Trump Donald

Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven nov 11, 2016 9:22 pm

Papa Francesco: "Donald Trump? Non lo giudico"
Il Pontefice su Trump: "Io non do giudizi sulle persone e sugli uomini politici". Poi aggiunge: "Interessa il suo comportamento con i poveri"
Luca Romano - Ven, 11/11/2016
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 30464.html

"Io non do giudizi sulle persone e sugli uomini politici, voglio solo capire quali sono le sofferenze che il loro modo di procedere causa ai poveri e agli esclusi".

Lo afferma Papa Bergoglio in un colloquio con Eugenio Scalfari su La Repubblica, riferendosi al neo eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il Pontefice è tornato a parlare dell'immigrazione: "La preoccupazione principale è quella dei profughi e degli immigranti. In piccola parte cristiani ma questo non cambia la situazione per quanto ci riguarda, la loro sofferenza e il loro disagio; le cause sono molte e noi facciamo il possibile per farle rimuovere. Purtroppo molte volte sono soltanto provvedimenti avversati dalle popolazioni che temono di vedersi sottrarre il lavoro e ridurre i salari. Il denaro è contro i poveri oltrechè contro gli immigrati e i rifugiati, ma ci sono anche i poveri dei Paesi ricchi i quali temono l’accoglienza dei loro simili provenienti da Paesi poveri. È un circolo perverso e deve essere interrotto. Dobbiamo abbattere i muri che dividono: tentare di accrescere il benessere e renderlo più diffuso, ma per raggiungere questo risultato dobbiamo abbattere quei muri e costruire ponti che consentono di far diminuire le diseguaglianze e accrescono la libertà e i diritti. Maggiori diritti e maggiore libertà".

"Quello che noi vogliamo è la lotta contro le diseguaglianze, questo è il male maggiore che esiste nel mondo. È il danaro che le crea ed è contro quei provvedimenti che tendono a livellare il benessere e favorire quindi l’eguaglianza". Quanto all’auspicio che il movimento dei popolari e soprattutto al fatto che il popolo dei poveri entri direttamente nella politica vera e propria, il Santo Padre spiega: "Sì, è così. Non nel cosiddetto politichese, le beghe per il potere, l’egoismo, la demagogia, il danaro, ma la politica alta, creativa, le grandi visioni. Quello che nell’opera sua scrisse Aristotele". E di fronte alla possibilità che questi movimenti sostengano una guerra, sia pure politica, senza armi e senza spargimento di sangue il Papa avverte: "Non ho mai pensato a guerra ed armi. Il sangue sì, può essere sparso, ma saranno eventualmente i cristiani ad essere martirizzati come sta avvenendo in quasi tutto il mondo ad opera dei fondamentalisti e terroristi dell’Isis i carnefici. Quelli sono orribili e i cristiani ne sono le vittime". "Non è questo tipo di conflitti che i movimenti popolari cristiani portano avanti. Noi cristiani siamo sempre stati martiri, eppure la nostra fede nel corso dei secoli ha conquistato gran parte del mondo. Certo ci sono state guerre sostenute dalla Chiesa contro altre religioni e ci sono state perfino guerre dentro la nostra religione. La più crudele fu la strage di San Bartolomeo e purtroppo molte altre analoghe. Ma avvenivano quando le varie religioni e la nostra, come e a volte più delle altre, anteponevano il potere temporale alla fede e alla misericordia".
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven nov 11, 2016 10:51 pm

???

Letta: "La più grande rottura dopo la caduta del Muro di Berlino"

Secondo l'ex premier italiano la vittoria di Donald Trump rappresenta una cesura storica di portata inedita dalla fine della Guerra Fredda
Ivan Francese - Gio, 10/11/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 30146.html

"La più grande rottura politica dalla caduta del Muro di Berlino": Enrico Letta, come si dice ironicamente in gergo, "la tocca piano".

Commentando su Twitter il risultato delle elezioni presidenziali americane, l'ex presidente del Consiglio descrive il trionfo di Donald Trump come "una grande sveglia per l'Europa".

"L'Europa deve darsi una grande sveglia, a questo punto è più sola -spiega Letta in un'intervista comparsa oggi su Avvenire - Abbiamo tutti una responsabilità in più. Dobbiamo sviluppare un'idea di maggior responsabilità, capace di farci rilanciare lo sviluppo dei nostri valori. E smetterla con le inconcludenze e i piccoli litigi di questa Ue, anche in materia di conti pubblici, per capire che dobbiamo trovare le ragioni per stare più uniti." "

Vedo due conseguenze, soprattutto: un'America più isolazionista e meno presente nel Mediterraneo, dove dunque le nostre responsabilità saliranno e una crescita dei fattori d'instabilità. E questo potrebbe portare più volatilità sui mercati, con il timore - che dovrebbe farci tremendamente paura - che i nostri tassi d'interesse tornino a essere quelli di prima del Quantitative easing di Draghi. Per noi, vedo più rischi che opportunità."

Letta imputa le responsabilità della sconfitta di Hillary Clinton all'incapacità, da parte dei democratici, di comprendere come l'ex Segretario di Stato fosse e sia tuttora percepita come uno dei massimi esponenti dell'establishment. "È diventata centrale la separazione in corso fra la classe politica e il corpo elettorale - chiosa ancora l'ex premier - Dopo Brexit, questa è un'altra vittoria sull'antipolitica. Trump ha chiesto il voto anche contro il ceto politico repubblicano. È incredibile: Hillary Clinton ha preso il 93% a Washington, Trump solo il 4%. Il distacco fra i luoghi del potere e quelli della gente è diventato un abisso. Questo deve interrogarci su come sarà la nuova era della politica. È impressionante l'errore dei democratici, il non aver capito che Hillary era percepita come un campione dell'establishment".

