Trump Donald

Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom mar 29, 2020 3:42 am

Coronavirus, gli Americani approvano l’operato di Donald Trump: vola nei sondaggi
28 marzo 2020

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -sondaggi/

Il Presidente Trump sta affrontando l’emergenza del “Virus Cinese” e soddisfa la maggioranza degli Americani. Lo dicono diversi sondaggi usciti in settimana. Non credete dunque a quello che vi commentatori televisivi ed opinionisti politici della domenica.

Il Coronavirus dilaga anche in America ma Donald Trump sembra aver preso di petto la situazione. La nomina del suo Vice, Mike Pence, a capo della task force per combattere il Coronavirus ed il dottor Anthony Fauci, direttore dell’Istituto di Malattie Infettive ed Allergie del Paese, sembrano aver dato sicurezza la popolo Americano.

L’atteggiamento risoluto e calmo del Presidente Donald Trump nell’affrontare la pandemia soddisfa la maggioranza degli americani. Piace il tono severo assunto nelle conferenze stampa quotidiane, in cui ha scelto di circondarsi delle persone della task force della Casa Bianca, dal dottor Anthony Fauci stesso, ai Segretari alla Salute e alla Sicurezza civile, dai direttori delle agenzie governative dei Farmaci e del Centro per il Controllo delle Malattie (CDC) ed al suo Vicepresidente, Mike Pence. Ne appare un’amministrazione che è unita e compatta, e questo aiuta a consolidare fiducia.

Trump dirige in prima persona sia le presentazioni giornaliere dei dati legati all’emergenza, sia le illustrazioni delle misure di intervento finanziario, dando spazio al Segretario al Tesoro, e anche agli aggiornamenti sulle restrizioni ai viaggi, facendo parlare il Segretario di Stato Mike Pompeo.

Si dimostra rilassato, sicuro, ottimista, severo, e persino affabile quando risponde ai giornalisti, solo con qualche rarissima eccezione verso quelli che lo provocano palesemente. Ma in queste marginali scaramucce ne esce vincente e convincente. Ad esempio quando rivendica l’uso del termine “virus cinese” (“è da lì che viene!”) e allontana le accuse di “razzismo” per aver bloccato per primo i voli da e per la Cina. Il Presidente rivendica con fermezza la sua decisione a riguardo, che ha salvato molte vite.

Trump vola nei gradimenti e la sua azione per combattere il Coronavirus raccoglie diffusamente consenso ed approvazione.

Già a inizio settimana il sondaggio di ABC News-Ipsos aveva rilevato che l’approvazione per la gestione di Trump dell’emergenza Coronavirus era del 55%, contro il 43% di contrari.

Evidentemente, l’insieme delle iniziative prese, a partire dal coinvolgimento generalizzato del settore privato nell’aiutare il paese a rispondere alle urgenze fino alle intese bipartisan con i governatori Democratici di New York e della California, ha trasmesso l’immagine dell’adulto nella stanza.

“Ha dato un nuovo tono alla sua presidenza, quello che la gente stava cercando, e per la prima volta certi Democratici gli stanno dando l’approvazione che nell’atmosfera partigiana precedente non gli volevano dare ”, ha detto Mark Penn, direttore del sondaggio Harvard CAPS/Harris Poll. “Ecco perche’ i suoi sondaggi di gradimento stanno aumentando”.

Il sondaggio Harvard/Harris di venerdì ha visto salire l’approvazione di Trump, in generale come Presidente, dal 49% al 53%, mentre la sua gestione del COVID è balzata dal 51% al 56% di estimatori. E un sondaggio di Gallup sul Coronavirus registra che il 61% ritiene che ci si possa fidare di President Trump.

Negli ultimi sondaggi il Presidente veleggia con un media di ben oltre il 50% di approvazione. E cresce anche per il poderoso ed immediato aiuto a sostegno dell’economia che verrà erogato alle famiglie americane per il lavoro di mediazione tra i Democratici ed il Segretario del Tesoro.

Chi invece va male nei sondaggi è decisamente l’ex Vicepresidente Sleepy Joe, che non sta brillando. Non piace il suo atteggiamento con cui critica Trump, da molti definito da “supereroe”. “Stucchevole” per tanti Americani. Certamente paga lo “scotto” di dover fare campagna elettorale in un momento drammatico, in cui il Governo è impegnato a fronteggiare una crisi sanitaria senza precedenti. Ma c’è ancora qualcuno ancora crede che la strada del Vice di Obama verso lo Studio Ovale sia stata spianata dal Coronavirus (?)


Il coronavirus non è una normale e semplice influenza 2
viewtopic.php?f=162&t=2899

Le responsabilità cinesi sulla pandemia. La storia. La propaganda della dittatura cinese. La Cina nega le sue responsabilità. Credere alla dittatura cinese è demenziale è come credere alle dittature teocratiche nazi maomettane. La Cina deve rispondere al Mondo e deve pagare per i danni che ha provocato.
La Cina è la prima responsabile di questa epidemia globale da coronavirus, come lo è stata di molte altre nei secoli, tra cui quella della peste nera nel quattrocento che mietè milioni di morti. La propaganda cinese.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun apr 13, 2020 10:23 am

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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun apr 13, 2020 10:24 am

Il Covid-19 non ferma le indagini sullo Spygate. Barr: "Un intero schema di eventi per sabotare la presidenza Trump"
Atlantico Quotidiano
13 aprile 2020

https://www.atlanticoquotidiano.it/rubr ... nza-trump/

Il rapporto Steele contro Trump (pagato dai Democratici e dalla Clinton) basato sulla disinformazione russa. E l’FBI sapeva

L’emergenza Covid-19 che ha travolto anche gli Stati Uniti non ha fermato lo Spygate, anzi arrivano importanti sviluppi nelle indagini del procuratore speciale Durham sulle origini del Russiagate. Dove eravamo rimasti? A dicembre l’Attorney General William Barr aveva chiarito la diversa natura e il diverso scopo dell’indagine del procuratore John Durham rispetto a quella dell’ispettore generale del DOJ Michael Horowitz, che si è conclusa con il rapporto diffuso il 9 dicembre scorso e due audizioni dello stesso IG al Senato. Durham, spiegava Barr, “sta guardando non solo all’FBI. Sta guardando alle altre agenzie e anche ad attori privati, quindi è un’indagine molto più ampia”. Inoltre, sta indagando non solo sull’aspetto dei mandati FISA, ma su “tutta la condotta sia prima che dopo le elezioni” del 2016.

E aveva confermato anche la natura penale dell’inchiesta e uno degli interrogativi a cui sta cercando di dare risposta: se il caso Papadopoulos-Mifsud sia stato il “vero predicato” dell’indagine di controintelligence Crossfire Hurricane che ha dato avvio al Russiagate, almeno ufficialmente, o se invece non sia stato “nulla più che un pretesto” per dare corso ad un “preesistente desiderio di andare a indagare nella Campagna Trump”.

In una nuova intervista, giovedì scorso, per The Ingraham Angle di Fox News, Barr è andato molto più in profondità rivelando cosa sta emergendo dall’indagine:

“Ciò che è accaduto al presidente è una delle più grandi farse della storia americana. Senza alcuna base, hanno iniziato questa indagine sulla sua campagna. E ancora più preoccupante, in realtà, è quello che è successo dopo la campagna. Un intero schema di eventi, mentre era presidente, per sabotare la presidenza o almeno avere l’effetto di sabotare la presidenza”.

Siccome il rapporto Horowitz, ma anche l’ex direttore dell’FBI Comey, parla di “errori e negligenza” da parte dell’agenzia, Barr ha voluto precisare – ed è lecito supporre con cognizione di causa, essendo a conoscenza degli ultimissimi sviluppi delle indagini del procuratore Durham:

“La mia opinione è che le prove mostrano che non abbiamo a che fare solo con errori o negligenza, c’era qualcosa di molto più preoccupante qui; e ne arriveremo in fondo… E se qualcuno ha violato la legge, e possiamo stabilirlo che con delle prove, sarà perseguito”.

Il procuratore Durham, ha aggiunto, sta “cercando di portare davanti alla giustizia le persone coinvolte negli abusi se può dimostrare che sono stati commessi dei reati”.

Affermazioni molto impegnative per un Attorney General. Pur considerando la sua vicinanza al presidente Trump, difficilmente si sarebbe esposto così esplicitamente se non fosse a conoscenza di elementi molto solidi in questo senso.

