Trump Donald

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Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 10:39 pm

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Donald Trump o Francesco Bergoglio ? Io preferisco mille volte Donald Trump
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 10:41 pm

L’internazionale antitrumpista ha un problema: più lo insultano, più lui vince
marzo 26, 2016 Giovanna Jacob

“The Donald” non solo non è il mostro biblico dipinto dalla propaganda antitrumpista ma ha addirittura alcune idee giuste, sebbene imperfette e perfettibili

http://www.tempi.it/internazionale-anti ... vV3h2ThD5Y

Caro direttore, ho l’impressione che dall’inizio di quest’anno abbia iniziato a prendere forma uno dei più grandi partiti politici di tutti i tempi, forse più grande perfino del vecchio partito comunista internazionale. A questo nuovo partito aderiscono tutti i giornalisti e tutti gli intellettuali di tutti gli schieramenti politici e ideologici di tutto il mondo, tutti i dirigenti e tutti gli attivisti del partito democratico degli Usa, tutti i dirigenti e tutti gli attivisti del partito repubblicano degli Usa, tutti i veteromarxisti ortodossi e tutti i neoconservatori, tutti i relativisti-multiculturali-antioccidentali e tutti i liberal-conservatori, tutti gli atei fondamentalisti e tutti i musulmani fondamentalisti, tutti gli ecologisti-animalisti e tutti gli hacker, tutti gli atei devoti e tutti i cristiani devoti e tanti altri. Essi non hanno delle idee in comune, a parte una: Donald Trump è il male fatto uomo. Non hanno obiettivi politici in comune, a parte uno: impedire con tutti i mezzi a Donald Trump di diventare presidente degli Stati Uniti d’America. Insomma, non sono amici fra loro ma hanno un nemico anzi un “nemico da abbattere” in comune.

I membri di questa sorta di partito antitrumpista internazionale inondano il mondo di articoli contro Trump, talk-show contro Trump, documentari contro Trump, spot pubblicitari contro Trump, video di Youtube contro Trump, post e tweet contro Trump, e-mail contro Trump. Esperti di marketing e di comunicazione, pagati a peso d’oro dai vertici dl Gop e da vari gruppi di potere, lavorano h24 per convincere l’elettorato repubblicano che il candidato repubblicano Trump è un socialista sotto mentite spoglie repubblicane e per convincere l’elettorato cristiano che tutte le idee di Trump sono contrarie al Vangelo, soprattutto l’idea di impedire a milioni di messicani di entrare illegalmente negli Usa e impedire ai musulmani di entrare negli Usa per un periodo più o meno lungo.

In altri termini, milioni e milioni di dollari escono dalle tasche degli antitrumpisti e si trasformano in chiacchiere contro il “muro anti-messicani” e contro le “politiche islamofobe” proposte da Trump invece che in pane e lavoro per i messicani poveri e in aiuti per i profughi siriani. George Soros, che è molto più ricco di Trump, stanzia 15 milioni di dollari per convincere gli immigrati a non votare per il ricco capitalista col riporto biondo che nelle sue aziende fa lavorare molti immigrati. La candidata democratica Hillary Clinton ha annunciato con orgoglio su Twitter che importanti gruppi politici stranieri la finanziano generosamente perché sono terrorizzati dall’idea che Trump possa diventare presidente e credono che solo lei potrà impedirglielo.

D’altra parte, i saputelli britannici dell’Economist, gli stessi che avevano sentenziato che Berlusconi era “unfit” (inadatto) a governare, adesso sentenziano che Trump, se diventasse presidente, non farebbe meno danni al mondo intero di quanti ne fa il terrorismo jihadista: su una scala di pericolosità da 1 a 25, sia il biondo magnate che i tagliateste ottengono 12. Non riuscendo a trovare significative differenze fra lui e Jihadi John, 300.000 britannici hanno già firmato una petizione per chiedere al parlamento inglese di vietare a Trump di mettere piede sul suolo patrio per il resto dei suoi giorni.

Sembra che Trump, oltre alla pace mondiale, metta a repentaglio la salute mentale delle persone. Rivelano infatti importanti psicologi: «Ha scosso le persone. Ci è stato insegnato per tutta la vita a non dire cose cattive sugli altri, a non fare i bulli, a non ostracizzare le persone in base al loro colore della pelle. Abbiamo questi costumi sociali, lui li infrange tutti e nonostante questo ha successo! E la gente si chiede come fa a farla franca». «La tua campagna contraddittoria e piena di odio non ha soltanto scioccato gli Stati Uniti, ma ha traumatizzato il mondo intero attraverso le tue azioni e le tue idee agghiaccianti», notano gli hacker di Anonymous, che gli hanno dichiarato la guerra informatica.

I cristiani delle varie confessioni senza confessionale fanno la conta degli imperdonabili peccati di Donald: ha avuto troppe mogli, è proprietario di locali peccaminosi in cui si fa lo streap-tease, ha mentito ripetutamente sulle sue bancarotte, nasconde la reale entità del suo patrimonio, è gran un maleducato che dice le parolacce e fa allusioni alle sue parti intime durante i comizi. Dal canto loro, alcuni importanti intellettuali cattolici americani, fra cui George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II, hanno firmato un accorato appello agli elettori cattolici: «I suoi appelli ai timori e pregiudizi razziali ed etnici sono offensivi per qualsiasi sensibilità genuinamente cattolica. Ha promesso di ordinare il personale militare degli Stati Uniti di torturare sospetti terroristi e di uccidere le famiglie dei terroristi – azioni condannate dalla Chiesa e le politiche che avrebbe portato vergogna al nostro paese». Pure di non vedersi costretti a torturare i sospetti e sparare alle loro sorelline, migliaia di dipendenti del ministero della Difesa hanno già fatto sapere che, se Trump dovesse vincere le elezioni presidenziali, darebbero immediatamente le dimissioni.

Stanchi di “all talk and no action”, gli antitrumpisti reduci da “Occupy Wall Street” cercano di mettere le mani addosso al “nemico da abbattere” e il maggior numero dei suoi sostenitori per educarli tutti (i raduni di Trump sono sempre e sistematicamente rovinati da gruppi di picchiatori). Di Trump e dei suoi sostenitori “colpiti ed educati” i membri dell’internazionale antritrumpista dicono quello che i frequentatori delle moschee dicono delle ragazze di Colonia violentate a Capodanno: “Sono loro che provocano”. Si sprecano i tweet in cui Hillary dice che Donald, in buona sostanza, le botte non soltanto se le cerca e se le merita ma se ne meriterebbe anche di più: «Donald Trump is running a cynical campaign of hate and fear… he’s encouraging violence and chaos» («Donald Trump sta facendo una campagna cinica di odio e di paura … è lui ad incoraggiare la violenza e il caos»).

