Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » lun giu 05, 2017 8:25 am

Trump Donald
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Dopo la visita di Trump

Crisi nel Golfo: Arabia Saudita, Egitto, Emirati e Bahrein rompono le relazioni diplomatiche con il Qatar
Milano, 5 giugno 2017 - 05:22
Azione senza precedenti dei vicini contro l’Emirato, accusato di sostenere «i terroristi»
Via i diplomatici e interrotti i trasporti, scacco per il Paese organizzatore dei mondiali 22

http://www.corriere.it/esteri/17_giugno ... 067c.shtml

Crisi nel Golfo, senza molti precedenti: Bahrain, Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi hanno interrotto le relazioni diplomatiche con il vicino Qatar. Le accuse sono quelle di sostenere organizzazioni terroristiche e di interferenze negli affari interni del confinante Bahrein. Una mossa molto forte che prevede l’interruzione immediata degli spostamenti via terra e via aerea (Etihad, la linea di Abu Dhabi, ha già annunciato che sospenderà i voli, mentre Qatar Airways è una delle compagnie più potenti del mondo) e il ritiro degli ambasciatori oltreché l’abbandono delle forze qatariote in Yemen, dove fanno parte della coalizione che combatte gli estremisti locali. Una mossa che probabilmente nasce dalle contestazioni rivolte ad Al Jazeera, l’emittente del Qatar, accusata «di incitare i terroristi e i destabilizzatori». Una mossa che potrebbe mettere parecchio in difficoltà l’emirato in una fase delicata della sua storia visto che dovrà organizzare i Mondiali di calcio del 2022.



Arabia Saudita, Emirati ed Egitto contro lo sceicco Al Thani
di VINCENZO NIGRO
25 maggio 2017

http://www.repubblica.it/esteri/2017/05 ... -166368213

È riesplosa la battaglia politica e mediatica fra il Qatar e i suoi "fratelli" arabi della regione del Golfo. Da qualche giorno l'emiro Al Thani, il "ruler" di Doha, è finito sotto attacco dell'Arabia Saudita e degli Emirati per una sua dichiarazione che è stata postata sul sito dell'agenzia di notizie del Qatar, ma che la stessa agenzia ha classificato come un "fake", un falso piazzato da qualcuno che ha voluto mettere in difficoltà il paese.

Nel testo, comparso pochi giorni dopo il vertice in Arabia Saudita fra Trump e i leader arabi, lo sceicco definiva l'Iran "una potenza islamica" e confermava che le relazioni fra il Qatar e Israele sono "buone". Ancora: lo sceicco, nel fake pubblicato dall'agenzia ufficiale qatarina, definiva Hamas "il legittimo rappresentante del popolo palestinese", descriveva le buone relazioni che il Qatar ha sia con gli Usa che con l'Iran.

Gli hackers hanno poi bloccato anche l'account Twitter dell'agenzia, dopo aver inviato messaggi in cui il ministro degli Esteri del paese denunciava i "complotti" delle altre nazioni arabe contro il Qatar. In un tweet addirittura veniva scritto che "il Qatar ha ordinato il richiamo degli ambasciatori da Bahrain, Egitto, Kuwait, Arabia Saudita e Emirati Arabi dopo la scoperta del "complotto"".

Il governo qatarino è poi riuscito a cancellare i tweet falsi, e il direttore dell'ufficio comunicazione del governo ha spiegato che "il governo ha aperto un'inchiesta sulle falsità diffuse". Ma le informazioni false sono state rilanciate per ore dalle tv satellitari del Golfo, innanzitutto da quelle degli Emirati

Gli altri paesi arabi accusano da sempre il Qatar di essere vicino ai movimenti più estremisti, a patire dai Fratelli Musulmani. Arabia Saudita ed Emirati hanno bloccato Al Jazeera, la tv satellitare qatarina, e oggi sono stati seguiti da Egitto e Bahrain.

La disputa politica e "televisiva" con il Qatar è il primo frutto evidente della svolta che si è avuta sabato scorso a Riad dove Trump ha incontrato i leader dei paesi islamici sunniti guidati dall'Arabia Saudita. Di fatto il presidente americano ha rinsaldato un'alleanza con i paesi sunniti in nome dell'ostilità all'Iran che proprio in quelle ore conteggiava i voti delle elezioni che hanno confermato Hassan Rouhani alla presidenza della Repubblica. Il primo effetto del rilancio della nuova alleanza anti-iraniana è stato quindi quello di limitare la possibilità di dissenso all'interno della coalizione die paesi arabi guidati dall'Arabia Saudita.


Lo Stato del Qàtar (Arabo قطر, Qaṭar) è un emirato del Vicino Oriente. Situato in una piccola penisola della ben più grande penisola Arabica, confina a sud con l'Arabia Saudita ed è per il resto circondato dal golfo Persico.

https://it.wikipedia.org/wiki/Qatar
Il Qàtar è uno dei vari emirati sorti nel XX secolo nella penisola arabica. Dopo essere stato dominato per migliaia di anni dai persiani e, più recentemente, dal Bahrein, dagli Ottomani e dai britannici, diventò indipendente il 3 settembre 1971. Diversamente dalla maggior parte dei vicini emirati, il Qatar ha rifiutato di diventare parte dell'Arabia Saudita - malgrado il comune orientamento wahhabita della loro fede islamica - o degli Emirati Arabi Uniti.

Superfice 11.437 km² (162º) - Popolazione 2.350.000

PIL (nominale) 192 402 milioni di $ (2012) (53º)
PIL pro capite (nominale) 104 756 $ (2012) (2º)

La principale risorsa economica è rappresentata dal petrolio su cui si basa la ricchezza del paese. I primi giacimenti furono scoperti negli anni quaranta e la commercializzazione del greggio ebbe inizio dieci anni dopo. Nel 1974 il governo fondò la Qatar General Petroleum Corporation, ente deputato al controllo delle risorse petrolifere, precedentemente gestite da compagnie occidentali. Il Qàtar è membro dell'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC).

Un'ulteriore risorsa è costituita inoltre dai giacimenti di gas naturale; infatti, a North West Dome si trovano i più grandi depositi del mondo di gas naturale non associato al petrolio. Nel 2012 il prodotto interno lordo nominale del paese è stato di 192.402 milioni di dollari USA, corrispondente a un PIL di 104.756 dollari USA pro capite, secondo al mondo dopo il Lussemburgo. A parità di potere d'acquisto il prodotto interno lordo è stato di 185.300 milioni di dollari USA, con un PIL procapite di 100.889 dollari che colloca i suoi abitanti al primo posto tra i più ricchi del mondo.

Il settore agricolo ha rilevanza solo a livello locale e impiega circa il 3% della forza lavoro. Sono allo studio progetti volti a migliorare i sistemi di irrigazione e ad aumentare la produzione agricola per garantire l'autosufficienza alimentare, raggiunta alla fine degli anni novanta solo per frutta e ortaggi. Il settore più importante resta comunque quello della pastorizia (si allevano perlopiù capre, pecore, dromedari e bovini). Di rilievo è inoltre la pesca che riesce a soddisfare completamente il fabbisogno interno, garantendo anche eccedenze per l'esportazione. Il governo utilizza le entrate valutarie ottenute dalle concessioni petrolifere per finanziare lo sviluppo industriale del paese. Oltre a effettuare la raffinazione del petrolio, le industrie manifatturiere più importanti producono cemento, fertilizzanti e acciaio.



I Fratelli Musulmani (in arabo: جماعة الإخوان المسلمين‎, Jamaʿat al-Iḫwān al-muslimīn, letteralmente Associazione dei Fratelli Musulmani; spesso solo الإخوان المسلمون, al-Iḫwān al-Muslimūn, Fratelli musulmani, o semplicemente الإخوان al-Iḫwān, i Fratelli) costituiscono una delle più importanti organizzazioni islamiste internazionali con un approccio di tipo politico all'Islam. Furono fondati nel 1928 da al-Ḥasan al-Bannāʾ a Isma'iliyya (Egitto), poco più d'un decennio dopo il collasso dell'Impero Ottomano.
https://it.wikipedia.org/wiki/Fratelli_Musulmani
Sono diffusi soprattutto in Egitto (Partito Libertà e Giustizia) e a Gaza (Hamas).
Sono stati dichiarati fuorilegge, in quanto considerati un'organizzazione terroristica, da parte dei governi dei seguenti paesi: Bahrain, Egitto, Russia, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Tagikistan e Uzbekistan. Godono invece di cospicui finanziamenti e protezione più o meno esplicita da parte dei governi di Turchia e Qatar.