Le sue affermazioni lasciano supporre che il procuratore Durham sia pronto a perseguire ex funzionari della comunità di intelligence – per esempio l’ex direttore della Cia John Brennan – che sarebbero coinvolti nella sorveglianza illegale della Campagna Trump nel 2016.

E nelle scorse ore il giornalista John Solomon ha confermato da Sean Hannity che sono state emesse numerose citazioni davanti al grand jury per conto del procuratore Durham.

A dicembre, in una nota diffusa pochi minuti dopo il rapporto Horowitz, Durham faceva sapere di “non concordare con alcune delle conclusioni del rapporto riguardo il presupposto e il modo con i quali l’indagine dell’FBI fu aperta”, cioè che vi fosse un motivo appropriato per aprirla.

L’IG Horowitz avrebbe poi chiarito durante un’audizione al Congresso che il suo ufficio non ha concluso che l’FBI non fu influenzata da un pregiudizio politico nella decisione di aprire l’indagine, ma che semplicemente non ne ha trovato una prova materiale.

Ma nella sua nota Durham ricordava anche che la sua indagine non si limita a elaborare informazioni interne al Dipartimento di Giustizia, come quella di Horowitz, ma comprende informazioni “da altre persone ed entità, sia negli Stati Uniti che fuori dagli Stati Uniti”. E qui troviamo la conferma che in quelle settimane Durham e il suo team avevano raccolto nuovi elementi di prova anche in altri Paesi, tra cui l’Italia, dove il 27 settembre scorso il procuratore, insieme all’AG Barr, aveva incontrato i vertici dei nostri servizi. Durham in particolare ha parlato con funzionari italiani e australiani dei contatti tra Papadopoulos e il professore della Link Campus Joseph Mifsud, tuttora irreperibile, che gli avrebbe parlato di “migliaia di email” di Hillary Clinton nelle mani dei russi – l’indiscrezione da cui sarebbe partita l’indagine dell’FBI.

Nel frattempo, è stata anche divulgata la trascrizione di una conversazione della fine di ottobre 2016 tra un informatore dell’FBI e George Papadopoulos, nella quale quest’ultimo nega che la Campagna Trump fosse coinvolta in qualunque modo nell’hackeraggio dei server del Comitato democratico. Ma anche questa prova a discolpa fu tenuta nascosta dall’FBI alla Corte FISA che doveva decidere sui mandati di sorveglianza richiesti nell’ambito dell’indagine sulla presunta collusione fra Trump e la Russia.

Horowitz ha annotato nel suo rapporto che l’intelligence aveva saputo da un “governo straniero amico” che Papadopoulos “lasciò intendere che il team di Trump avesse ricevuto dalla Russia un qualche tipo di suggerimento che avrebbe potuto aiutare questo processo con la pubblicazione anonima di informazioni durante la campagna che sarebbe stata dannosa per la Clinton”. Si tratta probabilmente dell’informazione arrivata dal diplomatico australiano Downer, amico della famiglia Clinton, che ebbe occasione di parlare con Papadopoulos nella primavera del 2016 ma se ne ricordò solo a luglio, dopo l’hackeraggio dei server democratici.

Ma in questi giorni sono state anche declassificate, in parte, anche alcune note che erano rimaste riservate nel rapporto Horowitz sugli abusi dell’FBI nelle richieste FISA. Queste note rivelano che il dossier Steele, elemento definito nel rapporto “centrale ed essenziale” nella richiesta di sorveglianza di Carter Page, membro della Campagna Trump, era in buona parte basato sulla disinformazione russa. Ricordiamo che si tratta del dossier, non verificato, compilato dall’ex agente britannico Christopher Steele, commissionatogli dalla Fusion GPS, società incaricata dal Comitato nazionale democratico e dalla Campagna Clinton di cercare materiale compromettente sul candidato avversario, Donald Trump.

Secondo i senatori repubblicani Ron Johnson e Chuck Grassley, promotori della richiesta di declassificazione, le note “rivelano che, dall’inizio e durante tutta l’indagine dell’FBI sul Russiagate, i funzionari dell’FBI hanno appreso che flussi di informazioni decisive che giungevano nel dossier erano probabilmente corrotte dalla disinformazione dell’intelligence russa”.

Ma nonostante le prove dimostrassero come lo spionaggio di Mosca avesse un ruolo nella diffusione di informazioni ingannevoli e false, l’FBI ha comunque “proseguito in modo aggressivo l’indagine, ignorando i meccanismi interni di supervisione e trascurando di segnalare i problemi di credibilità materiale ad un tribunale segreto” quale la Corte FISA. Al contrario, i funzionari dell’FBI coinvolti nell’indagine su Trump hanno continuato a usare la disinformazione russa per colpire la sua campagna e la sua amministrazione anche dopo aver scoperto che si trattava di informazioni palesemente false. Queste note, concludono i due senatori, “confermano che ci fu una diretta campagna di disinformazione russa nel 2016, e che ci furono legami tra l’intelligence russa e una campagna presidenziale – ma la Campagna Clinton, non Trump”.

In particolare, secondo la nota 302, nell’ottobre 2016, gli investigatori dell’FBI avevano appreso che una delle principali fonti di Steele era collegata al Russian Intelligence Service (RIS), e si diceva che fosse un ex ufficiale del KGB/SVR. Tuttavia, l’FBI ha trascurato di includere queste informazioni nella sua richiesta di sorvegliare Page, che la Corte FISA ha approvato lo stesso mese. Due mesi dopo, gli investigatori hanno appreso che Glenn Simpson, il capo della Fusion GPS, aveva dichiarato a un legale del Dipartimento di Giustizia di aver valutato che la stessa fonte “fosse un ufficiale RIS che aveva un ruolo centrale nel collegare Trump alla Russia”. A gennaio, il mandato fu rinnovato.

La nota 350 afferma che, nel 2017, l’FBI aveva appreso che i rapporti dell’intelligence avevano valutato che anche ciò che il rapporto Steele riportava delle attività di Michael Cohen (allora avvocato di Trump, ndr) “faceva parte di una campagna di disinformazione russa per denigrare le relazioni estere statunitensi”.

La stessa nota afferma che un rapporto separato, datato 2017, conteneva informazioni secondo cui anche i dettagli riportati pubblicamente delle attività di Trump durante una visita a Mosca nel 2013 erano falsi e un prodotto di una fonte del RIS.

Insomma, le indagini sulle origini del Russiagate, sul ruolo che hanno avuto agenzie di intelligence Usa, ma anche attori privati e governi stranieri amici, nel montare il caso della collusione fra la Campagna Trump e la Russia, proseguono e il procuratore Durham sarebbe pronto a muovere i primi passi. Le dichiarazioni esplosive, e molto impegnative, dell’Attorney General William Barr fanno pensare ad elementi molto solidi nella direzione di un tentativo di sabotaggio prima della candidatura, poi della presidenza Trump. E come saprete, se avete seguito il nostro lungo speciale, molte piste del Russiagate portano in Italia, a Roma.

Alcune domande, a cui Durham potrebbe aver già dato da tempo una risposta, restano aperte: che fine ha fatto Joseph Mifsud? Chi della nostra intelligence ha gestito la sua latitanza? Quale il ruolo e quali i rapporti della Link Campus University, da cui ricordiamo è uscito il ministro della difesa del primo governo Conte, con i nostri servizi?

Direttore dell’Aise all’epoca era Alberto Manenti, nominato nell’aprile del 2014 dal governo Renzi e pochi giorni fa primo ex direttore dei servizi a entrare nel board di una banca (Bpm). Ma la lunga primavera delle nomine nelle grandi società pubbliche e private e nei servizi è appena all’inizio e filtra una certa agitazione…



Trump può giocare la "carta cinese" contro Biden, il miglior amico di Pechino a Washington

Michele Marsonet
29 aprile 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... ashington/

In tempi di pandemia, è ovvio che anche i candidati alla presidenza Usa devono trovare temi in grado di convincere i cittadini circa la bontà del loro programma. E non è detto che i danni prodotti dal coronavirus siano l’unico argomento in grado di mobilitare l’elettorato.

Stabilito che a contendersi la Casa Bianca saranno Donald Trump e Joe Biden, la strategia dell’ex vice di Barack Obama appare ancora nebulosa. Per ora si accontenta di essere riuscito a riunire i Democratici attorno al suo nome e, soprattutto, di aver evitato che la sinistra di Bernie Sanders gli negasse l’appoggio nella corsa finale.

Per quanto riguarda l’attuale presidente, invece, è sempre più evidente che Trump giocherà fino in fondo la “carta cinese”. In effetti, ha già sfruttato con perizia l’opacità di Pechino nella diffusione iniziale delle notizie e l’emarginazione (o peggio) dei medici di Wuhan che avevano cercato di informare il mondo della pericolosità del nuovo virus.

