, ma non può farlo perché negli Stati Uniti vige una costituzione che la gente ancora rispetta e che gli impedirà di fare certe cose" il leader della Lega Matteo Salvini "si sta mobilitando affinché l'Italia esca dall'euro e anche dall' Ue". Per fortuna, spiega Soros, "la sua popolarità personale è diminuita da quando ha lasciato il governo, ma la sua causa sta comunque attirando seguaci. Ciò rappresenta un'altra minaccia esistenziale per l'Ue". Per salvare l'Unione europea George Soros ha una sua proposta: i bond perpetui. "Ho proposto l'emissione di bond perpetui da parte dell' Ue, anche se ora penso che andrebbero chiamati consols (titoli consolidati) perché è con questo nome che le obbligazioni perpetue sono state utilizzate con successo dalla Gran Bretagna a partire dal 1751 e dagli Stati Uniti dagli anni settanta del 1800" spiega a IlSole24Ore.

I bond perpetui, sottolinea il finanziere, "sono stati confusi con i coronabond" che il Consiglio europeo ha respinto - e a ragion veduta poiché implicano una mutualizzazione del debito accumulato che gli stati membri non sono disposti ad accettare". George Soros si dimostra ancora una volta particolarmente interessato al destino dell'Italia. Come già illustrato da IlGiornale.it, la mappatura dei finanziamenti con cui, tramite la Open Society Foundations, George Soros inonda il nostro Paese di soldi per plasmarlo a sua immagine e somiglianza, svela un progetto ben preciso che, al di là delle strenue difese dei progressisti, rischia di minare la sovranità dell'Italia. Tra il 2017 e il 2018, stando all'inchiesta pubblicata dall'agenzia Adnkronos, si parla di oltre otto milioni e mezzo di dollari versati nelle casse di quegli enti che si prefiggono come obiettivo la creazione di una società più aperta e accogliente.





Gli orridi media calunniatori di Trump e pro Obama e Hilary Clinton e Biden
Quelli italiani sono la Repubblica e il gruppo dell'Espresso, Il Sole 24 Ore, La Stampa, l'Unità, il Manifesto, ll Corriere Della Sera, l'Avvenire, ...

Lo schiaffo di Obama a Trump: “Non sa quello che fa”. Il tycoon su tutte le furie evoca il carcere per lui e per Biden
17 maggio 2020

https://www.lastampa.it/esteri/2020/05/ ... 1.38855760

Scontro senza precedenti e soprattutto senza esclusione di colpi tra Barack Obama e Donald Trump, con l'ex presidente che per la prima volta accusa pubblicamente il tycoon di essere un incompetente e quest'ultimo che evoca addirittura il carcere per il suo predecessore e per colui che lo dovrà sfidare nelle urne il prossimo novembre, Joe Biden. Trump "non sa quello che fa", ha attaccato per primo Obama, sferrando un sonoro schiaffo al successore e troncando così la tradizione secondo cui un presidente in carica non viene mai criticato da chi lo ha preceduto alla Casa Bianca. Una regola a cui Obama finora si era scrupolosamente attenuto, sottraendosi per tre anni alla luce dei riflettori e suscitando qualche critica anche da chi, nella base democratica, avrebbe voluto un ruolo più attivo dell'ex presidente in vista delle elezioni del 3 novembre.

Ma ora, a meno di sei mesi dal voto e nel pieno di una crisi sanitaria ed economica senza precedenti, evidentemente non è più tempo di restare dietro le quinte. Davanti a 1,4 milioni di contagiati in tutta America e a quasi 90 mila morti non c'è più spazio per il fair play. Anche perché gran parte di quelle vittime, oltre 1.200 nelle ultime 24 ore, appartengono alle comunità più povere e disagiate, come i neri d'America. Ecco perché Obama ha scelto di non tacere più e per la prima volta ha sollevato pubblicamente le sue critiche parlando in un paio di eventi online per festeggiare i neolaureati del 2020. "Non fanno neanche finta di sapere quello che fanno. Questa pandemia alla fine ha completamente alzato il sipario sul fatto che tantissimi uomini al comando non sanno cosa fare. E molti di loro non fingono nemmeno".

L'unica concessione al politicamente corretto Obama l'ha fatta non citando mai direttamente per nome il presidente. Ma il suo resta un atto di accusa pesantissimo, dopo le parole rubategli giorni fa durante una conversazione privata, quando definì la gestione della crisi da parte di Trump "disastrosa". La controffensiva di Trump - dopo un tweet in cui a caratteri cubitali ha scritto 'OBAMAGATE!' rilanciando le accuse di corruzione al predecessore - è arrivata in un'intervista esplosiva su Fox News, in cui Obama e Biden sono stati messi all'indice come i responsabili del "più grande scandalo della storia americana", il Russiagate. "C'è gente che dovrebbe andare in galera per questo e se tutto va nel verso giusto molte persone pagheranno", ha ringhiato Trump, aggiungendo: "Se io fossi un democratico molti sarebbero in carcere da tempo". La storia è quella del presunto tentativo di farlo fuori subito dopo la vittoria elettorale del 2016, con l'accusa ad Obama di aver creato ad arte un piano contro il futuro ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn allo scopo di alimentare il Russiagate.

L'ex presidente viene in particolare accusato di aver manipolato le intercettazioni delle telefonate tra Flynn e l'ex ambasciatore russo a Washington: "Peggio del Watergate", aveva twittato di recente il tycoon, che ha intensificato la sua campagna contro Obama, visto come colui che può dare la spinta decisiva al candidato presidenziale democratico, Joe Biden.

Ma le ruggini tra Trump e Obama risalgono indietro negli anni, soprattutto al periodo in cui il tycoon si fece portavoce della teoria dei cosiddetti 'birther' secondo cui Obama (il cui padre era keniota) non sarebbe nato in America ma in Africa. E più volte Trump chiese di vederne il certificato di nascita. Un'insinuazione a cui l'allora presidente Obama rispose dileggiando un'imbarazzatissimo tycoon durante la cena dei corrispondenti della Casa Bianca del 2011, mandando in onda tra le risate del pubblico il video della sua presunta nascita: uno spezzone del film 'Il Re Leone'. Un'umiliazione che Trump, da sempre geloso dei livelli di popolarità ancora oggi detenuti dal suo predecessore, non ha mai dimenticato.



Obama abbandona la correttezza istituzionale e spara su Trump: ''non sa quello che fa''

https://www.dagospia.com/rubrica-3/poli ... 236721.htm


TRUMP, 'OBAMA È STATO UN PRESIDENTE INCOMPETENTE'

(ANSA) - Barack Obama? "Lui è stato un presidente incompetente": così Donald Trump parlando con i giornalisti alla Casa Bianca, dopo che il suo predecessore lo ha accusato di "non sapere quello che fa".

Scontro senza precedenti e soprattutto senza esclusione di colpi tra Barack Obama e Donald Trump, con l'ex presidente che per la prima volta accusa pubblicamente il tycoon di essere un incompetente e quest'ultimo che evoca addirittura il carcere per il suo predecessore e per colui che lo dovrà sfidare nelle urne il prossimo novembre, Joe Biden. Trump "non sa quello che fa", ha attaccato per primo Obama, sferrando un sonoro schiaffo al successore e troncando così la tradizione secondo cui un presidente in carica non viene mai criticato da chi lo ha preceduto alla Casa Bianca.

Una regola a cui Obama finora si era scrupolosamente attenuto, sottraendosi per tre anni alla luce dei riflettori e suscitando qualche critica anche da chi, nella base democratica, avrebbe voluto un ruolo più attivo dell'ex presidente in vista delle elezioni del 3 novembre. Ma ora, a meno di sei mesi dal voto e nel pieno di una crisi sanitaria ed economica senza precedenti, evidentemente non è più tempo di restare dietro le quinte. Davanti a 1,4 milioni di contagiati in tutta America e a quasi 90 mila morti non c'è più spazio per il fair play. Anche perché gran parte di quelle vittime, oltre 1.200 nelle ultime 24 ore, appartengono alle comunità più povere e disagiate, come i neri d'America.

Ecco perché Obama ha scelto di non tacere più e per la prima volta ha sollevato pubblicamente le sue critiche parlando in un paio di eventi online per festeggiare i neolaureati del 2020. "Non fanno neanche finta di sapere quello che fanno. Questa pandemia alla fine ha completamente alzato il sipario sul fatto che tantissimi uomini al comando non sanno cosa fare. E molti di loro non fingono nemmeno". L'unica concessione al politicamente corretto Obama l'ha fatta non citando mai direttamente per nome il presidente.

Ma il suo resta un atto di accusa pesantissimo, dopo le parole rubategli giorni fa durante una conversazione privata, quando definì la gestione della crisi da parte di Trump "disastrosa". La controffensiva di Trump - dopo un tweet in cui a caratteri cubitali ha scritto 'OBAMAGATE!' rilanciando le accuse di corruzione al predecessore - è arrivata in un'intervista esplosiva su Fox News, in cui Obama e Biden sono stati messi all'indice come i responsabili del "più grande scandalo della storia americana", il Russiagate.

"C'è gente che dovrebbe andare in galera per questo e se tutto va nel verso giusto molte persone pagheranno", ha ringhiato Trump, aggiungendo: "Se io fossi un democratico molti sarebbero in carcere da tempo". La storia è quella del presunto tentativo di farlo fuori subito dopo la vittoria elettorale del 2016, con l'accusa ad Obama di aver creato ad arte un piano contro il futuro ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn allo scopo di alimentare il Russiagate.

L'ex presidente viene in particolare accusato di aver manipolato le intercettazioni delle telefonate tra Flynn e l'ex ambasciatore russo a Washington: "Peggio del Watergate", aveva twittato di recente il tycoon, che ha intensificato la sua campagna contro Obama, visto come colui che può dare la spinta decisiva al candidato presidenziale democratico, Joe Biden. Ma le ruggini tra Trump e Obama risalgono indietro negli anni, soprattutto al periodo in cui il tycoon si fece portavoce della teoria dei cosiddetti 'birther' secondo cui Obama (il cui padre era keniota) non sarebbe nato in America ma in Africa.

E più volte Trump chiese di vederne il certificato di nascita. Un'insinuazione a cui l'allora presidente Obama rispose dileggiando un'imbarazzatissimo tycoon durante la cena dei corrispondenti della Casa Bianca del 2011, mandando in onda tra le risate del pubblico il video della sua presunta nascita: uno spezzone del film 'Il Re Leone'. Un'umiliazione che Trump, da sempre geloso dei livelli di popolarità ancora oggi detenuti dal suo predecessore, non ha mai dimenticato.



Altre impronte di Obama sul caso Flynn: l'FBI non aveva alcun motivo legittimo per interrogarlo
Atlantico Quotidiano
21 maggio 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/rubri ... errogarlo/

Ulteriori impronte dell’ex presidente Obama vengono alla luce dalle ultime rivelazioni sul caso Flynn.

Innanzitutto, se come abbiamo già riportato su Atlantico Quotidiano sono molti i nomi “politici” tra gli alti funzionari dell’amministrazione Obama che chiesero l’“unmasking” del generale nei rapporti di intelligence, sembra che il nome di Flynn non fu mai “coperto” nei rapporti sulle sue conversazioni telefoniche con l’ambasciatore russo a Washington Sergey Kislyak, quelle del 29 dicembre 2016 che furono oggetto dell’interrogatorio del 24 gennaio 2017 in cui fu incastrato dall’FBI.

Un ex alto funzionario ha rivelato ieri al Washington Post che “fu l’FBI, non la NSA, a intercettare le sue chiamate con Kislyak e a creare sommario e trascrizione”. E “quando l’FBI ha fatto girare i rapporti, questi includevano il nome di Flynn dall’inizio”. Il nome di Flynn quindi non fu mai “coperto” nei documenti FBI sulle sue comunicazioni di dicembre con l’ambasciatore russo.

Una conferma arriva dalla testimonianza del 2017 del direttore dell’FBI Comey, allegata alla richiesta del Dipartimento di Giustizia di lasciar cadere le accuse contro il generale Flynn, documento ottenuto da Catherine Herridge di Cbs News. Alla comunità di intelligence, ricostruisce Comey, fu chiesto di capire il motivo della mancata reazione di Mosca all’espulsione dei diplomatici russi decisa dal presidente Obama a fine dicembre. E “saltarono fuori queste chiamate a fine dicembre – inizio gennaio”. Comey informò il direttore dell’Intelligence Nazionale Clapper, il quale nella prima settimana di gennaio informò il presidente Obama e il vice Biden. “I nostri giudicarono che fosse appropriato avere il nome di Flynn unmasked (in chiaro, ndr)”.

Si arriva quindi all’incontro chiave del 5 gennaio 2017 nello Studio Ovale. “Non avevo informato il Dipartimento di Giustizia di questo”, ricorda Comey, e nel corso di quel meeting “il presidente Obama menzionò questo …” ed “era la prima volta che il vice procuratore generale Sally Yates ne sentiva parlare”.

Dunque, almeno dal 5 gennaio il presidente Obama era a conoscenza delle telefonate. Il direttore Comey aveva volutamente aggirato il Dipartimento di Giustizia e ignorato la Yates, che dichiarò al team del procuratore speciale Mueller di aver appreso delle telefonate tra Flynn e Kislyak dal presidente Obama in persona, al termine di quella riunione del 5 gennaio, e di esserne rimasta “sorpresa”.

Dell’incontro esiste anche la versione dell’allora consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice, che però la Yates non cita tra i presenti. È notizia di ieri, che fu l’ufficio legale della Casa Bianca – il giorno stesso dell’insediamento del presidente Trump, il 20 gennaio, quindi ben due settimane dopo l’incontro – a dare istruzione al consigliere Rice di scrivere il memo in una email indirizzata a se stessa.

Il motivo è forse contenuto in un paragrafo chiave del memo della Rice declassificato martedì scorso, dal quale sembra che lo scopo fosse di scaricare sul direttore Comey la responsabilità della decisione di non mettere al corrente il presidente Trump e la sua squadra dell’indagine sulla Russia e delle telefonate di Flynn.

“Director Comey affirmed that he is proceeding ‘by the book’ as it relates to law enforcement. From a national security perspective, Comey said he does have some concerns that incoming NSA Flynn is speaking frequently with Russian Ambassador Kislyak. Comey said that could be an issue as it relates to sharing sensitive information. President Obama asked if Comey was saying that the NSC should not pass sensitive information related to Russia to Flynn. Comey replied ‘potentially’. He added that he has no indication thus far that Flynn has passed classified information to Kislyak, but he noted that ‘the level of communication is unusual’.”

Ma se davvero Susan Rice non era presente all’incontro del 5 gennaio, questa versione potrebbe essergli stata suggerita dall’ufficio legale della Casa Bianca per nascondere un ruolo ben più attivo del presidente Obama in quel meeting.

In ogni caso, da questo paragrafo emerge che al 5 gennaio, quando cioè era già noto il contenuto delle telefonate Flynn-Kislyak, non c’era “alcuna indicazione” (“no indication thus far”, per Comey), che Flynn stesse passando informazioni classificate a Kislyak, ma solo preoccupazione per il livello “inusuale” dell’interlocuzione.

Tra il 5 e il 24 gennaio nulla di nuovo sarebbe emerso da giustificare l’interrogatorio di Flynn. Lo sappiamo dalle note scritte a mano dall’agente Priestap sullo scopo dell’interrogatorio, in cui l’unica violazione ipotizzata è quella del Logan Act. Dunque, le telefonate Flynn-Kislyak non avevano fornito alcuna base per giustificare l’interrogatorio di Flynn del 24 gennaio, dal momento che l’FBI stessa già il 4 gennaio, nel suo rapporto conclusivo, aveva escluso un legame tra quelle conversazioni e l’indagine sulla collusione con la Russia.




Obamagate, i documenti declassificati che incastrano l'Fbi
Roberto Vivaldelli
24 maggio 2020

https://it.insideover.com/politica/obam ... e_redirect


Judicial Watch, l’organizzazione conservatrice presieduta da Tom Fitton che indaga sui presunti abusi dei funzionari governativi, ha pubblicato, nei giorni scorsi, nuovi documenti declassificati che testimoniano come l’indagine di controintelligence Crossfire Hurricane avviata nel 2016 per determinare i legami fra i membri della campagna di Trump e la Federazione Russa si sia basata su una falsa premessa.

Judicial Watch, nello specifico, ha pubblicato la “Comunicazione Elettronica” (EC) dell’Fbi che il 31 luglio 2016 lanciava ufficialmente l’indagine. “L’attaché legale di Londra – si legge nel documento ora reso pubblico – ha ricevuto informazioni dal vice capo missione dell’ambasciata Usa di Londra relative all’hackeraggio del sito/server del Comitato nazionale democratico”.

Una vera e propria forzatura, come nota Federico Punzi su Atlantico Quotidiano, poiché qual ‘è l’elemento nel rapporto di Alexander Downer sulle affermazioni di George Papadopoulos poteva portare alla deduzione che le informazioni dannose sulla Clinton che i russi avrebbero potuto diffondere fossero proprio le email trafugate dai server Comitato nazionale democratico? È la conferma, spiega Atlantico Quotidiano, che l’apertura dell’indagine Crossfire Hurricane era basata su una falsa premessa o, peggio, che il rapporto informale di Downer sia servito da pretesto per indagare su un sospetto senza alcuna base legale valida.

Ricordiamo che, secondo la ricostruzione ufficiale, il misterioso docente maltese Joseph Mifsud rivelò in un incontro dell’aprile 2016 a George Papadopoulos, consigliere della campagna di Trump, di aver appreso che il governo russo possedeva “materiale compromettente” (dirt) su Hillary Clinton “in forma di e-mail”. A quel punto l’ex consulente del presidente avrebbe ripetuto tali informazioni all’alto Commissario australiano a Londra, Alexander Downer, che a sua volta si relazionò con l’ambasciata Usa a Londra. Da qui, il 31 luglio 2016, partirono le indagini dell’Fbi sui presunti collegamenti fra Trump e la Russia, accuse che in seguito si sono dimostrate false.

L’indagine Crossfire Hurricane e Peter Strzok

Secondo quanto riportato da Judicial Watch, l’indagine dell’Fbi sulla presunta collusione fra la Campagna di Trump e i russi si aprì su congetture. Non c’è da stupirsi, osserva l’organizzazione conservatrice, che il Dipartimento di Giustizia e l’Fbi abbiano resistito alla diffusione di questa famigerata “comunicazione elettronica” che ha aperto Crossfire Hurricane. “È la dimostrazione – sottolinea – che non vi era alcuna base seria per l’amministrazione Obama al fine di lanciare un’operazione di controspionaggio senza precedenti sulla Campagna di Trump. Ora abbiamo le prove che Crossfire Hurricane fosse una truffa, basata su pettegolezzi assurdi e insinuazioni. L’Obamagate è il peggior scandalo di corruzione nella storia americana. Questo documento mostra come il procuratore generale William Barr e il procuratore americano Durham abbiano ragione”.

Il Russiagate non aveva alcuna base legale

Ricordiamo inoltre che l’indagine fu aperta dall’agente Fbi Peter Strzok, colui che interrogò insieme a un collega il generale Michael Flynn, primo consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, e manipolò il rapporto dell’interrogatorio. Il documento ora pubblicato dimostra che lo stesso Strzok espresse dubbi e riserve sui limiti delle prove che aveva raccolto.

Si parla di vaghe preoccupazioni e di suggerimenti. “Non è chiaro se [George Papadopoulos] o i russi si riferissero a materiale acquisito pubblicamente con altri mezzi. Non è anche chiaro come la squadra del signor Trump abbia reagito all’offerta. Notiamo che la reazione Campagna di Trump potrebbe, alla fine, avere poca influenza su ciò che la Russia decide di fare, con o senza la cooperazione del signor Trump”. Kevin Brock, ex capo dell’intelligence dell’Fbi, ha sottolinea che la comunicazione elettronica non soddisfa i rigorosi standard del bureau per giustificare l’apertura di un caso criminale o di controspionaggio. “Non c’è nulla nella Ce che soddisfi tali requisiti”, ha detto Brock a Just the News.










Sulla Stampa ancora attacchi contro Donald Trump, titoli e vignetta di Staino
Nel pezzo di Dario Fabbri
22.05.2020
Un titolo e un articolo scatenati contro Donald Trump segnano anche oggi la nuova linea della Stampa. Fin dalla prima pagina il presidente Usa è accusato di aprire alla "guerra dei cieli". Il messaggio è confermato dalla vignetta di Staino a pag. 17, che non riprendiamo, ma che definisce Trump "peggio di un tifone".


http://www.informazionecorretta.com/m/? ... l&id=78329

L'annunciato abbandono da parte americana del Trattato sui cieli aperti (Open Skies) aderisce esattamente all'attuale postura tattica di Washington. Perché è mossa al contempo anti-russa e anti-cinese. E potrebbe condurre alla fine del Trattato per la riduzione degli armamenti nucleari (Nuovo Start). Da tempo gli Stati Uniti considerano la Repubblica Popolare l'avversario più pericoloso ma, per volontà degli apparati federali, si mantengono ostili anche alla Russia, perché temono che riconoscere il Cremlino come partner legittimo metterebbe a rischio il loro controllo sull'Europa - tuttora il continente decisivo del pianeta. Ritirarsi dal trattato Open Skies è poco più di un esercizio di mistificazione. In vigore dal 2002 e sottoscritto da 34 Stati, l'accordo consente soprattutto a russi e americani di realizzare ricognizioni aeree sul territorio altrui per cogliere in anticipo eventuali manovre militari – oltre che mappare le infrastrutture strategiche. Ma da anni è di poca utilità. I satelliti sono assai più efficaci degli aerei nel fotografare quanto capita in ogni angolo del pianeta e la mappatura delle criticità infrastrutturali si realizza con maggiore profitto in dimensione cibernetica. Tanto che lo scorso marzo il Pentagono aveva annunciato di non voler spendere un soldo per ammodernare i vetusti velivoli OC-135 utilizzati nelle perlustrazioni. In questa fase rinnegare Open Skies serve a lanciare molteplici messaggi. Giustificando la decisione con le «molteplici violazioni del patto da parte russa», gli Stati Uniti confermano la propria avversione al Cremlino e comunicano di giudicare impossibile un'aggressione militare ordita da Mosca. In pieno declino, in casa e all'estero, la Russia sogna di trovare un compromesso con Washington, non certo di attaccare il nemico della guerra fredda. Quindi gli americani segnalano a Pechino di volersi affrancare da qualsiasi accordo che ne limiti la proiezione militare. Lo scorso anno hanno ripudiato il Trattato Inf, che impediva il dispiegamento a terra di missili nucleari di gittata intermedia, perché i cinesi non figuravano tra i firmatari. In vista di un possibile conflitto con la Repubblica Popolare, gli Stati Uniti intendono dotarsi dello stesso margine di manovra del rivale, disponibili ad accettare limitazioni soltanto se sottoscritte dalla dirigenza pechinese. Per questo, mentre rivelava il destino di Open Skies, Donald Trump spiegava che potrebbe lasciare anche il trattato russo-americano di limitazione degli armamenti nucleari, se i cinesi non aderiranno alle medesime condizioni. Siglato nel 2010 e in scadenza il prossimo febbraio, il cosiddetto Nuovo Start fissa per Washington e Mosca il limite di 1550 testate nucleari e di 700 vettori utilizzabili. Margini entro i quali non deve stare Pechino, oggi in possesso di circa 300 testate nucleari ma che, secondo dichiarazioni (semi)ufficiali degli apparati comunisti, nei prossimi anni potrebbe espandere fino a 1000. Troppo per gli Stati Uniti che temono d'essere colti di sorpresa dal riarmo cinese. E che intendono restare contemporaneamente nemici della Russia e della Cina, anziché giocare gli uni contro gli altri, come previsto dalla grammatica strategica. Almeno finché la Repubblica Popolare non sarà concretamente in grado di insidiare la supremazia a stelle e strisce.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:25 am

La campagna populista di Trump tra complotti cinesi e negazionismo
25 maggio 2020

https://www.ilsole24ore.com/art/la-camp ... mo-ADNYAyS

Con l’emergenza coronavirus il presidente e il vice presidente Mike Pence sono stati costretti a rivedere tutto il programma dei viaggi elettorali. Si sono concentrati sugli swing states, quelli dove i due candidati sono vicini e dove probabilmente si deciderà la sfida per conquistare la Casa Bianca. Le visite a fabbriche e ospedali si sono trasformate in occasioni di propaganda elettorale.

