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Karima Moualhttps://www.facebook.com/karima.moual.3 ... 1401668393Ero Straniera,
ma nel 2003 ho acquisito la cittadinanza italiana secondo il percorso della nostra legge, che prevede 10 anni di residenza ininterrotta nel paese, ed altri requisiti quasi tutti legati alla questione economica: reddito dei genitori, la loro condizione abitativa, il loro 740 annuale...
Io comunque ce l'ho fatta nonostante fossi la più piccola della famiglia.
Ricordo ancora quando ne parlai con mio padre. Avevo 17 anni. In Italia da 8. Sembravo un extraterrestre che parlava di qualcosa di sconosciuto. Perché volevo la cittadinanza italiana? Non ne avevo già una, quella marocchina?
I miei genitori nel 2000 erano già qui da più di 20 anni ma senza mai aver pensato di richiedere la cittadinanza. Loro però erano un'altra generazione. Sapevano di essere stranieri, si sottomettevano a questa condizione e forse ancor di più: i loro progetti futuri erano nel paese d'origine.
L'Italia per loro, in quegli anni, era un paese che amavano ma rimaneva comunque un paese di passaggio. Loro erano dei veri Migranti. Avevano scelto di lasciare con fatica il loro paese perché volevano migliorare le loro condizioni di vita. Avevano sofferto nel fare questa scelta piena di sacrifici, ma il loro sogno era comunque il Ritorno.
Io però ero arrivata a 9 anni in Italia, e non avevo fatto nessuna scelta. Avevo fatto solo un bel viaggio, e per la mia età ero entusiasta della nuova avventura.
Quando discutevo con mio padre della mia volontà di diventare cittadina italiana già mi sentivo parte attiva di questa società e a quell'epoca non avevo nessun progetto futuro nel mio paese di origine ma obiettivi da portare avanti nel mio nuovo paese di adozione.
Si, io ero un'altra generazione rispetto a quella dei miei genitori. Io non mi volevo sentire straniera e non ero emigrata per mia scelta.
Conclusi i 10 anni di residenza andai all'ufficio preposto per chiedere tutto ciò che era necessario per l'acquisizione.
Dunque raccolsi tutta la documentazione nel giro di un anno. E però, in quell'anno l'attività commerciale di mio padre non brillava per reddito e rischiavo il diniego.
La capo ufficio di allora, donna molto sensibile, mi consigliò di portare avanti nel dossier il reddito di mia madre che era più alto. Ebbe ragione, ed io , con grande stupore di tutta la mia famiglia, diventai cittadina italiana nel 2002.
La più piccola della famiglia era italiana. Wow, quante risate, nessuno ci credeva. Inutile dirvi che questa mia iniziativa coinvolse tutta la mia famiglia, perché poi diventare italiana in effetti abbatteva molti ostacoli rispetto alla condizione di straniero.
E allora, prima mia madre. Italiana. Poi mio padre ( con grande sofferenza) il più anziano in Italia (dal '79) che dovette ricevere un primo rifiuto, per reddito, e aspettare 6 anni prima di acquisirla. Poi la sorella più grande e infine il fratello, poi le zie e gli zii. Tutti oggi italiani.
Ma mica facile per loro.
Mio fratello, il più grande, in Italia dall'86, prima ancora di me e mia sorella, si sentiva talmente italiano che mai pensò di chiedere la cittadinanza finché un giorno glielo ricordò la scadenza del permesso di soggiorno e un occupazione che non riusciva più a trovare per la crisi economica che si era abbattuto con violenza nel 2007.
Mi chiamò incredulo: "Karima non sai cosa mi è successo oggi in questura: non vogliono più rinnovarmi il permesso di soggiorno perché ho perso il lavoro. Io che sono qui da 20 anni Karima. Che non ho fatto altro che lavorare, oggi che sono in un periodo buio c'è il rischio che mi rimandano in Marocco..."
Fortuna che poi si rialzò, chiese la carta soggiorno e poi fece la fila per la cittadinanza. È riuscito ad averla dopo 30 anni in Italia.
Condivido un po' del personale perché serva a riflettere.
In questi anni, oltre alle storie personali ne ho raccolte, come giornalista, molte altre sulla questione cittadinanza. Storie davvero assurde. Di chi per un errore all' anagrafe, per reddito dei genitori basso, per un lavoro perso, si è trovato ultimo nella fila per l'acquisizione di un diritto.
Due storie in particolare, hanno segnato la drammaticità di questa legge, che raccontai 6 anni fa sul Sole24Ore. La storia di Dounia e Loretta. Due ragazze nate in Italia ma per errori e mancanze hanno rischiato di perdere anche il loro permesso di soggiorno rischiando di essere rimpatriate in paesi che mai hanno visitato.