Ed è pure pronto ad approfittare di eventuali novità riguardanti gli ormai celebri laboratori di Wuhan. Chi cerca di capire se nei suddetti laboratori si sia davvero verificato un incidente che ha innescato la pandemia viene spesso accusato di “complottismo”, tanto dal governo cinese quanto dagli organi d’informazione occidentali che adottano una linea pro-Pechino. La questione, tuttavia, è tutt’altro che chiusa, e sono numerosi i governi e i giornali che continuano ad indagare.

Sul problema delle relazioni con la Repubblica Popolare Trump può vantarsi di aver assunto da subito una linea ben più precisa e ferma dei suoi predecessori. Si è accorto, in altri termini, che la globalizzazione, spesso definita “americana” in un passato anche recente, era ormai diventata “cinese” a tutti gli effetti, causando uno squilibrio evidente nei rapporti di forza tra la Cina da un lato e gli Stati Uniti dall’altro. Tale squilibrio riguarda, in realtà, anche il nostro continente, ma gli europei hanno reagito con maggiore ritardo.

È stato molto criticato, il presidente Usa, per la “guerra dei dazi” che ha scatenato contro Pechino. Alcuni, per esempio, hanno notato che una tale guerra danneggia anche gli Stati Uniti a causa della forte interconnessione economica dei due Paesi. Eppure, mette conto notare che i dazi sono stati efficaci, soprattutto perché hanno indotto Xi Jinping e il suo gruppo dirigente a cercare un accomodamento che prima non rientrava nei loro piani.

La globalizzazione è diventata cinese perché le precedenti amministrazioni americane hanno permesso l’esternalizzazione di un grande numero di aziende e di posti di lavoro in Cina. Il business con Pechino veniva visto con molto favore a causa del basso costo del lavoro cinese, dovuto al fatto che i sindacati locali non godono di alcuna indipendenza dal governo. Sono, per usare una celebre espressione italiana dei decenni passati, delle “cinghie di trasmissione” legate al Partito comunista.

A ciò va aggiunto che i cinesi hanno approfittato dell’apertura dei mercati occidentali, ma hanno tenuto in gran parte chiusi i loro. Non rispettano inoltre le regole della proprietà intellettuale, e forniscono alle loro aziende ingenti aiuti di Stato che, spesso, servono anche ad acquisire il controllo di industrie strategiche straniere. Trump sta per esempio cercando di proteggere il settore hi tech dalle incursioni di Pechino.

Queste vicende avrebbero minore importanza se, a confrontarsi, fossero due “società aperte”. Quella cinese, tuttavia, non lo è affatto. Aziende e managers sono sempre legati a doppio filo al partito unico, il che permette al governo – che con il partito s’identifica – di controllare in toto la propria economia.

Ma non si tratta soltanto degli aspetti economici e finanziari della globalizzazione. La Repubblica Popolare ha da tempo lanciato una campagna volta ad esaltare la sua struttura politica e istituzionale – basata sul partito unico – quale “modello” da imitare, in concorrenza con quello liberal-democratico giudicato debole e inefficiente.

Tuttavia molti hanno ormai capito il trucco. Non è certo un caso che la Svezia abbia deciso di chiudere tutti gli “Istituti Confucio” presenti sul suo territorio, giudicandoli centri attraverso i quali Pechino propaganda il suo modello all’interno delle università occidentali.

Tornando ora al tema iniziale, è arduo fare previsioni circa gli sviluppi della campagna elettorale Usa in presenza della pandemia che sta causando danni ingentissimi anche negli Stati Uniti. Resta però il fatto che Donald Trump può far leva sull’atteggiamento fermo nei confronti della Cina, argomento sul quale Biden manifesta invece una notevole debolezza.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven mag 15, 2020 12:25 pm

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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven mag 15, 2020 12:26 pm

Colpo grosso per gli Usa. Accordo (da 12 miliardi) con Taiwan sui microchip
Gabriele Carrer
15 maggio 2020

https://formiche.net/2020/05/trump-microchip-taiwan/


Taiwan Semiconductor Manufacturing, il primo produttore al mondo di chip, ha deciso di realizzare una fabbrica di microchip in Arizona. I lavori di costruzione dovrebbe iniziare nel 2021 e la produzione dovrebbe essere avviata nel 2024: un investimento da quasi 12 miliardi che darà fino a 1.600 nuovi posti di lavoro e che produrrà i chip 5 nanometri più sofisticati. Con questa mossa, il colosso taiwanese riequilibra la sua produzione tra Cina e Stati Uniti, tema già caldissimo per Washington ma surriscaldato ulteriormente dopo il coronavirus e gli allarmi sulle catene del valore.

Festeggia l’amministrazione statunitense: per il segretario al Commercio Wilbur Ross si tratta di “un altro segnale che l’agenda politica del presidente” Donald Trump “ha portato a una rinascita della produzione americana”. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato invece che i nuovi chip a stelle e strisce del colosso taiwanese alimenteranno tutto, dall’intelligenza artificiale alle stazioni 5G fino agli F-35.

Ma anche la stampa rende l’onore delle armi alla Casa Bianca. “Una vittoria per l’amministrazione Trump”, scrive il New York Times sottolineando gli sforzi del presidente repubblicano per rafforzare le catene di approvvigionamento tecnologico (ma non solo) troppo concentrate in Cina, con tutte le implicazioni ormai arcinote sulla sicurezza nazionale. Arisa Liu, analista del Taiwan Institute of Economic Research intervistata dalla Nikkei Asian Review (testata giapponese che in queste settimane sta dedicando molto spazio alle questioni del reshoring dalla Cina), sottolineando la richiesta di “made in America” del presidente Donald Trump a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, ha spiegato: “Nell’era post coronavirus, diventerà più importante per gli Stati Uniti riportare a casa le catene critiche di fornitura di chip”. L’obiettivo finale degli Stati Uniti? “Continuare a dominare in campo tecnologica e non lasciare che la Cina li raggiunga”.

Solo tre giorni fa Alex Capri, visiting senior fellow alla Business School della National University di Singapore, analizzava sulla Nikkei Asian Review come l’industria taiwanese dei microchip sia stata presa in mezzo nella guerra tra Trump e Huawei. Un conflitto che interessa anche, come raccontato da Formiche.net, HiSilicon Technologies, azienda di semiconduttori interamente posseduta da Huawei e di cui Taiwan Semiconductor Manufacturing è uno dei principali fornitori.

La situazione di Taiwan e delle sue aziende, analizzava Capri, è assai complessa. Tra due fuochi — Cina e Stati Uniti —, in balia di questioni non soltanto economiche ma anche diplomatiche e di sicurezza nazionale. Il caso di Taiwan Semiconductor Manufacturing è esemplare: non può fare a meno della tecnologia statunitense ma neppure del mercato cinese (perché altri, come quello giapponese per esempio, non basterebbero nonostante l’interesse di Tokyo anche in chiave anti Cina e pro Usa). Per questo il colosso ha scelto di fare un regalo al presidente Trump e alla sua agenda a pochi mesi dal voto. Nella speranza che le misure dell’amministrazione statunitense non minino direttamente o indirettamente i suoi affari in Cina.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven lug 31, 2020 9:58 pm

La nomina di John R. Bolton e il Vello D’Oro dei due Stati
Niram Ferretti
23 Marzo 2018

http://www.linformale.eu/la-nomina-di-j ... due-stati/


“L’unica logica sottostante la richiesta di uno stato palestinese è l’imperativo politico degli avversari di Israele di indebolire e circondare lo stato ebraico, riducendo di conseguenza il suo potenziale di stabilire confini difendibili e sicuri. L’ironia crudele è che usando il popolo palestinese come la punta della lancia contro Israele, i suoi supposti sostenitori hanno causato ai palestinesi una protratta sofferenza. Il loro benessere economico, il loro potenziale per lo sviluppo e la prospettiva di vivere sotto un governo rappresentativo non corrotto sono andati persi nel tentativo di mettere in mora lo stesso diritto all’esistenza di Israele”.

Così scriveva John R. Bolton, una delle più brillanti intelligenze politiche e strategiche in circolazione, in un articolo apparso nel 2014 sul Washington Times. Oggi Bolton è diventato il nuovo Consigliere per la Sicurezza Nazionale al posto del generale McMaster. Per Israele la scelta non potrebbe essere migliore. L’ex ambasciatore americano all’ONU, già interno all’amministrazione di George W. Bush, è un ulteriore passo avanti verso il realismo che sempre più contraddistingue le decisioni di Donald Trump relative al Medioriente.