La valutazione sul nuovo presidente Usa, però, rimane severa: "Il suo successo è uno stop per la democrazia come l'abbiamo concepita finora, è un inno al politically incorrect, a tutto ciò che è fuori dei canoni di correttezza. Il giudizio su di lui non cambia ed è durissimo: ha illuso il popolo americano che si possano risolvere facilmente i motivi di frustrazione. Vedremo se le sue prime parole, più concilianti, saranno seguite da fatti."
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab nov 12, 2016 7:33 am

I razzisti chic che ora negano il diritto di voto
In America scendono in piazza contro Trump e in California c'è voglia di secessione. In Italia la sinistra vuole abolire il suffragio universale e insulta gli elettori bianchi
Salvatore Tramontano - Ven, 11/11/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 30314.html

Il voto non è più un diritto per tutti. Messa così sembra lo slogan di qualche gruppo reazionario che sogna di asfaltare le battaglie democratiche del Novecento.

Solo che questa volta i nemici del suffragio universale sono mascherati da progressisti, perlomeno è così che si definiscono.

Vivono nel cuore delle grandi metropoli, occupano le cattedre delle università, scrivono romanzi e saggi di un certo successo, sono ospiti fissi nei programmi di opinione in tv e si tengono stretti come feudi gli spazi in prima pagina di ciò che resta dei giornali. Sono ex capi di Stato e politici che straparlano in pubblico dei diritti delle minoranze. Sono chef, rockstar, integralisti vegani, donne impegnate in ogni festa per i diritti civili, banchieri illuminati, attori con il grugno preoccupato per le sorti della nazione. Questo vale negli Stati Uniti, in Europa e naturalmente anche in Italia. Certe cose fino a qualche tempo fa le buttavano lì, tra di loro, come provocazione: certa gente non dovrebbero farla votare. Come a dire che la democrazia sta diventando pericolosa e ci vorrebbe una patente di sana e robusta costituzione o almeno un esame di idoneità.

Adesso sono sbottati e si scagliano con rabbia e fastidio contro quello che marchiano come l'elettore tipico di Donald Trump, quello con cui Alessandro Baricco cerca di intavolare un dialogo, il famigerato proprietario di una ferramenta del Wyoming. Chi è questo sconosciuto? È bianco, è cristiano, è frustrato, deluso, di cultura populista e popolare, invidioso delle élite, malfidato, se è donna tutti stanno lì a precisare che non ha studiato e sotto sotto è masochista, visto che tradisce il suo genere votando il maschilista con il gatto rosso in testa. Sono insomma degli incivili. Ma soprattutto - come spiega il presidente emerito Napolitano su L'Unità - sono pericolosi. Sono gli stessi della Brexit, gli stessi che lo hanno costretto quando era al Quirinale a mettere in quarantena le elezioni. Fino a quando questa gente voterà è meglio che a scegliere chi governa sia un vecchio oligarca che si è appropriato di un potere extracostituzionale. Ecco allora i tre premier nominati senza passare dal voto.

Al suo coro si accoda ora proprio uno dei tre, quell'Enrico Letta che intervistato dalla Stampa canta il de profundis alla democrazia di tutti. Ezio Mauro su Repubblica si interroga sulla malattia del tempo, sui «forgotten men» che si lasciano incantare dal pifferaio Trump, una nuova schiatta, una nuova razza, il dio sconosciuto della democrazia a stelle e strisce. E il peccato originale di questi guastatori della cultura dominante è il loro essere fuori dai radar non solo del potere, ma anche del marketing, dei sondaggisti, di sociologi ed economisti. È un branco fuori dal branco. L'errore che gli oligarchici fanno è liquidarli con disprezzo senza neppure cercare di capire le ragioni del loro malcontento. Anche se molti di loro sono operai senza più fabbriche e classe media senza più futuro. Questo perché con la Brexit e con Trump è emersa la grande ipocrisia della sinistra occidentale: non sa capire il popolo perché è convinta che puzzi.

Sono passati cinquant'anni da quando Martin Luther King e il presidente Lyndon Johnson lottarono per eliminare gli ultimi ostacoli al suffragio universale. Era il 1966 e due sentenze della Corte suprema stabilirono che poteva votare anche chi non aveva un'istruzione minima. Era una battaglia per i neri e contro il razzismo. I finti democratici del 2016 stanno di fatto sostenendo che chi non ha la loro stessa cultura non dovrebbe votare. Non arrivano a cambiare le leggi ma stanno portando avanti una campagna diffamatoria contro i bianchi, cristiani, poco istruiti. È una delegittimazione a posteriori. È un marchio sulla pelle. È una forma ipocrita di razzismo. È la morte della democrazia.



Ora gli anti Trump invocano persino una "Primavera araba"
Mentre continuano le proteste contro il nuovo presidente Usa, islamici e Fratelli Musulmani chiedono una Primavera araba. E una giornalista evoca "un assassinio presidenziale"
Giovanni Giacalone - Sab, 12/11/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ora ... 30614.html

L’esito elettorale statunitense non va proprio giù all’”hummus” anti-Trump, a livello nazionale ma anche globale.

La Clinton e i suoi sostenitori apparivano sicuri della vittoria, probabilmente non avevano messo in conto una possibile sconfitta, come del resto non l’avevano fatto i sondaggisti, i media e gli “esperti” che davano Trump per spacciato.

Una doccia fredda inaspettata e una forte delusione che traspariva durante il discorso della Clinton davanti ai suoi elettori, anche perché la candidata democratica non ha soltanto perso, ma ha subito una pesante sconfitta, perdendo entrambe le camere, ora a maggioranza repubblicana. Ovviamente adesso c’è chi accusa il sistema dei Grandi Elettori per la sconfitta della Clinton, appigliandosi a statistiche che lasciano il tempo che trovano e che probabilmente non sarebbero state tirate in ballo se avesse vinto la candidata democratica.

Le reazioni degli anti-Trump sono risultate eloquenti fin da subito, quando migliaia di manifestanti sono scesi per le strade di molte città americane con modalità, coordinazione e tempistiche che destano serie perplessità in quanto alla natura spontanea del fenomeno, per protestare contro il risultato delle elezioni. Un vero e proprio caso di estremismo politico violento su vasta scala. Invocando “inclusione”, “tolleranza”, “anti-islamofobia”, “abbattimento dei muri”, i manifestanti hanno distrutto auto, appiccato incendi, lanciato bastoni incendiari contro le forze di polizia, bloccato strade, defecato e urinato su immagini del neo-eletto Trump. Ovviamente tutto in nome dell’“antifascismo” e nel rispetto della democrazia. In poche parole, il meccanismo elettorale va bene, ma soltanto se l’esito li soddisfa.

