Trump Donald

Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mer nov 06, 2019 8:28 pm

La Virginia fa sperare i dem, i sondaggi no: Trump resta il superfavorito
(di F. Olivo)
6 novembre 2019

https://www.huffingtonpost.it/entry/la- ... 735d63595b

“La Virginia è ufficialmente blu!”. Con queste parole, che richiamano il colore simbolo del partito, Ralph Northam, il governatore democratico dello Stato Usa, ha annunciato una vittoria storica. I dem riprendono la Virginia dopo 26 anni e fanno tremare i repubblicani. Ma, probabilmente, lo stato di agitazione di questi ultimi non avrà ragione di durare a lungo.

Il voto nello Stato di Richmond era considerato il primo importante test per Donald Trump che, tra esattamente un anno, correrà per la sua riconferma alla Casa Bianca. Test che, evidentemente, è stato negativo, ma che non è da considerarsi un segnale di allarme per i conservatori. Lo lasciano intendere chiaramente gli ultimi sondaggi: secondo Politico, infatti, il 56% degli americani è convinto che il Tycoon il 3 novembre 2020 sarà rieletto. Della vittoria dell’attuale presidente si dicono certi l′85% dei repubblicani, il 51% degli indipendenti e il 35% dei democratici. Nonostante manchi ancora del tempo, ci sono gli tutti gli elementi per prevedere un’alta affluenza alle urne. Il 69% degli intervistati, infatti, si dice molto motivato ad andare a votare. Per il presidente uscente o contro di lui.

Ma se la popolarità di Trump - che non ha mai messo piede in Virginia durante la campagna elettorale - è ancora alta in giro per gli Usa, da cosa dipende la vittoria dei democratici a Richmond? Per il Washington Post alcuni elettori hanno sicuramente voluto lanciare un segnale al governo centrale con il loro voto, ma le ragioni della sconfitta del Gop devono essere cercate nella situazione locale.

Come ha spiegato al Wp Mark Rozell, docente alla George Mason University, è “troppo facile” attribuire al Tycoon la colpa della sconfitta dei repubblicani. L’ala locale dei conservatori negli ultimi anni ha sterzato a destra, troppo per la parte moderata dei suoi elettori che, evidentemente, le hanno voltato le spalle. Un esempio per tutti? La condotta tenuta sulla legislazione sulle armi. Pochi mesi dopo la sparatoria del 31 maggio a Virginia Beach, nella quale morirono 13 persone, fecero spirare la sessione legislativa speciale di luglio che aveva come tema proprio il controllo delle armi. “Oggi abbiamo imparato che quello fu un errore - ha detto ancora Rozell - credo che i repubblicani abbiano voltato le spalle ai cittadini non adottando neanche un singolo provvedimento sulla sicurezza sulle armi”. A voltare le spalle ai Repubblicani anche i residenti delle periferie che, in passato, li avevano sostenuti.

Certamente quella appena trascorsa è stata - come scrive il New York Times - “Una grande notte” per i democratici, che intravedono uno spiraglio di risalita, nell’America di Trump. Hanno conquistato non solo la Virginia, ma anche il Kentucky dove nel 2016 - come spiega HuffPost Usa - Trump aveva vinto con uno scarto del 30% sugli avversari. Una sconfitta che brucia, questa, per il partito di Trump che è stato, invece, riconfermato in Mississippi.

I dem festeggiano una vittoria che considerano particolarmente importante, nell’attesa di avere le idee più chiare su chi sarà il loro candidato di punta nella (difficile) sfida a Donald Trump dell’anno prossimo. Nella lista dei candidati alle primarie compaiono 17 nomi, e c’è incertezza su chi possa essere il cavallo vincente. Per i sondaggi l’unico in grado di sfidare il Tycoon sarebbe Joe Biden, ma il vantaggio che avrebbe su Trump negli Stati chiave al momento non è particolarmente alto. Nei giorni scorsi si ipotizzava una ridiscesa in campo di Hillary Clinton, candidata alle presidenziali del 2016, ma l’ex segretario di Stato ha escluso tale prospettiva. Almeno per ora. Ma alle primarie dem mancano ancora alcuni mesi. E non è detto che, nel mentre, qualcosa non cambi.
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Messaggioda Berto » lun nov 18, 2019 9:39 pm

L’epurazione di John Bolton
10 novembre 2019
Traduzione di Angelita La Spada

http://www.linformale.eu/lepurazione-di ... iLM5cqZWdY

Il mese scorso è successo qualcosa di inaudito. Un consigliere per la Sicurezza Nazionale, l’ambasciatore John R. Bolton, è stato cacciato da una congrega di commentatori televisivi e di nemici suoi e del presidente Donald Trump. Forse per la prima volta, l’uscente consigliere ha sconfessato pubblicamente il presidente per la sua politica estera. L’autorevole avvocato americano Alan Dershowitz ha definito l’epurazione di Bolton una “catastrofe nazionale”.

Il siluramento di Bolton ha gravi implicazioni per la sicurezza nazionale futura degli Stati Uniti. Complimenti a lui per aver sacrificato il suo incarico, essendosi reso conto che il presidente si muove nella direzione sbagliata. Il disagio di Bolton potrebbe essere stato causato dal fatto che non è stato più in grado di sopportare i cosiddetti “momenti di esitazione di Obama e di mancanza di determinazione” avuti da Trump.

Pazienza strategica contro buon senso strategico

I “momenti di esitazione di Obama e di mancanza di determinazione” consistevano nel “governare da dietro le quinte”, in quella che era sostanzialmente un’assenza di strategia. Le sue politiche “hanno prodotto soltanto Stati falliti, caos alimentato dall’islamismo, crescenti attacchi terroristici in Europa e debito catastrofico”. A questa lista si aggiunga una mancanza di determinazione e una tendenza a fare compromessi imperfetti e concessioni ai nemici stranieri. I collaboratori di Obama hanno coniato l’espressione “pazienza strategica” per designare questa dottrina.

Al contrario, all’inizio del 2017, sotto la guida del segretario alla Difesa James Mattis e del consigliere per la Sicurezza Nazionale H. R. McMaster, il presidente Trump ha iniziato il suo mandato con diversi “colpi”.

Innanzitutto, ha punito il dittatore siriano Bashar Assad con un attacco riuscito contro una base aerea siriana per il suo presunto uso di armi chimiche sui propri civili. Questo raid ordinato da Trump ha avuto un enorme significato. Forse il più memorabile “momento di esitazione di Obama” è stata la marcia indietro fatta dall’ex presidente americano nel 2013 sull’uso delle armi chimiche. Ha richiamato i cacciatorpedinieri diretti verso le coste siriane e ha raggiunto un accordo con Vladimir Putin per rimuovere tutte le armi chimiche dalla Siria.

Dopo il raid aereo, Trump ha dato ordine di sganciare una bomba MOAB (Massive Ordinance Air Blast, o “madre di tutte le bombe”) sui talebani in Afghanistan. A questa mossa decisiva ha fatto seguito l’invio di una poderosa flotta militare vicino alla costa della Corea del Nord, insieme a una serie di provvedimenti contro il dittatore nordcoreano da parte dell’esercito e dell’aeronautica militare statunitensi, in aggiunta alla pressione retorica di Trump.

Un nuovo capitano governava la nave di Stato, e il suo team non rimandava i problemi alla maniera delle precedenti amministrazioni americane. La nuova squadra ha affrontato i problemi di petto, inviando un chiaro messaggio sulla necessità di impedire a un folle leader nordcoreano di sviluppare ulteriormente le sue armi nucleari e i sistemi di veicolazione, già in grado, come accaduto sull’isola di Guam, di raggiungere le coste americane.

Segnando la fine della “pazienza strategica”, queste mosse sembravano far debuttare una nuova dottrina di Trump che potrebbe essere definita del “buon senso strategico” – che implica astuta diplomazia, risolutezza, coraggio e uso giudizioso di strumenti economici e di forza militare. Bolton, all’epoca commentatore tv e presidente del Gatestone Institute, un ruolo che ha ripreso da allora, è rimasto probabilmente impressionato dal “pro-americanismo” del presidente, come risulta in un’intervista pubblicata nel marzo 2019:

“Mi definirei pro-americano. La più grande speranza di libertà per il genere umano nella storia è rappresentata dagli Stati Uniti e quindi proteggere gli interessi nazionali americani è la migliore strategia per il mondo”.

Bolton ha aggiunto che l’America ha lentamente imbrigliato il proprio raggio d’azione attraverso intrecci insensati con istituzioni internazionali come le Nazioni Unite e ingenui accordi bilaterali che hanno promesso troppo ai nemici dell’America in cambio di troppo poco.

Il motivo dello screzio che Bolton ha avuto con il presidente nel settembre scorso sembra essere stato la sua crescente opposizione al graduale ritorno di Trump alle impraticabili politiche di Obama di pazienza strategica e di ripiegamento.

I momenti di esitazione di Obama avuti da Trump in Siria

In alcuni settori della politica estera, come il forte sostegno all’alleato americano Israele, Trump e Bolton erano d’accordo, come sulla decisione di armare l’Ucraina con i missili Javelin e tenere a bada l’Iran.

In Siria, tuttavia, Trump, come Obama prima di lui, sembra non aver capito che quando gli Stati Uniti si ritirano, i loro nemici avanzano e riempiono il vuoto lasciato. Il segretario alla Difesa Mattis a quanto parte si è dimesso perché era contrario a questo ritiro. Bolton avrebbe fatto lo stesso mesi dopo, evidentemente a causa dell’invito rivolto da Trump ai leader talebani di recarsi a Camp David, escludendo il governo afgano alleato degli Stati Uniti – durante la settimana della commemorazione degli attacchi dell’11 settembre. Come Mattis, Bolton ha sacrificato il suo incarico a causa delle prevedibili conseguenze negative per gli interessi nazionali statunitensi.

Gli alleati curdi dell’America sono stati abbandonati da Trump per essere massacrati dalla Turchia. Il ritiro delle truppe statunitensi ha inoltre un impatto nefasto sull’Ucraina che insieme ad altri Paesi sta rivalutando negativamente l’affidabilità degli Stati Uniti.

Al momento del ritiro, il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato quello che sembrava essere un finto attacco in direzione del città portuale ucraina di Mariupol, come già aveva fatto nel 2015. Il suo reale obiettivo sembra essere stato un nuovo e sanguinoso attacco unitamente al dittatore siriano Bashar Assad e al Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche contro i ribelli della provincia siriana di Idlib. L’offensiva russo-siriana si è intensificata dopo che è diventato chiaro che la risposta di Trump al nuovo massacro non sarebbe andata oltre un tweet furente.

Corea del Nord: ritorno alla pazienza strategica

Dopo aver dimostrato il buon senso strategico con Kim Jong-un nel 2017-2018, Trump è tornato alla pazienza strategica. Di seguito alla dimostrazione di forza sono arrivati i summit.

Trump sembrava convinto di poter parlare con Kim come se fosse un cliente immobiliare. Pertanto, ha elogiato il sanguinoso e spietato Kim, simile a Stalin, come avente “una grande personalità”; si è rallegrato della “buona alchimia” esistente tra di loro e ha espresso altri commenti non presidenziali che probabilmente hanno imbarazzato Bolton.

Come ha ammonito Bolton “Nelle circostanze attuali [Kim] non rinuncerà mai volontariamente alle armi nucleari”.

I funzionari nordcoreani hanno l’abitudine di lunga data di mangiare e bere con i negoziatori americani, intrattenendoli e ingannandoli, mentre costruiscono il loro arsenale nucleare. Sotto il presidente George W. Bush, ad esempio, il segretario di Stato Condoleezza Rice era così ansiosa di raggiungere un accordo con il padre dell’attuale dittatore da impegnarsi in quella che l’allora vicepresidente Dick Cheney definì “una concessione dopo l’altra”. Con una mossa particolarmente disperata, la Rice ha perfino rimosso la Corea del Nord dalla lista nera degli Stati sponsor del terrorismo.

E Trump sta seguendo un copione simile. Nonostante l’opposizione di Bolton, ha accettato la richiesta principale di Pyongyang: la cancellazione delle esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, senza la reciprocità nordcoreana.