Dalla dichiarazione su Gerusalemme capitale di Israele, ai tagli dei fondi all’UNRWA, al Taylor Force Act, il disegno di legge inserito nella manovra di bilancio, il cui scopo è quello di sospendere all’Autorità Palestinese i fondi utilizzati per pagare i terroristi incarcerati, l’amministrazione Trump si sta muovendo con risoluta determinazione per smantellare uno dopo l’altro alcuni dei pilastri su cui per decenni si è appoggiato il governo di Ramallah.

In realtà, la stessa opzione dei due stati, feticcio inossidabile di tutte le presidenze americane dai primi anni ’90 ad oggi, e che John R. Bolton considera defunta, non è mai stata l’opzione rilanciata da Donald Trump. Di fatto, non si sa ancora, al di là di indiscrezioni, quale sia la forma definitiva del piano di pace ancora in cantiere alla Casa Bianca, e sul quale, inesorabilmente, l’ex ambasciatore Bolton esprimerà il suo parere. Da tempo egli è un promotore della soluzione dei “tre stati” la quale prevede l’annessione della popolazione palestinese in Cisgiordania alla Giordania e il ritorno di Gaza all’Egitto.

Sempre sul Washington Times nel 2014, Bolton scriveva “Per molti, mettere fine alla ricerca della ‘soluzione dei due stati’ sarà come rinunciare alla ricerca del Vello D’Oro…Nonostante ciò la nostra esperienza nell’arco degli ultimi decenni prova in modo conclusivo che né i palestinesi, né Israele, né gli Stati Uniti possano ottenere alcun beneficio nel continuare a perseguire un’illusione”.

Difficile dargli torto, soprattutto quando si pensa come lui che la diplomazia nei confronti di stati canaglia o gruppi terroristici funziona solo fino a un certo punto come ebbe a specificare in un suo articolo del 2009 apparso su The Commentary, in cui scriveva, “La diplomazia è uno strumento, non è una politica. E’ una tecnica, non un fine in se stesso. Premere, per quanto onestamente, affinchè ci confrontiamo con i nostri nemici, non ci dice nulla di quello che accadrà dopo le cortesie iniziali…Una diplomazia efficace deve essere un aspetto di uno spettro strategico più ampio che includa confronti pubblici brutali. Senza la minaccia di sanzioni dolorose, dure condanne, e anche dell’uso della forza, la diplomazia rischia di trasformarsi in un gioco per perdenti, in cui una parte resterà seduta per sempre nell’ingenua speranza di giungere a un accordo mentre l’altra parte agirà secondo la propria volontà”. In questo senso, Bolton non ha mai fatto mistero delle sue posizioni interventiste, sia al tempo della Seconda Guerra del Golfo, sia in merito all’Iran e alla Corea del Nord.

Quindici anni fa, allora sottosegretario di Stato, esprimeva il suo dissenso alla politica negoziale di Bill Clinton nei confronti di Kim Jung II. Gli era chiaro che non avrebbe portato a nulla di buono. Successivamente è stato uno strenuo oppositore dell’accordo sul nucleare iraniano. A gennaio di quest’anno dichiarava al Wall Street Journal, “Trascorrere i prossimi 120 giorni negoziando tra di noi lascerà l’Occidente impantanato in una stasi. Trump vede correttamente che l’accordo voluto da Obama è un errore madornale, ma i suoi consiglieri, incomprensibilmente, lo hanno persuaso a non uscirne”.

Sicuramente non sarà quello che lui gli consiglierà. Per Bolton, come per il nuovo Segretario di Stato, Mike Pompeo, al deal con l’Iran voluto da Barack Obama si può rimediare solo in un modo, affossandolo. Su questa posizione è perfettamente allineato con Benjamin Netanyahu e oggi anche con l’Arabia Saudita pronta a dotarsi di armi nucleari nel caso in cui l’accordo con l’Iran dovesse rimanere in piedi.

Con la nomina di John R. Bolton, Trump ha messo a segno una tripletta formidabile. Insieme a Mike Pompeo e a Nikki Haley all’ONU, il presidente americano ha ora accanto a sé tre figure fortemente dalla parte delle ragioni di Israele, e convinte come lui, che la priorità in Medioriente sia il contenimento dell’espansionismo iraniano il quale viaggia di pari passo con il suo depotenziamento come minaccia nucleare. Dopo Pompeo e ora con l’arrivo di Bolton diventa difficile scommettere che da qui al 12 di maggio, la deadline fissata da Trump all’Europa per emendare l’accordo sul nucleare con clausole più restrittive nei confronti di Teheran, quest’ultimo possa sopravvivere.



La morte di Soleimani e le conseguenze: Intervista a Daniel Pipes
Niram Ferretti
6 gen 2020

https://www.affaritaliani.it/blog/itali ... 45466.html


A seguito dell’uccisione in Iraq del Generale Soleimani, Italia Atlantica ha voluto sentire l’opinione di Daniel Pipes, ospite abituale del giornale e tra i maggiori esperti internazionali di Medioriente.

Questa intervista uscirà congiuntamente su L'Informale.

L’uccisione del Generale Qasem Soleimani decisa da Donald Trump ha colto tutti di sorpresa. Solo alcuni mesi fa Trump aveva dichiarato la sua intenzione di ritirare le truppe dalla Siria e di porre fine alle “guerre senza fine”. Quanto è coerente questa decisione con le sue azioni e decisioni precedenti?

È completamente incoerente. Trump agisce spontaneamente, senza alcuna strategia. Il suo approccio da cowboy ha il vantaggio di tenere i suoi nemici in una situazione di spiazzamento, ma significa che il governo degli Stati Uniti agisce incoerentemente e a volte in maniera contraddittoria.

Esiste una “dottrina” Trump relativamente alla politica estera e specificamente al Medioriente?

No, ci sono delle strutture vaghe, come essere tosti con gli alleati, ma gentili con i dittatori, ma nulla che assomigli a una dottrina.

Per quale ragione, secondo lei, Trump ha una atteggiamento morbido nei confronti della Turchia e un atteggiamento molto più duro verso l’Iran?

Lei sta evidenziando un altro aspetto dell’incoerenza di Trump. Forse pensa di potere recuperare la Turchia mentre non può farlo con l’Iran, forse ha interessi d’affari in Turchia mentre non li ha in Iran, forse ritiene che la Turchia sia irrilevante per la sua rielezione mentre l’Iran lo sia. Chi può saperlo?

L’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton ha acclamato la decisione di uccidere Soleimani come un passo positivo verso un cambio di regime in Iran. Lei è in favore di un cambio di regime?

Sì, lo sono. Sorprendentemente nessuna amministrazione americana dal 1979 in poi ha aspirato a un cambiamento di regime a Teheran. Spero, ma non mi aspetto che Trump abbia ripensato questa politica.

Ci stiamo avvicinando a un conflitto su larga scala in Medioriente che coinvolgerà gli Stati Uniti e Israele contro l’Iran?

Dubito che l’Iran si confronti direttamente con gli Stati Uniti perché non può vincere, ma userà mezzi indiretti, come la guerra cibernetica. All’opposto mi aspetto dei violenti attacchi iraniani su Israele. Dunque nessun conflitto su larga scala con gli Stati Uniti ma forse con Israele.

Il presidente turco Erdoğan sta preparandosi a mandare le sue truppe in Libia. Quanto è pericolosa questa situazione?

Sono poco preoccupato delle truppe turche in Libia, dove saranno solo un altro elemento nel miscuglio e più preoccupato in merito all’intesa che Erdoğan ha raggiunto con il cosiddetto Governo di Unità Nazionale. Quell’accordo ignora i diritti di altri paesi e minaccia l’accordo appena firmato per il gasdotto mediterraneo che va da Israele alla Grecia fino all’Italia. Se Ankara fa sul serio nella sua intenzione di fermare il gasdotto, la situazione potrebbe avere una escalation pericolosa.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven lug 31, 2020 9:58 pm

Da Washington ad Ankara a Roma. Ne vedremo delle belle con l’Obamagate
Radio Maria
7 luglio 2020

https://radiomaria.it/da-washington-ad- ... s.facebook


Anche sulla stampa USA, da oggi, lo scandalo che colpisce l’amministrazione Obama è su tutte le prime pagine. Ormai è chiaro al pubblico americano che l’amministrazione Obama ha posto in essere una serie di azioni illegali per cercare di incastrare il Presidente Trump e i suoi uomini. Il disegno è naufragato per vari motivi, ed ora sta venendo tutto fuori come uno tsunami. Il caso è esploso e i media non possono insabbiarlo perchè il Direttore della National Desecretion ha desecretato i nomi dei funzionari dell’amministrazione Obama che, durante la fase di transizione, hanno commesso crimini a rotta di collo, tentando di incastrare l’elemento forte dell’Amministrazione Trump, e cioè il generale Flynn. Costoro, su input di Obama, senza procedimento di Legge, hanno fatto spionaggio illegale ai danni di cittadini americani, costruendo prove false con l’aiuto dell’Fbi.
Il caso è un crescendo e la storia molto lunga e complessa, ma con questa mia sintesi potrà capirla chiunque, ma solo se si è disposti a leggere almeno per 10/15 minuti di fila mettendoci la testa. Chi pensa di poter capire tutto in 1 o 2 minuti di lettura en passant, non legga questo articolo.

