Falsi cittadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Falsi cittadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mer feb 24, 2016 11:05 am

Falsi cittadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=2233


Regeni il missionario ateo della sinistra taliana ed europea.


Il sinistro Regeni si era fatto complice dei terroristi nazi maomettani della Fratellanza Mussulmana, e quindi va considerato anche lui un terrorista, un fiancheggiatore, se è morto è perché se l'è cercata. Questi criminali nazi maomettani perseguitano i cristiani d'Egitto e spesso ne ammazzano qualcuno, se potessero li sterminerebbero tutti, per fortuna che è arrivato al-Sisi.
Questo Regeni sosteneva chi ammazza i cristiani, gli ebrei e ogni diversamente religioso, areligioso e pensante; una vergogna umana!

Diritti Umani dei Nativi e Indigeni ruropei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =25&t=2186
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mer feb 24, 2016 11:08 am

La bambina morta perché “non poteva uscire da Gaza” e le colpe palestinesi attribuite ad Israele
23 febbraio 2016 Riccardo Ghezzi

http://www.linformale.eu/la-bambina-mor ... ad-israele

Vittorio Arrigoni, l’attivista filopalestinese ucciso da terroristi jihadisti nell’aprile 2011, è ancora vivo su facebook. Nel senso che gli amministratori della fan page a lui dedicata hanno deciso di portare avanti le sue battaglie, in nome dei diritti dei palestinesi.
Questa opera, però, talvolta si traduce in mera propaganda anti-israeliana, se non in vera e propria disinformazione che contribuisce ad alimentare l’odio contro Israele e persino contro gli ebrei.
L’ultimo esempio è di qualche giorno fa. La pagina dedicata ad Arrigoni ha pubblicato la foto di una bambina che lascia spazio a pochi dubbi: la piccola è morta per colpa della crudeltà di Israele, che le ha impedito di uscire da Gaza per potersi curare. Se non glielo ha impedito espressamente, è la presunta “occupazione” ad aver causato la morte della bambina. Immagine 3

“Le era stata negata la possibilità di uscire da Gaza per ricevere le cure mediche che le avrebbero potuto salvare la vita”. Così parlò Vittorio Arrigoni.
Negata da chi? E come? Gli utenti non hanno dubbi: il colpevole è Israele. Basta leggere i commenti. “Un altro omicidio di stato: Israele”. “Questi sionisti si classificano da soli”. “Israele ed Egitto stati assassini”. Solo solo alcune delle invettive che si possono leggere sotto la foto.
Tra queste, anche un commento che mette in dubbio la versione fornita da “Vittorio Arrigoni”. E’ il noto blogger Enrico Tagliaferro a smontare la tesi anti-israeliana:

...

Neppure i parenti della bambina deceduta avallano la versione della presunta “negazione delle possibilità di uscire da Gaza” da parte del governo israeliano, come hanno inteso i commentatori e quindi come avrebbe voluto far intendere chi ha pubblicato la notizia in questi termini.
Ed infatti, non è andata così. In seguito all’intervento di Enrico Tagliaferro abbiamo deciso di verificare la notizia, riscontrando che è stata l’autorità palestinese a vietare il trasferimento della bimba per il trapianto di rene. L’informazione si trova sul Jerusalem Post, c’è voluto un po’ di tempo perché il nome della bambina era stato storpiato su facebook.
Nell’articolo del Jerusalem Post si può chiaramente leggere che il divieto di trasferirsi da Gaza all’ospedale israeliano, dove invece era stata data la disponibilità al trapianto, è arrivato dal ministro della sanità dell’Autorità palestinese. La bimba, Marah Diab, è quindi morta.
Una notizia come al solito strumentalizzata per far ricadere la colpa su Israele.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mer feb 24, 2016 11:08 am

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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mer feb 24, 2016 11:10 am

Giulio Regeni

(Il Giornale, 16 febbraio 2016) - Il giornalista egiziano Mohammed El Gheit ha scoperto e rivelato in diretta televisiva il mandante dell'assassinio di Giulio Regeni. Si tratta di un egiziano diventato una spia di Israele, un apostata che ha abbandonato l'islam e si è convertito al cristianesimo, un losco individuo prezzolato che ora è diventato ateo e comunista per denaro. Si chiama Magdi Allam. Che sarei io.

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 8270734428
http://www.magdicristianoallam.it/edito ... egeni.html

Domenica 14 febbraio, alle ore 22,45 locali, il sito del settimanale El Fagr, che dovrebbe essere laico e liberale, all'indirizzo http://www.elfagr.org/2030782 , ha pubblicato la mia foto in grande come notizia di apertura con il seguente titolo: “Video. El Gheit rivela: una spia di Israele in Egitto dietro all'assassinio del giovane italiano”.

Nel video El Gheit, conduttore del programma “Sveglia”, trasmesso dalla televisione satellitare LTC, sostiene con tono perentorio: “Ieri c'erano i funerali del giovane italiano Giulio Regeni. Voglio dirvi che c'è un uomo, una spia segreta, che ho scoperto, che sta montando una campagna contro l'Egitto, sta istigando il mondo contro l'Egitto dopo l'assassinio di Giulio Regeni. Quest'uomo, forse siamo la prima trasmissione che ne parla, è un egiziano, purtroppo, ha studiato in Egitto, si chiama Magdi Allam. La storia di Magdi Allam è una storia che andrebbe bene per un film come “Sprofondare nell'abisso”. Perché ora lui è una spia di Israele. Ha lasciato l'Egitto, è partito per l'Italia, non ha trovato lavoro, voleva lavorare nel giornalismo. All'improvviso, lui che era chiaramente nato musulmano, è diventato cristiano. Ha annunciato il suo ingresso nel cristianesimo cattolico e osservate che la sua conversione è avvenuta da parte del vertice della Chiesa cattolica, all'epoca di Benedetto XVI. Magdi ha iniziato a lavorare nel quotidiano comunista l'Unità. Ha sposato prima un'ebrea e poi un'israeliana, io ovviamente distinguo tra gli ebrei e gli israeliani sionisti. Dopo averla sposata, ha scritto un libro dal titolo “Io amo Israele”, che gli ha fruttato un milione di dollari. Questo libro ogni anno viene ristampato in Israele e lui continua a guadagnarci. Ho domandato ad un amico: è ancora cristiano? Mi ha detto che non è più né cristiano né niente altro, al punto che due anni fa ha annunciato l'abbandono del cristianesimo e la sua adesione agli atei o ai comunisti sempre per interessi materiali”.

Ovviamente io ho sporto denuncia. Ci mancava pure El Gheit! Non bastavano le condanne a morte degli islamici fuori e dentro l'Italia. Trattandosi di una trasmissione popolare e di un sito giornalistico che conta circa 500 mila seguaci, gli egiziani e gli arabofoni si sentiranno ancor più legittimati a uccidere la spia d'Israele, l'apostata e il mandante dell'assassinio di Giulio Regeni. E non pensiate che visto che si tratta di un'assoluta idiozia, allora si può stare sereni. Purtroppo nessuno di noi può sentirsi al sicuro con coloro che hanno messo in soffitta la ragione e il cuore, ottemperando letteralmente e integralmente a ciò che Allah prescrive nel Corano, a ciò che ha detto e ha fatto Maometto o, anche, all'odio cieco nei confronti di Israele da posizioni nazionaliste.

Per vedere il video in arabo
https://www.youtube.com/watch?v=QpE5fft7TBA



Nella tragedia mondiale, non è più l’Ora del Dilettante
Maurizio Blondet 6 febbraio 2016

http://www.maurizioblondet.it/in-italia ... dilettante

Giulio Regeni, il ricercatore ammazzato al Cairo, giudicava il Manifesto “il mio giornale di riferimento”. Ieri la direttrice del ‘quotidiano comunista,, Norma Rangeri, se l’è presa nell’editoriale con “quegli avvoltoi che vivono nella Rete e che hanno arruolato Giulio nei servizi segreti italiani coprendo la sua vita di fango, come a giustificare la sua morte”. L’allusione non può che essere al sito del bravo Marco Gregoretti, il quale – in evidente contatto con alcuni informatori ben informati – ha scritto appunto che il giovane “ era un agente dell’Aise (Agenzia informazione sicurezza esterna), il servizio segreto italiano che si occupa di “minacce provenienti dall’estero”. In pratica l’intelligence che ha preso il posto del vecchio Sismi”.

“Regeni – continua Gregoretti – era stato arruolato qualche anno fa quando i servizi segreti italiani cominciarono a fare campagna pubblica per arruolare nuovi operatori chiedendo il curriculum. Quello di Regeni, a quanto pare, sarebbe stato in linea con le aspettative. Era stato inviato in Usa prima e a Londra dopo. Poi, con la scusa della tesi di laurea, da sei mesi si trovava in Egitto”.

Non c’è nulla di infangante né insultante in questo. Io stesso, quand’ero inviato, sono andato spesso all’Istituto Culturale Francese del Cairo dove si poteva fare una chiacchierata con giovani e brillanti “borsisti” molto informati di tutti gli aspetti della società egiziana, capaci di acute valutazioni intelligenti, che facevano evidentemente parte dei servizi informativi di Parigi, almeno come ausiliari stipendiati, con borsa di studio; niente di più naturale che mandassero dei rapporti al competente ministero. Lavoravano su quelle che si direbbero “fonti aperte”, radio, giornali tv; se facessero anche cose clandestine non so, ma non credo. Ovviamente anche i servizi egiziani sapevano e sanno che cosa fanno certi borsisti stranieri al Cairo; fà parte del gioco.