L’elezione di Donald Trump fa paura, ma non per la retorica elettorale utilizzata dal candidato e, a quanto pare, risultata vincente. Trump fa paura per le sue posizioni e per le possibili ripercussioni a livello globale che rischiano di stravolgere totalmente asset e meccanismi dimostratisi deleteri su scala globale: l’immigrazione illegale e incontrollata (che come definito dallo stesso Buzzi, è più redditizia del traffico di droga), la degenerazione dei rapporti con la Russia (unico paese che ha preso misure serie ed efficaci per contrastare il terrorismo islamista), la crisi in Ucraina, l’allargamento della NATO a oriente e la disastrosa campagna a favore delle “Primavere Arabe” che non ha soltanto rischiato di portare al potere gli islamisti, ma che ha devastato paesi come Siria, Libia e in maniera minore l’Egitto.

Non è certo un caso che Mamdouh al-Munir, membro della Fratellanza Musulmana egiziana, ha definito l’elezione di Trump “un disastro” per il mondo arabo e islamico. Ora, che per i Fratelli Musulmani la sconfitta della Clinton sia una catastrofe non è certo “segreto di pulcinella”, tanto che venne contestata in piazza al Cairo durante la rivolta anti-Morsy. Quello che fa invece sorridere è come al-Munir allarghi la “catastrofe” a tutto il mondo arabo-islamico, appropriandosi così di una rappresentatività che di certo non appartiene all’organizzazione islamista radicale.

Nel frattempo alcuni segnali interessanti emergono sul web: in primis, in concomitanza con le rivolte violente in strada nella notte dell’esito elettorale, appariva su Craigslist, database molto popolare negli Stati Uniti che ospita annunci dedicati al lavoro, eventi, acquisti, incontri e quant’altro, un annuncio pubblicato a Seattle per “combattere l’Agenda Trump”, fatto già ampiamente documentato da Occhi della Guerra ieri.

Sempre ieri, il sito dell’analista Daniel Pipes mostrava un tweet, alquanto controverso, pubblicato da Hussam Ayloush, leader del CAIR (organizzazione islamista con base in Usa e ritenuta vicina ai Fratelli Musulmani) nella notte del 9 novembre, proprio in concomitanza con l’esito del voto e le manifestazioni di strada: “Ok, repeat after me: Al-Shaab yureed isqat al-nizaam”. Trattasi di uno slogan delle Primavere Arabe: “Il popolo vuole buttare giù il regime”.

Un altro fatto, decisamente più grave, è quello di Monisha Rajesh, giornalista presso il britannico Guardian, che in un tweet invoca un “assassinio presidenziale”: “It's about time for a presidential assassination" (è giunto il momento per un assassinio presidenziale). Il tweet era diretto a un altro giornalista, Mark C. O’Flahery che risponde: "haaaa – that's all we’ve talked about for the last hour" (haaa-abbiamo parlato solo di questo nell’ultima ora). Gli account Twitter e Facebook della Rajesh risultano attualmente disabilitati ma il fatto resta di una gravità inaudita.

Nelle prossime settimane non possiamo che aspettarci altri episodi di intolleranza e violenza da parte di quell’estremismo violento organizzato che non accetta l’esito del voto democratico se non soddisfa le proprie aspettative.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab nov 12, 2016 7:44 am

El demente ciuko!

Trump, Juncker: ‘Con lui perderemo due anni, non conosce il mondo. C’è il rischio che gli equilibri mondiali siano disturbati’
di F. Q. | 11 novembre 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... do/3185770

L'establishment di Bruxelles attacca l'uomo che ha conquistato la Casa Bianca sfidando l'establishment statunitense. L'affondo porta la firma del presidente della Commissione Europea in persona, secondo cui l’elezione del miliardario newyorkese "pone delle questioni con conseguenze" potenzialmente "perniciose". Sull'altro lato dell'Atlantico, intanto, il presidente eletto ammonisce Obama alla vigilia del viaggio in Germania: "Stop a nuove iniziative in politica estera"

Donald Trump “non conosce il mondo” e la sua elezione è “potenzialmente pericolosa”. I toni sono quelli della campagna elettorale che ha portato a sorpresa alla Casa Bianca il miliardario di New York, ma le affermazioni arrivano dall’altra sponda dell’Atlantico, da Bruxelles. Dal presidente della Commissione Europea in persona, Jean-Claude Juncker.

“Con Trump perderemo due anni: il tempo che faccia il giro del mondo che non conosce“, ha risposto il capo dell’esecutivo europeo a una studentessa nel corso dell’incontro “Batisseurs d’Europe” (“Costruttori d’Europa”), a Lussemburgo, videotrasmesso dai servizi audiovisivi della Commissione. “E’ vero – ha aggiunto – che l’elezione di Donald Trump pone il rischio di vedere gli equilibri intercontinentali disturbati nei loro fondamenti e nella loro struttura. Detto questo, ho una lunga vita politica alle spalle e ho lavorato con quattro presidenti Usa”.

“Gli americani – continua Juncker, in quello che si configura come un attacco dell’establishment europeo all’uomo che ha conquistato la presidenza degli Stati Uniti presentandosi come nemico dell’establishment statunitense – in generale non hanno alcun interesse per l’Europa: questo è vero per la classe dirigente e per l’America profonda. Non conoscono l’Europa. Trump ha detto durante la campagna elettorale che il Belgio è un villaggio da qualche parte in Europa. Quindi, bisognerà che insegniamo al presidente eletto che cos’è l’Europa e quali sono i suoi principi di funzionamento”.

L’elezione del miliardario newyorkese “pone delle questioni con conseguenze” potenzialmente “perniciose – ha concluso il capo dell’esecutivo europeo – perché viene messa in questione l’alleanza transatlantica e quindi il modello sul quale si poggia la difesa dell’Europa”. Inoltre, il nuovo presidente eletto “ha delle attitudini nei confronti dei migranti e degli statunitensi non bianchi che non rispettano le convinzioni e i sentimenti europei”.