Il NWO (Nuovo Ordine Mondiale) è quell’insieme di regole e rapporti sociopolitici che noi abbiamo chiamato Globalizzazione, un’ideologia che ci ha governato per quasi 30 anni, e che era ripartita, dopo lo stop della II° Guerra Mondiale, dagli anni 70 in poi covando all’interno di certe elite degli Stati Uniti. Nello sviluppo del NWO, sono stati coinvolti prepotentemente gli ultimi quattro governi Usa prima di Trump nonché tutti gli altri nel Mondo, interconnessi tra loro da un viluppo di filo di Arianna che se fosse stato ignorato, avrebbe ghigliottinato qualsiasi carriera politica non allineata al NWO, New World Order.
Per capire perchè il Sistema Globale stia per essere distrutto è necessario masticare un po’ di trame della politica Usa e la sua proiezione nel Mondo.
Il governo Renzi o quello Conte, l’OMS e il Covid 19, il modo di produrre un telefonino e il Pil della Cina, il petrolio e i convegni apocalittici di Greta Thunberg, i terroristi islamici e i colpi di stato, i migranti e i centri di accoglienza, insomma tutto dipende dalle trame della politica Usa, perchè nell’Impero capitalistico creato essenzialmente da massoni, tutte le strade portano a “Roma” (Washington).

Non è facile capire, dato che per anni i media hanno taciuto e manipolato tutto quello che conta e accade, non facendoci capire nulla, ma ci proverò per quanto mi è possibile.
Attraverso lo scandalo Russiagate, cioè l’accusa che Trump sarebbe stato eletto grazie a Putin, si voleva disarcionare il Presidente ostile al NWO, e ciò passava dall’amputazione del suo braccio destro, nonchè detentore della mentalità strutturata e più forte, anche se non visibile da tutti. Parlo del generale Flynn, con 33 anni di carriera nell’esercito al top, un carisma indiscusso tra i militari e alcuni anni alla NSA ( National Security Agency), la struttura spionistica Usa che spia tutto e tutti.
L’inquisitore di Flynn si chiamava Mueller e a sua volta giocava sul filo del rasoio, come tutti, perchè costui stava cospirando con la Russia, dove anche Putin giocava allo stesso identico gioco (teatrino politico), recitando due parti in commedia e cospirando, o facendo finta di farlo, con entrambe le due fazioni occidentali.
Mueller era a capo dell’FBI, struttura che dai tempi della guerra fredda costituisce il massimo esercizio di servizi alla Democrazia, quando una decina di anni fa fu scoperta una grande organizzazione russa. Essa includeva corruzione e riciclaggio di denaro, per espandere la forza dell’energia nucleare russa sul suolo americano, attraverso i buoni uffici di Hillary Clinton, la donna più luciferinamente intelligente al Mondo, da ispirare timori forse pure in George Soros, che a lei preferì Obama nel corso delle celebri primarie del 2008.
Tuttavia Hillary fu la numero 2° dell’Amministrazione Obama e il cortocircuoto 10 anni fa esplose in enormi questioni di soldi e potere tra le spie russe, alcuni oligarchi, e il Segretario di Stato Hillary Clinton. Obama fece seppellire tutto in modo che questo affare, noto come l‘uranio russo, potesse passare al Congresso senza distruggere Hillary, Obama, Soros etc. etc… I Repubblicani illo tempore dormivano, e se non dormivano leccavano il sederino di Hillary per un pugno di pozzi di petrolio qua e là. Al tempo filò tutto liscio, ma si misero cadaveri negli armadi e al cimitero, di cui ovviamente tenere a mente nel seguito.

Come hanno svelato in questi mesi nel dark web Q e le email hackerate da Assange nel 2016, Mueller (capo Fbi) consegnò personalmente l’uranio ai russi su ordine di Hillary, quindi immaginate come man mano si sia potuta creare una piscina ricolma di merda in cui sono stati a sguazzare Obama, Hillary, Bush (Jeb e quindi fratello e padre), McCain Mueller, McCabe, Rosenstein, Comey e tutto il deep state, cioè l’apparato di potere concreto di servizio alla Democrazia Usa, in maniera trasversale e inclusiva finanche della Russia di Putin e dell’Europa.
Si è perciò profilata a metà del primo mandato Obama, 10 anni fa, un’occasione per tutti quegli uomini di potere vittime del NWO (cioè altri massoni, politici, generali, piccoli banchieri e grandi industriali esautorati negli ultimi 25 anni) che nel 2016 si sono incarnati in Donald Trump, al quale possiamo pensare come un leader da tutti loro creato in senso di Presidente anti NWO.
Il generale Flynn è il fulcro dell’operazione Trump 2016, infatti fu preso di mira da Obama per primo, anche prima di Bannon, perché nella squadra del Presidente il generale rappresentava non solo una sorta di leader carismatico dell’esercito più potente al Mondo, ma colui che conosceva tutti i misfatti Dem o comunque una buona parte di essi, e che poteva riscontrarli oggettivamente e usarli con rigore militare e finalità politiche letali. Flynn è odiatissimo dal Deep state, perchè ha esposto l’amministrazione Obama, e quelle di George W. Bush, Bill Clinton e H.W. Bush all’onta della distruzione di tutto quanto abbiano realizzato in 28 anni, nonchè al pericolo di una damnatio memoriae. La morte accellerata del sen. McCain in una clinica dalle siringhe compassionevoli, con la bandiera spiegazzata sulla bara (pena imposta dall’esercito ai traditori non conclamati), è stata un pugno nello stomaco per i leader del NWO.
Con l’aiuto del Dipartimento di Stato, della CIA, dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia, i presidenti Usa avevano comandato il Mondo anche fondando e finanziando robe per noi apparentemente assurde, come l’ISIS, per lanciare un colpo di stato ora in Siria, ora anche in Turchia, operazioni complesse che si creano nell’arco di architetture di 20 anni di politica, costruendo cose come ONG, flussi di soldi e persone, carriere politiche, gruppi di terroristi eterodiretti, etc…
Per questo è così centrale nell’Obamagate la figura del generale Michael Flynn, il quale ha un back ground importante, avendo servito l’esercito in giro per il Mondo, e avendo prestato servizio nell’amministrazione Obama a capo dell’attività spionistica più strategica e potente: la NSA.

Ma andiamo per gradi.