L’internazionale antitrumpista ha un problema: lo tsunami di articoli contro Trump, talk-show contro Trump, documentari contro Trump, spot pubblicitari contro Trump, video di Youtube contro Trump, post e tweet contro Trump, e-mail contro Trump non sembra avere fatto niente a Trump, che ormai non vince più: stravince. Quello che succede è che la maggioranza relativa degli elettori repubblicani americani vota per Trump. Offesi a morte, gli antitrumpisti in servizio permanente smettono di insultare Trump e cominciano ad insultare i suoi elettori. E così cominciano a moltiplicarsi come funghi articoli in cui gli elettori di Trump sono descritti sostanzialmente come un branco – scusate – di deficienti, anche se ovviamente non c’è scritto deficienti: c’è scritto bianchi di bassa estrazione sociale (tradizionalmente indicati con l’espressione poco gentile “white trash”) che non hanno studiato molto, che non hanno viaggiato molto, che non leggono molto, che hanno perso il lavoro perché le loro fabbriche delocalizzano una dopo l’altra, che abitano in squallidi prefabbricati, che in garage hanno solo qualche antica Gran Torino da rottamare, che si drogano e si suicidano più degli altri perché sono dei falliti (questo articolo del Washington Post sulla correlazione fra “morte” e “voto per Trump” è un capolavoro di snobismo macabro), che attribuiscono la responsabilità dei loro insuccessi seriali a tutti quelli che non sono bianchi e falliti come loro: i “negri”, i messicani, i cinesi, i musulmani ma anche i bianchi ricchi che abitano a Manhattan e a Hollywood.

Gli antitrumpisti più snob ci spiegano con dotto, raffinato e perfino letterario linguaggio (perché vogliono che si senta ad ogni riga quanto sono diversi dai deficienti con diritto di voto di cui parlano) che Trump appare alla “spazzatura bianca” come il grande vendicatore che punirà con muri, tasse e leggi speciali tutti quelli che la “spazzatura bianca” considera responsabili dei suoi fallimenti. Invece gli antitrumpisti più comprensivi ed indulgenti ci spiegano che il voto per Trump è un “voto di protesta” in stile grillino che esprime un grave “disagio sociale”. Qualcuno avverte che nel 1933 la maggioranza relativa dei tedeschi, siccome i partiti democratici non capivano il suo “disagio sociale”, il “voto di protesta” lo diede ad Hitler. Ma sebbene il paragone fra Trump ed Hitler sia stato approvato perfino dalla sorellastra di Anna Frank, finora la cosa più hilteriana che Trump è riuscito a fare è ri-twittare un tweet che conteneva la meno mussoliniana delle massime di Mussolini: «Meglio un giorno da leone che 100 anni da pecora».

Dunque gli antitrumpisti acculturati guardano al voto per Trump come un voto di protesta e di vendetta su cui dibattere nelle pagine di cultura dei giornali, mai e poi mai come ad una oggettiva maggioranza di voti che deve essere riconosciuta. D’altra parte, se Trump non dovesse ottenere i 1237 delegati necessari per aggiudicarsi automaticamente la candidatura alle presidenziali, sarebbero i delegati stessi a scegliere il candidato per le presidenziali nel corso della cosiddetta Brokered convention. Oltre a tenere in nessun conto i risultati delle primarie, ai delegati sarebbe anche consentito di scegliere un candidato che le primarie non le ha proprio fatte. Tutti i membri dell’internazionale antitrumpista adesso incoraggiano Ted Cruz e John Kasich, che ormai non hanno più nessuna possibilità di vincere, a rimanere in corsa solo per togliere a Trump anche solo un delegato su 1237 e così consentire ai delegati del Gop di mandare alle presidenziali uomini di fiducia come Mitt Romney o Paul Ryan o qualche altro illustre “trombato” delle elezioni degli anni scorsi, che non avrebbe nessuna possibilità di sconfiggere Hillary. Dunque per il Gop estromettere Trump significherebbe suicidarsi elettoralmente. Prima ancora, significherebbe estromettere la democrazia.

E così gli antitrumpisti acculturati, che hanno lungamente meditato su La democrazia in America di Alexis de Tocqueville, arrivano a ripudiare il concetto stesso di democrazia e a riesumare il sogno della repubblica platonica, che è all’origine di ogni visione totalitaria. Nella loro visione platonica-totalitaria, da una parte c’è una maggioranza ottenebrata che non deve votare perché non sa che cosa è meglio per sé stessa e dall’altra c’è una minoranza illuminata che ha il dovere governare perché sa che cosa è meglio per la maggioranza. Strano che gli antitrumpisti acculturati non sappiamo che la più famosa “minoranza illuminata” della storia, convinta di fare il bene del popolo, il popolo lo ha fatto morire ovunque abbia preso il potere: il partito comunista internazionale. Certo, non tutte le minoranze illuminate ossia non tutti i partiti sono pessimi, alcuni sanno addirittura governare bene. Ma chi può giudicare quale, fra tanti partiti, fa davvero il suo bene, se non il popolo stesso? E come può il popolo esprimere il suo giudizio se non attraverso votazioni democratiche? Certo, il popolo non sa tutto, non capisce tutto e quindi alcune volte può sbagliare, ma non sempre: almeno la metà delle volte manda al potere i migliori e pazienza per le altre volte. E per tornare all’attualità, se Donald Trump, nel caso vincesse le presidenziali, si rivelasse essere un nuovo Hitler o più semplicemente un “con artist” (un truffatore), dopo quattro anni gli elettori lo sfratterebbero tranquillamente dalla Casa Bianca. Winston Chuchill lo ha detto: «È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora». Molto prima, Carlo Magno disse: «Vox populi, vox Dei».

Gli antitrumpisti cristiani moralisti si rassegnino: al popolo degli scheletri finanziari, delle troppe mogli e degli altri peccati di Trump non importa nulla. Ma quel tizio nato a Betlemme non vi ha forse avvertito che nessuno può scagliare la prima pietra? Gli antitrumpisti di sinistra si rassegnino: il popolo non crede alla loro propaganda, che dipinge Trump come un ricco sfruttatore del proletariato immigrato, come un Mussolini americano che vuole mandare le sue squadracce a picchiare gli avversari politici, come un Mengele che vuole torturare i musulmani sospetti e sparare alle loro sorelline, come un Hitler islamofobo che vuole appiccicare una stella gialla addosso ad ogni musulmano, come un suprematista bianco che di notte, col cappuccio in testa e con la torcia in mano, va a caccia di “nigga” e di latinos.