Il movimento dei Fratelli musulmani apre la strada al Qatar
Silvia Cattori Egalité et Reconciliation 30 aprile 2013
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

https://qatarbook.wordpress.com/2013/05 ... a-al-qatar

Sulla scia delle rivolte arabe, il Qatar utilizza la sua grande ricchezza e il suo impero mediatico per diventare una superpotenza regionale. Quali sono i suoi legami storici con i Fratelli musulmani che determineranno il successo o il fallimento della strategia di Doha.

Siamo abituati a un Paese come l’Arabia Saudita, che cercava di svolgere un ruolo di primo piano nella vita politica della regione, ma nel caso di un Paese piccolo come il Qatar, con una popolazione nativa di appena 200.000 persone, ciò è notevole. Soprattutto grazie alla sua ricchezza petrolifera e gasifera, la piccola penisola nel Golfo è in grado di competere con le maggiori potenze della regione. Il Qatar è riuscito a sfruttare le sue fortune economiche, e costruito intorno ad al-Jazeera un impero mediatico, rafforzando la propria reputazione da superpotenza regionale. Negli anni che hanno preceduto la rivolta araba, il Qatar ha seguito una diplomazia pragmatica, costruendo forti relazioni con nemici giurati come Stati Uniti e Iran o Hamas e Israele. In un certo senso, Doha ha preceduto la Turchia nell’attuare con successo una politica estera di “zero problemi”. Oggi, però, il Qatar ha più coraggio, prende posizione negli sconvolgimenti che hanno scosso il mondo arabo e rilascia le redini di al-Jazeera quando attacca i suoi nemici. Il Qatar infatti si é messo nell’occhio del ciclone.
Dopo il suo supporto supporto ai rivoluzionari, Doha si sente a suo agio con i nuovi leader islamisti in Egitto e Tunisia. In Libia, il Qatar era in prima linea nel sostegno militare e finanziario alle forze ribelli sostenute dalla NATO fino alla caduta di Muammar Gheddafi. In Siria, l’emiro è disposto a rischiare tutto per abbattere il regime di Bashar al-Assad. Al centro della strategia del Qatar vi sono i suoi legami storici con i Fratelli musulmani, che sono diventati i principali beneficiari delle rivolte arabe. Scommettere sulla Fratellanza, tuttavia, è rischioso, in particolare nei confronti degli altri Stati del Golfo che considerano i Fratelli musulmani una minaccia più grande dell’Iran.

La Fratellanza nel Qatar
La presenza in Qatar dei Fratelli musulmani di un certo numero di Paesi arabi, risale al 1950, quando alcuni membri del movimento furono costretti all’esilio, in particolare dell’Egitto di Jamal Abdel Nasser. Nel 1999, il ramo del Qatar dei Fratelli Musulmani fu dissolto e il suo leader Sultan Jassim ha detto nel 2003 che il governo del Qatar stava adempiendo ai suoi obblighi religiosi correttamente. Analoghi tentativi di riconciliare la Confraternita con la famiglia regnante negli Emirati Arabi Uniti non hanno avuto successo. La filiale della Fratellanza negli Emirati Arabi Uniti, chiamata al-Islah, è stato autorizzata ad agire come ente di beneficenza, ma ha dovuto interrompere la sua attività politica.
Nel tempo, il rapporto tra il Qatar e gli esponenti della Fratellanza si è rafforzato, in particolare con lo sceicco Yusuf al-Qaradawi e una lunga lista di attivisti islamici e giornalisti che hanno invaso al-Jazeera, tra cui l’ex direttore generale Wadah Khanfar (dei Fratelli musulmani giordani) e l’attuale ministro degli Esteri tunisino Rafiq Abdul-Salam, che ha guidato il centro di ricerca della rete. Il Qatar non ha perso tempo nel sostenere i nuovi regimi dei Fratelli musulmani riempiendone le casse. A differenza degli altri Paesi del Golfo, che hanno ridotto i loro investimenti in Egitto dopo la caduta di Mubaraq, Doha si è impegna ad aumentare la sua quota fino a 18 miliardi di dollari, per i prossimi anni. Le sontuose spese del Qatar per gli islamisti sono anche riuscite ad attirare Hamas palestinese allontanandola da Iran e Siria. In un recente viaggio a Gaza, l’emiro del Qatar sheikh Hamad bin Khalifa al-Thani ha annunciato investimenti e progetti per un quarto di miliardo di dollari.

Il malcontento del Golfo
La storia d’amore tra i Fratelli musulmani e il Qatar è una fonte di malcontento tra i vicini del Golfo, in particolare in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Non è la prima volta che Doha irrita gli altri regimi della regione, come una volta succedeva, soprattutto per motivi economici, con l’Iran. Ma le altre monarchie del Golfo sono sempre più caute verso l’ascesa al potere dei Fratelli nella regione. Alcuni vedono la Fratellanza come una minaccia più grande dell’Iran. Il recente arresto di decine di membri di al-Islah con l’accusa di aver complottato per rovesciare il regime degli Emirati Arabi Uniti, ne è un esempio. I media sauditi sono più aperti nelle loro critiche alla relazione speciale con i Fratelli del Qatar e gli Emirati Arabi Uniti lanciano una stazione televisiva contro di loro. Da parte sua, il Kuwait non ha che inviato una cifra simbolica di aiuti per l’economia in difficoltà dell’Egitto.
Questo ha reso il Qatar attento a non disturbare i suoi vicini del Golfo, evitando di accendere incendi che possano estendersi. Quando lo sceicco Yusuf al-Qaradawi, per esempio, ha pubblicamente criticato l’EAU per aver espulso dei siriani in Egitto, nel maggio 2012, al-Thani stesso si recò ad Abu Dhabi, il giorno successivo, per limitare i danni. La politica del Qatar nel Golfo sembra essere un prolungamento del suo precedente approccio pragmatico, consistente in alleanze con nemici acerrimi, volendo bilanciare le sue relazioni con i suoi partner nel Golfo con il suo mecenatismo verso i Fratelli musulmani. Tuttavia, in altre parti del mondo arabo e in Siria, il Qatar conduce un nuovo e potenzialmente pericoloso gioco, mettendo tutto il suo peso da una sola parte.


Fradełansa muxlim - Fratellanza mussulmana
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Il discorso di Trump ai Paesi arabi: “Insieme siamo imbattibili, spazzeremo il terrorismo”
francesco olivo
2017/05/21

http://www.lastampa.it/2017/05/21/ester ... agina.html

Nella cornice imponente del King Abdulaziz Center a Riad il presidente Donald Trump ha tracciato la strada della sua politica in Medio Oriente davanti a 55 leader di Paesi islamici. «Alleanza con le nazioni arabe musulmane che vogliono collaborare nella lotta contro estremismo e terrorismo, convivenza fra le diverse fedi, ebraica, cristiana, musulmana, come è stato per secoli in Medio Oriente, pace fra palestinesi e Israele».

Ma Trump ha anche sferrato un nuovo duro attacco all’Iran, accusato di aver alimentato «il fuoco dei conflitti settari» negli ultimi quattro decenni e di aver causato la tragedia «inimagginabile» della Siria, con la complicità del regime siriano. Trump ha anche attaccato due volte Hezbollah ed elogiato i Paesi del Golfo per aver messo il movimento libanese nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Isolare il regime iraniano

Il regime iraniano, ha insistito, deve essere isolato, e non deve più poter finanziare il terrorismo. Solo elogi per l`Arabia Saudita, indicata come esempio di tolleranza, convivenza e dove anche la condizione della donna sta migliorando.



Trump in Arabia Saudita: "Musulmani siano leader nella lotta alla radicalizzazione"
21 maggio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... ue/3601100

Un discorso istituzionale come si capiva dalle anticipazioni diffuse dalla Casa Bianca quello di Donald Trump a Riad. “Vi ringrazio per questa ospitalità fantastica. Il mio è un messaggio di amore per aprire una nuova era nei nostri rapporti” dice il presidente Usa nel suo discorso davanti ai leader del mondo arabo-islamico in Arabia Saudita. Parole che, almeno nell’incipit, ricordano quelle di Barack Obama del 2009 a Il Cairo. L’allora numero uno della Casa Bianca parlò di “un nuovo inizio con l’Islam”. Oggi Trump sembra seguire le tracce del suo predecessore quando dice: “Il nostro obiettivo comune deve essere quello di creare una grande coalizione per distruggere il terrorismo. La maggioranza musulmana deve prendere la leadership nella lotta alla radicalizzazione” che non assomiglia invece all’appello di Obama che invece auspicava “un partenariato” tra America e comunità musulmane.

