Trump Donald

Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom giu 12, 2016 6:21 am

Presidenziali Usa, sempre più islamici si iscrivono per votare contro Trump
La comunità spinge per portare al voto centinaia di migliaia di persone soprattutto negli Swing States, quelli in bilico tra The Donald e Hillary Clinton nel voto di novembre
11 giugno 2016

http://www.repubblica.it/esteri/elezion ... -141776749

WASHINGTON - Pronti a votare, per togliere a Trump gli Stati in bilico del Midwest. Negli Usa si registra un fenomeno finora sconosciuto, l'iscrizione in massa di cittadini americani di fede islamica alle liste degli elettori che tra qualche mese sceglieranno tra Donald Trump e Hillary Clinton.

Dire che si tratti di un fenomeno di massa in realtà è quasi un'iperbole, dal momento che in tutto la comunità musulmana ammonta ad uno scarso punto percentuale della popolazione complessiva, ma non è questo il punto.

Quel che conta è che finora quell'uno per cento si considerava avulso, se non estraneo, alla partecipazione alla vita pubblica, mentre adesso freme per far sentire la propria voce, e non importa quanto debole essa possa essere.

Non è il verbo della democrazia partecipata predicato da Bernie Sanders a spingerli verso la cabina elettorale, ma il gelo che avvertono attorno a sè dallo scorso dicembre, da quando cioè una coppia di terroristi attaccarono un centro per disabili a San Bernardino in California. Syed Rizwan Farook e Tashfeen Malik, marito e moglie ed una vita votata all'intolleranza, uccisero 14 tra giovani ed anziani, e proclamarono di averlo fatto in nome e per conto dell'Is.

Il giorno dopo l'allora pittoresco pretendente alla nomination repubblicana Donald Trump esplose promettendo "la completa e totale chiusura dell'accesso agli Stati Uniti ai musulmani". Non pensava, probabilmente, quello che oggi è un candidato alla Casa Bianca che tutti sono costretti a prendere sul serio, che i musulmani in America ci sono già, e non sono pochi. E adesso che per l'appunto Trump si gioca i destini loro e del resto del paese, hanno scelto democraticamente di sbarrargli la strada.

L'idea è stata dello United States Council of Muslim Organizations, che raccoglie la maggior parte delle organizzazioni del variegato mondo islamico americano. "Quando ad essere in pericolo è la tua stessa esistenza nella società in cui vivi, l'unica cosa che puoi fare è mobilitare quelli come te", ha spiegato il segretario generale Oussama Jammal. dando l'idea. L'idea è questa: portare di qui a novembre un milione di musulmani a iscriversi nelle liste elettorali, per cercare di determinare l'esito delle presidenziali.

Non a caso l'azione è concentrata su alcune aree in particolare, a cominciare dagli swing states, gli stati in bilico tra Hillary e The Donald, dove anche un pugno di voti può fare la differenza. Ne bastano davvero un pugno: "Poche migliaia e si può decidere un intero stato", spiegano gli esperti dei flussi elettorali. Sono, in buona parte, gli stati del Midwest, proprio quelli dove sono più facilmente ospitati gli americani della prima generazione, o gli immigrati ormai naturalizzati.

Gli effetti iniziano già ad essere visibili: si è iscritto già il 60 per cento della comunità, ma la cifra ancora non è giudicata sufficiente, ed in effetti la percentuale tra gli ebrei ed i cattolici, ad esempio, è molto più alta e raggiunge l'86. Ma il trend è in crescita, spinto in parte dall'ansia di sentirsi pieni cittadini, in parte maggiore dall'ansia generata del timore di una vittoria di Trump.

Uno studio sull'islamofobia compiuto dall'autorevolissima Georgetown University, e pubblicato a maggio, dimostra dati alla mano che il problema è reale: da quando Trump ha preso a bombardare verbalmente i musulmani, "gli attacchi su suolo americano contro i musulmani sono triplicati, e metà di questi sono stati portati a termine contro moschee e luoghi di culto".

Le probabilità di un musulmano di essere vittima di episodi di discriminazione religiosa o violenza sono raddoppiati, spiega ancora il report ("When Islamophobia turns violent: the 2016 Presidential Elections"), e all'indomani delle affermazioni più violente del candidato repubblicano episodi di grave intolleranza si sono ripetuti più di una volta al giorno.

Un effetto grave quanto prevedibile. Quello imprevedibile è stata la corsa dei musulmani ad ingrossare i registri elettorali di una democrazia dove l'affluenza alle urne è più bassa che non in Italia. E dove quindi anche un milione di voti contano tantissimo, forse il doppio, forse tutta la posta.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun giu 13, 2016 5:41 am

Strage Orlando: Trump, Obama si dimetta
Candidato repubblicano, basta con il politically correct
Redazione ANSA ROMA
12 giugno 2016

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/n ... 5f550.html

(ANSA) - ROMA, 12 GIU - "Nelle sue dichiarazioni oggi, il presidente Obama si è rifiutato vergognosamente perfino di pronunciare le parole 'islam radicale'. Solo per questo motivo, dovrebbe dimettersi". Lo ha dichiarato il candidato repubblicano Donald Trump in un comunicato. "Non possiamo più permetterci di essere politically correct", ha aggiunto. Quindi si rivolge anche a Hillary Clinton: "Se Hillary Clinton, dopo questo attacco, non riesce ancora a pronunciare le parole 'islam radicale', dovrebbe uscire dalla corsa presidenziale", ha dichiarato.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mar giu 14, 2016 8:28 pm

A maglie - la strage di orlando arriva come un regalo inaspettato alla campagna di trump
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
14 giu 2016 18:09

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 126758.htm

La strage di Orlando è arrivata come un regalo insperato alla campagna di Donald Trump che viveva un momento di stanca, i suoi avversari di partito pronti a tentare ancora una volta una congiura di palazzo, la Clinton in risalita dopo la conquista della nomination democratica, il gigantesco gruppo di comunicatori dem preparato a sferrare un attacco formidabile al razzista, inaffidabile, cialtrone, bancarottiere, evasore fiscale, populista Donald?
Oppure la strage di Orlando è arrivata come un evento inevitabile e annunciato, da San Bernardino in avanti, proprio dal candidato repubblicano, che allora propose di bloccare temporaneamente le frontiere e fu messo all'indice come un clown che mai e poi mai sarebbe riuscito a scalare la stagione delle primarie?