Il punto non è quello, ma proprio la collaborazione di Regeni al Manifesto: collaborazione da lui richiesta e sollecitata, perché – lo ha scritto lui considerava il Manifesto “il mio giornale di riferimento”. Volleva collaborare “con pseudonimo”, particolare patetico, perché si sentiva in pericolo.

Un agente, ammesso che Regeni lo fosse, agisce su mandato. I suoi dirigenti gli dicono cosa deve fare. Ora, aveva ricevuto dal nostro Ministero degli Esteri il mandato di ficcarsi tra le organizzazioni anti-Al Sisi, il presidente egiziano che ha eliminato il regime dei Fratelli Musulmani e governa una società lacerata e dove ha per avversari dei fanatici che ricorrono al terrorismo e alle stragi di militari, pronti alla guerra civile e per questo ferocemente repressi? Per quanto bassa sia la stima che si può avere del corpo diplomatico e del ministro Gentiloni, propenderei a credere di no: Al-Sisi è una figura chiave della (speriamo) stabilizzazione dell’area, un alleato di fatto contro il terrorismo jihadista, ISIS e simili, e di cui si ha bisogno per future azioni o negoziati in Libia. Il nostro governo – a meno che non sia diventato folle – non ha alcun interesse un “regime change” in Egitto, né quindi interesse a “fomentare l’opposizione”, come (secondo Gregoretti) i servizi egiziani ritenevano facesse Regeni.

Glielo ha detto il ministero di andare a “vibranti incontri” dei “sindacati indipendenti” ribelli al regime? Di scrivere su l Manifesto (l’ultimo articolo) che “Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla ‘guerra al terrorismo‘, significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile”.

Serve al nostro interesse nazionale? Direi di no ( e forse non serve nemmeno al Manifesto). Forse il punto è questo, che Regeni non aveva ricevuto una istruzione su quale sia il nostro interesse nazionale; o forse inseguiva un’idea di interesse nazionale tutta sua, nutrita dall’appassionata lettura de Il Manifesto. Non è una rarità, dopotutto. Nel 1998 un deputato di Rifondazione comunista, tale Mantovani, fece la politica estera italiana andando a prendere e portando in Italia il capo del partito comunista turco, ricercato dai turchi per terrorismo; creò un grosso problema al governo (che era D’Alema: aveva appena fatto le scarpe a Prodi).

Anche le due pirlette autonominatesi “cooperanti”, le note Greta & Vanessa, a suo tempo andarono in Siria a schierarsi contro il regime d Assad e a favore dei jihadisti, si fecero rapire e i loro protettori (volevo dire: rapitori) hanno chiesto ed ottenuto dal governo italiano un riscatto di (si dice) 7 o 12 milioni di euro: di fatto l’Italia ha riccamente finanziato Al Nusra e il Califfato esattamente come sognavano Greta & Vanessa, che quindi hanno “fatto” la nostra politica estera al posto di Roma (o con l’accordo e collusione? Speriamo di no).

A proposito di tale riscatto, fra l’altro, il succitato Gregoretti dice: “Si è parlato di dodici milioni di euro. In realtà sarebbero stati 13, ma uno sarebbe rimasto attaccato a qualche manina italica. Chi si è fregato un milione di euro? Questa situazione poco chiara ha provocato anche un terremoto all’interno dei servizi segreti italiani: 86 operatori, compresi alcuni in posizioni apicali, sono stati “licenziati”. Alla luce di tutto ciò quella telefonata di Al Sisi al Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi :”Perseguiremo ogni sforzo per togliere ogni ambiguità e svelare tutte le circostanze”, non fa dormire sonni tranquilli ai nostri governanti. Qualcuno dall’interno dice: “Si sono mossi Mattarella e Renzi. Sono tutti con il pepe al culo”.

Ecco un inciso da cui si intuisce che cosa sia l’ interesse nazionale non è chiarissimo nemmeno alle “figure apicali” dell’italica repubblica. Il che può rendere indulgenti verso il povero Regeni, che ha pagato con la propria vita l’aver scambiato il “Manifesto, suo punto di riferimento”, con la patria e i suoi duri doveri, e aver voluto fare uno scoop in un posto incendiario, chiacchierando contro un regime che sta giocando una partita mortale con avversari, che abbiamo tutto l’interesse restino schiacciati.

Ora la chiacchiera giornalistica italiota strilla: “Vogliamo la verità! Chi ha ucciso il nostro ragazzo?”. Il governo egiziano ha immediatamente fermato due: criminali comuni, è stato un delitto comune, assicura. Un avviso a contentarsi: loro, hanno una visione precisa dell’interesse nazionale: il loro e persino il nostro. Ma no. “E’ stato ucciso per le sue idee”, lasciano filtrare a Repubblica “i detectives italiani” mandati in Egitto per indagare (che chiacchierano con i giornalisti amici). Addirittura, l’AISE smentisce ufficialmente che Regeni fosse un suo agente, con lettera ai giornali: cosa che nessun servizio segreto ha mai fatto nell’intera storia. I media incitano a “gelare le relazioni con l’Egitto”. La magistratura ha aperto un fascicolo. Il regime egiziano ha rilasciato i due fermati delinquenti comuni: brutto segnale.
Se Frontex ci ordina di sparare

I tempi sono d’acciaio e di fuoco, sarebbe auspicabile che in Italia si riducesse l’ora del dilettante in politica estera. La durezza dei tempi è rivelata da una forte critica che il capo operativo di Frontex, Klaus Rosner, ha elevato al responsabile del Viminale Giovanni Pinto: gli interventi di salvataggio dei gommoni o carrette non devono estendersi oltre le 30 miglia marine dalle coste italiane; non è necessario e conveniente sotto il profilo dei costi l’uso di pattugliatori offshore; andare sotto le coste libiche su chiamate di satellitari non si deve più fare. Frontex ha protestato ““ contro ripetuti interventi fuori area, oltre le 30 miglia dalle coste italiane: non sono coerenti col piano operativo e non saranno prese in considerazione in futuro; i soccorritori devono “limitare l’uso della lingua italiana” quando comunicano gli uni con gli altri, vogliono sentire quel che ci diciamo. Non si fidano. Non sono lontani dal pensare (come il sottoscritto) che il nostro buon cuore sia un aiuto, un incitamento e forse una collusione con la peggiore malavita internazionale, quella che sfrutta in questo modo le masse del mondo.

“Frontex ci critica perché salviamo troppe vite umane!”, sbalordiva sabato un conduttore di Radio Radicale che si occupa degli immigrati nel dare la notizia. Radio Radicale è la più occidentalista, americanista, neocon, e quindi la più filo-Ue che ci sia. L’Unione Europea è per loro il paradiso dei diritti umani, delle libertà progressiste: nozze gay, uteri in affitto, eutanasia, step-child adoption; ed ovviamente della “accoglienza” senza limiti.

Non hanno ancora preso atto di come Angela Merkel abbia cominciato a predicare agli immigrati che, appena torna la pace in Siria, loro devono andarsene. Di colpo, la Germania ha scoperto che la maggior parte non fuggono da guerre, non sono nemmeno siriani, non hanno diritto d’asilo. In certe città tedesche c’è un’aria che qualche capo della polizia ha definito “da pogrom”, con la caccia ai profughi. Il Belgio raccomanda di “Non dar da mangiare ai profughi, se no ne vengono altri”, e alcuni iracheni che ci sono arrivati sono trattati in modo tale, che tornano volontariamente: “Piuttosto morire in Irak che vivere il Belgio” (qualcuno gli aveva fatto credere che avrebbero 3 mila euro e il ricongiungimento immediato coi familiari, e si sono trovati in una branda da campo in una caserma). Il presidente della Finlandia: “L’immigrazione è una minaccia ai valori occidentali” (ma tu guarda…). La Svezia si propone di espellerne 60 mila; la Danimarca, di sequestrare i soldi e i gioielli di quelli che entrano,come contributo alle spese di mantenimento: tutti d’accordo, i socialdemocratici svedesi con la destra populista. E l’Austria sta proponendo il dispiegamento militare di forze della UE nei Balcani, onde intercettare i profughi alla frontiera esterna della UE e rimandarli in Turchia; e chiede alla UE di tagliare gli aiuti alla Tunisia, perché si rifiuta di riprendersi i profughi. Insomma i nordici, che per anni si sono infischiati dell’invasione quando arrivava sulle coste italiane e greche, adesso che gli invasi sono loro, chiudono le frontiere; e – senza ovviamente riconoscere minimamente che aveva ragione Orban e loro torto – ordinano anche a noi di chiudere. E siccome comandano loro, queste saranno le “normative” nuove sull’immigrazione che diverranno regola pan-europea.

Quando Frontex “ consiglierà” alle navi italiane di sparare, altrimenti ci chiude fuori da Schengen e ci lascia tutti i profughi a centinaia di migliaia, sarà interessante vedere i commenti progressisti. Quelli che “siamo l’ultimo paese in Europa che non riconosce il matrimonio gay” o “le adozioni dei figli del compagno”, adesso cominciano a vedere l’altra faccia della libertà di un’Europa che s’è liberata dalle radici cristiane: “diritti” ai gay e respingimenti sono la faccia della stessa medaglia. Il buon cuore è inadeguato, nei tempi d’acciaio che ci sovrastano. Fuori i dilettanti e i provinciali, per favore.