Trump la scorsa settimana ha visitato la fabbrica Ford di Yspilanti in Michigan, riconvertita temporaneamente alla produzione di ventilatori. Due settimane fa aveva visitato due fabbriche, a Phoenix, in Arizona, dove si producono mascherine e un centro di distribuzione di prodotti medicali ad Allentown, Pennsylvania. Pence nel frattempo ha visitato una casa di riposo a Orlando in Florida ed è stato in Iowa, Minnesota e Wisconsin.

Tutti i viaggi presidenziali sono accomunati dai cortei di auto salutati per strada dai sostenitori con i cappellini Maga e le bandiere americane sventolate, dai toni da campagna elettorale con il sottofondo musicale dei comizi nelle arene di Trump. I messaggi sono sempre gli stessi: la spinta a riaprire gli Stati e a far ripartire l’economia, nonostante le indicazioni delle autorità sanitarie a rispettare le linee guida federali contro la pandemia, condite qua e là con attacchi a Biden e alla Cina, colpevole di tutti i mali.

Alla Ford c’è stato, di nuovo, un teatrino sulla mascherina. Trump ancora una volta, come aveva fatto in Arizona, nel suo solito impeto negazionista si è rifiutato di indossarla davanti alle telecamere: «Non voglio dare il piacere ai giornalisti di vedermi indossarne una», ha detto. Nonostante l’ordine esecutivo della giovane governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, una democratica, che obbliga tutti a indossarla in pubblico. E nonostante l’invito arrivato dal padrone di casa Bill Ford durante la visita agli stabilimenti: tutte le persone che lo accompagnavano, compresi i vertici aziendali, avevano la mascherina.

Trump però è stato obbligato a indossarla la maschera (colore blue navy ma qualcuno ci ha visto anche il colore democratico) «durante la visita privata alla Ford Gt», come informa una nota della casa automobilistica, e una foto è sfuggita.









Trump e il Covd-19
Gli USA sono un paese federale e il Presidente federale non ha il potere di fare quello che vuole e deve rispettare la volontà e la libertà di ogni singolo stato e poi sulle libertà personali la Costituzione americana è ferocemente garantista.




Coronavirus: Usa, altri 1.224 morti nelle ultime 24 ore
17 maggio 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... d9782.html


Nuovo drammatico record negli Stati Uniti dove nelle ultime 24 ore sono stati registrati 25.060 casi di coronavirus e altre 1.224 vittime. Secondo i dati della Johns Hopkins University sono almeno 1.467.884 le persone contagiate dal Covid-19 negli Usa e almeno 88.754 quelle morte a causa del virus.

I contagi da coronavirus bruciano le tappe in America Latina dove in meno di tre giorni sono cresciuti di 77.000 unità, superando il mezzo milione e raggiungendo esattamente quota 501.954, mentre il numero dei morti ha toccato quota 28.523 (+3.700). È quanto emerge da una statistica elaborata dall'ANSA per 34 nazioni e territori latinoamericani. E' sempre il Brasile a guidare la classifica con quasi il 45% dei contagiati e ben oltre la metà dei morti (15.633). Inoltre il colosso sudamericano è ora salito al quarto posto al mondo per numero di infettati, superando la Spagna. Seguono Peru' con 88.541 casi contagi e 2.523 morti, e Messico (47.144 e 5.045). Nella classifica con piu' di 5.000 contagi si posizionano quindi Cile (41.428 e 421), Ecuador (32.723 e 2.688), Colombia (14.939 e 562), Repubblica Dominicana (12.110 e 428), Panama (9.268 e 266) e Argentina (7.479 e 363).

Record di nuovi casi di coronavirus in India dove nelle ultime 24 ore 4.987 persone sono state trovate positive. Lo riporta la Cnn. Secondo il ministero della Salute, in totale ci sono 90.927 persone contagiate comprese 2.872 vittime. In soli due giorni l'India ha visto un aumento dei casi da 80.000 a 90.000.

Altre 583 persone sono state trovate positive al coronavirus in Germania nelle ultime 24 ore. Lo riferisce l'Istituto Robert Koch precisando che il numero totale dei contagi è salito a 174.355. In lieve aumento anche le vittime, altre 33 persone sono morte a causa del Covid-19, 7.914 dall'inizio dell'emergenza. La Germania è uno dei Paesi europei che ha iniziato ad alleggerire le misure con la riapertura venerdì dei ristoranti e la ripresa a porte chiuse del campionato di calcio. Il governo di Berlino ha, inoltre, abolito la quarantena obbligatoria, imposta a marzo, per chi arriva da un altro Paese Ue.

L'allentamento del lockdown in tanti Paesi europei non deve essere l'occasione "per festeggiare" la fine del coronavirus. E' il monito lanciato dal direttore regionale dell'Oms Hans Kluge in un'intervista al quotidiano britannico Daily Telegraph. "Giappone e Singapore hanno capito subito che questo non è il tempo per festeggiare ma per prepararsi", ha detto Kluge mettendo in guardia su una possibile ripresa del virus. "Sono molto preoccupato. In autunno potrebbe esserci una seconda ondata di Covid e un'altra di influenza stagionale". "Le persone pensano che il lockdown sia finito - ha sottolineato il direttore dell'Oms Europa - ma nulla è cambiato. Dobbiamo mettere in atto il pacchetto completo di misure- Questo è il messaggio chiave".



Coronavirus, per Trump è "America first" anche sul vaccino: ingaggia un militare e un ex di Big Pharma per vincere da solo e battere la Cina - Il Fatto Quotidiano
di Roberto Festa
16 maggio 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... a/5802874/

Si chiama “Warp Speed” ed è l'operazione voluta dal presidente per unire aziende farmaceutiche private, agenzie del governo e settori militari per bruciare i tempi ed arrivare alla fine dell’autunno al vaccino. Ma l'aggressività degli Usa su questo fronte li allontana dagli antichi alleati e nuoce alla sua leadership internazionale. L'obiettivo numero uno è arrivare prima della Cina perché, come ha detto un funzionario a Politico.com chiunque oggi riesca a produrre il vaccino "governa il mondo”

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È “America First” anche nella ricerca di un vaccino. Donald Trump assicura che entro la fine dell’anno gli Stati Uniti avranno un vaccino capace di debellare l’epidemia da Covid-19. Intanto nomina un boss di aziende farmaceutiche e un generale a quattro stelle per guidare l’“Operation Warp Speed”, la task force incaricata di selezionare i differenti esperimenti, procedere con i test clinici e iniziare la produzione di un vaccino entro la fine dell’anno. Soprattutto, in questo come in altri campi, l’amministrazione mostra la volontà di procedere in modo aggressivo, da sola, al di fuori di un quadro di collaborazione globale, spesso anzi in competizione con amici e rivali. La leadership che gli Stati Uniti hanno assunto in altri momenti e in altre emergenze sanitarie – vaiolo, polio, morbillo – è ormai solo un ricordo.

La task force per il vaccino – Moncef Slaoui e Gustav Perna sono gli uomini messi in queste ore da Trump ai vertici di “Operation Warp Speed”. Slaoui ha guidato la divisione vaccini dell’inglese GlaxoSmithKline, dove ha gestito la produzione di farmaci come il Rotarix (contro la diarrea nei bambini) e il Cervarix (che combatte infezioni virali che possono condurre al cancro cervicale). Una volta in pensione, Slaoui è stato cooptato nei board di diverse case farmaceutiche, tra cui Moderna, i cui esperimenti sul vaccino sono stati definiti “promettenti da Anthony Fauci, alla guida del team anti-Covid di Trump. Perna è invece un esperto di logistica militare. Dal 2016 è al comando dello U.S. Army Material Command, che si occupa proprio di approvvigionamenti per l’esercito americano in tutto il mondo. Sull’“Operation Warp Speed” l’amministrazione ha per il momento offerto pochi dettagli. Non si sa esattamente quali fondi avrà a disposizione né quale sarà il rapporto con i “National Institutes of Health”, gli uffici del governo che stanno già coordinando gli sforzi nella ricerca di una cura.

Le ambizioni – “Penso che avremo un vaccino entro la fine dell’anno, e penso anche che la distribuzione avverrà quasi simultaneamente perché abbiamo attivato l’esercito”, ha detto Trump. La strategia appare piuttosto chiara: unire aziende farmaceutiche private, agenzie del governo e settori militari per bruciare i tempi ed arrivare alla fine dell’autunno al vaccino – l’“Operation Warp Speed” ha al momento identificato almeno 14 progetti di ricerca promettenti. L’obiettivo dell’amministrazione è arrivare a 100 milioni di dosi entro novembre, 200 milioni entro dicembre e 300 milioni entro il gennaio 2021. La cosa è stata definita, con un certo scetticismo, “straordinariamente ambiziosa” dal senatore repubblicano Lamar Alexander e non è presa seriamente in considerazione dagli stessi esperti medico-sanitari americani. “Non avremo il vaccino prima di uno, due anni”, ha detto Fauci.

“America first” e da sola – Il fatto è che – soprattutto per ragioni politiche interne, legate alla necessaria ripresa dell’economia e alle imminenti elezioni politiche – Trump ha bisogno di anticipare i tempi, promettere, mostrare che la macchina del governo funziona perfettamente. E come molte altre volte nella storia recente – si tratti di politica militare, diplomazia, commercio – questa amministrazione si trova ad agire da sola e mostra una totale assenza di leadership. A un evento virtuale promosso dall’Unione Europea in cui sono stati raccolti otto miliardi di dollari, il “Coronavirus Global Response”, c’erano i rappresentanti di Giappone, Gran Bretagna, Cina, Canada, Turchia, Arabia Saudita, di molti Stati africani, del WTO e della Gates Foundation. Mancava un rappresentante statunitense. Non c’erano americani (e in realtà nemmeno cinesi) all’iniziativa promossa lo scorso 25 aprile dal WTO. E Washington non ci sarà nemmeno al previsto global summit il prossimo 4 giugno.

“È l’approccio dell’andar da soli che domina nell’amministrazione americana – ha detto Stephen Morrison, che guida i programmi sanitari del “Center for Strategic and International Studies” . “Il rischio è che le strategie americane intralcino gli sforzi internazionali per combattere il virus e creino tensioni, incertezze e insicurezza”. Il blocco dei fondi al WTO è dunque solo un episodio di una più vasta politica, che sostituisce il principio del coordinamento con quello della competizione. Lo si è visto recentemente, quando l’amministrazione Trump ha cercato di acquisire in esclusiva i diritti delle ricerche sul vaccino di una compagnia tedesca, la CureVac. L’azienda e i portavoce dell’amministrazione hanno negato la notizia, ma funzionari del governo tedesco l’hanno risolutamente confermata e condannato la mossa.

La guerra alla Cina – La vera competizione non è comunque con l’Europa, che mostra la volontà di agire soprattutto all’interno del quadro indicato dal WTO e che, attraverso proprie istituzioni e aziende, sta collaborando proficuamente con entità Usa, se non con il governo Usa. Due esempi per tutti: il Pasteur Institute di Parigi e Themis, una compagnia biomedica austriaca, lavorano con il “Center for Vaccine Research” della University of Pittsburgh; e il Wistar Institute di Philadelphia lavora a un vaccino insieme ai tedeschi di Richter-Helm BioLogics. La competizione vera è appunto con la Cina. In una rarissima dichiarazione comune, lo scorso 13 maggio, FBI e Homeland Security Department hanno accusato Pechino di voler rubare proprietà intellettuale nella ricerca per vaccini e test. “Il furto potenziale di queste informazioni mette a rischio la battaglia per trattamenti sicuri ed efficienti”, scrivono le agenzie del governo.

Il fatto è che diversi membri dell’amministrazione Trump ritengono che per la Cina sia oggi vitale trovare un vaccino – per ragioni politiche, mediche, economiche. “Sanno che chiunque oggi riesca a produrlo, fondamentalmente governa il mondo”, ha detto anonimamente un funzionario della sicurezza nazionale a Politico.com. Per Pechino e per il partito comunista cinese si tratta ovviamente di una questione di immagine internazionale, pesantemente intaccata dalla diffusione del virus. Ma si tratta anche e soprattutto di una questione economica. Un’ampia campagna di vaccinazioni consentirebbe alla Cina di “riaprire le sue aziende globali”, fa notare Ross McKinney Jr, dell’“Association of American Medical Colleges”. C’è infine una questione di carattere diplomatico. “Offrire” il proprio vaccino ai Paesi più colpiti dal Covid-19 allargherebbe la capacità di influenza a livello di globale di Pechino.

I rischi dell’aggressività Usa – Questo quello che in molti pensano nell’amministrazione e che spinge Washington a una politica molto aggressiva. La strategia appare rischiosa per due ordini di motivi. Da un lato allontana ancora di più gli Stati Uniti dagli antichi alleati e nuoce alla capacità americana di gestire le emergenze internazionali. Dall’altro pare molto difficile che un governo, fosse anche quello Usa, possa indirizzare a proprio esclusivo vantaggio la scoperta di un vaccino. L’infrastruttura sanitaria globale è un complesso amalgama di corpi governativi, aziende private, Ong, fondazioni, accordi multilaterali, condizionamenti nazionali. Sinergie, forme più o meno strette di collaborazione esistono ovunque, anche tra i due grandi “rivali”. Quest’anno scienziati cinesi e statunitensi hanno prodotto 407 ricerche sul tema coronavirus, e lo scorso gennaio Inovio Pharmaucetical, con base in Pennsylvania, ha annunciato un progetto di collaborazione sul vaccino con la cinese Advaccine Biotechnology.

Difficile dunque, in questo contesto, gestire e vincere una battaglia nazionalistica sui vaccini. Un esempio è venuto in queste ore, dopo che Paul Hudson, direttore generale della francese Sanofi, ha annunciato che la sua azienda distribuirà negli Stati Uniti, prima che in Europa, un eventuale vaccino (il governo americano, lo scorso febbraio, ha finanziato Sanofi con 30 milioni di dollari). La reazione del primo ministro francese Edouard Philippe, secondo cui un vaccino sarebbe “un bene pubblico mondiale”, ha portato all’immediata rettifica da parte dell’azienda. L’aggressività mostrata da Trump in queste settimane in tema di soluzioni contro il Sars Cov 2 fa dunque parte di un approccio ideologico che Trump, crisi dopo crisi, ha applicato in questi anni. “È il suo modo di mandare un messaggio all’opinione pubblica interna – ha spiegato ancora Stephen Morrison, del “Center for Strategic and International Studies” – e dirgli che noi ci muoviamo da soli, che non ci affidiamo agli altri, che otterremo risultati in modo più veloce e furioso”. In altre parole, per Trump, è ancora una questione di “America First”.


Come si dividono in Usa Apple, Amazon, Google e Tesla sulle riaperture
di Alessandro Sperandio
17 maggio 2020

https://www.startmag.it/innovazione/com ... e-e-tesla/

Apple, Amazon, Facebook, Google, Microsoft e Tesla: chi e perché si divide sulle riaperture negli Stati Uniti. Approfondimento di Axios

Anche negli Stati Uniti si sta dibattendo sulla riapertura delle attività economiche durante la pandemia Covid-19. E anche lì, come nel nostro paese, ci si divide, compreso nella potente Silicon Valley che in genere mostre due linee di pensiero bene distinte, secondo quanto riporta Scott Rosenberg di Axios: tecnocrati e libertari.

SILICON VALLEY DIVISA IN DUE

Il dibattito negli Usa è particolarmente rilevante perché la pandemia da Covid-19 ha amplificato il potere dei colossi della tecnologia

Rosenberg ricorda che le aziende e i leader più influenti degll’High Tech sono stati tra i primi a mandare a casa i lavoratori durante la pandemia, e la mentalità del settore basata su un chiaro “fidati dei dati” ha plasmato la loro risposta.

“I numeri uno delle Big Tech come Tim Cook, Mark Zuckerberg, Sundar Pichai e Satya Nadella hanno presentato via via posizioni misurate su come e quando un attento ritorno al lavoro avrebbe potuto avere senso, guidando costantemente i loro colleghi di altri settori nel rimandare le date di riapertura previste”, sottolinea Axios.

LA POSIZIONE DI BILL GATES

Una voce di spicco durante tutta la crisi è stata l’icona del settore Bill Gates, che ha dedicato gran parte della sua carriera filantropica alla salute pubblica e ha a lungo messo in guardia dai pericoli di una pandemia.

Nei discorsi e negli articoli di queste ultime settimane, Gates ha esortato gli americani a fidarsi degli esperti scientifici e a procedere con cautela, scrivendo di recente che, i leader soppesano “i rischi e i benefici dell’apertura di varie parti dell’economia” ma devono anche considerare che “se uno Stato si apre troppo velocemente e comincia a vedere molte infezioni” potrebbero crearsi nuovi problemi.

NON TUTTI SONO ALLINEATI SUL COVID-19

Non tutto il settore tecnologico è però allineato su queste posizioni: mentre prosegue il lockdown e il prezzo economico della crisi sta salendo, c’è una parte che si è coalizzata intorno a un sentiment: “Maledetto il virus, avanti a tutta velocità”.

LA STOCCATA DI ELON MUSK

Tra di loro, ricorda Rosenberg, figura Elon Musk che ha guidato le accuse con una stoccata scandita in modo esplicito che ha etichettato il confinamento in casa come incostituzionale. La posizione di Musk ha suscitato echi di simpatia tra alcuni noti venture capitalist, tra cui Adam Draper (“è tempo di liberarci per il bene del progresso”) e Jason Calacanis.

Nel podcast di Joe Rogan, Musk ha rafforzato la sua posizione: “Non dovremmo rinunciare alle nostre libertà troppo facilmente. Penso che l’abbiamo fatto, in realtà. Se si è a rischio e si vuole rischiare la propria vita, si dovrebbe avere il diritto di farlo”.

LE PRESSIONI DI CHI VIVE NEL MONDO ‘REALE’

Ma così facendo, spiega Rosenberg, Musk scorda che l’assunzione di rischi individuali durante una pandemia spesso mette a rischio anche altri. “Gli amministratori delegati delle aziende che trattano beni fisici (come la Tesla di Musk) sentono una pressione più forte a riaprire velocemente rispetto a quelli che gestiscono imperi software che possono operare più agevolmente e in sicurezza a distanza – si legge su Axios -. Jeff Bezos, la cui Amazon si trova a cavallo tra questi due mondi, è rimasto per lo più sullo sfondo di questo dibattito”.

“Il libertarismo – un’ideologia che corre in profondità in alcune parti del mondo tecnologico – sottolinea i diritti individuali sulla responsabilità della comunità. Questo lo mette in contrasto con le pratiche di salute pubblica per la lotta contro le epidemie, che perdono efficacia se non vengono ampiamente seguite – ha commentato Rosenberg -. I fondatori di aziende e i Venture capitalist sono giocatori d’azzardo e amanti del rischio, ma la maggior parte delle persone non lo sono. Le leggi e le consuetudini di solito mirano a bilanciare i diritti individuali con le esigenze del gruppo”.



Coronavirus, Usa: più di 80mila i morti. Fauci: “Riaprire causerebbe sofferenze e morte”. A Times Square “l’orologio della morte di Trump”
Giuseppe Girardi
13 maggio 2020

https://www.lagone.it/2020/05/13/corona ... rte-trump/

l presidente ha poi attaccato la corrispondente della Cbs News di origini cinesi, Weijia Jiang, che gli ha chiesto perché rappresentare come una vittoria americana il fare tanti test quando quando ci sono così tanti morti per il Covid-19: “Chiedilo alla Cina”

Supera la soglia degli 80mila il numero dei morti provocati dal coronavirus negli Stati Uniti. Dai dati pubblicati dalla Johns Hopkins University, nel Paese i decessi accertati sono 80.682, di cui 1.154 nelle ultime 24 ore e sono stati registrati 17.597 nuovi casi, con 1.347.388 contagiati accertati. New York resta lo stato più colpito, con 337.055 casi e 26.988 vittime. E viene proprio dalla Grande Mela l’ultimo attacco al presidente Donald Trump: è stato installato a Times Square un pannello luminoso ribattezzato ‘Trump Death Clock‘, l’orologio della morte di Trump che conta il numero di vittime provocate, a dire degli ideatori, dall’avversione del tycoon alle restrizioni anti-coronavirus nei primi giorni dell’emergenza. Più di 48 mila finora rispetto agli 80 mila del conteggio ufficiale: un calcolo che considera come si sarebbe potuto evitare il 60% dei decessi se la Casa Bianca avesse deciso di varare le restrizioni una settimana prima di quanto fatto.E sui numeri Trump ha avuto lunedì un duro scambio di battute con una giornalista di origine asiatiche durante la conferenza stampa nel Rose Garden della Casa Bianca: in risposta a una sua domanda, il tycoon ha replicato “chiedilo alla Cina”. Mentre l’infettivologo Usa, Anthony Fauci, è tornato a schierarsi contro l’ipotesi di una riapertura: “Provocherà solo inutili sofferenze e morte“.

Lo scontro con la giornalista di origini cinesi: “Fai questa domanda a Pechino”
La pressione sul presidente americano, in vista anche delle elezioni presidenziali, è sempre più alta e l’atteggiamento irascibile di Trump lo fa capire: bloccato politicamente, con il numero dei morti che continua a crescere e nessuno che gli riconosca i suoi presunti successi nel gestire la pandemia.