Punto di svolta in Iran

Un importante punto di svolta è arrivato quando gli iraniani hanno attaccato le navi alleate nel Golfo Persico e hanno abbattuto un drone statunitense. La decisione di Trump di non rispondere militarmente – e il suo ritiro degli aerei americani che erano pronti a bombardare obiettivi in Iran – ricorda una delle inefficienze di Obama. La sua incapacità di reagire agli attacchi contro le navi alleate o ai raid aerei iraniani condotti contro gli impianti petroliferi sauditi non possono che incoraggiare future azioni militari di Teheran contro le risorse degli alleati nel Golfo Persico.

Trump sembra voler mostrare che a suo avviso tutte le differenze possono essere risolte con i negoziati. Tuttavia, tutti i presidenti degli Stati Uniti a partire da Nixon avrebbero probabilmente punito l’Iran per l’uso della forza militare, con la sola eccezione di Obama.

Trump vorrebbe negoziare un nuovo accordo nucleare con i leader iraniani, ma – come i nordcoreani – essi non fermeranno la costruzione delle bombe. Punto. Quindi bisogna mantenere le sanzioni, lasciare che il regime si sbricioli e ricorrere all’uso della forza, se e quando necessario. Uno dei più grandi successi di Trump è stata la demolizione del disastroso “accordo sul nucleare” iraniano (il JCPOA) che non avrebbe dovuto essere firmato e che di fatto ha spianato la strada all’Iran per avere tutte le armi nucleari che voleva.

Una troika della tirannia: Cuba, Venezuela e Nicaragua

Bolton ha soprannominato Cuba, il Venezuela e il Nicaragua una “troika della tirannia” nel cortile strategico degli Stati Uniti. Il Venezuela, che un tempo era un ricco Paese dell’OPEC pieno di petrolio, in circa 20 anni si è trasformato in uno Stato fallito la cui popolazione vive in condizioni insopportabili di fame e miseria – un pozzo nero di droga, criminalità e di terroristi di Hezbollah.

Vladimir Putin, con l’aiuto di Cuba ha violato la Dottrina di Monroe dell’America fornendo aiuti militari al regime “socialista” del Venezuela e sostenendo il regime del suo presidente illegittimo, Nicolás Maduro. Ma nemmeno l’arrivo di “consiglieri” russi e cinesi e l’erogazione di aiuti militari al Paese sembrano aver impressionato Trump. Un’azione significativa per estromettere Maduro deve ancora avvenire. I tweet e le minacce a vuoto, prevedibilmente, non hanno funzionato.

Il “momento di esitazione di Obama” avuto da Trump ha incoraggiato Erdoğan

Il crescendo dell’offensiva russo-siriana nell’estate scorsa è ora visibile nelle decina di migliaia di civili siriani che fuggono dal loro Paese e cercano di raggiungere l’Europa attraverso la Turchia. Il nuovo esodo siriano sta fornendo al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan una scusa per lanciare reiterate minacce che “inonderà l’Europa” di 3,6 milioni di rifugiati provenienti dai campi turchi.

Trump dovrà affrontare la sfida che Erdoğan sta presentando agli Stati Uniti. Il presidente turco non è più l’alleato strategico dell’America, come ha chiarito quando ha deciso di acquistare armi russe incompatibili con i requisiti richiesti dalla NATO, con la quale è teoricamente impegnato.

Imparare da Reagan

Il presidente Trump farebbe bene a seguire le raccomandazioni degli esperti di politica estera e militare che conoscono la storia, la strategia e la geopolitica. Sta mostrando un infausto cambio di rotta con politiche che ricordano le peggiori decisioni delle amministrazioni Clinton, Bush e Obama.

Ma soprattutto, farebbe bene a lavorare verso la riconciliazione e la costruzione di una relazione produttiva con l’emergente ala Bolton del GOP.

Alla fine della campagna elettorale del 1983-1984, quando Ronald Reagan fu assediato dai democratici che lo chiamavano guerrafondaio, egli si rifiutò di proiettare l’immagine di un presidente in cerca di pace a tutti i costi. Invase l’isola caraibica di Grenada, che aveva appena deposto un brutale regime leninista in un sanguinoso colpo di Stato.

Il popolo americano non necessariamente elegge i candidati impegnati esclusivamente nella ricerca della pace. Bolton ha ragione: gli americani appoggiano i leader che non sono pacificatori, ma difensori dei valori americani, degli interessi nazionali vitali e dei diritti – in particolare, nel proprio cortile di casa. Non è troppo tardi per il presidente Trump. Deve svegliarsi.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun nov 18, 2019 9:39 pm

Usa, aderì all'Isis. E il giudice le nega la cittadinanza
Giovanna Pavesi - Ven, 15/11/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sta ... sn5MTp8Nxo

Hoda Muthana, la 25enne che da Birmingham andò in Siria, oggi è detenuta in un campo profughi curdo in Siria. Vorrebbe tornare per il bene del figlio e si è detta pronta ad assicurarsi alla giustizia americana. Ma l'America non la riprende grazie a un cavillo burocratico

Aveva deciso di unirsi alle milizie dell'Isis nel 2014, partendo dall'Alabama per raggiungere la Siria. Ma poi, una volta catturata dai curdi insieme a suo figlio, ha espresso il desiderio, come fanno molte di tornare a casa, negli Stati Uniti.

Tuttavia, la decisione di un giudice federale, che si è schierato al fianco dell'amministrazione di Donald Trump, ieri ha dichiarato che la donna non è da considerare una cittadina americana e ha disposto la sua permanenza in Siria, insieme al bambino piccolo. Si tratta di Hoda Muthana, un'americana di 25 anni, cresciuta nel sobborgo di Hoover, a Birmingham.

Il caso particolare

Secondo quanto riportato dal The Guardian, la donna, proprio recentemente, aveva affermato di essere "profondamente pentita" della scelta fatta cinque anni fa di unirsi alle milizie di Daesh, ma Reggie Walton, il giudice federale di Washington che si è espresso sul caso, si è detto d'accordo con la posizione del governo attuale secondo cui, quando Muthana è venuta al mondo, il padre era ancora un diplomatico. Questo particolare, nel caso specifico, renderebbe inammissibile la cittadinanza della ragazza. L'avvocato della donna che si sta occupando della vicenda, Christina Jump, ha fatto sapere di essere in attesa della lettura della sentenza scritta e che il centro di diritto costituzionale per i musulmani in America, che rappresenta la 25enne in Siria, avrebbe esaminato altre opzioni per farla rientrare.

La posizione di Trump

Gli Stati Uniti garantiscono la cittadinanza americana praticamente a chiunque nasca su suolo americano ed è estremamente difficile revocare questo diritto. Tuttavia, più la storia di Muthana ha iniziato a diffondersi, anche in rete, più il presidente Donald Trump ha insistito nel sostenere che la 25enne dell'Alabama non fosse una cittadina americana e che nessuno le avrebbe permesso, quindi, di tornare. Il segretario di stato americano, Mike Pompeo, in seguito aveva spiegato che il padre della ragazza era stato un diplomatico in rappresentanza dello Yemen alle Nazioni Unite, il che significa che sua figlia, tecnicamente, non è mai stata una cittadina degli Stati Uniti, anche se in Siria ci è arrivata con il passaporto americano.

Quando (e perché) Muthana si è unita a Daesh

L'avvocato di Muthana ha voluto sottolineare che il giudice federale ha basato la sua sentenza sulla questione dell'immunità diplomatica, non su una posizione del capo della Casa Bianca. La 25enne ha affermato di essere stata sottoposta a lavaggio del cervello tramite il suo smartphone da messaggi di propaganda dello Stato islamico e, in più circostanze, ha ribadito di aver cambiato idea sull'ideologia del gruppo di Abu Bakr al-Baghdadi. Una volta arrivata in Siria, Muthana ha sposato tre combattenti, tutti morti in battaglia.

La volontà di tornare in Usa

La 25enne ha dichiarato di essere cambiata e di essere disposta a subire procedimenti giudiziari in America, dove vorrebbe poter rientrare per il bene del figlio di soli due anni. "Chiunque creda in Dio crede che tutti meritino una seconda possibilità, non importa quanto dannosi fossero i loro peccati", avrebbe detto la giovane a Nbc News, in un'intervista rilasciata dal suo campo profughi. Muthana ha poi specificato di non aver mai sostenuto le decapitazioni dei miliziani Isis e ha confermato di non sostenere ora "nessuno dei loro crimini e degli attacchi suicidi". Attualmente, gli Stati Uniti hanno rimpatriato diversi americani, ma non lei.


Alberto Pento
Questo è un buon giudice giusto che difende il suo paese e i suoi concittadini.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun nov 18, 2019 9:40 pm

Il metodo Trump funziona: l'economia degli Stati Uniti ha spiccato il volo
Federico Giuliani
17 novembre 2019

https://it.insideover.com/economia/leco ... I9Q0FecXXc


L’economia degli Stati Uniti non è mai stata così bene. Tutti i suoi più importanti indicatori segnano valori positivi: Il prodotto interno lordo, costantemente affiancato al segno più, continua a crescere così come crescono consumi e salari (questi ultimi hanno registrato un +1,5% nel periodo compreso tra l’agosto 2018 e l’agosto 2019). Allo stesso tempo diminuisce la disoccupazione, che lo scorso agosto era ferma al 3,7%, e sale la quota di occupati, aumentati di oltre 6 milioni di unità.
A godere del quadro idilliaco è Donald Trump, il presidente in carica che potrebbe (e dovrebbe) spingere su questa leva economica per sbaragliare la concorrenza in vista delle prossime elezioni presidenziali previste per il prossimo 3 novembre 2020. Certo, non tutti i meriti sono di The Donald, visto e considerando che gli Stati Uniti stanno attraversando una fase positiva praticamente ininterrotta dal 2010, cioè dagli anni in cui l’inquilino della Casa Bianca rispondeva al nome di Barack Obama. È però pur vero che Trump ha attuato le giuste politiche che hanno permesso all’economia di continuare a crescere, come ad esempio la deregulation e il taglio delle tasse aziendali e la spinta nei settori dell’energia, della difesa e aerospaziale.


Un periodo d’oro

Trump sa bene che l’economia statunitense corre come un treno, e non perde occasione per ricordarlo al mondo intero. Pochi giorni fa, di fronte all’Economic Club, a New York, il tycoon ha detto chiaramente che “l’economia americana, con me, è la migliore di sempre”. L’affermazione è corretta e non può essere bollata dai progressisti come una fake news. Eppure bisogna fare una considerazione: quello che dice Trump è vero, ma è una verità parziale. L’economia Usa sta attraversando una fase d’oro, ma da qui ai prossimi mesi gli esperti non escludono contraccolpi. I motivi sono molteplici, e al primo posto c’è la guerra commerciale con la Cina, seguita dalle tensioni con l’Europa e le scaramucce varie con Iran e Siria. In ogni caso, nei primi tre mesi del 2019 il pil degli Stati Uniti è cresciuto del 3,1%, sceso poi al 2% nel secondo trimestre e all’1,9% nel terzo. Gli analisti prevedono che nei prossimi quattro trimestri la crescita americana sarà più debole, con una frenata stimata tra +0,3% e +0,4%, mentre per il 2019 è stata stimata una percentuale di crescita superiore al 2% ma inferiore al 5,5% del 2014. Per evitare che il rallentamento possa consolidarsi, Trump ha pronta una nuova mossa: un taglio di tasse che a partire dal 2020 riguarderà le classi medie. Si parla di un’aliquota unica per le imposte sul reddito federali pari al 15%.


Petrolio e gas

La ciliegina sulla torta, che corona il periodo da sogno degli Stati Uniti, è rappresentata dal petrolio. Già, perché gli Usa sono ora i più grandi produttori di petrolio al mondo. Un record, ricordiamolo, che va di pari passo con quello inerente l’estrazione di gas naturali. In questo caso il merito è di Trump, visto che è grazie alla deregulation voluta dalla sua amministrazione che il settore energetico ha spiccato il volo. Dati alla mano, l’indotto ammonta al 7,6% del pil e al 5,5% dell’occupazione (6,7 milioni di lavoratori). Negli ultimi dieci anni la produzione di greggio è più che raddoppiata (quest’anno del +9,4%) e oggi tocca i 12,8 milioni di barili al giorno. Molti dei quali, va da sé, esportati in giro per il mondo con entrate monetarie non indifferenti. Trump dovrà essere bravo a utilizzare questi numeri da qui al prossimo novembre: una missione non proprio impossibile.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun nov 18, 2019 9:59 pm

Chi è John Bel Edwards?
2019/11/18
Andrea Gabba

https://osservatorerepubblicano.com/201 ... sqtfeBMXRo

Il governatore democratico è appena stato rieletto nello stato della Louisiana, uno dei più conservatori di tutta la federazione. Il giubilo nelle redazioni progressiste, non è ovviamente mancato,urge dunque ricordare il motivo per il quale è stato fondato questo blog; raccontare la politica americana da un punto di vista conservatore, dato che tutte le testate giornalistiche “indipendenti” non fanno altro che propagandare per i liberals, la bestia di satana politca che si è impossessata della sinistra.