Per Regeni, chiedere i danni ai britannici.
Maurizio Blondet 16 febbraio 2016

http://www.maurizioblondet.it/per-regen ... britannici

La cosa è ormai così evidente che anche i media ufficiosi lo fanno capire: era un agente. Britannico. Incaricato di inserirsi nei gruppi sindacali anti-regime. Mandato allo sbaraglio, approfittando della sua ingenuità?

Ricapitoliamo: Regeni, 28 anni, era dottorando alla American University del Cairo.

Che la American University sia uno strumento della Cia, è persino superfluo dirlo. Basta ricordare che John Brennan, l’attuale capo dell’Agenzia, è stato mandato a studiarvi nel 1975-76. Un corso di perfezionamento per quelle carriere. Vi si sono formate generazioni di agenti detti “gli arabisti della Cia”, un bel gruppo di competenti che, per essere filo-palestinesi più che filo-sionisti, sono stati epurati dai neocon perché, dopo l’11 settembre, cercarono di opporsi alle inutili e criminali guerre per Sion, e alla demonizzazione di Saddam e dei regimi baathisti. Ma questa è storia vecchia. Adesso la visione del Medio Oriente che domina i servizi Usa è quella israeliana: smembrare i paesi islamici istigandone gli odii etnico-religiosi.

L’American University del Cairo, ovviamente, non è solo un centro di perfezionamento per funzionari della Cia. Prestigiosa università, frequentata da figli di famiglie danarose, è il centro di raccolta ideale per identificare, promuovere, selezionare, profilare “amici degli Stati Uniti” che saranno destinati a diventare in futuro esponenti di governi, ministri, direttori di giornali, insomma membri della classe dirigente locale con lo stampino di “amici dell’America”. Oppure anche agenti informatori, infiltrati; o anche agitatori di piazza per rivoluzioni colorate o fiorite, secondo i casi. Tutti i paesi sottosviluppati o soggetti all’impero hanno qualche centro così: in Italia è la John Hopkins University; ci sono borse di studio per corsi negli Usa, eccetera.

Al Cairo, basta entrare alla American University per capire dentro quale sistema si viene cooptati; figurarsi poi se ci si segue un dottorato di ricerca. Nei giornali appare il nome del professor Khaled Fahmi: i giornali inglesi e americani erano pieni di sue interviste ai tempi della rivoluzione di piazza Tahrir, dove inneggiava alla caduta di Mubarak. Adesso è visiting professor ad Harvard (tipico) e in interviste sostiene: Al Sisi è più pericoloso dei Fratelli Musulmani.

Ancor più interessanti i rapporti del povero Regeni con Cambridge. Dai media si ricava che la sua “tutor” a Cambridge, Maha Abdelrahman, “è molto impegnata nello studio delle opposizioni politiche in Medio Oriente”. Secondo Repubblica, sarebbe stata costei, che, dopo la partecipazione del giovanotto all’assemblea dei sindacati clandestini egiziani (di cui aveva mandato un resoconto al Manifesto, pubblicato postumo…) “aveva cambiato il format (sic) del lavoro di ricerca di Regeni: “Non più una semplice ricognizione analitica e su “fonti aperte” dei movimenti sindacali, ma una “ricerca partecipata”, embedded. Che prevedeva, dunque, una partecipazione diretta alla vita e alle dinamiche interne delle organizzazioni da studiare”.

Si può essere più chiari?

Giulio Regeni aveva un altro referente accademico a Cambridge. La professoressa Anne Alexander”. Una giovin signora che nel suo profilo dichiara che le sue “ricerche accademiche” vertono sulla “disseminazione di nuove tecniche mediatiche” per “la mobilitazione per il cambiamento politico in Medio oriente”, con cui “attivisti politici” creano “reti, o sfere di dissidenza e generano nuove culture di attivismo”.

Non sembra esagerato concludere che ci troviamo qui di fronte ad una di quelle centrali dell’impero britannico (che è “un impero della mente”, come disse Huxley) volte a creare gli “états d’esprit” collettivi che servono a maturare in una società delle rivoluzioni culturali, o (secondo un dizione britannica tipica), il “salto di paradigma”.

Una specialità dell’Istituto Tavistock di Londra, strana scuola superiore di psichiatria e sociologia, fondati negli anni ’30 dall’ebreo tedesco Kurt Lewin. Come ha spesso ripetuto lo EIR, Executive Intelligence Review, “L’oggetto degli studi più del Tavistock è la creazione di “salti di paradigma” (paradigm shifts), ossia del mezzo per indurre nelle società valori “nuovi”, attraverso eventi traumatici collettivi (turbulent environments). Ad esempio, un ciclo di conferenze tenute al Tavistock nel 1989 aveva come tema il seguente: Il ruolo delle Organizzazioni non Governative nell’indebolire gli Stati Nazionali. Oggi l’Istituto Tavistock compie ricerche su come reagirà la gente, a livello individuale e collettivo, di fronte ad eventi, cambiamenti e parole-chiave”. La “liberazione sessuale”, l’accettazione della omosessualità, la teoria del “gender”, o la “accoglienza agli immigrati”, sono altrettanti “salti di paradigma” già attuati o in corso di imposizione nelle masse europee.

La professoressa Alexander è molto interessata – scientificamente, disinteressatamente – a come gli oppositori di Al Sisi generano “sfere di dissidenza e culture di attivismo”. La tutor di Regeni ad Oxford, Maha Abdelrahman, interessatissima per motivi squisitamente scientifici “allo studio delle opposioni politiche in Medio Oriente”, gli dice di partecipare ai sindacati clandestini egiziani. Lui, entusiasta di fare qualcosa di sinistra (ne scriverà al Manifesto) si butta. Embedded, come gli dicono da Oxford. Loro stanno ad Oxford, è lui che si ficca nei guai al Cairo – al Cairo della guerra civile tenuta a freno col ferro e col fuoco. Morto lui, se ne occupa il New York Times, cosa alquanto insolita: fa’ la sua inchiesta, trova le anonime fonti dei servizi egiziani che dicono “sono stati i servizi egiziani”…insomma, la famiglia, o lo Stato italiano, dovrebbero chiedere i danni ai servizi britannici.

Del resto è quel che sostiene Paz Zàrate, esperta di diritto internazionale a Oxford, amica fraterna di Giulio Regeni nonché sua ex collega al think tank Oxford Analytica, dove lui lavorò tra il 2012 e il 2014: “Dato che Giulio stava facendo ricerca all’università britannica e ha abitato e lavorato nel Regno Unito praticamente tutta la sua vita adulta, crediamo sia compito del governo inglese di unire le forze con l’Italia”.

Il povero Regeni era un agente di Sua Maestà. Forse, perfino senza saperlo – come accade alla gente di sinistra.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mer feb 24, 2016 11:11 am

Giulio Regeni era un agente di primo livello. Potevano salvarlo. Ma non ci sono riusciti

14 febbraio 2016 da Marco
Marco Gregoretti

http://www.marcogregoretti.it/misteri/g ... o-riusciti

“Giulio Regeni era un agente di primo livello, non un semplice collaboratore”. La notizia mi fa sobbalzare sulla sedia. E approfondisco, con chi, ovviamente, me l’ha data con tutti i dettagli del caso. “Che la finissero di rompere il c…. Regeni non aveva una semplice collaborazione. La mia fonte mi aveva ben notiziato. Lei con il suo articolo che raccontava i rapporti tra l’agente ucciso e l’Aise, aveva toccato un nervo scoperto. Il generale Alberto Manenti (Direttore dell’Aise Ndr) è andato al Cairo. Ma quando mai un capo di un servizio si muove per qualcuno? La prima notizia che lei ha dato li ha messi in paranoia”… Il compito di Regeni era quello, con la scusa della ricerca, di raccogliere informazioni sulla situazione sociale e sugli umori della popolazione. Probabilmente aveva già un po’ di esperienza: contrariamente a quanto si continua a scrivere e a dire, non era un “ragazzo”. Aveva 28 anni: a 18 anni c’è chi entra in Accademia a Modena e a 22 diventa tenente. I capitani dell’esercito e dei carabinieri hanno 24, 25 anni. Commissario di Polizia si è promossi a 28. Insomma non avrebbe dovuto essere uno sprovveduto. Ma, evidentemente, non essendo un militare, si è spinto un po’ troppo in là, facendo realmente credere di essere un simpatizzante dell’opposizione. Parlava con tutti. Mi raccontano: “Sì, parlava con le vecchine che vendono nelle bancarelle, con i tassisti. Si informava di tutto. Chiedeva delle loro condizioni di vita, di come stavano economicamente, degli scioperi. E poi appuntava ogni cosa. Questo lo ha ucciso. Parlava con troppe persone, molte delle quali attenzionate dal regime.