Le domande sono tante, spesso poste malissimo da media avvelenati con The Donald, mai come quest'anno lontani dalla difesa del cittadino dal potere, vicinissimi al fastidio del potere che non controlla tutti e due i candidati. Non sarà un caso se un sondaggio Gallup rivela che gli americani stanno perdendo fiducia nei media, dal 20 al 10 per cento negli ultimi dieci anni, assieme al crollo delle tv, dal 31 al 21 per cento.

Il politically correct imposto da Obama sulla strage ha trasformato per qualche ora gli States in Corea del nord, ma è durato poco, il tempo che le notizia prevalessero, e a dire il vero, che Hillary Clinton si ricordasse di essere in campagna elettorale, facesse a Obama il gesto dell'ombrello e le pronunciasse le due parole tabù, sia pure in ritardo:Islam radicale.

Poi ha tirato fuori un sapiente progetto di lotta al terrorismo condotta con la polizia e i servizi segreti ai cosiddetti lupi solitari; peccato che quel tipo di indagini e di provvedimenti si possano intraprendere con un qualche successo solo se si accantonano una serie di libertà civili , di facilitazioni di ingresso, e di concessioni alla privacy, che costituiscono la parte integrante del suo programma presidenziale.

Trump invece se ne infischia, e all'americano arrabbiato e spaventato questo suona come garanzia in una fase nella quale di garanzie si sente privo. Un esempio da Florida Today, ché i giornaloni sono un po' stitici di investigative reporting in questa vicenda. Un ex collega del terrorista, Daniel Gilroy, già agente di polizia, che ha lavorato con lui nel 2014 e 2015, racconta di essersi lamentato con il capo del comportamento instabile e delle dichiarazioni pericolose di Omar Mateen.

I due erano impiegati come guardie armate del G4S, un istituto di vigilanza che protegge importanti edifici federali. Alle denunce di Gilroy, il capo rispose che non poteva far niente contro Mateen, perché “è musulmano”. Finì che l'altro cominciò a minacciarlo, forse aveva saputo, fino a trenta messaggi al giorno, e lui decise di licenziarsi e andarsene lontano da uno che parlava sempre di uccidere gente.

Che è poi la stessa cosa di quella coppia di San Bernardino che dopo la strage ammise di aver avuto sospetti, ma di aver taciuto per paura di esporsi come razzista. Che è poi quel che Trump va denunciando da mesi, che l'America non è in grado di difendersi perché è guidata da leader deboli e conniventi.

Nelle ultime 48 ore, New York Times, Washington Post, Politico.com, ma anche numerosi e infiniti dibattiti di Cnn e Cbs, hanno sottolineato l'occasione mancata da Trump, che per colpa di una “lack of empaty”, mancanza di empatia, avrebbe perso l'occasione offertagli da Orlando. Che cosa significa? Che in queste occasioni il Paese si unisce, mette da parte le note polemiche, nessuno rivendica di aver ragione, il presidente non si attacca, le cerimonie di lutto e ricordo si fanno con preti, rabbini e imam tutti assieme appassionatamente.

Invece il candidato repubblicano ha accusato Obama di essere o incapace o in malafede, e lo ha invitato a dimettersi, tra lo sconcerto dei notabili repubblicani e dei commentatori conservatori moderati, i quali si sarebbero detti, e se lo sono detto in tv e ai giornali: con questo irresponsabile le possibilità di vincere sono zero, non è capace di allargare l'area del consenso agli indipendenti, non si presenterà mai come un comandante in capo responsabile e affidabile, uno che nei momenti tremendi non perde la testa.

Oggi però proprio sul Washington Post il columnist Chris Cillizza è costretto a raccontare di essere stato sommerso da messaggi che affermavano il contrario di quanto da lui sostenuto, ovvero che un sacco di “smart people”, di bella gente, anche fra i democratici, gli ha detto che Donald Trump ha ragione a trattare così un gesto di terrorismo, e che la gente non ha nessuna voglia di empatia, ma di forza e leadership. Non avevano dichiarato subito dopo le stragi di Parigi, e ancora prima di San Bernardino, sei americani su dieci di sentirsi in guerra?

La visione convenzionale americana delle cose, conclude sconsolato Cillizza, è cambiata, a nessuno in realtà interessa tenere insieme il Paese, gli interessa che ci sia qualcuno che con gusto e rabbia denuncia gli errori, e una risposta dura da un comandante in capo. In questo clima non solo Obama appare inadeguato, rischia danni seri la campagna della Clinton ogni volta che Trump ricorderà quella frase pronunciata al Council of foreign affairs “ mettiamo una cosa bene in chiaro, l'Islam non è nostro avversario, i musulmani sono un popolo pacifico e tollerante, che nulla ha a che fare con il terrorismo”.

Nel dibattito americano, e nella diatriba pro e contro Trump, l'Europa ha un suo posto., come luogo infelice e incosciente che corre verso il baratro, nel quale le elites progressiste al pari di quelle americane si preoccupano più di evitare l'islamofobia che di suonare l'allarme sui pericoli per la popolazione e per la cultura. Scrive the American Spectator che della parola diversità non se ne può più, e che non se ne può più di sentir dire che è razzista voler vivere secondo i valori occidentali e voler resistere a importare persone che aumentano la possibilità di essere uccisi.

La fortuna dell'America non è stata nella diversità, ma nella capacità di superare i problemi della diversità, facendo sentire e agire tutti da americani. Il generale Carl Spaatz, che rase al suolo mezza Germania, era di origine tedesca.

Questa certezza sta scomparendo, l'America comincia a sembrare l'Europa, una terra di conquista, invasa da gente che vuole tutti i diritti, anche la cittadinanza, e pretende di cambiare le regole, che brucia la bandiera a stelle e strisce e agita quella messicana. Gli apostoli del multiculturalismo e della diversità stanno a guardare in silenzio, conclude the American Spectator. Compreso il presidente degli Stati Uniti.