Il neo rieletto governatore, veterano dell’esercito, non è un democratico qualunque e probabilmente fa parte di una corrente minoritaria all’interno del suo partito, in quanto le sue posizioni su molte tematiche attuali sono diverse rispetto a quelle dei classici hipster Californiani.

Partiamo dai due provvedimenti più progressisti, appena vinte le elezioni nel 2015 emana due ordini esecutivi con i quali tutela le persone omosessuali e impedisce che esse vengano discriminate non solo sul posto di lavoro, ma anche da varie associazioni no profit che per motivi religiosi potevano discriminare membri della comunità LGBT. L’altra grande manovra di Edwards riguarda l’espansione di Medicaid, il programma di assistenza sanitaria statale (oh esiste pure negli USA, non li lasciano morire in mezzo alla strada, incredibile!) che ha dato la possibilità a 327,000 cittadini dello stato di avere una garanzia medico-sanitaria.

John Bel Edwards è stato anche promotore del “fetal heartbeat bill”che vieta l’aborto dopo le 15 settimane di gravidanza, questa mossa ovviamente ha scatenato le proteste della minoranza progressista dello stato.

A gennaio nel bel mezzo dello Shutdown del governo federale, il famoso braccio di ferro tra Trump e Nancy Pelosi per i finanziamenti al muro, Edwards disse :

“Sono a favorevole ad aumentare la sicurezza sul confine meridionale, ci sono diverse soluzioni, oltre al muro è necessario un aumento di personale e l’implementazione di nuove tecnologie per contrastare il problema”.

La sua posizione sul secondo emendamento e sui cosiddetti “gun rights” è totalmente diversa rispetto alla direzione nazionale che sta prendendo il suo partito, essendo ovviamente favorevole.

La sua politica economica è stata abbastanza di centrosinistra, le tasse sono aumentate(specialmente quelle indirette) ma c’è stata un’effettiva riduzione del deficit e la creazione di un cluster per portare in Louisiana le nuove aziende dell’high tech.

Un politico con queste posizioni in Italia verrebbe come minimo considerato di centrodestra, quindi perché il corriere deve titolare “schiaffo a Trump” , quando un candidato simile mai potrebbe vincere il ticket per la presidenza siccome sarebbe ostacolato dalla sinistra estrema che ormai domina il partito democratico ? Edwards altro non è che un democratico vecchio stile che cerca il giusto mix tra economia di mercato e welfare, tra progresso e valori tradizionali americani.



Russiagate, il primo rapporto di Horowitz inchioda l'Fbi
Roberto Vivaldelli
20 novembre 2019

https://it.insideover.com/politica/il-p ... R4DFo3a8cw


L’annuncio lo ha dato il senatore Lindsey Graham, a capo del Comitato giudiziario del Senato degli Stati Uniti e molto vicino al presidente Donald Trump: l’11 dicembre è in programma un’audizione con l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, che ha condotto l’indagine incentrata sul presunto controllo della campagna presidenziale di Trump nel 2016 e sul possibile abuso del Foreign Intelligence Surveillance Act da parte di Barack Obama.

Il tanto atteso rapporto sulla condotta del bureau, che dovrebbe essere pubblicato a breve, dimostrerà se l’Fbi ha davvero volato le politiche di sorveglianza ottenendo un mandato Fisa ai danni di Carter Page, ex consulente della campagna di Trump. L’altro filone dell’indagine (penale) sulle origini del Russiagate, invece, è condotto dal Procuratore John Durham. “Apprezzo tutto il duro lavoro di Horowitz e del suo team per quanto riguarda l’applicazione del mandato Fisa a Carter Page e l’indagine di controspionaggio della campagna di Trump”, ha detto Graham.

In attesa di quella data, Horowitz ha appena diffuso un altro rapporto sull’Fbi, preludio di ciò che emergerà nelle prossime settimane. Come riporta l’agenzia Adnkronos, nel rapporto diffuso da Horowitz “si esamina la gestione da parte del Federal Bureau of Investigation degli informatori e del processo di verifica degli stessi, a partire dal 2011”. Vengono evidenziati “diversi problemi”, in particolare “ritardi nel processo di verifica dell’attendibilità delle informazioni ricavate e falle nel processo di archiviazione delle informazioni ritenute più problematiche”. “I processi di verifica dell’Fbi per le fonti confidenziali, noto come validazione, non è risultato in linea con le linee guida dell’attorney general, in particolare con riferimento alle fonti a lungo termine”, ha sottolineato l’ispettore generale in un video.


“Impiegate procedure non sicure”

Secondo quanto emerge dal rapporto, il bureau avrebbe speso la bellezza di 42 milioni di dollari l’anno per pagare i suoi informatori tra il 2012 e il 2018. Parliamo di migliaia di persone, sul libro paga dell’Fbi. Secondo quanto appurato dall’ispettore generale, ci sarebbero state delle incongruenze nelle comunicazioni adottate tra gli agenti dell’Fbi e le loro fonti. Gli agenti del bureau avrebbero comunicato con i loro cellulari di servizio, e non con i dispositivi idonei, dotati dei sistemi di criptatura. E dunque più sicuri.

Altro problema rilevato da Horowitz, nota l’Adnkronos, “è quello dell’accesso a informazioni ricavate da fonti confidenziali da parte di personale dell’Fbi senza specifica autorizzazione”. Nel rapporto, inoltre, si fanno alcune raccomandazioni al fine di rendere più sicure le procedure, garantire l’adesione alle linee guida tracciate dal Dipartimento e “sviluppare e implementare” una nuova policy per l’uso di dispositivi elettronici ad hoc per comunicare con le fonti. Il rapporto diffuso nelle scorse ore è un soltanto un preludio, un piccolo assaggio, rispetto a quello che l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia illustrerà l’11 dicembre al Senato.


L’accusa di Barr

Le notizie degli ultimi giorni fanno pensare che il ciclone Spygate stia per abbattersi sugli avversari di Trump. Nei giorni scorsi, infatti, l’attorney general degli Stati Uniti William Barr ha confermato l’esistenza di una “cospirazione” dei dem contro Donald Trump volta a destituire il legittimo presidente degli Stati Uniti. Il procuratore generale, durante un evento ufficiale organizzato dalla Federalist Society a Washington, Dc, ha apertamente accusato i democratici del Congresso di “sabotare” con “ogni strumento possibile” l’amministrazione Trump, creando un precedente molto pericoloso per il futuro del Paese. “Ammiro profondamente la presidenza americana come istituzione politica e costituzionale”, ha osservato Barr. “Purtroppo, negli ultimi decenni, abbiamo assistito a una costante violazione dell’autorità esecutiva da parte degli altri rami del governo”.

Parole durissime, quelle del ministro della Giustizia Usa: “Immediatamente dopo la vittoria di Trump alle elezioni – ha affermato – gli oppositori hanno inaugurato quella che hanno chiamato la ‘resistenza’ e si sono radunati attorno a una strategia esplicita al fine di utilizzare ogni strumento e manovra possibile per sabotare l’amministrazione”. A breve ne sapremo di più.





Rapporto Horowitz in arrivo: un funzionario FBI già sotto indagine e Durham pronto a tornare in Italia
Federico Punzi
23 Nov 2019

http://www.atlanticoquotidiano.it/rubri ... L6EuCCm86o


Si tratta di Kevin Clinesmith, legale dell’FBI che condusse larga parte dell’interrogatorio (il secondo) a George Papadopoulos il 16 febbraio 2016

Il 9 dicembre dovrebbe essere reso pubblico, “a meno di imprevisti”, il rapporto dell’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, sugli abusi dell’FBI nella sorveglianza della Campagna Trump. E due giorni dopo, per l’11 dicembre, è già stata fissata la sua audizione davanti alla Commissione Giustizia del Senato, come ha annunciato in settimana il presidente, senatore Lindsey Graham.

Nel frattempo, si vedono già i primi effetti della conclusione dell’indagine dell’IG Horowitz. Un ex funzionario dell’FBI risulta già indagato per aver manipolato un documento chiave usato dall’agenzia per ottenere dalla FISC (Foreign Intelligence Surveillance Court, la Corte competente sulle richieste di sorveglianza in indagini di controintelligence) l’autorizzazione a mettere sotto sorveglianza Carter Page, uno dei consiglieri della Campagna Trump. In pratica, il Dipartimento di Giustizia di Obama avrebbe chiesto e ottenuto di “spiare” prima il candidato e poi il presidente eletto Donald Trump sulla base di una documentazione in parte alterata.

Secondo la Cnn, il funzionario avrebbe già ammesso di aver apportato “drastiche modifiche” al documento e Horowitz ha consegnato le prove raccolte al procuratore John Durham. Le “alterazioni”, scrive la Cnn, “furono abbastanza significative da cambiare il significato del documento e sono emerse durante una parte della revisione dell’IG Horowitz i cui dettagli sono stati classificati”.

Il New York Times ha rivelato nella serata di ieri che si tratta di un legale dell’FBI, Kevin Clinesmith, dimessosi dall’agenzia due mesi fa, dopo essere stato interrogato dall’IG Horowitz. Tra l’altro, Horowitz ha identificato Clinesmith, rimosso dall’indagine del procuratore Mueller sul Russiagate nel febbraio del 2018, come uno dei funzionari FBI che avevano espresso pesanti giudizi negativi su Trump in una serie di sms (suo il famoso “Viva la Resistenza!”). Clinesmith è accusato di aver alterato in particolare il contenuto di un’email che i funzionari dell’agenzia utilizzarono per preparare le richieste di proroga del mandato FISA a sorvegliare Carter Page. Sarebbe la prima conferma ufficiale che l’FBI ha commesso abusi nella sua indagine sulla presunta collusione fra la Campagna Trump e la Russia. E potrebbe essere solo la prima tessera del domino a cadere…

Ma Kevin Clinesmith ci riporta in Italia: è colui, infatti, che condusse larga parte dell’interrogatorio (il secondo) a George Papadopoulos il 16 febbraio 2016, come racconta nel suo libro lo stesso ex consigliere della Campagna Trump. È sulla base dei suoi incontri e delle sue chiacchierate con il professore della Link Campus Joseph Mifsud, conosciuto a Roma, che l’FBI decise a fine luglio 2016 di aprire l’indagine di controintelligence su Trump. In particolare, Clinesmith gli chiese con insistenza se avesse riferito a qualcuno della Campagna Trump ciò che gli aveva confidato Mifsud, cioè che i russi erano in possesso di materiale “dirt” su Hillary Clinton, migliaia delle sue email. Oltre ai modi aggressivi, ostili, di “uno che non fa prigionieri”, mostrata da Clinesmith, Papadopoulos ricorda di aver pensato che la cosa strana di quel secondo interrogatorio era che “a nessuno sembrava importare di Mifsud”, pur sempre la fonte di quella informazione, né di sapere come si fossero incontrati e chi li avesse messi in contatto. Clinesmith gli chiese anche se ricordava di aver bevuto un drink con un diplomatico occidentale in un bar di Londra. Si trattava dell’australiano Alexander Downer, colui che avrebbe poi informato l’FBI attraverso canali diplomatici di aver saputo da Papadopoulos della soffiata di Mifsud sulle email della Clinton in mano ai russi.

Lì per lì Papadopoulos non se ne ricordò e non rispose. Un paio di giorni dopo, lo chiama il suo avvocato: “Ho Clinesmith in linea da Washington e ha una domanda da farti”. “Ricordi un incontro con Alexander Downer?”. “Sì, l’ho incontrato una volta”. Click, Clinesmith riattacca.

Sul rapporto Horowitz, a due settimane circa dalla pubblicazione, è già partito lo spin dei media liberal che sono stati megafono del Russiagate: secondo il New York Times, nel rapporto si criticherebbe aspramente l’operato dei funzionari dell’FBI coinvolti nelle prime fasi dell’inchiesta sui presunti legami Trump-Russia, ma gli alti vertici del Bureau, come l’ex direttore Comey e l’ex capo della controintelligence Peter Strzok, verrebbero sostanzialmente scagionati dall’accusa di aver commesso abusi. Non ci metteremmo la mano sul fuoco. E, in ogni caso, è il procuratore Durham ad avere il potere di incriminare.

