Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » mar gen 31, 2017 11:12 am

Je suis Charlie e Trump, forza Trump!
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1332189983

Bandire il Nazismo Maomettano, il suo Corano e la sua Sharia
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1673428520

In questi 16 paesi è vietato l'ingresso agli israeliani. Sdegno da parte del mondo? Ma no, per le anime belle non fa notizia.
https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 1195883906
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » mar gen 31, 2017 12:18 pm

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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » mar gen 31, 2017 1:39 pm

Sinistri, ademocratici e parassiti odiatori di Trump e dei diritti umani dei nativi e dei liberi cittadini

Trump, è Bannon il “vero presidente”: il razzista che ha scritto il bando anti-Islam e ora siederà nel Consiglio di Sicurezza

Già chief strategist alla Casa Bianca, ora il fondatore di "Breitbart News" è entrato nel "National Security Council" come membro permanente. La “bannonizzazione” dell'amministrazione Usa comincia a preoccupare i repubblicani, anche se prima delle elezioni nessuno dell’establishment avrebbe mai pensato di rivolgere la parola a un personaggio accusato di antisemitismo, razzismo anti islamico, sessismo, appoggio ai peggiori movimenti nazisti e suprematisti bianchi
di Roberto Festa | 31 gennaio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01 ... za/3349336

Chi è il vero presidente degli Stati Uniti? Secondo alcuni, sempre più numerosi a Washington, è Steven Bannon. Il creatore del sito di riferimento dell’alt-right, Breitbart News, già a capo della campagna di Donald Trump, ora suo chief strategist alla Casa Bianca, ha nelle ultime ore incassato un’altra carica importante. È entrato nel National Security Council, l’organo del governo federale che coordina le questioni della sicurezza nazionale. Da lì potrà influenzare, dall’estrema destra, le politiche internazionali degli Stati Uniti.

Nelle ore immediatamente successive alla promulgazione degli ordini esecutivi sull’immigrazione, l’hashtag più seguito su Twitter, è stato proprio #StopPresidentBannon. Bannon è infatti la persona che, insieme a Stephen Miller, ha materialmente scritto le misure sul bando agli immigrati dai sette Paesi musulmani. La coppia Bannon/Miller appare d’altra parte la vera sponda ideologica e il braccio armato di Trump. Miller, lo ricordiamo, è un trentunenne cresciuto in una famiglia di ebrei liberal di Santa Monica, convertitosi a un feroce conservatorismo, diventato amico del suprematista bianco Richard Spencer; è stato Miller a scrivere gran parte dei discorsi della campagna elettorale di Trump, compreso quello dell’inaugurazione con il riferimento alla “carneficina americana”.

Rispetto a Miller, Bannon ha però dalla sua l’età e la lunga esperienza; ciò che lo rende il collaboratore più ascoltato da Trump. Il presidente lo ha del resto salvato da un triste destino. Prima dell’ultima campagna, nessuno dell’establishment di Washington avrebbe mai pensato di rivolgere la parola a uno come Bannon, accusato di antisemitismo (non voleva che le figlie frequentassero una scuola con ragazze ebree), razzismo anti islamico (il suo sito, Breitbart News, si è inventato che una folla di oltre un migliaio di musulmani ha messo a ferro e fuoco la notte di Capodanno Dortmund), sessismo (ha definito le donne liberal “un branco di lesbiche che escono dai college delle suore”), appoggio ai peggiori movimenti nazisti e suprematisti bianchi.

Conosciuto per il carattere esplosivo e la retorica smodata (recentemente, al New York Times, ha detto che “i media devono chiudere la bocca e ascoltare”), Bannon è molto meno rozzo di quanto si sia spesso detto. Ha servito nella marina e ha lavorato a Goldman Sachs; esperienze che hanno nutrito la sua visione di un capitalismo radicale, senza regole, imbevuto di suprematismo razziale e militare. È un avido lettore di storia, cita Shakespeare, Plutarco, Platone, ha in Ronald Reagan il suo punto di riferimento politico. Lui stesso ha sintetizzato il suo programma politico in due punti fondalmentali; fare fuori, negli Stati Uniti, “una classe politica corrotta che depreda la working class americana”; far esplodere “la guerra contro il fascismo islamico” da parte dell’Occidente giudaico-cristiano. Soprattutto la retorica anti-federale ha trovato in Bannon un entusiasta sostenitore; ha detto, una volta, di essere “leninista”: “Lenin voleva distruggere lo Stato e quello è il mio obiettivo. Voglio far crollare tutto e distruggere tutto l’establishment”.

Trump è insomma la voce che, nel team di Trump, ha catalizzato le spinte populiste e reazionarie presenti negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali, e gli ha dato la forza di un programma politico. Trump lo ama perché Bannon è stato l’unico nel suo stesso staff a non dubitare mai, nemmeno per un istante, che il magnate repubblicano avrebbe vinto. La storia delle presidenziali 2016 gli ha dato ragione e ora Trump lo ricompensa prima con il ruolo di chief strategist – sostanzialmente l’ideologo della Casa Bianca – e quindi con quello ben più influente, soprattutto a livello internazionale, di membro del National Security Council. Bannon non è del resto tipo da tirarsi indietro. Ha ispirato e scritto personalmente alcuni degli ordini esecutivi degli ultimi giorni; sicuramente quello sul commercio, insieme a quelli sull’immigrazione. E, per rendere il suo potere ancora più solido e ramificato, sta piazzando suoi uomini in molti posti chiave della nuova amministrazione. Tra i nuovi assunti, per esempio, ci sono due ex impiegati di Breitbart News: Julia Hahn, che si occupa di immigrazione; e Sebastian Gorka, esperto di sicurezza nazionale.

La “bannonizzazione” della Casa Bianca non è sfuggita a molti e comincia a preoccupare seriamente. Il sito The Hill ha citato funzionari del governo che si lamentano di come gli ordini esecutivi sull’immigrazione sono stati scritti e comunicati. Bannon non avrebbe, appunto, parlato con nessuno nel governo americano e questo spiega molto sulla confusione, sui dubbi di applicazione e sulla parziale marcia indietro su alcune clausole. Ma ora preoccupa, soprattutto, l’ascesa di Bannon al National Security Council, di cui diventa un membro permanente.

I dubbi e le preoccupazioni sono state espresse in modo chiarissimo da un senatore repubblicano come John McCain, rimasto uno dei pochi nel suo partito a mettere qualche argine a Trump e ai suoi. In un’intervista a CBS, McCain ha detto di non capire più “chi è dentro e chi è fuori dal National Security Council”. Il riferimento è al fatto che, mentre Bannon diventa membro permanente, Joseph Dunford, il chairman del Joint Chiefs of Staff, il militare più importante degli Stati Uniti, consigliere diretto del presidente, diventa un membro facoltativo. Insomma, l’azione di centralizzazione delle funzioni nelle mani di Bannon è a buon punto: dopo essersi impossessato del controllo ideologico della politica interna, sta per allargarsi alle questioni internazionali e della sicurezza.