Ora, il paragone Trump-Mussolini non convince più nessuno, dal momento che non è Trump a mandare squadracce di picchiatori contro i suoi avversari ma sono i suoi avversari a mandarle contro lui e i suoi sostenitori. Come la sinistra italiana punta sistematicamente il dito contro fantomatici “infiltrati di destra” ogni volta che i partecipanti da una manifestazione di sinistra si scontrano con la polizia e si rendono responsabili di saccheggi e devastazioni, così oggi gli antitrumpisti sostengono che il mandante dei facinorosi che disturbano sistematicamente ogni i suo comizio sarebbe Trump stesso: “Così può fare la vittima e accusare gli avversari”. Purtroppo per loro, alcuni giorni fa i due leader delle squadracce che l’11 marzo hanno costretto Trump a sospendere l’incontro di Chicago si sono presentati negli studi di FoxNews, dove si sono mostrati per quello che sono: estremisti di sinistra vicini alle posizioni del candidato democratico Bernie Sanders, uno che ancora non è riuscito ad elaborare il lutto del crollo dell’Urss.

Donald Trump non ha mai detto che bisogna sterminare le famiglie dei terroristi: ha detto che bisogna seguirle, controllarle, stare loro alle costole (testualmente: «go after them»). E credo che ogni persona dotata di un minimo di buon senso riconosca che sia necessario “stare alle costole” di chi ha allevato dei terroristi e magari li protegge durante la loro latitanza. Trump non ha mai detto che, se diventerà presidente, ordinerà al personale militare di torturare i sospetti. Semplicemente, una volta ha detto: «Tutti credono nella Convenzione di Ginevra fino a quando iniziano a perdere e allora dicono “ok, tiriamo fuori la bomba”». Questa mi sembra una affermazione estemporanea tanto emotiva quanto generica, non certo un progetto di legge.

Per il resto, sappiamo bene che la sinistra terzomondista-antioccidentale chiama “islamofobia” quello che in un buon italiano si chiama “realismo”. Considerando che è stato incoronato “islamofobo dell’anno” da quelli che hanno trasformato i sobborghi inglesi in province distaccate del califfato di Siria, possiamo stare sicuri che “the Donald” è il politico più realista dell’anno, may God bless him. La proposta, avanzata da Trump, di chiudere temporaneamente («temporaneamente, non permanentemente») le porte degli Usa agli immigrati provenienti dai paesi musulmani ci sembra ancora più realistica da quando abbiamo visto che la popolazione islamica del quartiere di Molenbeek, a Bruxelles, ha inscenato proteste contro gli agenti di polizia che erano venuti a catturare uno dei terroristi di Parigi. Come i più grandi studiosi dell’islam (fra cui Robert Spencer), Trump ha chiaro che, in primo luogo, le chiacchiere sociologiche sulla “emarginazione sociale” dei terroristi stanno a zero e che, in secondo luogo, non è più tempo di distinguere fra maggioranze moderate-pacifiche e minoranze estremiste-isolate, dal momento che le maggioranze moderate-pacifiche non solo non muovono un dito contro le minoranze-isolate ma costruiscono società parallele in cui le minoranze-isolate proliferano. E d’altra parte, i pochi, autentici musulmani moderati (perché qualche musulmano moderato esiste davvero) sono i primi a pensare che sarebbe bene non fare entrare altri musulmani negli Usa finché la umma islamica non si sarà decisa a ripulire l’islam da ogni estremismo. Non stupisca quindi il fatto che i musulmani moderati americani supportino Trump con convinzione: la Bbc ha individuato un gruppo di sfegatati “Muslims for Trump”, mentre un gay musulmano di vent’anni ha spiegato che vota per Trump perché solo lui mostra l’intenzione di recidere i “legami velenosi” fra le comunità islamiche e l’Arabia Saudita.

Trump non è razzista né xenofobo. Sappiamo bene che la sinistra terzomondista-antioccidentale chiama “razzista” e “xenofobo” chiunque si limiti a notare che è materialmente impossibile trasferire tutta a popolazione del terzo mondo nel primo mondo e magari osa pure chiedere agli immigrati di rispettare le regole della convivenza civile. Trump non ha mai offeso i messicani né ha mai fatto appello a “pregiudizi razziali”. Egli si è limitato a denunciare un fatto che è sotto gli occhi di tutti: il continuo aumento del numero dei clandestini provenienti dal Messico (si dice che attualmente siano 11 milioni) è correlato al continuo aumento dei crimini violenti e al continuo abbassamento dei salari su tutto il territorio degli Usa. E anche i questo caso, i primi a guardare di buon occhio la proposta, avanzata da Trump, di sigillare le frontiere col Messico sono… gli immigrati messicani stessi. Questi ultimi e tutti gli altri latinos che sono entrati legalmente negli Usa, che lavorano onestamente, che si impegnano a rispettare tutte le leggi e che amano i valori americani, non possono sopportare i loro conterranei prepotenti che entrano illegalmente, che delinquono oppure lavorano sottocosto (distruggendo i salari di tutti), che non rispettano le leggi e che non rispettano i valori americani, contribuendo così a trasformare gli Usa in un “buco d’inferno del terzo mondo”, come lo chiama Ann Coulter. Per questo le truppe dei “Latinos for Trump” s’ingrossano sempre più.

A sorpresa, si ingrossano anche le truppe dei “Catholics for Trump”, alla faccia dei timorati sottoscrittori cattolici di lettere aperte in cui invitano i “dear fellows catholic” a fermare Trump-anticristo votando per Ted Cruz (che ormai non è più Ted Cruz ma il “candidato anti-Trump”). Sembra infatti che il 76 % di repubblicani cattolici sia a favore della costruzione di un muro al confine col Messico e il 61 % sia d’accordo con il piano anti-immigrazione di Trump». Su The Federalist, lo storico Korey D. Maas, dell’Hillsdale College, Michigan nota: «I cattolici vedono con favore Trump più di qualsiasi denominazione religiosa».

Se qualcuno vuole continuare a ripetere che Trump è “razzista” solo perché non si è affrettato a rifiutare il sostegno del Ku Klux Klan (ma suvvia, ogni voto in più, come la “pecunia”, “non olet”), ne discuta con l’esimio neurochirurgo Ben Carson, che è più nero di Obama e ha cento volte più talento di Obama. Quando ha capito che non poteva più vincere, si è ritirato dalla corsa per la nomination del partito repubblicano e ha clamorosamente invitato i suoi elettori a votare per Trump. E dopo averne discusso con Ben Carson, gli antitrumpisti ne discutano anche con “Diamond and Silk”, due famose sorelle afroamericane che, con i loro video casalinghi pubblicati su Youtube, sono in grado di spostare milioni di voti afroamericani dove vogliono. E adesso hanno deciso di spostarli su Donald Trump.