Non stupisce quindi più di tanto lo scontro avuto durante la conferenza stampa di ieri con la corrispondente della Cbs News, Weijia Jiang. Alla domanda della giornalista sul perché rappresentare come una vittoria degli Stati Uniti il fare tanti test quando oltre 80mila americani sono morti per il Covid-19, il presidente ha risposto piccato: “È una domanda che dovresti fare alla Cina. Non chiedere a me, fai alla Cina questa domanda, va bene?”. Trump ha poi dato la parola alla corrispondente della Cnn, che a sua volta, però, ha riconsegnato il microfono alla Jiang, figlia di genitori cinesi immigrati negli Usa quando lei aveva due anni. “Presidente, perché dice proprio a me che dovrei fare le mie domande alla Cina?”, ha domandato la giornalista della Cbs. Trump, che non ha apprezzato la collaborazione tra la stampa, ha risposto: “Stavo parlando con te, rispondo così a tutti quelli che mi fanno questa brutta domanda“. A quel punto Trump ha negato anche la domanda alla reporter della Cnn e se ne è andato stizzito.

La conferenza stampa era stata indetta per affermare che l’America è pronta a riaprire e che, come recitavano due enormi striscioni messi dietro al podio, “è leader nel mondo per il test”. Trump ha sottolineato che la sua amministrazione “ha prevalso” sui test, rivendicando di averne fatti oltre 9 milioni e affermando che ogni americano che voglia sottoporsi al test anche quotidianamente potrà farlo “molto presto”. La dichiarazione del presidente, però, è stata subito bollata come irrealistica dalla stampa Usa, dal momento che ad oggi si realizzano negli Paese circa 300mila test al giorno.

Fauci: “Se riapriamo prematuramente rischiamo epidemie multiple”
Intanto è di nuovo l’infettivologo Anthony Fauci, a capo della task-force Usa anti-coronavirus, a opporsi alle ambizioni di riapertura immediata del presidente. Parlando al New York Times, il medico ha dichiarato: “Il messaggio principale che desidero trasmettere è il pericolo di cercare di aprire prematuramente il Paese, rischiamo epidemie multiple. Ciò non solo comporterà inutili sofferenze e morte, ma ci farebbe tornare indietro nella nostra ricerca per tornare alla normalità”.

Fauci è poi intervenuto per la prima volta davanti alla commissione Sanità del Senato americano. Nel suo discorso in videoconferenza ha dichiarato che per il vaccino sarà necessario ancora un po’ di tempo per svolgere molti test clinici. Fauci ha spiegato come la speranza sia di passare alla nuova fase della sperimentazione a fine primavera e inizio estate e raccogliere i risultati a fine autunno o inizio inverno. Questo però non vuol dire che il vaccino sarà pronto per essere messo a disposizione del pubblico.

Obbligo di indossare la mascherina alla Casa Bianca. Trump l’unico che si rifiuta
Confusione sui numeri c’è stata anche sui fondi per finanziare i test per tutto il Paese. Il presidente ha annunciato di aver stanziato un miliardo di dollari, ma è stato subito corretto da Brett Giroir, sottosegretario alla Sanità, che ha aumentato la cifra a 11 miliardi di dollari per i test, spiegando anche che per ottenere i fondi gli Stati devono prevedere piani per fare i test nelle “comunità vulnerabili”, come case di cura, strutture per disabili e carceri.

Intanto è scattato l’obbligo di indossare la mascherina alla Casa Bianca, dopo che due membri dello staff, la portavoce di Mike Pence, Katie Miller, un valletto del presidente e diversi agenti del Secret Service sono risultati positivi al coronavirus. L’obbligo però non sembra comprende Trump che nei giorni scorsi si è mostrato in pubblico senza. “Nel mio caso, io non sono vicino a nessuno, ma se guardate a queste persone – ha giustificato la sua scelta indicando il suo staff – ognuna ha la mascherina”. Assente durante la conferenza stampa il vicepresidente Pence che nelle scorse settimane si era scusato per non aver indossato la mascherina durante la visita in un ospedale. Allo stesso tempo, però, il vicepresidente non ha voluto mettersi in quarantena nonostante la sua portavoce sia risultata positiva, non rispettando quindi l’indicazione dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie. Ma Trump ha ostentato tranquillità riguardo ai casi di contagio alla Casa Bianca. “Credo che stiamo facendo proprio un buon lavoro a tenere la situazione sotto controllo – ha detto il presidente americano – questo in parte è grazie a tutti i test che possiamo fare”.


Coronavirus. Negli Usa oltre 90mila morti. Trump minaccia stop definitivo a fondi e adesione Oms
19 maggio 2020

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 02909.html


Gli Stati Uniti hanno superato la soglia dei 90mila decessi e di un milione e mezzo di casi confermati di contagio da coronavirus. Solo nello Stato di New York i morti sono 22.619. I nuovi dati sono riportati nel conteggio della John Hopkins University, che registra 1.500.753 casi e 90.312 decessi. Per il secondo giorno consecutivo sono in calo i decessi: 759 nelle ultime 24 ore.

Trump: "Oms burattino della Cina"
Donald Trump intanto è tornato ad attaccare l'Oms - di cui è in corso l'Assemblea mondiale - definendola "un burattino nelle mani della Cina". Secondo il Presidente Usa l'Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe aiutato i cinesi a nascondere la reale portata dalla pandemia nelle sue fasi iniziali. Per questo ha annunciato che intende tagliargli i fondi, portandoli dai 450 attuali a 40 milioni di dollari.

Ore prima, il presidente cinese Xi Jinping aveva assicurato che tutte le informazioni sono state diffuse in modo tempestivo da Pechino e promesso 2 miliardi in due anni per la lotta all'epidemia. L'anno scorso la Cina ha donato 86 milioni all'agenzia. È stato poi il segretario generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ad annunciare la valutazione indipendente sulla risposta dell'Oms: avverrà "al momento appropriato, prima possibile". Non ora, perché per l'agenzia realizzarlo "in piena risposta" alla pandemia danneggerebbe la capacità di reagire. Anche Xi si è detto favorevole alla valutazione, ma "quando la situazione sarà sotto controllo".

Trump minaccia stop definitivo a fondi e adesione Oms
Se l'Oms "non si impegna su sostanziali miglioramenti nei prossimi 30 giorni, renderò definitiva la mia decisione temporanea di sospendere i finanziamenti Usa all'Organizzazione mondiale della sanità e riconsidererò la nostra adesione all'Oms". E' quanto scrive il presidente americano Donald Trump in una lettera inviata al direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, postata su Twitter, in cui il tycoon elenca le accuse sulla gestione della crisi del Covid-19 e l'eccessiva vicinanza alla Cina.

"Prendo idrossiclorochina da oltre una settimana e mezzo", le parole shock del Presidente
"Prendo l'idrossiclorochina da oltre una settimana e mezzo. Sono sempre stato negativo al coronavirus. Vengo sottoposto al test ogni due giorni". Le parole shock del Presidente Trump, stanno sollevando un mare di polemiche. "Una pillola al giorno, cosa c'è da perdere...", ha sottolineato il Tycoon. Poi ha spiegato anche di aver chiesto al medico della Casa Bianca se poteva prendere l'idrossiclorochina prima di iniziare ad assumerla. Alla domanda se il medico della Casa Bianca glielo avesse raccomandato, Trump ha risposto: "no". Quanto alle prove sull'efficacia del farmaco antimalarico, il presidente ha spiegato: "Ricevo molte chiamate positive a riguardo, ecco le mie prove", sottolineando che non sa se funzioni o meno, ma "in caso contrario, non ti ammalerai e morirai". "L'ho preso ogni giorno per circa una settimana e mezza ormai, e sono ancora qui", ha aggiunto.

Cuomo: "Stato New York aiuterà ripresa sport"
Il Governatore di New York, Andrew Cuomo, incoraggiato le franchigie sportive a riprendere l'attività senza i tifosi. "Hockey, basket, baseball, football americano, chiunque riapra siamo pronti a collaborare - ha detto Cuomo, 62 anni, in una conferenza stampa - Credo sia nell'interesse delle persone e dello Stato di New York". Lo sport professionistico è stato sospeso negli Stati Uniti da metà marzo a causa della pandemia di Covid-19. L'Nba, che ha due franchigie nella 'Big Apple' (Nets e Knicks) non ha ancora commentato la possibile ripresa della sua stagione, mentre l'Nfl ha rinviato la riapertura dei centri di allenamento delle squadre al 29 maggio.



Coronavirus, Oms inchiesta ci sarà al momento opportuno
19 maggio 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... b151c.html


L'assemblea dell'Oms ha approvato una risoluzione che sancisce l'accordo di "avviare al momento opportuno e in consultazione con gli Stati membri - si legge nel testo - un processo graduale di valutazione imparziale, indipendente e globale della risposta sanitaria coordinata dall'Oms" nella crisi del coronavirus. L'inchiesta dovrà valutare "le azioni dell'Oms e la loro tempistica relativa alla pandemia Covid-19 e formulare raccomandazioni per migliorare la prevenzione globale e la capacità di risposta, anche attraverso un rafforzamento appropriato del programma di emergenza sanitaria dell'Oms". La risoluzione, approvata per alzata di mano, era stata proposta tra gli altri dall'Unione Europea e dai suoi Stati membri, e aveva raccolto l'adesione di oltre 100 Paesi.

Il documento approvato dalla plenaria dell'assemblea dell'Oms esorta tra le varie cose gli Stati membri a "fornire finanziamenti sostenibili all'Organizzazione mondiale della sanità per garantire che possa rispondere pienamente alle necessità di salute pubblica nella risposta globale al coronavirus".

"Sin dall'inizio della pandemia, l'Italia ha promosso il rafforzamento della leadership globale e della solidarietà internazionale per gestire l'emergenza e accelerare soluzioni sostenibili a lungo termine guidate da scienza, ricerca e medicina", ha detto il premier Conte intervenendo alla sessione conclusiva della 73/esima Assemblea mondiale della salute. "Ammettiamolo: non eravamo completamente preparati per una crisi globale così grande. Abbiamo dimostrato grande capacità di recupero, ma ora siamo chiamati a imparare le nostre lezioni e sicuramente abbiamo lezioni da imparare. Dobbiamo rafforzare i meccanismi di allarme rapido, lo scambio di informazioni, l'identificazione delle migliori pratiche per migliorare la preparazione alla pandemia della comunità internazionale", ha proseguito il premier italliano, aggiungendo: "Sin dalla prima richiesta italiana di un'alleanza internazionale per combattere COVID-19, insieme all'OMS, agli attori sanitari globali e ai principali paesi partner, abbiamo lanciato l' ACT Tools Accelerator, una piattaforma globale per accelerare gli sforzi per un vaccino, strumenti terapeutici e diagnostici e garantire un accesso universale ed equo a questi trattamenti salvavita. Non dovremmo lasciarci nessuno alle spalle".

Poco prima dell'avvio dell'assemblea è scoppiato il caso della lettera inviata da Trump al numero uno dell'organizzazione.

Se l'Oms "non si impegna su sostanziali miglioramenti nei prossimi 30 giorni, renderò definitiva la mia decisione temporanea di sospendere i finanziamenti Usa all'Organizzazione mondiale della sanità e riconsidererò la nostra adesione all'Oms". Lo scrive il presidente americano Donald Trump in una lettera al direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, postata su Twitter, in cui il tycoon elenca le accuse sulla gestione della crisi del Covid-19 e l'eccessiva vicinanza alla Cina. La lettera di Trump è stata resa nota nel giorno in cui a Ginevra si tiene l'assemblea mondiale della sanità.

Datata 18 maggio, il giorno dell'assemblea, la missiva elenca in 4 pagine le accuse del tycoon sul "fallimento della risposta" dell'Oms al Covid-19 alla luce dell'apposito esame fatto dopo la sospensione temporanea dei contributi Usa annunciata il 14 aprile, da cui è emerso "un'allarmante carenza di indipendenza dalla Repubblica popolare cinese". Entro fine dicembre l'ufficio di Pechino dell'Oms era a conoscenza di un problema a Wuhan, e il 31 dicembre le autorità di Taiwan segnalarono la trasmissione dell'infezione da uomo a uomo. L'Oms ha ripetutamente, secondo Trump, dato giudizi "inaccurati e furovianti", spesso riprendendo le posizioni cinesi, tra la non trasmissione del virus da uomo a uomo, e le lodi sulla "trasparenza" del direttore generale alla Cina dopo l'incontro del 28 gennaio a Pechino con il presidente Xi, nonché una presunta telefonata del 21 gennaio di Xi col numero uno dell'Oms perché non dichiarasse l'emergenza epidemica. "La mia amministrazione - scrive Trump - ha già iniziato le discussioni su come riformare l'Organizzazione". In caso contrario, in assenza di cambiamenti significativi, "non permetterò che i dollari dei contribuenti americani continuino a finanziare un'Organizzazione che, allo stato, non sta chiaramente servendo gli interessi dell'America".

LA REPLICA DELLA CINA: LA LETTERA DI TRUMP CI INFANGA - La lettera inviata dal presidente Trump all'Oms "inganna l'opinione pubblica e infanga la Cina": è la risposta del portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian alla mossa del tycoon che ha postato in piena notte su Twitter le 4 pagine della missiva al direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, accusando la cattiva gestione dell'Oms nella crisi del Covid-19 e la mancanza di indipendenza da Pechino. La lettera "tenta di spostare le colpe dalla risposta maldestra" degli Usa alla pandemia, ha aggiunto Zhao.

LA POSIZIONE DELLA UE SULLA LETTERA DI TRUMP, SOSTENIAMO L'OMS - "Abbiamo già avuto la possibilità di rispondere a questa domanda una volta che Trump ha sospeso i finanziamenti Usa all'Oms. L'Ue sostiene la cooperazione internazionale e la ricerca di soluzioni globali nell'ambito di questa pandemia. Lo abbiamo già detto, adesso è il momento della solidarietà e non quello di puntare il dito". Così una portavoce della Commissione europea a chi le chiedeva di commentare la mossa di Trump. "L'Ue sostiene le iniziative dell'Oms per lottare contro la pandemia", ha aggiunto.

IL MESSAGGIO DEL MINISTRO SPERANZA ALL'OMS - "Rafforzare il ruolo centrale dell'Oms, soprattutto in tempi di crisi, lavorare insieme per costruire un'Agenzia più forte. Dobbiamo assicurarci che sia completamente indipendente da influenze esterne, politiche o finanziarie, e che sia guidata solo dalla scienza": lo ha detto in ministro della Salute, Roberto Speranza, al termine del suo intervento all'Assemblea Generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sottolineando l'importanza di un vaccino come diritto di tutti. "In questo senso è importante che gli Stati contribuiscano - ha aggiunto Speranza - con risorse umane e finanziarie con l'unico obiettivo di aumentare la preparazione e la risposta dei singoli Paesi con il supporto di alto livello tecnico e scientifico dell'Agenzia al servizio di tutti gli individui. Una sfida fondamentale è lo sviluppo di un vaccino per il COVID-19 sicuro ed efficace. Dobbiamo e che sia considerato un bene pubblico globale, un diritto di tutti e non un privilegio per pochi".

L'ASSEMBLEA OMS IN DIRETTA DA GINEVRA

Trump ha anche riferito che prende l'idrossiclorochina (un anti malarico, ndr) "da oltre una settimana e mezzo". "Una pillola al giorno, cosa c'è da perdere", ha detto alla Casa Bianca, aggiungendo di essere testato ogni due giorni e di esser sempre stato negativo al coronavirus. "Un paio di settimane fa ho cominciato a prenderla", ha detto ai reporter, aggiungendo di essersi consultato con il medico della Casa Bianca. I dati preliminari sull'idrossiclorochina mostrano che il farmaco non ha alcun beneficio provato o ha benefici limitati per i malati di coronavirus, con effetti che possono anche essere dannosi se la sostanza è usata in certe combinazioni.

LA RICHIESTA DELL'IRAN, STOP ALLE SANZIONI - L'Iran ha chiesto all'Organizzazione mondiale della sanità di intervenire per porre fine alle "crudeli sanzioni" che impediscono a Teheran e altri Paesi di acquisire medicine e apparecchiature sanitarie per far fronte all'emergenza Covid-19. Lo ha riferito il ministro della Salute iraniano Saeed Namaki. "Condanniamo il tentativo americano di indebolire l'Oms", ha aggiunto il ministro, citato dai media locali.




Trump inchioda l'Oms: "Servi della Cina, avete fatto morire migliaia di persone"

Antonio Pannullo
martedì 19 maggio 2020

https://www.secoloditalia.it/2020/05/tr ... ampaign=nl


Donald Trump minaccia la sospensione definitiva dei fondi all’Oms e l’uscita degli Stati Uniti dall’organizzazione se non si impegnerà “a importanti miglioramenti sostanziali” entro 30 giorni. E’ quanto si legge in una lettera di quattro pagine che Trump ha inviato al direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, l’etiope ex guerrigliero molto amico di Pechino. Trump ha poi condiviso la lettera sul suo account twitter.

Trump: o cambiate rotta o noi siamo fuori

Nella lettera diffusa mentre è in corso l’Assemblea dell’Organizzazione mondiale della Sanità a Ginevra, Trump denuncia “i ripetuti passi falsi” dell’Oms e del suo direttore generale nella risposta alla pandemia, che “sono stati estremamente costosi per il mondo”. Nel ripercorrere tutti passaggi dall’inizio della crisi in Cina, “le pressioni” di Pechino sull’Oms e le dichiarazioni dell’Organizzazione, “inaccurate o fuorvianti”, il presidente lancia un ultimatum e avverte che gli Stati Uniti potrebbero rendere permanente il congelamento temporaneo dei fondi e riconsiderare la loro adesione se entro 30 giorni non ci saranno miglioramenti.

Gli Usa non finanzieranno un’organizzazione dannosa

“L’unico modo di procedere per l’Oms è se può dimostrare indipendenza dalla Cina”. Le discussioni sulla riforma dell’organizzazione sono già iniziate, ma “un’azione è necessaria con urgenza – ha esortato Trump – Non abbiamo tempo da perdere. Non posso permettere che i dollari dei contribuenti americani continuino a finanziare un’organizzazione che, allo stato attuale, chiaramente non sta servendo gli interessi americani”. Né quelli del pianeta, aggiugeremmo noi.

Trump: il precedente direttore si comportò meglio

Nella lettera, di 14 punti, non manca un riferimento all’epoca della Sars e a un’ex direttrice dell’Oms, la norvegese Gro Harlem Brundtland, in carica dal 1998 al 2003. “Forse – si legge – peggio di tutti questi errori c’è il fatto che sappiamo che l’Oms avrebbe potuto fare di meglio”. “Solo pochi anni fa, sotto la direzione di un diverso direttore generale, l’Oms ha dimostrato al mondo quanto ha da offrire”. Il documento fa riferimento al 2003, alla Sars, alla Brundtland e al primo alert per i viaggi in 55 anni di storia. “Lei non esitò neanche a criticare la Cina per aver messo in pericolo la salute globale tentando di coprire l’epidemia con la solita strategia di arrestare i whistleblower e censurare i media. Molte vite avrebbero potuto essere risparmiate se aveste seguito l’esempio della Brundtland”.

Già a dicembre l’ufficio di Pechino dell’Oms sapeva tutto

Il presidente americano denuncia “l’allarmante assenza di indipendenza” dell’Oms dalla Cina. Al primo punto accusa l’Organizzazione di aver “sistematicamente ignorato notizie credibili sulla diffusione del virus a Wuhan a inizio dicembre 2019 o anche prima”. E poi di non aver “indagato in modo indipendente sulle notizie credibili che erano in aperto conflitto con i resoconti ufficiali del governo cinese”. “Entro e non oltre il 30 dicembre 2019, l’ufficio dell’Oms a Pechino sapeva” dei timori per la salute pubblica a Wuhan, prosegue il testo che riporta come “tra il 26 e il 30 dicembre” scorsi i media cinesi parlassero di un “nuovo virus” nella megalopoli.
Ma l’Oms disse che non si trasmetteva tra gli umani

A fine dicembre, si legge nella lettera, “le autorità di Taiwan avevano comunicato informazioni all’Oms sulla trasmissione tra esseri umani di un nuovo virus”. Ma, prosegue, l’Oms “ha scelto di non condividere queste informazioni cruciali con il resto del mondo, forse per motivi politici”. La Cina “non ha informato” tempestivamente l’Oms – “entro le 24 ore” imposte dalle normative – su quanto stava avvenendo a Wuhan.

Poi cita il dottor Zhang Yongzhen del Centro clinico per la salute pubblica di Shanghai, che “il 5 gennaio 2020 ha comunicato alle autorità cinesi” di aver scoperto la sequenza del genoma virale, ma questa informazione non è stata resa pubblica se non “sei giorni dopo, l’11 gennaio, quando il dottor Zhang pubblica online” la scoperta. Il giorno dopo, però, si ricorda, il suo laboratorio è stato chiuso per una non meglio precisata “rettifica” e l’Organizzazione è rimasta “in silenzio”.

L’organizzazione ha sempre ceduto alla Cina

L’Oms ha poi diffuso informazioni “esageratamente imprecise o fuorvianti”, a cominciare dal “14 gennaio” quando l’Organizzazione “ribadisce in modo gratuito la teoria della Cina, ora confutata, secondo cui il coronavirus non poteva essere trasmesso tra esseri umani”, con dichiarazioni in “aperto scontro con le informazioni censurate da Wuhan”. “Avete ceduto a queste pressioni e detto al mondo, il giorno dopo, che il coronavirus non rappresentava una Emergenza internazionale di salute pubblica”. “Ma il 30 gennaio 2020, prove schiaccianti del contrario vi hanno costretto a cambiare rotta”.

Trump: sul lockdown, applausi alla Cina e critiche per gli Usa

Trump punta inoltre il dito contro l’Oms per aver espresso apprezzamento per le restrizioni sugli spostamenti imposte dalla Cina e di essere stata al contempo “inspiegabilmente contraria alla mia chiusura del confine degli Usa, il ban, riguardo le persone in arrivo dalla Cina”. E ancora, “il 3 febbraio la Cina faceva forti pressioni sugli altri Paesi per la revoca o il blocco delle restrizioni ai viaggi”, una “campagna di pressioni rafforzata dalle vostre dichiarazioni errate con cui quel giorno dicevate al mondo che la diffusione del virus fuori dalla Cina era minima e lenta”.

L’Oms ha fallito in tutto causando migliaia di morti

Il 3 marzo, prosegue la lettera, “l’Oms citava dati ufficiali cinesi per minimizzare il rischio della diffusione asintomatica”. “E’ ora chiaro che le affermazioni della Cina, ripetute al mondo dall’Organizzazione, erano ampiamente inaccurate”. Così, aggiunge, “quando l’11 marzo 2020 avete finalmente dichiarato la pandemia, il virus aveva ucciso più di 4.000 persone. E i contagi erano più di 100.000 in almeno 114 Paesi del mondo”. “L’Oms – recita l’ultimo punto – ha fallito nel chiedere pubblicamente alla Cina di consentire un’inchiesta indipendente sulle origini del virus” e questo ha “portato all’adozione della risoluzione Covid-19 Response”.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:26 am

Covid 19, Trump prepara una nuova stretta per gli immigrati
Giampiero Di Santo
25 maggio 2020

https://www.italiaoggi.it/news/covid-19 ... 1945448477

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si prepara a estendere ed espandere le restrizioni all’ingresso nel paese di lavoratori stranieri durante la pandemia, per venire incontro ai desideri di parte della popolazione alle prese con la necessità di tornare al lavoro dopo il lockdown. I sostenitori delle necessità di inasprire la linea dura nei confronti degli immigrati continuano a esercitare un forte pressing sul presidente Trump perché si convinca a rafforzare l’ordine esecutivo che ad aprile ha impedito a parecchie categorie di lavoratori stranieri di entrare temporaneamente negli Usa. Il fronte anti immigrazione sostiene infatti che quella direttiva non ha fatto abbastanza per affrontare il problema data la vertiginosa ascesa del tasso di disoccupazione e l’approssimarsi delle elezioni presidenziali. Certo è che il rischio di un inasprimento preoccupa i leader degli imprenditori Usa, che ritengono necessario l’ingresso di lavoratori dall’estero, anche se molti americani sono rimasti senza lavoro, per evitare che le industrie vitali per l’economia Usa restino senza personale.