???
Quest’ultima area è d’altra parte centrale nella visione di Bannon, che crede in un movimento di populismi autoritari e nazionalisti che dagli Stati Uniti si allarga alla Russia di Putin, alla Turchia di Erdogan, coinvolgendo anche l’Europa e distruggendo il disegno dell’Europa unita. Non è un caso che Bannon e i suoi guardino sempre di più al Vecchio Continente. Con gli uffici aperti a Londra nel 2014, Breitbart ha appoggiato la campagna di Ukip per lasciare l’Unione Europea. Altri uffici verranno aperti nelle prossime settimane in Francia e in Germania, dove Bannon pensa ci sia un’opinione pubblica cui destinare la sua miscela esplosiva di odio per le élites politiche ed economiche, sentimenti anti-immigrazione e fake news.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » mar gen 31, 2017 3:11 pm

Non è razzismo, ma soltanto buon senso Il pericolo islamico esiste e non va negato
Fiamma Nirenstein - Mar, 31/01/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 57714.html

Un po' di buon senso prego. Trump ha dato le sue risposte a un problema cui tutto il mondo si sta applicando, e cui si riconosce che non c'è stata per ora, una risposta efficace o solo sensata.

Può darsi che anche questa sia sbagliata. Ma non lo sarà più dei silenzi e delle omissioni che hanno lasciato uccidere migliaia di persone dal terrorismo islamico e hanno creato situazioni di vita molto difficili nelle città del mondo occidentale. È un tema rognoso, ogni volta che o si affronta vorremmo nasconderci piuttosto che vedere la sofferenza altrui ma, insieme, anche il nostro pericolo.

Ci sono e c'erano delle buone ragioni in alcune delle critiche all'executive order di Donald Trump del 27 gennaio che sospende l'illimitata ammissione di rifugiati siriani e mette un freno all'immigrazione di altri sei Paesi islamici per 90 giorni: infatti già domenica Trump ha dovuto ripristinare il diritto di servirsi della green card.
E dovrà tornare sulla questione delle minoranze religiose, perché anche se preferisce l'immigrazione delle minoranze cristiane, ce ne sono di sunnite e di sciite che a seconda dei Paesi, sono state e sono implicate in lotte e persino guerre a fianco degli americani.
Il tono, però, l'enfasi da salotto bene che si usa nell'immaginare che Trump seppellisca l'America che amiamo per disseppellire quella con la k (molti non sanno quanto quella k ferisca li americani) porta a dire un sacco di sciocchezze: per esempio, a paragonare l'immigrazione attuale con quella degli ebrei dall'Europa. A parte che anche quella fu verificata a fondo persino dopo la Shoah (c'erano comitati in Europa che vagliavano ogni caso) non c'è mai stato un pericolo ebraico di attacchi terroristi. E invece il pericolo di cui Trump parla, c'è, anche a volerlo affrontare diversamente: ma negarlo non si può.

Invece c'è chi ha scritto che gli attacchi dal 9 (?) di settembre non sono musulmani e hanno dedotto che quindi Trump agisce per razzismo... insomma un sacco di cretinate a partire dal fatto storico che gli ingressi negli Usa sono sempre stati controllati, l'incubo del blocco e del respingimento di Ellis Island appare in mille film di Hollywood, i blocchi operati dalle varie amministrazioni sono costanti e di fatto negli ultimi anni sono caduti su popolazioni musulmane, salvo quando invece Obama ne ha incrementato l'ingresso, mentre gli ingressi cristiani paradossalmente sono pochissimi: nel 2016 il 99,1 per cento degli ingressi sono islamici, e solo l 0,5 sono cristiani, mentre lo 0,8 sono Yazidi, un po' poco rispetto alle stragi in corso. Comunque, dal luglio 2011 Obama ha bloccato le entrate di questo o quel gruppo politico per sei volte. Jimmy Carter cancellò i visti iraniani; le leggi che permettono ai presidenti di controllare l'immigrazione citano specificamente la preoccupazione delle persecuzioni religiose, e sinceramente è stupefacente che Obama abbia lasciato cristiani e yazidi da parte. Ma dov'era la stampa liberal?

ll tetto messo da Trump di 50mila rifugiati dopo che saranno trascorsi i 90 giorni, non sono così distanti dalle medie nazionali regolari: scrive David French sulla National Review che i 50mila stanno fra un anno tipico i George W. Bush e uno di Obama. Sono stati meno di 50mila fino al 2007, e poi dal 2013 al 2015 sono 70mila. Quanto ai siriani, Obama ne ha fatti entrare 305 profughi di media negli anni dal 2011 al 2015. E poi nel 2015, abbandonata la promessa di intervenire se Bashar Assad avesse sorpassato la linea rossa dei gas venefico, passa a 13mila nel 2014 con l'avanzare della situazione, forse pentito.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » mar gen 31, 2017 6:37 pm

L’OSCURO DEVASTATORE STA ANCORA COLPENDO LA CHIESA, MA ORA NON HA PIU’ DALLA SUA L’IMPERATORE ANTICRISTIANO (OBAMA). ANZI, DEVE FARE I CONTI COL FILO-CRISTIANO TRUMP CHE EGLI ODIA E …
30 GEN, 2017
Antonio Socci

http://www.antoniosocci.com/loscuro-dev ... -egli-odia

Venerdì la grande “Marcia per la vita” di Washington, esaltata in Tv da Trump, ha voluto attribuire il suo Premio onorifico annuale al card. Raymond Burke, cioè proprio colui che da mesi viene perseguitato da Bergoglio come il suo grande avversario (il papa lo ha colpito in ogni modo, fino all’annichilimento dell’Ordine di Malta avvenuto sabato).
Il bergoglismo nacque in sintonia con Obama e con il “partito tedesco” anti-Ratzinger e – come vedremo – alcune personalità cattoliche Usa oggi chiedono a Trump addirittura di appurare se ci siano state interferenze della passata amministrazione nelle strane “dimissioni” di Ratzinger del 2013 e nell’ascesa di Bergoglio.
Ora che Obama è finito e l’impero germanico della Ue sta nel mirino di Trump, il pontificato politico di Bergoglio si va a schiantare su due muri della nuova amministrazione Usa. Un muro materiale e uno politico-culturale.