Secondo quanto riporta il NYT, il rapporto Horowitz indicherebbe anche che Mifsud “non è un informatore dell’FBI”. Affermazione bizzarra, vediamo perché. L’ex direttore dell’FBI Comey ha definito Mifsud un “agente russo” e il procuratore speciale Mueller lo ha lasciato intendere senza né affermarlo esplicitamente né provarlo, ma come abbiamo più volte osservato, nessuna agenzia di sicurezza e intelligence Usa né occidentale ha mai agito nei confronti di Mifsud come se potesse rappresentare una minaccia russa. Ora, dopo aver costruito l’intera narrazione della collusione sulla base della tesi secondo cui Mifsud era un agente russo che tentava di colludere con la Campagna Trump attraverso Papadopoulos, i media liberal cantano vittoria perché non è dell’FBI? Nessuno di autorevole, tra l’altro, lo ha sostenuto. D’altra parte, non avrebbe avuto senso mandare il professor Halper a incontrare e registrare Papadopoulos per verificare cosa avesse saputo dal professore maltese, se entrambi fossero stati informatori dell’FBI. Semmai, si parla di Mifsud come asset di servizi di intelligence occidentali, britannici e/o italiani. Papadopoulos ritiene sia Halper che Mifsud risorse CIA e Downer MI6. Tutti e tre lo hanno incontrato a Roma e Londra e a suo avviso era l’ex direttore della CIA Brennan a condurre il gioco.

Ma che ruolo ha avuto il documento “alterato” da Clinesmith nell’indagine? Il mandato FISA nei confronti di Page sarebbe stato ottenuto anche senza?

Come riportammo su Atlantico, nel febbraio del 2018 l’allora presidente della Commissione Intelligence della Camera, Devin Nunes, pubblicò un promemoria sulle richieste di mandato FISA nei confronti di Carter Page (la prima il 16 ottobre 2016 e l’ultimo dei tre rinnovi nel giugno 2017), rivelando che il falso dossier Steele – commissionato dalla Fusion GPS, a sua volta incaricata e finanziata dalla Campagna Clinton – aveva giocato un ruolo essenziale nel motivare la richiesta di sorveglianza, tanto che l’allora vice direttore dell’FBI McCabe testimoniò al Congresso che senza di esso probabilmente l’agenzia non avrebbe richiesto i mandati.

Lo stesso ex agente britannico Steele risulta sia stato pagato dall’FBI come informatore fino al novembre del 2016, quando il rapporto è stato almeno ufficialmente chiuso per i suoi contatti con i media.

Quello di Clinesmith, tra l’altro, non sarebbe l’unico documento ad essere stato manipolato. La difesa del generale Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale tra i primi ad essere travolto, dopo pochi giorni, dal Russiagate, ha denunciato il mese scorso che gli agenti dell’FBI hanno manipolato il report ufficiale dell’intervista del gennaio 2017 sulla base della quale fu accusato di false dichiarazioni agli investigatori. Gli sms da poco divulgati tra gli agenti Strzok e Page mostrerebbero come quest’ultima – non presente durante l’intervista – abbia apportato “modifiche” al cosiddetto modello “302” in cui vengono annotate le dichiarazioni dei testimoni o degli informatori.

Intanto, il procuratore Durham che indaga sulle origini del Russiagate e sul presunto coinvolgimento di alcuni Paesi alleati, tra cui l’Italia, sta tirando le fila della sua indagine, che come vi abbiamo raccontato nelle scorse settimane è stata estesa ed è diventata a tutti gli effetti “penale”, sulla base tra l’altro di “nuove prove raccolte” proprio in Italia. E il procuratore avrebbe in programma una nuova visita a Roma per la prima metà di dicembre, come Atlantico ha già anticipato sabato e lunedì scorsi.

Durham sta inoltre interrogando il personale collegato all’Office of Net Assessment del Pentagono, che ha assegnato più contratti all’informatore dell’FBI Stephan Halper. Halper è una figura centrale nel Russiagate, perché per raccogliere informazioni è entrato in contatto con almeno tre membri della Campagna Trump: George Papadopoulos, Carter Page e Sam Clovis. E potrebbe aver segretamente registrato le conversazioni con i primi due. Se queste registrazioni esistono, potrebbero contenere elementi che avrebbero potuto scagionare sia Page che Papadopoulos ma che sarebbero stati nascosti alla Corte FISA.

Insomma, l’impressione è che siamo solo all’inizio…


Russiagate, rapporto Horowitz: "Cattiva condotta dell'Fbi ma nessuna cospirazione"
Roberto Vivaldelli
9 dicembre 2019

https://it.insideover.com/politica/russ ... t13H9VhseY


La pubblicazione del rapporto dell’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia Michael Horowtiz, che ha condotto l’indagine incentrata sul presunto controllo della campagna presidenziale di Donald Trump nel 2016 e sul possibile abuso del Foreign Intelligence Surveillance Act da parte di Barack Obama ai danni dell’ex consigliere della campagna di Trump, Carter Page, conferma le indiscrezioni dei giorni scorsi: nelle sue conclusioni, Horowitz critica la gestione da parte dell’Fbi delle intercettazioni telefoniche nelle prime fasi delle indagini sul Russiagate, ma esonera il bureau dall’accusa di cospirazione.

Come spiega il New York Times, gli investigatori non hanno riscontrato alcuna prova di un possibile pregiudizio politico da parte del bureau, come confermerebbe il rapporto di 434 pagine diffuso oggi. Secondo il rapporto di Horowitz, l’Fbi aveva prove sufficienti a luglio 2016 per aprire legalmente le indagini con l’operazione Crossfire Hurricane e l’uso di informatori avrebbe seguito le procedure del bureau. Tuttavia, spiega il New York Times, Horowitz ha anche scoperto “disfunzioni sostanziali”, disattenzioni e “gravi errori” oltre al fatto che un avvocato del bureau ha modificato un documento pur di applicare il mandato Fisa a Carter Page.

Horowitz, confermata la cattiva condotta dell’Fbi

Nelle scorse settimane, Horowitz ha diffuso un primo rapporto sull’Fbi, preludio di ciò che è contenuto nel dossier di 434 pagine. Nel rapporto, “si esamina la gestione da parte del Federal Bureau of Investigation degli informatori e del processo di verifica degli stessi, a partire dal 2011”. Vengono evidenziati “diversi problemi”, in particolare “ritardi nel processo di verifica dell’attendibilità delle informazioni ricavate e falle nel processo di archiviazione delle informazioni ritenute più problematiche”. “I processi di verifica dell’Fbi per le fonti confidenziali, noto come validazione, non è risultato in linea con le linee guida dell’attorney general, in particolare con riferimento alle fonti a lungo termine”, ha sottolineato l’ispettore generale in un video.

Secondo quanto emerge dal rapporto, il bureau avrebbe speso la bellezza di 42 milioni di dollari l’anno per pagare i suoi informatori tra il 2012 e il 2018. Parliamo di migliaia di persone, sul libro paga dell’Fbi. Secondo quanto appurato dall’ispettore generale, ci sarebbero state delle incongruenze nelle comunicazioni adottate tra gli agenti dell’Fbi e le loro fonti. Gli agenti del bureau avrebbero comunicato con i loro cellulari di servizio, e non con i dispositivi idonei, dotati dei sistemi di criptatura. E dunque più sicuri. Altro problema rilevato da Horowitz, nota l’Adnkronos, “è quello dell’accesso a informazioni ricavate da fonti confidenziali da parte di personale dell’Fbi senza specifica autorizzazione”.

La palla passa a Barr e Durham

In attesa dell’audizione al Senato con l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, in programma mercoledì 11 dicembre, la palla passa al Procuratore generale William Barr. Come scrive il New York Times, Barr avrebbe dichiarato ai funzionari del Dipartimento di giustizia di essere scettico rispetto al fatto che l’Fbi avesse gli elementi necessari per aprire le indagini sul Russiagate e dunque di non condividere le conclusioni dell’ispettore generale. Tale scetticismo, nota il New York Times, potrebbe aumentare la pressione sul Procuratore John H. Durham, che sta conducendo un’indagine penale sulle origini del Russiagate e che, secondo la testata americana, “avrebbe già portato alla luce alcune prove” a sostegno della tesi del ministro della giustizia Usa.

In quanto ispettore generale, Horowitz non può presentare accuse penali o presentare un mandato di comparizione. John Durham, che ha la reputazione di essere un procuratore di ferro in casi di corruzione pubblica, può fare entrambe le cose. Quest’ultimo, a seguito della conclusione delle indagini del procuratore speciale Robert Mueller che ha “sgonfiato” l’ipotesi della “collusione” fra lo staff di Trump e la Russia, è stato incaricato da William Barr di determinare se il Dipartimento di Giustizia, l’Fbi e le autorità dell’intelligence abbiano agito in maniera impropria e “cospirato” contro Donald Trump nel 2016. Nelle scorse settimane, l’indagine preliminare del Dipartimento di Giustizia guidata dall’Attorney general William Barr e condotta dal Procuratore John Durham si è “evoluta” in un’indagine penale a tutti gli effetti. Sarà dunque John Durham, in definitiva, a confermare o meno l’ipotesi di cospirazione ai danni di Donald Trump. Non Michael Horowitz.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » mar nov 26, 2019 10:17 pm

Michael Bloomberg in corsa per l’elezioni alla Casa Bianca
26-11-2019
Luca Spizzichino

https://www.shalom.it/blog/mondo/michae ... _KpJ54pUN0

Nelle ultime ore, è stata ufficializzata la candidatura alle primarie dei Democratici di Michael Bloomberg, che da molti viene considerato il vero antagonista di Donald Trump alle prossime elezioni, che si terranno a novembre 2020. Ma chi è Michael Bloomberg?

Nato a Boston nel 1942, da una famiglia di immigrati ebrei russa, è il 14esimo uomo più ricco al mondo, con un patrimonio stimato di 54,4 miliardi di dollari. Bloomberg ha costruito la sua fortuna grazie alla sua omonima azienda, da anni leader mondiale tra i mass media nel settore dei dati finanziari, diventando famoso anche per il suo impegno politico. Venne eletto per la prima volta sindaco di New York nel 2002 mantenendo poi la carica fino al 2013, il tutto tra le fila del Partito Repubblicano. Ma sin dal principio è stato un repubblicano un po’ anomalo, viste le sue posizioni a favore dell’aborto, ai diritti della comunità LGBT e contro la diffusione delle armi, tutti e tre punti molto sentiti dall’elettorato più conservatore (e vero zoccolo duro) dei repubblicani.

Già vicino alla candidatura come indipendente nel 2016, solo con l’iscrizione nel 2018 al Partito Democratico, si è fatta più sicura l’entrata in gioco del magnate nella corsa al posto di candidato democratico alle presidenziali di novembre, ufficializzata in queste ore dopo la presentazione dei documenti alla Federal Election Commision, l’autorità federale statunitense per le elezioni, e con la candidatura alle primarie Dem dell’Alabama, dell’Arkansas e in Texas. Al contrario degli altri candidati, il miliardario di Boston ha deciso di rifiutare qualsivoglia donazione politica nella sua corsa alla Casa Bianca, e rinuncerà al suo stipendio qualora venisse eletto a Presidente.

"Correrò per la presidenza per sconfiggere Donald Trump e ricostruire l'America” con questo tweet Bloomberg ha ufficializzato la tanto attesa candidatura. “Non possiamo permetterci altri quattro anni di azioni spericolate e non etiche da parte del presidente Trump. Lui rappresenta una minaccia esistenziale per il nostro Paese e i nostri valori”, ha detto l’ex sindaco di New York, aggiungendo: “Se vincerà un altro mandato potremmo non riprenderci più dai danni”.

Ma quali sono al momento le possibilità di vittoria di Bloomberg?