Detta così, sembra che gli Stati Uniti sotto choc non possano che affidarsi a Donald Trump. Ma la campagna è lunga, e quella del fango qualche arma ce l'ha.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab giu 18, 2016 10:21 pm

Primarie fatte a maglie - ‘the donald’ show a dallas, l’incubo terrorismo domina la campagna
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
TRUMP TRUMP

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 127028.htm


Un fucile immaginario in mano, montando un cavallo meccanico che non c'è, sotto il sole da quaranta gradi, Donald Trump a Dallas fa Donald Trump alla Gilley South Slide Ballrooom, con una fila di tre mila persone che lo acclama, dietro l'angolo alcune centinaia di manifestanti incazzati che sventolano bandiere del Messico. In mezzo quasi duemila poliziotti in tenuta antisommossa.

Che gli vuoi dire, più sceneggiata di così non si può, è la rappresentazione perfetta della campagna 2016 un anno dopo, sfottò con la stampa incluso. Sì, perché un anno fa aveva annunciato l'intenzione di candidarsi alle primarie, e tutti risero tranne lui, soprattutto rise a Dallas il senatore Ted Cruz, finito nel tritacarne di Trump. “Vedrete come vinceremo in Texas vedrete”.

Lo presenta un deputato ,Michael Burgess, che lo avversava platealmente,, ma ora è eccitatissimo “Sostengo quest'uomo, le cose per cui si batte, farà di nuovo grande l'America”. Sulla storia del cavallo meccanico Trump si impappina,” Dov'è il cavallo, mi hanno detto che ce ne sono da queste parti e ti buttano giù", poi si riprende, evoca Urban cowboy, si propone di non essere disarcionato, ma tanto, conclude “ se anche ci riuscissi,scriverebbero che sono caduto e che è stato terribile”.

Poi si fa serio per accusare la stampa e le tv, che già non gli piacevano durante le primarie, spiega,ora sono diventate disoneste e brutali, per questo vincere l'8 novembre sarà un po' più difficile. In Texas, nonostante il caldo soffocante, il settantenne Trump si ferma, la sera prima ha partecipato a un pranzo di raccolta fondi, da 500 a 250mila dollari un posto al tavolo, domani va a Houston.

Più che brutale, l'informazione di questa campagna presidenziale è confusa e disorientata perché uno dei due candidati, erano partiti in diciannove, non risponde ai criteri tradizionali, e perché ce l'ha fatta nonostante quelle risate cominciate un anno fa siano continuate sistematicamente fino a poco fa. Dei conformisti, questo si sono rivelati la maggior parte dei giornalisti americani tanto osannati.

Ora però l'attacco come la confusione sono diventati più intensi, Orlando ha fatto la differenza. I titoli, messi in fila dal web, da un sito puntuale come Real ClearPolitics, li riflettono New York Post:Obama ancora mente sul terrore a Orlando; Boston Globe: Basta con la violenza armata, al bando le armi d'assalto; Wall Street Journal: Corso educativo sulle armi d'assalto; Reuters :Il nazionalismo jacksoniano di Trump è un appello a svegliarsi; NYPost, editoriale di John Podhoret: Obama ha trasformato l'attacco terroristico in guerra alle pistole; New York Times, editoriale di Stanley McChrystal: La nostra patria non dovrebbe essere zona di guerra.

Che poi è una frase condivisibile, chi mai vorrebbe la guerra in casa? Il punto è se la colpa sia delle armi o della quantità smisurata di musulmani che entrano e restano nel Paese con permesso permanente e senza, e di controlli di polizia dimostratisi inesistenti. Trump non ha sollevato la questione in Texas,limitandosi a ribadire quel che dice da un anno: si entra solo dopo accurati controlli, se questi controlli non ci sono e serve tempo per ripristinarli, allora meglio un bando temporaneo, il tempo di attrezzarsi.

Potrebbe sembrare una misura ragionevole, dopo tutto in Europa si costruiscono muri e si alzano reti, uno dei Paesi più importanti vota per andarsene, e tra gli argomenti di dissidio ci sono i profughi, altri vorrebbero seguirlo; eppure ripugna al politically correct, peggio appare come un affronto al sistema di costruzione della società americana.

Così lo speaker della Camera, Paul Ryan, repubblicano, riottoso sostenitore alfine di Donald Trump,uno che spera come Marco Rubio che si perda ora per provarci lui nel 2020, anche se già ha preso un bagno come vice di Mitt Romney nel 2012, sostanzialmente un cretino, dichiara che se Trump diventa presidente e insiste con la storia del bando, lui lo porta in giudizio perché vorrebbe dire che supera i confini dei poteri presidenziali.

Si può dire queste cose del proprio candidato e credere di essere presi sul serio su qualunque argomento presente e futuro? E' il 2016, bellezza, stracci del Gop volano nell'aire, ma non è che dall'altra parte, con Bernie Sanders che sfoglia la margherita e il pericolo della sua amica Elisabeth Warren incombente alla vice presidenza, stiano messi meglio. Hillary Clinton su terrorismo e Medio Oriente deve trovare una exit strategy da Barak Obama, ma anche dai suoi finanziatori generosi in quell'area del mondo.

Anche perché terrorismo e immigrazione dal Medio Oriente si tengono, la polemica non è destinata a scomparire, nuovi e freschi dati affluiscono. La Sotto Commissione del Senato sull'Immigrazione e l'Interesse nazionale ha appena reso note le cifre dal 2009 al 2014, ovvero dall'inizio della presidenza Obama a un anno fa. Sono state emesse 832mila green cards, la maggioranza delle quali a nazioni prevalentemente musulmane ,ovvero Pakistan (102,000), Iraq (102,000), Bangladesh (90,000), Iran (85,000), Egitto (56,000), Somalia (37,000).

La cifra non comprende i visti temporanei per studio e turismo, e ignora del tutto il numero di coloro che entrati in questo modo sono poi rimasti illegalmente negli Stati Uniti. Con la stessa media anche nel 2015 e metà di 2016, si supera il milione di visti permanenti, che sono l'anticamera della cittadinanza. Sono tutti amici dell'America, grati cittadini fuggiti da luoghi di inferno e povertà, ansiosi di abbracciare i valori del nuovo Paese?