MURI
Contro quello materiale che Trump vuol costruire ai confini col Messico (perché uno Stato che non controlla i suoi confini non è uno Stato) il Papa è già partito all’attacco.
Bergoglio, incurante di essere lui stesso capo di uno stato, quello vaticano, circondato da alte mura, dove è impossibile entrare per qualunque clandestino, ha fulminato Trump, infischiandosene del fatto che buona parte del muro col Messico lo hanno costruito i democratici di Clinton e Obama.
Oltretutto sulle frontiere chiuse ai musulmani Trump applica proprio ciò che fu prospettato dal grande card. Biffi. Ma Bergoglio odia proprio questo connotato culturale filo-cristiano di Trump.

Appena insediato Trump ha rovesciato la politica ultralaicista di Obama e la sua ideologia abortista che a Bergoglio non ha mai fatto problema: dopo aver, fra l’altro, cancellato la pagina Lgbt della Casa Bianca, il presidente ha bloccato i finanziamenti pubblici alle ong estere abortiste e in tre giorni ha fatto, per la causa dei bambini non nati, più di quanto abbia fatto in quattro anni Bergoglio, che quella causa ha tradito per inventarsi invece le crociate obamiane pro-immigrati, pro dialogo con l’Islam e i comizi sull’eco-catastrofismo fatti davanti a organizzazioni come il Centro sociale Leoncavallo.

Il mondo pro-life, molto forte in America, ha sostenuto in modo determinante la vittoria di Trump (come quella di Reagan) e alla manifestazione pro-life “su richiesta del presidente Trump” ha parlato il suo vice Pence (è la prima volta in 44 anni che interviene una così alta carica istituzionale) dicendo che “in America la vita è tornata a vincere” e questa presidenza “non si fermerà finché in America verrà ristabilita la cultura della vita”.
Ha annunciato infatti altri provvedimenti e la nomina determinante di un giudice pro life alla Corte Suprema.
Poi Pence ha concluso: “con la compassione daremo voce ai bambini non nati e guadagneremo i cuori delle donne… vi assicuro che il presidente Trump ha le spalle larghe e un cuore grande”.

UN GRANDE CARDINALE
I promotori della Marcia – come ho detto – hanno annunciato di aver conferito il Premio al card. Burke, molto stimato nella nuova amministrazione Usa.
La scelta – ha detto John-Henry Westen – è dovuta al fatto che “il cardinale Burke ha sofferto molto per la causa della vita, della fede e della famiglia. Egli ha portato in pace e letizia questa sofferenza e le umiliazioni pubbliche che ha ricevuto da tutte le parti”.
A quali umiliazioni pubbliche si riferiscano i pro life è noto a tutti: Bergoglio gliene ha inflitte per quattro anni e sabato è arrivato ad annichilire il millenario Ordine di Malta per umiliare il card. Burke, che lì era stato confinato proprio dallo stesso Bergoglio.
I due sono agli antipodi anche come tipi umani. Tanto Burke è mite e gentile quanto Bergoglio è prepotente (lo ha ammesso lui stesso), vendicativo e tendente al culto della personalità (una papolatria che oggi ha sostituito il culto eucaristico).
Burke è un uomo di Dio, ha profonda spiritualità, non gli interessa né guadagnare né perdere poltrone. Invece Bergoglio fin da giovane ha partecipato alla feroce lotta del potere ecclesiastico e ne è tuttora assorbito.
Ragiona solo in termini di potere e non concepisce chi non si fa “attirare” dalle promesse né intimidire dalle minacce. Detesta cardinali come Burke (o Caffarra) che pensano solo al giudizio di Dio e non si preoccupano di lusinghe e intimidazioni umane.
È noto che Bergoglio è andato su tutte le furie quando Burke e altri tre cardinali, della sua stessa fede cattolica, hanno reso noti i loro famosi “Dubia” per chiedere al Papa che si pronunci in modo chiaro sugli argomenti delicati con cui, attraverso l’Amoris laetitia, ha terremotato e confuso la Chiesa.
Ancora più furibondo Bergoglio è diventato quando è uscita l’intervista del card. Burke che, serenamente, ha prospettato – in caso di rifiuto pervicace del papa di rispondere – la possibilità canonica di una “correzione” (che è prevista e non è inedita nella storia della Chiesa).
L’offensiva contro l’Ordine di Malta va inquadrata in questo suo furore che Bergoglio non riesce a tenere a freno (come quando ha coniato l’assurdo parallelo fra Hitler e Trump).
Il “Catholic Herald” ha osservato: “Il Vaticano ha distrutto la sovranità dell’Ordine di Malta. E se l’Italia facesse la stessa cosa con il Vaticano?”.

L’AUTOCRATE
Ancora più duro l’“American Spectator” che – in proposito – ha scritto: “Sotto Papa Francesco, la nuova ortodossia è eterodossia e guai a coloro che non si conformano ad essa”.
George Neumayr, l’editorialista, nota che la priorità di questo papa è colpire chi è fedele alla dottrina cattolica e premiare gli altri (e cita ciò che Bergoglio ha fatto con gli ordini religiosi).
“Solo i conservatori ricadono sotto il suo sguardo fulminante”. Con lui “il Vaticano è diventato una calamita per gli attivisti più anti-cattolici d’Occidente, molti dei quali hanno contribuito all’enciclica del Papa sul riscaldamento globale”.
Bergoglio – scrive ancora lo Spectator – parla di “autonomia” e “rispetto delle differenze”, ma “è il Papa più autocratico e amante delle epurazioni che si sia visto in molti decenni. È la quintessenza del progressista ‘tollerante’ salito al potere grazie alla disobbedienza (come arcivescovo di Buenos Aires ha ignorato le direttive vaticane), ma che poi mantiene il potere chiedendo obbedienza assoluta agli altri. Se fosse obbedienza alla dottrina della Chiesa” scrive il mensile “nessuno potrebbe biasimarlo. Ma non lo è. Lui chiede obbedienza ai suoi capricci modernisti”.

La requisitoria prosegue così:
“Dai corridoi delle Nazioni Unite alle stanze di L’Avana e Pechino, gli statalisti anticattolici possono sempre contare su di lui… com’è evidente nella sua recente scandalosa intervista in cui ha dichiarato che i cattolici cinesi possono ‘praticare la loro fede in Cina’. No, non possono. I fedeli all’ortodossia cattolica sono trattati brutalmente”.

“Come è possibile – conclude lo Spectator – che il Papa possa considerare i comunisti cinesi in modo così benevolo mentre tratta i fedeli conservatori in maniera così severa? Gli storici del futuro troveranno sorprendente che all’inizio del 21° secolo il Papa invece di proteggere i cattolici abbia contribuito alla loro persecuzione”.


