Ensemenii contro el Nadal, el prexepio, el croxefegà

Re: Ensemenii contro el Nadal, el prexepio, el croxefegà

Messaggioda Berto » ven mar 08, 2019 9:33 pm

Grecia, arrestati per aver eretto un croce: "Offende i migranti"
Lorenzo Vita
8 marzo 2019

http://www.occhidellaguerra.it/grecia-a ... e-migranti

Innalzare una croce può essere causa di arresto. Accade anche questo in Grecia, e precisamente a Lesbo, isola ormai nota più per essere diventata la terra di approdo di migliaia di migranti che per essere una delle culle della civiltà occidentale.

La “guerra della croce” per la piccola isola dell’Egeo va avanti da mesi. Ma adesso ha raggiunto livelli di guardia ed è il segnale che qualcosa sta davvero cambiando nella mentalità delle autorità greche, che da tempo sta cercando di modificare la cultura del Paese per spostarla verso una sorta di “ateismo” di Stato. Una miscela molto particolare costruita in base alle leggi, ma che nasconde una realtà ben diversa, che è soprattutto il simbolo del politicamente corretto imperante in questi anni nel Paese, ma in generale in Europa.

L’episodio di pochi giorni fa è particolarmente interessante per il modus operandi delle autorità greche. Perché dimostra esattamente come possa cambiare anche il semplice modo di rapportarsi con la cultura locale. E come l’arrivo dei profughi stia cambiando anche l’approccio culturale nei confronti di episodi che fino a pochissimi anni fa sembravano del tutto impossibili da condannare. Come appunto la semplice costruzione di una croce.

La polizia di Mitilene ha infatti deciso di arrestare 33 persone sospettate di aver costruito una croce di metallo. L’hanno prima costruita nel cantiere navale dell’isola, utilizzando i vecchi alberi di barche non più utilizzate. Poi, nottetempo, si sono recati ad Apelli, non lontano dal porto, e vi hanno eretto la croce conficcandola nella roccia, fissata con semplici bulloni vicino una bandiera greca dipinta.

In poche ore è accaduto di tutto. Prima alcuni hanno voluto rimuovere il simbolo cristiano. Poi è arrivata la polizia locale che ha deciso di arrestare il gruppo di persone sospetto per “occupazione abusiva di suolo pubblico”, in un terreno in cui, nelle vicinanze, vi sono dei resti di epoca classica.

Ma è davvero questo il motivo dietro la decisione delle autorità pubbliche? Difficile da credere. Perché la battaglia su una semplice croce da erigere a Lesbo è da tempo una questione politica più che legale. Sono molti i greci che ritengono che questa decisione possa essere vista come una sfida nei confronti dei migranti di altre fedi che arrivano nell’isola. Tanto che uno degli arrestati ha dichiarato: “Sembra che abbiamo disturbato molte persone, ma l’accusa è ridicola. Se abbattono la croce, la innalzeremo ancora. Devono capire che questa è la nostra terra, questa è la nostra religione e questo è il suo simbolo”.

È molto probabile che questo gruppo di persone sia lo stesso che a ottobre ha eretto una croce colpita dalla furia dei benpensanti, che credono che il simbolo cristiano possa rappresentare un’offesa nei confronti di chi arriva nell’isola clandestinamente. La ong locale che si occupa di migranti, “Coesistenza e comunicazione nell’Egeo” aveva chiesto da subito la rimozione della croce. Simbolo che poi è stato abbattuto da persone che, casualmente, non sono mai state identificate.

La modalità di distruzione della croce, in quel caso, ha colpito profondamente la popolazione locale. Come riportato da Greek City Times, un residente locale ha manifestato il suo sdegno dicendo: “Questo è un atto di odio, chiunque abbia fatto questo ha usato un oggetto pesante per abbatterlo deliberatamente”. Una furia che evidentemente nulla ha a che vedere con l’occupazione di suolo pubblico paventata dalla polizia locale . Quella in corso è una vera e propria guerra culturale.
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Re: Ensemenii contro el Nadal, el prexepio, el croxefegà

Messaggioda Berto » lun dic 09, 2019 8:18 pm

La gioia del presepe tornante
8 dicembre 2019
Marcello Veneziani

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... -tornante/

Il giorno dell’Immacolata, a casa mia, facevamo il presepe. Era un rito domestico di edilizia sacra che da bambino mi dava gioia. Riprendevano vita dopo un anno di latenza i personaggi, il bue, l’asino, le pecore e le oche, la grotta e la stella cometa. Si rianimava di luce la casa, gremita di angeli, pastori, sacra famiglia, montagne di cartapesta, fiocchi d’ovatta a mo’ di neve, ciuffi di muschio, specchietti rubati alla vanità femminile per fungere da laghetti. Era un work in progress, il presepe. All’inizio non era visibile il Bambino nella culla e i Re Magi erano fuori inquadratura, lontani dalla meta. Due venivano col cammello, uno era a piedi ma con un cappotto di cammello. Gesù sarebbe planato nella culla la notte di Natale, previo processione domestica. E i Re Magi sarebbero arrivati alla grotta solo alla Befana seguendo il navigatore stellare, il giorno prima che il presepe fosse smantellato.