Quella di Bloomberg, al momento è una strada fortemente in salita. Questo perché nessuno ha mai vinto le primarie candidandosi così tardi nella storia moderna della politica statunitense, la campagna elettorale è iniziata da un pezzo e diversi sondaggi danno l’elettorato Democratico soddisfatto dell’offerta di candidati, se non addirittura desiderosi di uno snellimento della lista. Inoltre, è poco popolare tra i democratici, anzi è molto sgradito dagli afroamericani, parte molto significativa della base del partito. Da considerare anche il fatto che non potrà partecipare ai diversi dibattiti televisivi, vero e proprio ago della bilancia in alcuni casi nella scelta del proprio candidato ideale, e salterà le prime quattro primarie che si terranno a febbraio, dove la gara è ancora apertissima, con una corsa a 3+1, con il moderato Joe Biden e i candidati più radicali Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, e l’outsider, nonché sorpresa, Pete Buttigieg, giovane sindaco dell’Indiana considerato uno degli astri nascenti del Partito Democratico.

Per sopperire alle diverse criticità sopracitate, tra cui quello del timing e della visibilità, ha già speso 30 milioni di dollari per degli spot televisivi, che andranno in onda nelle prossime due settimane, una cifra così alta da frantumare il record di Obama, che nelle ultime settimane di campagna elettorale nel 2012 spese 25 milioni di dollari. Considerando il profondissimo portafoglio del magnate statunitense, questi saranno solo una parte dei fondi che verranno spesi per questa campagna, il tutto per evitare il suo temuto “Trump bis”.



Alberto Pento
Mi piacerebbe sapere cosa pensa delle frontiere chiuse, del nazismo maomettano, del nucleare all'Iran e della questione Israelo-palestinese.



Israele: Bloomberg insignito del premio Nobel ebraico
21.10.2013

https://www.tio.ch/dal-mondo/attualita/ ... el-ebraico


GERUSALEMME - L'ex sindaco di New York Michael Bloomberg è stato insignito del 'Premio Genesis': una onoreficenza, assegnata per la prima volta, che la stampa israeliana presenta oggi come equivalente a un 'Premio Nobel ebraico'. Il premio, di un milione di dollari, sarà consegnato dal primo ministro Benyamin Netanyahu in una cerimonia che si svolgerà a Gerusalemme nel maggio 2014.

Bloomberg è stato scelto da due commissioni - guidate dal presidente della Knesset (parlamento) Yuli Edelstein e dal presidente dell'Agenzia Ebraica Nathan Sharansky - fra una rosa di 200 candidati, originari di tutti i continenti.

I giudici rilevano che Bloomberg si è mostrato degno del Premio Genesis ('Bereshit', in ebraico) per il suo "straordinario impegno a favore del pubblico e per le sue attività filantropiche in tutto il mondo". "In quanto imprenditore e uomo dotato di una visione, Bloomberg - secondo Edelstein - ha cambiato il modo in cui si fanno affari e ha creato un mondo più aperto e più cosciente".

A Bloomberg i dirigenti israeliani rivolgono inoltre parole di ringraziamento per il suo continuo impegno a favore dello Stato ebraico. Oggi Netanyahu gli ha telefonato per invitarlo di persona alla cerimonia di consegna del premio.



Bordate su Bloomberg candidato Trump: spenderà tanto per niente
Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington
8 novembre 2019


https://www.corriere.it/esteri/19_novem ... 92cd.shtml

A giudicare dall’accoglienza, Michael Bloomberg è temuto nella stessa misura dai conservatori e dai progressisti radical. L’imprenditore, l’ex sindaco di New York, l’undicesimo uomo più ricco del mondo si starebbe preparando a candidarsi nelle primarie democratiche per la nomination nella corsa alla Casa Bianca. Nella notte italiana non è ancora arrivato l’annuncio ufficiale, anche se il settantasettenne uomo d’affari ha inviato i suoi collaboratori a sbrigare le pratiche per iscriversi nelle liste dell’Alabama, in tempo per la scadenza fissata per ieri, venerdì 8 novembre. Donald Trump, parlando con i giornalisti, ha rispolverato per l’occasione l’aggettivo «little» affibbiato a Marco Rubio nelle primarie repubblicane del 2016: «Bloomberg è diventato un signor nessuno. Non ha certo il tocco magico per fare bene, “little Michael” fallirà, danneggiando solo Joe Biden. Spenderà un sacco di soldi per nulla». The Donald» e «Michael» si detestano apertamente: uno scontro personale, prima ancora che politico. Nella convention democratica del 2016 Bloomberg disse, riferendosi a Trump: «Vengo da New York e so come riconoscere un imbroglione».

In realtà il primo problema di Bloomberg sarebbe come farsi largo nel partito democratico. La reazione di Bernie Sanders è ancora più sprezzante di quella trumpiana: «È un miliardario che crede di poter comprare le elezioni»; Elizabeth Warren gli ha riservato un tweet sarcastico di benvenuto, presentandogli il calcolo delle imposte che dovrebbe pagare se passasse la riforma fiscale da lei proposta: circa 3 miliardi di dollari su un patrimonio stimato in 52 miliardi da Forbes. Ma la dinamica tra i progressisti è in piena evoluzione. A Washington la sensazione dominante è di attesa, di studio. Forse Michael Bloomberg aveva già tutto pronto, oppure, si sarebbe deciso dopo aver visto i risultati del Kentucky. Il democratico Andy Beshear ha battuto il governatore in carica Matt Bevin conquistando le aree suburbane con un messaggio moderato. Il comitato elettorale di Joe Biden ha provato a intestarsi la vittoria. I sondaggi, però, indicano che l’ex vice presidente sta faticando proprio in contesti simili negli «swing State», dal Michigan alla Florida, dalla Pennsylvania al Wisconsin. Conclusione di Bloomberg: c’è ancora spazio politico per una piattaforma centrista, ma Biden non è in grado di occuparlo. C’è un’altra notazione. Il consenso per la sinistra complessivamente cresce, ma il fronte è spaccato. Il dualismo Sanders-Warren, nonostante gli attestati di amicizia reciproca, non è componibile. Nessuno dei due farà un passo indietro e per Bloomberg potrebbero liberarsi altri margini.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom dic 15, 2019 2:31 pm

Il secondo mandato di Trump sarà ancora di più all’insegna dell’isolazionismo
9 Dicembre 2019

https://www.ilfoglio.it/esteri/2019/12/ ... mo-291375/

Questo articolo è stato pubblicato sul Foglio Internazionale. Ogni lunedì due pagine a cura di Giulio Meotti con segnalazioni dalla stampa estera e punti di vista che nessun altro vi farà leggere

“Dire che Donald Trump è impopolare in Gran Bretagna sarebbe un eufemismo”, scrive Niall Ferguson sul Sunday Times prima dell’arrivo del presidente americano a Londra per il vertice della Nato: “Un sondaggio di YouGov mostra che due terzi dei britannici hanno un’opinione negativa di Trump, rispetto all’11 per cento che nutriva gli stessi sentimenti per il suo predecessore Barack Obama. Un mese fa YouGov ha chiesto la seguente domanda a 3.729 adulti britannici: ‘Pensate che ricevere l’endorsement del presidente Trump può essere utile per un politico britannico?’. Solo uno su dieci ha risposto che sarebbe ‘piuttosto utile’ o ‘molto utile’; il 15 per cento ha detto che sarebbe ‘piuttosto dannoso’ e il 39 per cento ‘molto dannoso’.

L’ultima volta che Trump ha parlato di Johnson era in diretta sul programma radiofonico di Nigel Farage sulla Lbc, e lo ha chiamato ‘un uomo fantastico’ aggiungendo che Jeremy Corbyn porterebbe il paese ‘verso luoghi terribili’ se mai diventasse primo ministro. Al leader del Labour non resta che sperare che Trump si comporti nello stesso modo nella sua visita in Gran Bretagna per il vertice Nato. Nei sogni di Corbyn, Trump dovrebbe non solo sostenere Johnson ma anche proporre la privatizzazione dell’Nhs (il servizio sanitario britannico, ndt) come condizione dell’accordo commerciale tra Gran Bretagna e Stati Uniti. Trump non si trova a Londra per salvare la campagna elettorale di Corbyn ma per partecipare al vertice della Nato. Se il presidente americano è impopolare in Gran Bretagna, è assolutamente detestato sul Continente. La maggior parte dei tedeschi aveva fiducia in Obama ma solo il 10 per cento ha la stessa opinione di Trump. I numeri sono anche peggiori in Francia e Spagna. La scorsa settimana la Cnn è uscita con un titolo discutibile: ‘L’Amministrazione Trump taglierà i contributi finanziari alla Nato’. Questo è l’esempio, come direbbe Trump, di una fake news. In realtà è stato raggiunto un accordo tra gli stati membri della Nato per ridurre i contributi dell’America e per aumentare la quota dei paesi europei, specialmente della Germania.

Questo è un contentino a Trump, che come molti suoi predecessori si lamenta che gli europei non pagano abbastanza per la difesa del proprio continente. Fatto: malgrado le richieste ripetute dall’America, solo sei stati membri europei della Nato (il Regno Unito è uno di loro) spendono più del 2 per cento del pil sulla difesa mentre l’America spende oltre il 3,4. Lo scorso mese il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato della ‘morte celebrale’ della Nato in un’intervista all’Economist. Riguardo all’articolo 5 del Trattato nord atlantico, che obbliga tutti gli stati membri a difendere un alleato che viene aggredito, Macron ha chiesto ‘cosa significherà quest’articolo domani? Trump sarà disposto ad agire con solidarietà se qualcosa dovesse avvenire ai nostri confini?’. Se non verrà data una risposta a questa domanda entro il 2020, è probabile che la questione verrà risolta entro i prossimi quattro anni nel caso in cui Trump dovesse essere rieletto presidente.

È raro che i secondi mandati siano dei trionfi. Dopo la rielezione di Ronald Reagan nel 1984 un suo consigliere ha detto al New York Times che il discorso sullo stato dell’unione del presidente sarebbe stato il programma dei prossimi quattro anni. ‘Quello che avete visto e più o meno quella che vedrete’, ha detto il consigliere. Bill Clinton, George W. Bush e Obama hanno tutti seguito il copione di Reagan. La maggior parte di loro ha svolto dei secondi mandati piuttosto deludenti, ottenendo poco in patria e concentrandosi sulla politica estera.

Clinton è intervenuto in Kossovo, ha allargato la Nato e provato a fare la pace in medio oriente; Bush ha mandato i rinforzi in Iraq; Obama ha negoziato l’intesa sul nucleare con l’Iran e gli accordi sul clima di Parigi. Anche Trump come i suoi predecessori avrà molti motivi per concentrarsi sulla politica estera. Basta il pensiero a congelare il sangue perché – come ha avvertito il suo ex consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton – significherebbe ‘America first’ senza mezze misure. Per la gran parte del primo mandato Trump è stato disciplinato da uomini con grande esperienza nel campo della sicurezza. Bolton era uno di loro; Mike Pompeo, il segretario di stato, è un altro. Gli altri ‘adulti nella stanza’, Jim Mattis e H. R. McMaster, adesso sono miei colleghi all’Hoover Institution. Se Trump venisse rieletto darebbe sfogo ai suoi istinti isolazionisti e alla tendenza ugualmente pericolosa di mischiare i suoi interessi privati con la sicurezza nazionale americana. Se siete rimasti scossi dalle pressioni di Trump sul presidente ucraino per gettare fango su Joe Biden, o se condividete il sospetto di Bolton che il trattamento morbido del presidente americano verso il suo omologo turco sia collegato agli interessi economici della Trump Organisation a Istanbul, allora preparatevi a vedere molto di peggio. I leader di Russia, Turchia e Corea del Nord sarebbero sicuramente felici di una vittoria di Trump. Solo la Cina e forse l’Iran potrebbero avere ragioni di preoccuparsi dato che l’animosità del presidente verrà difficilmente attenuata in un secondo mandato. Per capire perché questo quadro dovrebbe preoccupare gli europei basta rileggere l’intervista di Vladimir Putin al Financial Times lo scorso giugno. Quando gli è stato chiesto di nominare il leader mondiale per cui prova più ammirazione, Putin ha dato una risposta sorprendente: ‘Pietro il Grande’. Durante il suo regno (1682-1725) lo Zar ha conquistato vari territori tra cui Kiev (la capitale ucraina), Ingria (l’area attorno a San Pietroburgo), Livonia (la metà settentrionale della Lettonia e la metà meridionale dell’Estonia), Estonia e un pezzo della Karelia (a volte chiamata ‘vecchia Finlandia’). Queste conquiste sono state possibili grazie alle vittorie belliche contro Svezia e Polonia. Trump si prepara a volare verso est e questo basta a fare trepidare Boris. Ma sono le mosse a ovest di Putin che dovrebbero farci preoccupare”.