Ben mimetizzati i sindacati

Doveva incontrare gli ambulanti. Lo andarono a prendere. Ma non arrivò mai nella piazza. Non prese mai la metropolitana. Lo hanno tradito?”. L’allarme dei servizi era partito la notte del sequestro, il 25 gennaio, ma già prima che sparisse erano state fatte ispezioni a casa sua. Da parte di chi? Una fitta corrispondenza con l’Ambasciata mise in evidenza che era stata richiesta la ricerca di Regeni ai nostri servizi segreti al Cairo, i quali però ricevettero dagli apparati egiziani questa risposta: “Non abbiamo alcuna informazione”… Dopo quindici ore e mezzo fu inviata una nota ufficiale di allarme al governo. I passaggi di questo intrigo sono documentati. L’agente Regeni aveva un appuntamento con l’amico Gennaro Gervasio. Ma non è mai arrivato. E alle 20,30 Gervasio aveva già perso le tracce dell’amico. Dopo tre ore, alle 23,30, decise di chiamare l’ambasciatore Maurizio Massari, che conosceva e di cui aveva il numero di telefonino. Massari lanciò l’allarme e avvertì i servizi segreti italiani sul posto. La mattina dopo Massari tornò alla carica con la nostra intelligence: “Abbiamo compiuto verifiche, ma non abbiamo saputo nulla”. Alle 15 del 26 gennaio, mancavano ancora nove ore al termine stabilito dalla legge per poter effettuare una denuncia di scomparsa, l’Ambasciata italiana inviò una comunicazione ufficiale al ministero degli esteri egiziano e, in copia, al ministero dell’Interno e ai Servizi segreti egiziani chiedendo loro di attivarsi per il ritrovamento. A mezzanotte Gennaro Gervasio e un funzionario dell’Ambasciata sporsero una regolare denuncia al commissariato di Dokki (al-Doqqī è un distretto vicino al Cairo) per la scomparsa di Giulio Regeni. Una ricostruzione attendibile.

Ma restano ancora alcuni interrogativi. Quando Manenti è andato al Cairo? E perché? “È arrivato il primo febbraio ed è ripartito il tre. Era già in volo quando gli fu comunicata la notizia del ritrovamento del cadavere. Mi chiede perché sia andato in Egitto? Volevano recuperarlo vivo e si poteva fare”. Non è chiaro, però, come questo sarebbe potuto avvenire. È vero che, come risulta al blog, sul campo c’era e c’è una rete, peraltro con altri “Regeni” al suo interno, però la parola blitz suscita ironia: “Ma lei sta bestemmiando… Un blitz? E chi lo faceva? All’italiana l’avrebbero liberato. Pagando? Forse, ma non penso… Quelli hanno disarticolato i nostri servizi in un colpo solo, perché siamo il Paese di Pulcinella. I servizi egiziani si fanno grandi risate anche sulla vita privata dei nostri ministri. Tutto sanno…” In effetti il sapore della presa in giro c’era eccome: i nostri apparati di intelligence insistevano sul fatto che era stato arrestato un nostro cittadino e loro rispondevano di non saperne nulla. Poi hanno fatto trovare Regeni morto dando come prima versione quella dellì’incidente stradale, prendendoci ancora in giro. E, dopo un parossistico tira e molla politico, il ritrovamento del cadavere torturato e mutilato. Ai tempi dei tempi succedeva che i servizi segreti rispondevano colpo su colpo, poi, magari facevano lo scambio al check point Charlie…
AISE
Qui si apre un altro difficile capitolo: lo stato dei servizi segreti italiani. Siamo in prossimità dei rinnovi dei vertici e all’interno della nostra intelligence risulta che sia in atto una guerra furiosa, marcata per altro dal fatto che oramai Aise e Aisi sono poco più che esecutori di input di servizi segreti di altri Paesi. Volano, dunque, i dossier che possono finire con il mettere in difficoltà il governo, anche perché sullo sfondo c’è la decisione del Premier di affidare a una grande società esterna privata la gestione di tutta la partita della sicurezza informatica. “Questi servizi sono , sono… non mi faccia dire, guardi. Per fortuna che ancora oggi nei servizi segreti esiste una zona grigia”. Quale? “Quella di sempre”.



Regeni, spionaggio e trotskismo social-imperialista
Alessandro Lattanzio, 16/2/2016

https://aurorasito.wordpress.com/2016/0 ... perialista

Il ‘compagno’ Giulio Regeni (il martire tanto necessario alla sinistraglia socialcolonialista, che in Italia è rimasta ancora a Carlo Giuliani, ucciso mentre innocentemente assaltava un automezzo dei carabinieri), collaborava in sostanza con il ramo ‘trotzkista’ dei servizi segreti. Difatti le due docenti che l’avevano inviato a fare ricerche prima a Kiev (Regeni aveva la fidanzatina ucraina) e poi a Cairo, Anne Alexander e Maha Abdelrahman, aderiscono al programma ‘universitario’ di Cambridge evocativamente denominato CENTRE FOR RESEARCH IN THE ARTS, SOCIAL SCIENCES AND HUMANITIES (CRASSH), presieduto da Martti Ahtisaari, il burocrate finlandese che gli USA misero a capo di una delle tante missioni per distruggere la Jugoslavia, al culmine dell’operato del trotzkismo europeo, che nella distruzione della Federazione socialista era in prima linea fiancheggiando e sostenendo le operazioni della NATO e di Gladio, (Ustashija, al-Qaida nei Balcani, UCK, forze che il trotskismo occidentale oggi torna a sostenere in Medio Oriente, Nord Africa e Ucraina).
Il CRASSH, come nella migliore tradizione dell’accademismo anglosassone, pubblica infiniti papers, text, working papers che, benché numerosi, hanno alla fine lo stesso tema o litania: impedire l’affermarsi dell’Alleanza Eurasiatica, definendo Russia e Cina ‘Paesi imperialisti’, l’Iran Paese ‘settario teocratico’, e Siria e Libia ‘non-Stati dai regimi burocratici’. E il tutto da abbattere con ‘rivoluzioni’ democratiche e socialiste dei ‘popoli’ o ‘classi’ oppressi che, magicamente, coincidono con quelle ‘rivoluzioni colorate’ o ‘primavere arabe’ alla cui preparazione parteciparono quegli stessi enti ‘di ricerca’ o ‘accademici’ in cui appaiono sia i suddetti teorici del trotskimo social-coloniasta, che i teorici del soft power degli USA e degli altri imperialismi occidentali (George Soros, USAID, NED, Freedom House, Amnesty International, HRW del geopolitico russofobo Brzezinski, ecc.). Una casualità apparente che nasconde invece pianificazioni accurate, attente e precise, magari vecchie di decenni. E non è un caso che Giulio Regeni sia stato subito elevato a martire del ‘marxismo’ dalle fazioni italiane più vicine al social-colonialismo anglosassone, gli stessi che celebrarono le gesta ‘rivoluzionarie’ dell’UCK in Kosmet nel 1999; assaltarono l’ambasciata libica nel febbraio 2011 per sostenere la rivoluzione ‘proletaria’ di Sarkozy, Qatar e NATO; predicano la distruzione della Siria per suddividerne le spoglie con Turchia, Israele e regni wahhabiti con cui tali organizzazioni settarie social-colonialiste ed integrate nell’apparato mediatico-disinformativo occidentali, quali sono appunto i trotzkisti europei, hanno stretti legami.
Anne Alexander ha scritto un verboso articolone esprimendo sostegno al taqfirismo in Medio oriente contro l’Iraq di al-Maliqi, l’Iran sciita rivoluzionario, la Siria panaraba e la Libia panafricana, definendoli tutti dittature anti-proletarie, reazionarie e fasciste. Non casualmente proprio questi Paesi, e solo questi Paesi, sono avversari della NATO e dei relativi alleati regionali (Fratelli mussulmani, al-Qaida, Stato islamico, il taqfirismo in generale). Difatti Anne Alexander mischia militanza politica e lavoro ‘accademico’. Alexander milita nel SWP, il Socialisr Workers’ Party, ovvero l’ala estremista del Labur Party, il partito della sinistra imperialista per eccellenza. Il giornale del SWP, Socialism International, pubblica articoli a sostegno del golpe di Gladio in Ucraina; quindi della repressione dell’opposizione al golpe, dell’operazione di invasione e distruzione della Novorossija, mentre occulta il ruolo dei neonazisti, dei mercenari occidentali e dei servizi segreti atlantisti (Gladio) nel colpo di Stato e nella guerra civile in Ucraina. Giustificando tali posizioni definendo ‘fascisti’ gli operai e i minatori novorussi che si sono opposti al colpo di Stato neonazista e atlantista in Ucraina. Inutile dire che la stessa setta ‘marxista’ a cui aderisce la ricercatrice, definisce imperialiste Russia e Cina, fascista Vladimir Putin, e condanna il referendum popolare della Crimea, salvando le popolazione dai massacri pianificati da Kiev, quale atto d’aggressione imperialista della Russia, in perfetto allineamento con la volgare propaganda antirussa della NATO. E quindi non è un caso che l’ente di ‘ricerca’ cui lavorava Giulio Regeni (di cui va ricordata la ‘fidanzatina ucraina’ usata come testimone indiretta nel suo caso), il CRASSH appunto, avesse le stesse posizioni russofobe e filonaziste dei trotzkisti dell’SWP sul caso dell’Ucraina, invocando l’intervento della NATO per ‘liberare’ la Crimea e l’Ucraina dall’aggressione della ‘Guerra Ibrida’ di Putin. Esprimendo, sempre non a caso, simpatia per il separatismo dei tartari di Crimea ispirato dai neonazisti ucraini, dai Lupi grigi nazislamisti (attivi anche contro la Siria), e dalla Turchia di Erdogan (Erdogan è anche nemico del Presidente egiziano al-Sisi, che ha cercato di far rovesciare tramite i Fratelli musulmani). Concludendo, su Ucraina, Siria, Iraq ed Egitto quindi convergono le posizioni di Giulio Regeni, del ‘centro studi’ CRASSH per cui lavorava, del trotzkismo social-colonialista europeo (a cui aderivano Regeni e i suoi mentori), della NATO, dell’imperialismo anglosassone, del neottomanismo turco e dell’integralismo islamista, anti-socialista e filo-imperialista. E tutto ciò, evidentemente, non è un caso o una coincidenza.
In Egitto, tale fronte islamo-social-imperialista vuole ricreare i disordini contro il governo di al-Sisi, sempre più orientato verso l’Eurasia e il blocco antiegemonico che va formandosi fuori e contro l’occidente imperialista, di cui le propaggini trotskiste ne rappresentano le antenne nel campo ‘socio-culturale’ mondiale. Ricordo che i trotzkisti hanno sempre avuto nel loro programma d’azione, fin dal 1948, la distruzione dell’URSS e delle potenze ‘burocratiche’, ovvero di tutto ciò che si contrappone all’imperialismo e al colonialismo. Le loro istanze sono l’instaurazione del puro social-colonialismo, la distruzione del processo di emancipazione dei Paesi del terzo mondo creando conflitti sociali artificiali o inventando ‘lotte di classe’ inesistenti. Abbandonati dopo il 2001, questi sicari dell’ultrasinistra di Gladio/NATO si sono ripresentati con la ‘primavera araba’.