Che fine ha fatto the American Dream? Ospitando nel suo programma alla Cnn il repubblicano Ben Carson, già aspirante candidato, che ora suggerisce un test di lealtà per i musulmani nei pubblici uffici, il giornalista Jack Tapper si inalbera e giura che mai ha conosciuto un solo americano musulmano e osservante che trami contro il Paese o non lo accetti.

Sono sciocchezze da conduttore che deve arrivare alla fine della diretta tv e far contenti i democratici, ma quest'anno non passano. Perché la scorsa settimana, rispondendo a un sondaggio di Polling Co., il 51 per cento dei musulmani ha detto che vorrebbe essere governato secondo la legge della Shariah, e il 60 per cento di quelli sotto i trent'anni ha dichiarato serenamente al Pew Research che si sentono più leali all'Islam che all'America.

E' quello che sentono dire nelle moschee, ma non solo durante i discorsi del venerdì, anche in dichiarazioni pubbliche dei rappresentanti dell'Islam in Us. Omar Ahmad, fondatore del Council on American Islamic Relations, il primo gruppo di lobby musulmana a Washington: “L'Islam non in America per essere uguale alle altre fedi, è qui per diventare dominante. Il Corano dovrebbe essere la più alta autorità e l'Islam l'unica religione consentita sulla Terra”.

Imam Siraj Wahhaj, direttore di the Muslim Alliance in North America: “ Col tempo questa cosiddetta democrazia crollerà, non ne resterà niente in piedi, la sola e unica cosa che resterà sarà l'Islam”. L'imam Shakir, fondatore del Zaytuna College a Berkeley, California.: “Se mettiamo in piedi una infrastruttura nazionale e perfezioniamo le nostre risorse,in poco tempo ci prendiamo il Paese. Quale grandiosa vittoria sarà per l'Islam mettere questa nazione sotto il controllo e il rango dei musulmani”.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven lug 01, 2016 5:07 am

“Regina del caos”, il vero volto di Hillary Clinton
Diana Johnstone, “Hillary Clinton regina del caos”, pagine 247, euro 15,00, Zambon Editore
(30 giugno 2016)

http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... ry-clinton

Disonesta e opportunista. Spietata e guerrafondaia. Con legami oscuri con l’Arabia Saudita. Un libro della giornalista americana Diana Johnstone offre un documentato controcanto alla narrazione prevalente sulla donna che potrebbe diventare il prossimo presidente della superpotenza americana. In questa intervista l’autrice ci spiega perché la Clinton non è un “male minore” rispetto a Trump.

intervista a Diana Johnstone di Fulvio Scaglione

Esperimento. Prendere la biografia autorizzata di Hillary Rodham Clinton, uscita nel 2004 col titolo Living History (in Italia come La mia storia, la mia vita). E poi prendere il libro scritto dalla giornalista americana Diana Johnstone, biografia politica e certo non autorizzata della stessa Hillary, intitolato Hillary Clinton regina del caos, da poco pubblicato da Zambon Editore. È un tuffo vertiginoso non solo da un’epoca all’altra ma da un mondo all’altro. Là la Clinton è, fin dalla copertina, la moglie di successo di un uomo di successo, una signora glamour perfetta anche per il country club. Qua è una donna che fa l’uomo politico, dura, spietata, segnata anche in viso dalle lotte per arrivare al vertice, abile manovratrice nei corridoi del potere. Piccolo particolare: è questo, non quello, il personaggio che ha tutte le carte per diventare il prossimo presidente della superpotenza americana. Il libro della Johnstone, nel suo controcanto alla narrazione prevalente, è già imperdibile. Ecco allora qualche approfondimento dalla sua viva voce.

Quando ha cominciato a interessarsi a Hillary Clinton? E quale ritiene sia l’aspetto più pericoloso della sua personalità politica?

“A dire il vero, non ho mai trovato Hillary Clinton interessante. E’ sempre stata troppo ambiziosa, disonesta, opportunista e limitata nella sua visione del mondo per essere interessante. Ma la sua reazione all’assassinio di Mohammar Gheddafi (“Siamo venuti, abbiamo visto, è morto”, seguito da una gran risata) ha rivelato una rara bassezza morale e una totale assenza di compassione e decenza. Con in più la volgarità di alludere a una citazione pretenziosa, senza dubbio preparata in anticipo dai suoi consiglieri per rafforzare la sua immagine di campionessa del “regime change”. E’ proprio questo l’aspetto più pericoloso della sua personalità politica: l’assenza di qualunque rispetto o sentimento umano nei confronti di coloro che lei considera suoi nemici. Quelli che non le piacciono meritano semplicemente di essere eliminati. La donna che sostiene serenamente che Vladimir Putin “non ha l’anima” non può certo portare la pace nel mondo”.

Molti sembrano pensare che, se Hillary arriverà alla Casa Bianca, sarà suo marito Bill, in realtà, a guidare l’amministrazione. Lei che cosa ne pensa?

“A dispetto del loro insolito matrimonio, i Cinton hanno sempre fatto lavoro di squadra. Se lei sarà eletta, lui avrà il suo ufficio alla Casa Bianca, proprio come l’aveva lei quando era First Lady. Tra loro ci sarà una consultazione costante. Difficile però dire se sarà poi lui a guidare l’amministrazione, anche perché lei è più tenace e testarda di lui. Fu lei a spingere Bill a bombardare la Serbia. Hillary è molto impopolare e con ogni probabilità cercherà di usare Bill per le pubbliche relazioni. Il maggiore ostacolo a un “terzo mandato” di Bill è la salute: nel 2004 ha avuto un’operazione al cuore per un quadruplo by-pass, seguita da un’operazione al polmone. A 70 anni è molto meno dinamico di Bernie Sanders che di anni ne ha 74. Bill non è più in grado di assumersi responsabilità così pesanti”.

Hillary Clinton e l’Arabia Saudita, una pagina molto oscura della sua carriera politica. Perché negli Usa è così difficile dire la verità sui sauditi?