“Non sono qui per dare lezioni a nessuno o dirvi cosa dovete fare e come – prosegue Trump – Spero che la giornata di oggi possa essere ricordata come l’inizio della pace in Medio Oriente e in tutto il mondo. Non ci può essere tolleranza verso il terrorismo. Possiamo vincere solo se le forze del bene saranno unite e se tutti in questa stanza daranno il loro contributo. L’America è pronta a stare al vostro fianco ma non possiamo annientare il nemico al posto vostro: cacciate i terroristi dai vostri luoghi di culto e dalla vostra terra. Il terrorismo è un insulto ad ogni persona di fede – ha aggiunto Trump – e i Paesi musulmani devono assumersi le loro responsabilità, negando un porto sicuro alle forze del male. I terroristi non devono trovare santuari in questo territorio. E dobbiamo tagliare ogni forma di finanziamento formando un accordo”. I terroristi non venerano dio, ma la morte”. Quella contro il terrorismo “non è una battaglia tra fedi, religioni o ideologie, ma tra criminali barbari e brave persone che vogliono proteggere la vita. È una battaglia tra il bene e il male: possiamo superare questo male solo se le forze del bene saranno unite e forti”. Trump ha quindi annunciato un accordo volto a bloccare e tagliare i finanziamenti ai gruppi terroristici: “Un altro passo storico. Dopo Riad sarò in Israele e in Vaticano. Se le tre fedi si uniscono, la pace è possibile in tutto il mondo, anche tra Israele e palestinesi”. Poco prima il re saudita Salman nel suo discorso introduttivo aveva annunciato l’impegno del suo paese: “L’Arabia Saudita sarà ferma nel perseguire chi finanzia o appoggia il terrorismo e conferma la sua determinazione per debellare l’Isis e altri gruppi terroristici, indipendentemente dalle sette religiose o dalle ideologie”.

Dopo Riad Trump raggiungerà Tel Aviv per chiedere chiedere al premier israeliano Netanyahu e Abu Mazen (Mahmoud Abbas) “di intraprendere passi decisivi verso la pace”. Secondo i media, che citano fonti Usa, tali passi riguardano per Israele “il freno degli insediamenti e il miglioramento dell’economia palestinese“, mentre per questi “la fine dell’istigazione e della violenza verso lo stato ebraico”. Per le stesse fonti “si è ancora ai primi passi nel riavvio dei negoziati”. Secondo Haaretz tra le proposte per alleviare l’economia palestinese – e su cui oggi dovrebbe discutere il gabinetto di sicurezza israeliano – ci sono l’apertura continua del valico di Allenby tra Cisgiordania e Giordania in modo da consentire un più facile transito, il miglioramento dei passaggi della Cisgiordania al fine di facilitare i lavoratori palestinesi e lo sviluppo delle aree industriali a Tarkumia nei pressi di Hebron e Jalma vicino Jenin. Inoltre, azioni per aumentare le condizioni dei commercianti di Gaza. “Trump – ha detto la fonte della Casa Bianca citata da Haaretz – è stato franco con il presidente Abu Mazen riguardo l’istigazione e i salari alle famiglie dei terroristi. E sarà chiaro su questo anche nel corso della visita”.

Un ministro vicino al premier Netanyahu – Yuval Steinitz del Likud – ha espresso oggi la preoccupazione di Israele per gli accordi militari conclusi fra Usa ed Arabia Saudita per 110 miliardi. In una intervista radio Steinitz ha precisato che Israele “desidera ricevere spiegazioni del presidente. Per il suo Paese, ha aggiunto, è di importanza vitale mantenere un margine di superiorità militare rispetto ai Paesi vicini, Arabia Saudita inclusa la quale – ha rilevato – non mantiene relazioni con Israele e di cui “nessuno conosce il futuro”. Da parte sua il ministro per l’intelligence Israel Katz (Likud) ha osservato che “la visita di Trump rafforza il campo anti-iraniano e rappresenta una opportunità per far avanzare la sicurezza regionale e la cooperazione economica, come base per la pace nella Regione”. Anche Katz ha detto di annettere importanza alla difesa della superiorità militare israeliana, ma ha peraltro osservato che “occorre dar vita ad una coalizione regionale guidata dagli Usa”, in funzione anti-Iran.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » lun giu 05, 2017 8:31 am

La Chiesa “laburista” e sindacale di Papa Francesco
2017/06/02

http://www.huffingtonpost.it/2017/06/02 ... a_22122846

Dai valori non negoziabili al negoziato sul lavoro: poiché in fabbrica, non nelle aule parlamentari, si decide il destino della libertà. E della democrazia del XXI secolo. Tesi copernicana che il Cardinale Bergoglio anticipò lungo le rive del Rio de la Plata e alla presenza di chi scrive, in un celebre discorso del 2003, rovesciando i presupposti delle scienze costituzionali, sulla soglia del Terzo Millennio e a una decade dall'ascesa sul soglio di Pietro.

Si deve partire da lì, da quell'imprinting argentino, per comprendere la rivoluzione culturale che ha investito e reinventato la CEI, operando una rapida, imprevista metamorfosi. E rendendola un player imprevedibile, incomodo della prossima campagna elettorale, nel segno prioritario delle politiche occupazionali.

Da "minoranza creativa" e task force di truppe scelte, che presidiano i temi etici, a esercito di popolo che sui temi sociali riscopre la propria vocazione maggioritaria e passa il Rubicone del moderatismo, muovendo alla conquista dell'Italia: di quei settori, sempre più ampi e variegati, che non si sentono rappresentati o garantiti dalle istituzioni.

"Faremo politica con la P maiuscola", dove la minuscola sta di converso per "partiti". Così, senza perifrasi, ha esordito il nuovo capo dei vescovi, Gualtiero Bassetti, toscano del Mugello trapiantato in Umbria. Un proposito che al di là della personale mitezza e della stessa consapevolezza del porporato, sottende in nuce un progetto egemonico.

Dalle ingerenze legislative su testamento biologico e fecondazione eterologa, che suscitano reazioni contrastanti e spaccano il paese in due, alle vertenze lavorative, che al contrario lo uniscono intorno alla Chiesa e si traducono in consenso crescente, sino trasformare l'udienza del Mercoledì e la finestra dell'Angelus in una tribuna sindacale, in cui trovano accoglienza e risonanza i drappelli e gli appelli della base in lotta: "Questo è il nocciolo del problema. Perché quando non si lavora, o si lavora male, è la democrazia che entra in crisi, è tutto il patto sociale".

Nessuna Leopolda, nessun Primo Maggio riscuote un entusiasmo analogo a quello registrato da Francesco sui campi più difficili, dalla piana calabrese di Sibari al capannone genovese dell'Ilva. C'era una volta la CEI di Camillo Ruini, ago di bilancia della Seconda Repubblica, tra Berlusconi e Prodi. E c'è adesso la CEI di Bassetti e Galantino, spina nel fianco della Terza e dei suoi tanti, aitanti, aspiranti leader.

La Chiesa "laburista" prende forma e modifica, radicalmente ancorché gradualmente, programmi e organigrammi, pedigree e identikit dell'episcopato, allevando una generazione di vescovi "sindacalisti". A cominciare dal neopresidente, che dieci anni orsono alla guida della diocesi di Arezzo, in piena stagione ratzingeriana, si recò alla Buitoni di Sansepolcro per difendere dalla speculazione uno storico marchio nazionale.

Bergoglio ha individuato nel lavoro e nell'Italia la piattaforma ideologica e geografica per riguadagnare lo spazio perduto ad Occidente. Smantellamento del welfare ed erosione dei valori cristiani, nell'orizzonte del suo pensiero, si accompagnano. E rappresentano segni della medesima crisi. Ne consegue che la "nuova evangelizzazione" sarà sociale o non sarà.

La penisola, con il suo tessuto di aziende medio - piccole, dove ancora sopravvive la figura dell'imprenditore dal volto umano, che conosce i dipendenti ad uno ad uno, sull'esempio del buon pastore della parabola, costituisce il terreno di coltura, e cultura, per far crescere modelli alternativi e sperimentare da vicino, nell'orto casalingo, la dottrina sociale.

Nasce così una enciclica itinerante, che Francesco ha "pubblicato" a tappe, in quattro anni di viaggi dal Nord al Sud, integrando e aggiornando, riposizionando e a tratti rivoluzionando il magistero.

C'è un primo tomo "macroeconomico", che si esplica nel confronto con le platee internazionali, dall'ONU a Strasburgo, da Bangui ad al-Azhar, trovando compimento, e completamento, il 5 novembre 2016 nell'Aula Paolo VI, davanti a migliaia di campesinos e abitanti degli slum, quando Bergoglio addita nella finanziarizzazione dell'economia e nell'idolatria globalizzata del denaro il nemico elettivo, effettivo della Chiesa. Presente da sempre. Mai tuttavia tanto imponente e prevaricante: "La Chiesa e i profeti dicono, da millenni, quello che tanto scandalizza che lo ripeta il Papa in questo tempo in cui tutto ciò raggiunge espressioni inedite. Tutta la dottrina sociale della Chiesa e il magistero dei miei predecessori si ribella contro l'idolo denaro che regna invece di servire, tiranneggia e terrorizza l'umanità".