(Traduzione di Gregorio Sorgi)
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom dic 15, 2019 2:32 pm

Usa, la Commissione approva il rapporto per l'impeachment di Trump
Nel documento di 300 pagine si accusa il presidente di "aver messo i suoi interessi sopra a quelli della nazione". La casa Bianca: "Non hanno prodotto alcuna prova"
04 dicembre 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/1 ... 242540872/

WASHINGTON - La commissione Intelligence della Camera ha approvato il rapporto sull'impeachment del presidente Donald Trump. A favore hanno votato i democratici, che sono maggioranza. Contro, tutti i repubblicani. Il documento di 300 pagine sarà usato come base dalla commissione giustizia della Camera per redigere gli articoli della messa in stato d'accusa. Nel dossier della commissione Intelligence si dichiara che Trump ha abusato del suo potere e intralciato l'inchiesta della Camera sull'impeachment.

L'opposizione democratica, forte della sua maggioranza alla Camera, ha iniziato la procedura per l'impeachment dopo aver scoperto che il presidente aveva fatto pressioni sull'Ucraina perché indagasse sul figlio di Joe Biden potenziale avversario del presidente alle presidenziali del 2020. Per due mesi la commissione ha indagato e interrogato di alti funzionari per stabilire se il presidente avesse abusato dei suoi poteri per fare pressioni su Kiev. Le conclusioni del rapporto sono molto dure nei confronti di Trump accusato di aver "messo i suoi interessi personali sopra agli interessi della nazione, cercato di minare l'integrità del processo elettorale americano e messo in pericolo la sicurezza nazionale". "I padri fondatori - scrivono gli estensori del documento di 300 pagine - hanno prescritto un rimedio quando un capo dell'esecutivo mette i suoi interessi personali sopra quelli del Paese: la destituzione".

La Casa Bianca ha immediatamente rifiutato questa analisi. "La farsa dell'inchiesta non ha prodotto alcuna prova contro Donald Trump", ha detto il portavoce dell'amministrazione Stephanie Grisham. "Questo rapporto - ha continuato - non riflette altro che la frustrazione dei democratici, sono le divagazioni di un blogger di basso livello che si fa in quattro per provare qualcosa quando non ha chiaramente niente in mano".



Giuliani è pronto a "inchiodare" Joe Biden e i democratici
Roberto Vivaldelli
9 dicembre 2019

https://it.insideover.com/politica/giul ... 7Kg19BZOZ8

Rudy Giuliani, ex sindaco di New York e avvocato del presidente Usa Donald Trump, è pronto a sganciare la “bomba” sui democratici. È lo stesso Trump ad aver dichiarato ai cronisti sabato, come riporta The Hill, che il suo avvocato consegnerà un rapporto al Congresso e al Procuratore generale William Barr sui rapporti controversi tra l’ex vicepresidente democratico Joe Biden, ora candidato alla Casa Bianca, e l’Ucraina. “Consegnerà una relazione, penso al Procuratore generale e al Congresso. Dice di avere molte buone informazioni. Non gli ho ancora parlato rispetto a questo”, ha spiegato Trump.

“Non mi ha detto cosa ha trovato, ma penso che voglia andare prima del Congresso e dal Procuratore generale, oltre che al Dipartimento di Giustizia”, ha aggiunto. “Ho sentito che ha trovato molte informazioni interessanti”. Nel suo ultimo e recente viaggio in Ucraina, Giuliani ha incontrato diversi funzionari del governo ed ex diplomatici di Kiev oltre all’ex procuratore generale Yuriy Lutsenko. Lo scorso 5 dicembre, Giuliani ha brevemente anticipato in un tweet le sue prossime, scottanti, rivelazioni che inchioderebbero Biden e i democratici: “Il popolo americano apprenderà che Biden e altri funzionari dell’amministrazione Obama hanno contribuito all’aumento del livello di corruzione in Ucraina tra il 2014 e il 2016. Queste prove saranno presto rese note”.

Trump e Giuliani pronti alla controffensiva

Nelle scorse settimane, Giuliani si era lasciato andare a dichiarazioni esplosive. “Ho scoperto un modello di corruzione che la stampa di Washington ha coperto per anni” ha annunciato l’ex primo cittadino della Grande Mela su Twitter. “Devasterà il partito democratico. Credete davvero che io sia intimidito?”.

La mafia, ha sottolineato, “non è riuscita ad uccidermi, quindi no, non sono preoccupato della swamp press (la stampa della palude)”. Sempre su Twitter, l’avvocato pubblica una lettera inviata a Lindsey Graham, il senatore capo del Comitato giudiziario del Senato degli Stati Uniti e molto vicino al presidente Donald Trump, nella quale Giuliani sostiene che vi siano “prove dirette” della “cospirazione criminale dei democratici con gli ucraini” ai danni di Trump. Nei giorni scorsi Graham ha avviato un’inchiesta che si concentra sui colloqui telefonici che Joe Biden ebbe con l’ex presidente ucraino Petro Poroshenko riguardo al licenziamento del principale procuratore del Paese, nonché sulle comunicazioni che facevano riferimento all’indagine di Kiev su Burisma, la compagnia ucraina di gas naturale che assunse Hunter Biden, figlio del candidato alle primarie del partito democratico, a 50mila dollari al mese.

Così Joe Biden rischia di essere travolto dall’Ucrainagate

Graham intende fare chiarezza sulle controverse attività dell’ex vicepresidente Joe Biden e del figlio Hunter in Ucraina. Lindsey Graham vuole esaminare il ruolo a dir poco controverso di Hunter Biden, figlio dell’ex vicepresidente e candidato alle primarie, con la società ucraina Burisma Holdings. “Non sto dicendo che Joe abbia fatto qualcosa si sbagliato – osserva Graham – ma voglio leggere le trascrizioni, e se non c’è nulla sarò il primo ad ammetterlo”. Se al posto di Joe Biden ci fosse un repubblicano, sottolinea, “sarebbe sicuramente indagato”.

Nel maggio del 2016, Joe Biden in qualità di vicepresidente e uomo di punta designato da Barack Obama per l’Ucraina, volò a Kiev per informare Poroshenko che la garanzia di un prestito ammontante a ben un miliardo di dollari americani era stata approvata per permettere a Kiev di fronteggiare i debiti. Ma si trattava di un aiuto “condizionato”. Se Poroshenko non avesse licenziato il procuratore capo nello stretto giro di sei ore, Biden sarebbe tornato negli Usa e l’Ucraina non avrebbe più avuto alcuna garanzia di prestito. Kiev capitolò senza alcuna resistenza. Il procuratore stava indagando proprio sugli affari della Burisma Holdings, compagnia che aveva collocato nel proprio board operativo il figlio del vicepresidente. Lo stesso Biden si vantò di aver minacciato nel marzo 2016 l’allora presidente ucraino Poroshenko di ritirare un miliardo di dollari in prestiti se quest’ultimo non avesse licenziato il procuratore generale Viktor Shokin che stava indagando proprio su suo figlio Hunter.




Russiagate, rapporto Horowitz: "Cattiva condotta dell'Fbi ma nessuna cospirazione"
Roberto Vivaldelli
9 dicembre 2019

https://it.insideover.com/politica/russ ... t13H9VhseY


La pubblicazione del rapporto dell’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia Michael Horowtiz, che ha condotto l’indagine incentrata sul presunto controllo della campagna presidenziale di Donald Trump nel 2016 e sul possibile abuso del Foreign Intelligence Surveillance Act da parte di Barack Obama ai danni dell’ex consigliere della campagna di Trump, Carter Page, conferma le indiscrezioni dei giorni scorsi: nelle sue conclusioni, Horowitz critica la gestione da parte dell’Fbi delle intercettazioni telefoniche nelle prime fasi delle indagini sul Russiagate, ma esonera il bureau dall’accusa di cospirazione.

Come spiega il New York Times, gli investigatori non hanno riscontrato alcuna prova di un possibile pregiudizio politico da parte del bureau, come confermerebbe il rapporto di 434 pagine diffuso oggi. Secondo il rapporto di Horowitz, l’Fbi aveva prove sufficienti a luglio 2016 per aprire legalmente le indagini con l’operazione Crossfire Hurricane e l’uso di informatori avrebbe seguito le procedure del bureau. Tuttavia, spiega il New York Times, Horowitz ha anche scoperto “disfunzioni sostanziali”, disattenzioni e “gravi errori” oltre al fatto che un avvocato del bureau ha modificato un documento pur di applicare il mandato Fisa a Carter Page.

Horowitz, confermata la cattiva condotta dell’Fbi

Nelle scorse settimane, Horowitz ha diffuso un primo rapporto sull’Fbi, preludio di ciò che è contenuto nel dossier di 434 pagine. Nel rapporto, “si esamina la gestione da parte del Federal Bureau of Investigation degli informatori e del processo di verifica degli stessi, a partire dal 2011”. Vengono evidenziati “diversi problemi”, in particolare “ritardi nel processo di verifica dell’attendibilità delle informazioni ricavate e falle nel processo di archiviazione delle informazioni ritenute più problematiche”. “I processi di verifica dell’Fbi per le fonti confidenziali, noto come validazione, non è risultato in linea con le linee guida dell’attorney general, in particolare con riferimento alle fonti a lungo termine”, ha sottolineato l’ispettore generale in un video.

Secondo quanto emerge dal rapporto, il bureau avrebbe speso la bellezza di 42 milioni di dollari l’anno per pagare i suoi informatori tra il 2012 e il 2018. Parliamo di migliaia di persone, sul libro paga dell’Fbi. Secondo quanto appurato dall’ispettore generale, ci sarebbero state delle incongruenze nelle comunicazioni adottate tra gli agenti dell’Fbi e le loro fonti. Gli agenti del bureau avrebbero comunicato con i loro cellulari di servizio, e non con i dispositivi idonei, dotati dei sistemi di criptatura. E dunque più sicuri. Altro problema rilevato da Horowitz, nota l’Adnkronos, “è quello dell’accesso a informazioni ricavate da fonti confidenziali da parte di personale dell’Fbi senza specifica autorizzazione”.

La palla passa a Barr e Durham

In attesa dell’audizione al Senato con l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, in programma mercoledì 11 dicembre, la palla passa al Procuratore generale William Barr. Come scrive il New York Times, Barr avrebbe dichiarato ai funzionari del Dipartimento di giustizia di essere scettico rispetto al fatto che l’Fbi avesse gli elementi necessari per aprire le indagini sul Russiagate e dunque di non condividere le conclusioni dell’ispettore generale. Tale scetticismo, nota il New York Times, potrebbe aumentare la pressione sul Procuratore John H. Durham, che sta conducendo un’indagine penale sulle origini del Russiagate e che, secondo la testata americana, “avrebbe già portato alla luce alcune prove” a sostegno della tesi del ministro della giustizia Usa.

In quanto ispettore generale, Horowitz non può presentare accuse penali o presentare un mandato di comparizione. John Durham, che ha la reputazione di essere un procuratore di ferro in casi di corruzione pubblica, può fare entrambe le cose. Quest’ultimo, a seguito della conclusione delle indagini del procuratore speciale Robert Mueller che ha “sgonfiato” l’ipotesi della “collusione” fra lo staff di Trump e la Russia, è stato incaricato da William Barr di determinare se il Dipartimento di Giustizia, l’Fbi e le autorità dell’intelligence abbiano agito in maniera impropria e “cospirato” contro Donald Trump nel 2016. Nelle scorse settimane, l’indagine preliminare del Dipartimento di Giustizia guidata dall’Attorney general William Barr e condotta dal Procuratore John Durham si è “evoluta” in un’indagine penale a tutti gli effetti. Sarà dunque John Durham, in definitiva, a confermare o meno l’ipotesi di cospirazione ai danni di Donald Trump. Non Michael Horowitz.







Trump e Netanyahu: entrambi indagati per reati immaginari
Alan M. Dershowitz
15 dicembre 2019

https://it.gatestoneinstitute.org/15281 ... AIBTbLSKKk


La somiglianza più eclatante tra le indagini condotte contro il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è che entrambi sono sotto inchiesta per azioni che gli organi legislativi di entrambi i Paesi non considerano esplicitamente criminose. Nella foto: Trump e Netanyahu in una conferenza stampa congiunta del 15 febbraio 2017, tenutasi a Washington, D.C. (Fonte dell'immagine: Casa Bianca)

Nelle indagini condotte dal Congresso degli Stati Uniti contro il presidente americano Donald J. Trump e in quelle contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che è stato appena incriminato, si possono ravvisare tanto delle sorprendenti somiglianze quanto delle differenze importanti.