Per tenere insieme le due esigenze, l’amministrazione Usa pensa di limitare il numero di immigranti che vengono negli Usa per scambi culturali, generalmente gli stagionali assunti per lavori estivi nei parchi di divertimento e nei resort, e di studenti stranieri assunti nei college Usa per lavori temporanei. E’ allo studio anche l’ipotesi di tagliare I visti di ingresso per i lavoratori qualificati in occupazioni speciali e per gli stagionali che lavorano in industrie come l’architettura del paesaggio, la manutenzione edilizia e le costruzioni.

Più di un milione di immigranti ricevono ogni anno questi visti, circa il 70% di tutti i lavoratori ospiti negli usa, secondo l’ Economic Policy Institute.

Trump starebbe considerando restrizioni anche più ampie, e potrebbe essere impedito totalmente l’ingresso negli usa a tutte le categorie di lavoratori stranieri, con l’eccezione di quelli impiegati nelle fattorie. Fonti della Casa Bianca, però, sottolineano che tutte le scelte, comprese quelle relative all’immigrazione, dovranno tenere conto della necessità di riaprire il paese, rendendo quindi estremamente improbabile che Trump adotti decisioni troppo drastiche e che scatenerebbero le ire degli imprenditori.

L’ordine esecutivo, il secondo di Trump in tale direzione, potrebbe essere firmato questa settimana, ma Jared Kushner, genero del presidente e suo consigliere, potrebbe cercare di bloccarlo. E’ stato del resto lo stesso Kushner, nel corso di un incontro che si è tenuto in aprile nello studio ovale della Casa Bianca, a convincere il presidente a prevedere eccezioni per le centinaia di migliaia di lavoratori temporanei. Inoltre, ogni nuovo ordine esecutivo continuerà a esentare dalle restrizioni i professionisti della sanità, coloro che entrano negli Usa per ragioni di sicurezza nazionale, gli iracheni e gli iraniani che lavorano per il governo degli Stati uniti e i componenti delle forza armate Usa.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:26 am

I dementi antitrumpiani di Repubblica

Idrossiclorochina, il farmaco che piace ai populisti

Trump lo prende tutti i giorni. Bolsonaro lo loda come la risposta per prevenire l'infezione da Covid-19. Ma sugli effetti di questa presunta panacea gli scienziati hanno dubbi
di PIETRO DEL RE
20 maggio 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 257142816/


ROMA - A sentire il presidente Donald Trump, un rimedio per prevenire il Covid-19 esiste ed è l'idrossiclorochina, tanto che lui l'assume una volta al giorno. Lo stesso fa il suo omologo brasiliano, Jair Bolsonaro, un altro capo di Stato sempre restio a indossare la mascherina e sempre più propenso alla riapertura di tutte le attività economiche, sebbene nel suo Paese i morti e i contagi siano in continuo aumento. È vero, né l'ungherese Orban né il turco Erdogan si sono ancora espressi sulle virtù farmacologiche della clorochina, ma tutto lascia pensare che quella che in origine è una molecola antimalarica piaccia molto ai presidenti populisti.


Coronavirus, la clorochina contro l'epidemia: cosa sappiamo

Perché? Anzitutto perché se fosse davvero efficace, il che è messo in dubbio da buona parte del mondo scientifico, ciò li solleverebbe da ogni responsabilità sugli effetti della pandemia in corso. E poi perché nell'idrossiclorochina avrebbero trovato una panacea già disponibile e a buon mercato. Infine, perché significherebbe non dover aspettare mesi per la scoperta del vaccino né tantomeno essere costretti investire fortune nella sua ricerca. "L'uomo forte ha bisogno di risposte chiare e vorrebbe disporre subito dell'arma letale contro il Covid-19", dice il filosofo francese Marek Halter. "Con l'antimalarico sperano di aver trovato il modo di risolvere al più presto la crisi sanitaria, senza troppe attese, dibattiti o discussioni politiche. Vorrebbero una soluzione semplice, poco costosa e immediata. Il che è ovviamente un'illusione".

C'è poi un'altra spiegazione del fascino che esercita l'idrossiclorochina sui leader populisti. E questa è di tipo economico. "Sono certo che Big Pharma è già pronto a produrre l'antimalarico in grande quantità. Distribuirlo su scala mondiale significherebbe ottenere guadagni da primato. Che negli Stati Uniti, Trump abbia amici tra i grandi produttori di farmaci è già stato scritto dalla stampa americana. Ma le posso assicurare che anche a Bruxelles in queste settimane ci sono pesanti azioni di lobbying per favorire tale o tale farmaco", ci confessa un funzionario dell'Unione europea.

C'è infine un terzo motivo, senz'altro più semplicistico, ma non per questo trascurabile: i pochi contagi e le poche morti di coronavirus registrati al momento in Africa, continente in cui la clorochina è un farmaco molto diffuso. Dice ancora Halter: "Tanto è bastato a un leader come Bolsonaro a fargli perdere la testa per l'idrossiclorochina. Se funziona in Africa, s'è detto, funzionerà anche in Brasile. Temo però che dovrà ricredersi in fretta e riconsiderare al più presto la sua strategia antivirale". Intanto, la granitica fede nel farmaco miracoloso del presidente brasiliano ha provocato le dimissioni del ministro della Salute, Nelson Teich, ventotto giorni dopo quelle di Luiz Henrique Manetta, giustificate entrambe dalla dissennata politica anti-coronavirus voluta dal capo dello Stato. Fatto sta che la settimana scorsa, Bolsonaro ha ordinato che l'idrossiclorochina sia somministrata negli ospedali ai primi sintomi dell'infezione.



Anche in Francia ha funzionato!

Coronavirus, virologo francese: «Farmaco anti-malaria può guarirlo»
Martedì 17 Marzo 2020

https://www.ilmessaggero.it/salute/medi ... 16739.html

Un virologo francese annuncia di sapere «come guarire dal Coronavirus». Il medico Didier Raoult, direttore dell'Istituto Mediterraneo per le infezioni di Marsiglia, lo ha annunciato in esclusiva a Les Echos. Raoult ha pubblicato i risultati del suo test clinico sul trattamento del Coronavirus con la clorochina. Tre quarti dei pazienti infettati non sono risultati più portatori del virus dopo 6 giorni di cura con il Plaquenil, uno dei nomi commerciali della clorochina, utilizzata in genere contro la malaria: «associata all'assunzione di antibiotici mirati contro la polmonite batterica (l'azitromicina) - ha detto l'infettivologo, i cui lavori sono fra i più pubblicati al mondo - ha totalmente guarito i pazienti entro una settimana, mentre il 90% dei malati che non hanno assunto i farmaci sono sempre positivi».

Dopo un primo studio cinese, la vecchia clorochina, farmaco contro la malaria ormai "sessantenne", è stato quindi testato in Francia su pazienti con coronavirus. Il farmaco infatti, è stato somministrato a 24 pazienti e, dopo soli sei giorni, ben tre quarti dei 24 pazienti non erano più positivi al virus. E ancora: in combinazione con l'antibiotico azitromicina, specifico contro la polmonite batterica, il trattamento ha totalmente guarito i pazienti dopo una settimana, mentre il 90% dei malati che non avevano assunto farmaci era ancora positivo.

La comunità scientifica francese però smorza i toni, criticando soprattutto l'esiguo numero di pazienti testati e la mancanza di protocolli scientifici rigorosi. La clorochina avrebbe due effetti per accelerare l'eliminazione del virus, spiega Raoult in esclusiva a Les Echos: modificherebbe prima l'ambiente acido del vacuolo della cellula, un piccolo sacchetto di liquidi protetto dalla membrana che serve da tana per i virus. Aumentando il suo pH, l'equilibrato ecosistema di questo 'rifugio del virus viene ad essere 'scombussolato e viene così impedita l'azione degli enzimi coinvolti nel meccanismo cellulare utilizzato dal virus per replicarsi.




Anche in Veneto ha funzionato!

Coronavirus, Szumzki: «Ho curato i miei pazienti con Plaquenil e ha funzionato. Sembra un colpo di Stato»
19 aprile 2020

http://www.trevisotoday.it/cronaca/coro ... piave.html

Non le manda a dire il sindaco di Santa Lucia di Piave a proposito dell'emergenza Coronavirus. Da medico soprattutto Riccardo Szumski racconta la sua esperienza personale e analizza i fatti, facendosi non poche domande su quanto sta accadendo in Italia e nel mondo.

I miei malati? Pochi e guariti con Plaquenil e cortisone

«Sono medico con 2mila assistiti: ho avuto un solo ricoverato, non intubato per altro, che è tornato a casa. Secondo me è importante curare a casa, non aspettare di andare in rianimazione. Sono giorni che lo dico. Le difficoltà respiratorie hanno messo in secondo piano la realtà della cosa: il virus non è che sia cattivissimo ma innesca una risposta infiammatoria che porta sì alla polmonite ma soprattutto alle tromboembolie. Io ho usato Plaquenil, Azitromicina e cortisone che in caso di infiammazione funziona benissimo. Quelli che si sono rivolti a me, li ho guariti a casa. Forse sono stato fortunato... Una decina sono stati quelli che nella mia esperienza hanno avuto una reazione più importante. Altri hanno avuto forme sindrome influenzali che ho curato con cortisone. Ho numerosi anziani che vado a incontrare e visitare periodicamente...ma nessuno si è ammalato. Isolati sì, ma con la badante».

Gestione da rivedere

Il primo cittadino ha una sua teoria: «Probabilmente hanno cavalcato questo virus per fare un colpo di Stato con motivazione sanitaria. Il peggio sarà il dopo: un disastro economico che si farà via via sempre più evidente. Nei prossimi giorni cerchiamo di attivare anche noi un sostegno psicologico per le famiglie: è facile perdere le staffe in queste condizioni. Nel Governo e nelle istituzioni ci si rivolge ai virologi, i quali dicono di evitare il contagio. Sai che banalità... non è che quando uno sta male o ha la febbre normalmente lo si abbraccia. Il virologo per sua natura non individua altre soluzioni ma non per questo si può chiudere un Paese. Occorrono altri pareri. Anche la questione tamponi: sono attendibili? Manca l'esperienza non si può fare affidamento solo su questo. Per carità: evitiamo concerti e stadi ma da questo rinchiudere famiglie magari in un appartamento ne passa».

Vaccini, app e provacy

Si fa un gran discutere poi di vaccini, tracciabilità, app, poca privacy. Il medico risponde così: «Vaccino? Forse per gli anziani. Non si può pensare di vaccinare tutta la gente per un virus che cambia di anno in anno... App o microchip? Se accadrà ci sarà la rivoluzione: già adesso siamo fuori dalle libertà costituzionali. Un Borrelli che afferma che in Lombardia sono morte 11 mila persone in due mesi per coronavirus... Sapendo che non vi è nessuna autopsia che certifichi la vera causa del decesso... Fidarsi di questa gente è impossibile. Non posso pensare che abbiamo avuto droni, polizia ovunque per questo motivo e per ladri ecc. nulla».



Anche in Lombardia ha funzionato!


Coronavirus, il metodo che evita la strage: "Nessun paziente è morto"
Giuseppe De Lorenzo Andrea Indini
Ven, 08/05/2020

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 61189.html

Piacenza inondata di contagi. I primi morti. Poi l'idea del dottor Luigi Cavanna: la cura casa per casa. "Così i pazienti guariscono"

"Ricordo un tardo pomeriggio al pronto soccorso. Parlavo con i miei colleghi. Avevamo le maschere, i caschi, il sibilo dell'ossigeno che arrivava all'orecchio. Sembrava di vedere una cortina di fumo. Faceva paura". Piacenza, febbraio 2020. Se chiudiamo gli occhi e torniamo a quei giorni, i ricordi possono farsi confusi. È tutto così frenetico: i primi contagi, l'allarme coronavirus, la chiusura, le riaperture, gli ospedali pieni, le bare.

La morte. Nel marasma della provincia emiliana al confine con la Lombardia, la più colpita in Italia in proporzione agli abitanti, gli operatori sanitari combattono una battaglia ad armi impari. I reparti vengono trasformati in zone Covid, le sale operatorie in terapie intensive. I nosocomi nelle aree periferiche devono essere riconvertiti. I ricoveri si contano a centinaia. Mentre le vittime cadono una dietro l'altra, un medico piacentino ha un’illuminazione: perché continuiamo ad ammassare i pazienti in ospedale, perché li facciamo arrivare in pronto soccorso quando ormai gli manca l’aria, invece di aggredire prima la malattia?

Luigi Cavanna, primario di Oncologia, oggi è conosciuto come il padre del "metodo Piacenza". Voce pacata, eloquio ordinato. Riesce a rendere chiaro anche quello che a molti appare oscuro. "All’inizio si pensava fosse una infezione virale, forse più brutta dell’influenza, ma nulla di così rilevante. Poi ci siamo resi conto che invece è una malattia drammaticamente seria". In poche parole il suo rivoluzionario approccio al coronavirus può essere riassunto così: "Il paziente deve essere trattato tempestivamente e questo vuol dire che va curato a casa". Semplice, eppure piuttosto complesso. Soprattutto se devi inventarlo quando, nei primi istanti dell’epidemia, la scienza medica si sta dirigendo in massa nella direzione opposta. "Se torniamo indietro nel tempo, ricorderete che tutte le televisioni, nazionali o locali, facevano questa raccomandazione agli italiani: state a casa e non andate al Pronto soccorso. Il problema è che diverse persone hanno seguito il consiglio assumendo solo tachipirina e alla fine non riuscivano più a respirare, chiamavano il 118 e arrivavano di corsa in ospedale". A quel punto i medici si trovavano di fronte ad un malato ormai quasi irrecuperabile. "Il virus - spiega Cavanna - all'inizio si moltiplica, poi innesca una risposta immunitaria dell'organismo che determina una infiammazione che distrugge gli alveoli dei polmoni". In poco tempo gli organi si lacerano per sempre. "Quando il danno è fatto, è difficilmente recuperabile. È per questo che poi tante persone non ce l’hanno fatta".

Di necrologi le pagine dei quotidiani piacentine sono piene. Soprattutto nelle prime due settimane. "Lavoro in oncologia ed ematologia, reparti abituati a confrontarsi con la sofferenza e la morte - racconta Cavanna - Ma in quei giorni ho avuto l'impressione ci trovassimo di fronte a qualcosa mai visto prima. Faceva paura, talmente tanti erano i malati in quei lettini di fortuna. Le ambulanze arrivavano in fila a portare altri pazienti, io mi guardavo intorno, incrociavo gli occhi dei colleghi. Avevamo la percezione di non farcela". È in quello stato di impotenza che sboccia l'idea di cambiare approccio. "Nelle riunioni cercavamo sempre di aumentare i posti nelle emergenze e nelle rianimazioni, ma poi abbiamo capito che questa è una infezione virale che ti lascia del tempo per intervenire. Non è un ictus, un infarto o un arresto cardiaco che colpiscono in pochi minuti o in pochi secondi: ti lascia una settimana o anche 10-15 giorni". C’è quindi spazio per agire prima che il quadro clinico si aggravi. Il ragionamento è logico: se il paziente in ospedale viene sottoposto a un trattamento basato su un antivirale e sull'idrossiclorochina (un antimalarico), tutti farmaci che si assumono per via orale, cosa ci impedisce di iniziare la cura all'insorgere di primi sintomi? "Ci siamo detti: cerchiamo di andare nelle case, non solo per la semplice visita ai malati, ma con tutto l’occorrente per curare la malattia tempestivamente".

Così il 1° marzo Cavanna e un infermiere iniziano il loro tour a domicilio. Sono spedizioni diverse da quelle realizzate da altre Unità speciali (Usca) in Italia. Non vanno solo a visitare il paziente a casa o a fare il tampone, sono lì per curarlo come se fossero in ospedale. Con loro portano i Dpi, un termometro, i palmari per realizzare l’ecografia sul posto, un saturimetro, il tampone e un kit di farmaci già pronti all'uso. Compresa l’idrossiclorochina, già usata contro Sars e malaria. "Se l'ecografia toracica è dubbia e mostra polmoniti interstiziali - racconta l'oncologo - dopo aver chiesto il consenso del paziente, consegniamo i farmaci e gli diciamo: 'Lei inizi la terapia, anche in attesa del risultato del tampone'. Alle persone che presentano polmoniti severe lasciamo anche l'ossigeno. Poi ogni giorno i pazienti ci comunicano i dati della propria saturazione, in modo da poterli monitorare dall'ospedale".

I primi esperimenti Cavanna li porta avanti (quasi) da solo. Poi dal 15 marzo l'Ausl piacentina si organizza e mette in pieni alcune Usca dedicate allo scopo. "La prima fu una paziente oncologica, una signora che vive da sola", ricorda Cavanna. "Era entrata al pronto soccorso con la febbre, la tac aveva evidenziato una polmonite interstiziale, ma lei aveva atteso lì per dieci ore. Poi aveva firmato la cartella, chiamato un taxi e si era fatta portare indietro. Il giorno dopo mi ha chiamato dicendomi: 'Io sono a qui, da sola, sto male. O mi venite a visitare a casa o io muoio'. Lei cosa avrebbe fatto?". Domanda retorica. "Il dramma di questa infezione è che ha abituato gli italiani a morire da soli. Veder arrivare due sanitari a portare dei farmaci, che lasciano un numero di telefono da chiamare, un saturimetro e ti spiegano cosa fare, per loro era già una mezza salvezza. A me questo ha messo in crisi, perché i malati in un Paese evoluto non dovrebbero mai avere la percezione di sentirsi abbandonati". In Italia, purtroppo, è andata così.

La cura "precoce" e "a domicilio" si rivela da subito molto efficace. "Le persone non peggiorano, guariscono prima e soprattutto non muoiono". Presto i risultati degli studi sul "metodo Piacenza" saranno pubblicati su una rivista per dare informazioni alla comunità scientifica. Ma le analisi che a fine aprile Cavanna anticipa al Giornale.it sono straordinarie: "Su 250 pazienti curati a domicilio, le posso dire che nessuno di loro è morto. Né a casa né in ospedale. Di questi, è stato ricoverato meno del 5% e tutti sono tornati a casa, di cui la metà entro pochi giorni". Si tratta di dati "veri", "rilevanti" e "rincuoranti", su cui occorrerà fare delle riflessioni. "Per tanto tempo si è discusso di aumentare i posti in terapia intensiva, una strategia criticabile - dice Cavanna - Ma quando un malato va in rianimazione lo dobbiamo vedere come il fallimento della cura. Dovrebbe essere l'ultima spiaggia: la malattia virale va aggredita precocemente". Solo così si può sconfiggere il Sars-Cov-2, "ridurre gli accessi al pronto soccorso" e "bloccare la storia naturale" del morbo. Evitando un fiume di vittime.


Coronavirus: come si è arrivati alla sperimentazione della Clorochina
ISS, 18 febbraio 2020

https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_ ... clorochina

Il Chinese Clinical Trial Registry ha annunciato nelle scorse settimane l'avvio di una sperimentazione clinica con clorochina, un antimalarico dimostratosi efficace in vitro e su modelli animali contro numerosi virus tra cui il coronavirus della SARS, e del lopinavir/r, una combinazione di due farmaci precedentemente usata con successo contro un altro tipo di virus (HIV) ed utilizzata precedentemente durante l'epidemia di SARS che colpì la Cina nel 2003, e i primi risultati per quanto riguarda il primo farmaco sembrano incoraggianti, tanto che secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa cinese Xinhua gli esperti cinesi lo inseriranno nelle prossime linee guida per il trattamento del virus.

L'idea di usare la clorochina contro il coronavirus della SARS fu lanciata da Andrea Savarino, ora ricercatore dell'Istituto Superiore di Sanità, nel 2003 attraverso la rivista scientifica Lancet Infectious Diseases. L'ipotesi si basava su un'analisi della letteratura da cui si evinceva un effetto antivirale ad ampio spettro della clorochina. Inoltre quest'ipotesi teneva conto delle proprietà immunomodulanti del farmaco, usato talvolta con successo nel trattamento dell'artrite reumatoide.
L'anno successivo, dopo che l'epidemia di SARS si fu esaurita, il gruppo di Marc Van Ranst della Katholieke Universiteit Leuven (Belgio) dimostrò gli effetti inibitori della clorochina in vitro sul coronavirus della SARS. L'effetto fu poi confermato indipendentemente da altri gruppi di ricerca.

Nel 2009 sempre il gruppo del Prof. Van Ranst mostrò l'efficacia in vivo della clorochina, su un modello animale (topi infettati con un altro coronavirus). Il lopinavir/r fu saggiato empiricamente in pazienti con SARS da VCC Cheng et al. del Queen Mary Hospital di Hong Kong durante l'epidemia del 2003, i quali riportarono qualche beneficio nei pazienti trattati.

Questo farmaco appartiene alla categoria degli inibitori della proteasi di HIV, un enzima fondamentale per il taglio finale delle varie componenti virali. Il fatto che in seguito fosse stato dimostrato inibire anche una proteasi del virus della SARS fu piuttosto stupefacente, perché la proteasi di HIV e quelle dei coronavirus non condividono somiglianze strutturali.

L'idea di usare la clorochina in combinazione con lopinavir e ritornavir contro il coronavirus della SARS fu lanciata per la prima volta sempre da Savarino nel 2005, basandosi su osservazioni da lui precedentemente effettuate in cellule infettate con un virus di una famiglia diversa (HIV).

Il principio è che la clorochina mostra un effetto antivirale sinergistico con il lopinavir, a causa del fatto che i due farmaci somministrati insieme bloccano alcune pompe come la glicoproteina P, che attraversano la membrana delle cellule e che estrudono dalla cellula il lopinavir. Questo effetto permetterebbe una migliore penetrazione del farmaco nei tessuti. Dato che queste pompe di membrana sono ubiquitarie nei tessuti, si ipotizzò che questo effetto potesse anche sussistere nelle cellule che sono bersaglio dei Coronavirus.

La scorsa settimana è stato annunciato che la clorochina ed il ritonavir (una delle due componenti di lopinavir/r) hanno un effetto inibitorio sul nuovo coronavirus nCoV 2019, che condivide con il virus della SARS circa l'80% del genoma.