La finanza dunque: da moltiplicatore del bene a moltiplicatore del male. Sembrano passati non sette anni ma biblicamente settanta volte sette rispetto all'ottimismo illuminista di Caritas in Veritate, il testo in cui Benedetto XVI nel 2009 la definì "amore intelligente", mettendone in evidenza le virtù esponenziali.

Prospettiva che in Bergoglio, già nella menzionata lectio australe del 2003, appare agli antipodi non solo geograficamente ma cromaticamente, tingendosi di pessimismo cosmico e dipingendo il mutamento di paradigma del mondo moderno, dove "il potere si stava trasformando in qualcosa di anonimo. Da qui si sviluppano, come da una radice, tutti i pericoli e le ingiustizie che subiamo attualmente". Insomma una trasposizione postindustriale del racconto evangelico dell'indemoniato di Gerasa, il quale sollecitato a declinare il proprio nome rispose a Gesù: "Legione, perché siamo in molti".

C'è poi un secondo tomo "microeconomico", italiano e mattutino, elaborato in piazza o in fabbrica, in mezzo agli operai e ai disoccupati, ai precari e agli esodati, ossia le vittime della globalizzazione selvaggia.

In principio fu Cagliari, da cui salparono i marinai che avrebbero "battezzato" Buenos Aires in omaggio alla Madonna di Bonaria e dove Bergoglio sbarcò a sei mesi dal conclave, il 22 settembre 2013, avviando la consuetudine d'incontrare in primis i lavoratori e riservando loro l'ouverture delle sue visite: a significare che il lavoro è la chiave d'ingresso delle città e della civiltà. Per arrivare infine a Genova, da cui partì suo padre ed è approdato oggi lui, compiutamente, con un discorso che possiede il piglio sintetico e sistematico, l'impegno innovatore, rifondatore di una enciclica.

L'Italia torna così ad occupare un ruolo capitale, di cattedrale, quanto meno cantiere di un nuovo pensiero economico. In esso il Papa, come Cristo nel tempio di Gerusalemme, ribalta luoghi comuni e banchi dei cambiavalute, che spacciano per virtuosi concetti vischiosi: dalla "competizione all'interno dell'impresa", che logora lo spirito di gruppo e di appartenenza, fino alla "meritocrazia", che funge da "legittimazione morale della disuguaglianza".

In ulteriore ambito e su diverso piano, più vasto e profondo, antropologico e teologico, Francesco articola invece la critica del reddito di cittadinanza, ritenendo che tendenzialmente stabilizzi, e cronicizzi, la rassegnazione "ad un mondo dove solo metà o forse due terzi dei lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale". Riportando le forze politiche all'assunto che "l'obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti! Perché senza lavoro, senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti".

Se all'Italia nel disegno di Giovanni Paolo II, enunciato nell'Epifania del '94 e rilanciato da Benedetto XVI al convegno di Verona del 2006, spettava liricamente il compito, dopo due millenni, "di difendere per tutta l'Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo", nella vision di Bergoglio le compete invece più prosaicamente di custodire il Welfare: frutto di due secoli d'incontro-scontro, duro ma proficuo, tra solidarismo cristiano e socialismo ateo.

L'enciclica "sindacale" di Francesco cambia direttore d'orchestra rispetto all'impostazione, e intonazione, positiva del Papa polacco, che all'indomani della caduta del muro di Berlino e a un secolo dalla Rerum Novarum riconciliava sullo spartito di Centesimus Annus la Chiesa e il mercato. E riconosceva nel profitto un indicatore etico, anche se non unico.

Nel discernimento del magistero wojtyliano, riletto e interpretato da Bergoglio, l'accento si sposta piuttosto sul salario, che diventa "il punto fondamentale per verificare la giustizia o l'ingiustizia di tutto il sistema socio-economico, giacché è ciò che rende reale il principio dell'uso comune dei beni".

Dalla finestra del suo buen retiro, ai piani alti del vecchio seminario prospiciente il Colle Vaticano, Camillo Ruini osserva il tramonto di un'epoca , di cui fu grande, incontrastato stratega, per tre lustri al comando della CEI. E vede uscire di scena, uno dopo l'altro, i vescovi da lui prescelti e interpreti della sua linea, gramscianamente incentrata sul rapporto preferenziale con l'intellighenzia. Un edificio che dominò il paesaggio con le insegne del "progetto culturale" ma ora retrocede sullo sfondo, nello skyline di un Papa che preferisce notoriamente i "luoghi della vita". Le fabbriche, appunto, e le periferie.

Da una Chiesa della Domenica, che propugna precetti, a quella del Lunedì, che tutela i contratti e ne reclama l'osservanza: "Chi toglie lavoro fa un peccato gravissimo".

Il Papa della misericordia sfodera un lessico da Sillabo in economia e non pratica sconti, scagliando anatemi ed elencando gli errori, fatali, pronti a degenerare in orrori. Un manuale giuridico - evangelico che in definitiva pone il lavoro non solo a fondamento dello stato, conforme al dettato costituzionale, ma della Chiesa medesima. Una "priorità umana e cristiana" in assenza della quale non si prospetta né si consolida la comunità degli uomini. E di conseguenza diviene impossibile scalare il gradino, successivo, della comunione con Dio, partecipando all'opera della sua creazione.



L'appello di Bergoglio: i responsabili delle nazioni pongano fine al commercio di armi
Videomessaggio del Papa per l’intenzione di preghiera per il mese di giugno: «Queste guerre sono forse guerre commerciali per arricchire i mercanti di morte?»
2017/06/02
GIACOMO GALEAZZI

http://www.lastampa.it/2017/06/02/vatic ... agina.html

«Questa guerra lì, quest'altra guerra là, sono davvero guerre nate per risolvere problemi oppure sono guerre commerciali per vendere queste armi illegalmente, affinché i mercanti di morte ne escano arricchiti? Risolviamo questa situazione». È un appello a fermare definitivamente il flusso commerciale di armi nel mondo quello che anima il videomessaggio di Papa Francesco per l’intenzione di preghiera del mese di giugno.

Immagini di bombe, spari, missili e distruzione scorrono durante il breve filmato - preparato dall'agenzia La Machi e diffuso sul web in sette lingue dalla rete di Apostolato di Preghiera - mentre due leader firmano un accordo milionario per la compravendita di armi. Le loro mani, strette in segno di intesa, iniziano ad un certo punto a grondare sangue sulla stessa penna con la quale è stato firmato il contratto. Intanto si sente la voce del Papa in sottofondo che afferma: «È un'assurda contraddizione parlare di pace, negoziare la pace e, allo stesso tempo, promuovere o consentire il commercio di armi».

Il Pontefice chiede quindi di pregare «insieme per i responsabili delle nazioni, perché si impegnino con decisione per porre fine al commercio delle armi, che causa tante vittime innocenti».

Un simile appello Bergoglio lo aveva lanciato durante il monumentale discorso alla Conferenza mondiale della Pace nella Università sunnita di Al-Azhar, nell'ambito del viaggio del 28 e 29 aprile in Egitto. «È necessario - aveva detto il Papa in quella occasione - arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra se ne possono prevenire le cause reali. A questo impegno urgente e gravoso - aggiungeva Francesco - sono tenuti i responsabili delle nazioni, delle istituzioni e dell’informazione, come noi responsabili di civiltà, convocati da Dio, dalla storia e dall’avvenire ad avviare, ciascuno nel proprio campo, processi di pace, non sottraendosi dal gettare solide basi di alleanza tra i popoli e gli Stati».
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » lun giu 05, 2017 8:31 am

La Chiesa “laburista” e sindacale di Papa Francesco
2017/06/02

http://www.huffingtonpost.it/2017/06/02 ... a_22122846

Dai valori non negoziabili al negoziato sul lavoro: poiché in fabbrica, non nelle aule parlamentari, si decide il destino della libertà. E della democrazia del XXI secolo. Tesi copernicana che il Cardinale Bergoglio anticipò lungo le rive del Rio de la Plata e alla presenza di chi scrive, in un celebre discorso del 2003, rovesciando i presupposti delle scienze costituzionali, sulla soglia del Terzo Millennio e a una decade dall'ascesa sul soglio di Pietro.