Invece di continuare a cianciare di “spazzatura bianca”, i membri dell’internazionale antitrumpista dovrebbero mettersi a contare i “Muslims for Trump”, i “Latinos for Trump”, gli “African-americans for Trump” e perfino i “Sikh for Trump” e i “Tibetans for Trump”. E voglio vedere se, quando avranno finito di contarli, diranno ancora che Trump lo votano solo bianchi falliti con manie suicidarie, i quali a “the Donald” non chiederebbero altro che di infliggere atroci sofferenze ai musulmani, ai latinos, agli afroamericani, ai sikh e a tutti quelli che non sono falliti e bianchi come loro. Ma a parte tutto, come si permettono i benpensanti benestanti del partito antitrumpista internazionale di descrivere in termini così offensivi quelli che si rifiutano di prendere ordini da lorsignori?

In ogni caso, Trump non è il tribuno della plebe bianca ma il rappresentante politico della “classe media” americana, che da molto tempo include gente di tutte le razze e che da molto tempo soffre. Sul programma di Trump, disponibile online, c’è scritto infatti: «Decenni di disastrosi accordi commerciali e politiche di immigrazione hanno distrutto la nostra classe media. Oggi, quasi il 40% degli adolescenti neri sono disoccupati. Quasi il 30% degli adolescenti ispanici sono disoccupati. (…) In tutta l’economia, la percentuale di adulti nella forza lavoro è crollata ad un livello mai esperito nelle generazioni precedenti.» Secondo Donald Trump per salvare la classe media dall’estinzione è necessario nell’ordine: limitare l’immigrazione (che causa l’abbassamento dei salari e toglie lavoro ai residenti), ridurre fortemente le tasse per la classe media e per le imprese produttive, costringere la Cina ad abbattere l’invisibile “grande muraglia di protezionismo” che impedisce a alle aziende americane di vendere e di investire in Cina tanto quanto le aziende cinesi vendono ed investono negli Usa. Oltre a beneficiare di una moneta eccessivamente svalutata (che oggettivamente impedisce agli imprenditori stranieri di vendere le loro merci a prezzi competitivi sul mercato cinese), gli imprenditori cinesi sfruttano lavoro sottopagato (che permette di vendere le loro merci a prezzi stracciati sui mercati americano ed europeo) e non rispettano le leggi sulla proprietà intellettuale (ossia rubano impunemente i copyright alle aziende europee e americane). «Questo furto di proprietà intellettuale, conclude Trump, costa agli Stati Uniti oltre 300 miliardi di dollari e milioni di posti di lavoro ogni anno.» Quindi Trump è dell’idea che, fin quando la Cina non avrà abbattuto questa sua “grande muraglia di protezionismo”, gli Usa dovrebbero imporre a scopo punitivo dei dazi alle merci provenienti dalla Cina.

Se gli antitrumpisti di sinistra dipingono Trump come un “liberista selvaggio”, gli antitrumpisti liberal-conservatori invece lo dipingono come uno “statalista selvaggio” che mirerebbe ad aumentare spesa pubblica e tasse e introdurre misure protezioniste. In realtà, nel programma di Trump non c’è nulla di statalista: c’è scritto nero su bianco che bisogna abolire il fallimentare Obamacare e abbassare drasticamente le tasse. Dal momento che il loro scopo è distruggere il protezionismo cinese, i dazi anti-cinesi a tempo determinato proposti da Trump non sono “protezionismo” ma esattamente il contrario. E i liberal-conservatori dovrebbero anche smetterla una buona volta di urlare al “protezionismo” ogni volta che qualcuno invoca la necessità di costringere tutti quelli che stanno nel mercato a rispettare le regole del mercato. Si mettano in testa che la “mano invisibile” non è mai esistita.

Dal momento che gli antitrumpisti liberal-conservatori continuano a ripetere che egli è agli antipodi del conservatorismo, Trump è costretto a sua volta a ripetere in continuazione che è conservatore e che lo è da molto tempo. Mentono gli antitrumpisti o mente lui? Di certo, è vero che nel suo programma ci sono ancora troppe zone d’ombra. Ad esempio, Trump a volte sembra fare intendere che condanna l’aborto, altre volte puntualizza che comunque «la Planned Parethood ha fatto del bene a molte donne in difficoltà.» Viceversa Ted Cruz, ora il suo unico avversario alle primarie, è sempre stato esplicitamente e duramente contrario all’aborto e solo per questo meriterebbe di andare alle presidenziali.

E per dirla tutta, per un elettore liberal-conservatore cattolico, il pentecostale Cruz è preferibile a Trump da molti punti di vista, che qui non enumero. Ma come ho cercato di spiegare, il punto è che il candidato alle elezioni non lo scegliamo noi: lo scelgono gli elettori repubblicani americani. E come ho cercato di dimostrare. “The Donald” non solo non è il mostro biblico dipinto dalla propaganda antitrumpista ma ha addirittura alcune idee giuste, sebbene imperfette e perfettibili. E come ho cercato di spiegare, il rischio concreto è che non vincano né Trump né Cruz e che il partito li faccia fuori entrambi (infatti Cruz è addirittura più odiato di Trump dai vertici del Gop) e imponga suoi uomini di fiducia. A questo punto, conviene ascoltare quello che ha detto il vecchio conservatore Newt Gingrich: se i due candidati invisi al partito unissero le forze, potrebbero essere imbattibili. Trump presidente e Cruz vicepresidente: che potrebbe esserci di meglio?
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 10:42 pm

Mi a spero kel vinça.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun mar 28, 2016 1:08 pm

Migranti, Trump attacca ancora Merkel: "Germania distrutta dalla sua ingenuità" - Il Fatto Quotidiano
di F. Q. | 27 marzo 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03 ... ta/2586334

“La Germania sta per essere distrutta dall’ingenuità della Merkel, se non peggio”. Donald Trump torna a puntare il dito contro la cancelliera tedesca per le posizioni e le decisioni da lei prese sulla crisi dei rifugiati siriani. In un’intervista al New York Times – in cui propone la sua ricetta in politica estera, cioè che il resto del mondo paghi in termini di maggiore impegno militare o in soldi per quello che finora si dà per scontato venga dagli Stati Uniti – afferma che la Germania, insieme alle nazioni del Golfo, dovrà pagare per istituire e difendere della “zone di sicurezza” che lui intende istituire in Siria per i profughi.