Flynn era un pezzo molto pesante dell’Esercito e la cooptazione di Obama al Vertice – Obama gli diede la poltrona della Nsa- fu calcolata per ingessarlo e coinvolgerlo perchè pare sia un tipino di personalità molto difficile da manovrare. Obama fece un errore e aggravò il problema. A capo dell’NSA Flynn scoprì le prove che l’Amministrazione Usa negli anni aveva creato, finanziato e armato jihadisti, i quali poi avrebbero sventolato la bandiera dell’ISIS e compiuto massacri in ogni dove, ma essendo un uomo della Patria avrebbe dovuto obbedire, tacere e servire la Bandiera, cose che in effetti fece, ma l’ultima parte, quella dal risvolto sentimentale e non necessariamente egoistico razionale, a modo suo. Un generale Usa prende decisioni che fanno rientrare ragazzi di 25 anni a casa nei sacchi di plastica, quindi contempla il dovere di essere eroe, anche nel suo personale caso, un aspetto evidentemente non previsto dalle elite salottiera. Capirete presto che Flynn ha agito da politico consumato e calcolatore di rischi e benefici, ma anche da eroe che non ha paura di niente e nessuno.
Occorre sapere che il grosso dei traffici tra USA e Jihadisti (mussulmani deviati) si sono svolti in Turchia e in Giordania. Con l’aiuto della CIA, della NATO e dei Media, Obama cercò di rovesciare Assad in Siria, e ce l’avrebbe fatta se il direttore dell’Intelligence della Difesa, cioè illo tempore il generale Flynn, non si fosse messo di traverso svelando il suo particolare modo di servire la Bandiera. Flynn fu ovviamente punito, espulso dall’amministrazione Obama e infangato dai Media, e sarebbe stato un pensionato se non fosse, che il generale, non aveva voglia di andare a pescare.
Il generale Flynn, da pensionato, si mise a fare strategia politica e gruppo con altri personaggi marginalizzati dal NWO, tra cui il temutissimo Rudolph Giuliani, banchieri di secondo piano ma cervello fino, come Steve Bannon, e l’istrionico Donald Trump, un comunicatore dal carisma popolare su cui si poggia l’operazione Make America Great Again, concepita, dicono, dal generale Michael Flynn.
Da questo gruppo qui, e ovviamente da altri personaggi che non sto a citare, originano follie geniali, come ad esempio l’America che avrebbe dovuto sostenere la Turchia di Erdogan. Dobbiamo capire perchè, e la cosa riguarda pure l’Italia.
La Turchia è strategica perché è la patria di un tale Gulen, nemico giurato di Erdogan. Erdogan ha vinto per ora la sua battaglia contro il NWO, facendosi un colpo di stato finto, con cui ha poi potuto massacrare i complottisti veri in opera da anni dietro input di Gulen, cioè un bel piattino che Soros, Obama e in primis Hillary gli avevano preparato per desovranizzare la Turchia e portarla in Europa ad obbedire al fagocitante blob UE. Le relazioni tra i Bush, Hillary e i Re Sauditi, rivali della Turchia nella partnership agli Usa ai fini di gestire il Mondo Mussulmano, sono cruciali per capire l’intreccio in Medioriente.
Ma ecco che scende in campo il Bruce Willis che non ti aspetti, perché Flynn ha svelato e neutralizzato la più potente cellula terroristica dormiente del mondo (forte di finanziamenti per 20 miliardi di dollari), ben più potente dell’Isis. Mi riferisco al fantomatico Gulen, un burattino della Cia comandata dai Dem di area Liberal. Giova sapere che la madrina di tutto fu Hillary Clinton, la quale non solo manipolava il marito Presidente, ma soprattutto i Servizi della Cia. Hillary, che accanto aveva un certo Soros in gara a chi ne sapeva una in più del Diavolo, comprendeva molto bene che Gulen era un ‘corsaro’ sfigato e ricercato per attività terroristiche in Turchia e in altri Paesi, e per questo a fine anni 90 se lo portò in America intuendone il potenziale come pedina geopolitica. Nei fatti lo mise in squadra, prima di farsi eleggere senatrice al termine della presidenza Bill Clinton. Per rendervi l’idea Gulen possiede scuole charter di aerei degli Stati Uniti, quelle in cui i kamikaze dell’11 settembre 2001 si erano addestrati per compiere le prodezze sanguinarie alle Torri Gemelle di cui sappiamo a New York. Guarda tu le “combinazioni”!

Ma la rete di Gulen è nota perché anni dopo fu esecutrice della portentosa Primavera araba che squassò Africa e il Medio Oriente, con colpi di stato a gò gò e crisi migratoria attuata dalle Ong, di cui pure sappiamo noi durante gli anni di Obama e del nostro compassionevole PD, una congrega di pedine manipolate dai Dem Usa, che li consegnarono alla Merkel per esigenze di ordine, come tutti sappiamo.
Hillary in quegli anni ha generato la Primavera araba, poichè la rete di Gulen, come ha ben spiegato Flynn, era tutta roba sua dedita a colpi di Stato più o meno cruenti. La rete negli anni fu protetta trasversalmente e usata dalla seconda linee dell’Amministrazione Bush (Rumsfield e Cheeney su tutti) prima che Obama diventasse presidente, e Hillary, da Segretario di Stato ( ministro Esteri Usa) mettesse tutto a reddito politico incasinando e insanguinando il Mondo. In questa fase Obama e Hillary cozzarono con un unico grande avversario inaspettato, che un bel po’ li contenne: il generale Flynn.
Per vendicarsi, e per neutralizzare la minaccia di Flynn, la Casa Bianca di Obama lanciò una campagna di fughe di notizie mediatiche per distruggere il generale ‘complottista’ sei mesi prima della nomina di Mueller, che ovviamente fu un ‘cameriere’ di Obama.
Poi però, al termine degli 8 anni di Obama ci fu il boom Brexit seguito dalle elezioni di Trump, e le cose girarono un po’ male per i Dem Usa.

I Democratici sembrarono molto abili a imbrigliare il Regno Unito e quando Trump fu appena eletto, anche lui. In America dopo aver silurato un cervello elettorale come Bannon, ex capo strategist della Casa Bianca, i Dem attraverso il Deep state disarcionarono Trump dalla politica estera, facendo apparentemente fuori il suo cavallo migliore, Flynn, la furia dell’Esercito, facendo leva su una presunta ambizione di Pence, il vice presidente, che si prestò al gioco per tranquillizzare i nemici. Oggi sappiamo che fu tutto un teatrino, perchè Bannon e Flynn sono sempre rimasti in squadra con Trump, e il loro passo indietro, con offese reciproche sguaiate, fu una finta necessaria per poter oggi fare due passi avanti con il coltello tra i denti, mentre i Dem piangono, scappano e cercano di ribaltare tutto giocandosi il tutto per tutto con un avvelenamento dei pozzi.
Il prode Donald è un cavaliere senza macchia e senza paura, ma se fosse stato senza cavallo silurando realmente Flynn, sarebbe andato molto poco avanti. Tuttavia Trump finse di silurare il suo cavallo giocando a far credere che Pence fosse un traditore nei suoi confronti. In realtà da pochi mesi, il generale è tornato visibilmente alla Casa bianca a dare ordini al Deep state con Guantanamo ripristinata come viaggio “premio” spauracchio per funzionari fiancheggiatori di terroristi. Il panico a Washington è veramente scoppiato, tanto che i Dem e i banchieri hanno ceduto di schianto consegnando le chiavi della Fed a Trump, con tanto di mafiosi khazariani illuminati in difesa, tremolanti e smarriti, anche perchè la pantomima di sangue del covid 19 avrebbe dovuto sortire ben altri effetti, a quanto avevano spiegato le loro intelligenze sin da ottobre 2019 a New York.

Giova riconsiderare che la campagna diffamatoria contro Flynn partì nel 2017 e costrinse il generale a dimettersi dall’incarico di consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump, tra i sogghigni dei leader Dem, che perpetrarono negli errori inguauandosi sempre di più. Mueller era alle calcagna di Flynn e usò la sua autorità per inventare prima il “Turk’s Gate” , e poi con lo stesso schema, l’anno dopo, il “Russia’s Gate”, persuadendo Obama e Hillary di potersi mangiare Trump, pigiando il ventre molle apparente dell’Amministrazione Trump. Pence, il vice di Trump, è uomo della lobby delle armi e dell’Esercito, a cui l’asso di bastoni della famiglia Rothschild in persona aveva promesso 6 anni di presidenza se lui avesse eliminato Flynn e poi Trump, sullo schema tipo di Lyndon Jonhson (i Repubblicani obbedivano ai Rockefeller e nel 1964 candidarono Goldwater come sicuro perdente).
Come ho detto è stato un teatrino perchè sembrava che Pence avesse avuto interesse a giocare sporco per prendere il posto di un Trump deposto, ma sul più bello per i Dem, Pence ha dimostrato di essere molto peggio di un politico leale a Trump, cioè un uomo di Flynn! In realtà non era stato Pence a silurare Flynn, ma Flynn a dire a Pence e Trump di farlo, simulando uno sfondamento avvenuto in favore Dem per poi scatenare contro un avvolgimento a tenaglia (manovra insegnata da Annibale ai romani che la appresero a loro danno, e quindi poi a tutti i generali del Mondo).
Muller aveva accusato nel 2017 Flynn di essere coinvolto in una cospirazione per il rapimento di Fetullah Gulen e il suo ritorno in patria con una tangente di 15 milioni. Mueller era l’uomo di Obama che aveva ripulito i registri dei collegamenti terroristici con i musulmani e Obama/Hillary. Allo stesso modo l’FBI di Mueller aveva protetto la posizione della rete di Gulen per distruggere i rapporti di denuncia di Michael Flynn.