Si deve partire da lì, da quell'imprinting argentino, per comprendere la rivoluzione culturale che ha investito e reinventato la CEI, operando una rapida, imprevista metamorfosi. E rendendola un player imprevedibile, incomodo della prossima campagna elettorale, nel segno prioritario delle politiche occupazionali.

Da "minoranza creativa" e task force di truppe scelte, che presidiano i temi etici, a esercito di popolo che sui temi sociali riscopre la propria vocazione maggioritaria e passa il Rubicone del moderatismo, muovendo alla conquista dell'Italia: di quei settori, sempre più ampi e variegati, che non si sentono rappresentati o garantiti dalle istituzioni.

"Faremo politica con la P maiuscola", dove la minuscola sta di converso per "partiti". Così, senza perifrasi, ha esordito il nuovo capo dei vescovi, Gualtiero Bassetti, toscano del Mugello trapiantato in Umbria. Un proposito che al di là della personale mitezza e della stessa consapevolezza del porporato, sottende in nuce un progetto egemonico.

Dalle ingerenze legislative su testamento biologico e fecondazione eterologa, che suscitano reazioni contrastanti e spaccano il paese in due, alle vertenze lavorative, che al contrario lo uniscono intorno alla Chiesa e si traducono in consenso crescente, sino trasformare l'udienza del Mercoledì e la finestra dell'Angelus in una tribuna sindacale, in cui trovano accoglienza e risonanza i drappelli e gli appelli della base in lotta: "Questo è il nocciolo del problema. Perché quando non si lavora, o si lavora male, è la democrazia che entra in crisi, è tutto il patto sociale".

Nessuna Leopolda, nessun Primo Maggio riscuote un entusiasmo analogo a quello registrato da Francesco sui campi più difficili, dalla piana calabrese di Sibari al capannone genovese dell'Ilva. C'era una volta la CEI di Camillo Ruini, ago di bilancia della Seconda Repubblica, tra Berlusconi e Prodi. E c'è adesso la CEI di Bassetti e Galantino, spina nel fianco della Terza e dei suoi tanti, aitanti, aspiranti leader.

La Chiesa "laburista" prende forma e modifica, radicalmente ancorché gradualmente, programmi e organigrammi, pedigree e identikit dell'episcopato, allevando una generazione di vescovi "sindacalisti". A cominciare dal neopresidente, che dieci anni orsono alla guida della diocesi di Arezzo, in piena stagione ratzingeriana, si recò alla Buitoni di Sansepolcro per difendere dalla speculazione uno storico marchio nazionale.

Bergoglio ha individuato nel lavoro e nell'Italia la piattaforma ideologica e geografica per riguadagnare lo spazio perduto ad Occidente. Smantellamento del welfare ed erosione dei valori cristiani, nell'orizzonte del suo pensiero, si accompagnano. E rappresentano segni della medesima crisi. Ne consegue che la "nuova evangelizzazione" sarà sociale o non sarà.

La penisola, con il suo tessuto di aziende medio - piccole, dove ancora sopravvive la figura dell'imprenditore dal volto umano, che conosce i dipendenti ad uno ad uno, sull'esempio del buon pastore della parabola, costituisce il terreno di coltura, e cultura, per far crescere modelli alternativi e sperimentare da vicino, nell'orto casalingo, la dottrina sociale.

Nasce così una enciclica itinerante, che Francesco ha "pubblicato" a tappe, in quattro anni di viaggi dal Nord al Sud, integrando e aggiornando, riposizionando e a tratti rivoluzionando il magistero.

C'è un primo tomo "macroeconomico", che si esplica nel confronto con le platee internazionali, dall'ONU a Strasburgo, da Bangui ad al-Azhar, trovando compimento, e completamento, il 5 novembre 2016 nell'Aula Paolo VI, davanti a migliaia di campesinos e abitanti degli slum, quando Bergoglio addita nella finanziarizzazione dell'economia e nell'idolatria globalizzata del denaro il nemico elettivo, effettivo della Chiesa. Presente da sempre. Mai tuttavia tanto imponente e prevaricante: "La Chiesa e i profeti dicono, da millenni, quello che tanto scandalizza che lo ripeta il Papa in questo tempo in cui tutto ciò raggiunge espressioni inedite. Tutta la dottrina sociale della Chiesa e il magistero dei miei predecessori si ribella contro l'idolo denaro che regna invece di servire, tiranneggia e terrorizza l'umanità".

La finanza dunque: da moltiplicatore del bene a moltiplicatore del male. Sembrano passati non sette anni ma biblicamente settanta volte sette rispetto all'ottimismo illuminista di Caritas in Veritate, il testo in cui Benedetto XVI nel 2009 la definì "amore intelligente", mettendone in evidenza le virtù esponenziali.

Prospettiva che in Bergoglio, già nella menzionata lectio australe del 2003, appare agli antipodi non solo geograficamente ma cromaticamente, tingendosi di pessimismo cosmico e dipingendo il mutamento di paradigma del mondo moderno, dove "il potere si stava trasformando in qualcosa di anonimo. Da qui si sviluppano, come da una radice, tutti i pericoli e le ingiustizie che subiamo attualmente". Insomma una trasposizione postindustriale del racconto evangelico dell'indemoniato di Gerasa, il quale sollecitato a declinare il proprio nome rispose a Gesù: "Legione, perché siamo in molti".

C'è poi un secondo tomo "microeconomico", italiano e mattutino, elaborato in piazza o in fabbrica, in mezzo agli operai e ai disoccupati, ai precari e agli esodati, ossia le vittime della globalizzazione selvaggia.

In principio fu Cagliari, da cui salparono i marinai che avrebbero "battezzato" Buenos Aires in omaggio alla Madonna di Bonaria e dove Bergoglio sbarcò a sei mesi dal conclave, il 22 settembre 2013, avviando la consuetudine d'incontrare in primis i lavoratori e riservando loro l'ouverture delle sue visite: a significare che il lavoro è la chiave d'ingresso delle città e della civiltà. Per arrivare infine a Genova, da cui partì suo padre ed è approdato oggi lui, compiutamente, con un discorso che possiede il piglio sintetico e sistematico, l'impegno innovatore, rifondatore di una enciclica.

L'Italia torna così ad occupare un ruolo capitale, di cattedrale, quanto meno cantiere di un nuovo pensiero economico. In esso il Papa, come Cristo nel tempio di Gerusalemme, ribalta luoghi comuni e banchi dei cambiavalute, che spacciano per virtuosi concetti vischiosi: dalla "competizione all'interno dell'impresa", che logora lo spirito di gruppo e di appartenenza, fino alla "meritocrazia", che funge da "legittimazione morale della disuguaglianza".

In ulteriore ambito e su diverso piano, più vasto e profondo, antropologico e teologico, Francesco articola invece la critica del reddito di cittadinanza, ritenendo che tendenzialmente stabilizzi, e cronicizzi, la rassegnazione "ad un mondo dove solo metà o forse due terzi dei lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale". Riportando le forze politiche all'assunto che "l'obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti! Perché senza lavoro, senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti".

Se all'Italia nel disegno di Giovanni Paolo II, enunciato nell'Epifania del '94 e rilanciato da Benedetto XVI al convegno di Verona del 2006, spettava liricamente il compito, dopo due millenni, "di difendere per tutta l'Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo", nella vision di Bergoglio le compete invece più prosaicamente di custodire il Welfare: frutto di due secoli d'incontro-scontro, duro ma proficuo, tra solidarismo cristiano e socialismo ateo.

L'enciclica "sindacale" di Francesco cambia direttore d'orchestra rispetto all'impostazione, e intonazione, positiva del Papa polacco, che all'indomani della caduta del muro di Berlino e a un secolo dalla Rerum Novarum riconciliava sullo spartito di Centesimus Annus la Chiesa e il mercato. E riconosceva nel profitto un indicatore etico, anche se non unico.

Nel discernimento del magistero wojtyliano, riletto e interpretato da Bergoglio, l'accento si sposta piuttosto sul salario, che diventa "il punto fondamentale per verificare la giustizia o l'ingiustizia di tutto il sistema socio-economico, giacché è ciò che rende reale il principio dell'uso comune dei beni".

Dalla finestra del suo buen retiro, ai piani alti del vecchio seminario prospiciente il Colle Vaticano, Camillo Ruini osserva il tramonto di un'epoca , di cui fu grande, incontrastato stratega, per tre lustri al comando della CEI. E vede uscire di scena, uno dopo l'altro, i vescovi da lui prescelti e interpreti della sua linea, gramscianamente incentrata sul rapporto preferenziale con l'intellighenzia. Un edificio che dominò il paesaggio con le insegne del "progetto culturale" ma ora retrocede sullo sfondo, nello skyline di un Papa che preferisce notoriamente i "luoghi della vita". Le fabbriche, appunto, e le periferie.