“L’America viene prima di tutto e tutti gli altri paghino”. Così il quotidiano newyorkese sintetizza la “visione del mondo di Trump” nel titolo di un’intervista in cui il candidato repubblicano illustra una nuova forma di politica estera, una fusione tra tattiche imprenditoriale e strategie con cui pensa di restaurare la potenza, che lui considera compromessa, degli Stati Uniti. “Non sono un isolazionista, ma sono ‘America First’ – argomenta il tycoon – da anni ci mancano di rispetto, ci prendono in giro, si approfittano di noi. Così America first vuol dire che non verremo più derubati. Noi saremo amici con tutti, ma nessuno se ne potrà più approfittare”. Tradotto: alla luce dell’interesse non solo nazionale ma anche economico, bisognerà riconsiderare tutte le tradizionali alleanze degli Stati Uniti, da quelle con i paesi moderati del mondo arabo, al Giappone ed alla Corea del Sud, passando dalla Nato che viene considerata “obsoleta“.

Tutti dovranno fare la propria parte, quindi, anche nella lotta all’Isis. Così se verrà eletto presidente, ha spiegato Trump, gli Usa potrebbero interrompere l’acquisto del petrolio saudita se l’Arabia Saudita e altri alleati arabi non dispiegheranno truppe di terra nella lotta allo Stato Islamico o “rimborseranno in modo sostanziale” gli Stati Uniti per l’impegno militare contro l’organizzazione terroristica che minaccia la loro stabilità. “Se l’Arabia Saudita non avesse il manto della protezione americana, non crede che sarebbe ancora in piedi”, ha affermato il miliardario illustrando il nocciolo di una politica estera, incentrata sui negoziati economici, con cui intende ridare un ruolo centrale agli Stati Uniti.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » gio apr 14, 2016 9:32 pm

I newyorkesi che votano Trump
di Philip Rucker – The Washington Post
Un giornalista del Washington Post ha fatto due chiacchiere con un po' di suoi elettori sul traghetto che collega Manhattan con Staten Island: martedì ci sono le primarie
14 aprile 2016

http://www.ilpost.it/2016/04/14/new-york-trump

A New York è l’ora di punta serale e sullo Staten Island Ferry – il traghetto gratuito che collega i distretti di Staten Island e Manhattan a New York – i sostenitori di Donald Trump tornano a casa dopo un’estenuante giornata di lavoro a Manhattan. Tra loro c’è un operaio edile convinto che Trump metterà fine al comportamento «da conigli» degli Stati Uniti sul terrorismo; un immigrato ungherese che per lavoro guida un carro attrezzi e dice che Trump parla la sua lingua; un dipendente di una ditta di traslochi che crede che Trump sarebbe il primo presidente onesto e coraggioso della sua vita; un commerciante di diamanti che rispetta la sua fermezza, e un modello che subisce il fascino di Trump. «È semplicemente il migliore», dice Jimmy Dawson, modello ventenne di ritorno da una sfilata a Parigi per la nuova linea di Givenchy. Sul traghetto l’unico segno che tradisce il sostegno di Dawson a Trump è il suo cappello rosso con la scritta “Make America Great Again”. «È per la sua ricchezza, il suo modo di fare», aggiunge, «guardate quello che ha fatto. È un’ispirazione. Chi non vorrebbe avere una vita come la sua? Chi non vuole diventare ricco? Siamo a New York».

Leggi anche: Gli incidenti di un mito nella baia di New York

New York è la città di Trump, e questa è la sua gente. Alle primarie nello stato di New York, che si terranno martedì prossimo, Trump dovrebbe spazzare via i suoi avversari con uno dei margini più ampi mai registrati alle primarie presidenziali del Partito Repubblicano. Gli ultimi sondaggi lo danno al 50 per cento, con un grande distacco dal governatore dell’Ohio John Kasich e dal senatore del Texas Ted Cruz. Per capire perché basta ascoltare i passeggeri del traghetto mentre la nave attraversa il porto di New York. Per queste persone Trump incarna lo spirito e l’ambizione della loro città. È una persona importante, è sfacciato e non ha paura. Dicono di conoscere Trump e di credere in lui, nonostante non l’abbiano mai incontrato. Per decenni hanno letto delle sue imprese sui tabloid, hanno alzato lo sguardo per osservare i suoi edifici e hanno visto il suo nome pressoché ovunque.

«Sapevi che è newyorkese?», chiede Frank Manzo, 51enne che lavora per una ditta di traslochi. «In un certo senso è coraggioso, ed è onesto». Manzo dice di essere preoccupato per il terrorismo, che vede dovunque: «Tutti ci calpestano perché non siamo duri. Ci rapiscono e ci torturano. Se qualcuno dovesse bombardare questo traghetto, poi dovrebbe pagarne le conseguenze. Trump farà finire tutto questo». Ne è convinta anche Margaret Power: «Trump è davvero un duro, uno tosto, ed è quello che ci serve», dice, «è il momento di smettere di fare i conigli». Power ha 52 anni e lavora nell’edilizia. Al momento sta preparando le strutture per una mostra di moda al Metropolitan Museum of Art. Dice di fidarsi di Trump perché non è come gli altri politici fedeli solo ai loro finanziatori. «È la guida di sé stesso», dice, «ha fatto tanto per New York. È coinvolto in progetti grandiosi. È uno tutto di un pezzo. Ha fatto di più della maggior parte dei sindaci della città, e si vede».

Joe Berardi pensa che Trump come presidente farebbe molto per l’occupazione. «Farà bene per quelli come me», dice l’operaio edile di 33 anni mentre finisce una fetta di pizza. Berardi si sveglia ogni mattina alle 3, arriva al suo cantiere entro le 7 e prende il traghetto delle 17 per tornare a casa, ogni giorno, sei giorni alla settimana. Di solito lavora sui grattacieli, ma in questi giorni sta lavorando alla costruzione di un negozio Nike a Broadway. «Donald Trump è un genio dell’edilizia», dice Berardi, «a un miliardario non importerà certo di me, ma sa di avere bisogno di noi, come gruppo. Se si sbarazzerà degli immigrati irregolari che lavorano a basso costo, chi rimarrà a fare il loro lavoro? Persone come me». Josh Shimoni, 65 anni, ha la stessa speranza. «Trump! Trump! Trump! Parla la mia lingua», dice Shimoni, che di lavoro guida un carro attrezzi ed è arrivato negli Stati Uniti dall’Ungheria a 22 anni. «Capisce le nostre frustrazioni sul lavoro, e credo che possa darci una mano. Il lavoro va davvero molto male. Non c’è lavoro. Trump farà funzionare di nuovo il sistema».