Parole che stridono con quelle, dettate da finalità diplomatiche, spese da Juncker poche ore dopo l’ufficializzazione della vittoria di Trump alle presidenziali: “Congratulazioni – si felicitava su Twitter – solo attraverso una stretta cooperazione Usa e Ue continueranno a fare la differenza nell’affrontare sfide senza precedenti”.

L’affondo arriva nel giorno in cui l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, fa sapere di aver invitato il nuovo presidente Usa a Bruxelles. “Gli Stati Uniti sono un partner strategico – spiegano fonti Ue – vogliamo continuare a lavorare con loro, a questo punto siamo assolutamente impazienti di entrare in contatto col gruppo di transizione. Abbiamo già invitato il presidente eletto. Mogherini vuole andare molto presto. E così potremo ascoltare quali sono le posizioni”. Per il viaggio di Lady Pesc, tuttavia, non sono state fissate date. E Washington per il momento non ha ancora risposto all’invito, anche se – viene fatto osservare – risale solo ad uno o due giorni fa.

Ostilità nei confronti del presidente eletto ha mostrato fin dalle prime ore anche François Hollande, con il quale il futuro capo della Casa Bianca ha avuto un colloquio telefonico nel pomeriggio. I due, ha fatto sapere l’Eliseo, condividono “la volontà di lavorare insieme”. La conversazione è durata sette-otto minuti e si è tenuta in “buone condizioni”. “I due leader hanno convenuto di discutere insieme su una serie di questioni chiave per chiarire le posizioni, come ‘guerra al terrore‘, Ucraina, Siria, accordo sul nucleare e accordo sul clima“.

Anche Angela Merkel, ha fatto sapere il governo tedesco, ha parlato in mattinata con Donald Trump, e “sulla base dei rapporti tradizionalmente molto buoni e amichevoli fra i due paesi, ha promesso al presidente designato una stretta collaborazione. E’ lieta di potergli dare il benvenuto in Germania al più tardi per il vertice del G20 dell’anno prossimo”.

Sull’altro lato dell’Atlantico, intanto, il team di Trump avanza una precisa, quanto irrituale, richiesta a Barack Obama, ammonendolo, alla vigilia del suo viaggio in Europa, a non fare passi rilevanti in politica estera durante la transizione perché potrebbe “mandare segnali contrastanti“. “Sulle questioni grandi, trasformative in cui il presidente Obama e il presidente eletto Trump non sono allineati, non penso che sia nello spirito della transizione tentare di far passare punti dell’agenda contrari alle posizioni” di Trump, ha confidato a Politico.com un suo consigliere per la sicurezza nazionale.

“Sarebbe non solo controproduttivo, ma manderebbe anche segnali contrastanti”, ha aggiunto. Un monito lanciato alla vigilia del viaggio di Obama in Germania (dove il presidente ancora in carica parteciperà ad un vertice con Merkel, Hollande, Renzi, Rajoy e May per riconfermare l’impegno verso l’Europa e la Nato), Grecia e Perù. Prima che Trump vincesse le elezioni, nei circoli democratici di politica estera si ipotizzava che Obama avrebbe potuto fare un ultimo tentativo per rilanciare i colloqui di pace israelo-palestinesi e spingere forte sul Congresso per l’approvazione dell’accordo commerciale trans-pacifico (Tpp). Ma secondo l’entourage di Trump, Obama non dovrebbe neppure pensare di fare passi del genere.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab nov 12, 2016 8:22 pm

Usa 2016, se avessero votato solo i Millennials: le mappe del voto a confronto
11 novembre 2016

http://www.repubblica.it/esteri/2016/11 ... -151817519

...
Questo è il risultato se avessero votato solo i Millenials, i giovani nati dopo il 1982. In questo caso Hillary Clinton avrebbe stravinto, lasciando a Donald Trump appena 5 stati: Idaho, Wyoming, North Dakota, Kentucky e West Virginia



Alberto Pento

I giovani sono quelli che spesso o il più delle volte, mancando di esperienza, "ragionano" con la testa degli "altri", in particolare con quella dei "grandi manipolatori" delle coscienze. Sono i più fragili, i più esposti e i meno credibili. Gioventù = inesperienza; maturità = esperienza. Dei laureati poi non ne parliamo, in loro prevale l'ignoranza, la presunzione e l'arroganza. Un mondo in mano ai giovani e ai laureati sarebbe un orrore come un mondo lasciato in mano agli "esperti del Corano".
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom nov 13, 2016 8:12 am

Dream Team Trump
Nella squadra di Donald dovrebbero esserci lo "sceriffo" Rudy Giuliani, la teapartista Sarah Palin, il cristiano Ben Carson e il neo-con John Bolton. Il mix ideale per combattere contro crimine, tasse, terrorismo e buonismo, all'insegna di "Law and Order"
di Gianluca Veneziani

http://www.lintraprendente.it/2016/11/dream-team-trump

Per essere un commander in chief, si sa, ci vuole alle spalle un dream team. E un grande presidente degli Stati Uniti, a prescindere dai meriti o demeriti personali, è tale solo se si circonda di adeguati collaboratori e ministri, non già appena di persone fidate o yesmen, ma politici capaci e di esperienza, uomini di azione e possibilmente anche teste pensanti (pragmatismo coniugato a think tank, come da buona tradizione americana). Tanto più se il Presidente li va a pescare tra coloro che gli hanno fatto da concorrenti nelle primarie, che appartengono a quell’establishment repubblicano non sempre a lui favorevole, ma di cui è in grado di riconoscere il valore e la maggiore competenza in alcuni ambiti. Un grande presidente è anche quello che sa di non saperne abbastanza, ad esempio, di politica estera o di sanità, e per questo si affida a menti e mani più esperte. E allo stesso tempo, però detta la linea, stabilendo la rotta del suo governo, ispirata ad alcuni principi fondamentali: dal “law and order” al “tolleranza zero”, dal “meno tasse” all’ “in God we trust”.