Da una Chiesa della Domenica, che propugna precetti, a quella del Lunedì, che tutela i contratti e ne reclama l'osservanza: "Chi toglie lavoro fa un peccato gravissimo".

Il Papa della misericordia sfodera un lessico da Sillabo in economia e non pratica sconti, scagliando anatemi ed elencando gli errori, fatali, pronti a degenerare in orrori. Un manuale giuridico - evangelico che in definitiva pone il lavoro non solo a fondamento dello stato, conforme al dettato costituzionale, ma della Chiesa medesima. Una "priorità umana e cristiana" in assenza della quale non si prospetta né si consolida la comunità degli uomini. E di conseguenza diviene impossibile scalare il gradino, successivo, della comunione con Dio, partecipando all'opera della sua creazione.




L'appello di Bergoglio: i responsabili delle nazioni pongano fine al commercio di armi
Videomessaggio del Papa per l’intenzione di preghiera per il mese di giugno: «Queste guerre sono forse guerre commerciali per arricchire i mercanti di morte?»
2017/06/02
GIACOMO GALEAZZI

http://www.lastampa.it/2017/06/02/vatic ... agina.html

«Questa guerra lì, quest'altra guerra là, sono davvero guerre nate per risolvere problemi oppure sono guerre commerciali per vendere queste armi illegalmente, affinché i mercanti di morte ne escano arricchiti? Risolviamo questa situazione». È un appello a fermare definitivamente il flusso commerciale di armi nel mondo quello che anima il videomessaggio di Papa Francesco per l’intenzione di preghiera del mese di giugno.

Immagini di bombe, spari, missili e distruzione scorrono durante il breve filmato - preparato dall'agenzia La Machi e diffuso sul web in sette lingue dalla rete di Apostolato di Preghiera - mentre due leader firmano un accordo milionario per la compravendita di armi. Le loro mani, strette in segno di intesa, iniziano ad un certo punto a grondare sangue sulla stessa penna con la quale è stato firmato il contratto. Intanto si sente la voce del Papa in sottofondo che afferma: «È un'assurda contraddizione parlare di pace, negoziare la pace e, allo stesso tempo, promuovere o consentire il commercio di armi».

Il Pontefice chiede quindi di pregare «insieme per i responsabili delle nazioni, perché si impegnino con decisione per porre fine al commercio delle armi, che causa tante vittime innocenti».

Un simile appello Bergoglio lo aveva lanciato durante il monumentale discorso alla Conferenza mondiale della Pace nella Università sunnita di Al-Azhar, nell'ambito del viaggio del 28 e 29 aprile in Egitto. «È necessario - aveva detto il Papa in quella occasione - arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra se ne possono prevenire le cause reali. A questo impegno urgente e gravoso - aggiungeva Francesco - sono tenuti i responsabili delle nazioni, delle istituzioni e dell’informazione, come noi responsabili di civiltà, convocati da Dio, dalla storia e dall’avvenire ad avviare, ciascuno nel proprio campo, processi di pace, non sottraendosi dal gettare solide basi di alleanza tra i popoli e gli Stati».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » dom ott 29, 2017 11:41 am

Bergoglio: “L’islam non è violenza. I cattolici battezzati sono violenti”
sabato, 28, ottobre, 2017

http://www.imolaoggi.it/2017/10/28/berg ... o-violenti

Bergoglio: “Non è giusto identificare l’islam con la violenza. Se parlo di violenza islamica, devo parlare di violenza cattolica”. Bergoglio dovrebbe dirci quando mai, per esempio i cattolici hanno asfaltato pedoni innocenti…”


Il principe ereditario dell'Arabia Saudita vuole tornare a un Islam moderato
«Torneremo a essere ciò che eravamo prima», ha detto Mohammed bin Salman, che sta portando avanti grandi riforme sociali ed economiche
24 ottobre, 2017

http://www.ilpost.it/2017/10/25/arabia- ... m-moderato


Ieri è iniziato a Riyad il Future investment initiative, un incontro organizzato dal Fondo di investimento pubblico saudita sponsorizzato da re Salman. Nel primo giorno di lavori è intervenuto Mohammed bin Salman (MbS, come viene chiamato), principe ereditario e da tempo uno dei politici più potenti del regno saudita. MbS ha annunciato un investimento da 500 miliardi di dollari per la costruzione di una nuova città (“Neom”) al confine tra Arabia Saudita, Egitto e Giordania, un progetto incredibilmente ambizioso. Nel raccontare come sarà fatta Neom, MbS ha parlato della necessità dell’Arabia Saudita di tornare a un Islam moderato e aperto:

«Torneremo a essere ciò che eravamo prima, a un Islam tollerante e moderato, che sia aperto al mondo e a tutte le religioni e alle tradizioni dei suoi popoli. (…) Non sprecheremo i prossimi 30 anni della nostra vita avendo a che fare con idee estremiste. Le aboliremo oggi, immediatamente. Vogliamo vivere una vita normale, una vita che rifletta la nostra religione tollerante e le nostre buone abitudini e tradizioni in modo da convivere con il mondo e contribuire allo sviluppo della nostra nazione e del mondo».

Le parole di MbS sono state considerate molto importanti, anche se non del tutto inaspettate. Negli ultimi mesi il regno saudita ha dimostrato di voler portare avanti delle riforme piuttosto significative, come per esempio l’introduzione di nuove forme di divertimento prima proibite, come i concerti, e l’abolizione del divieto per le donne di guidare. Il piano di riforme a cui fanno riferimento tutti questi cambiamenti fu presentato nell’aprile 2016 e si chiama “Vision 2030”: il suo obiettivo primario è quello di rendere l’Arabia Saudita indipendente dall’andamento dei mercati petroliferi entro il 2030.

Per arrivare a questi obiettivi sembrano però essere necessari dei cambiamenti radicali soprattutto nella storica alleanza tra la famiglia reale e i religiosi waahabiti, che sono da sempre alleati con la famiglia reale e che portano avanti una forma molto rigida di Islam sunnita. Finora la famiglia reale saudita è sempre dipesa dall’establishment waahabita per la sua legittimità politica; in cambio ai religiosi è stato dato il controllo di alcuni settori chiave del paese, come l’istruzione, il sistema giudiziario e anche la segregazione delle donne. MbS probabilmente cercherà di scardinare questa struttura di potere, provando a ridurre il ruolo dei religiosi nella società saudita.

Qualcosa forse si è già mosso e le ultime parole del principe sono considerate una svolta. Mohammed Alyahya, analista politico intervistato dal Wall Street Journal, ha detto che le dichiarazioni del principe sulla necessità di far tornare il paese a quello che era prima del 1979, cioè a prima della diffusione delle idee del cosiddetto «risveglio islamico», è senza precedenti.



ARABIA SAUDITA Il principe ereditario annuncia di voler ritornare a un islam tollerante e più aperto al mondo
25/10/2017

http://www.asianews.it/notizie-it/Il-pr ... 42153.html

Mohammed bin Salman esprime la volontà di garantire per il Paese una vita normale, in cui la religione significa tolleranza e gentilezza. Il progetto di Neom, una città con energie alternative e fuori del controllo degli ultra-conservatori religiosi. Per alcuni vi sono segni di cambiamenti profondi; per altri vi è solo appetito economico.

Riyadh (Asia News/Agenzie) – "Vogliamo vivere una vita normale. Una vita in cui la nostra religione si traduce nella tolleranza." Il potente principe saudita Mohammed bin Salman si impegna a rendere il suo Paese "moderato e aperto". Egli è andato ieri dritto all'obiettivo che si propone all'apertura del Future Investment Initiative, una conferenza economica di tre giorni che ha riunito a Riyadh circa 2.500 dignitari, tra cui 2mila investitori stranieri. Salman ha affermato il desiderio di volere un Paese “nuovo”, rompendo con gli ultra-conservatori, almeno dal punto di vista religioso. A tal riguardo, vuole creare una città da 500 miliardi di dollari, soprannominata Neom, con regolamento separato, lungo la costa del Mar Rosso.

Negli anni settanta, l'Arabia saudita ha subito grandi riforme, nonostante la resistenza di cerchi religiosi conservatori, come l'apertura dell'istruzione alle ragazze e l'introduzione della televisione. Ma l'assassinio di re Faisal nel 1975 ha rallentato questo movimento in un Paese costruito su un'alleanza tra l'ala religiosa, rappresentata dalla famiglia al-Sheikh, che regola lo spazio sociale, e il potere politico rappresentato dalla famiglia al Saud, che fondò il regno attuale nel 1932.