“All’epoca della crisi in Bosnia, quando l’Unione Europea avrebbe potuto trovare una soluzione di compromesso, l’amministrazione Clinton trovò conveniente schierarsi con i musulmani. In parte, questa alleanza è la continuazione della politica di Brzezynski, cominciata in Afghanistan e basata sull’idea di sfruttare gli estremisti islamici per attaccare il “ventre molle” della Russia. Aiutare i musulmani contro i serbi cristiano-ortodossi fu visto anche come un modo per compensare il tradizionale appoggio a Israele. Ma soprattutto l’alleanza con l’Arabia Saudita è considerata essenziale sia per regolare il prezzo del petrolio (strumento ora usato per indebolire la Russia) sia per finanziare il complesso militar-industriale con le gigantesche spese saudite per comprare armi americane. Hillary Clinton, con gli intensi rapporti che ha con Huma Abedin (per lunghi anni assistente personale della Clinton e figlia di dirigenti della Lega islamica mondiale, n.d.r) e con il denaro saudita, ha sposato questa alleanza con raro entusiasmo. Negli ultimi tempi, però, l’alleanza con l’Arabia Saudita sta subendo molti attacchi politici negli Usa, sia perché cresce il sospetto che i sauditi fossero implicati negli attentati dell’11 settembre, sia per lo sdegno causato dalle atrocità dell’Isis, che attirano anche l’attenzione sulla promozione del fanatismo islamista che l’Arabia Saudita persegue in ogni parte del mondo. Queste critiche potrebbero produrre qualche risultato politico se dovesse vincere Trump. Se vincerà Hillary, invece, non cambierà nulla”.

Hillary Clinton, Samantha Power, Susan Rice, Madeleine Albright… Lei è molto critica nei confronti delle donne che hanno un ruolo importante nella politica americana. Proprio mentre si esalta come una conquista il fatto che una donna possa diventare Presidente…

“Negli Usa la vita politica non tende a tirar fuori il meglio delle donne. Ne conosco molte che ammiro per la loro opposizione alla politica bellicista degli Usa. Ma difficilmente diventano note al grosso pubblico, ancor meno riescono a ottenere incarichi importanti. Rispetto moltissimo Cynthia McKinney, che ha perso il seggio al Congresso proprio per le sue critiche alla politica Usa in Medio Oriente. Applaudo l’azione di Tulsi Gabbard, anche lei membro del Congresso, che ha fatto il servizio militare in un’unità medica durante la guerra in Iraq e ha rotto con i Clinton proprio per la sua opposizione alle guerre basate sul regime change. In breve, ammiro molto più le donne che affrontano le sconfitte di quelle che sono circondate dall’aureola del successo”.

Ma le donne americane, alla fine, voteranno per Hillary?

“È una questione generazionale. Le donne anziane sono le sue più entusiaste sostenitrici, e spesso l’unica ragione che riescono ad addurre è proprio che è una donna. La maggioranza delle donne giovani alle primarie ha votato per Bernie Sanders. Anzi: le donne giovani erano la prima linea della campagna di Bernie. Certo, i commenti di Trump sulle donne sembrano rivelare l’intenzione di scatenare una guerra tra i sessi. Sta facendo di tutto per esser sicuro che il voto delle donne vada a Hillary”.

Molti, anche in Italia, pensano che in ogni modo Hillary sarà un “male minore” rispetto a Trump.

“Questa campagna presidenziale potrebbe rivelarsi un caso unico nel mettere una contro l’altra le due persone più detestate del Paese. Per molti votanti sarà difficile scegliere il “male minore”. Agli europei piace di più Hillary perché i media si sono dati molto da fare nel dipingerla come il candidato ragionevole e civilizzato in opposizione al pazzo scatenato Trump. Lui, in ogni caso, dice di voler trovare un accordo con la Russia, il che segna un punto a suo favore. Gli europei non dovrebbero preoccuparsi di chi vincerà le elezioni ma piuttosto di che cosa significhi per il mondo la leadership degli Usa. Questo è il vero tema del mio libro. Gli europei devono smettere di raccontarsi favole sull’America e riconoscere il pericolo che rappresenta per l’Europa”.

Lei davvero pensa che Hillary Clinton potrebbe scatenare una terza guerra mondiale?

“È inimmaginabile che qualcuno, persino Hillary Clinton, possa volontariamente scatenare una terza guerra mondiale. Eppure, solo pochi giorni fa il New York Times ci ha raccontato che 51 funzionari del Dipartimento di Stato hanno firmato un memorandum interno criticando il presidente Obama per non aver lanciato attacchi militari contro Bashar al-Assad in Siria, anche al rischio di aumentare le tensioni con la Russia. Gli interventisti liberal e i neocon che si sono impadroniti della politica estera americana non avrebbero problemi a spingere Hillary Clinton verso una maggiore aggressività. Anzi, è proprio ciò che lei vuole. Gli Stati Uniti stanno forzando la Nato a mettere pressione militare sulla Russia e nello stesso tempo rischiano il conflitto con la Russia in Medio Oriente. Stanno creando una situazione paragonabile a quella che portò alla Prima Guerra Mondiale: basta un singolo incidente per far saltare tutto. Hillary Clinton è particolarmente pericolosa perché non dubita mai del fatto che gli Stati Uniti prevarranno se solo mostrano abbastanza “determinazione”. E che cosa hanno fatto gli alleati europei per impedire il disastro? Finora nulla”.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mer lug 13, 2016 2:20 pm

"Odio Donald Trump, però avrà il mio voto". Parola di elettore medio americano
2016/06/30

http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/06/3 ... e_c933.htm


Lo scrittore Jim Ruth presenta ai benpensanti chi è l'elettore medio americano del candidato alla Casa Bianca. Senza i soliti stereotipi

C'è una fetta importante dell'America post obamiana, un'onda silenziosa, che vuole votare Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. E’ lo scrittore Jim Ruth, dalle colonne del Washington Post, a cercare di capire chi fa parte di questa maggioranza nascosta che il mondo disprezza prima ancora di conoscerla.