Dal Watergate al Nilo
bate-brand-oxford-analytica-logo-design Giulio Regeni, sempre casualmente, ha lavorato dal settembre 2013 al settembre 2014 per l’azienda d’intelligence Oxford Analytica, fondata da un ex-funzionario statunitense, David Young, implicato nel caso Watergate. E sempre casualmente gli ex-colleghi di Regeni presso l’Oxford Analytica sono tra i promotori della petizione che chiede al governo inglese di fare pressione sull’Egitto, “Giulio era un collega fantastico, socievole, divertente. Ci manca molto. Era estremamente cauto nel condurre il suo lavoro. Certo, c’è sempre la possibilità che abbia attirato l’attenzione di qualche gruppo pericoloso, ma da quanto sappiamo Giulio non si comportava in maniera avventata o negligente”. Oxford Analytica, che raccoglie intelligence politico-economica per enti privati e una cinquantina di governi, ha uffici a Oxford, New York, Washington e Parigi, e una rete di 1400 collaboratori. Regeni vi stilava “Daily Brief” confidenziali, degli articoli quotidiani destinati alla clientela. Young era uno dei responsabili del servizio di spionaggio di Richard Nixon. Quando a seguito dello scandalo Watergate i suoi colleghi G. Gordon Liddy e Howard Hunt finirono in prigione, Young emigrò nel Regno Unito dove nel 1975 fondò l’Oxford Analytica, nel cui CdA compaiono John Negroponte, il responsabile degli squadroni della morte della CIA in Iraq nel 2003-2005, e Sir Colin McColl, ex-capo dell’MI6, il servizio segreto inglese.


Giulio Regeni mandato allo sbaraglio dai suoi docenti inglesi
19/02/2016

http://www.lastampa.it/2016/02/19/ester ... agina.html

Sono stupito e deluso per la piega che ha preso il dibattito sulla morte di Giulio Regeni. Mentre in Italia si discute dell’ipotesi che il giovane friulano fosse una spia, il mondo accademico inglese assolve se stesso. Va detto chiaramente: Giulio era uno studente che cercava di scrivere la tesi di dottorato, come tanti altri. Se fosse stato una spia, sarebbe stato avvertito e protetto da qualche apparato. Al contrario, e più prosaicamente, era uno studente mandato allo sbaraglio in un contesto estremamente pericoloso. I suoi docenti devono assumersi la responsabilità di quella scelta. Hanno approvato un tema di tesi che sapevano avrebbe messo in grave pericolo la vita di Giulio, come purtroppo è avvenuto.

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Perché siamo vulnerabili

La vicenda di Regeni mi tocca da vicino perché i nostri percorsi accademici e di vita sono molti simili. Anch’io, come Giulio, sono stato uno studente liceale presso i Collegi del Mondo Unito (io in Canada e lui negli Stati Uniti). Entrambi siamo stati ispirati da quella esperienza a esplorare il «vasto mondo» con un’attenzione particolare per i più deboli e le vittime delle ingiustizie. Entrambi abbiamo seguito un corso di M. Phil a Cambridge. Anch’io ho fatto una tesi di dottorato basata su un lungo lavoro sul campo (nel mio caso in Russia) e su un tema pericoloso (nel mio caso, la mafia). Quando sono diventato un docente all’Università di Oxford ho cominciato a seguire diversi studenti che, come Regeni, fanno a loro volta ricerche su temi complessi e potenzialmente pericolosi, come ad esempio il crimine informatico o il traffico illegale delle tigri. Spesso le persone che incontriamo faticano a credere che la nostra unica motivazione sia capire il mondo, anche nei suoi aspetti più indegni. La nostra dignità intellettuale consiste nel mettere la ricerca accurata e analitica al di sopra di tutte le altre considerazioni. Siamo vulnerabili proprio perché non abbiamo alcun rapporto con agenzie di spionaggio o governi di sorta.

Non abbastanza attivista

Per questa ragione i docenti che approvano e seguono le tesi di dottorato hanno una responsabilità particolare nei confronti dei loro studenti. Le due relatrici (supervisors) di Regeni erano ben consapevoli del rischio che avrebbe corso. In diverse interviste, Anne Alexander e Maha Abdelrahman ci raccontano come la morte dello studente faccia parte di una più ampia strategia del regime di intimidire, torturare e uccidere attivisti, sindacalisti e studiosi, e giustamente stigmatizzano la deriva autoritaria di Al Sisi. Ma allo stesso tempo ammettono di aver approvato uno studio che ben sapevano avrebbe messo in pericolo Regeni, senza avere alcuno modo di proteggerlo, proprio perché il giovane italiano era un outsider, non abbastanza attivista per essere protetto e creduto da tutti gli attivisti, e niente affatto spia per essere protetto da altri apparati (va ricordato che neppure i regimi più autoritari vanno in giro a trucidare le spie straniere). Quando Regeni scriveva di sentirsi in pericolo, i suoi docenti avrebbero dovuto immediatamente convincerlo a tornare a Cambridge. È inoltre estremamente pericoloso rimanere così a lungo in uno stesso luogo.

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Due aspetti ulteriori meritano di essere sottolineati. Da una parte, i nostri dipartimenti sono costretti a compilare moduli e formulari che certificano la sicurezza dei nostri studenti (risk assessment forms). Questa cultura della certificazione serve alle istituzioni accademiche per lavarsi le mani: basta dimostrare di aver seguito le procedure e la responsabilità di quello che succede agli studenti passa ad altri. La burocratizzazione del rischio ha soppiantato il buon senso. Nei consigli di dipartimento non si discute dei casi di tesi che pongono rischi davvero seri, e invece si costringono studenti ad esempio italiani a compilare moduli kafkiani per aver il permesso di tornare nella loro città natale per condurre una ricerca sul campo sugli asili nido. Esattamente come chi parte per l’Egitto e vuole studiare l’opposizione legata ai Fratelli musulmani.

«Capire», non «credere»

Il secondo aspetto preoccupante consiste nella pratica di molti studiosi di incoraggiare i loro studenti a «scegliere una parte», a schierarsi e quindi a diventare in qualche modo loro stessi attivisti sul campo. Dobbiamo insegnare ai nostri studenti che la ricerca condotta per il dottorato non deve essere confusa con l’attivismo e che l’importanza del capire deve sempre essere superiore a quella del credere. Tutti noi scegliamo certi temi di ricerca perché vogliamo contribuire a creare un mondo migliore. Da giovane anch’io mi sentivo uno «spirito attivo che abbraccia il vasto mondo», come ebbe a dire il Faust di Goethe. Ma da docente debbo farmi carico dei rischi che corrono i miei studenti e non fare l’eroe per interposta persona.



Regeni a Londra lavorò per un’azienda d’intelligence
È stata fondata da un ex funzionario Usa implicato nel Watergate
La manifestazione dell’altro giorno in piazza Santi Apostoli per chiedere giustizia per la morte di Giulio
16/02/2016
alessandra rizzo

http://www.lastampa.it/2016/02/16/ester ... agina.html

La storia di Giulio Regeni porta stranamente alla porta di un vecchio scandalo, quello di Nixon. Mentre viveva in Gran Bretagna, lo studente friulano aveva lavorato per un anno presso un’azienda d’intelligence fondata da un ex funzionario americano implicato nello scandalo Watergate. Oggi, i suoi ex colleghi e amici presso la compagnia, la Oxford Analytica, sono tra i promotori di una petizione che chiede al governo britannico di fare pressione sulle autorità egiziane che indagano sulla vicenda. «Giulio era un collega fantastico, socievole, divertente. Ci manca molto», ricorda Ram Mashru, altro giovane talento che con Giulio divideva la stanza presso la Oxford Analytica. «Era estremamente cauto nel condurre il suo lavoro – aggiunge - Certo, c’è sempre la possibilità che abbia attirato l’attenzione di qualche gruppo pericoloso, ma da quanto sappiamo Giulio non si comportava in maniera avventata o negligente».