INDAGINE
Il clima è tale che – come dicevo – sul sito cattolico “The Remnant” un gruppo di intellettuali cattolici americani, ricordando con sconcerto le posizioni di Bergoglio contro Trump e a favore della sinistra internazionale, fa appello al neo presidente Usa Trump perché – prendendo spunto anche dai documenti di Wikileakes – si cerchi di capire se un cambio di regime in Vaticano fu immaginato e messo in cantiere negli anni della precedente amministrazione democratica.
Si chiede al presidente addirittura di appurare se eventuali azioni riservate siano state intraprese da agenti Usa in relazione alla “rinuncia” di Benedetto XVI e al Conclave che ha eletto Bergoglio, per capire se vi siano state interferenze sulla vita della Chiesa.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » mer feb 22, 2017 2:49 pm

Il dilemma della chiesa americana sul credito da concedere a Trump
I dubbi all'interno della Conferenza episcopale americana. Mons. Chaput: “Dovremmo sostenere il presidente”
Matteo Matzuzzi
22 Febbraio 2017 alle 06:07

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2017/02/2 ... ana-121658

Roma. Da una parte il Papa che chiede di costruire ponti e non muri, dall’altra Donald Trump.
In mezzo, la Conferenza episcopale americana. Strattonata da una parte da chi la vorrebbe in prima fila nel condannare le politiche poco aperturiste del presidente e dall’altra da chi invece punterebbe a farne l’alfiere del nuovo corso che seppellirà gli otto anni obamiani a trazione liberal. Finora, i vescovi se la sono cavata plaudendo alle misure che vanno in direzione dell’agognata libertà religiosa (che non è mera libertà di culto, come la intendeva il democratico Barack Obama) e criticando l’approccio verso le masse di migranti che premono alle frontiere meridionali del paese. Il gioco è risultato facile, soprattutto se a farsi portavoce dello schema è stato mons. José Horacio Gómez, arcivescovo di Los Angeles (la più grande diocesi d’America) che ha due vantaggi nello specifico contesto storico e sociale in cui ci si trova: è ispanico e conservatore.

Una linea che grosso modo ha tenuto insieme una conferenza episcopale dove sì i conservatori sono in netta maggioranza, ma dove i pastori vicini all’agenda e alle priorità bergogliane sono in ascesa, soprattutto per quanto attiene alla contabilità numerica e al peso specifico all’interno della situazione ecclesiale, dovuto principalmente al ricambio che il Papa sta effettuando anche lì e non solo in Italia: non è un caso che tra i più duri nel contestare le misure trumpiane riguardanti l’immigrazione vi siano stati i neocardinali Blase Cupich e Joseph William Tobin, apprezzati da Francesco e meno dai confratelli americani, risultando esclusi lo scorso novembre dalle short-list per gli incarichi di peso nella conferenza episcopale. Un equilibrio instabile, ha osservato la scorsa settimana sul New York Times l’editorialista Ross Douthat, che prendendo spunto dalla querelle riguardante i rapporti datati 2014 tra Steve Bannon e il cardinale Raymond Leo Burke, ha scritto che “a Roma il populista non è un presidente di destra, bensì un Papa radicale”.

La copertura mediatica “amica”, ha proseguito Douthat, “rappresenta il Pontefice come un uomo di centro, un equivalente ecclesiastico di Angela Merkel, Barack Obama o David Cameron, minacciato da chi sta alla sua destra”. Peccato che le cose stiano diversamente, chiosa l’editorialista: Francesco “è un trumpiano: infrange le norme, trascura le tradizioni, governa per decreto quando esistono regole e strutture che resistono alla sua volontà”. Chi ora esce dal tracciato seguito dalla Conferenza episcopale americana – seppur non con i toni usati da Douthat – mostrandosi propenso a dare credito a Trump, è mons. Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia. Conservatore tenace e grande organizzatore dell’Incontro mondiale delle famiglie del 2015, Chaput ha accusato la stampa locale di essere “troppo ostile” nei confronti di Trump, “ridicolizzando” costantemente la fede religiosa. “È incredibile per me vedere quanto la stampa sia ostile a tutto ciò che il presidente fa. Non voglio essere di parte, ma mi pare che se noi davvero siamo seri circa le nostre responsabilità come cittadini, dovremmo sostenere il presidente e augurargli il successo piuttosto che tentare di azzopparlo”. Sia chiaro, dice Chaput: “Naturalmente si può non essere d’accordo, e penso sia importante farlo, in particolare sulle questioni che contano, le questioni morali”.

L’arcivescovo di Philadelphia lancia anche un appello all’Università di Notre Dame, che ha scelto di non invitare Trump per il tradizionale discorso inaugurale, una prassi (e un onore) di solito riservato ai presidenti neoeletti. Il magazine dei gesuiti America ricorda che Chaput non è mai stato trumpiano, anzi: durante la campagna elettorale “è stato un critico sia di Trump sia della sua sfidante, Hillary Clinton” e alla vigilia delle elezioni di novembre ha preso posizione contraria alle proposte politiche del candidato poi risultato vittorioso riguardo l’immigrazione e il divieto all’ingresso di rifugiati. Poi però, finita la campagna elettorale, è il momento del realismo. Il presidente è Trump, piaccia o no, sembra dire Chaput. Ed è con lui che bisogna fare i conti, cercando di guardare anche al lato positivo di quel che potrà fare nel corso del suo quadriennio. Un indizio in tal senso, rimarcato dall’arcivescovo di Philadelphia, è stata la nomina (assai gradita) di Neil Gorsuch a giudice della Corte suprema.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » gio mar 30, 2017 6:42 pm

???


Dal Vaticano appello alla chiesa Usa: "Azione di lobby per cambiare la politica sull'immigrazione"
Il cardinale Peter Turkson è preoccupato per le politiche di Trump. Invito all'episcopato Usa a fare pressioni affinché il tycoon faccia un passo indietro
Alessandra Benignetti - Gio, 30/03/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/vat ... 80852.html

Dal Vaticano arrivano nuove critiche all’amministrazione Trump. Ad esprimere scetticismo e “preoccupazione” sulle politiche messe in campo dal nuovo presidente americano, in particolare quelle che riguardano l’immigrazione e l’ambiente, è il cardinale Peter Turkson, presidente del nuovo Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale.

Rispondendo alle domande dei giornalisti sulle politiche del presidente americano e sull'attaggiamento di Trump nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, il porporato si è, infatti, augurato che, in questo senso, Trump “cominci a ripensare alcune delle sue decisioni”. “Ci sono elementi della società americana che non sono d’accordo con le posizioni del presidente Trump”, ha proseguito Turkson, citato dall’agenzia Sir, “segno che c’è una parte della società statunitense che man mano alza la voce, usando un altro linguaggio”.