"Invito tutti alla massima cautela," dichiara Andrea Savarino, "perché spesso effetti osservati in vitro ed in modelli animali non si rivelano poi riproducibili quando traslati all'uomo, e anche se i primi risultati sui pazienti sembrano positivi ci vorrà tempo per avere un’indicazione definitiva. Il sito web dove è stata annunciata la sperimentazione clinica purtroppo non riporta il dosaggio di clorochina cui verranno sottoposti i pazienti. Sulla base di una pregressa analisi della letteratura, raccomanderei un dosaggio di 500 mg al giorno di clorochina. Dosaggi inferiori di clorochina, almeno quando somministrata in monoterapia hanno una bassa probabilità di esercitare effetti antivirali ed immunomodulatori significativi, come emerge da precedenti analisi della letteratura".

???
La clorochina previene il coronavirus? Maxi esperimento su 40 mila medici e infermieri
di MICHELE BOCCI
9 aprile 2020

https://www.repubblica.it/scienze/2020/ ... 253577890/


La clorochina funziona contro il coronavirus? Politici di dubbia competenza come Trump e Bolsonaro chiamano il farmaco “miracoloso”. I medici avvertono che non ci sono prove sulla sua efficacia e mettono in guardia contro gli effetti collaterali sul ritmo cardiaco. Intanto ai malati, anche italiani, il vecchio antimalarico risalente agli anni ’30 viene somministrato in regime off-label, ovvero al di fuori delle indicazioni ufficiali, sia in ospedale sia fra chi si cura a casa propria.

Il presidente francese Emmanuel Macron giovedì ha deciso di incontrare l'autore di uno dei due studi che ne promuovono l'uso (l'altro viene dalla Cina), il direttore dell'Institut Hospitalo-Universitaire di Marsiglia Didier Raoult, personaggio molto discusso in Francia. Il suo sostegno al farmaco è stato infatti considerato poco scientifico. La rivista dell'International Society of Antimicrobial Chemotherapy, su cui lo studio di Raoult era stato pubblicato, ne ha preso le distanze denunciando che la pubblicazione "non rispetta gli standard di rigore richiesti". Il test è infatti basato sull'osservazione di 24 pazienti: decisamente troppo poco per poter trarre conclusioni, con una malattia che - senza farmaci - ha già un tasso di guarigione superiore al 90%.

Per rispondere alle domande e placare le polemiche, l’università di Oxford sta avviando il più grande trial mai organizzato finora, con 40 mila partecipanti in Asia, Europa e Africa. Il test non cercherà di rispondere solo alla domanda se la clorochina cura il Covid, la malattia da coronavirus. Il suo obiettivo è anche capire se ha un effetto di profilassi. Se diminuisce cioè la probabilità di ammalarsi quando viene assunto prima dell’esposizione al virus. I volontari che si sottoporranno al test non sono scelti a caso: si tratta di personale sanitario che si trova a contatto stretto con i malati contagiosi. Già oggi in alcune corsie italiane dove si tratta il Covid la clorochina viene presa da medici e infermieri nella speranza che prevenga le infezioni o le indebolisca sul nascere. India e Bangladesh la distribuiscono ugualmente al personale sanitario sano ma impegnato nella lotta al coronavirus.

I risultati del mega-test non saranno immediati. Si parla di un anno. Ma con tutta probabilità nella primavera del 2021 non avremo ancora un vaccino. La sperimentazione di Oxford ha le carte in regola per darci una parola definitiva o quasi sull’efficacia di questo farmaco che – complici anche i capi di stato di Usa e Brasile – è finito nel frullatore mediatico e ha scatenato una corsa agli accaparramenti. Tanto che i pazienti per i quali è da sempre indicato (malati di artrite reumatoide e lupus) fanno fatica a trovarlo in farmacia. I 40 mila arruolati nel test, distribuiti in 50-100 ospedali dei tre continenti, verranno infatti divisi in due gruppi e – con scelta casuale – riceveranno o una pasticca di clorochina o un placebo per tre mesi. Grazie ai grandi numeri e al confronto diretto sarà più facile evidenziare l’eventuale effetto del farmaco.

Le scorte dell’antimalarico usato anche contro il coronavirus della Sars (l’idea di provare a utilizzarlo nel 2003 fu di tre medici italiani, Andrea Savarino, Roberto Cauda e Antonio Cassone), si stanno intanto assottigliando. Essendo un farmaco fuori brevetto, con pochi pazienti (almeno prima dell’arrivo del coronavirus) e che costa al massimo una dozzina di euro al mese, un’unica casa produttrice è rimasta a fabbricarlo, la Sanofi, che produce una versione chiamata idrossiclorochina, quasi del tutto simile alla clorochina, con il nome commerciale di Plaquenil. La Bayer aveva deciso di ritirarsi dal mercato solo pochi mesi fa. Il 3 aprile la Sanofi ha notificato all’Agenzia italiana del farmaco il rischio di carenza del farmaco, mentre la Casa Bianca ha accaparrato 30 milioni di dosi nella sua scorta strategica nazionale.

Il farmaco viene usato perché avrebbe un duplice effetto: antivirale (ostacola l’ingresso dei virus nelle cellule dell’organismo) e antinfiammatorio (la polmonite del Covid è effetto proprio di una esagerata reazione infiammatoria). Altre sperimentazioni sono in corso in vari Paesi del mondo, Italia inclusa. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso l’antimalarico fra i potenziali farmaci sottoposti a trial clinico. I Centers for Disease Control americani (l’agenzia federale che si occupa di malattie infettive) hanno intanto rimosso dal loro sito le indicazioni per la somministrazione di clorochina ai malati di Covid. Consigliare un farmaco di cui nessuno finora ha dimostrato l’utilità è infatti pratica assai inusuale per un ente scientifico. E il presidente Donald Trump, ha rivelato il New York Times, ha una modesta partecipazione finanziaria nell’azienda produttrice.


Idrossiclorochina - Aifa
https://www.aifa.gov.it/documents/20142 ... 4.2020.pdf



Piemonte, da oggi l'antimalarico contro il coronavirus si trova gratis in 1500 farmacie
Tutti i pazienti in trattamento domiciliare possono ritirare il Plaquenil o l'equivalente (disponibilità permettendo)
di SARA STRIPPOLI
23 aprile 2020

https://torino.repubblica.it/cronaca/20 ... 254798700/

Dopo un periodo in cui quel farmaco antireumatico è stato utilizzato in più di un protocollo per la cura del coronavirus, ora il Plaquenil, nome commerciale della idrossiclorochina, arriva direttamente in farmacia.

A partire da oggi, infatti (disponibilità permettendo), tutti i pazienti in trattamento domiciliare per aver contratto il Covid-19 potranno ritirare i farmaci a base di idrossiclorochina (plaquenil cpr 200 o corrispondente generico) nelle oltre 1500 farmacie territoriali del Piemonte. Lo annunciano Federfarma e Unione Titolari farmacie, i quali precisano che la distribuzione è effettuata a titolo gratuito dalle stesse farmacie, senza prevedere i costi normalmente previsti nel caso di distribuzione per conto di terzi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:27 am

Trump il presidente USA grande amico degli ebrei e di Israele. Giudea e Samaria sono terre ebraico israeliane da miliaia di anni eGerusalemme è la città santa degli ebrei e la capitale di Israele. Trump sia benedetto! Lunga vita a Israele!


TRUMP, ISRAELE, E LO STATO EBRAICO.
Valentino Baldacci

https://www.facebook.com/zio.Ferdinando ... 5307402935

... Tutti gli atti dell'ultimo presidente americano nei confronti di Israele sono ispirati a una visione che assume come proprio il punto di vista dello Stato ebraico e, in nome della giustizia, lo porta avanti senza esitazioni.
Nessun presidente americano aveva compiuto atti così netti ma anche così ricchi di significato politico: a cominciare dallo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, nella zona che fin dal 1948 era stata incontestabilmente sotto la sovranità israeliana, abbandonando l’ipocrisia di considerare Tel Aviv la sede delle ambasciate, quando uno Stato sovrano come Israele aveva posto a Gerusalemme, sua capitale storica, tutti gli organi dello Stato, dalla Presidenza delle Repubblica a quella del Governo, dal Parlamento alla Corte suprema.

Gli altri atti compiuti in questo campo sono stati altrettanto chiari: a partire dal riconoscimento dell’annessione del Golan, territorio abitato in maggioranza da drusi e che solo le alchimie diplomatiche che portarono a disegnare artificialmente i confini del Medio Oriente dopo la I guerra mondiale aveva assegnato alla Siria: quella Siria che ripetutamente, a partire dal 1948, ha attaccato Israele proprio da quelle alture finendo per essere sempre sconfitta ma che, nonostante ciò, si è sempre rifiutata di concludere un trattato di pace con Israele e tanto meno di riconoscerne il diritto all’esistenza.

Altrettanta chiarezza e una corretta interpretazione del diritto internazionale ha ispirato un altro atto di Trump, il rifiuto di considerare illegali gli insediamenti in Cisgiordania. Troppi consessi internazionali hanno dimenticato che la Cisgiordania e Gaza, dove, secondo la Risoluzione n. 181 dell’Assemblea delle Nazioni Unite del 27/11/1947, doveva nascere lo Stato di Palestina, furono, dopo la guerra di aggressione del 1948-1949, semplicemente annesse rispettivamente alla Giordania e all’Egitto, mutando così il proprio status giuridico internazionale.

Dopo la guerra dei Sei giorni e soprattutto dopo i trattati di pace conclusi da Israele con l’Egitto e con la Giordania e la rinuncia di questi due Stati ad ogni forma di sovranità rispettivamente su Gaza e sulla Cisgiordania, questi due territori si trovano in uno status giuridico indefinito: mentre Gaza, dopo il ritiro unilaterale israeliano del 2005, è caduta in potere del gruppo terroristico Hamas e di altri gruppi analoghi come la Jihad islamica, la Cisgiordania si trova in una situazione molto complicata: la divisione in tre aree (A, B e C) sancita dagli accordi di Oslo è ancora in vigore ma poiché tali accordi non sono stati perfezionati con una pace definitiva con Israele, a causa del rifiuto di Arafat di accettare il piano di pace proposto da Bill Clinton nel luglio 2000 a Camp David e perfezionato a Taba nel gennaio 2001, lo status di questi territori resta ancora da definire. Cisgiordania e Gaza si trovano perciò, secondo il diritto internazionale, in una situazione indefinita, sono territori contesi, controllati in parte da Israele e per il resto da formazioni politico-militari come Hamas e Fatah che non hanno alcuna legittimazione internazionale che ne giustifichi il possesso. Pertanto l’atto di Trump che dichiara di non considerare illegali gli insediamenti israeliani in Cisgiordania ha il semplice significato di prendere atto di una situazione di fatto, che dovrà essere definita dal punto di vista del diritto internazionale ma che oggi non lo è.

L’ultimo atto di Donald Trump, che non riguarda il Medio Oriente ma lo stesso territorio americano, è forse il più significativo. Dichiarare che quello ebraico costituisce un popolo e non soltanto una religione consente di combattere efficacemente tutte le forme di antisemitismo che – con il camuffamento dell’antisionismo e con l’aiuto di professori compiacenti e ideologizzati – si annidano in molti campus universitari. Significa avere anche strumenti più efficaci per combattere forme di terrorismo come quella che ha portato al massacro in un supermercato kosher di Jersey City, compiuto da un gruppo di suprematisti neri e sul quale i media internazionali, e in particolare quelli italiani, hanno vergognosamente cercato di confondere le idee parlando di delinquenza comune.

Ma se questo è l’aspetto che maggiormente è stato rilevato dagli osservatori, ce n’è un altro che ha una portata e un significato ancora superiori. Che cosa sia l’ebraismo, che cosa sia un ebreo, fa parte di una riflessione e di una disputa che si trascina da secoli, in particolare dalla nascita del sionismo. Aver messo in evidenza che quello ebraico è prima di tutto un popolo, un’etnia, che ha una sua identità specifica che si è formata nel corso dei secoli e che è certamente connessa alla tradizione religiosa ma non si esaurisce e non si confonde con essa, significa fare un passo avanti decisivo vero la piena affermazione della laicità dello Stato d’Israele, una questione che ancora oggi è oggetto di discussioni e di controversie. È vero che l’atto di Trump ha valore per il territorio americano ma è tale il peso e l’importanza dell’ebraismo americano che inevitabilmente l’atto di Trump avrà ripercussioni anche nella stessa autodefinizione dello Stato ebraico.





Care amiche e cari amici,
buon "Giorno di Gerusalemme", Yom Yerushalaim sameach!
Ambasciatore Dror Eydar

21 maggio 2020

https://www.facebook.com/AmbasciatoreIs ... 407557116/


1. Dal profondo della distruzione, di fronte all’immane devastazione lasciata dall'Impero romano a Gerusalemme, il grande tannaita, il rabbino Akiva Ben-Yosef, ai suoi compagni piangenti, che osservavano dal Monte Scopus le rovine de Santuario sul Monte del Tempio, seppe citare la profezia della consolazione di Zaccaria:

“Si vedranno ancora vecchi e vecchie seduti lungo le vie di Gerusalemme, e persone appoggiate al bastone per l’età avanzata. E le strade della città si riempiranno ancora di fanciulli e fanciulle che giocheranno nelle sue vie” (Zac 8,4-5).

Lo disse con un grande sorriso in volto. In quei momenti, non vi fu più grande visionario di lui. Oggi sappiamo che quel visionario fu un profeta. Chiunque sia stato oggi a Gerusalemme, sa che la profezia di Zaccaria si è avverata. Rabbi Akiva credeva nella sua realizzazione, sebbene Gerusalemme fosse allora in rovina, e l’impero romano al suo culmine. Sapeva infatti che, finché il popolo di Israele è vivo, il suo cuore non può essere estirpato.

2. La frase “Gerusalemme è il cuore del popolo ebraico”, non è solo un bel modo di dire. Da quando siamo stati esiliati dalla nostra terra, e anche da prima, gli ebrei hanno rivolto i loro cuori in preghiera – ovunque si trovassero – verso Gerusalemme.

“Orientamento del cuore” o “Intenzione del cuore”, questo è il termine usato dai nostri Saggi. Ma qui non abbiamo solo l’indicazione di una direzione geografica, bensì principalmente la regolamentazione della relazione spirituale tra Il popolo di Israele e Gerusalemme: regolarizzazione: “Ebrei! Ovunque voi siate, ovunque andiate, sappiate che il vostro cuore si trova a Gerusalemme”.

E non solo nella preghiera. Pensate alla Benedizione per il cibo, la Birkat Hamazon. In ogni popolo e religione si benedice il cibo, e si ringrazia Dio per questo. Ma solo noi abbiamo registrato un “brevetto” speciale: “Grazie infinite Dio, per il cibo che ci hai dato, ma per favore, non dimenticare di ricostruire Gerusalemme”. Questo è sempre stato detto ogni volta che mangiavamo, ogni giorno, di ogni anno, per duemila anni.

L’abbiamo ricordata ogni giorno, abbiamo digiunato in sua memoria, e in ogni occasione abbiamo ripetuto il giuramento degli esuli babilonesi:
“Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; si attacchi la mia lingua al mio palato se non ti ricorderò, se non porrò Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia” (Sal 137,5-6).

3. Gerusalemme ci ha preservati nella diaspora, senza farci sparire fra i tanti altri popoli. Quando ricordavamo Gerusalemme, ricordavamo la nostra speranza di tornare a casa un giorno, di risollevare il Paese dalle sue rovine, di far fiorire la sua desolazione, e di far rinascere il regno di Israele.

Infatti, se avessimo incontrato degli ebrei a Roma nel primo secolo, ad Alessandria nel secondo secolo, a Creta nel quarto secolo, a Babilonia nel sesto secolo, a Qayrawan nel Nord Africa nel decimo secolo, in Provenza nel dodicesimo secolo, in Spagna nel quattordicesimo secolo, in Persia nel sedicesimo secolo, nello Yemen nel diciottesimo secolo, in Polonia nel diciannovesimo secolo, e persino nei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau nel Ventesimo secolo - sempre e ovunque, se chiedessimo a questi ebrei, a chi appartiene Gerusalemme? La loro risposta sarebbe semplice, inequivocabile e naturale: al popolo di Israele.

4. Sono passati circa 1800 (Mille Ottocento) anni, da quando Rabbi Akiva consolava i suoi compagni, di fronte alle rovine di Gerusalemme e del Tempio, e il 7 giugno 1967 (Mille Novecento Sessanta Sette), – il 28 (Ventotto) di Iyar del 5727 (Cinquemila Settecento Venti Sette) secondo il Calendario ebraico, i soldati dell’Esercito di Israele, discendenti di quegli stessi Tannaiti, discendenti degli Esuli di Babilonia, di Roma e di Spagna, aprirono una breccia alle porte di Gerusalemme, ed entrarono nella città vecchia, restituendola ai legittimi proprietari.

“Perciò rise il padre”, dice Alterman nella sua poesia “Ayelet”; perciò rise Rabbi Akiva, perché nella storia dei popoli del mondo non c'è una storia simile a questa, e ogni tentativo di spiegarla con gli strumenti della logica, volta dopo volta, finisce per infrangersi. “Quel sorriso rimase un enigma”.

Quel sorriso è stato il segreto della nostra forza nelle varie diaspore. Anche nelle situazioni più difficili. Solo in virtù di Gerusalemme, il Sionismo nelle ultime generazioni è potuto riuscire a motivare l’enorme rivoluzione che abbiamo vissuto.
Sion ha sempre chiesto la pace dei suoi prigionieri, che le hanno serbato fedeltà. Non esiste Sionismo senza Sion. Le difficoltà storiche e politiche, non sono motivo di disperazione, mai sia! Richiedono invece pazienza e fede.

5. Non per niente i nostri saggi hanno determinato nel Talmud “E l’eternità è Gerusalemme”. Noi abbiamo fatto di Gerusalemme ciò che è oggi, l’abbiamo santificata e ne abbiamo fatto la capitale del regno d’Israele: “Città in cui Davide si stabilì”, circa tremila anni fa: la Città di Davide, il centro religioso, culturale, politico e spirituale del Regno di Israele.

Qui, i profeti di Israele hanno annunciato giustizia e redenzione al mondo intero. Soltanto sulla base di quanto creato da noi, sono poi venute altre nazioni e religioni a reclamarne una parte.

È vero, Gerusalemme ha luoghi sacri per le tre religioni, ma soltanto sotto la sovranità israeliana della città, vi è stata preservata la libertà di culto per tutti. Ma come città madre, essa è consacrata al popolo ebraico.

Per questo, ogni discorso su una sua ri-divisione o internazionalizzazione, è “Come pulviscolo che si muove nell’aria, e come un sogno che svanisce”. Non è possibile estirpare a un popolo antico e vivo il suo cuore storico, culturale, politico e spirituale.

6. Due anni fa siamo riusciti a ottenere il riconoscimento di Gerusalemme da parte degli Stati Uniti, che hanno anche compiuto un atto concreto, spostando la loro ambasciata nella nostra capitale.

Il mio sogno, per cui prego, è che, nell’arco del mio mandato di ambasciatore in Italia, possiamo riuscire a vedere il trasferimento anche dell’ambasciata italiana da Tel Aviv a Gerusalemme. Sarebbe una commovente e storica chiusura di un cerchio rimasto aperto per duemila anni.

Il profeta Isaia, un uomo di Gerusalemme nell’ottavo secolo a.C. (prima dell’Era Volgare, ci indica che cosa dobbiamo fare: “Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non resterò inerte, finché non sorga come astro la sua giustizia, e la sua salvezza non risplenda come lampada” (Is 62,1).

Buon “Giorno di Gerusalemme”!
Dror Eydar
Ambasciatore d'Israele in Italia




Governo, l'appello di 70 deputati a Conte: "Condanni Israele per l'annessione della Cisgiordania"
I parlamentari del centrosinistra e del M5S chiedono al premier "di adoperarsi attivamente prima della data dell'1 luglio per scongiurarne la realizzazione"
22 maggio 2020

https://www.repubblica.it/politica/2020 ... 11-S1.8-T1

Settanta parlamentari del centrosinistra e del M5S scrivono una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte chiedendogli di "condannare" lo stato di Israle per l'annessione di alcuni territori della Cisgiordania. Le deputate e i deputati che hanno sottoscritto la lettera chiedono al premier "non soltanto di condannare nel modo più esplicito la prospettiva del Governo israeliano, ma anche di adoperarsi attivamente, prima della data dell'1 luglio, in tutte le sedi europee e internazionali, per scongiurarne la realizzazione. Le cui conseguenze potrebbero essere devastanti per l'intera regione".

"Il 20 aprile scorso - scrivono i parlamentari - Benjamin Netanyahu e Benny Gantz hanno raggiunto un'intesa per varare in Israele un 'governo di emergenza', entrato ufficialmente in carica il 17 maggio, che nel suo programma contiene il progetto, ispirato dal Presidente americano Donald Trump, da sottoporre alla Knesset il prossimo 1 luglio, di annessione di alcuni territori della Cisgiordania".

Esteri
Medio Oriente, Benjamin Netanyahu propone di annettere la Valle del Giordano. Protestano i Paesi arabi

"Numerose sono state le reazioni critiche verso questa decisione - ricordano i deputati . dal segretario generale dell'Onu António Guterres all'Alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell, anche a seguito della riunione del Consiglio Affari Esteri della UE del 15 maggio, dalla Lega Araba a diversi governi europei, compreso il nostro, attraverso il ministero degli Affari esteri, tutti hanno ribadito due questioni fondamentali: che tale decisione è in aperta violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite e che essa, qualora realizzata, porrebbe una pietra tombale su ogni rilancio del processo di pace in Medio Oriente e sulla prospettiva di due popoli e due Stati che convivano in pace e sicurezza reciproca".

"È intervenuto anche l'ex Presidente della Knesset Avraham Burg - sottolineano - lanciando un appello ai parlamentari degli Stati europei e ribadendo che l'acquisizione di territori mediante l'uso della forza è esplicitamente vietata dal diritto internazionale".

"Nella stessa direzione - concludono - si sono espressi parlamentari di diversi Paesi europei, come un folto gruppo di parlamentari britannici di maggioranza e di opposizione che hanno indirizzato una lettera aperta al primo ministro Boris Johnson".

Deputate e deputati che hanno sottoscritto la lettera
Laura BOLDRINI, Nadia APRILE, Stefania ASCARI, Massimo Enrico BARONI, Gianluca BENAMATI, Silvia BENEDETTI, Francesca BONOMO, Enza BRUNO BOSSIO, Pino CABRAS, Carla CANTONE, Elena CARNEVALI, Vittoria CASA, Stefano CECCANTI, Susanna CENNI, Lucia CIAMPI, Emanuela CORDA, Valentina CORNELI, Francesco CRITELLI, Celeste D'ARRANDO, Sabrina DE CARLO, Paola DEIANA, Daniele DEL GROSSO, Rina DE LORENZO, Rosa Maria DI GIORGI, Valentina D'ORSO, Yana EHM, Ettore Guglielmo EPIFANI, Stefano FASSINA, Piero FASSINO, Federico FORNARO, Andrea FRAILIS, Flora FRATE, Nicola FRATOIANNI, Alessandro FUSACCHIA, Luigi GALLO, Veronica GIANNONE, Chiara GRIBAUDO, Marco LACARRA, Mara LAPIA, Antonio LOMBARDO, Alvise MANIERO, Vita MARTINCIGLIO, Gennaro MIGLIORE, Rossella MURONI, Riccardo OLGIATI, Matteo ORFINI, Erasmo PALAZZOTTO, Antonella PAPIRO, Luca PASTORINO, Nicola PELLICANI, Mario PERANTONI, Stefania PEZZOPANE, Giuditta PINI, Barbara POLLASTRINI, Lia QUARTAPELLE, Fausto RACITI, Luca RIZZO NERVO, Cristian ROMANIELLO, Andrea ROSSI, Alessia ROTTA, Doriana SARLI, Debora SERRACCHIANI, Elisa SIRAGUSA, Maria Edera SPADONI, Gilda SPORTIELLO, Nicola STUMPO, Simona SURIANO, Massimo UNGARO, Antonio VISCOMI, Diego ZARDINI.