Dalla sua nomina a giugno come principe, Mohammed bin Salman ha cercato di allentare le catene degli ambienti religiosi sulla società. È visto come l'ispirazione dell’abolizione del divieto di guida per le donne. Ma allo stesso tempo ha arrestato più di 20 persone, tra cui due predicatori religiosi influenti, evidenziando in tal modo il suo "autoritarismo", secondo esperti e ong.

Grazie a bin Salman, l'Arabia saudita comincia ad aprirsi alle arti, alla musica e le donne sono state ammesse per la prima volta a partecipare alle celebrazioni della Giornata Nazionale in uno stadio a Riyadh nel mese di settembre. I sauditi ora aspettano cinema e divertimenti, proibiti da cerchi conservatori.

Osservatori si domandano quanto la scelta del principe sia di vera apertura e tolleranza o dettata da appetito economico.

Da tre anni il regno è costretto ad attirare capitali stranieri, dopo che i prezzi globali del greggio sono diminuiti di oltre il 50%.

Il nuovo progetto Neom vede una città interamente dedicata all'energia alternativa e servirà anche come hub di innovazione. L'industria del cinema sarà un fiore all’occhiello della nuova realtà. Esso funzionerà secondo regolamenti separati da quelli che governano il resto dell'Arabia saudita. "Questo posto non è per le persone convenzionali o le imprese convenzionali", ha dichiarato il principe. "Questo sarà un posto per i sognatori del mondo".

I commenti alla mossa di Mohammed bin Salman sono vari. C'è chi dice che in tal modo egli "invia un messaggio non solo ai sauditi ma anche al mondo: il regno è pronto per il cambiamento". Ma vi è anche che fa notare che questi sviluppi confermano l'immagine del principe come uomo forte dall'Arabia Saudita. Nominato capo della difesa del regno nel gennaio del 2015, egli conduce le operazioni contro le milizie Houthi in Yemen (sostenute dall'Iran) e collocano il suo Paese a capo di una coalizione di 34 Paesi arabi. Allo stesso tempo, il principe ha impegnato l'Arabia saudita in Siria, accanto alla Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, contro il gruppo degli Stati islamici. Ora egli vuole cessare le operazioni in Siria per concentrarsi sul conflitto in Yemen.




Se ora l'Arabia Saudita ammette di esser finita in mano a una setta
Matteo Carnieletto

http://www.occhidellaguerra.it/ora-lara ... mano-setta

“In Arabia Saudita torna l’islam moderato”. Lo ha annunciato il principe della Corona, Muhammad bin Salman. Prima riflessione: se adesso a casa Saud torna l’islam moderato, allora significa che fino a ieri non c’era. E questo è noto a tutti, dato che, come abbiamo scritto più volte, Riad sta in piedi grazie al wahabismo una versione radicale dell’islam. Ora il principe vorrebbe tornare indietro: “Torniamo – ha aggiunto il principe ereditario – a ciò che eravamo prima, una nazione il cui islam moderato è aperto a tutte le religioni e al mondo. Non trascorreremo i prossimi 30 anni della nostra vita avendo a che fare con idee di distruzione. Invece, le schiacceremo. Metteremo fine all’estremismo molto presto”. Parole belle, bellissime, anzi. Ma dobbiamo davvero aspettarci un cambiamento simile?

Cos’è il wahabismo

Inizia tutto a metà del Settecento, quando Muhammad Ibn abd al Wahhab inizia un movimento di riforma, per tornare agli albori dell’islam attraverso la centralità della sovranità di Dio e, sopratutto, una lettura molto rigorosa dei Testi Sacri, Sunna e Corano in particolare.

L’approccio di Ibn Wahhab è radicale in tutto. Le tombe e i mausolei dei santi devono essere distrutte, e il pellegrinaggio verso di esse deve essere vietato. Le pene corporali (hudud) devono essere integralmente recuperate e rigidamente applicate. Nel tentativo di riformare l’Islam, Ibn Wahhab si oppone – paradossalmente, in un certo senso – a qualunque forma di innovazione (bid’a) nell’Islam, avvertendo i musulmani sulla necessità di tornare agli insegnamenti e alle pratiche dei “salaf“, i pii antenati, cioè i primi quattro califfi successori di Muhammad, accompagnandovi il rifiuto di storicizzarli. Non c’è male, vero?

Il wahabismo si propone di trasformare i precetti religiosi in obblighi, se possibile sanciti per legge e vieta di radersi la barba, fumare tabacco, venerare santi e profeti.

Ma è solo grazie all’Arabia Saudita che il verbo di Muhammad Ibn abd al Wahhab trova casa. A partire dagli anni ’70, con il sostegno degli introiti del petrolio, le fondazioni caritatevoli saudite iniziano a finanziare sistematicamente madrasse wahabite in giro per il mondo. Negli ultimi anni – e questi sono i numeri del Dipartimento di Stato – Riad avrebbe investito più di 10 miliardi di dollari nel finanziamento di fondazioni di questo genere, nel tentativo di rimpiazzare l’islam sunnita ortodosso con il rigido wahhabismo.

Secondo le agenzie di intelligence europee, inoltre, circa il 20% di questi finanziamenti sarebbero finiti nelle casse dei movimenti jihadisti come al Qaeda. Oggi il wahhabismo è il riferimento ideologico non solo della casata reale degli Al Saud, ma anche di tutti i movimenti jihadisti del globo.

Cosa aspettarci dai sauditi?

Assolutamente nulla. Tutto rimarrà come prima. Le donne potranno guidare, è vero. Ma poi? Casa Saud manderà al macero anni di finanziamenti più o meno leciti ai jihadisti? No. E il motivo è semplice: Riad sta in piedi grazie all’ideologia wahabita. Se questa crolla, crolla anche il regno. E Muhammad bin Salman non può permetterselo.


Il maomettismo e i maomettani o l''Islam e gli islamici sono una minaccia, una offesa, un'ingiuria, un pericolo per l'umanità intera
viewtopic.php?f=188&t=2667

Alberto Pento
Forse Cristo era violento come Maometto, forse Cristo ha assassinato come Maometto, forse i cristiani uccidono i non cristiani in nome di Cristo come fanno i Maomettani in nome di Allah l'idolo di Maometto?
Menzogne su menzogne: non vi può essere alcun ritorno ... poiché è mai esistito un Islam moderato, l'esempio è Maometto che moderato non era per nulla, la sua vita e tutta la storia islamica erano e sono stati violenti, fanatici, assassini e imperialisti.




La demenza irresponsabile di Bergoglio, dei suoi vescovi e dei falsi buoni che fanno del male e che non rispettano i nostri diritti umani
viewtopic.php?f=132&t=2591
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » dom ott 29, 2017 11:41 am

Trump: «A difendere i cristiani ci penso io, l'Onu fa solo chiacchiere»
di Gabriele Alberti
sabato 28 ottobre 2017
http://www.secoloditalia.it/2017/10/tru ... ampaign=nl

Trump avocherà direttamente alla Casa Bianca la difesa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente. Le Nazioni Unite non fanno abbastanza bene, hanno speso molti soldi ma inutilmente. Una decisione che fa clamore, anche se i rapporti tra Onu e Trump sono sempre stati controversi fina dall’inizio del suo mandato presidenziale. Per questo non ha sorpreso che Mike Pence abbia annunciato che il presidente Trump ha dato ordine al Dipartimento di Stato di interrompere i finanziamenti per i programmi “inefficaci” delle Nazioni Unite per aiutare i cristiani perseguitati in Medio Oriente. La posizione dell’amministrazione americana sarà da ora in poi quella di fornire sostegno alle associazioni che si occupano di questa causa. “Da oggi in poi, l’America fornirà un sostegno diretto alle comunità perseguitate attraverso UsAid”, ha dichiarato Pence a Washington, durante l’annuale cena di solidarietà di In Defense of Christians.


“Cristiani, l’America vi difenderà”

Perché questa presa di posizione così netta? Perché a fronte dell’aggravarsi delle persecuzioni contro le comunità cristiane da parte delle milizie dell’Isis in tutto il Medio Oriente, Pence – riporta il Washington Post, ha detto che la “triste realtà” è che l’Onu, nonostante le ingenti somme spese, non riesce ad aiutare abbastanza i cristiani perseguitati. “Mentre i gruppi basati sulla fede con capacità consolidate e con radici profonde in queste comunità sono più che disposte ad assistere, le Nazioni Unite troppo spesso rispondono negativamente alle loro richieste di finanziamento”, ha dichiarato Mr. Pence, che ha concluso con un messaggio rivolto a tutte le associazioni in difesa dei cristiani: “Ma miei cari amici, quei giorni sono finiti. Questo è il momento. Ora è il momento. E l’America sosterrà queste persone nell’ora di bisogno “. Basta regole diplomatiche, più decisionista e operatività.