Ha fatto così Ronald Reagan negli anni ’80, la cui grandezza si spiega anche alla luce dell’équipe, della vera classe dirigente che fu in grado di mettere in piedi e da cui si fece assistere o addirittura indirizzare. E sembra stia facendo così anche il tanto vituperato Donald J. Trump, di cui è già trapelata la possibile squadra di governo: letta così, pare una short list dei sogni, per chi si appella a certi riferimenti, in economia, politica estera, sicurezza e temi etici.

Alla Giustizia o agli Interni, per capirci, dovrebbe andare un certo Rudy Giuliani, l’ex sindaco di New York, il teorico della “tolleranza zero”, lo sceriffo che ha pressoché debellato il crimine nella capitale economica degli Stati Uniti, nonché l’uomo-nazione che è stato in grado di esprimere il dolore e la forza di un Paese all’indomani delle Torri Gemelle. Si possono dormire sonni tranquilli anche sulla politica estera, se è vero che al Dipartimento di Stato dovrebbe andare un neo-con convinto come John Bolton, interventista di ferro, che ha sostenuto la guerra al Terrore sin dal primo momento e che ha le idee chiarissime su come gestire il dopo del conflitto in Siria e Iraq: la creazione di un Sunnistan, autonomo rispetto alle aree di influenza curda e sciita; ma Bolton è anche un convinto filo-israeliano, che dissiperebbe le ombre dei rapporti Washington-Tel Aviv durante l’amministrazione Obama.

A guidare la segreteria di Stato potrebbe finire, in alternativa, Newt Gingrich, reaganiano della prima ora, seguace della sua strategia liberista in economia; uno che, comunque vada, smentirebbe la vulgata di Trump come isolazionista: se Bolton è interventista sul piano militare, allo stesso modo Gingrich crede fortemente nella globalizzazione e nei trattati commerciali internazionali, da cui la possibilità che si riapra anche la partita del Ttip, che al momento pare chiusa.

Che dire poi di una conservatrice sui temi etici e strenuamente liberista in economia come Sarah Palin, l’ex governatrice dell’Alaska, che si candida prepotentemente ad avere un ruolo nell’amministrazione Trump, incarnando l’anima profonda dei Tea Party, e dunque tutto quel versante avverso alla tassazione esasperante e favorevole a una riduzione dello spreco in termini di spesa pubblica. Quanto ai valori fondanti, pare confortante anche la possibile scelta di Ben Carson, il neurochirurgo già candidato alle primarie repubblicane, per il Dipartimento alla Sanità o, in alternativa, all’Istruzione. Nell’ultimo caso, andrebbe a modificare radicalmente l’impronta laicista dell’educazione scolastica sotto Obama, ripristinando quella matrice cristiana, non necessariamente in maniera confessionale, tanto cara ai teo-con, in uno spirito fortemente anti-islamista e anti-gender (dottrina che proprio dagli Usa ha iniziato a propagarsi in modo nefasto). Ma, siamo certi, Carson farebbe bene anche al Dipartimento della Sanità, non solo per competenze professionali, ma anche perché intenzionato – come Trump – a smantellare l’inutile e costosa riforma sanitaria di Obama, l’Obamacare. Che ha finito per gravare solo sulle tasche dei cittadini statunitensi, senza comportare concretamente copertura sanitaria per tutti.

E infatti non sono solo i nomi della squadra di Trump a far ben sperare, ma anche i suoi immediati progetti di governo per i primi 100 giorni (ben altra cosa rispetto alle promesse farneticanti di Renzi…). Trump si ripromette per i primi tre mesi lotta spietata alla Burocrazia (licenziare i burocrati incapaci, a mo’ di Reagan appunto, e eliminare almeno due passaggi burocratici nell’approvazione di ogni nuova legge), politiche anti-ambientaliste, in discontinuità con l’ideologia green portata avanti dagli Obama (quindi campo libero ai lobbisti del petrolio, e frenata sugli accordi Onu sul clima), smantellamento della riforma sanitaria obamiana, svolta sulla questione-armi con la tutela del Secondo Emendamento, che garantisce il diritto di armarsi e difendersi per ogni cittadino statunitense.

Capisaldi su cui si regge la democrazia americana e che possono essere garantiti solo da interpreti all’altezza. Non vorremmo sbilanciarci dicendo che con Trump rischia di vedersi avverato il diritto alla ricerca della felicità, ma ammettiamo che i presupposti, tra nomi e proposte, sono niente male. Allora buon lavoro, Mr Donald.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom nov 13, 2016 8:48 am

Quella frattura che attraversa le società occidentali. Israele compreso
I pessimi toni dello scontro Clinton-Trump non devono mettere in ombra le serissime, irrisolte questioni di fondo: identità, solidarietà, ethos condiviso
Di Ben-Dror Yemini
(Da: YnetNews, 9.11.16)

http://www.israele.net/quella-frattura- ... e-compreso

Non s’era mai visto nulla di simile: una campagna elettorale incentrata su temi quali le molestie sessuali, la corruzione, il razzismo e i segnali di antisemitismo. Israele, detto per inciso, non è comparso fra i temi-chiave, nemmeno di passaggio. Meglio così, date le circostanze. Perché in quella campagna non c’era posto per una vera discussione.

Quello che sta accadendo negli Stati Uniti è un sintomo di ciò che accade in Occidente. È stata una campagna elettorale che ha messo in risalto la profonda frattura in atto nelle democrazie occidentali. Presto assisteremo a uno spettacolo analogo in Francia. In Gran Bretagna è già avvenuto con il referendum sulla Brexit, culminato in un parricidio politico. In altri paesi europei i sondaggi prevedono un crollo dei vecchi partiti e l’ascesa di formazioni populiste ed estremiste. La battaglia in corso è tra un establishment vecchio, corrotto e marcio e una politica populista e demagogica. In altre parole: Clinton vs. Trump.

Le pessime espressioni usate nelle campagne elettorali, come in quella che si è svolta negli Stati Uniti, non devono mettere in ombra la vera frattura: le democrazie occidentali sono alle prese con serissime questioni come l’identità nazionale, la solidarietà, l’ethos condiviso (o ciò che ne resta), il posto della religione ecc. Non sono questioni semplici, anche se le risposte finora sono semplicistiche. Nel corso degli ultimi decenni la maggior parte dei paesi europei ha cercato di imitare il melting pot americano. Più stranieri, più immigrati, più rifugiati. Basta con gli stati nazione a favore di una società aperta, pluralista e multiculturale, sovranazionale. In effetti negli Stati Uniti aveva funzionato, soprattutto quando gli immigrati provenivano da Italia e Polonia, Inghilterra e Germania.