SCONGIURO
Niram Ferretti
23 maggio 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063


Nessun dubbio in proposito. Una eventuale vittoria di Joe Biden il prossimo novembre rappresenterebbe per Israele un problema reale.

Biden ha già dichiarato di volere ripristinare il vecchio ed esiziale paradigma dei negoziati con l'Autorità Palestinese, rilegittimando la cleptocrazia guidata da Abu Mazen. Ovviamente, come conseguenza, i soldi dei contribuenti americani verranno nuovamente versati nelle casse dell'Autorità Palestinese e in quelle dell'UNRWA.

Quello che Biden, se malauguratamente dovesse vincere, non potrà cambiare, è l'estensione di sovranità che Israele si appresta a realizzare ai primi di luglio sui territori della Giudea e Samaria. Per questo è fondamentale che si proceda.

Con Biden riavremmo tutta l'impostazione politica del suo ex principale, Barack Obama, dunque, infallibilmente una nuova apertura di credito nei confronti dell'Iran.

Solo qualche ingenuo può pensare che, se diventasse presidente, non verrebbe guidato dai "saggi" consigli di Obama e di Hillary Clinton. E non è detto che quest'ultima non farebbe nuovamente il suo ingresso alla Casa Bianca con un ruolo preminente.


Gino Quarelo
Infatti io spero vinca Trump con ogni cellula del mio essere e con ogni fibra del mio animo e non solo per Israele ma anche per il mio Veneto, per l'Italia, per l'Europa, per i cristiani e il Mondo intero, anche come argine all'espansione cinese e nazi maomettana.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:28 am

I sondaggi e i sondaggisti contro Trump, come nelle scorse elezioni




Usa, sondaggi: Biden in vantaggio di 8 punti su Trump. Over 65 ed elettori indipendenti scaricano il tycoon - Il Fatto Quotidiano
di F. Q.
Anche donne e afroamericani sosterranno l'ex vicepresidente dell'amministrazione Obama, secondo i numeri diffusi dalla rete conservatrice Fox, vicina all'attuale presidente. The Donald paga la gestione della pandemia, ma rimane forte nelle aree rurali
Sono le Venti (Nove), "in ferie forzate chi polemizza o vuole i Dpi": la mail della Fondazione don Gnocchi

Fontana a Sono le Venti (Nove): "Zona rossa? Toccava al governo. Gallera ottimo assessore, come giurista meno"

22 maggio 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... n/5810130/


Il candidato Democratico alla Casa Bianca, Joe Biden, continua a guadagnare terreno nei consensi rispetto al presidente degli Stati uniti, Donald Trump. Secondo un sondaggio della Fox, emittente conservatrice vicina alle posizioni del tycoon, l’ex vicepresidente dell’amministrazione Obama ha adesso 8 punti di vantaggio sul suo rivale, in vista del voto di novembre: 48% per il Dem contro il 40% del Repubblicano.

Non sono bastate, al momento, le accuse di abusi sessuali mosse dalla sua ex collaboratrice negli anni 90, Tara Reade, quando Biden era governatore del Delaware. La gestione della crisi dovuta al coronavirus da parte della Casa Bianca è il fattore che evidentemente sta più spostando il voto degli americani. Nello specifico, a determinare il vantaggio del candidato Dem sarebbe il fatto di aver, almeno fino ad ora, conquistato i favori di elettori indipendenti e anziani che nel 2016 preferirono Trump a Hillary Clinton.

Il testa a testa, però, è tutt’altro che concluso. Il sondaggio registra un 11% di indecisi. Resta il fatto che, stando alle ultime rilevazioni della Fox, risalenti a un mese fa, si è passati da una situazione di sostanziale parità tra i due candidati, entrambi al 42%, a un netto vantaggio del Democratico. E il più grande distacco si registra proprio tra gli over 65 che sono passati dal sostenere Trump, con 7 punti di vantaggio sulla Clinton, a dare fiducia a Biden con addirittura 17 punti percentuali sul tycoon. A questi, come detto, si aggiungono i 13 punti di vantaggio nel gruppo degli elettori indipendenti che, nel 2016, preferirono The Donald per 4 punti.

Le rilevazioni della Fox tranquillizzano, almeno per il momento, tutti i membri dell’ala Dem che nelle scorse settimane avevano registrato lo scarso entusiasmo degli elettori Blu intorno alla figura dell’ex vicepresidente 78enne. Secondo l’emittente, Biden ha il 53% dei favori tra gli elettori che si dicono estremamente motivati ad andare a votare a novembre, contro il 41% di Trump. E tra coloro che lo preferiranno all’attuale presidente, il 69% si dice estremamente motivato ad andare alle urne, contro il 61% dei sostenitori dell’inquilino della Casa Bianca.

Il tema che potrebbe far cadere Trump è proprio la gestione della pandemia che negli Usa, stando ai dati del 21 maggio, ha fatto registrate 95mila vittime. Non a caso, la maggior parte degli intervistati (il 9% in più) pensa che Biden potrebbe difendere meglio il Paese dal Covid-19. E una maggioranza del 17% si fida più del Dem che di Trump in tema di assistenza sanitaria.

Il tycoon sa che le sue scelte nel corso della pandemia gli impediranno di conquistare i voti di chi ritiene il tema prioritario. Non a caso, con i numeri che continuano a crescere, ha cercato di spostare l’attenzione sulla necessità di una rapida ripartenza economica, anche col rischio di far crescere il numero delle vittime. Anche per questo, nonostante il 55% degli elettori abbiano un giudizio negativo del presidente, contro il 43% che ne ha uno positivo, Trump può ancora contare su un vantaggio, 45% a 42%, per quanto riguarda l’efficacia per l’economia Usa. Ma con 39 milioni di nuovi disoccupati, il 78% degli intervistati è comunque pessimista sulle sorti del Paese.

Nel tentativo di nascondere le difficoltà interne dovute al Covid, nelle ultime settimane Trump ha lanciato numerosi messaggi contro la Cina e l’Oms, accusandoli di aver nascosto informazioni vitali agli altri Paesi che avrebbero potuto limitare le conseguenze della pandemia. Tanto da arrivare a bloccare lo stanziamento di fondi per l’Agenzia delle Nazioni Unite. Ma anche su questo dossier la maggioranza, con 6 punti di vantaggio, si fida più di Biden.

Le altre fasce della popolazione sbilanciate in favore del candidato Democratico sono infine le donne e gli elettori afroamericani. Tra le prime, Biden registra un vantaggio di 20 punti, mentre è un trionfo tra le comunità nere d’America: +64%.

Le roccaforti elettorali del presidente rimangono le zone rurali e, in particolar modo, gli elettori bianchi che le abitano, dove registra preferenze superiori a quelle di Biden di ben 30 punti. In generale, gli uomini continuano a preferire il tycoon, con un vantaggio del 7%.



Victor Davis Hanson: “Trump vincerà di nuovo le elezioni, nonostante il Coronavirus: ha il vuoto politico intorno a sé”
Mattia Sisti
23 maggio 2020

https://it.businessinsider.com/victor-d ... orno-a-se/


Victor Davis Hanson è il Martin and Illie Anderson Senior Fellow in Residence in Lettere Classiche e Storia Militare presso l’Hoover Institute, Stanford University, e Professore Emerito di Lettere Classiche presso California State University, Fresno. È inoltre un giornalista affermato per Tribune Media Services.

Il Prof. Hanson ha vinto numeri premi tra cui the National Humanities Medal nel 2007 e Bradley Prize nel 2008. È autore di numerosi libri, tra cui l’ultimo The Case for Trump, un best seller del New York Times.

Business Insider Italia ha deciso di intervistarlo riguardo all’impatto dell’emergenza COVID-19 sul mondo dell’università e sulla politica degli Stati Uniti.

Prof. Hanson quali conseguenze vede nel breve e nel lungo termine sul mondo dell’Università a seguito dell’emergenza COVID-19?

Quest’emergenza riduce l’educazione ai suoi componenti essenziali, come la relazione tra insegnante e studente. Infatti, vengono a mancare tutti coloro che devono organizzare le lezioni e gli workshop ‘terapeutici’ nel campus universitario, ovvero orientati alla riduzione dello stress e alla salvaguardia del welfare degli studenti.

Chi ha bisogno di un Vice-rettore che si occupa dell’organizzazione complessiva dell’Università, tra cui integrazione, eguaglianza e diversità, in tempi come questi in cui il budget è ridotto ed in cui l’insegnamento si svolge a distanza? La riposta è: nessuno.

E perché i patrimoni delle Università sono inviolabili e non possono essere usati come cassa per attingere fondi proprio mentre gli studenti devono pagare per intero il costo della loro formazione ma ottenere solo metà del prodotto? Non esiste alcuna giustificazioneo al riguardo.

Molti, soprattutto il Presidente Trump, hanno paragonato la battaglia contro la pandemia ad una ‘guerra’. Come esperto di storia militare, quanto si sente d’accordo con questo paragone?

Sono piuttosto d’accordo. La guerra contro il virus richiede una mobilitazione nazionale (per i vaccini, gli anti-virali, la ricerca, i sussidi per gli ospedali eccetera), dato il danno ingente che il virus ha causato. Ed il ruolo, ancora misterioso, che Cina ha avuto nella pandemia suggerisce che, se questo non venisse scoperto ed affrontato, potrebbe succedere ancora.

Perciò abbiamo bisogno di una rete difensiva a livello nazionale contro le pandemie future. Inoltre, è necessario avere una dottrina strategica per identificare le epidemie straniere, sia quelle che sono state diffuse deliberatamente sia quelle che si sono propagate per inettitudine. In altre parole, gli Stati Uniti devono scoprire un metodo per esercitare la deterrenza: l’obiettivo è ostacolare il ripetersi di un’ulteriore pandemia. E lo stesso discorso vale per la Cina che vede ogni tipo di conflitto anche non-militare all’interno di una cornice di guerra.

Molti pensano che la pandemia abbia segnato il destino di Donald Trump e che non verrà rieletto. Altri, al contrario, credono che Trump possa usare l’emergenza a suo vantaggio e perorare la causa per la sua rielezione. Che opinione ha in proposito?

È più probabile che il virus ed il lockdown assomiglino alla dinamica di un episodio di Willi il Coyote e Beep Beep. La sinistra americana pensa che la loro prossima imboscata (ad esempio, la soppressione dei Collegi Elettorali, l’emoluments clause (una norma della Costituzione degli Stati Uniti secondo cui il tutti i funzionari americani non possono ricevere alcun compenso, pagamento o nessun’altra cosa di valore da un paese straniero, inclusi tutti i suoi rappresentanti. Come riporta Vox, Trump aveva proposto di ospitate il G7 nella sua residenza a Miami, in contrasto con questa norma costituzionale ndr), il 25° Emendamento, Stormy Daniels, Robert Muller, l’Ucraina e l’impeachment) sarà quella giusta per distruggere Trump. Ma in tutti questi episodi melodrammatici Trump non ha fatto niente di sbagliato o sanzionabile legalmente, e dunque il blitz mediatico non ottiene altro che un temporaneo declino della sua popolarità, la quale cala dai 2 ai 4 punti percentuali, e che poi solitamente torna al livello precedente aggirandosi attorno al 46/48%, e cioè più o meno l’indice di gradimento che aveva all’alba dell’elezione del 2016.

Bisogna ricordarsi che i sondaggi sono eseguiti dai suoi oppositori e spesso non ottengono una risposta appropriata tramite telefono o messaggio dagli elettori americani data la loro diffidenza al riguardo.

Quando si parla di Trump, chi si propone come sua alternativa passa sempre in secondo piano. Ma facendo una comparazione tra i suoi rivali e Trump ci si può domandare: quali sono state le azioni di Trump durante l’emergenza coronavirus?

Trump si è forse opposto alla chiusura delle frontiere americane alla Cina, come ha fatto Biden? No.
Ha forse mandato gli ammalati nelle case di riposo come ha fatto Cuomo? No.
Ha forse dimenticato di sterilizzare la metropolitana come De Blasio? No.
È forse sembrato fare discorsi incoerenti o essere soggetto ad un lieve deficit cognitivo come Biden? No.

Trump, per dirla in modo meno retorico, è una figura decisamente più attrattiva se comparato ai suoi potenziali sostituti e dunque concorrerà alla presidenza avendo un vero e proprio vuoto politico attorno a sé.

In generale, l’unico barometro per misurare l’attrattività di Trump in modo accurato è il numero dei morti a causa del coronavirus rapportato alla popolazione totale. In termini di morti per milione di abitanti, gli Stati Uniti hanno fatto meglio di ogni grande nazione europea a parte la Germania. Si consideri, inoltre, che il Massachusetts, il New Jersey e New York rappresentano l’11% della popolazione degli Stati Uniti ed il 55% dei morti per coronavirus. Io credo che il pubblico americano collocherà questi dati all’interno di un contesto più ampio. Dopo un inizio piuttosto difficile, Trump ha fatto un ottimo lavoro per quanto riguarda l’organizzazione dei test, la produzione dei rifornimenti necessari e per rimettere di nuovo in moto l’economia.

I governatori dei blue-states, e cioè gli stati che tipicamente votano democratico, preferiscono estendere il lockdown, come se si stesse fronteggiando Herber Hoover, Presidente degli Stati Uniti proprio durante la Grande Depressione del ‘29. Ma questa strategia presuppone diversi aspetti:

Che gli elettori non diano la colpa della depressione economica ai funzionari degli stati che sono ancora in lockdown, in esplicita contrapposizione con gli stati sono stati riaperti e stanno tornando alla normalità.
Che l’economia rimarrà immobile per i prossimi mesi quando, al contrario, dovrebbe essere in fase ascendente entro novembre.

In buona sostanza credo che Trump sia al punto in cui si trovava nel 2016, ovvero con un margine più stretto per quanto riguarda il voto popolare e più ampio per quanto riguarda i Collegi Elettorali. Se rimarrà in salute e se l’economia sarà in crescita entro ottobre, allora Trump vincerà di nuovo proprio come nel 2016.



Coronavirus, Trump sfida i governatori: "Riaprire le chiese subito"
FEDERICO RAMPINI
22 maggio 2020
https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 257412849/

NEW YORK – “Le chiese e luoghi di culto sono essenziali, vanno riaperti subito”. Così Donald Trump lancia una sfida ai governatori che gestiscono i lockdown negli Stati Usa, e va a caccia di consensi nel mondo delle chiese dove ha una base elettorale importante (soprattutto fra i protestanti evangelici). Il presidente ha annunciato che il suo governo è pronto a emanare direttive in cui i luoghi di esercizio della fede e delle cerimonie religiose sono equiparati ad attività essenziali, esercitando così una pressione sulle autorità locali che stabiliscono i calendari delle riaperture. Trump minaccia di “esautorare” i governatori se non seguono le nuove raccomandazioni federali.

Come in altre occasioni, la minaccia non ha basi costituzionali perché si applica a materie di competenza dei singoli Stati. Però il gesto ha una forte risonanza mediatica: mette i governatori davanti alla scomoda alternativa di piegarsi al diktat della Casa Bianca, oppure di scontentare masse di fedeli insofferenti dopo due mesi di sospensione dei riti e delle assemblee religiose. Il presidente ha condito il suo annuncio con una polemica: “Ci sono alcuni governatori che hanno definito servizi essenziali i negozi di bevande alcoliche o le cliniche per abortire, ma hanno escluso le chiese. Non è giusto. Io correggo questa ingiustizia e definisco essenziali i luoghi di culto. I governatori devono riaprirli subito”. Ha detto che il Centers for Disease Control, l'authority federale per le epidemie, divulgherà nuove regole sulla riapertura includendo le funzioni religiose tra quelle che possono ricominciare subito.

L’annuncio di Trump è stato poi corretto dai suoi stessi collaboratori. La dottoressa Deborah Birx, una delle responsabili della task force sanitaria alla Casa Bianca, ha esortato i leader delle comunità religiose a contattare “le autorità sanitarie locali per comunicare con i propri fedeli”. L’esperta sanitaria ha aggiunto che “le chiese vogliono proteggere i fedeli dal contagio, forse non potranno riaprire subito se i numeri del coronavirus sono ancora alti”. Ha aggiunto la raccomandazione a rispettare le distanze anche qualora riprendano le celebrazioni e raduni religiosi.

Trump ha scelto di dare il suo annuncio il giorno dopo aver incontrato in conference call 1.600 pastori e leader di diverse comunità religiose. Alcuni di loro hanno lamentato di non poter assistere i fedeli in un momento di dolore, dopo la morte di persone care, e in una fase di acuto disagio economico per la popolazione. “La gente vuole essere in chiesa – ha detto Trump – non è la stessa cosa seguire una funzione religiosa sullo schermo del computer. Abbiamo bisogno di pregare di più, non di meno”. Ancora di recente però sono stati identificati dei focolai di contagio legati a raduni religiosi. In Texas una chiesa ha cancellato le messe dopo il decesso di un sacerdote e il contagio di altri cinque. In California due chiese hanno segnalato un contagio tra sacerdoti e fedeli dopo che si erano tenute delle funzioni per la Festa della Mamma.




Covid 19, Trump prepara una nuova stretta per gli immigrati
Giampiero Di Santo
25 maggio 2020

https://www.italiaoggi.it/news/covid-19 ... 1945448477

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si prepara a estendere ed espandere le restrizioni all’ingresso nel paese di lavoratori stranieri durante la pandemia, per venire incontro ai desideri di parte della popolazione alle prese con la necessità di tornare al lavoro dopo il lockdown. I sostenitori delle necessità di inasprire la linea dura nei confronti degli immigrati continuano a esercitare un forte pressing sul presidente Trump perché si convinca a rafforzare l’ordine esecutivo che ad aprile ha impedito a parecchie categorie di lavoratori stranieri di entrare temporaneamente negli Usa. Il fronte anti immigrazione sostiene infatti che quella direttiva non ha fatto abbastanza per affrontare il problema data la vertiginosa ascesa del tasso di disoccupazione e l’approssimarsi delle elezioni presidenziali. Certo è che il rischio di un inasprimento preoccupa i leader degli imprenditori Usa, che ritengono necessario l’ingresso di lavoratori dall’estero, anche se molti americani sono rimasti senza lavoro, per evitare che le industrie vitali per l’economia Usa restino senza personale.

Per tenere insieme le due esigenze, l’amministrazione Usa pensa di limitare il numero di immigranti che vengono negli Usa per scambi culturali, generalmente gli stagionali assunti per lavori estivi nei parchi di divertimento e nei resort, e di studenti stranieri assunti nei college Usa per lavori temporanei. E’ allo studio anche l’ipotesi di tagliare I visti di ingresso per i lavoratori qualificati in occupazioni speciali e per gli stagionali che lavorano in industrie come l’architettura del paesaggio, la manutenzione edilizia e le costruzioni.

Più di un milione di immigranti ricevono ogni anno questi visti, circa il 70% di tutti i lavoratori ospiti negli usa, secondo l’ Economic Policy Institute.

Trump starebbe considerando restrizioni anche più ampie, e potrebbe essere impedito totalmente l’ingresso negli usa a tutte le categorie di lavoratori stranieri, con l’eccezione di quelli impiegati nelle fattorie. Fonti della Casa Bianca, però, sottolineano che tutte le scelte, comprese quelle relative all’immigrazione, dovranno tenere conto della necessità di riaprire il paese, rendendo quindi estremamente improbabile che Trump adotti decisioni troppo drastiche e che scatenerebbero le ire degli imprenditori.

L’ordine esecutivo, il secondo di Trump in tale direzione, potrebbe essere firmato questa settimana, ma Jared Kushner, genero del presidente e suo consigliere, potrebbe cercare di bloccarlo. È stato del resto lo stesso Kushner, nel corso di un incontro che si è tenuto in aprile nello studio ovale della Casa Bianca, a convincere il presidente a prevedere eccezioni per le centinaia di migliaia di lavoratori temporanei. Inoltre, ogni nuovo ordine esecutivo continuerà a esentare dalle restrizioni i professionisti della sanità, coloro che entrano negli Usa per ragioni di sicurezza nazionale, gli iracheni e gli iraniani che lavorano per il governo degli Stati uniti e i componenti delle forza armate Usa.



Joe Biden il sinistro miserabile


La pronta risposta di Trump.

Usa 2020, Joe Biden lancia uno spot contro Donald Trump: “100mila americani sono morti e il Presidente gioca a golf…”
di F. Q. | 25 Maggio 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... f/5812528/

Un video spot di pochi secondi ma dal messaggio molto chiaro: “Donald Trump gioca a golf mentre in America, causa coronavirus, sono morte 100mila persone“. È la campagna lanciata via social dallo sfidante del Presidente per le elezioni Usa del 2020, Joe Biden. Nelle immagini viene mostrato l’attuale presidente intento a giocare a golf il 23 maggio, mentre una colonnina “conta-decessi” alternata a delle immagini degli ultimi mesi, mostra la situazione statunitense: 100mila morti causa Covid-19. Immediata la risposta del tycoon che su Twitter ha commentato: “Biden sta facendo circolare uno spot in cui dice che ho giocato a golf, pensando che debba stare alla Casa Bianca tutto il tempo. Quello che non hanno detto è che è la prima volta che ho giocato a golf in quasi tre mesi”. Barack Obama, aggiunge, “giocava sempre a golf, viaggiava a bordo del 746 per giocare a golf alle Hawaii”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:29 am

Trump e i social anti Trump. Forza Trump!



Trump minaccia di chiudere i social dopo lo scontro con Twitter. Che lo aveva "corretto"
di KATIA RICCARDI
27 maggio 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 257740448/


WASHINGTON - È guerra tra Twitter e il presidente americano. Il social network, che per la prima volta ha definito i tweet di Donald Trump "potenzialmente fuorvianti", come risposta ha ottenuto la minaccia presidenziale di una chiusura.

"I repubblicani - scrive oggi il presidente - sentono che le piattaforme dei social media mettono completamente a tacere le voci dei conservatori. Faremo dei regolamenti oppure li chiuderemo perché non possiamo permettere che questo accada. Abbiamo visto cosa hanno cercato di fare, e non gli è riuscito nel 2016. Non possiamo permettere che ciò accada di nuovo, in maniera più sofisticata. Proprio come non possiamo permettere che elezioni via posta diventino un metodo radicato nel Paese".
Martedì Twitter aveva messo in evidenza due dei tweet di Trump che affermavano, erroneamente, come le votazioni per posta avrebbero portato a una diffusa frode degli elettori. La società, che aveva già annunciato l'introduzione di messaggi per combattere disinformazione e fake news, ha fatto apparire subito sotto i post una scritta a caratteri blu (bold e con punto esclamativo): "Scopri i fatti relativi alle votazioni per corrispondenza!".