Fortuna che le loro storie che avevo raccontato ebbero grande visibilità anche in TV creando grande dibattito. Bastò il racconto per sensibilizzare il Viminale al rilascio della loro la cittadinanza.
Perché loro erano cittadine e non straniere. Ricordo ancora la loro felicità e i loro ringraziamenti. Ma io avevo solo raccontato la loro storia. Il lieto fine era a loro dovuto.
È da quando faccio questo lavoro che mi occupo del diritto di cittadinanza, incontrando le storie più assurde e provando a raccontarle.
Nel 2017, posso dirvi che sono davvero stufa ed esausta. Non ho più voglia di raccontare nuovi cittadini italiani quando sono lì che vivono e respirano con noi. Li ho visti crescere e sono cresciuta anche io per dirmi che è davvero ridicolo raccontarli come altro quando sono Noi.
Quanto diavolo di storie e ritratti dobbiamo raccontare e scrivere ancora perché ci si svegli a riconoscere una risorsa e un diritto?
È vergognoso tenere in ostaggio di una legge anacronistica migliaia di ragazzi, pienamente cittadini e inseriti nella nostra quotidianità. È politicamente miope arroccarsi nella paura del futuro che i figli dei migranti rappresentano per tutti noi.
Io non mi sentivo della generazione di mio padre 25 anni fa. Io ero già una generazione differente con una visione diversa, e pensare che ero arrivata ad appena 9 anni in Italia.
Pensare che i figli degli immigrati, nati in Italia, classe 2000, debbano fare la fila alla questura per un permesso di soggiorno insieme a chi arriva l'altro ieri, mi provoca rabbia e imbarazzo, per una politica che non sa fare politica.
Io ero straniera, da 26 anni sono italiana ma non dimentico e non posso fare a meno di sostenere chi vuole accedere a questo diritto nella piena consapevolezza, legalità e cittadinanza. Al passo con i tempi i cambiamenti e la nostra realtà.
Karima Moual
Devo a Sherif di avermi fatto scoprire questo articolo, una lunga ed accorata riflessione di una brava giornalista italomarocchina, Karima Moual, sulla questione del progetto di legge in discussione sul c.d. jus soli: una riflessione che (mi) colpisce e (mi) induce ad ulteriori riflessioni sull'argomento.https://www.facebook.com/ClaudioCrisote ... 1357136979Personalmente non sono mai riuscito a conprendere quelli che per comodità indico come opposti estremismi: da un lato chi afferma che senza tale legge l'Italia sprofonderebbe in una sorta di cupo medioevo razzista, dall'altro chi sostiene che qualora venisse infine approvata tale legge segnerebbe la fine della plurimillenaria identità italiana.
Ho la netta impressione che vi sia una sorta di parallela e reciproca corsa ad usare toni sempre piu' alti, forti, sdegnati, barricaderi, finendo cosi per dimenticare il tema oggetto di confronto.
I numeri ufficiali ci dicono che l'Italia e', tra i paesi UE, uno tra i più generosi in assoluto nel riconoscimento dei propri nuovi cittadini: sono circa 200.000 ogni anno (nei primi anni '90 erano invece circa 2.000).
Parrebbe insomma non esservi bisogno alcuno di questa legge sul c.d. jus soli, ma ne siamo assolutamente certi?
Di tutti questi casi richiamati da Karima quanti sono causati da una legge presuntamente vecchia e superata, e quanti invece solo da una diffusa ignoranza - nel senso proprio tecnico di non conoscenza - della legge tuttora vigente sulla cittadinanza?
Mesi fa una brava signora romena cui avevo dato una mano con le relative pratiche si e' vista finalmente riconoscere la cittadinanza, e dunque mastico un poco la materia: ed a mio modesto avviso la vigente legge e' abbastanza severa ma fondamentalmente giusta, perche' fa dello status di cittadino non un diritto gia' acquisito ma un obiettivo - ed insieme anche un premio - da raggiungere con il tempo e gli sforzi.
Il testo in discussione mi lascia nel merito perplesso, credo potesse essere piu' stringente e quindi rassicurare maggiormente quella parte forse maggioritaria della opinione pubblica ancora legittimamente scettica: ma non si puo' far proprio nulla per venire comunque almeno un poco incontro a queste persone?
Piu' che il c.d. jus soli non si potrebbe lavorare meglio sullo jus culturae, rendendo ad esempio chi divenisse maggiorenne con un ciclo scolastico completo gia' terminato titolare a richiedere la cittadinanza (ottenendola magari senza i consueti tempi biblici della famigerata burocrazia italiana...)?
Io direi quantomeno pensiamoci.
E magari confrontiamoci pure, liberamente e civilmente.