Chi vuole un folle come l'outsider conservatore alla Casa Bianca? Per spiegarlo, Ruth prova a cancellare tutti gli stereotipi che marchiano da circa un anno i sostenitori di The Donald. Ne viene fuori un ritratto inedito: "Non siamo ineducati, disinformati, disoccupati o zeloti dal basso reddito. Siamo ricchi, beneducati, impiegati e pensionati di successo. Alcuni di noi possiedono una propria attività, o ne possedevano una prima di andare in pensione, creando non solo il nostro lavoro ma anche quello degli altri. Sebbene siamo fiscalmente conservatori, non sosteniamo il tea party. E su alcuni temi sociali, molti di noi hanno tendenze di sinistra. Shhhhh…".

E' una parte importante della classe media americana, insomma. A cui non piace ma che lo voterà lo stesso. Il motivo è semplice, Ruth lo spiega nelle prime righe: "Per molti di noi Trump ha una sola qualità redimente: non è Hillary Clinton. Non vuole trasformare gli Stati Uniti una democrazia sociale sul modello europeo, basata sul politically correct, con latte e biscotti gratis dove ogni ragazzino (ma anche gli adulti) guadagna un trofeo solo per farsi notare".

Il disorientamento valoriale, l'indottrinamento al pol. corr. inculcati nelle teste dei giovani sin dagli anni del college non piace a questa "maggioranza silenziosa": "Abbiamo la convinzione spericolata che il college è il luogo dove le sensibilità possono essere sfidate e dibattute", dove gli studenti non hanno bisogno di "spazi sicuri" per essere protetti "dalle atrocità delle opinioni discordanti".

L'elettore di Trump, sia chiaro, non è un illuso. "Sappiamo che questo Uomo-Che-Vorrebbe-Essere-Re è il classico bullo, un demagogo di livello mondiale nella sua vita personale, professionale e politica. Continuerà a demonizzare i suoi nemici percepiti e a intraprendere la strada più immorale per guadagnare popolarità". Di chi è la colpa di questo fenomeno, si chiede Ruth: "della destra e della sinistra", si risponde, "per l'assenza di un bipartitismo che abbia favorito la ripresa". Trump è allora l'unico in grado di "preservare l'American way of life come la conosciamo. Per noi, il pensiero di altri quattro o otto anni di agenda progressista che inquini il sogno americano è anche più pericoloso per la sopravvivenza del paese di quanto lo sia Trump".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mer lug 20, 2016 1:53 pm

Trump è il candidato repubblicano per la Casa Bianca. La convention lo incorona
Con il voto di 1.725 delegati repubblicani, riuniti alla convention di Cleveland, Donald Trump ottiene ufficialmente la nomination per la Casa Bianca. Il tycoon compare in un video: "Sono onorato, a novembre vinceremo"
Orlando Sacchelli - Mer, 20/07/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/tru ... 86899.html

La convention dei delegati repubblicani ha ufficialmente nominato Donald Trump candidato alla Casa Bianca.

Si chiude così, a Cleveland (Ohio), una lunghissima campagna elettorale durata un anno e mezzo, con 56 primarie e numerosi tentativi di sgambetto da parte dell'establishment del Grand old party.

Il tycoon ha battuto 16 concorrenti ottenendo la nomination del Gop con 1.725 delegati su 2.472 (il 69,8%).

Il conteggio dei voti per chiamata (Stato per Stato), necessario per ratificare la nomina, non ha presentato sorprese, dal momento che erano state escluse le "obiezioni di coscienza" (il voto dei delegati svincolato dal mandato ricevuto dagli elettori del proprio Stato). Allo Stato del candidato, New York (89 delegati), l'onore di portare Trump al trionfo, superando la fatidica soglia dei 1.237 delegati necessari. A "lanciarlo in vetta", Donald Jr, figlio maggiore del magnate, affiancato dal fratello Eric, dalla sorella Ivanka e da Tiffany, nata dalla seconda moglie di Trump, Marla Maples. Erano tutti visibilmente emozionati. "E' un onore lanciare Donald Trump in vetta con 89 delegati. Congratulazioni papà: ti vogliamo bene", ha detto Donald Jr., visibilmente commosso nel sancire, formalmente, l'impresa del padre (guarda il video).

Lo speaker della Camera e presidente della convention, Paul Ryan, che nel 2012 corse come vice nel ticket con Mitt Romney, ha annunciato la vittoria di Trump, ufficializzando il ticket con il governatore dell'Indiana, Mike Pence, nominato candidato vice presidente per acclamazione. "Che ne dite di unificare il partito in questo cruciale momento... passando all'offensiva", ha esortato Ryan, per "competere in ogni parte d'America per ogni singolo voto. Solo con Donald Trump e Mike Pence possiamo avere la chance di qualcosa di meglio", ha detto lo speaker della Camera, prendendo di mira Hillary Clinton. Ed è stato questo l'ingrediente giusto per infiammare i delegati. Così tutti gli interventi, da Ryan al governatore del New Jersey, Chris Christie, fino a Donald Jr, hanno seguito il copione. "Se volete sapere che tipo di presidente sarà - ha detto Donald Jr - allora lasciatemi spiegare come mio padre ha condotto i suoi affari passando la sua carriera con la gente comune... noi non abbiamo imparato dagli Mba ma dalle persone con dottorato in senso comune".

Sul palco è salita anche la 22enne Tiffany Trump. Nel suo intervento ha sottolineato una delle doti a suo dire maggiori del padre, motivare le persone: "Per me il valore di un genitore si fonda su quanto è in grado di supportarti e sostenerti nei momenti difficili".

Anche Ben Carson, ex rivale di Trump nella corsa per la nomination, ha preso di mira Hillary. Coloro che pur di non eleggere Trump hanno dichiarato di voler votarer Clinton, ha detto il neurochirurgo in pensione, "non usano il cervello che Dio ha loro donato. Questa elezione non riguarda Trump o ogni altro politco ma la gente che reagisce per riprendersi l'America". Fuori dalla Quicken Loans Arena sono continuate anche ieri manifestazioni di protesta, con il numero degli arrestati salito, da domenica, a quota cinque.