Trump, la discontinuità con Obama

Un messaggio non irrilevante da parte di Trump sia per la politica estera che interna: da un lato le comunità cristiane, soprattutto in Siria e in Iraq, “rappresentano soprattutto delle forze storicamente legata ai regimi laici di Damasco e Baghdad rispetto agli alleati islamisti della coalizione internazionale. Riuscire a connettere le minoranze cristiane con gli Stati Uniti sarebbe importante, per l’amministrazione americana, per ottenere una testa di ponte nelle comunità locali dopo che la Russia si è dimostrata la potenza “cristiana” più impegnata nella tutela dei fratelli perseguitato dal Daesh”, leggiamo nell’analisi del Giornale. Sul fonte interno, la discontinuità con l’amministrazione Obama, che utilizzava l’Onu come strumento di sostegno a quelle comunità, è evidente. Rafforzare, infine, i rapporti con il cristianesimo americano, quello dell’America profonda, significa rinsaldare un cordone ombelicale necessario dal punto di vista elettorale. L’immagine di Trump ne esce rafforzata.
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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » gio dic 13, 2018 8:47 pm

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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » gio dic 13, 2018 8:48 pm

Trump firma una legge in difesa dei cristiani perseguitati
Giuseppe Aloisi - Gio, 13/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tru ... 16070.html

Donald Trump ha firmato una legge che obbliga gli Stati Uniti a difendere i cristiani perseguitati e a combattere le violenze dei fondamentalisti

Il governo degli Stati Uniti, per stretto volere di Donald Trump, ha voluto sottoscrivere un obbligo legislativo: tutelare i cristiani perseguitati dai fondamentalisti islamici.

Gli scenari coperti sono, almeno fino a questo momento, quelli della Siria e dell'Iraq. La legge firmata dal tycoon estende l'impegno a una concreta lotta da portare avanti contro chi usa prendere di mira tanto la minoranza cristiana quanto quella degli yazidi.

L'atto, nello specifico, è intitolato "Iraq and Syria Genocide Relief and Accountability Act (HR390)" e definisce "genocidio" quello subito dalle popolazioni citate. Donald Trump, insomma, continua a promulgare leggi in linea con i desiderata dei conservatori, che non disdegnano mai di plaudire al presidente. Va detto, tuttavia, che il provvedimento in questione è stato approvato attraverso un consenso unanime dei due rami parlamentari.

Prima The Donald ha promosso tutta una serie di leggi pro life. Adesso l'attenzione sembra essere stata spostata sulle violenze che chi confessa la fede cristiana è costretto a subire. Commenti positivi sono arrivati pure dal mondo ecclesiastico. La principale novità adottata, come spiegato da Vatican Insider, riguarda le fonti da cui potrà provenire ausilio concreto: "Non ci affideremo più solo alle Nazioni Unite per aiutare i cristiani perseguitati e le minoranze - aveva detto il vicepresidente Mike Pence, annunciando che gli Stati Uniti avrebbero preso misure autonome in materia di aiuti - ". Da un punto di vista giuridico, vale la pena sottolineare l'equiparazione tra i "crimini" e il "genocidio" cui andranno incontro i responsabili dei comportamenti contestati.

Alla cerimonia organizzata per la firma hanno partecipato pure Carl Anderson, che è il vertice dei Cavalieri di Colombo, e l'ambasciatrice degli Stati Uniti in Vaticano. Ma qual è la posizione della Santa Sede? I palazzi vaticani appoggeranno la mossa del tycoon? La Sir ha messo in evidenza come il cardinal Sako, che è divenuto porporato attraverso l'ultimo Concistoro, abbia domandato di non dimenticare le atrocità messe in atto contro i musulmani e le persone appartenenti ad altre confessioni.



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Re: Donald Trump o Francesco Bergoglio ?

Messaggioda Berto » ven ago 14, 2020 6:16 pm

Mentre Bergoglio sta con i nazimaomettani detti impropriamente palestinesi e contro gli ebrei e il loro Israele, Trump amico vero degli ebrei e di Israele fa i fatti e promuove la pace.


PACE ISRAELE-EMIRATI, INTESA NOMINATA "'ACCORDO DI ABRAMO".
IL TESTO INTEGRALE
14 agosto 2020

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 2254018781

Passerà alla storia con il nome di 'Accordo di Abramo' l'intesa annunciata nelle scorse ore che getta le basi per una normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati. Lo riportano i media israeliani, ricordando come lo Stato ebraico abbia firmato finora accordi di pace solo con altri due Paesi arabi, l'Egitto nel 1979 e la Giordania nel 1994. Gli Emirati, come la maggior parte dei Paesi arabi, non riconosceva Israele e non aveva relazioni diplomatiche ed economiche ufficiali, almeno fino ad oggi.

Questo il testo integrale dell’accordo sottoscritto tra le parti:

"Il presidente americano, Donald J. Trump, il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, e Sua Altezza lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti, hanno avuto un colloqui oggi e hanno concordato la piena normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti. Questa storica svolta diplomatica farà avanzare la pace nella regione del Medio Oriente ed è una testimonianza dell'audace diplomazia e visione dei tre leader e del coraggio degli Emirati Arabi Uniti e di Israele nel tracciare un nuovo percorso che sbloccherà il grande potenziale nella regione. Tutti e tre i Paesi affrontano molte sfide comuni e trarranno vantaggio reciprocamente dal risultato storico di oggi. Le delegazioni di Israele e degli Emirati Arabi Uniti si incontreranno nelle prossime settimane per firmare accordi bilaterali in materia di investimenti, turismo, voli diretti, sicurezza, telecomunicazioni, tecnologia, energia, sanità, cultura, ambiente, istituzione di ambasciate reciproche e altre aree di reciproco vantaggio.
L'apertura di legami diretti tra due delle società piu' dinamiche del Medio Oriente e le economie avanzate trasformera' la regione stimolando la crescita economica, migliorando l'innovazione tecnologica e creando relazioni più strette tra le persone. Come risultato di questa svolta diplomatica e su richiesta del presidente Trump con il sostegno degli Emirati Arabi Uniti, Israele sospendera' la dichiarazione di sovranita' sulle aree delineate nella Vision for Peace del presidente e concentrera' i suoi sforzi sull'espansione dei legami con altri paesi nel Mondo arabo e musulmano. Gli Stati Uniti, Israele e gli Emirati Arabi Uniti sono fiduciosi che siano possibili ulteriori scoperte diplomatiche con altre nazioni e lavoreranno insieme per raggiungere questo obiettivo. Gli Emirati Arabi Uniti e Israele si espanderanno e accelereranno immediatamente la cooperazione per quanto riguarda il trattamento e lo sviluppo di un vaccino per il coronavirus. Lavorando insieme, questi sforzi aiuteranno a salvare vite musulmane, ebraiche e cristiane in tutta la regione. Questa normalizzazione delle relazioni e la diplomazia pacifica riuniranno due dei partner regionali più affidabili e capaci d'America. Israele e gli Emirati Arabi Uniti si uniranno agli Stati Uniti per avviare un'agenda strategica per il Medio Oriente per espandere la cooperazione diplomatica, commerciale e di sicurezza. Insieme agli Stati Uniti, Israele e gli Emirati Arabi Uniti condividono una visione simile per quanto riguarda le minacce e le opportunità nella regione, nonche' un impegno condiviso a promuovere la stabilità attraverso l'impegno diplomatico, una maggiore integrazione economica e un piu' stretto coordinamento della sicurezza.
L'accordo di oggi porterà vita migliore per i popoli degli Emirati Arabi Uniti, Israele e della regione. Gli Stati Uniti e Israele ricordano con gratitudine la presenza degli Emirati Arabi Uniti al ricevimento della Casa Bianca tenutosi il 28 gennaio 2020, in cui il presidente Trump ha presentato la sua Vision for Peace, ed esprimono il loro apprezzamento per le relative dichiarazioni di sostegno degli Emirati Arabi Uniti.
Le parti continueranno i loro sforzi a questo riguardo per raggiungere una soluzione giusta, globale e duratura al conflitto israelo-palestinese. Come stabilito nella Vision for Peace, tutti i musulmani che vengono in pace possono visitare e pregare alla moschea di Al Aqsa, e gli altri luoghi santi di Gerusalemme rimarranno aperti per i fedeli pacifici di tutte le religioni.
Il primo ministro Netanyahu e il principe ereditario Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan esprimono il loro profondo apprezzamento al presidente Trump per la sua dedizione alla pace nella regione e per l'approccio pragmatico e unico che ha adottato per raggiungerla".


Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui e non opprimono nessuno
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali antisemiti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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