Gli angeli appesi sulla grotta con un fil di ferro pendevano serafici e minacciosi, a volte cadevano dalla precaria sospensione facendo strage di pastori e papere. Era un piccolo incanto, e mi piaceva essere assunto da mia madre, direttrice dei lavori, come operaio del presepe. Riprendevano le loro postazioni i personaggi, di ognuno di loro sapevo la storia che mia madre si era inventata (utile ripasso fu da adulto quando mia madre raccontò le loro storie pure ai miei figli). Alcuni erano pellegrini, altri vendevano latte, merci e perfino cocomeri e a me sembrava strano che a Natale, con la neve sui monti, ci fosse pure quel frutto estivo. Ma tutto era miracoloso nel presepe, estate e inverno, oriente e occidente, vistosi anacronismi nei vestiti convivevano nel prodigio. Dava euforia il presepe, più dell’albero; con le sue luminarie intermittenti e le sue palle sgargianti mi ricordava più l’Upim o le vetrine che la nascita di Gesù.

Un anno però io tradì il presepe. Era l’8 dicembre, potevo avere dodici anni. A un tratto il telefono nero, appeso al muro, squillò per me. Ricevetti la prima telefonata di una ragazza. Era Maria Vittoria, andava nella sezione femminile, perché in quel tempo “sessista” le femmine erano in classi separate dai maschi. Mi chiese cosa stessi facendo e mi prese in giro quando candidamente confessai che stavo facendo il presepe. Mi disse perché non esci anziché fare il babbonatale. Snidato nella mia infanzia, abbandonai il lavoro sacro a metà dell’opera, e andai in piazza dove di solito ci sfioravamo col gruppo delle ragazzine. Ma lei non venne, forse perché pure a lei toccava fare il presepe. Tornai sconfitto come un disertore e un peccatore. Persi allora l’innocenza presepista, fu l’iniziazione alla pubertà.

Ma la passione del presepe restò anche da adulto e da genitore, nella nuova casa. Era però un presepe di pura rappresentanza, una sede distaccata. Il presepe vero, originale, si faceva sempre a casa dei miei, e così è stato fino a che mia madre visse; e anche oltre, con mia sorella. Tuttora facciamo nascere là il Bambino, previo processione in casa, non senza qualche ironia, con nipoti novizi che rimpiazzano i nonni; ma quel rito, oltre il miracolo di quella Nascita, evoca il ricordo degli assenti che in quei momenti sentiamo presenti. Col presepe tornano anche loro. In processione, il più piccolo porta il Bambinello. Quest’anno però i più piccoli sono gemelli e per evitare lotte fratricide si è pensato di riattivare anche un Bambinello di riserva. Ma avere un Gesù doppio dopo un Papa doppio, un Bambinello bis come il Conte bis, mi pare troppo.

Destò qualche raccapriccio anni fa la confessione di Umberto Eco: da ragazzo faceva la Madonna nel presepe vivente del suo paese. Spero che non avesse già la barba all’epoca della Santa Vergine. Ma non lo faceva per devozione o spirito natalizio, ammise; solo per vanità e privilegio, per stare al centro dell’attenzione e dietro le quinte del presepe. A questo punto meglio i presepi senza attori, così non si montano la testa.

Il presepe ha subito negli anni un paio di assalti. Il primo fu quando fu trasformato in una specie di congresso dell’ONU, in cui il messaggio non era più la nascita di Gesù, la santa maternità, la famiglia ma la società multirazziale fusa; pace pace, no al razzismo, accoglienza global, amnesty international. Anche gli angeli apparivano un incrocio tra i caschi blu e il gay pride.

Il secondo è invece ancora più radicale e mira ad abolire il presepe perché, dicono, offende chi è di altra religione. C’è sempre un insegnante idiota che propone ogni Natale di cancellare il presepe. Continuo a non capire cosa ci sia di offensivo in un presepe, quale nazionalismo e integralismo susciti, e perché non ci ha mai chiesto di abolirlo nessun islamico o buddista, anzi piace un sacco ai bambini di altre religioni e ai figli d’atei. Il presepe è un momento tenero che evoca una nascita, un dono, una comunità che si raccoglie intorno a una famiglia. Anche a non dare un significato religioso o confessionale è un evento lieto e armonioso intorno a una natività. Lo dice pure il Papa, anche nel nome del suo inventore, san Francesco.

Ho scritto più volte sul presepe (l’ultima volta in Ritorno a sud) considerandolo un caldo momento affettivo e comunitario, a casa come a scuola. Avrò lampi natalizi d’imbecillità ma quel rito ancora m’illumina d’incanto. Quel buio punteggiato dalle candele, quel calpestio domestico di nonni, padri, figli e nipoti in corteo come in un albero genealogico dal vivo, quelle voci stonate e vere, quelle stanze di sempre visitate con la luce tremula delle candele, quella famiglia intera che interrompe la vita consueta per seguire con dolcissima demenza un Bambino e cantare insieme Tu scendi dalle stelle, quegli auguri veri davanti alla grotta di sempre. La poesia semplice delle gioie durevoli che ti riconciliano col mondo, a partire dai tuoi cari.
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