Trump esulta: "Vinceremo"

"Oggi è un giorno molto speciale - ha detto Trump in un video di 3 minuti proiettato sui mega schermi della Quicken Loans Arena -. Non lo dimenticherò mai. Insieme abbiamo raggiunto questo storico traguardo, con il più ampio numero di voti della storia del partito repubblicno. Questo è un movimento e dobbiamo andare fino in fondo. Sono davvero onorato di essere stato nominato per la presidenza. Non vedo l'ora di condividere le mia considerazioni con voi giovedi", ha sottolineato Trump anticipando alcuni temi del suo discorso di chiusura convention, dal rafforzamento delle frontiere alla lotta all'Isis. Ha poi definito "un onore correre con Mike Pence. "E' un grande uomo e sarà un grande vice presidente. Abbiate una fantastica serata. Ci vediamo domani sera e giovedì sera - ha concluso - e a novembre vinceremo" (guarda il video).
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab lug 23, 2016 8:56 pm

Il comandante in capo - L'intraprendente
Maria Giovanna Maglie


Incassata la nomination, Trump si esibisce nel suo discorso migliore, rivolto al popolo Usa che oggi si sente minoranza a casa propria. Così difendere i cittadini dall'invasore, sia l'islam o la Cina, diventa la cifra della sua corsa alla Casa Bianca

http://www.lintraprendente.it/2016/07/i ... I.facebook


Donald Trump ha accettato la nomination a candidato repubblicano delle elezioni presidenziali del 2016 con una grande emozione ben dissimulata, ma intrisa della fatica improba fatta in quasi un anno per raggiungere un traguardo che lo mette già al centro della storia d’America, e che tutti, o quasi, in tutti i modi possibili e impossibili, hanno cercato di ostacolare o impedire. Non doveva essere il candidato, “questo matrimonio non s’ha da fare”, lo è. E ha fatto giovedì sera dall’Arena di Cleveland il suo discorso migliore, rivolto non a interlocutori ostili, prevenuti, politically correct, insomma non al giornalista collettivo tipico italiota che per un anno circa ne ha raccontato l’impresentabilità sui giornali e tv di sinistra e di destra in un unico lamentoso coretto, ma al popolo americano arrabbiato che si sente minoranza a casa sua, deprivato di identità, valori, sicurezza, da una massa magmatica di invasori saprofiti e ostili, che prendono di volta in volta il nome tremendo dell’Islam o quello più petulante del Messico, fino alla prepotenza commerciale della Cina, o alla insipienza militare e all’arroganza economica dell’Europa.

Cito a proposito e a memoria. «Insieme riporteremo la nazione a sicurezza prosperità e pace». «Saremo una nazione di generosità e accoglienza, ma saremo anche una nazione di legge e ordine». Law and order, come la strafamosa fiction televisiva, termine che i cretini politically correct ripetono con un brivido di orrore, altro non è che la storica proposta che Barry Goldwater propose in reazione al lassismo dei democratici e di Johnson, e che Ronald Reagan con successo straordinario applicò grazie anche alla nomina di numerosi giudici conservatori: carcere più facile, pene più severe, nessuna riduzione della pena, criminali in libertà già anziani e non più in grado di nuocere.

«Le cose devono cambiare e devono cambiare subito. Mi sveglio ogni giorno determinato a fare qualcosa per la gente che ho incontrato in giro per la nazione, e che è stata trascurata, ignorata, abbandonata». «Ho visitato lavoratori cacciati dalle fabbriche, comunità devastate da orribili e scorretti accordi commerciali. Sono gli uomini e le donne dimenticati del nostro Paese. La gente che lavora e suda ma non ha più voce». «A partire dal 20 gennaio del 2017, la sicurezza sarà restaurata. Il dovere basilare di ogni governo è quello di difendere i suoi cittadini. Qualsiasi governo che fallisca nel fare questo è indegno di governare».

L’appello ha un forte richiamo, il linguaggio è brutale e colpisce allo stomaco. E’ populismo? Mai parola fu tanto e a sproposito usata. So what?, direbbe Trump, e avrebbe ragione, poi lascerebbe capire, lui o il suo gruppo, che è a Theodore Roosevelt che guardano, ovvero a un grande fondamentale presidente repubblicano che un secolo fa in epoca di crisi nera progettò un partito repubblicano che, se necessario e nel rispetto del liberismo e del contenimento della spesa pubblica, prevedesse l’intervento dello Stato. E c’è pure il paleo laburismo dei vecchi conservatori israeliani, alla Ariel Sharon, che testimonia dello zampino nel discorso del genero di Trump, Jared Kushner, e del suo direttore del New York Observer.

Retorica e conti spiccioli, quelli necessari a vincere. Nel 2012 Mitt Romney, che era un candidato veramente debole, un bollito in salsa mormone, perse per 64 voti elettorali, ovvero quelli di Pennsylvania, Wisconsin, Michigan, Ohio. Oggi i democratici sono in maggioranza, ma non ce la fanno se non aumenta in quantità rilevante il numero di classe alta , soprattutto nera, che li va a votare. Invece nei quattro Stati swing e in Iowa predominano classe operaia e bianchi. E’ la rust belt, è qui che Trump deve fare meglio dei suoi predecessori, attirando e portando al voto quelli che si sentono messi ai margini dalla rivoluzione demografica. Che sono i destinatari del discorso di giovedì a Cleveland. Un milione di voti, ad essere chiari, e se l’appeal negativo di Hillary Clinton, che una grossa fetta di democratici ritiene inadatta, la scelta peggiore che il partito potesse fare alla luce di scandali e bugie emersi, dovesse far restare un altro milione a casa, Trump vincerebbe il primo martedì di novembre del 2016.

Presto per dirlo, ed inutile per chi lo favorisca recriminare oggi sul comportamento negativo dei repubblicani, sulla divisione del partito, perché questa divisione è stata anche parte della sua forza e della sua affermazione. Trump è sotto ogni aspetto un diverso, è anche la autentica rappresentazione del sogno americano, infatti irrita i politically correct del mondo come un dito in un occhio.