La somiglianza più eclatante è che entrambi sono sotto inchiesta per azioni che gli organi legislativi di entrambi i Paesi non considerano esplicitamente criminose. Inoltre, nessuna assemblea legislativa di qualsiasi Paese governato in base al principio dello Stato di diritto avrebbe mai emanato una legge generale che criminalizza tale condotta. Le indagini condotte su questi due controversi leader politici si basano sull'utilizzo di leggi generali che mai prima d'ora erano state considerate applicabili ai casi in esame e si fondano sulla possibilità di estenderle per attaccare specifiche figure politiche.

Netanyahu è stato incriminato per corruzione in quanto avrebbe accettato di aiutare una società di telecomunicazioni in cambio di una copertura mediatica più favorevole e/o meno negativa. Sussistono punti controversi in merito ai fatti, ma anche se sono visti in un'ottica meno favorevole a Netanyahu, essi non costituiscono un reato di corruzione.

Né la Knesset avrebbe mai emanato una legge che consideri reato per un parlamentare esprimere un voto al fine di ottenere una copertura mediatica favorevole. Se una tale legge fosse mai approvata, tutti i membri della Knesset sarebbero in prigione. I politici desiderano sempre avere una copertura mediatica favorevole e molti votano in questa prospettiva. Alcuni addirittura negoziano una buona copertura prima del voto. Ecco perché hanno addetti stampa e media consultant.

Né si potrebbe abbozzare una legge adeguata per coprire la presunta condotta di Netanyahu, ma non quella di altri membri della Knesset che hanno barattato i loro voti in cambio di una buona immagine mediatica. Per tale motivo, nessuna assemblea legislativa di qualsiasi paese governato in base al principio dello Stato di diritto ha mai fatto sì che una copertura mediatica favorevole diventasse il quid o quel qualcosa necessario per infliggere una condanna per corruzione, e pertanto l'incriminazione per corruzione nei confronti di Netanyahu non dovrebbe essere confermata dai tribunali.

Confermare una condanna basata su una copertura mediatica positiva metterebbe a repentaglio tanto la libertà di stampa quanto i processi di governance democratica. I pubblici ministeri dovrebbero evitare le interazioni tra politici e media, tranne nei casi specificamente concepiti come reati, e non in presenza di opinabili peccati politici, e nessuno dovrebbe essere perseguito per azioni che non sono mai state considerate criminose, né lo sarebbero mai, da parte dell'organo legislativo.

Anche il presidente Trump è sotto inchiesta per presunta corruzione. Inizialmente, i democratici pensavano di poterlo mettere in stato di accusa per comportamento non criminale, come una presunta cattiva amministrazione, un abuso di ufficio o una condotta immorale. Credo che ora siano stati convinti da me e da altri che nessun impeachment sarebbe costituzionale se il presidente non fosse ritenuto colpevole di reati specificati nella Costituzione, vale a dire "tradimento, corruzione o altri gravi crimini e misfatti". Pertanto, la leadership democratica ha ora optato per la corruzione, intesa come un crimine per cui si può mettere sotto accusa il presidente Trump. Il problema di questo approccio – simile a quello dell'approccio israeliano contro Netanyahu – è che non è affatto un crimine per un presidente utilizzare il suo potere in politica estera per ottenere vantaggi politici, tanto per il suo partito quanto personali. Si provi a immaginare il Congresso che cerca di approvare una legge che definisce ciò che costituirebbe un uso criminoso di potere in politica estera, da non confondersi con un abuso politico o morale.

I presidenti hanno perfino intrapreso azioni militari per trarre vantaggi politici. Hanno fornito aiuto a Paesi stranieri per farsi eleggere. Hanno nominato ambasciatori non per la loro competenza, ma per contributi politici dati in passato e previsti nel futuro. Nessuna di tali azioni è stata mai considerata criminosa e il Congresso non si sarebbe mai sognato di farlo.

Il Congresso penserebbe a un crimine specifico basato sulla ricerca di un vantaggio politico anziché sul vantaggio politico di parte? Ne dubito. Ma anche se avesse potuto farlo, non l'ha fatto. E se non lo ha fatto, né il Congresso né i pubblici ministeri possono mirare alla criminalizzazione dell'esercizio del potere in politica estera da parte di un presidente perché loro non gradiscono il modo in cui lo ha usato o anche se ne ha abusato.

L'aspetto fondamentale dello Stato di diritto è che nessuno può essere indagato, perseguito o messo sotto accusa, a meno che la sua condotta non abbia violato divieti preesistenti e inequivocabili. E nemmeno il Congresso e i pubblici ministeri possono farla franca, perché anche loro non sono al di sopra della legge.

E ora passiamo alle differenze. Israele è una democrazia parlamentare in cui il primo ministro può essere rimosso con un semplice voto di sfiducia. Non è richiesto né è necessario un meccanismo di impeachment. Gli Stati Uniti, d'altra parte, sono una Repubblica dove esiste la separazione dei poteri e dove vige un sistema di controllo reciproco e di equilibrio. I Padri fondatori, guidati da James Madison, considerarono il potere di impeachment come un elemento fondamentale per preservare la nostra Repubblica e non trasformarla in una democrazia parlamentare. È per questo motivo che respinsero una proposta che avrebbe consentito l'impeachment sulla base della "cattiva amministrazione". Secondo Madison, questi criteri aperti si sarebbero tradotti in una situazione in cui il presidente avrebbe esercitato le sue funzioni seguendo le volontà del Congresso. Ecco perché Madison insistette sulla necessità di fornire criteri specifici all'impeachment che i Padri fondatori finirono per accettare.

Sebbene le differenze tra Israele e gli Stati Uniti siano considerevoli, questi due Paesi sono accomunati dallo Stato di diritto. Detto ciò, in uno Stato di diritto, correttamente applicato, né Netanyahu né Trump dovrebbero essere ritenuti colpevoli di corruzione.

Alan M. Dershowitz è Felix Frankfurter Professor of Law Emeritus alla Harvard Law School e autore di "The Case against the Democratic House Impeaching Trump" e di "Guilt by Accusation".
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom dic 15, 2019 10:17 pm

Obama chiese all'Italia di indagare su Trump
Roberto Vivaldelli
12 dicembre 2019

https://it.insideover.com/politica/obam ... uPHkrdwQr4

L’Italia torna al centro del dibattito politico americano. L’accusa che arriva dal mondo repubblicano è potente: l’allora presidente Barack Obama avrebbe chiesto nel 2016 ai governi stranieri di indagare e spiare Donald Trump e la sua Campagna. Lo ha ribadito alla Commissione giustizia della Camera il deputato texano John Ratcliffe. “L’amministrazione Obama – ha sottolineato – chiese alla Gran Bretagna, all’Italia e all’Australia e ad altri Paesi di aiutarlo nelle sue indagini su una persona che era un oppositore politico del partito opposto (Donald Trump, ndr)”. Ratcliffe ha poi difeso il presidente Usa dall’inchiesta d’impeachment: “Siamo nel comitato giudiziario, giusto? Comprendiamo la Costituzione, capiamo che il presidente è il dirigente unitario, è il ramo esecutivo, e tutto il potere del ramo esecutivo deriva dal presidente. E il presidente può e dovrebbe chiedere assistenza ai governi stranieri nelle indagini penali in corso”.

Ratcliffe: “Dovere di Trump indagare sulle origini del Russiagate”

John Ratcliffe ha poi ricordato l’indagine penale su cui sta lavorando il Procuratore John Durham: “È in corso un’indagine criminale su ciò che è accaduto nel 2016. Il Procuratore generale Barr, al momento della telefonata del 25 luglio (con il presidente ucraino Volodymr Zelensky), molte settimane prima aveva nominato il procuratore americano John Durham per indagare su questo. Non era solo appropriato, era assolutamente dovere costituzionale del presidente”. Lo scorso ottobre, infatti, l’indagine preliminare del Dipartimento di Giustizia guidata dall’Attorney general William Barr e condotta dal Procuratore John Durham si è “evoluta” in un’indagine penale a tutti gli effetti.

Questo significa che i dirigenti e gli ex funzionari dell’Fbi e del Dipartimento di Giustizia eventualmente coinvolti rischiano un’incriminazione e permette a Durham di raccogliere testimonianze, accedere ad ulteriori documenti e di formulare delle accuse precise. Significa anche che l’indagine preliminare condotta in questi mesi ha portato alla raccolta di prove significative.


La conferma: raccolte prove in Italia

Nei giorni scorsi, commentando le conclusioni del rapporto Horowitz, John Durham ha rilasciato alcune dichiarazioni importanti. “Sulla base delle prove raccolte fino ad oggi, e mentre la nostra indagine è in corso, il mese scorso abbiamo informato l’ispettore generale di non essere d’accordo con alcune delle conclusioni del suo rapporto su come è stato aperto il caso dell’Fbi”, ha affermato Durham. In un passaggio chiave, il Procuratore conferma di aver raccolto prove anche al di fuori degli Stati Uniti. E, quasi certamente, si riferisce – anche se non lo esplicita – all’Italia: l’avvocato del Connecticut, infatti, spiega di aver raccolto prove da “altre persone ed enti sia negli Stati Uniti che al di fuori degli Usa”.

Quali sarebbero eventualmente le prove raccolte a Roma che hanno permesso a Barr e Durham di passare da un’inchiesta preliminare a un’indagine penale a tutti gli effetti? Secondo quanto riportato dal Daily Beast, Barr e Durham erano particolarmente interessati da ciò che i servizi segreti italiani sapevano sul conto di Joseph Mifsud, il docente maltese al centro del Russiagate, colui che per primo – secondo l’inchiesta del procuratore Mueller – avrebbe rivelato a Papadopoulos l’esistenza delle mail compromettenti su Hillary Clinton.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » gio dic 19, 2019 6:09 am

Impeachment, Pelosi: «Trump è minaccia per sicurezza Usa». Tycoon furioso: «Assalto all'America»
Trump, al via la seduta per l'impeachment: «Pregate per me». La sua popolarità cresce nei sondaggi
18 dicembre 2019

https://www.ilmessaggero.it/mondo/trump ... 34641.html

Al via il dibattito sull'impeachment a Donald Trump. Con la lettura dei due capi di imputazione è cominciato in sessione plenaria alla Camera il dibattito che precede il voto per l' impeachment al presidente accusato di abuso di potere e di ostruzione del Congresso per l'Ucrainagate. La votazione è attesa nel tardo pomeriggio (in tarda serata in Italia). I dem hanno la maggioranza per approvare l'impeachment, il terzo nella storia Usa.

«Potete crederci che io oggi sarò messo sotto impeachment dalla sinistra radicale, i democratici nulla facenti, e non ho fatto nulla di sbagliato». Donald Trump così tuona su Twitter rivolgendosi ai suoi sostenitori nel giorno in cui è atteso alla Camera il voto degli articoli di impeachment contro di lui. «Una cosa terribile - ha aggiunto - questo non dovrebbe succedere a nessun altro presidente, dite una preghiera».


Donald Trump è una minaccia costante per la sicurezza del Paese: lo ha detto la speaker della Camera Nancy Pelosi aprendo in aula il dibattito sull'impeachment. Pelosi ha accusato inoltre il presidente di aver lanciato una campagna di disprezzo e ostruzione senza precedenti dopo la scoperta dei suoi illeciti.

Impeachment contro Trump, dibattito alla Camera

Prima del voto in aula è previsto per oggi un dibattito di sei ore sugli articoli di impeachment, tempo che sarà equamente diviso tra i democratici ed i repubblicani. Si prevede che la votazione avverrà tra le 18.30 e le 19.30, ora di Washington. Scontato il risultato, con 232 deputati della maggioranza dem che hanno indicato il voto favorevole. L'unico che ha annunciato il voto contrario, Jefferson Van Drew, avrebbe deciso di passare ai repubblicani che invece voteranno compatti, tutti i 197, contro.