Il collegamento portava a una pagina di verifica dei fatti curata creata dalla piattaforma, piena di ulteriori collegamenti e riassunti di articoli di notizie che smascheravano l'affermazione. Nonostante Twitter non abbia risposto alle domande su chi avesse assemblato la pagina di verifica dei fatti o se fosse stata generata algoritmicamente, non era mai successo nella storia. Soprattutto non era mai successo a Trump, il presidente twitter addicted.

Trump minaccia di chiudere i social dopo lo scontro con Twitter. Che lo aveva "corretto"

Per anni, la società di San Francisco ha affrontato critiche sui post di Trump attraverso la piattaforma che ha usato a suo piacimento. Ma Twitter ha ripetutamente affermato che i messaggi del presidente non violavano i propri termini di servizio. Ora non più. Quest'ultima mossa è decisamente finalizzata a fornire un "contesto" attorno alle osservazioni di Trump. Ma è probabile che la decisione sollevi ulteriori domande sulla volontà di applicare l'etichetta anche ad altri tweet di Trump che sono stati ritenuti fuorvianti da terze parti.

"Questi tweet (qui e qui) contengono informazioni potenzialmente fuorvianti sui processi di voto e sono stati etichettati per fornire un contesto aggiuntivo riguardo alle votazioni per posta elettronica", ha detto il portavoce di Twitter Katie Rosborough a Cnn Business in una e-mail. "Questa decisione è in linea con l'approccio che abbiamo condiviso all'inizio di questo mese" e questo segna anche i primi casi in cui la piattaforma ha etichettato un tweet di Trump come potenzialmente fuorviante.

Il colosso social si è mosso martedì dopo la lettera del vedovo di Lori Klausutis scritta a Jack Dorsey, amministratore delegato di Twitter e diventata pubblica. Timothy Klausutis chiedeva di eliminare i tweet di Trump sulla sua defunta moglie, definendoli "bugie orribili", "indicibilmente crudeli". Lori Klausutis era morta nel 2001 per complicazioni di una condizione cardiaca non diagnosticata mentre lavorava per Joe Scarborough, un congressista della Florida all'epoca. Come parte della sua lunga faida con Scarborough, Trump aveva pubblicato false teorie cospirative sulla sua morte suggerendo che Scarborough fosse coinvolto.

"Mr. Dorsey, quasi 19 anni fa, mia moglie, che aveva una condizione cardiaca non diagnosticata, cadde e batté la testa sulla sua scrivania al lavoro. È stata trovata morta la mattina dopo. Si chiama Lori Kaye Klausutis e aveva 28 anni quando è morta. La sua scomparsa è la cosa più dolorosa che abbia mai avuto a che fare nei miei 52 anni e continua a perseguitare i suoi genitori e sua sorella. Ho pianto mia moglie ogni giorno. (...) La frequenza, l'intensità, la bruttezza e la promulgazione di queste orribili bugie aumenta sempre su Internet. Questi teorici della cospirazione, tra i quali il più recente è il Presidente degli Stati Uniti, continuano a diffondere odio bile e disinformazione attraverso la sua piattaforma denigrando il ricordo di mia moglie e del nostro matrimonio. Martedì il presidente Trump ha twittato ai suoi quasi 80 milioni di follower alludendo alla falsità ripetutamente sfatata che mia moglie è stata assassinata dal suo capo, ex rappresentante degli Stati Uniti Joe Scarborough. Il figlio del presidente lo ha seguito sulla stessa strada. Sono sicuro che lei sia consapevole di questa situazione perché i media di tutto il mondo l'hanno coperta, ma per ogni evenienza, eccola qui".

Anche in questo caso la società ha replicato di essere "profondamente dispiaciuta per il dolore che queste dichiarazioni" stavano causando alla famiglia Klausutis, ma anche che non avrebbe rimosso i tweet di Trump perché non violavano le proprie politiche. (In foto Jack Dorsey)

Lo stesso giorno della lettera però sono stati "etichettati" i due tweet del presidente sulle elezioni via mail. Twitter ha stabilito che tali affermazioni sono prive di fondamento e potrebbero portare alla confusione degli elettori, quindi "meritavano una correzione". Il presidente senza tweet rischia di non poter più essere virale.



Social media, arriva la stretta di Trump
28/05/2020

https://www.adnkronos.com/fatti/esteri/ ... DQ0yJ.html

"I big dell'Hi Tech stanno facendo tutto quello che è in loro potere per censurare le elezioni del 2020. Se accadrà, non avremo più la nostra libertà. Non permetterò mai che accada". Lo ha dichiarato in un tweet il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dopo le minacce di prendere iniziative contro tutti i social media a seguito della decisione della piattaforma di microblogging di inserire il fact checking sui suoi 'cinguettii' per smentire le fake news. "Ci hanno provato nel 2016 e hanno perso. Ora stanno diventando completamente pazzi. Restate sintonizzati", ha aggiunto Trump.
Il presidente degli Stati Uniti firmerà un ordine esecutivo che prevede una stretta sui social media. Lo ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Kayleigh McEnany ai giornalisti, spiegando che l'annuncio di Trump è previsto per oggi. McEnany non ha spiegato nei dettagli cosa prevederà il decreto, che segue le denunce di Trump a Twitter e Facebook di non rispettare la libertà di parola reprimendo quella dei conservatori.

Secondo quanto anticipato dal New York Times, il provvedimento potrebbe erodere alcune delle protezioni di cui godono i social media, in termini di punibilità per i contenuti diffusi attraverso le loro piattaforme.





Zuckerberg critica Twitter per aver contrassegnato come "fuorvianti" i tweet di Trump
28.05.2020

https://it.sputniknews.com/politica/202 ... -di-trump/


Zuckerberg ha fatto il commento dopo che il presidente Trump ha detto che il governo federale potrebbe regolamentare fortemente i social media.

Il CEO di Facebook Mark Zuckerberg ha criticato Twitter per aver contrassegnato come "falso" uno dei tweet del presidente americano Donald Trump.

In precedenza, uno dei tweet di Trump era stato designato come contenente una "bufala", sotto di esso appariva un'icona di avviso che spingeva gli utenti a familiarizzare con i fatti relativi al voto per corrispondenza. Il link con questo contrassegno porta a una pagina Twitter speciale, che inizia con un link a un articolo del Politico sotto il titolo "Trump fa affermazioni non comprovate che il voto per corrispondenza porta alla falsificazione dei risultati".

"Abbiamo una politica diversa. Sono fermamente convinto che Facebook non possa essere un arbitro in ciò che la gente dice online, in particolare le aziende che forniscono una piattaforma per tali discussioni non dovrebbero farlo", ha detto Zuckerberg a Fox News.

Zuckerberg ha fatto il commento dopo che il presidente Trump ha avvertito i giganti dei social media che il governo federale potrebbe "regolamentare fortemente" o "chiuderli" se continuano a "mettere a tacere le voci conservatrici".

"Devo capire cosa avrebbero effettivamente intenzione di fare", ha detto Zuckerberg in risposta all'avvertimento del presidente. "Ma in generale, penso che un governo che scelga di censurare una piattaforma perché sono preoccupati per la censura non mi sembra esattamente la risposta giusta".


I tweet di Trump sulle votazioni per corrispondenza

Martedì il presidente degli Stati Uniti si è unito ai membri del Partito Repubblicano nel criticare l'ordine esecutivo dell'8 maggio del governatore democratico della California Gavin Newsom, che ha richiesto che le votazioni per corrispondenza fossero consegnate agli elettori registrati prima delle elezioni presidenziali del 2020 a novembre.

Trump ha pubblicamente attaccato le votazioni per corrispondenza in entrata e ha fatto affermazioni non comprovate riguardo alle frodi associate al metodo, così martedì Twitter ha deciso di agire contro i suoi commenti sulle votazioni per corrispondenza.




Trump minaccia di regolamentare e chiudere Twitter nello scontro sulla "disinformazione"
27.05.2020

https://it.sputniknews.com/politica/202 ... ormazione/


Il presidente ha accusato il colosso dei social media di "soffocare completamente la libertà di parola" martedì, avvertendo che non avrebbe permesso che ciò continuasse dopo che il social ha contrassegnato i suoi tweet sulle votazioni per corrispondenza come "fuorvianti".

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump mercoledì mattina ha accusato Twitter e le piattaforme dei social media nel loro insieme di tentare di "mettere "totalmente" a tacere le voci conservatrici" e avvertendo che lui e i legislatori repubblicani avrebbero "regolato o chiuso queste ultime, prima che questo accada".

"Abbiamo visto cosa hanno tentato di fare e hanno fallito nel 2016", ha scritto Trump, ricordando la presunta parzialità dei social media nei confronti della sua campagna presidenziale quattro anni fa. "Non possiamo permettere che una versione più sofisticata di questo accada di nuovo", ha aggiunto, esortando i giganti dei social media a "datevi una regolata, ADESSO!!!"

Il presidente non ha ancora chiarito quale tipo di regolamentazione stia prendendo in considerazione la sua amministrazione nei confronti della società.


I tweet di Trump sulle votazioni per corrispondenza

Martedì il presidente degli Stati Uniti si è unito ai membri del Partito Repubblicano nel criticare l'ordine esecutivo dell'8 maggio del governatore democratico della California Gavin Newsom, che ha richiesto che le votazioni per corrispondenza fossero consegnate agli elettori registrati prima delle elezioni presidenziali del 2020 a novembre.

Trump ha pubblicamente attaccato le votazioni per corrispondenza in entrata e ha fatto affermazioni non comprovate riguardo alle frodi associate al metodo, così martedì Twitter ha deciso di agire contro i suoi commenti sulle votazioni per corrispondenza.


La lotta di Twitter contro la “disinformazione”

La segnalazione mirata della piattaforma di social media invita gli utenti a "informarsi sui fatti relativi alle votazioni per posta elettronica".

Secondo Twitter due tweet in questione "contengono informazioni potenzialmente fuorvianti sui processi di voto e sono stati etichettati per fornire un contesto aggiuntivo riguardo le votazioni per corrispondenza".

Trump si è scagliato contro Twitter più tardi martedì sera, accusando la piattaforma di "interferire nelle elezioni presidenziali del 2020" e di "soffocare la libertà di parola".

Twitter ha intensificato la segnalazione e la rimozione di "contenuti potenzialmente dannosi e fuorvianti" negli ultimi mesi, con la maggior parte dei contenuti relativi alla pandemia di coronavirus. La società è stata accusata di censura da parte di persone con punti di vista alternativi.



Trump ha firmato ordine su social media: 'Twitter fa attivismo politico' - Nord America
Agenzia ANSA
28 maggio 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... d535a.html


La scure di Donald Trump si abbatte sui social con un ordine esecutivo che punta a ridurre la loro immunità legale esponendoli al rischio di cause, dopo che Twitter ha 'corretto' per la prima volta due cinquettii del tycoon che equiparavano il voto per corrispondenza ai brogli.

Twitter fa "attivismo poltico", ha attaccato in serata poco dopo che la Casa Bianca aveva reso noto che il presidente ha firmato l'ordine esecutivo.

La mossa sarà sicuramente sfidata nei tribunali da giganti come Twitter, Facebook, Youtube e Google, che continuano a subire perdite a Wall Street.

La posta in gioco è altissima e riguarda gli argini alla disinformazione, la prerogativa di accertare i fatti in un'epoca dove il potere usa sempre di più le piattaforme social per comunicare direttamente con l'opinione pubblica. A partire da Trump che, forte dei suoi oltre 80 milioni di follower, brandisce Twitter come arma politico-propagandistica a 360 gradi, seminando anche teorie cospirative e oltre 16 mila affermazioni false o fuorvianti da quando è in carica, secondo un resoconto dei media. La battaglia, ennesimo test sui confini dei poteri della Casa Bianca, vede Twitter e Facebook su fronti opposti, con i loro leader che litigano indebolendo la risposta di Big Tech.

"Abbiamo una politica differente da Twitter su questo, credo fortemente che Facebook non debba essere l'arbitro della verità di tutto ciò che la gente dice online", ha detto l'ad Mark Zuckerberg in un'intervista a Fox.

"In generale le società private, specialmente queste piattaforme, probabilmente non dovrebbero essere nella posizione di farlo". "Segnalare le informazioni errate non ci rende un 'arbitro della verità'", gli ha risposto il numero uno di Twitter Jack Dorsey. "Continueremo a segnalare informazioni errate o contestate sulle elezioni a livello globale", ha aggiunto, spiegando che i tweet di Trump "potrebbero indurre le persone a pensare erroneamente che non è necessario registrarsi per ottenere una scheda elettorale".

"La nostra intenzione è collegare i punti di dichiarazione contrastanti e mostrare le varie informazioni in una disputa in modo che la gente possa giudicare da sola", ha proseguito.



La vendetta di Trump su Twitter, firmato l'ordine che sospende immunità penale: "I social potranno essere puniti"
Due giorni dopo lo scontro provocato dalla decisione di Twitter di mettere in guardia gli utenti su messaggi del presidente potenzialmente falsi, è arrivato il castigo
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
29 maggio 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 257877306/


NEW YORK - La vendetta di Donald Trump si abbatte su Twitter, il suo social media favorito che di colpo si è trasformato in nemico. 48 ore dopo lo "scontro", provocato dalla decisione di Twitter di mettere in guardia gli utenti su messaggi del presidente potenzialmente falsi, è arrivato il castigo. Quanto sarà efficace, è presto per dirlo. Stasera Trump ha firmato un ordine esecutivo (l'equivalente di un decreto) che dovrebbe rendere più agevole perseguire per vie giudiziarie i social come Twitter e Facebook qualora assumano il ruolo di "moderatori" delle fake news, cancellando dei post o chiudendo degli account. In questo modo il decreto cerca di abbattere o di indebolire uno scudo legale che protegge i social media e le piattaforme online.
Social Network
La tesi di Trump è che questi social hanno un'agenda politica progressista, che il loro ruolo di moderatori non è neutrale, anzi nelle sue parole "fanno dell'attivismo". Nell'annunciare la firma del decreto ha aggiunto che sarebbe pronto a chiudere il proprio account su Twitter. Quest'ultima minaccia è forse più inquietante - se fosse vera - per il social media che dall'uso quotidiano del presidente degli Stati Uniti ha ricavato un aumento di audience e una pubblicità notevole. Trump ha detto che la sua mossa serve a "difendere la libertà di parola contro uno dei più grandi pericoli".

Interpellato dai giornalisti sulla possibilità che l'ordine esecutivo venga bloccato da ricorsi in tribunale, lo ha dato per scontato: "Lo sono tutti, no?" In effetti la storia dei decreti nell'era Trump è ricca di rovesci in sede giudiziaria: a inaugurare questo genere di battaglie fra ricorsi e contro-ricorsi fu uno dei primissimi atti della sua presidenza, il cosiddetto Muslim Ban con cui vietava l'ingresso negli Stati Uniti a cittadini di alcune nazioni islamiche. In questo caso l'ordine esecutivo solleverà eccezioni di incostituzionalità perché potrebbe violare il Primo Emendamento, quello che tutela la libertà di espressione e di stampa.

Inoltre è dubbio se un decreto presidenziale possa cancellare le normative vigenti che regolano le responsabilità dei social media e li proteggono da azioni legali. Di sicuro questo decreto entra nell'arsenale della campagna elettorale: Trump ha sempre accusato i giornali e le tv di essere a maggioranza di sinistra, ora aggiunge i social media nel novero dei nemici che lo perseguitano e lo boicottano.





#TwitterGate. Il vergognoso e completamente falso “fact-checking” di Twitter alle opinioni del Presidente Donald Trump
29 maggio 2020

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... ald-trump/

Il cartello di un’anonima “fondazione di famiglia” per avvertire contro la frode degli elettori
Il vergognoso e completamente falso “fact-checking” che Twitter ha inserito in un avvertimento su due tweet del Presidente Donald Trump sul voto per corrispondenza, fatto dai sedicenti “fact-checker” della CNN e del Washington Post, e nonostante i veri esperti sostengano le preoccupazioni di Trump!

Il rischio di frode elettorale con il voto per corrispondenza è concreto e il Presidente Donald Trump fa bene a ribadirlo

Da tempo infatti gruppi di esperti bipartisan (cioè appartenenti ad entrambi i partiti – non come i “fact-checker” della CNN e del Washington post, che sono di parte – Democratica s’intende) così come alcuni giornalisti, hanno scoperto che la c.d. “votazione in assenza“, via posta, aumenta il rischio di frode degli elettori.

Le votazioni per gli assenti rimangono la principale fonte di potenziali frodi degli elettori questa è la conclusione di un rapporto bipartisan stilato già nel 2005 e redatto dalla Commissione sulla riforma elettorale federale, presieduto dall’ex presidente Jimmy Carter (Democratico) e dall’ex segretario di Stato James Baker (Repubblicano).

L’anno scorso, la California e in particolare la Contea di Los Angeles sono stati costretti a rimuovere dalle liste elettorali 1,5 milioni di elettori “inattivi” grazie ad una causa promossa da Judicial Watch.

Nella presentare la denuncia, Judicial Watch aveva riportato:

che la Contea di Los Angeles presentava più registrazioni di elettori nei suoi registri elettorali rispetto ai cittadini che presentavano i requisiti per registrarsi. In particolare, secondo i dati forniti e pubblicati dalla US Election Assistance Commission, la Contea di Los Angeles presentava un tasso di registrazioni pari al 112 percento rispetto alla sua popolazione adulta.
che l’intero Stato della California presentava un tasso di registrazioni di circa il 101 percento rispetto alla cittadinanza ammissibile per età al voto.
che ben 11 delle 58 contee della California presentavano un tasso di registrazione superiore al 100% rispetto alla cittadinanza ammissibile per età al voto.

La sentenza ha confermato che nella sola Contea di Los Angeles c’erano oltre 1,5 milioni di elettori potenzialmente “inammissibili“. Ciò significa che più di una registrazione su cinque della Contea di Los Angeles probabilmente apparteneva ad un elettore che o si era trasferito o era addirittura deceduto.

Judicial Watch ha osservato che

La Contea di Los Angeles ha il maggior numero di registrazioni inattive di qualsiasi altra contea del Paese.

Addirittura, nella causa promossa da Judicial Watch si è anche scoperto che né lo Stato della California né la Contea di Los Angeles avevano rimosso gli elettori “inattivi” dai registri degli elettori negli ultimi 20 anni! La Corte Suprema ha affermato l’anno scorso in “Husted v. A. Philip Randolph Inst., 138 S. Ct. 1833 (2018)” che l’NVRA “rende obbligatoria questa rimozione”.

Continuando, anche i dati forniti dal Public Interest Legal Foundation (PILF) indicano che circa 28 milioni di votazioni per corrispondenza sono scomparse nell’ultimo decennio!

Le elezioni del 2012, 2014, 2016 e 2018 hanno visto oltre 28,3 milioni di schede di posta non contabilizzate”

come si dice nel rapporto della Public Interest Legal Foundation (PILF).

Mettere le elezioni nelle mani del servizio postale degli Stati Uniti sarebbe una catastrofe. Negli ultimi dieci anni, ci sono stati 28 milioni di voti mancanti e indirizzati in modo erroneo

ha dichiarato il presidente e consigliere generale del PILF, J. Christian Adams, in una nota.

Questi rappresentano 28 milioni di opportunità per qualcuno per imbrogliare. La frode elettorale è la più comune; la più costosa da indagare; e che non potrà mai essere annullata dopo le elezioni. Lo ‘status quo’ era già negativo per le votazioni via posta. La soluzione di emergenza proposta è la peggiore.

L’integrità elettorale è diventata una delle questioni più importanti nelle prossime elezioni.

Il 20 maggio, il Presidente Donald Trump ha minacciato di trattenere fondi federali destinati al Michigan per aver perseguito nel suo intento di implementare il voto per corrispondenza. Una mossa certamente discutibile dal punto di vista Costituzionale, dati i divieti generali apposti contro il governo federale che voglia imporre delle azioni ai singoli Stati su questioni che sono ordinariamente all’interno della giurisdizione degli Stati stessi, ma che rende bene l’idea di quali livelli si siano raggiunti in questa fase.

Il Michigan ha inviato richieste di votazione per assenza a 7,7 milioni di persone in vista delle elezioni primarie e generali”, aveva scritto Trump. “Ciò è stato fatto illegalmente e senza autorizzazione, da parte di un Segretario di Stato canaglia (si riferisce al Segretario di Stato del Michigan – n.d.r.). Chiederò di trattenere i fondi per il Michigan se intendono continuare a percorrere la strada delle frodi elettorali!”
Anche l’Attorney General del Texas, Ken Paxton, dice che Trump ha ragione e che il “controllo dei fatti” di Twitter è sbagliato – la frode del voto per corrispondenza è un vero problema!


L’Attorney General del Texas, Ken Paxton

Sono fortemente in disaccordo con Twitter.
ha scritto l’Attorney General del Texas, Ken Paxton, in un articolo per Fox News.

Nel 2007, durante un vivace dibattito sulla legislazione in materia di documenti di identità con la foto tessera, quando era ancora parlamentare del Texas, racconta l’episodio di un parlamentare democratico di Dallas che aveva contestato un disegno di legge sulla base del fatto che consentiva di votare per corrispondenza senza dover procedere prima con l’identificazione attraverso una foto.

Il parlamentare aveva dichiarato: “Votare per corrispondenza, che sappiamo, è la principale fonte di frode degli elettori in questo Stato. “In effetti una grande maggioranza delle azioni giudiziarie presso il Procuratore Generale si verificano per quanto riguarda il voto per corrispondenza” conferma Paxton. “Circa due terzi dei reati di frode elettorale perseguiti dal mio ufficio hanno coinvolto alcune forme di frode per corrispondenza“. Tali procedimenti comprendono casi di contraffazione e di falsificazione delle schede e ne racconta qualche esempio.

Il Presidente Trump, ritiene l’Attorney General, ha ragione a denunciare il piano della California o di qualsiasi altro Stato di inviare le schede per votare a tutti gli elettori registrati nello Stato prima delle elezioni di novembre. “Il potenziale abuso da parte degli scrutatori professionisti è elevato“.

E ancora: “Il rischio di abuso, che è stato documentato e spiegato più volte, è in qualche modo sfuggito al “fact-checking” di Twitter riguardo ai tweet del Presidente Trump. Forse quell’omissione deve meno alla mancanza di “fatti” e più al pregiudizio dei fact-checkers di Twitter.

Ad esempio, ricorda Paxton, il responsabile dell’integrità del sito di Twitter, Yoel Roth, ha attaccato il presidente Trump ed il suo team, chiamandolo “L’ATTUALE NAZISTA alla Casa Bianca” e ha offeso gli elettori di Trump additandoli come sostenitori di un “mandarino razzista”.