Oxford Analytica è un ulteriore tassello nella storia di Giulio, un altro pezzo dei dieci anni trascorsi dal ricercatore di Cambridge nel Regno Unito, e potrebbe, forse, fornire qualche dettaglio per spiegare la sua morte. Il gruppo analizza tendenze politiche ed economiche su scala globale per enti privati, agenzie e ben cinquanta governi, una specie di privatizzazione di altissimo livello della raccolta di intelligence. Ha uffici, oltre che a Oxford, a New York, Washington e Parigi, e vanta una rete di 1,400 collaboratori. Promette “actionable intelligence”, informazioni su cui si possa agire, senza ideologie o inclinazioni politiche.

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Dal settembre 2013 al settembre 2014, Giulio ha lavorato alla produzione del “Daily Brief”, una decina di articoli pubblicati ogni giorno sugli eventi principali e mandata a una lista di clienti d’elite. È uno dei prodotti di punta del gruppo, modellato sui briefing che Kissinger preparava per Nixon. Già, perché la storia del fondatore di Oxford Analytica, David Young, passa anche per uno dei capitoli più sinistri della storia USA. Young era, nella Casa Bianca di Nixon, tra i dirigenti dei cosiddetti “idraulici”, il gruppo che doveva “tappare” le fughe di notizie e di cui facevano parte anche G. Gordon Liddy e Howard Hunt, entrambi finiti dietro le sbarre per il Watergate. Dopo lo scandalo, Young lasciò l’America per completare un dottorato di ricerca in relazioni internazionali ad Oxford (leggenda vuole che la sua tesi fosse tenuta sotto chiave perché conteneva informazioni riservate), e nel 1975 fondò la Oxford Analytica. Nel cui board figurano anche John Negroponte, ex direttore della United States Intelligence Community e Sir Colin McColl, ex capo dell’MI6, il servizio segreto inglese. Mashru spiega che i rapporti speciali del gruppo, che tipicamente comportano da uno a sei mesi di lavoro, restano confidenziali. Certamente l’azienda sta tenendo un basso profilo. Ha mandato un messaggio in forma privata alla famiglia di Giulio, e per il resto è «no comment».

Da Cambridge si fa vivo il professore Glen Rangwala, con cui Regeni avrebbe dovuto collaborare per un corso non appena rientrato dall’Egitto. Rangwala smentisce l’ipotesi che dall’Università qualcuno possa aver passato i report del ragazzo agli 007: «Per nessun motivo al mondo gli accademici di Cambridge diffondono le ricerche degli studenti ai servizi segreti».

I suoi ex colleghi e amici stanno tentando un’azione pubblica, con la petizione che chiede al governo britannico di assicurare una “credibile” indagine sulla morte di Giulio La petizione ha raccolto finora circa 4,500 firme, ma ce ne vogliono dieci mila per forzare una risposta del governo. Il quale, per ora tace. “L’indagine è nelle mani delle autorità egiziane”, dicono.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » ven feb 26, 2016 7:55 pm

Fradełansa muxlim - Fratellanza mussulmana
viewtopic.php?f=188&t=2027


Giulio Regeni: un nuovo martire per l'opinione pubblica
Data: 08 febbraio 2016

http://www.informazionecorretta.com/mai ... E.facebook
Cari amici,

condivido la scelta di Informazione Corretta di non entrare nella discussione dei media - che più che discussione vera e propria è stato un coro - sulla vicenda del giovane Regeni, ucciso la settimana scorsa in Egitto, che a causa della sua morte è diventato una star mediatica, tanto da essere chiamato per nome, lui è i suoi genitori, da tutta la stampa, anche quella che normalmente evita queste modalità da gossip. Ma credo che sia anche il caso di chiarire alcune cose che i media evitano di dire.

Abdel Fattah Al Sisi

Faccio una premessa: non conosco gli scritti del giovane ucciso, ma mi sembra di aver capito di essere al polo opposto delle sue idee, che in rete appaiono spesso definite “comuniste” e della sua evidente simpatia politica per il mondo arabo e l'islamismo (http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 20975.html). Questo non mi impedisce affatto di condannarne l'uccisione e il modo particolarmente barbaro con cui è stata realizzata. E' ovvio che si tratta di un crimine efferato, e che i colpevoli dovrebbero essere scoperti e puniti.
I giornali italiani hanno già fatto il processo per conto loro e hanno deciso che si tratta della polizia del generale Al Sisi e su questo non posso essere d'accordo.
Il caso Arrigoni, quello di Giuliana Sgrena, rapita in Iraq, e di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, catturate in Siria, mostrano abbondantemente che non basta sentirsi “progressisti” e “dunque” dalla parte degli islamisti per sottrarsi alle loro azioni criminali; l'attentato in cui esplose qualche mese fa un aereo russo sul Sinai, fra cento altri episodi del genere, fa vedere anche che costoro non hanno remore a prendersela con gente innocente pur di danneggiare governi e stati che considerano nemici.
Ed è chiaro che questa morte danneggia il governo egiziano, nemico degli islamisti che Regeni frequentava e di cui si fidava, come a suo tempo Arrigoni a Gaza, ben più di un normale attentato.
La logica del “cui prodest” punterebbe dunque ai nemici di Al Sisi più che sul governo egiziano.

Non vi dico queste cose per convincervi di una mia verità. Io naturalmente non so come sia andata, come non lo sapete voi e i giornalisti che sdottoreggiano sugli alleati impresentabili e la dittatura che c'è in Egitto. La differenza è che io vi suggerisco di non andare subito alle conclusioni, perché al momento si sa solo che il giovane italiano è stato ammazzato da sconosciuti. Soprattutto mi sembrerebbe sbagliato trarre da questo oscuro giallo delle conclusioni sulla politica da tenere rispetto all'Egitto. La ragione è presto detta. Nell'intero Medio Oriente esistono oggi tre tipi di stati: quelli completamente falliti, in cui regna la guerra civile e la legge della giungla; le dittature violente più o meno mascherate, in cui fare l'opposizione è pericolosissimo e gli stati normali, democratici, in cui vige la legge. Questi ultimi sono facilissimi da elencare, perché nei 10 mila chilometri che separano il Marocco dal Pakistan ce n'è solo uno, che si chiama Israele. Gli stati falliti sono parecchi, Libia, Yemen, Siria, Iraq, Libano. Le dittature, che talvolta si travestono da democrazie anche tenendo le elezioni (Turchia, Iran) o da monarchie autoritarie ma benevole (Marocco, Giordania) sono tutti gli altri. E in questi posti spesso non ci sono alternative democratiche, nel senso che opposizione e governo concordano su una cosa sola: guai ai vinti, chi comanda ammazza tutti gli altri. Così è in Siria: come si fa a stare per Assad o per lo Stato Islamico? Se bisogna scegliere non è certo per la speranza che uno sia meno repressivo dell'altro.

Sostenitori della Fratellanza Musulmana in Egitto

E così è anche per l'Egitto. Mubarak, dittatore corrotto, fu abbattuto da una rivoluzione che alcuni osservatori molto ideologici si ostinano a chiamare democratica; ma questa fu presto presa in mano dai Fratelli Musulmani, che presero il potere barando alle elezioni, iniziarono subito a distruggere quel tanto di democrazia che si era affermata, e furono poi eliminati da un altro colpo di stato dell'esercito. Credere che l'alternativa al governo di Al Sisi sia la restaurazione del potere della Fratellanza Musulmana è follia, sia perché i fratelli musulmani hanno dimostrato ampiamente il loro carattere violento e oppressivo dovunque si siano insediati (per esempio a Gaza con Hamas, che ne è un ramo), sia perché la loro ideologia è molto simile a quella dell'Isis e di Al Queida, che si differenziano per dettagli tattici e per la volontà di affermazione personale e di gruppo, non certo per il rapporto con la democrazia o la tolleranza. Insomma sia Al Sisi sia la Fratellanza Musulmana sono dittatoriali; il problema è che la Fratellanza è ben più pericolosa per il suo integralismo religioso, per l'odio verso l'Occidente e l'antisemitismo, per la contiguità col terrorismo. Non si tratta del fatto che il primo sia come dicevano una volta gli americani “our son of a bitch”, il nostro figlio di buona donna. Il punto è chi è più pericoloso per il mondo e su questo non vi è il minimo dubbio.

Chi vuole combattere o danneggiare Al Sisi sta in realtà appoggiando la Fratellanza Musulmana, cioè vuole l'islamismo al potere in Egitto, con la conseguenza di stragi di cristiani e della guerra (almeno fredda) con Israele dell'appoggio a Hamas, della saldatura dell'islamismo egiziano con quello libico. Era questa fino a un paio d'anni fa la posizione di Obama, che poi fu costretto a lasciarla cadere per la sua impraticabilità. Prendere oggi a pretesto l'omicidio di Regeni per questa linea è una politica folle e suicida. Che la appoggi il solito coretto degli estremisti, dal Manifesto in giù, non fa meraviglia.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » dom feb 28, 2016 12:20 pm

Chi ha assassinato Giulio Regeni mutilandolo e infierendo in modo crudele sul suo corpo è un criminale che meriterebbe la condanna a morte, pena contemplata in Egitto e che in questo caso sarebbe appropriata. Ma chiunque esso sia stato, l'ha fatto per nuocere agli eccellenti rapporti tra l'Italia e l'Egitto, sul piano energetico, economico, politico, della sicurezza e in prospettiva anche militare.
(Il Giornale, 28 febbraio 2016)
https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 1999959055

Se ieri la Procura di Roma ha chiarito che dall'esame del computer di Regeni e dal resto dell'attività istruttoria, non emergono legami con servizi segreti, non aveva avuto contatti con persone equivoche, che i dati raccolti nell'ambito delle sue ricerche non sono usciti fuori dall'ambito universitario, in aggiunta al fatto che non risultano schedature di Regeni fatte in Egitto, perché mai il governo egiziano avrebbe dovuto assassinarlo? Oltrettutto, se il governo fosse stato il mandante di questo crimine, mai e poi mai avrebbero abbandonato il suo martoriato corpo in una strada pubblica, affinché potesse essere individuato, recuperato e rappresentare oggettivamente un atto d'accusa contro il governo stesso.