Il cardinale si riferisce probabilmente agli ultimi provvedimenti varati dal presidente americano, come il Muslim Ban, che vieta l’ingresso nel Paese ai cittadini di sei Paesi a maggioranza musulmana, bloccato da un giudice federale delle Hawaii. Sulla costruzione della barriera al confine con il Messico, inoltre, Turkson si era già espresso negativamente, definendo la decisione di Trump un segnale preoccupante. Trump “sta realizzando le promesse fatte durante la campagna elettorale: spero che si accorga della dissonanza tra la realtà delle cose e le espressioni da campagna elettorale”, ha aggiunto Turkson.

Il porporato si è dichiarato però speranzoso che in futuro le cose possano cambiare. E in questo senso, secondo Turkson, anche la Chiesa statunitense potrebbe avere un ruolo. “Diversi membri dell’episcopato americano si sono già espressi sulle posizioni del presidente e potrebbero avere un qualche influsso su di esse”, ha detto, infatti, il cardinale, facendo appello, di fatto, ad un azione di pressione da parte della Chiesa locale, che però, al momento, sembra, piuttosto, apprezzare l’azione politica del presidente Usa.

Su un’altra questione cara a Papa Francesco, quella dei cambiamenti climatici, il presule ha lanciato un’ultima stoccata al presidente degli Stati Uniti, che, recentemente, ha firmato un ordine esecutivo che cancella il Clean Power Plan di Obama, attraverso il quale nel 2015 erano stati introdotti nuovi standard per la produzione di energia elettrica, volti a ridurre l’inquinamento e le emissioni di anidride carbonica negli Usa. “C’è un’altra potenza mondiale, come la Cina, che sta ripensando le sue posizioni, ad esempio negli sforzi per controllare le temperature, ambito nel quale ha promesso di stanziare sette milioni di dollari, si spera non semplicemente perché è un Paese con sempre più smog e inquinamento”, ha detto Turkson, mettendo a confronto gli sforzi cinesi sui cambiamenti climatici, con la marcia indietro della nuova amministrazione americana sulla riduzione delle emissioni di CO2.



Forza Trump, vai avanti non farti problemi con questi parassiti del Vaticano.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » dom mag 07, 2017 12:11 pm

???

Rassegnazione è una parola proibita
Ilaria Solaini e Antonella Mariani venerdì 5 maggio 2017

https://www.avvenire.it/papa/pagine/pap ... a-studenti

Come fermare la violenza che invade la nostra società, i mezzi di comunicazione, internet? Ma è vero che la non violenza può fermare la violenza? Cosa sta succedendo a questo mondo? Sono numerose, e profonde, le domande che alcuni ragazzi rivolgono al Santo Padre in Aula Paolo VI, in rappresentanza di 7mila studenti provenienti da ogni parte d’Italia, impegnati nel Coordinamento degli Enti locali per a pace.

«C'è una cultura della distruzione», risponde il Papa, c'è un dio della distruzione che vuole che gli uomini siano in guerra. La stessa cultura che chiama una bomba "la madre di tutte le bombe". Mi sono vergognato, spiega Francesco, mamma è una parola che evoca vita e la bomba invece semina morte senza interessarsi di chi sta sotto. Ma c'è anche tanto bene, li rassicura papa Francesco, tante persone che si spendono per gli altri, che danno la vita per fermare la distruzione, come la missionaria ultra80enne che incontrò nella sua visita in Centrafrica. «Il nostro dovere è andare sulla strada della costruzione, che ci aiuterà a evitare tante calamità. È vero, dunque, che il mondo è in guerra, ma ci sono tante cose belle che non si vedono». E poi: la tragedia più grande per l'Europa dopo la Seconda Guerra mondiale sono le migrazioni.

«Perché è così difficile imparare ad amare?», gli chiede un altro ragazzo. Perché molti responsabili della politica internazionale sono così deboli che non riescono a fermare le guerre? «Perché il mondo si è sistemato in modo cattivo. Dio lo ha creato mettendo al centro l'uomo e la donna, e oggi il mondo va avanti mettendo al centro il dio denaro e gli affari. Ci sono affari che fanno guadagnare tanto: il traffico delle armi, molte di più di quelle che sono necessarie per difendersi, il traffico della droga, che distrugge le menti dei giovani, lo sfruttamento dei bambini e delle donne e in generale delle persone nel lavoro, con i contratti in nero e quelli a tempo. «Questo è peccato mortale», ha detto papa Francesco.

Un altro ragazzo chiede come fare a contrastare la violenza che c'è dovunque contro tutti, le donne, i gay, i migranti... Il Papa ritorna su uno dei suoi argomenti più ricorrenti: la violenza della lingua, con insulti, chiacchiere ("Il terrorismo delle chiacchiere") e calunnie che fanno male e distruggono. In contrasto con la violenza, il Papa ricorda la mitezza, che non vuol dire essere stupidi, ma dire le cose con tranquillità, cercando di non ferire. «È una virtù che dobbiamo recuperare nella nostra vita».

La quinta domanda riguarda l'educazione, e qui Bergoglio racconta con un aneddoto personale di quando era bambino e a una nota della maestra la madre reagì con una sgridata, mentre oggi i genitori reagiscono attaccando gli insegnanti. Ecco come si è rovesciato il rapporto tra famiglie e insegnanti. Le parole ricorrenti che il Papa suggerisce riguarda all'educazione sono ascolto, dialogo, mitezza, ricordando di aver visto un dibattito televisivo preelettorale tra leader politici in cui dominavano le offese.

Costanza dice che ha iniziato a leggere l'enciclica Laudato si' e il Papa ha commentato che l'uomo sta distruggendo il Creato, citando anche la Terra dei fuochi. «Abbiamo capito che tante cose devono cambiare, ma c'è molta rassegnazione. Ebbene, rassegnazione è parola proibita. Rassegnarsi mai, altrimenti mi arrabbio io». E infine una curiosità: i politici non sembrano determinati a lottare per un Pianeta migliore, afferma una ragazza, dopo la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico. E il Papa risponde con una battuta: «Penso alla grande Mina: parole, parole, parole»
L'incontro

L’incontro, organizzato in collaborazione con il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale della Santa Sede, si svolge nell’Aula Paolo VI, a partire dalle 10.30 e segna il culmine del Meeting nazionale delle scuole per la pace, la fraternità e il dialogo “Proteggiamo la nostra casa”.

Quella di venerdì 5 e sabato 6 maggio è una due giorni per dare vita a un laboratorio dedicato alla concordia tra i popoli. Al centro del Meeting nazionale delle scuole per la pace ci sono i temi proposti nell'Enciclica Laudato Si' di papa Francesco e nell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo sostenibile e il programma prevede che gli studenti si riuniscano in eventi laboratorio per illustrare i lavori che hanno realizzato nel corso dell'anno.