Joe Berardi sullo Staten Island Ferry (Mark Abramson/For The Washington Post)

A New York ci sono anche molte persone che odiano Trump. Sono milioni, senza dubbio, e ce ne sono anche su questo traghetto: sono donne, neri, latini e giovani. Quando chiedo se hanno intenzione di votare per Trump, alcuni di loro si mettono a ridere. «Non mi piace», dice Chris Topherbollinger, un uomo bianco di mezza età che porta i vestiti con il marchio dei New York Yankees, la squadra di baseball più famosa di New York. «Anzi, lo disprezzo». Altre persone, però, pensano che Trump sia proprio quello di cui l’America e Staten Island hanno bisogno. Di tutti i cinque distretti amministrativi di New York, Staten Island è quello dimenticato. Non ha collegamenti con la rete metropolitana e ci si può arrivare solo per nave o attraversando un ponte. È il quartiere meno popoloso – ha solo 500mila abitanti – ma anche quello con più bianchi e Repubblicani. Trump ha in programma di tenere un comizio nel distretto domenica prossima.

Come in molti altri posti negli Stati Uniti, il flusso di immigrati ha creato tensioni anche a Staten Island. Debbie Padovano, 59 anni, ha votato per Obama ma adesso sostiene Trump. Vive a Manhattan ma si sposta a Staten Island per lavorare in un banco alimentare per i senzatetto. Dice di affrontare il problema dell’immigrazione ogni giorno sul lavoro. «Non hanno i requisiti giusti», dice Padovano, «noi li facciamo entrare, e finché non sono molti va bene. Ma ce ne sono troppi. Stanno portando via il lavoro alla gente. Credo che Donald Trump metterà le cose a posto». Padovano non sostiene la retorica aggressiva di Trump e spera che «diventi meno discriminatorio». Ciononostante si è convinta che sarebbe all’altezza del ruolo. «Una volta che sarà eletto saprà esattamente cosa fare», dice Padovano, «So che saprebbe gestire la situazione. Donald… mi scusi, il signor Trump, metterebbe il Congresso in un angolo e prenderebbe il controllo».

Debbie Padovano sullo Staten Island Ferry (Mark Abramson/For The Washington Post)

Anche Michael O’Brian, 52 anni, vuole che il prossimo presidente prenda il controllo della situazione, e crede che Trump sia la persona in grado di farlo. «Quando l’ISIS ha bombardato la Francia, la sua prima reazione è stata: “Li ricoprirò di bombe”. Mi piace il suo modo di pensare: ha coraggio», dice O’Brian. La sua è una vita difficile: costruiva le scenografie al Metropolitan Opera House, il teatro dell’opera di New York, ma un giorno cadde da una scala, rompendosi i denti e la schiena in tre punti diversi. Ora non può più lavorare, racconta, e si aiuta con un bastone per camminare. Si è messo davanti alla porta della cabina del traghetto e osserva la Statua della Libertà mentre la nave le passa accanto. O’Brian non è il tipo di sostenitore di Trump che applaude a tutto quello che esce dalla sua bocca. Quando di recente Trump ha detto che le donne che abortiscono dovrebbero essere punite voleva «tirargli un pugno in faccia», anche se ammette che Trump «è un newyorkese: dice quello che pensa». Questo è il tipo di atteggiamento che ha portato Chris Szymanski a sostenerlo.

Szymanski è un immigrato polacco di 62 anni, vive a Staten Island e vende diamanti nel centro di Manhattan. Vuole un presidente forte, quasi autoritario. Di ritorno a casa sul traghetto, in completo e cravatta, Szymanski sfoglia un quotidiano e paragona Trump al presidente della Russia. «Ci sono due uomini che rispetto al mondo: Vladimir Putin e Donald Trump. Sono leader che fanno quello che dicono. Risolvono i problemi. Sono forti, decisi e hanno carattere». Per Szymanski i valori di New York sono «la forza, il dinamismo, la sicurezza in sé e il patriottismo». Trump li incarna tutti, dice Szymanski, ed è la soluzione ai mali del paese. «Risolverà tutto. Pensate a cosa ha fatto nella sua vita, ai suoi figli e al suo impero. Non vedete uno schema? Qualità. Onestà. Fermezza. Successo»

© 2016 – The Washington Post
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom apr 24, 2016 7:47 am

I cattolici americani stanno con Trump (nonostante il Papa)
di Matteo Matzuzzi | 22 Aprile 2016

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/04/2 ... e_c337.htm

Sondaggio di Reuters: The Donald cresce in simpatia tra i fedeli al Pontefice, che l’aveva criticato in conferenza stampa

Il consenso di Donald Trump tra l'elettorato repubblicano cattolico è cresciuto di nove punti negli ultimi due mesi (LaPresse)

Roma. Se le gerarchie cattoliche d’America continuano a finanziare Ted Cruz, l’evangelico senatore del Texas pro life considerato il più conservatore tra i repubblicani rimasti in lizza – ha ottenuto 155.500 dollari in donazioni da circa 380 personalità appartenenti a vario titolo al clero, mentre Trump e Kasich si sono fermati rispettivamente a 700 e 3.500 dollari – la base guarda con crescente simpatia a The Donald. A rilevarlo è un sondaggio condotto da Reuters e Ipsos: il 47,9 per cento dei cattolici che si dichiarano repubblicani sta con il frontrunner, ormai lanciato verso la nomination alla convention di Cleveland (colpi di coda degli avversari, permettendo). Un balzo in avanti di nove punti rispetto alla precedente stima risalente a metà febbraio. Il dato è sorprendente se si considera – e l’analisi Reuters lo sottolinea – che la crescita di consenso tra i fedeli al Papa si è avuta proprio in seguito allo scambio di opinioni (per nulla fraterne) tra Francesco e il miliardario newyorchese. Conversando con i giornalisti in aereo al ritorno del viaggio in Messico, Bergoglio era stato chiaro: “Una persona che pensa soltanto a fare muri, sia dove sia, e non a fare ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo. Poi, quello che mi diceva, cosa consiglierei, votare o non votare: non mi immischio. Soltanto dico: se dice queste cose, quest’uomo non è cristiano”. Il giorno dopo, padre Federico Lombardi aveva tentato di gettare acqua sul fuoco, osservando che le parole del Pontefice non erano in alcun modo riferite alle esternazioni di Trump, che un muro tra Arizona e Messico vorrebbe costruirlo eccome.