Ma sembrava proibito dire una sola parola di critica che deviasse dal coro della correttezza politica. Il presidente Barack Obama ha toccato il culmine quando ha deciso di chiudere gli occhi e rifiutarsi di pronunciare le fatidiche parole “terrorismo islamico”: un fenomeno che, stando a lui, non esiste, giacché qualcuno potrebbe sentirsi offeso. Donald Trump ha afferrato la frustrazione determinata da questo genere di cecità, l’ha cavalcata ed è diventato presidente.

D’altra parte, c’è qualcosa di sintomatico nel fatto che uno dei principali sovvenzionatori di Hillary Clinton, George Soros, un miliardario anti-israeliano, sia un ardente sostenitore del concetto di “società aperta” e allo stesso tempo una persona il cui nome è legato a vicende di corruzione e che ha fatto fortuna speculando nel mercato dei capitali.

È stato anche uno dei temi sullo sfondo del referendum sulla Brexit: una controversia tra la scuola di pensiero che cancella i confini e quella che vuole ripristinare confini e identità nazionali. E’ la controversia con cui sono alle prese molti altri stati europei. Bruxelles, capitale dell’Unione Europea, è vista come l’equivalente europeo della corrotta Washington.

La rivolta è iniziata più di un anno fa con il primo ministro ungherese Viktor Orban che annunciava il suo rifiuto di accettare gli ordini di Bruxelles in materia di quote di immigrati. Ha cominciato mettendo barriere e costruendo recinzioni, e subito è diventato il razzista d’Europa. Curiosamente, nel giro di pochi mesi molto di ciò che Orban aveva detto è diventata la politica di parecchi paesi europei.

Ma la vera frattura, che richiede una seria riflessione, si è fatta strada nei quartier generali delle elezioni presidenziali americane. Invece di una discussione abbiamo visto urla e insulti, perché entrambi i candidati, Trump e Clinton, erano più che altro una caricatura delle posizioni che in essi si identificano in modo assai nebuloso. I sostenitori dell’approccio nazional-conservatore e i sostenitori di quello universalistico-liberale meriterebbero rappresentanti un po’ più seri di quelli in gara per la presidenza degli Stati Uniti, e presto della Francia.

E Israele? Naturalmente non è fuori dal mondo. Anzi, da tempo anche qui è in atto uno scontro di fondo tra i sostenitori della società aperta, fino agli estremi dello “stato dei cittadini” senza più identità né tradizione, e i sostenitori del nazionalismo, fino agli estremi dell’esclusivismo sciovinista.

E siamo solo all’inizio. Le elezioni americane non hanno offerto una seria discussione sulla controversia. L’hanno solo portata al parossismo. Il dibattito e la riflessione dovranno per forza continuare, si spera in un modo un po’ più serio e costruttivo.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom nov 13, 2016 10:05 am

Trump e la stampa: e poi si lamentano che nessuno compra più i giornali
di Assuntina Morresi
10 Novembre 2016

https://www.loccidentale.it/articoli/14 ... i-giornali

Qualche punto fermo dopo questa giornata storica, che ricorderemo sempre col felice hashtag #SbarackObama.

1. Non è vero che nessuno aveva previsto l’ascesa e il trionfo di Trump, e non lo diciamo per sottolineare che l'Occidentale, invece, non solo l'aveva previsto, ma ha fatto il tifo, fornendo un' informazione senza censure. Non è vero che i giornali e i media e il mainstream sono lontani dalla gente, e per questo non hanno capito che Trump avrebbe vinto. Non è vero, come si legge nel mea culpa de New York Times, che “i media non si sono accorti di quello che accadeva intorno a loro” , come ha scritto il giornalista Jim Rutenberg. Insomma: non è vero che non hanno saputo vedere la realtà, piuttosto non hanno voluto vederla. Chi doveva dare le notizie non ha voluto dare alcuna notizia, ma si è impegnato fin dall’inizio, a testa bassa, in un’azione di pura propaganda, con ogni mezzo, per distruggere quello che intuiva potesse essere un pericoloso avversario per la Clinton e il sistema di potere che lei rappresentava.

2. Lo spiegamento impressionante di forze contro Trump – tutti i giornali, nessuno escluso, tutti i canali TV, e giornalisti, intellettuali, attori, personaggi dello spettacolo, personaggi pubblici in generale, e aggiungiamo Google, Facebook, Twitter - ha esercitato sulla verità una violenza uniforme, costante e continua. Anche contro tutte le leggi della statistica, per cui almeno qualche testata di media importanza, qua e là, a suo sostegno, avrebbe dovuto esserci. E invece, contro di lui, un muro compatto.

3. Colpa dei sondaggi sbagliati? Vogliamo credere anche a questa sciocchezza? Siccome i sondaggi li sfornano le agenzie che fanno questo per mestiere, e siccome non mi pare che per tutte le altre indagini abbiano mai fatto errori tanto grossolani e ostinati, perché altrimenti avrebbero chiuso da un pezzo, è evidente che quei sondaggi erano un po' "aggiustati". Come la CNN, che faceva a Trump le domande fornite dallo staff della Clinton. Nella migliore delle ipotesi alcune indagini erano costruite per avere risposte di un certo tipo. Lascio a voi immaginare la peggiore, delle ipotesi. Abbiamo assistito a un carosello enorme di menzogne appositamente elaborate e sparse a piene mani, da parte di gente – sondaggisti, economisti, giornalisti, intellettuali, compresi quelli italiani – che mentiva sapendo di mentire. Fino all’ultimo: bastava vedere la notte del voto, in tutti i canali tv italiani, nonostante fin da subito fosse chiaro che alla Clinton non stava andando bene, come quasi tutti si ostinassero a ribadire e commentare la vittoria della Clinton, negando l’evidenza dei numeri che loro stessi stavano comunicando. E anche il racconto della lunghissima campagna elettorale è stato continuamente falsato. E poi si lamentano perché nessuno compra più i giornali!