Il VIDEO di presentazione del meeting nazionale delle scuole per la pace

Gli organizzatori e i partecipanti al Meeting nazionale delle scuole per la pace, la fraternità e il dialogo, nei giorni scorsi, hanno ricevuto il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “La nostra società, il nostro continente, il pianeta nel quale viviamo, sono anzitutto una casa comune che va protetta, curata e migliorata con il contributo attivo di ciascuno: questa è la prima condizione di una piena cittadinanza, e dunque di un esercizio dei diritti e dei doveri orientato allo sviluppo integrale della persona”, sottolinea il capo dello Stato, che aggiunge: “C’è un legame stretto tra pace, sostenibilità dello sviluppo, equilibrio dell’ambiente, riduzione delle diseguaglianze sociali, crescita delle opportunità, soprattutto di chi è più svantaggiato”.

La manifestazione, che si svolge con la media partnership della Rai, è patrocinata dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede, la Commissione Europea, il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, la Camera dei Deputati, l'assessorato alla Persona, Scuola e Comunità Solidale di Roma Capitale, la Città Metropolitana di Roma Capitale.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » mer mag 24, 2017 6:24 pm

Trump incontra Papa Francesco. Che gli dona enciclica sull'ambiente "Laudato Si". Poi il monito: "Abbiamo bisogno di pace"
24 maggio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... /3610508/5

Ha parlato di pace all’uomo che ha lanciato la Moab, la “madre di tutte le bombe”, in Afghanistan e bombardato una base militare governativa in Siria. Gli ha anche regalato una copia dell’enciclica più ecologista della Storia, a lui che ha firmato un ordine esecutivo che cancella l’eredità di Barack Obama in fatto di politiche ambientali. E’ durata trenta minuti l’udienza in cui Papa Francesco ha ricevuto Donald Trump. Un incontro in Vaticano, che al di là della formale cordialità, simboleggia la distanza mai così ampia tra Washington e il Vaticano.

Il capo della Casa Bianca è arrivato in Vaticano poco dopo le 8, entrando dalla porta laterale del Perugino diretto al Cortile di San Damaso. Sceso dal Suv presidenziale Trump, accompagnato da un seguito di 12 persone capeggiato dalla moglie Melania, è stato accolto da monsignor Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia. Giunto nella Sala del Tronetto dell’appartamento papale, ad attenderlo c’era il Papa: i due si sono scambiati una cordiale stretta di mano e alcune parole di saluto. Il colloquio privato nella Sala della Biblioteca dell’appartamento pontificio è cominciato alle 8.32 e terminato alle 9.03. Con il tradizionale scambio di doni è cominciata la parte più politica della visita.

Se all’inizio molti degli osservatori presenti hanno rilevato un’atmosfera di tensione tra i due, quando al termine del colloquio privato sono state fatte entrare le delegazioni, il Papa sorrideva di più e il clima è diventato molto più familiare, soprattutto quando si sono trovati in tre: il pontefice, il presidente Usa e la first lady.

“Questo glielo regalo perché lei sia strumento di pace“, ha detto Francesco donando all’ospite il medaglione con il ramo di ulivo che unisce la pietra divisa. Quindi ha consegnato al leader statunitense tre documenti: l’Evangelii gaudium, l’enciclica ecologica Laudato si e Amoris Laetitia. Di forte valenza simbolica il fatto che il Papa abbia deciso di consegnare una copia del messaggio per la Giornata della pace del 2017. Che il presidente ha ricevuto commentando: “Abbiamo bisogno di pace”. Questo mentre negli Usa il suo staff inviava al Congresso una proposta di budget per il 2018 che taglia così tanto i fondi alle organizzazioni internazionali da far dire al portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarri che se passerà sarà “semplicemente impossibile per l’Onu proseguire il suo lavoro essenziale nella promozione di pace, sviluppo, diritti umani e assistenza umanitaria”.

Altrettanto significativa la scelta della Laudato si: la seconda enciclica di Bergoglio scritta nel suo terzo anno di pontificato sul tema del rispetto dell’ambiente. Un segnale preciso all’uomo che con l’ordine esecutivo firmato il 28 marzo ha azzerato le politiche del suo predecessore sul cambiamento climatico. “Bene, li leggerò”, ha risposto il presidente. Non sapendo, forse, che nella notte Greenpeace aveva proiettato sulla cupola della Basilica di San Pietro il messaggio ‘Planet Earth First!‘ (‘Prima il pianeta Terra!’) in risposta al motto di Trump ‘America First!‘. In quello che ha tutta l’aria di essere una sinergia tra il Santo Padre e l’organizzazione ambientalista.

Da parte sua il capo della Casa Bianca ha donato a Francesco al Papa un cofanetto di libri di Martin Luther King. “Questo è un regalo per lei – gli ha detto, presentandogli la confezione chiusa – penso che le piaceranno. Nella confezione è anche contenuto un pezzo di granito proveniente dal Martin Luther King Memorial di Washington. La Casa Bianca ha spiegato – riferisce l’Ap – che il dono “onora la speranza di King, la sua visione e l’ispirazione per le generazioni a venire”. Trump ha anche donato a Francesco una scultura in bronzo, dal titolo “Rising Above”. La Casa Bianca ha sottolineato che essa “rappresenta la speranza per un domani di pace”. “Grazie, grazie. Non dimenticherò quello che lei ha detto”, le parole di Trump al termine dell’incontro.

Subito dopo Trump è sceso nella prima Loggia del Palazzo apostolico per l’incontro con il segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin, durato 50 aminuti, e Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Il presidente degli Stati Uniti ha quindi lasciato il Vaticano ed è giunto al Quirinale per un colloquio con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.



Cosa è successo davvero fra Papa Francesco e Donald Trump in Vaticano
Andrea Mainardi Porpora
2017/05/24

http://formiche.net/2017/05/24/come-e-a ... n-vaticano

Scherza Jorge Mario Bergoglio con Melania Trump. Osservando l’altezza del marito le domanda: “Cosa gli dà da mangiare?”. È il momento dei saluti nella biblioteca privata del Papa dopo l’atteso incontro tra il presidente Usa e Papa Francesco. Bergoglio chiede alla first lady se avesse preparato a Donald la putizza, tipico dolce sloveno. L’ex modella di Novo Mesto, presa di sorpresa, capisce pizza: “Sì, pizza, sì”. Allegro misunderstandig che stempera la tensione. Dopo 29 minuti di colloquio privato il clima adesso è rilassato.