Ma la domanda fatta al Papa era proprio su The Donald, che non a caso aveva immediatamente ribattuto a muso duro al vescovo di Roma: “Il Papa? E’ un personaggio molto politico. Lo stanno usando come una pedina e dovrebbero vergognarsi di farlo. Per un leader religioso mettere in dubbio la fede di una persona è vergognoso”. Ventiquattr’ore dopo già attenuava i toni, parlando di “incomprensione”. Lo scontro, però, non l’ha affatto danneggiato, anzi. William Paul McKane è un sacerdote cattolico del Montana, e tra il suo “principale” e il frontrunner non ha dubbi con chi stare: “Mi sembra paradossale, e lo dico con affetto, che il Papa parli di muri quando abita dietro mura alte più di quaranta piedi. Quella frase detta in aereo compromette la sua credibilità tra i miei parrocchiani”. Il fatto è che, spiega ancora il sacerdote, non si è capito che il cattolico dell’America profonda è ben distaccato da quanto si dice in Vaticano e pensa alle cose concrete, badando poco alla verbosità di un candidato. “Trump si esprime in un modo che suona poco compassionevole. Io – aggiunge McKane – non lo considero un esempio di virtù cristiana, ma non è questo che cerco in un candidato. A me interessa qualcuno che sappia prendere buone decisioni politiche”. E i requisiti che vengono valutati in via prioritaria sono la capacità di rispondere ai problemi economici e di sicurezza. Comunque, dice ancora McKane, “si tratta di questioni che sono in linea con i valori cristiani sulla protezione delle vite innocenti”.

Nessun tradimento né della morale né della dottrina, dunque. In campo democratico, chiarisce il sondaggio, la situazione è ancora più chiara: il 67,8 per cento dei cattolici sta con Hillary Clinton e solo il 29,3 sostiene Bernie Sanders. Anche in questo caso, la veloce stretta di mano all’ora del cappuccino, davanti a Santa Marta, tra il senatore del Vermont e il Papa, non ha portato consenso. Washington è lontana da Roma.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » gio mag 05, 2016 2:42 am

Trump abbandona la neutralità: “Israele non smetta di espandere gli insediamenti”
4 maggio 2016
Riccardo Ghezzi

http://www.linformale.eu/2990-2

Donald Trump, in predicato di essere il candidato repubblicano alle prossime presidenziali Usa, ha sostenuto che Israele dovrebbe continuare a espandere gli insediamenti in Cisgiordania.
Lo ha detto un un’intervista al Daily Mail on line, sostenendo che l’eventuale cessazione dell’espansione non rappresenterebbe un prerequisito per l’avvio dei negoziati di pace.

Il miliardario newyorkese, che dopo il ritiro di Cruz in seguito ai risultati delle primarie del Montana attende solo la nomina a candidato del Gop, si è detto contrario ad uno stop dei nuovi insediamenti, affermando che Israele deve avviare nuovi progetti di costruzione. Una posizione che lo pone in netto contrasto con l’amministrazione Obama.

“Migliaia di missili vengono lanciati in Israele. Chi potrebbe resistere a questo? Chi potrebbe tollerarlo?” ha aggiunto. “Mi piacerebbe negoziare la pace. Ma vorrei una pace duratura, non una pace che dura due settimane e poi ricominciano i lanci di missili”.

In passato, il frontrunner del GOP aveva sempre mantenuto una posizione di neutralità sul conflitto israelo-palestinese, dichiarandosi favorevole alla soluzione a due stati.
La nuova presa di posizione sulla costruzione degli insediamenti arriva dopo che l’ex Segretario di Stato e probabile sfidante alle prossime presidenziali Hillary Clinton lo ha accusato di neutralità: “Un americano non può mai essere neutrale quando si tratta di sicurezza o sopravvivenza di Israele” aveva detto Clinton. “Alcune cose non sono negoziabili”.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun mag 16, 2016 9:22 pm

Donald Trump: "I migranti faranno attacchi in stile 11/9. Isis paghi bollette telefono ai profughi"
di F. Q. | 16 maggio 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... hi/2733805


La sua posizione nei confronti dei migranti è sempre stata netta. In passato Donald Trump aveva proposto la costruzione di un muro al confine col Messico e definito “ingenua” la Merkel che apriva ai profughi. Ma oggi arriva un altro affondo del candidato repubblicano alla Casa Bianca, travolto in questi giorni dall’inchiesta del New York Times che lo accusa di essere maschilista. Se ai rifugiati dalla Siria continuerà ad essere consentito di entrare negli Usa, ha detto il miliardario, il Paese rischia un nuovo attacco in stile 11 settembre. “Il nostro Paese ha già abbastanza problemi in questo momento senza bisogno di lasciare entrare i siriani”, ha detto il magnate newyorchese in un’intervista alla radio del National Border Patrol Council, il sindacato della polizia di frontiera Usa.

“Accadranno cose brutte, un sacco di cose brutte. Ci saranno attacchi che non potrete immaginare. Ci saranno attacchi da parte delle persone che in questo momento stanno entrando nel nostro Paese”, ha detto rispondendo ad una domanda sui rischi di attentati simili a quelli organizzati nel 2001 da Al Qaeda. Il magnate ha anche suggerito che lo Stato Islamico si faccia carico delle bollette telefoniche dei telefoni cellulari dei rifugiati. “Hanno tutti dei cellulari, ma non hanno soldi, non hanno niente, ma hanno i cellulari. Chi paga le bollette? Hanno i cellulari con sopra la bandiera dell’Is”.

Le dichiarazioni di Trump sui profughi erano state criticate, e non solo da Papa Francesco. Il premier britannico David Cameron aveva definito “stupida, divisiva e sbagliata” la sua proposta di impedire ai musulmani l’ingresso negli Stati Uniti, e il nuovo sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha accusato di avere una “visione ignorante” dell’Islam. Alla luce di queste considerazioni il miliardario, all’emittente inglese Itv, ha dichiarato che, pur auspicandole, da presidente degli Usa potrebbe non avere “relazioni molto buone” con Cameron e ha anche detto che si ricorderà dei “commenti molto antipatici” fatti da Khan.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Sixara » sab giu 04, 2016 8:25 pm

Berto ha scritto:Mi a spero kel vinça.

Anca Cioxa : Donald Trump Sindaco de Cioxa :D
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab giu 11, 2016 7:59 am

Sta kì lè on mostro altro ke Trump!


NWO, Hillary Clinton: utilizzare la forza coercitiva contro le identità culturali
ESTERI, NEWS venerdì, 15, maggio, 2015

di José Javier Esparza

http://www.imolaoggi.it/2015/05/15/nwo- ... -culturali

Uno scomodo velo di silenzio è stato calato sulle sorprendenti parole pronunciate di recente da Hilary Clinton. Forse la signora ha parlato più di quanto fosse conveniente.
“I codici culturali profondamente radicati, le credenze religiose e le fobie strutturali devono essere modificate.
I governi devono utilizzare i loro strumenti e le risorse coercitive per ridefinire i dogmi religiosi tradizionali”.

Image: U.S. Secretary of State Hillary Clinton delivers a speech "Frontlines and Frontiers: Making Human Rights a Human Reality" at Dublin City University in Ireland

Queste parole Hilary Clinton le ha pronunciate pubblicamente e senza sotterfugi, nel corso di un convegno pro abortista ed hanno lasciato più di una persona con la bocca aperta.