4. C’è qualcuno che dice che i sondaggi erano sbagliati perché chi votava Trump non lo diceva, per vergogna: in parte è vero, ma allora è ancora peggio. Vuol dire che c’è un clima intimidatorio diffuso, tanto che la gente ha paura di parlare persino sapendo che il sondaggista proteggerà l'anonimato di chi parla.

5. In sintesi, la vittoria travolgente di Trump ha scoperto quello che è un enorme problema dei nostri tempi: la libertà di espressione e di pensiero. Che oggi non c’è, o è a rischio. Stiamo vivendo in un’epoca di impressionante dittatura del pensiero unico, che ha due caratteristiche ben precise: è politically correct e laicista. E dispone di una potenza enorme, mediatica e economica: solo uno che dispone di grandi mezzi propri, come Trump, può farcela.

6. Il che la dice lunga sulla reale rappresentanza popolare di certe lobby agguerrite che imperversano: l’esempio per eccellenza è quella LGBT, che sul politically correct ha fatto la sua fortuna. Una lobby prosperata sull’Obama pensiero – Love is love, ricordate? Ma adesso, Vote is vote. Obama è stato il massimo rappresentante della potenza e della pervasività di questo pensiero unico, e la Clinton ne sarebbe stata la perfetta continuatrice. Per questo motivo quella per Trump è stata una battaglia per la libertà, e la sua vittoria è stata quella della libertà. E la sconfitta della Clinton è stata anche quella di Obama.

7. A proposito di lobby LGBT, faccio sommessamente notare che i politici che inseriscono i matrimoni gay nelle legislazioni, fanno tutti, ma proprio tutti, invariabilmente, la stessa fine: perdono le elezioni. Sempre molto sommessamente, suggerirei che forse questa lobby molto influente non è poi altrettanto numerosa, visto che alle elezioni di voti pare non ne porti granchè. E quindi: God bless America! E, soprattutto, concludiamo fiduciosi: #Renzistaisereno.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom nov 13, 2016 11:41 am

https://www.facebook.com/hashtag/ridico ... 6504118019

Il problema è continuare a ripetere il cliché del «voto ignorante», è insistere sui reietti, sui creduloni, sui fanatici, sui forgotten men. Prima del voto, lo stereotipo era condiviso...
A 96 ore dal voto, con i dati sotto il naso e gli occhi, il pregiudizio acceca ancora, facendo commettere l'errore del dopo. Che è un errore diabolico. Non ha giustificazioni, se non quelle ideologiche e culturali, dove per cultura s'intende la subcultura della prepotenza per cui «chi non la pensa come me è un becero»

Poi c'è un fatto, più semplice, ma evidentemente inaccettabile se viene contestato anche di fronte ai numeri: a portare Trump alla presidenza non sono stati gli ignoranti, né gli emarginati, né i reietti, né i fan delle armi, per quanto anche questi - tutti - abbiano ancora diritti identici a chi è laureato, ricco e metropolitano. Oppure vogliamo dire che il voto di chi ha un titolo di studio debba valere di più?

si dice con disprezzo che Trump abbia vinto per merito delle zone rurali. A parte che, anche in questo caso i dati dicono spesso il contrario (come in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, tutti decisivi), vogliamo dire che i campagnoli contino meno?

Ci si prende gioco della verità per disprezzare, con il risultato di cadere nel ridicolo oltre che nella malafede. Diabolico, appunto. Perché si mente sapendo di mentire, alimentando luoghi comuni comodi e stereotipi ancora più comodi. Serve a spiegare perché giornalisti, intellettuali, analisti non abbiano capito all'inizio, ma anche perché - ed è molto peggio - continuino a non capire.

Continuare a non voler capire, né a prendere sul serio ciò che è accaduto è semplicemente stupido. O così presuntuoso da essere oltre la stupidità.



Sbagliare è umano ma perseverare è diabolico
Quelli che hanno fallito i pronostici ora danno la colpa al popolo dei propri errori
Giuseppe De Bellis - Sab, 12/11/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 30616.html

Si può sbagliare, anche più di una volta. Prima, però. Sbagliare dopo, o meglio continuare a farlo, è in alternativa da pazzi o da malafede.

Perché qui non si tratta del giudizio su Donald Trump, quello è libero. Il problema è continuare a ripetere il cliché del «voto ignorante», è insistere sui reietti, sui creduloni, sui fanatici, sui forgotten men. Prima del voto, lo stereotipo era condiviso: non c'era un solo giornale e un solo analista che tracciasse ritratti alternativi dell'elettorato trumpiano. Così come non lo facevano Hillary Clinton e il suo staff, nonché tutti i suoi fan in giro per il mondo. Ed è il motivo per cui di fatto hanno sbagliato tutte le previsioni. Questo, però, era prima dell'8 novembre. Commesso l'errore, uno che fa? Azzera e riparte. Legge i numeri, interpreta i sentimenti, comprende. E ricalibra. Invece stavolta non è successo.

A 96 ore dal voto, con i dati sotto il naso e gli occhi, il pregiudizio acceca ancora, facendo commettere l'errore del dopo. Che è un errore diabolico. Non ha giustificazioni, se non quelle ideologiche e culturali, dove per cultura s'intende la subcultura della prepotenza per cui «chi non la pensa come me è un becero». Ancora ieri i giornali italiani - e per la verità anche alcuni americani - continuavano a scrivere frasi simili a queste: «Tanti elettori di Trump non si vergognano della loro ignoranza» (Massimo Gramellini). Oppure: «La sua vittoria è figlia del peggior vecchiume reazionario di una tragica, deprimente America bigotta, ignorante, e maniaca delle armi». Poi gli scrittori come Jonathan Safran Foer che si «vergogna», che giudica «giusto» scendere in piazza perché adesso l'America è un «regime». Si segnala che il regime si chiama democrazia e, per quanto anche a molti in Europa, pure non di sinistra, possa spaventare Trump alla Casa Bianca, il processo democratico è ancora la base della nostra cultura e di ciò che ci distingue dai regimi (quelli sì) del Medio Oriente e di altre zone del mondo. Poi c'è un fatto, più semplice, ma evidentemente inaccettabile se viene contestato anche di fronte ai numeri: a portare Trump alla presidenza non sono stati gli ignoranti, né gli emarginati, né i reietti, né i fan delle armi, per quanto anche questi - tutti - abbiano ancora diritti identici a chi è laureato, ricco e metropolitano. Oppure vogliamo dire che il voto di chi ha un titolo di studio debba valere di più?