All'opposto, il governo di Al Sisi ha tutto l'interesse a salvaguardare, valorizzare e incrementare gli eccellenti rapporti con l'Italia, che è il primo Paese importatore e il terzo Paese esportatore dell'Egitto, con un interscambio che nel 2014 è stato pari a 5.180 miliardi di euro, diventando il più importante mercato italiano in Africa.

Abbiamo un precedente su cui riflettere. Il 31 ottobre 2015 fu un meccanico, cugino di un terrorista dell'Isis, a piazzare la bomba nella stiva dell'aereo russo esploso in volo poco dopo il decollo da Sharm El Sheikh, provocando la morte di 224 persone. Quell'attentato ha nuociuto ai buoni rapporti tra la Russia e l'Egitto e, soprattutto, ha nuovamente paralizzato il turismo, la linfa vitale dell'economia egiziana.

Ebbene è fondato ipotizzare che l'assassinio di Giulio sia stato perpetrato da unprofessionista della tortura, funzionario dei servizi di sicurezza ma colluso con gli estremisti islamici, che ha agito con l'obiettivo deliberato di far ricadere la responsabilità sul regime egiziano.

Il fatto che Giulio si occupasse e intrattenesse rapporti con i sindacati, molti dei quali sono infiltrati dai Fratelli Musulmani, che parlasse l'arabo e si muovesse con disinvoltura in ambienti ostili al governo, ha fornito delle giustificazioni a quanti hanno automaticamente addossato la responsabilità del crimine al governo.

Tra loro figurano tanti sciacalli nostrani, nostalgici della menzogna mediatica della “Primavera araba”, accecati dall'odio nei confronti di Al Sisi al punto da preferirgli i terroristi dei Fratelli Musulmani. Questi sciacalli non saranno mai contenti. Non hanno ancora capito che solo con un regime laico, anche se autoritario, possono dire di tutto e di più contro il regime stesso. Ma qualora si affermasse un regime teocratico, a cui mirava il deposto presidente dei Fratelli Musulmani Morsi, non verrebbe riconosciuto loro alcun diritto, neppure il diritto elementare alla vita.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mar mar 01, 2016 7:34 am

RAPPORTO DALL'EGITTO: REGENI NON E' UN CASO ISOLATO

http://popoffquotidiano.it/2016/02/22/r ... so-isolato

L’omicidio di Giulio Regeni è parte di una sistematica e indiscriminata campagna tesa a chiudere lo spazio pubblico in Egitto. La denuncia delle associazioni egiziane per i diritti umani
Il Consiglio Nazionale Arci ha impegnato tutta l’associazione al massimo impegno per ottenere verità e giustizia per Giulio Regeni e tutte le vittime della repressione in Egitto.
Nell’ambito di questa campagna, è stato prodotto questo report su torture e sparizioni forzate in Egitto, con le richiestealle autorità italiane ed europee.
Il rapporto è scritto sulla base della documentazione raccolta da associazioni egiziane dei diritti umani con le quali l’Arci collabora.

Le impressionanti notizie sulle torture e l’omicidio del ricercatore universitario italiano Giulio Regeni hanno prodotto un’inedita attenzione su alcune delle più grandi violazioni dei diritti commesse in Egitto contro cittadini e cittadine egiziani. Tra i commenti espressi in Egitto sul caso Regeni, uno è particolarmente significativo: “Giulio era come noi, ed è stato ucciso come noi“.
Un altro cittadino europeo, Ibrahim Halawa, che è stato imprigionato in Egitto nell’agosto del 2013 ed è stato vittima di maltrattamenti, ha testimoniato a una organizzazione non governativa per i diritti umani che “alcuni prigionieri erano costretti nudi in una posizione crocifissa nel corridoio della prigione, e altri sono stati sottoposti a scariche di elettricità – venivano usate vasche di acqua per aumentare il dolore”. In una lettera spedita alla sua famiglia ha scritto “Questo è un luogo dove si sperimentano torture…. Le parole non riusciranno mai a rendere giustizia di quello che succede nelle carceri egiziane”.
Autorevoli organizzazioni sociali per i diritti umani hanno confermato innumerevoli casi di detenuti sottoposti a torture, a maltrattamenti e ad abusi sessuali, come descritto da Halava. Ciò avviene per estorcere confessioni e informazioni, ma anche nel contesto di pratiche punitive sistematiche, rivolte non solo contro i prigionieri politici ma anche contro ogni sorta di detenuti.
Secondo un comunicato congiunto di quindici gruppi egiziani per i diritti umani, nel corso del solo novembre 2015 sono stati registrati 49 casi di tortura, inclusi 9 casi di morte durante la detenzione. In una sola stazione di polizia nel distretto Matareva del Cairo i gruppi per i diritti umani hanno documentato 14 casi di morte in conseguenza di tortura negli ultimi due anni, con 8 persone assassinate solo nel 2015. Nel 2015, anche il crimine di sparizione forzata è diventato frequente in modo allarmante. Le organizzazioni per i diritti che documentano questi casi stimano si sia arrivati a una media di circa tre casi al giorno, e sottolineano il coinvolgimento di parecchie forze di sicurezza e dei servizi.
Nonostante questa realtà impressionante, l’Egitto non ha messo in opera nessuna delle raccomandazioni relative alla tortura che ha ricevuto durante la sua Revisione Periodica Universale nel novembre 2014. Queste raccomandazioni sono state presentate da Francia, Slovenia, Svizzera, Danimarca, Spagna, Botswana, Palestina e Gaza. Ancor più preoccupante, l’Egitto ha respinto tutte le raccomandazioni presentate in relazione alle sparizioni forzate. Tali pratiche, così come la quasi totale impunità dei corpi di sicurezza e del Ministero degli Interni, stanno ulteriormente minando la legalità in Egitto, già erosa a un grado mai raggiunto così come descritto dal capo del Comitato Denunce al para-governativo Consiglio Nazionale dei Diritti Umani.
Dal 2011, nessuno dei governi egiziani ha provato seriamente a realizzare riforme del settore della sicurezza o a lottare contro la sua cultura dell’ impunità. Al contrario, negli ultimi due anni, la legittima lotta contro il terrorismo è stata usata come una scusa per rafforzare questa cultura. Il rafforzamento del “prestigio” dello Stato – inteso come la sua capacità di instillare paura- è considerato come la soluzione al terrorismo.
Sfortunatamente, il presidente Sisi non ha dimostrato una volontà politica chiara di voler porre termine a queste pratiche. Nel suo discorso del 3 dicembre alla Accademia di Polizia Egiziana, egli ha negato che le sparizioni forzate e la tortura siano sistematici in Egitto, e ha esplicitamente dichiarato che si tratta solo di casi individuali. Questa dichiarazione differisce grandemente dai dati del report del Dipartimento di Stato Usa sulle pratiche dei diritti umani, il quale ha evidenziato più di 60.000 casi di arresti legati ad attività politica in Egitto nel solo 2013.
Ancora, il presidente Sisi non considera i diritti umani come una priorità: durante un’intervista televisiva il 1 febbraio 2016 egli ha affermato che è difficile e molto delicato conciliare diritti umani e sicurezza. Oggi, mentre non c’è modo di far rendere conto ai responsabili, il flagello della tortura e delle sparizioni forzate sta aumentando l’instabilità perché nutre l’emarginazione, la rabbia e la disperazione fra componenti chiave della società egiziana. Rendendo la propria gioventù vulnerabile ai discorsi radicali e all’estremismo violento, l’Egitto sta diventando un terreno sempre più fertile per il terrorismo, per la crescita della violenza politica e della guerra civile.
La tortura, le sparizioni forzate e l’impunità per questi crimini sono attualmente fra le più gravi minacce alla sicurezza nazionale egiziana – una minaccia che non possiamo ignorare nella odierna situazione regionale. Nelle parole dell’ex prigioniero statunitense Mohamad Soltan, che ha avuto esperienza di abusi fisici durante la sua detenzione in Egitto, “la brutalità e la schiacciante perdita di speranza sta creando una situazione che giova alla narrativa dello Stato islamico, viene usata per reclutare persone e circolare il loro messaggio”.
Il presidente Sisi rifiuta di ammettere che la stabilità e il rispetto dei diritti umani sono sinonimi; il 5 novembre il sindacato egiziano dei medici ha minacciato uno sciopero generale in tutti gli ospedali pubblici per protestare contro l’inazione della Procura sulle sistematiche violazioni dei funzionari di polizia contro il personale medico per ottenere trattamenti preferenziali. E invece, la Procura egiziana ha aperto una inchiesta sulla chiamata allo sciopero dei sindacati egiziani in quanto illegale.
Il destino spaventoso di Giulio Regeni dovrebbe dare la sveglia ai partners europei dell’Egitto. L’Europa, come l’Egitto, si confronta con le minacce di estremismi violenti che vanno combattuti senza violare i diritti dei cittadini; nessuno stato, nessun governo è interamente senza colpa, ma ciò non li condanna al silenzio di fronte alla caduta degli alleati in una spirale di violenza.L’argomento della necessità non è più funzionale a giustificare un supporto acritico all’Egitto.
Nel maggio 2015, il direttore del Cairo Institute Bahey El Din Hassan si è rivolto al Parlamento Europeo sul caso di uno studente egiziano il cui destino è stato simile a quello diGiulio. Il corpo del giovane Islam Atito è stato trovato in una zona desertica alla periferia del Cairo. Il Ministero degli Interni ha dichiarato che Atito avrebbe aperto il fuoco contro le forze di sicurezza e che sarebbe stato ucciso durante un conflitto a fuoco. E invece testimoni hanno collocato Islam nella sua Università pochi giorni prima che il suo corpo fosse ritrovato, quando fu scortato da un funzionario scolastico e da agenti di sicurezza fuori dal campus, e mai più rivisto. In risposta alla dichiarazione di Hassan davanti al Parlamento Europeo, il Cairo Institute è stato posto sotto inchiesta da un giudice.
Atito avrebbe potuto essere l’ultima vittima di crimini tanto orrendi, se il presidente egiziano fosse stato pubblicamente avvertito che gli alleati dell’Egitto non avrebbero più tollerato sparizioni forzate e torture, e se la Procura avesse aperto una inchiesta imparziale sul suo caso. Sfortunatamente ciò non è stata considerata una priorità e dozzine di altre persone, incluso Giulio, hanno condiviso il suo destino. Nello stesso mese, un’altra autorevole organizzazione per i diritti umani ha lavorato a un progetto di legge per definire la tortura in accordo con gli standard internazionali. Il leader di questa organizzazione e i giudici che egli aveva invitato a un simposio per discutere il progetto di legge sono stati tutti posti sotto inchiesta e i giudici sono stati sospesi.
Le associazioni egiziane chiedono urgentemente ai leader europeidi sottoporre queste richieste alle autorità egiziane:
– un cambio immediato della politica su tortura e sparizioni forzate: la gravità e l’ampiezza della crisi attuale dovrebbe essere pubblicamente riconosciuta, la supervisione e l’assunzione di responsabilità di tutte le forze di polizia e di sicurezza dovrebbe essere annunciata come urgente priorità.
– di invitare il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla Tortura e il Gruppo di Lavoro sulle sparizioni forzate a visitare immediatamente l’Egitto.
– di concedere alle organizzazioni per i diritti, egiziane e internazionali, il pieno accesso a tutti i luoghi di detenzione e a poter visitare tutti i prigionieri in essi trattenuti. Consentire al Consiglio Nazionale per i diritti umani di compiere visite non annunciate in tutti questi luoghi, per assicurarsi che siano consoni alle norme, alla legge e alle garanzie costituzionali.
– di investigare senza ritardi sulle denunce delle famiglie delle vittime di sparizioni forzate, e comunicare i risultati in modo ufficiale alle famiglie e ai collegi legali. Condurre investigazioni serie e trasparenti su tutte le denunce di torture da parte della polizia e delle forze di sicurezza; chiamare i colpevoli alle loro responsabilità senza eccezioni.
– di perseguire tutti i funzionari egiziani di polizia direttamente coinvolti in pratiche criminali relative a pratiche di tortura e sparizioni forzate.
– di inserire il crimine di sparizione forzata nella legge egiziana, e non renderlo soggetto a nessuna prescrizione. Ratificare la Convenzione per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate e il Protocollo opzionale della Convenzione contro la Tortura.
– sulla tortura, di fare i necessari emendamenti al Codice Penale e al Codice di procedura penale in modo che essi corrispondano all’articolo 52 della Costituzione, che proibisce la tortura in tutte le forme e tipi.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mer mar 02, 2016 7:55 am