In conclusione, l’Amministrazione Trump ha sbaragliato l’esercito Dem e lo sta stritolando con un attacco a tenaglia usando tutti gli scheletri negli armadi, in primis la congiura contro Trump mediante Pence ( Russiagate) che inguaia Barack Obama dalla testa fino ai piedi. Trump e la sua squadra hanno l’Occidente in pugno scatenando l’Obamagate e in alleanza stile 2° Guerra Mondiale, con Regno Unito e Russia, stanno distruggendo a picconate il Nuovo Ordine Mondiale e la sua creazione Pivot della Globalizzazione, cioè l’Unione Europea. Inutile dirvi che il Pd e figure Obamiane e Merkeliane come Renzi e Gentiloni rischiano di finire la carriera politica come carne da cannone.
Secondo alcuni tutto ciò è perché degli esseri di luce vincono su quelli delle tenebre, il bene vince sul male, Dio c’è ed è più forte di Satana. Non saprei, ma per me, un cattolico liberale, alla fine di ogni storia irrompe dall’alto la manifestazione della Divina Provvidenza, che ispira l’Innominato, scatena la Peste, uccide Don Rodrigo, che muore rantolando tra le sofferenze dei suoi bubboni, e permette a Renzo e Lucia di uscire dal Lazzaretto per fare quello che vogliono della loro vita.
Alessandro Manzoni docet.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven lug 31, 2020 9:59 pm

Quante volte è fallito Donald Trump

Ecco tutti i casi in cui il miliardario ha fatto crack. E quanto ha perso ogni volta
8 aprile 2016

https://www.truenumbers.it/donald-trump-fallimenti/


“Comprereste un’auto usata da quest’uomo?” è la domanda ricorrente della politica americana, ma da quando sulle presidenziali 2016 si è abbattuto il ciclone Donald Trump sembra che l’intero quesito vada riformulato: non solo pare che il veicolo sia di terza o quarta mano, ma un esame più attento mostra anche che l’auto rischierebbe di essere pignorata.

“Non sono un fallito”

“Smettetela di dire che le mie imprese sono fallite. Non ho mai dichiarato fallimento, ma come molti grandi uomini d’affari ho usato le norme sulle aziende per trarne vantaggio. Abile, vero?”: a mettere una pezza sui suoi insuccessi imprenditoriali con questo tweet datato 19 giugno 2015 è lo stesso Trump, ma la realtà è un po’ diversa.

Dal 1991 ad oggi diverse società controllate dal candidato presidente Donald Trump hanno dichiarato fallimento in ben quattro occasioni. La procedura seguita dagli avvocati di Trump è quella del Chapter 11, la norma americana che consente a una società (distinta quindi dai suoi azionisti e amministratori) di rimanere in attività mentre tenta di ristrutturare i propri debiti. Si può affermare che se il suo patrimonio personale è stato toccato solo marginalmente da questi insuccessi, l’abilità imprenditoriale di cui Trump (nessuno, ad esempio, ha ancora calcolato con precisione quanti soldi ha) si vanta continuamente nei suoi discorsi è meno fondata di quanto si creda.

Il vizietto dei junk bond

Nel 1991 Donald Trump, che punta a vincere la nomination del partito repubblicano per la Casa Bianca, finanzia la costruzione del casino Taj Mahal di Atlantic City principalmente con junk bond, ma l’intera struttura accumula una mole spaventosa di debiti (secondo il New York Times solo quelli personali di Trump ammontano a 900 milioni di dollari) e il miliardario è costretto a dichiarare bancarotta secondo le procedure del Chapter 11. Per pagare i debiti Trump è costretto a cedere la metà del casinò, i suoi yacht e la sua compagnia aerea.


Passa solamente un anno e per “The Donald” Atlantic City si rivela un altro fiasco: il Trump Plaza Hotel della città del gioco d’azzardo del New Jersey ha perduto oltre 550 milioni di dollari e, come racconta ABC News, il miliardario cede il 49% della struttura a Citibank e ad altri creditori e viene completamente esautorato da qualsiasi ruolo operativo nella struttura.
Donald Trump sfortunato con i casinò

Nel 2004 sono ancora una volta i casinò a costringere Donald Trump alla procedura da Chapter 11: stavolta si tratta della società Trump Hotels and Casinos Resorts, che ha accumulato 1,8 miliardi di dollari di debiti. L’uomo col parrucchino più chiacchierato d’America deve ridurre il suo pacchetto di azioni al 25% e, secondo Associated Press, si trova anche costretto a iniettare nella società almeno 72 milioni di dollari del suo patrimonio per evitare il disastro.

Nel 2009, infine, la Trump Entertainment Resorts perde 53,1 milioni di dollari e il miliardario deve ricorrere al Chapter 11 per la quarta volta.

Il bello del “chapter 11”

“Ci sono centinaia di società che ricorrono al Chapter 11, è una procedura comune nel business, – ha dichiarato Trump – io l’ho fatto quattro volte e ho ottenuto dei risultati straordinari. Ho fatto un ottimo lavoro. Ogni persona di cui leggete sulle prime pagine dei giornali economici ha impiegato questa procedura”. In realtà, come mostra una ricerca della CNN, se si fa eccezione per recenti casi celebri come General Motors, Lehman Brothers e la maggior parte delle compagnie aeree statunitensi, negli ultimi 30 anni le società con un miliardo di dollari di capitale e oltre che hanno dichiarato bancarotta e ristrutturato il debito attraverso il Chapter 11 sono meno del 20%. Anche se Donald Trump non ha mai dichiarato personalmente fallimento, i quattro casi dal 1991 al 2009 fanno guadagnare a Donald Trump un posto di rilievo nell’ideale classifica di businessman costretti alla bancarotta e alla ristrutturazione.

(il 20% non poco ed è 1/5 delle imprese)


Il Chapter 11 (letteralmente "Capitolo 11") è una norma della legge fallimentare statunitense.
https://it.wikipedia.org/wiki/Chapter_11
Consente alle imprese che lo utilizzano una ristrutturazione a seguito di un grave dissesto finanziario. È una legge federale statunitense, ed i soggetti possono, in alternativa, ricorrere a leggi statali, spesso più rapide e snelle, per gestire situazioni di insolvenza.


Alberto Pento
Trump non è mai finanziariamente fallito come persona economica, ma sono fallite solo alcune sue società/imprese e tutte legalmente con il Chapter 11 (https://it.wikipedia.org/wiki/Chapter_11) che è la legge fallimentare USA; nessuna bancarotta fraudolenta, quindi nessun delitto, nessun crimine economico-finanziario è stato commesso da Trump, che non ha mai subito procedimente giudiziari a riguardo.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven lug 31, 2020 10:00 pm

TheWall
La costruzione del Muro al confine con il Messico ha raggiunto il traguardo delle 256 miglia (412 km).

L'Osservatore Repubblicano
31 luglio 2020

https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 859105892/


Supreme Court denies request to halt construction of the border wall
https://www.foxnews.com/politics/suprem ... order-wall

La Corte Suprema con una maggioranza di 5 a 4 ha negato la richiesta di fermare la costruzione del Muro al confine con il Messico in base alle "preoccupazioni" di natura ambientale sollevate da alcune associazioni ambientaliste.

Un'altra vittoria per l'Amministrazione di Donald J. Trump!


L'Amministrazione Trump ha deciso di interrompere le nuove protezioni DACA (programma dell'epoca di Obama che protegge dalla deportazione gli immigrati illegali arrivati da bambini), in quanto ha deciso di chiudere il programma.

https://www.facebook.com/elezioniusa202 ... 3695476050


La Corte Suprema aveva stabilito il mese scorso che la decisione dell'amministrazione di annullare il programma DACA (Deferred Action on Childhood Arrivals) era stata presa in modo "arbitrario e capriccioso", sebbene non si siano pronunciati sul merito e quindi sulla legalità del programma stesso, affermando che l'Amministrazione ha il potere di chiuderlo.

Il precedente tentativo di chiusura difettava dal punto di vista della motivazione.

Di conseguenza, il Dipartimento per la sicurezza nazionale (DHS) ha annunciato martedì che, considerando il futuro del programma, respingerà tutte le richieste iniziali di protezione, nonché le domande di documenti di autorizzazione all'occupazione.

"Mentre il Dipartimento continua a guardare la politica e considera le azioni future, resta il fatto che il Congresso dovrebbe agire su questa questione", ha detto il segretario ad interim alla sicurezza nazionale (DHS), Chad Wolf in una nota. "Ci sono importanti motivi politici che possono giustificare la piena risoluzione della politica DACA".

Verranno rinnovate solo le protezioni esistenti per un anno, anziché due.