Trump ha preso la maggioranza dei voti di tutte - tutte - le fasce di reddito sopra ai 50mila dollari, ha preso il 45% tra i laureati e il 37% tra quelli con un titolo di studio superiore alla laurea, mentre tra chi ha un diploma ha preso il 51% e tra chi non ha neanche un diploma il 52%. Sono quelli che i Gramellini del mondo chiamano ignoranti e sostengono che siano orgogliosi della loro ignoranza. Anche qui conviene ricordare che nel 2008, Obama arrivò al 62% tra quelli senza diploma superiore e al 52% per quelli col diploma. Quindi? Anche quei voti non andavano bene?

Altra questione: si dice con disprezzo che Trump abbia vinto per merito delle zone rurali. A parte che, anche in questo caso i dati dicono spesso il contrario (come in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, tutti decisivi), vogliamo dire che i campagnoli contino meno?

Ci si prende gioco della verità per disprezzare, con il risultato di cadere nel ridicolo oltre che nella malafede. Diabolico, appunto. Perché si mente sapendo di mentire, alimentando luoghi comuni comodi e stereotipi ancora più comodi. Serve a spiegare perché giornalisti, intellettuali, analisti non abbiano capito all'inizio, ma anche perché - ed è molto peggio - continuino a non capire. Neanche se a spiegarglielo con chiarezza è una di loro, come Margaret Sullivan sul Washington Post: «I giornalisti volevano sapere esattamente come (Trump) avrebbe fatto a deportare tutti gli immigrati irregolari, o esattamente come si sarebbe sbarazzato dello Stato Islamico. Volevamo i dettagli, ma molti elettori pensano in modo diverso: prendono Trump sul serio, ma non letteralmente. Loro sanno che Trump non farà costruire un muro lungo il confine sul Messico, quello che sentono però è che avremo una politica immigratoria più sana e giusta. Trump, apparentemente, ha raccolto la rabbia degli americani verso argomenti come il commercio e l'immigrazione. E anche se molti giornali e giornalisti hanno raccontato la frustrazione e la crisi di questi americani, non li abbiamo presi abbastanza sul serio». Quello è stato un errore, evidentemente. Continuare a non voler capire, né a prendere sul serio ciò che è accaduto è semplicemente stupido. O così presuntuoso da essere oltre la stupidità.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom nov 13, 2016 11:42 am

???

Monti: Trump mette a rischio la globalizzazione

http://politica.diariodelweb.it/politic ... 111_395742

ROMA – La vittoria di Trump ha «shockato» l'ex premier, Mario Monti, che ad Omnibus su La7 ha confermato alla conduttrice, Alessandra Sardoni di non «poter negare l'incredibile forza» di queste elezioni americane. Secondo il bocconiano il tycoon è riuscito a sconfiggere due partiti «il proprio e quello dell'avversaria» e a concentrare su di sé il potere «che gli è stato conferito dal popolo contro la volontà di molti poteri diverso da quello democratico che hanno fatto di tutto per tenerlo fuori».

Il punto di vista dell'establishment
La conduttrice ha chiesto al fondatore di Scelta civica quali errori ha compiuto l'establishment, «lo chiedo a lei perché qui abbiamo il punto di vista dell'establishment rappresentato» e lui ha ammesso: «Tantissimi errori» come ad esempio la «mancata o insufficiente» opera redistribuiva delle ricchezze. Secondo Monti a causa «soprattutto dell'opera inglese» l'Europa si era «illusa» che fosse possibile continuare «nell'integrazione di mercato» trascurando «coloro i quali dall'integrazione di mercato perdono, almeno temporaneamente». La giornalista ha quindi domandato quali saranno le conseguenze più negative per l'Unione europea e per l'Italia, nel caso di un cambiamento radicale della politica economica americana e il senatore a vita ha replicato senza esitazione: «Che si possa diciamo restringere la globalizzazione degli scambi».

Globalizzazione in crisi
Per Monti si è già sorpassato il momento «di picco massimo» della liberalizzazione e l'economia mondiale è già in fase di «regressione» per quanto riguarda l'integrazione internazionale e quindi è possibile che se gli Usa diventano «sempre più protezionisti, e questo non è affatto escluso» questo processo «si acceleri». Poi l'economista ha spiegato che a suo avviso Trump è «contro i meccanismi di governo mondiale multilaterali», come quel «governo mondiale della globalizzazione» che è stato portato avanti dai vari G7, G8, G20. L'ex commissario europeo ha ricordato che l'Ue «tiene molto a che certe cose vengano gestite multilateralmente» e che ora non ha più un alleato importante in questa visione del mondo, come prima accadeva con l'amministrazione guidata da Barack Obama.

Referendum e spread
Passando all'Italia, Sardoni ha domandato al suo ospite di commentare le parole del premier, Matteo Renzi, quando ha detto che la vittoria di Trump non avrà nessun effetto sul referendum costituzionale e che fra 15 giorni il mondo sarà uguale a prima; Monti ha liquidato le frasi del presidente del Consiglio con una battuta: «Non ho queste capacità profetiche». Infine, sempre parlando di referendum la conduttrice ha chiesto all'economista il suo punto di vista sugli effetti del referendum sui mercati e anche qui Monti ha ironizzato: «Io sarei molto tranquillo, non vedo grandi effetti sui mercati. Abbiamo visto che per ora il cataclisma immaginato per la vittoria di Trump non ha sconquassato di molto i mercati» e ha aggiunto che se la finanza internazionale davvero temesse, «come temevano un tempo» le instabilità politiche non «assisteremmo da un anno in qua» ai tassi dello spread spagnoli inferiori di 40-50 punti rispetto a quelli tedeschi, nonostante le difficoltà del Paese a formare un governo.
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