A Cleveland ha mandato avanti una figlia femminista che si è definita né repubblicana né democratica; ha esibito a sorpresa un gay conservatore e miliardario come Peter Thiel, fondatore di Pay pal, che nel sollievo mondiale ha detto «vi fregano fingendo che il massacro in Medio Oriente sia meno importante di chi usa il bagno riservato a chi». Non ha invitato ospiti stranieri, non gliene frega niente del resto del mondo, non oggi che deve vincere la rabbiosa fiducia degli americani. Poi si vedrà, isolazionismo non è una parola che appartiene all’America, e niente può essere peggio del dietro le quinte dell’inetto a tutto Barack Obama. E’ una partita appassionante tutta da giocare.

Ps. Più o meno dieci mesi fa chi scrive ha cominciato a seguire per Dagospia quasi quotidianamente l’avventura di Donald Trump, nel ludibrio di colleghi e amici in maggioranza straripante, conservatori e liberali petulanti e col sopracciò. Non si trattava, non si tratta mai, di fare il tifo, ma di guardare le cose per come appaiono a condizione di tenere gli occhi sgombri. Sono soddisfazioni.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom ago 21, 2016 10:04 am

Le società di Trump sono indebitate per 650 milioni di dollari, il doppio di quanto dichiarato
Durissimo attacco del New York Times 20 agosto 2016

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... b74b8.html

Le società di Donald Trump hanno almeno 650 milioni di dollari di debiti, oltre il doppio di quanto il candidato ha dichiarato nei documenti finanziari presentati alla commissione elettorale. È quanto rivela un'inchiesta del New York Times che va a confutare l'immagine di uomo d'affari di successo che Trump dall'inizio della campagna presenta come una delle sue più importanti credenziali. Il giornale ricorda come il candidato repubblicano si sia finora opposto a rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi, contravvenendo ad una tradizione rispettata negli ultimi decenni da tutti i candidati presenziali. Come non ha accettato nessuna valutazione indipendente dei suoi beni. Questo perché, argomenta appunto l'inchiesta, lo stato di salute del suo impero appare fondato "su un labirinto di debiti e legami opachi" - questo è il titolo dell'inchiesta - che mostra come "le fortune di Trump dipendano profondamente da un'ampia schiera di finanziatori". Senza contare che è quanto mai difficile tracciare una mappa chiara di questo impero: il giornale newyorkese è riuscito a farlo con 30 delle proprietà di Trump negli Stati Uniti ma gran parte dell'impero finanziario rimane avvolto da una sorta di nebulosa. "Il successo del suo impero dipende dall'abilità di ottenere credito, di avere prestiti estesi alle sue società - ha dichiarato al Time Richard Painter, professore dell'università del Minnesota che tra il 2005 e il 2007 è stato un avvocato della Casa Bianca specializzato ad affrontare le questioni di conflitto di interessi- ma noi non conosciamo gran parte di questi accordi finanziari, qui o nel resto del mondo". Durante il suo mandato alla Casa Bianca, Painter raccomandando all'ex Ceo di Goldman Saches, Henry Paulson, che George Bush nominò segretario al Tesoro di vendere le sue azioni della banca perché non sarebbe stato sufficiente metterle in un ‘blind trust’. La situazione sarebbe ancora più eclatante con Trump: se, una volta eletto presidente, Trump dovesse ricorrere ad un ‘blind trust’ sarebbe "come mettere un orologio d'oro in una scatola e fare finta che non sia più lì". Il Times lancia anche un allarme riguardo all'enorme problema di conflitto di interessi che una presidenza Trump costituirebbe: "Come presidente, Trump avrebbe una sostanziale influenza sulla politica monetaria e fiscale, insieme al potere di fare nomine che avrebbero direttamente effetto sul suo impero finanziario - conclude il giornale - avrebbe anche influenza sulle questioni legislative che potrebbero avere un impatto significativo sul suo patrimonio, e contatti ufficiali con Paesi con i quali ha interessi d'affari".


El ghe someja al Berlusca.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mer ago 24, 2016 5:57 pm

Le truffe della Fondazione Clinton. Trump: "Chiudetela"
"La Clinton Foundation è la società più corrotta di tutta la storia della politica. Quello che loro hanno fatto mentre la corrotta Hillary guidava il dipartimento di Stato era sbagliato allora e continua ad essere sbagliato oggi"
di Alfredo Lissoni
23 Agosto 2016

http://www.ilpopulista.it/news/23-Agost ... etela.html

La Clinton Foundation dovrebbe essere chiusa "subito" e che parte del denaro dovrebbe essere ridato indietro ai paesi donatori. Lo ha affermato lunedì Donald Trump. "I Clinton hanno passato decenni a riempire i loro portafogli e a prendersi cura dei loro donatori e non dei cittadini americani", ha scritto il tycooon. "La Clinton Foundation è la società più corrotta di tutta la storia della politica. Quello che loro hanno fatto mentre la corrotta Hillary guidava il dipartimento di Stato era sbagliato allora e continua ad essere sbagliato oggi", ha aggiunto il candidato repubblicano.

Parlando a Fox News Trump ha ribadito il concetto, rincarando la dose. "Penso che la Clinton Foundation chiuderà? Potrebbe avvenire. Se dovesse o non dovesse accadere loro rimangono degli ingordi, quindi forse non succederà. Ma potrebbe accadere", ha detto il miliardario. Hillary Clinton non ha risposto direttamente all'attacco, ma ha lasciato spazio al suo vice, Tim Kaine. "La fondazione sarà completamente ristrutturata se Clinton dovesse diventare presidente", ha detto.

Sempre lunedì sono spuntate nuove email scambiate tra Hillary e i suoi assistenti al dipartimento di Stato. Dalle comunicazioni emerge che la fondazione avrebbe cercato di trarre vantaggio dalla posizione di Clinton. In
pratica secondo Judicial Watch - una organizzazione conservatrice che ha pubblicato 725 pagine di documenti - la politica avrebbe ricevuto con più facilità in qualità di segretario di Stato coloro che avevano fatto donazioni alla sua fondazione. Tra i nomi compare il principe Salman del Bahrain - che aveva donato 32 milioni di dollari alla fondazione - e il cantante degli U2, Bono Vox.
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