Due settimane fa il presidente aveva dichiarato che nelle prossime settimane avrebbe firmato un ordine esecutivo, che comprendeva un "percorso per ottenere la cittadinanza" per i destinatari del DACA.

"Farò un grande ordine esecutivo, ho il potere di farlo come presidente e farà parte del DACA", ha dichiarato Trump in un'intervista con il presentatore di Telemundo Jose Diaz-Balart.
8 settembre 2017

https://www.foxnews.com/politics/trump- ... plications



???
USA - Cos’è il Daca e chi sono i “Dreamers”?
Joanna Walters, The Guardian - 5 settembre 2017

https://www.meltingpot.org/USA-Cos-e-il ... yZZwTVS-hM


Donald Trump sta rottamando il programma per i bambini portati negli Stati Uniti illegalmente varato da Obama. Qui tutto quello che c’è da sapere a riguardo

Traduzione a cura di: Emilia Sponsiello, Davide Spaccasassi

Martedì l’amministrazione Trump ha annunciato il suo piano per abolire il programma che assegna uno status di immigrazione temporanea a determinate persone arrivate illegalmente negli Stati Uniti, come i bambini. Il procuratore generale Jeff Sessions ha dichiarato che gli USA aboliranno la politica del “Deferred Action for Childhood Arrivals” (Daca) nel marzo 2018, gettando quasi 800.000 persone che attualmente beneficiano del programma in uno stato di disordine e paura. Adesso il congresso ha a disposizione fino ad un massimo di sei mesi per trovare una legislazione alternativa dopo che Sessions ha annunciato che "le nuove domande non verranno accettate”. Ma cos’è il Daca, chi sono i diretti interessati (meglio conosciuti come “Dreamers”) e cosa accadrà loro?

Cos’è il Daca?

Daca è un programma federale governativo creato nel 2012 sotto la presidenza Obama che permette alle persone portate negli Stati Uniti illegalmente, come i bambini, il diritto temporaneo di vivere, studiare e lavorare legalmente negli Stati Uniti. I soggetti che fanno richiesta devono possedere una fedina penale pulita, devono essere studenti o aver finito il percorso scolastico o militare. Passato il controllo, la loro espulsione è rinviata di due anni, con l’opportunità di rinnovo, potendo così ottenere servizi basici come patente, iscrizione al college o un permesso di lavoro.

Chi sono i "Dreamers"?

I soggetti a cui è mirata la protezione sono conosciuti come “Dreamers” e 787.580 persone sono state inserite in questo programma. Per fare domanda bisogna avere un’età inferiore a 31 anni al 15 Giugno 2012, data di inizio del programma, e non essere in possesso di documenti che attestino una legale immigrazione. Dovevano essere arrivati nel territorio statunitense prima del sedicesimo anno di età e averci vissuto dal luglio 2007. La maggior parte dei Dreamers vengono dal Messico, El Salvador, Guatemala e Honduras e si concentrano principalmente in California, Texas, Florida e New York, con un’età che si aggira tra 15 a 36 anni ad oggi, secondo la Casa Bianca.

Perché sono chiamati Dreamers?

Il Daca è stato un compromesso concepito dall’amministrazione Obama dopo che il parlamento rifiutò di approvare la cosi detta “Development, Relief and Education for Alien Minors (Dream) Act” che avrebbe potuto offrire a soggetti arrivati illegalmente come i bambini l’opportunità di ottenere una residenza permanente nello stato. La legge bipartisan fu introdotta per la prima volta nel 2001 e da allora è stata più volte rigettata.

Cosa ha annunciato Trump?

Durante la controversa campagna elettorale dello scorso anno Trump promise, tra le priorità, di abolire il Daca al più presto deportando un numero stimato come 11 milioni di persone sprovviste di documenti, insieme alle sue minacce di vietare l’accesso a tutti i musulmani e di costruire un muro lungo l’intero confine con il Messico. Fortunatamente non è ancora riuscito a mettere in pratica queste minacce.

L’amministrazione attuale ha annunciato che inizierà “un’ordinata, legittima sfoltita” del Daca, inclusa “la cancellazione del rapporto che autorizza questo programma”, indetto dal segretario per la sicurezza nazionale Janet Napolitano verso i direttori dell’immigrazione nel 2012, indicando che venisse interrotta l’espulsione dei Dreamers. Trump ha concesso sei mesi al parlamento per venirne fuori con una soluzione legislativa per risolvere lo stato attuale dei Dreamers. Essendo stato creato da Obama attraverso una legge esecutiva, Trump ha il potere di ribaltare la politica del Daca. Nel frattempo il presidente attuale statunitense ha indicato che in linea generale il governo non prenderà provvedimenti contro i beneficiari del Daca rispettosi della legge.


Cosa succederà ai Dreamers?

Nuove richieste sotto il programma Daca non verranno più accolte. Per gli attuali beneficiari, il loro stato legale e tutti i permessi relativi (come ad esempio per lavorare e frequentare il college) inizieranno a scadere nel marzo 2018, a meno che il parlamento approverà leggi che permetterebbero un nuovo capitolo per lo stato di immigrazione - temporaneo o permanente - e prolungando il diritto dei Dreamers a restare nel territorio nazionale fino al marzo 2020. Tecnicamente, quando questo diritto verrà a mancare, i sognatori potrebbero essere espulsi e mandati indietro nei loro paesi di origine, con cui molti di loro non hanno nessuna familiarità. Non è ancora chiaro se questo è il destino che il governo ha in serbo per loro. Il timore a riguardo è via via cresciuto fino all’annuncio di martedì. Persone il cui permesso di lavoro scade fra il 5 settembre 2017 e il 5 marzo 2018 potranno applicare un rinnovo fino al 5 ottobre.


Che cosa ha detto Trump riguardo i Dreamers?

Durante la sua campagna elettorale nel 2016, Trump dichiarò che la sua amministrazione “avrebbe voluto terminare immediatamente le due amnistie illegali messe in atto da Obama”, riferendosi al Daca e ad un altro provvedimento volto a proteggere i genitori - immigrati illegali - dei bambini in possesso delle condizioni legali per rimanere negli Stati Uniti. Trump cercò di liberarsi di questo secondo programma, il quale non passò il vaglio della corte e non produsse mai gli effetti desiderati. In un discorso nell’agosto 2016, nel North Carolina, quando parlando di povertà e facendo allusioni al sogno americano di molti cittadini statunitensi, Trump disse che era deciso a trovare una soluzione per i Dreamers. “Noi non vogliamo far male a quei bambini” disse, “amiamo i Dreamers”.
Martedì, ha aggiunto: “Ho avvertito il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale che i beneficiari del Daca non saranno le priorità principali a meno che siano criminali, coinvolti in attività criminali o membri di una gang”.
Perchè i procuratori di stato repubblicani hanno citato in giudizio Trump per il Daca?

Dopo aver visto Trump, appena salito in carica, fallire nell’emanare un provvedimento esecutivo per abrogare il Daca, e tergiversare sul destino dei Dreamers, i procuratori di stato repubblicani anti-immigrazione hanno deciso di spingere per questa decisione. Molti sostenitori della linea conservatrice dura adottata da Trump affermano che il Daca è incostituzionale e questi Dreamers sono non solo illegali, ma minacciano i posti di lavoro e la cultura americana.
Ken Paxton, procuratore di stato del Texas, ha inviato una lettera a Session (il quale si oppone al Daca) lo scorso giugno, minacciando di aggiungere il Daca ad un’altra causa anti-immigrazione in corso contro il governo federale ammesso che il programma non venga cancellato entro il 5 settembre. Questa lettera è stata firmata anche da parte dei procuratori di Alabama, Arkansas, Idaho, Kansas, Louisiana, Nebraska, South Carolina, Tennessee e West Virginia.
Il procuratore del Tennessee da allora ha fatto un cambio di rotta, supportando il Daca e trovando un soluzione legislativa permanente per coloro che sono nel limbo dell’immigrazione legale.


Chi supporta il Daca?

Oltre ai difensori dell’immigrazione e la maggior parte dei politici democratici, a quanto sembra una maggioranza di politici nazionali all’interno del partito repubblicano non vogliono che Trump elimini il Daca, incluse figure importanti come il portavoce della casa bianca Paul Ryan e il senatore dell’Arizona John MaCain. Un notevole gruppo di leader evangelici hanno scritto a Trump lo scorso mese dicendo che i Dreamers “sono colonne portanti nelle nostre chiese e nelle nostre comunità”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven ago 14, 2020 6:12 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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