Vittorio Arrigoni copà parké coki o gay, forse el gheva vesto calke bruta storia gay co i pałestinexi

L'esecuzione di Mahmoud Ishtiwi spacca Hamas e divide Gaza
martedì 1 marzo 2016

http://ilborghesino.blogspot.it/2016/03 ... a.html?m=1

Sta facendo scalpore l'assassinio di Mahmoud Ishtiwi, esponente di spicco delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas; l'organizzazione terroristica che governa la Striscia di Gaza.
Ishtiwi, 34 anni, proveniva da una famiglia nota nell'enclave palestinese per aver concesso ospitalità a pericolosi terroristi, ed era a capo di una milizia di mille uomini durante la guerra di Gaza del 2014. Ma ciò non gli ha risparmiato la vita: è stato ucciso, dai suoi stessi compagni, lo scorso mese.
Freddato con tre colpi di arma da fuoco al petto.
Cosa ha commesso di così oltraggioso Ishtiwi? turpitudine morale, è la versione ufficiale.
Insomma, Ishtiwi aveva la colpa grave di essere omosessuale. Un orientamento che nella Striscia di Gaza si paga caro: come ha appreso sulla sua pelle il nostro povero Vittorio Arrigoni; sequestrato, torturato e ucciso a Gaza da terroristi palestinesi salafiti.
Non che le esecuzioni di Hamas facciano notizia. Basta ben poco, da queste parti, talvolta anche un semplice sospetto; per essere passato per le armi. La novità è costituita dal fatto che se ne parli pubblicamente, in questi giorni, malgrado l'esecuzione sia stata annunciata lo scorso 7 febbraio. Nei taxi, nei caffè, nei ristoranti, nei centri commerciali, si discute sommessamente della condanna a morte impartita ad un soggetto che per quasi metà della sua esistenza ha servito a suo modo con lealtà e abnegazione la causa dell'estremismo islamico palestinese.
I guai per Ishtiwi sono iniziati a gennaio dello scorso anno quando fu convocato dai servizi segreti di Hamas, che ufficialmente gli rinfacciavano di aver trafugato denaro per usi personali. Una accusa grottesca, in una enclave dove la corruzione dilaga nei ranghi del movimento. Le prime ammissioni costarono dolorose e ripetute torture all'ufficiale di al-Qassam. Ma fu proprio la celerità con cui Ishtiwi ammise le proprie colpe ad insospettire gli inquirenti di Hamas.
Miliziani interrogati in seguito ammisero di aver avuto rapporti omosessuali con Ishtiwi. Il denaro sarebbe stato impiegato per incoraggiarne i favori, e in seguito per comprarne il silenzio.
L'esecuzione di Mahmoud Ishtiwi crea però una netta spaccatura in seno ad Hamas - che registra negli ultimi giorni significative defezioni nella base, e che maldigerisce i finanziamenti provenienti dall'Iran sciita - e genera imbarazzo fra le numerose organizzazioni per i diritti umani del luogo: sempre pronte ad accusare Israele, sovente sulla base di resoconti anonimi, parziali e di dubbia credibilità; ma leste nel voltarsi dall'altro lato quando a calpestare i diritti umani sono gli stessi palestinesi. Fosse pure ai danni di uno di essi.
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Re: Falbi çitadini del mondo: V. Arrigoni, G. Regeni e altri

Messaggioda Berto » mer mar 02, 2016 7:59 am

Sto kì el saria on promodor de ła çitadenansa mondial:

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... dola-1.jpg


Tutta l'incoerenza di Vendola, ora lasci la politica
29/02/2016
Marco Plutino
http://www.huffingtonpost.it/marco-plut ... mg00000001
L'improntitudine di Vendola non ha eguali. Accede alla pratica della maternità surrogata, in Italia vietatissima.
Ha trascorso una vita a vedere nella globalizzazione e nei suoi privilegiati gli autentici nemici del popolo (che peraltro mai l'ha voluto prendere seriamente in considerazione al momento del voto) e da privilegiato si rivolge ai sentieri tortuosi della globalizzazione per soddisfare il suo interesse ad avere un figlio. Neanche adottare un figlio. Per far nascere un figlio, programmato per soddisfare la sua voglia di paternità.

Lasciamo da parte i profili, spesso spinosi, della maternità surrogata, anche laddove legale. Il punto oggi è un altro. Parliamo di quel che fa Vendola. Nei giorni scorsi, mentre in Italia si discute giorno e notte la legge sulle unioni civili e si ragiona su un compromesso che riconosca l'adozione del figlio del partner a condizione di un giro di vite più significativo ed effettivo (laddove ora, come si vede, di effettivo non v'è nulla) nei confronti proprio delle pratiche della maternità surrogata, lui ricorre alla pratica della maternità surrogata. Ha il coraggio di dire che la madre naturale del bambino sarà parte di un'unica grande famiglia insieme alla coppia omosessuale e al loro neo-figlio. Altra affermazione vezzosa e da super-privilegiato. Che esempio dà un politico che si comporta così, accedendo a una pratica vietata in Italia, frutto di una elusione costosa e complicata che è preclusa ai più? Quale credibilità ha? Quali danni di immagine produce al mondo gay e alla classe politica?

Il minimo che può fare Vendola è giustificare la sua scelta come una scelta privata cogente e irrinunciabile e lasciare contestualmente, per sempre, la politica. Con il suo comportamento Vendola ha purtroppo legittimato i peggiori sospetti che aleggiano sul dibattito sulle unioni civili e, domani, sulla revisione della legge sulle adozioni. Lo poteva fare chiunque, e sarebbe stato discutibile. Lo fa un leader politico ed è devastante.
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