A prescindere dal fatto che Twitter alla fine decida di riconoscere i fatti reali relativi al voto per corrispondenza, l’Attorney General del Texas assicura che: “continuerò a indagare e perseguire tutte le forme di frode elettorale, inclusa la frode mediante votazione per corrispondenza.

Inoltre, ha sollecitato vivamente Twitter a riconsiderare il suo “fact-checking“, così selettivo sulle fonti considerate “obiettive” e poi utilizzate – e apparentemente guidato dal pregiudizio ideologico – in favore di un approccio più obiettivo, equo, accurato e basato su prove.
Twitter costretto a correggere il suo “fact-checking” sul voto per corrispondenza dopo essere stato sottoposto a sua volta fact-checking
Donald Trump e Jack Dorsey

L’invito dell’Attorney General a Twitter non è però rimasto inascoltato.

Twitter ha infatti corretto l’avviso che era stato aggiunto ai tweet del Presidente Donald Trump, dopo che il Wall Street Journal ha sottolineato che il “fact-checking” fornito della piattaforma, di per sé, era in realtà impreciso.

Il link di “verifica dei fatti” di Twitter indirizzava gli utenti agli articoli della CNN e del Washington Post, i “professionisti dell’informazione” noti per la loro opposizione all’Amministrazione di Donald Trump.

Tuttavia, il Wall Street Journal ha osservato:

Il fact check di Twitter dei tweet di Mr. Trump sembrava contenere una sua dichiarazione fuorviante, tuttavia, affermava che “le votazioni per posta vengono già utilizzate in alcuni Stati, tra cui Oregon, Utah e Nebraska”. Tale affermazione sembra però confondere l’all-mail voting con l’absentee ballots in merito ad almeno uno Stato.

Mentre tutti gli Stati consentono il voto degli assenti via posta, solamente una manciata di Stati, tra cui l’Oregon e lo Utah, spediscono automaticamente agli elettori registrati le schede per votare per corrispondenza. Il Nebraska, al contrario, recentemente ha inviato per posta le domande per chiedere il voto via posta a tutti i suoi elettori – in risposta alla pandemia – ma lo Stato non ha inviato automaticamente anche le schede.

L’errore ha sollevato dubbi sulla capacità di Twitter di prestarsi come un servizio indipendente per verificare le dichiarazioni di Mr. Trump o di altri personaggi politici al suo servizio. Nel tardo Martedì, Twitter ha aggiornato il suo messaggio per rimuovere il riferimento al Nebraska ed ha invece dichiarato che “cinque Stati fanno già votare interamente per posta e tutti gli Stati offrono una qualche forma di voto per assente”.

Dustin Volz del Journal ha twittato: “È stato corretto dopo che un professionista delle elezioni ha informato la società (e me) dell’errore”.

Come riportato anche da Breitbart News, la California sta affrontando almeno due cause legali sul voto per corrispondenza da parte di querelanti che sostengono che al Governatore Newsom manchi l’autorità costituzionale e legale per cambiare il sistema di voto dello Stato senza prima un approvazione da parte del potere legislativo.

Come funziona il voto per corrispondenza negli Stati Uniti?

In estrema sintesi, attualmente Cinque Stati – Colorado, Hawaii, Oregon, Utah e Washington – conducono quelle che vengono comunemente chiamate “all-mail elections“. In questi Stati, il voto è condotto principalmente, anche se non necessariamente esclusivamente, via posta.

I sistemi automatici di votazione per posta prevedono che tutti gli elettori idonei ricevano la “scheda elettorale” oppure la “domanda per richiedere la scheda elettorale”. Questi vengono talvolta definiti “all-mail elections systems“.

Ogni Stato prevede un metodo in base al quale gli elettori possono votare senza recarsi in un seggio elettorale fisico. I termini “voto per assente”, “voto per posta”, “voto solo per posta” o “voto da casa” sono talvolta usati per descrivere questi metodi, che possono essere divisi in due categorie: “Automatic mail-in ballots” (sistemi automatici di votazione per posta) e “Automatic mail-in ballot applications” (sistemi di votazione per posta su richiesta).

Nel primo, il c.d. “Automatic mail-in ballots“, i funzionari trasmettono automaticamente le schede elettorali via posta a tutti gli elettori idonei. Gli elettori possono restituire tali schede per posta oppure utilizzando dei siti di deposito designati.

Nel secondo, il c.d. “Automatic mail-in ballot applications“, i funzionari trasmettono automaticamente solo le domande per richiedere la votazione per posta a tutti gli elettori idonei. A sua volta, l’elettore che voglia avvalersi di questo strumento, deve presentare la domanda completa per ricevere il plico con la scheda elettorale e le istruzioni per poter votare. L’elettore restituisce quindi la scheda compilata via posta oppure utilizzando dei siti di deposito designati.

Recarsi “fisicamente” al seggio rimane ovviante possibile in entrambi i sistemi, ma con delle differenze in merito e al numero di seggi “fisici” in cui è possibile recarsi e nelle modalità di accesso a questi, che ovviamente variano da Stato a Stato.

In risposta alla Pandemia di Covid-19, sono stati implementati (clicca qui per vedere la lista di Stati aggiornata) i sistemi automatici di votazione per posta. Si sono aggiunti, ad esempio, la California, che ha adottato il primo, ed il Nebraska, che però, ha scelto di utilizzare il secondo sistema, come fatto notare dal Wall Street Journal.

Ecco dunque spiegato l’errore in cui i “fact-checkers”, utilizzati da Twitter per verificare quanto detto dal Presidente Donald Trump, sono incappati.




280 CARATTERI ANTISEMITI
Giulio Meotti
30 maggio 2020

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... __tn__=K-R

L'account del partito Alba dorata in Grecia, del suprematista bianco Alex Jones negli Stati Uniti e del gruppo neonazista tedesco Better Hanover, per citare soltanto alcuni profili che Twitter ha bannato per violazione delle regole contro l'incitamento all'odio, l'antisemitismo e il razzismo. O il leader della Nazione dell'islam, Louis Farrakhan, costretto a cancellare un tweet in cui paragonava gli ebrei alle “termiti”.

Ma quando la Guida suprema della Repubblica islamica d'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei, paragona gli ebrei israeliani a un “cancro”, Twitter glissa. Khamenei ha pubblicato dieci giorni fa un poster che evoca la “soluzione finale”. Si vede Gerusalemme conquistata dai terroristi e senza più ebrei, sovrastata dalla scritta: “La Palestina sarà libera. Soluzione finale”. Sono partite subito richieste di mettere al bando l'account Twitter di Khamenei. Richieste, come già successo, ignorate. Khamenei ha appena “chiarito” sempre su Twitter che l'espressione “soluzione finale” (coniata dai nazisti a Wannsee) non si riferisce agli ebrei, ma “solo” a Israele. E ha concluso il suo nuovo tweet con le testuali parole: “Eliminating Israel & it will happen” (“Eliminare Israele ed è ciò che accadrà”). E l'Iran per far sì che “it will happen” finanzia con miliardi di dollari i gruppi terroristici antisraeliani.

“I ventisette paesi Ue e Josep Borrell condannano le dichiarazioni di Khamenei che mettono in discussione la legittimità di Israele”, ha detto l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea. Tali dichiarazioni sono “totalmente inaccettabili e incompatibili con l'obiettivo” di garantire che “la regione sia stabile e pacifica. L'Ue ribadisce il proprio impegno a favore della sicurezza di Israele”. E con una lettera al ceo di Twitter, Jack Dorsey, la neo ministra israeliana per gli Affari strategici Orit Farkash-Hacohen ha chiesto la “sospensione immediata” dell'account di Khamenei “per la sua costante pubblicazione di post antisemiti e genocidi”.

Anche un anno fa, un tweet del leader iraniano ha sollevato dubbi sui termini di servizio di Twitter e sul doppio peso del gigante sociale. Khamenei aveva già twittato: “Israele è un tumore maligno canceroso nella regione dell'Asia occidentale che deve essere rimosso e sradicato: è possibile e accadrà”. Le regole di Twitter dettano: “Non puoi fare specifiche minacce di violenza o desiderare gravi danni fisici, morte o malattie di un individuo o di un gruppo di persone”. Eppure, quando i tweet di Khamenei vengono segnalati alla direzione del social, la risposta è quasi sempre la stessa: “Non vi è stata violazione delle regole di Twitter contro comportamenti abusivi”.

In risposta a una richiesta di commento, un rappresentante di Twitter aveva risposto a Fast Company sul caso Khamenei: “Bloccare un leader mondiale da Twitter o rimuovere i loro controversi tweet nasconderebbe informazioni importanti che le persone dovrebbero potere vedere e discutere”.

Una risposta in linea di principio corretta, salvo che Twitter è appena intervenuta per segnalare un tweet di Donald J. Trump contro il voto via posta, a suo dire “falsato”. In fondo al tweet del presidente americano, il social ha inserito una frase in blu, “leggi come stanno le cose sul voto postale”. Nulla di simile è mai comparso sotto ai tweet di Khamenei per segnalare la sua invocazione alla distruzione dello stato di sei milioni di ebrei israeliani. Siamo in pieno paradosso algoritmico. Il paradosso è che il Global Times, una sorta di Pravda inglese del Partito comunista cinese, diffonde propaganda antiamericana su Twitter, che è vietato in Cina, su come i soldati americani avrebbero portato il Covid-19 a Wuhan lo scorso autunno.

Twitter, nel frattempo, oscurava il popolare sito web Zero Hedge per avere pubblicato un articolo che collegava uno scienziato cinese all'epidemia. Non meno paradossale del bando che il presidente iraniano Hassan Rohani ha deciso contro l'uso nel paese di qualsiasi prodotto israeliano, compresi hardware o software. Come ha spiegato David Horovitz su The Times of Israel, “farebbe arretrare l'Iran di 50 anni: niente computer, internet, telefoni cellulari”. Forse Jack Dorsey potrebbe dare loro una mano: niente Twitter a chi lo usa per invocare una nuova “soluzione finale del problema ebraico”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » dom giu 21, 2020 7:29 am

Obamagate, le rivelazioni di Rosenstein inguaiano i democratici
Roberto Vivaldelli
5 giugno 2020

https://it.insideover.com/politica/obam ... e_redirect


L’ex vice procuratore generale Rod Rosenstein è stato il primo testimone a essere sentito dal comitato giudiziario del Senato presieduto dal senatore Lindsey Graham nell’ambito dell’indagine sulle origini del Russiagate. Per il momento, Graham ha rinviato il voto sull’autorizzazione a citare in giudizio più di 50 persone coinvolte nell’Obamagate: il senatore vicino a Donald Trump ha dichiarato di aver voluto posticipare il voto per dare ai senatori abbastanza tempo per discutere pienamente la questione. Le rivelazioni di Rod Rosenstein, tuttavia, sono a dir poco “scottanti”. Come riporta Agenzia Nova, Graham ha interrogato con insistenza a Rosenstein sulla legittimità della nomina del procuratore speciale Robert Mueller a capo dell’inchiesta, che non ha rilevato alcun collegamento tra la squadra di Trump e le ingerenze russe sulla campagna elettorale. L’ex numero due del dipartimento di Giustizia ha ammesso che non avrebbe firmato il mandato del 2017 per la sorveglianza FISA dell’ex consigliere di Trump, Carter Page.

“Non credo che l’indagine sia stata corrotta, ma certo comprendo la frustrazione del presidente alla luce del risultato, ovvero che non vi è alcuna prova di cospirazione tra i consiglieri della campagna elettorale di Trump e i russi. Indaghiamo su persone che non sono necessariamente colpevoli. E non ho mai presunto che questa gente fosse colpevole di nulla”, ha affermato Rosenstein.


I momenti chiave dell’audizione all’ex vice procuratore di Obama

Come scrive il New York Post, è chiaro a questo punto, a maggior ragione dopo l’ammissione di Rod Roseinstein, che l’indagine sul Russiagate non aveva motivo di essere aperta. Come ha ammesso l’ex vice procuratore generale, l’Fbi “non seguiva i protocolli e c’erano errori significativi”. Il senatore repubblicano Ted Cruz ha rincarato la dose, accusando l’amministrazione Obama: “Ciò che l’amministrazione Obama/Biden ha fatto nel 2016 e nel 2017 rende tutto ciò che ha fatto Richard Nixon insignificante”, con un chiaro riferimento allo scandalo Watergate. Difficile dare torto a Cruz: i funzionari delle agenzie governative all’epoca dell’amministrazione Obama hanno dato credito al dossier redatto dall’ex spia britannica Christopher Steele che, oltre a esser ampiamente screditato è anche stato pagato con i soldi della Campagna di Hillary Clinton. Senza dimenticare le chiare violazioni, sempre da parte dell’Fbi, che hanno portato il Dipartimento di giustizia a ritirare tutte le accuse nei confronti del tenente generale Michael T. Flynn, primo consigliere per la sicurezza nazionale di Trump.

Graham ha dichiarato a Sean Hannity su Fox News che l’udienza di mercoledì è stata “il primo passo nel viaggio che si concluderà in ottobre per cercare di spiegare al popolo americano cosa diavolo è successo”. “Com’è possibile – ha aggiunto – che l’FBI e il Dipartimento di Giustizia abbiano frodato così tante volte il tribunale FISA e nessuno ne sapesse nulla?”. Graham ha poi sottolineato che se qualcuno era a conoscenza del fatto che il dossier Steele fosse “spazzatura” ora potrebbe “essere un candidato adatto per andare in prigione”. Il rapporto IG aveva rivelato che gli agenti dell’Fbi sapevano che Steele lavorasse per Glenn Simpson (Fusion Gps) e che quest’ultimo stesse pagando Steele per scavare su Trump per conto della Campagna di Clinton: Steele informò l’Fbi che Hillary Clinton stessa era conoscenza del suo lavoro. Cosa forse ancor più grave, l’ex agente del MI6 non tenne per sé il materiale riservato che aveva appreso dall’Fbi. Poco dopo l’incontro di Roma, infatti, Steele informò Simpson ciò che l’Fbi gli aveva rivelato.


E ora rischia anche l’ex ambasciatore in Italia, John Philips

Il senatore repubblicano Ron Johnson del Wisconsin ha sottolineato di essere più che “sbalordito” dall’ampiezza della corruzione del governo Usa nella transizione del potere tra le presidenze di Barack Obama e Donald Trump. Come riporta La Verità, il Senato americano si prepara ad accendere i riflettori su John Phillips, ambasciatore americano in Italia dal 2013 al 2017. Proprio Johnson, come ha stabilito la commissione per la Sicurezza interna da lui presieduta, gli ha concesso la facoltà di emettere ordini di comparizione per quei funzionari dell’amministrazione Obama che chiesero di svelare il nome di Mike Flynn nelle conversazioni intercettate, in cui era rimasto coinvolto. Tra questi c’è proprio Philips, grande “supporter” dell’ex premier Matteo Renzi.

Come riporta Forbes c’è anche Philips nella lista dei 39 ex funzionari dell’amministrazione Usa che chiesero che l’identità di Michael Flynn fosse rivelata nei rapporti dell’intelligence – un processo noto come unmasking – secondo i documenti resi disponibili a due senatori repubblicani dal direttore dell’intelligence nazionale Richard Grenell. Oltre all’ambasciatore compaiono, tra gli altri, Joe Biden, i nomi dell’ex direttore dell’Intelligence nazionale James Clapper, divenuto poi uno dei più vocali detrattori del presidente Trump; dell’ex direttore dell’Fbi James Comey; dell’ex capo del personale della Casa Bianca, Denic McDonough. Tra i nomi spunta poi anche quello di Kelly Degnan, ex vice capo missione all’ambasciata di Roma, il che fa supporre che il nostro Paese possa essere in qualche modo coinvolto dalla controinchiesta dell’amministrazione Trump sulle origini del Russiagate. Come ricordava La Stampa lo scorso febbraio, proprio a Roma, il 3 ottobre 2016, si era svolto un incontro segreto e cruciale tra gli investigatori dell’Fbi e Christopher Steele.


Quel tweet di Trump che coinvolge Roma

Un paio di settimane fa, nella raffica di tweet del presidente Usa contro il suo predecessore Obama, accusato dall’attuale inquilino della Casa Bianca di aver tentato di “sabotare” la sua presidenza confezionando delle false accuse di collusione con il Cremlino, Donald Trump ha ritwittato l’esperto dell’Hoover Institution Paul Sperry, il quale cita un nome in particolare: l’agente dell’Fbi Michael Gaeta, assistente legale presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Roma. Sperry scrive: “Gaeta, il contatto dell’Fbi di Christopher Steele”, autore del falso dossier sul Russiagate ed ex spia britannica, “ha testimoniato di aver incontrato “quest’ultimo il 5 luglio 2016 e di aver concluso i suoi rapporti con Steele nel novembre 2016 nei rapporti Fd-1023 ma l’Ig Horowitz non menziona tali rapporti”. Un nome, quello di Gaeta, che porta sempre sulle tracce della Capitale, epicentro delle trame contro il presidente Usa.


Il dossier Steele non era attendibile e i funzionari di Obama lo sapevano
Roberto Vivaldelli
12 giugno 2020

https://it.insideover.com/politica/il-d ... e_redirect

Nuovi documenti declassificati dal direttore dell’intelligence nazionale John Ratcliffe e consegnati ai senatori Gop Chuck Grassley e Ron Johnson dimostrano che all’inizio del 2017 la comunità d’intelligence e i principali funzionai dell’amministrazione Obama sapevano che il screditato dossier sulla presunta collusione fra la Campagna di Trump e la Russia, realizzato dall’ex spia britannica Christopher Steele e finanziato da Fusion Gps, Washington Free Beacon, dalla Campagna di Hillary Clinton e dal Comitato nazionale democratico, non era attendibile. Ratcliffe ha diffuso l’allegato di due pagine, aggiunto alle conclusioni di gennaio 2017 di Fbi, Cia e della National Security Agency sulla presunta collusione russa dove è scritto nero su bianco che le informazioni fornite da Steele al bureau erano confermate “in maniera limitata”.

Come riporta il Washington Examiner: “Una fonte dell’Fbi [Steele] che utilizza fonti secondarie identificate e non identificate ha offerto volontariamente informazioni altamente sensibili dal punto di vista politico nell’estate del 2016 sugli sforzi della Russia nell’interferire nelle elezioni presidenziali statunitensi”, si legge nell’allegato. “In questo caso abbiamo solo una limitata conferma della segnalazione della fonte e non l’abbiamo utilizzata per raggiungere le conclusioni analitiche della valutazione di Cia, Fbi e Nsa”. Sebbene la relazione di Steele avesse “solo una conferma limitata” e non fosse inclusa nel corpo principale dell’ICA, l’Intelligence Community Assessment, è stata tuttavia inserita nell’allegato all’ICA stesso declassificato da Ratcliffe. Come ha poi scoperto l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia Michael Horowitz nella sua indagine, il rapporto Steele fu allegato all’ICA per volontà “dei funzionari dell’Fbi” e su particolare pressione dell’ex vicedirettore Andrew McCabe.


Lindsey Graham convoca al Congresso gli ex funzionari di Obama

Il presidente del Comitato giudiziario del Senato Lindsey Graham, che ha il compito di fare luce sulle origini del Russiagate e dell’inchiesta condotta dal Procuratore speciale Robert Mueller, ora ha l’autorità di convocare a testimoniare gli ex funzionari dell’amministrazione Obama. Sono circa una cinquantina gli ex funzionari che Graham potrebbe convocare davanti al Comitato giudiziario del Senato, tra cui l’ex direttore dell’Fbi James Comey, l’ex direttore della Cia John Brennan e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, Susan Rice. I democratici hanno chiesto a Graham di fare un passo indietro ma i repubblicani si sono rifiutati di arretrare e hanno dichiarato che resta da esaminare e verificare se le principali agenzie governative hanno deliberatamente spiato e cospirato contro Donald Trump.

Pochi giorni fa l’ex vice procuratore generale Rod Rosenstein è stato il primo testimone a essere sentito dal comitato giudiziario del Senato presieduto da Graham nell’ambito dell’indagine sulle origini del Russiagate. Graham ha interrogato con insistenza a Rosenstein sulla legittimità della nomina del procuratore speciale Robert Mueller a capo dell’inchiesta, che non ha rilevato alcun collegamento tra la squadra di Trump e le ingerenze russe sulla campagna elettorale. L’ex numero due del dipartimento di Giustizia ha ammesso che non avrebbe firmato il mandato del 2017 per la sorveglianza Fisa dell’ex consigliere di Trump, Carter Page.”Non credo che l’indagine sia stata corrotta, ma certo comprendo la frustrazione del presidente alla luce del risultato, ovvero che non vi è alcuna prova di cospirazione tra i consiglieri della campagna elettorale di Trump e i russi. Indaghiamo su persone che non sono necessariamente colpevoli. E non ho mai presunto che questa gente fosse colpevole di nulla”, ha affermato Rosenstein.


Quegli incontri a Roma fra l’Fbi e l’ex spia Steele

C’è un filo diretto che collega l’inchiesta sulle origini del Russiagate a Roma. Come ricordava La Stampa lo scorso febbraio, proprio a Roma, il 3 ottobre 2016, si era svolto un incontro segreto e cruciale tra gli investigatori dell’Fbi e il loro informatore britannico Christopher Steele, autore del famoso rapporto sulle presunte relazioni pericolose fra Trump e il Cremlino. Un dossier che poi si è rivelato essere in larga parte infondato e falso, come lo stesso ex membro dell’agenzia di spionaggio per l’estero della Gran Bretagna ha ammesso in seguito, finanziato peraltro da Fusion Gps, dal Comitato nazionale democratico, dalla Campagna di Hillary Clinton e dal Washington Free Beacon. In buona sostanza, dai nemici di Trump. L’inchiesta dell’Fbi sulle connessioni tra la campagna di Trump e la Russia portò alla nomina del consigliere speciale Robert Mueller, il quale ha prodotto il dossier conclusivo sull’inchiesta che stabilisce che non c’è alcuna collusione fra Donald Trump e la Russia, come dichiarato anche dal Procuratore generale William Barr.

Steele, ricorda La Stampa, dopo la carriera nell’intelligence, aveva successivamente fondato una sua agenzia investigativa, la Orbis, e in tale veste aveva conosciuto Michael Gaeta, assistente legale presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Roma. Una volta avviata l’inchiesta “Crossfire Hurricane”, l’Fbi aveva riaperto il canale con Steele attraverso Gaeta. Quindi il 3 ottobre del 2016 Gaeta aveva invitato l’ex agente dei servizi segreti a Roma, offrendogli 15.000 dollari per scambiare informazioni con tre agenti impegnati nell’indagine su Trump. La conversazione in un luogo segreto era durata circa tre ore, e Steele se era offerto anche di mettere l’Fbi in contatto col manager dell’hotel di San Pietroburgo che aveva visto Trump con le prostitute. Il tutto è contenuto nel rapporto su “Crossfire Hurricane” che l’Inspector General del dipartimento alla Giustizia Michael Horowitz ha pubblicato il 9 dicembre scorso, dalla pagina 108 alla pagina 115, e ancora a pagina 386.
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