Nancy Pelosi «passerà alla storia come la speaker peggiore»: lo twitta il presidente Usa Donald Trump, alimentando lo scontro con la speaker della Camera nel giorno del voto sull'impeachment. È iniziata la storica seduta alla Camera dei rappresentanti per votare la richiesta di impeachment del presidente Donald Trump, accusato di abuso di potere ed ostruzione della giustizia. Come primo passo i deputati dovranno votare sulle regole procedurali del dibattito di oggi, che prevedono una discussione di sei ore, da dividere equamente fra oratori democratici e repubblicani. Una volta approvate, inizierà il dibattito, al termine del quale si voterà sui due articoli dell'impeachment. Dato che ci sono due deputati assenti, la soglia di maggioranza per ogni votazione sarà oggi di 216 voti. Un primo tentativo repubblicano di aggiornare l'intera procedura è stato subito bocciato dalla maggioranza dei deputati.

«Se consentiamo ad un presidente, qualsiasi presidente, a prescindere da chi sia, di proseguire su questa strada, diremo addio alla repubblica e buongiorno al presidente re»: lo ha detto la speaker della Camera Nancy Pelosi in un dibattito dei giorni scorsi, come si legge nella trascrizione diffusa solo oggi.


Come Donald Trump ripete e twitta da settimane, l'impeachment rischia di diventare un boomerang elettorale per i democratici. La popolarità del presidente infatti continua a salire da quando è iniziata l'inchiesta dei democratici contro di lui. È quanto attestano due sondaggi pubblicati oggi, con Gallup che dà una crescita di sei punti dallo scorso autunno ad oggi, dal 39% al 45%. Ed il sondaggio pubblicato da Cnbc indica una crescita ancora più consistente, dal 42% al 49%. E soprattutto registra come sia tracollato dal 50% al 40% il numero degli americani che disapprova l'operato del presidente.

Gallup sottolinea come questo sia il terzo aumento consecutivo della popolarità di Trump, dovuto soprattutto ad un rafforzamento delle sue posizioni tra gli elettori repubblicani. Praticamente 9 elettori repubblicani su 10, vale a dire l'89%, infatti sostiene l'operato di Trump, contro appena l'8% dei democratici ha un giudizio positivo sul presidente. I dati quindi sembrano, per il momento, avvalorare le affermazioni che da mesi fa Trump riguardo al fatto che l'inchiesta, da lui definita completamente infondata e incostituzionale, dei democratici finirà per avvantaggiarlo dal punto di vista elettorale



Usa, la Camera dice sì all'impeachment di Trump

19 dicembre 2019

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/n ... a2a2d.html

Con 230 voti a favore e 197 contro, la Camera americana ha approvato il primo dei due articoli dell'impeachment, l'abuso di potere, mettendo formalmente Donald Trump in stato d'accusa per l'Ucrainagate. Solo due dem hanno votato contro, mentre uno non ha votato. Dei repubblicani 195 hanno detto no e due non hanno votato. La Camera ha approvato poi anche il secondo articolo, l'ostruzione del Congresso.

Trump è il terzo presidente Usa a finire a giudizio. A gennaio è previsto il processo al Senato, dove i repubblicani hanno la maggioranza e dove non ci sono per ora i voti richiesti per la condanna.

"La Camera sta cercando di annullare il voto di milioni di americani e il risultato elettorale con l'impeachment". Lo afferma Trump nel corso di un comizio a Battle Creek, in Michigan.

In una giornata drammatica per la politica americana, Donald Trump entra nella storia negli umilianti panni del terzo presidente Usa messo in stato d'accusa con la procedura di impeachment. Due i capi di imputazione: abuso di potere per le pressioni su Kiev per far indagare il suo principale rivale nella corsa alla Casa Bianca Joe Biden e ostruzione del Congresso per aver bloccato testimoni e documenti.

LA DIRETTA DALLA CAMERA

Prima di lui sono finiti a giudizio solo Andrew Johnson nel lontano 1868 e Bill Clinton nel 1998. Entrambi sono stati assolti in Senato, come succederà con ogni probabilità in gennaio anche al tycoon, che conta sulla granitica maggioranza repubblicana nella camera alta del parlamento. Richard Nixon invece si dimise nel 1974 prima del voto.

Il voto della Camera arriva dopo settimane di polemiche e dopo un lungo dibattito in un ramo del Congresso saldamente controllato dai democratici. Nel giorno più buio della sua presidenza, il tycoon lo ha aspettato prima nel bunker della Casa Bianca e poi tenendo un comizio in Michigan, Stato cruciale per la sua rielezione. "Lavora tutto il giorno, viene informato dallo staff su come procede l'impeachment. Segue qualche passaggio tra un incontro e l'altro", ha assicurato la sua portavoce Stephanie Grisham. Ma Trump non ha saputo trattenere la rabbia su Twitter: "E' terribile. Non ho fatto nulla, dite una preghiera", ha cinguettato compulsivamente, attaccando la "sinistra radicale" e i "democratici fannulloni".

La sua bestia nera resta Nancy Pelosi, "che passerà alla storia come la peggiore speaker". Un seguito del durissimo scontro iniziato alla vigilia con un'infuocata lettera di sei pagine in cui Trump l'ha accusata di aver "dichiarato guerra aperta alla democrazia americana" con la "crociata" di un impeachment che è "un fazioso e illegale colpo di stato", un modo per ribaltare l'esito del voto del 2016 ma che i democratici pagheranno caro nelle elezioni del prossimo anno.

La speaker democratica ha attaccato aprendo "solennemente e tristemente" il dibattito alla Camera dopo l'approvazione delle regole per gli interventi. "Trump non ci ha dato altra scelta. Quello che stiamo discutendo è il fatto accertato che il presidente ha violato la costituzione e resta una costante minaccia per la sicurezza del nostro Paese e l'integrità delle nostre elezioni", ha denunciato, dopo aver letto accanto ad un tricolore americano il Pledge of Allegiance, il giuramento di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti. "Il presidente ha abusato dei poteri del suo ufficio per ottenere un beneficio politico personale a spese della sicurezza nazionale", ha incalzato. Nel frattempo davanti a Capitol Hill centinaia di attivisti manifestavano a sostegno dell'impeachment, dopo gli oltre 600 tra raduni e marce in varie città di tutti i 50 Stati Usa, a partire da New York.

"Il regime Trump/Pence deve essere smantellato". E ancora: "Mettere in stato di accusa Trump e rimuoverlo". Sono alcuni dei cartelloni agitati a New York da centinaia di manifestanti scesi in piazza per dire sì all'impeachment del presidente e sostenere i democratici.

Manifestano pacificamente per le strade della città nonostante la pioggia e il freddo a dimostrare che la New York che Trump ritiene la sua città gli è contro. Lo era quando è stato eletto, e lo è ora che ne chiede l'impeachment.

Ma le manifestazioni non sono solo nella Grande Mela. Da Boston a Philadelphia, passando per Charlotte, migliaia di americani sono in piazza per chiedere l'impeachment e la rimozione di Trump.


L'IMPEACHMENT E I PESCI CHE SI PIGLIANO
19 dicembre 2019

https://www.facebook.com/profile.php?id ... zf_uE5f_q6

Non ho parlato mai in queste settimane della procedura di impeachment nei confronti di Trump reputandola di scarso interesse. Uno spreco di soldi e di tempo per una piccola vendetta messa in piedi da un gruppo di politici di mezza tacca. A cosa serve? A niente.

Oggi, il voto contro Trump è passato alla Camera con 230 sì e 197 no, come era prevedibile, visto che alla Camera sono i Democratici ad avere la maggioranza, e come è previdibile, in gennaio, quando si dovrà esprimere il Senato dove sono i Repubblicani la maggioranza, l'impeachment verrà affossato.

Ah però, volete mettere la soddisfazione di mettere sotto accusa Trump, terzo presidente americano dopo Andrew Johnson e Bill Clinton? Sono piaceri sublimi, impagabili...soprattutto sapendo che tra un mese calerà il sipario.

Ma a sinistra va bene anche così non avendo altri pesci, oops, sardine, da pigliare.


Francesco Birardi
Credo che il vero obbiettivo dei Dem non sia di arrivare davvero all'Impeachment, quanto di sputtanare Trump agli occhi degli americani in vista delle prossime elezioni : una macchina del fango, insomma, l'unica politica di cui evidentemente è capace la Sinistra - e non solo quella americana - di questi tempi.

Niram Ferretti
L'effetto boomerang è dietro l'angolo.

Francesco Birardi
Lo spero ardentemente. Ora pare che la Nancy Pelosi abbia detto che non intende proporre l'Impeachment in Senato.... così evita la sconfitta.... e resta in piedi, in veste di "simbolo", la proposta democratica... come un "J'accuse" sospeso in aria....


Dragor Alphan
Serve a sporcare Trump mentre tratta con la Cina. Rischia di portare a casa un accordo storico. E finche' Trump e' al potere, per i Dem ogni successo dell'America e' una disfatta.




Usa, scontro fra Rudy Giuliani e George Soros
Roberto Vivaldelli - Mar, 24/12/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/usa ... gMGn383s4Q

L'avvocato personale del presidente Donald Trump ha respinto le accuse di antisemitismo, dichiarando di essere "più ebreo" di George Soros: "È nemico di Israele"

Negli Usa è scontro totale fra Rudy Giuliani, avvocato del presidente Donald Trump, e il finanziere liberal George Soros, fondatore dell'Open Society Foundations e donatore del partito democratico implicato, secondo Giuliani, nei controversi affari dei dem in Ucraina sotto la presidenza Obama.

In un'intervista rilasciata al New York Magazine sul tema Ucrainagate, l'ex sindaco di New York ha dichiarato che l'ex ambasciatrice Marie Yovanovitch, è "manipolata" da Soros. "Non ditemi che sono antisemita se mi oppongo a lui", ha sottolineato. "Soros non è certo un ebreo. Sono più ebreo di Soros. Non appartiene a una sinagoga, non supporta Israele, è nemico di Israele. Ha fatto eleggere otto procuratori anarchici negli Stati Uniti. È un orribile essere umano". Parole che, naturalmente, hanno sollevato un polverone e critiche anche da parte di alcune associazioni ebraiche americane, come riporta il Jerusalem Post.


Giuliani scatenato contro i Biden

La scorsa settimana, Rudy Giuliani ha reso noto attraverso una serie di tweet di aver scoperto una "vasta" corruzione in Ucraina, inclusa una "chiara" prova di riciclaggio di denaro da parte della società energetica Burisma che coinvolgerebbe l’ex vicepresidente degli Stati uniti e candidato alle prossime elezioni presidenziali Joe Biden e suo figlio Hunter. Su Twitter, Giuliani ha pubblicato diversi estratti di un mini-documentario che ha girato nelle scorse settimane tra Ucraina, Austria e Ungheria con il reporter di One America News Network Chanel Rion. Secondo Giuliani, le prove che ha raccolto in Europa e in Ucraina dimostrano che la corruzione "era così ampia" che il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, "aveva il dovere di chiedere un’indagine Usa-Ucraina". L’impeachment, ha sottolineato l’ex sindaco di New York, "è parte del tentativo dei democratici di coprire" questo presunto scandalo. "L’estorsione, la corruzione e il riciclaggio di denaro vanno oltre i Biden" ha sottolineato.

Intervistato da Fox News, l’avvocato del tycoon ha dichiarato di aver contribuito al licenziamento della già menzionata Marie Yovanovitch, ex ambasciatrice degli Stati Uniti in Ucraina. Secondo Giuliani, Yovanovitch era corrotta e stava tentando di ostacolare le indagini in Ucraina sui Biden. Yovanovitch, 60 anni, diplomatica figlia di immigrati fuggiti dall’ex Unione Sovietica e dalla Germania nazista, ha dichiarato di essere stata estromessa dal suo ruolo a causa di una campagna diffamatoria da parte degli alleati di Trump.


Anche Barr attacca Soros

Nei giorni scorsi, intervistato da Fox News, il Procuratore generale William Barr ha preso di mira il finanziere George Soros per le sue ingerenze nelle elezioni dei procuratori locali degli Stati Uniti. In un'intervista andata in onda venerdì su The Story, Barr ha affermato che il fondatore dell'Open Society probabilmente farà affidamento sull'affluenza bassa alle elezioni primarie locali per aiutare i suoi candidati a vincere. "Ha iniziato a eleggere persone che non supportano molto le forze dell'ordine" ha accusato Barr, riferendosi al magnate di origini ungheresi. "Hanno iniziato a vincere in diverse città e, a mio avviso, non hanno dato il giusto sostegno alla polizia. Potremmo trovarci nella posizione in cui le comunità che non supportano la polizia potrebbero non ottenere la protezione di cui hanno bisogno".
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