DONALD PASSA DALLA PORTA STRETTA

Il miliardario newyorkese è arrivato in Vaticano puntualissimo. Lo hanno fatto passare per la “porta stretta”, l’ingresso laterale del Perugino che costeggia Casa Santa Marta. Il corteo presidenziale non ha potuto varcare il più solenne Arco delle campane, utilizzato dai capi di Stato in visita ufficiale, perché i pellegrini già si stavano affollando per l’udienza del mercoledì. Prima delle 8.30 Trump è salito da piazza San Damaso alla seconda loggia, dove lo attendeva il Papa. Sull’ascensore, primo scambio di battute con il prefetto della Casa pontificia Georg Gaenswein:“È un po’ come la Trump Tower”.

PROTOCOLLO E SORRISI

Il corteo dei gentiluomini del Santo Padre e delle Guardie svizzere ha scortato Trump alla Sala del Tronetto. Protocollo collaudato e studiatissimo in Vaticano: l’incedere lento, sotto le maestose volte della loggia, stupisce tutti. Incute anche un po’ di timore all’ospite, forse troppo, come ammetteva Giovanni XXIII che lo avrebbe voluto ammorbidire. Trump è apparso meno stupito di Barack Obama nel 2014. Ha manifestato sicurezza e sorrisi evidenti fin da subito. Leggermente più concentrato in volto Francesco per la prima foto di rito. Ma già quando i due si sono seduti al grande tavolo della biblioteca del pontefice, anche il viso di Bergoglio si è illuminato. Ai giornalisti presenti è sembrato dicesse: “Sono molto lieto di incontrarla. Non parlo molto bene l’inglese”.

29 MINUTI DI COLLOQUIO PRIVATO

L’incontro tra un Papa e un capo di Stato è strettamente privato. Al tête-à-tête è ammesso solamente l’interprete. Dei colloqui normalmente trapela poco. Ecco perché osservatori e pool di giornalisti ammessi ai momenti che precedono e chiudono l’udienza cercano di captare ogni mimino segnale: dalla mimica del corpo alla durata dell’udienza. Un’udienza normalmente ha una durata di 20-30 minuti. Timing rispettato: Francesco e Trump si sono parlati per 29 minuti. Francesco concesse 52 minuti a Obama nel marzo 2014. Record negativo per l’allora premier canadese Stephen Harper, che nel giugno 2015 si intrattenne con Bergoglio appena una decina di minuti. Con Benedetto XVI, nel 2009, Obama rimase circa 40 minuti. Molto più il tempo trascorso da Ratzinger con Georg Bush nel giugno 2008, con un’irrituale udienza nella Torre di San Giovanni, seguita da visita ai giardini e piccolo concerto offerto dal coro della Cappella Sistina.

BERGOGLIO DONA IL SUO DISCORSO SULLA PACE, TRUMP I LIBRI DI KING

Comunque il tempo a disposizione è stato utilizzato tutto. Non c’erano ampi margini: udienza fissata alle 8.30, con una sola ora a disposizione, dal momento che alle 9.30 il Papa era atteso in piazza San Pietro dai pellegrini. E ci è arrivato puntualissimo dopo avere salutato Trump, first lady e first daughter, entrambe visibilmente emozionate e impeccabili in abito nero e velo in testa, come protocollo prevede. Allo scambio dei doni, Francesco ha diffusamente spiegato il significato di una medaglia del pontificato che raffigura un ulivo e ha presentato ampiamente una copia del suo messaggio per la giornata della pace 2017, tutto incentrato sulla nonviolenza. Non sempre il Papa si sofferma così a lungo in questa fase. Questa volta sì, quasi a volere fissare alcuni concetti del dialogo precedente. Bergoglio ha regalato a Trump anche i documenti del pontificato (questi senza presentarli): l’esortazione programmatica Evangelii Gaudium, l’Amoris Laetitia (sulla famiglia) e l’enciclica Laudato si’ (sulla custodia del creato). Da parte sua Trump ha donato a Francesco un cofanetto con gli scritti di Martin Luther King.

“NON DIMENTICO QUANTO MI HA DETTO”

Ad accompagnare Trump oltre a Melania, la figlia Ivanka e il marito Jared Kushner, il Segretario di Stato Rex Tillerson, altri sette membri del governo e Louis Bono, l’incaricato d’affari ad interim alla Santa Sede. Non presente l’ambasciatore, Callista Gingrich, nominata ma non ancora ufficialmente in carica. Quando Francesco ha accompagnato Trump alla porta, si è percepito da parte del presidente un “non dimenticherò quello che mi ha detto”. Il Papa, stingendogli la mano ha risposto con un sorridente “Buena suerte”.

INCONTRO BILATERALE CON PAROLIN

Quindi Bergoglio è sceso in piazza San Pietro per l’udienza del mercoledì. Trump e Tillerson sono stati ricevuti dal Segretario di stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, e dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario vaticano per i rapporti con gli stati, per il vero incontro bilaterale della visita, più concentrato sui temi dei rapporti tra i due Stati. L’incontro si è prolungato per circa 50 minuti.

DI COSA HANNO PARLATO

Quanto si siano detti Francesco e Trump lo si può solo immaginare. La stringata nota di rito della Sala Stampa vaticana segnala le direttrici di entrambi i colloqui in Vaticano di The Donald: col Papa e il segretario di stato. Si esprime “compiacimento per le buone relazioni bilaterali tra la Santa Sede e gli Stati Uniti, nonché il comune impegno a favore della vita e della libertà religiosa e di coscienza”. Si informa che si è “auspicata una serena collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica negli Stati Uniti, impegnata a servizio delle popolazioni nei campi della salute, dell’educazione e dell’assistenza agli immigrati”. Dal Vaticano chiariscono che “i colloqui hanno permesso uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all’attualità internazionale e alla promozione della pace nel mondo tramite il negoziato politico e il dialogo interreligioso, con particolare riferimento alla situazione in Medioriente e alla tutela delle comunità cristiane”.

UN INCONTRO PER COMINCIARE A CONOSCERSI

Normalmente i capi di Stato non affrontano col Papa temi di politica interna, ma di scenario internazionale. E probabilmente così sarà stato in questa occasione, che arriva dopo il viaggio del presidente Usa in Arabia e Medio o – come si preferisce dire in Vaticano – Vicino Oriente. Un viaggio che ha sancito una conversione della retorica di Trump sull’islam, ma ha confermato la linea degli States con accordi miliardari coi sauditi su armi e petrolio. Comunque sia andata, come ha riassunto in diretta a Tv2000 lo storico Agostino Giovagnoli, il senso dell’incontro ha portato una curiosità reciproca tra i due. Meno diplomatico era stato ieri sera il cardinale Peter Turkson, capo del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, che ha twittato: “Francesco e Trump si rivolgono al mondo islamico per liberarlo dalla violenza. Uno offre la pace del dialogo, l’altro la sicurezza delle armi”.