“Riformare coercitivamente le Religioni”? Dove rimarrebbe quindi la libertà religiosa? “Modificare le identità culturali”? Dove rimane quindi semplicemente la libertà di esistere? Simili intenzioni, messe in bocca a niente meno che alla principale candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti, avrebbero dovuto aprire un forte dibattito.

Non è stato così. Come un fatto molto significativo, i principali media in tutto l’Occidente hanno preferito silenziare le rivelazioni. Fatto rivelatore che i media non abbiano voluto dare risalto a queste dichiarazioni.

Quale significato dare alle dichiarazioni di Hillary Clinton?

Punto uno: che che i ” codici culturali profondamente radicati”, questi sono da intendere come le identità culturali tradizionali, che sono considerati in realtà nidi di “fobie strutturali”, vale a dire pregiudizi che deve essere giusto eliminare.

Punto due: che all’interno di queste “fobie strutturali” si trovano i “dogmi religiosi tradizionali”.

Punto tre: che i governo, ed il potere pubblico sono legittimati per utilizzare la loro forza coercitiva contro i dogmi religiosi e le identità culturali.

Quando si osserva in cosa consiste questa forza coercitiva, questa è, in soldoni, il “monopolio legale della violenza”, allora uno deve iniziare a preoccuparsi. Quando inoltre si constata che per le “fobie” o i “dogmi” si considerano quelli che sono i principi tradizionali della civilizzazione occidentale, vale a dire, la filosofia naturale, (per esempio il diritto alla vita), allora la preoccupazione ascende fino a tramutarsi in allarme. Quello che ha espresso sinteticamente la Hilary Clinton è un progetto politico totalitario di ingegneria sociale e culturale. Nè più nè meno.

Questo progetto è già in atto.

Sorprendente? In realtà non tanto. Questi luoghi comuni non sono affatto nuovi: essi sono già in circolazione nell’ideologia modernista dai tempi della Rivoluzione Francese. Dall’altro lato questi conservano una perfetta consonanza con quello che abbiamo visto crescere in Occidente negli ultimi venticinque anni, dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989: i programmi di ingegneria sociale dell’ONU- di frequente avallati dagli Stati Uniti-, le politiche abortiste ed omosessualiste adottate da quasi tutti i paesi europei e lo smantellamento delle identità etniche nell’area occidentale. Hilary Clinton di è di fatto limitata a rendere manifesto quello che già era latente.

Queste parole della Hilary Clinton sono state interpretate in chiave strettamente nordamericana: sono un progetto di ingegneria sociale- meglio si può dire spirituale- in un paese che si vanta di essere nato sulla base della libertà religiosa. Di sicuro nel contesto nordamericano, simili idee non smettono di essere una rettifica della propria identità delle origini del paese, di modo che potrebbe sembrare incomprensibile lo stupore di molti. Tuttavia i propositi di Clinton fanno parte delle tematiche abituali della sinistra USA dal 1968. Per dirlo così. quello che abbiamo visto fino ad ora è stata la sua “messa in pista”, la sua trasformazione in un programma politico senza camuffamenti.

Allo stesso modo, molti osservatori hanno visto nelle dichiarazioni della Clinton una specie di dichiarazione di guerra contro il Cristianesimo. Questa è una prospettiva corretta ma incompleta: la guerra non concerne soltanto le religioni tradizionali ma si estende anche, come dice la stessa signora Clinton, ai “codici culturali profondamente radicati”.

Questo significa che tutta l’identità culturale e storica, quale che sia stato il suo ambito e la sua natura, devono essere riformate coercitivamente dal potere politico. Non si tratta solo della religione che corre il pericolo: la minaccia si estende a qualsiasi tratto identitario che non coincida con il programma del “tempo nuovo” segnato dalla globalizzazione e dalla sua potenza egemone, che sono gli Stati Uniti d’America.

E noi europei cosa facciamo? In generale si segue la corrente. Bene, sembra sicuro che il percorso presenta delle complicazioni inaspettate e queste non hanno tardato a manifestarsi. Risulta francamente difficile mantenere la coesione sociale in un contesto di smantellamento dei “codici culturali profondamente radicati”.

A questo proposito l’esperienza francese è sommamente interessante : dagli anni ’80 la Francia ha vissuto un processo di costruzione di una nuova indentità sulla base di quella denominata “identità repubblicana” , che in pratica è consistita nella distruzione dei riferimenti classici della Nazione e la loro sostituzione con nuovi dogmi. “La Francia- diceva De Gaulle- è una Nazione europea di razza bianca e di religione cristiana”. Ha iniziato a smettere di essere tale poco dopo la morte del generale.

L’europeismo si è convertito in una forma di cosmopolitismo che vedeva la Francia come protagonista in un mondo senza frontiere, in mondo in cui la stessa Europa non è altra cosa che una regione privilegiata in un contesto globale.

Allo stesso modo, qualsiasi fattore di carattere etnico – razziale, culturale, ecc.- ha iniziato ad essere un tabù a vantaggio di una società di nuovo conio edificata sull’affluenza massiccia di popolazione straniera. In quanto alla religione, questa andava ad essere sistematicamente posposta nella scia di un laicismo radicale che non è scemato neppure quando Sarkozy, a San Giovanni in Laterano, scoprì davanti al papa Benedetto XVI i valori del “laicismo positivo”.

Il risultato è stato quello di una Nazione disarticolata sul piano politico, su quello economico e sociale. Il discorso ufficiale continua ad incamminarsi verso il medesimo obiettivo, la realtà sociale già cammina per una strada diversa.

La crescita impetuosa del “Front National” non è un caso. I politici cercano di reagire adattandosi al terreno. L’ultimo è stato il primo ministro Valls, il quale l’anno scorso aveva aperto istituzionalmente il “Ramadan”, mentre adesso si affanna a rivendicare il carattere inequivocabilmente cristiano della Francia. Forse lo ha fatto troppo tardi.

Sia come sia, quello che ha esposto la candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti è molto di più che una dichiarazione di intenzioni:

si tratta della trama occulta del programma del nuovo ordine mondiale, che per imporsi senza grandi resistenze necessita, precisamente, di demolire le radici culturali e le religioni tradizionali.

Era inevitabile che qualcuno avrebbe prima o poi finito con l’invocare la forza dello Stato per mettere in esecuzione coercitivamente tale operazione. Hilary Clinton lo ha fatto.

La sinistra mondialista europea (e non solo quella), molto probabilmente è già salita sul carro. Così vedremo, alla nostra sinistra, appoggiare la politica mondialista in nome del progresso. Sono le svolte che avvengono nella Storia.

La Gaceta.es – - Traduzione: Luciano Lago

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