No, non è vero che il Papa non ha sorriso a Trump
antonio emanuele piedimonte
2017/05/24

http://www.lastampa.it/2017/05/24/itali ... agina.html

La foto più famosa è quella del muso lungo di Papa Francesco a fianco a una sorridentissima famiglia Trump vestita di nero. Condivisa sui social network da ieri, è stata utilizzata ironicamente come cartina al tornasole per l’esito dell’incontro al Vaticano tra il leader americano e il Pontefice. La faccia del Papa è diventata virale e ha prestato involontariamente il fianco a meme, fotomontaggi e persino pubblicità di pompe funebri.

Non solo, perché alla foto in posa Trump-Bergoglio sono state affiancate, per rincarare la dose, le foto dell’incontro del 2014 avvenuto con Obama (e con altri leader internazionali, Merkel inclusa): i toni erano più distesi, i volti più sorridenti.

Ma le due foto non raccontano l’intera verità. L’ha spiegato Evan Vucci alla rivista Time, il fotografo di AP che ha immortalato il momento. «È accaduto tutto così in fretta, si sono stretti la mano e poi si sono messi in posa per la foto di gruppo». I sei fotografi ammessi nella stanza, lontani dalla delegazione papale e americana e tutti vicini in un piccolo spazio, hanno avuto pochi secondi per scattare delle foto da distribuire in tutto il mondo per conto delle agenzie per cui lavoravano. «L’umore non era austero, il Papa sorrideva e parlava. Niente sembrava diverso dal solito» ha aggiunto, spiegando che il suo scatto migliore conteneva solo il sorriso del presidente americano.

In altre parole, l’incontro non è andato così male. Perché per quanto ci possa piacere o meno Donald Trump e i suoi modi, questa foto non racconta tutto, anzi. Le foto aggiungono informazioni al flusso quotidiano delle notizie. A volte possono essere rivelatrici di un fenomeno, possono aggiungere un punto di vista differente. A volte, invece, soprattutto se ne mettiamo in evidenza solo una di tante, rischiano di distorcere la percezione di un fatto. Anche perché, nelle decine di foto arrivate dal Vaticano, ci sono molte che ritraggono il Papa sorridente.

E anche perché, 3 anni fa, nella stessa identica foto di gruppo, nella stessa stanza e nella stessa posa, anche Obama aveva di fianco un Francesco serissimo.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » ven mag 26, 2017 8:24 pm

I trenta minuti di Trump con Bergoglio
di Alessandro Santagata
26 maggio 2017

http://www.treccani.it/magazine/geopoli ... oglio.html

Come era ampiamente prevedibile, del tanto atteso incontro tra il presidente Trump e papa Francesco, trenta minuti di colloquio riservato – quello con Obama era durato il doppio – seguiti da altri dieci di incontro aperto all’intera delegazione statunitense, poco o niente è trapelato a beneficio degli organi di stampa. Eppure, basta guardare quelle fotografie con la coppia presidenziale e il volto serio, quasi cupo del pontefice, per capire che a fare da padrona è stata la freddezza.

Era difficile, del resto, aspettarsi qualcosa di diverso. Se della possibilità di un colloquio si era iniziato a parlare mesi fa, le ultime ore prima dello sbarco del presidente in Vaticano erano state animate da una piccola polemica su chi avesse invitato chi. «Sono onorato che papa Francesco mi abbia invitato, ho molto rispetto per lui» avrebbe dichiarato Trump sull’Air Force One che lo portava da Israele a Roma, durante un brevissimo colloquio con alcuni giornalisti a bordo. Peccato solo che non ci sia stato nessun invito, secondo la prassi vaticana che prevede di ospitare qualsiasi rappresentante internazionale di livello faccia richiesta. Una piccolezza certo, ma che si è inserita in un clima fattosi sempre più teso negli ultimi mesi.

Gli episodi di contrapposizione e le stilettate sono stati numerosi in questi quattro mesi della nuova presidenza statunitense: le dichiarazioni critiche di gennaio sull’immigration ban del cardinale Peter Turkson e di monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato, le perplessità manifestate dalla Santa Sede sulla linea antiecologica della nuova amministrazione, il tagliente messaggio di benedizione del papa in spagnolo al Super bowl, fino al più recente invito alla Conferenza episcopale americana ad agire come lobby in funzione di argine di fronte a progetti, per esempio, come quello del muro al confine con il Messico.

Stando all’autorevole ricostruzione dell’incontro data da Avvenire, «non è stato un colpo di bacchetta magica, ma nessuno si illudeva, del resto, che trenta minuti di colloquio – e cinquanta con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin e il ‘ministro degli esteri vaticano’, Paul Richard Gallagher – bastassero ad appianare le fin qui evidenti divergenze tra l’azione politica». «Non dimenticherò quello che lei mi ha detto», ha affermato Trump al termine dell’incontro.

Il comunicato ufficiale della Santa Sede si è limitato a rendere noto che «i colloqui sono stati cordiali e hanno permesso uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all’attualità internazionale e alla promozione della pace nel mondo tramite il negoziato politico e il dialogo interreligioso, con particolare riferimento alla situazione in Medio Oriente e alla tutela delle comunità cristiane». Più interessante forse lo scambio di doni: una copia del messaggio per la Giornata mondiale della pace 2017 per Trump – «scritto personalmente per lei», ha chiosato il papa e, aggiungiamo noi, dopo l’uscita del papa contro la MOAB definita la «madre di tutte le bombe» – nonché dell’enciclica Laudato si' sull’emergenza ambientale.

«Abbiamo bisogno di pace» ha commentato Trump, che due giorni fa ha firmato contratti per vendere all’Arabia Saudita armi per 110 miliardi di dollari e a Roma invece ha dato la notizia di uno stanziamento di 300 milioni di dollari a favore di Sudan, Somalia, Nigeria e Yemen (da anni bombardato proprio dall’Arabia Saudita). «Nel corso dei cordiali colloqui – si legge ancora nella nota – è stato espresso compiacimento per le buone relazioni bilaterali esistenti tra la Santa Sede e gli Stati Uniti, nonché il comune impegno a favore della vita e delle libertà religiosa e di coscienza». Si tratta di un’ulteriore conferma del fatto che le divisioni con la Chiesa riguardano soprattutto i grandi nodi della politica estera e del profilo assunto dall’amministrazione Trump sulla questione sociale particolarmente cara al papa – si aggiunga, tra le altre, la questione dello smantellamento dell’Obamacare. Non mancano invece i punti di contatto con l’episcopato americano in materia di biopolitica e diritti civili: elementi che complicano un quadro trilaterale – papa, conferenza episcopale e amministrazione repubblicana – che si presenta particolarmente complicato da districare per la Santa Sede e rispetto al quale il rapido incontro romano non può certo essere stato risolutivo.
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