Comounisti, nasicomounisti e de torno

Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » lun ott 10, 2016 9:19 pm

Il caso Kielce e non solo. La Shoah oltre la Shoah
Il pogrom del 1946 nella città polacca e la commemorazione di Babi Yar in Ucraina
di Daniel Mosseri | 02 Ottobre 2016

http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/10/0 ... e_c931.htm

Berlino. Settantacinque anni fa a Babi Yar, in Ucraina, nazisti tedeschi e collaborazionisti locali massacravano alcune decine di migliaia di ebrei: gli storici non hanno ancora stabilito se i civili uccisi furono 33 mila o anche tre volte tanto, come indicano alcuni ricercatori. Quella compiuta alle porte di Kiev nel settembre del 1941 resta una delle peggiori carneficine della storia recente e il segno di come la macchina dello sterminio del popolo ebraico fosse già ben avviata dopo un rodaggio avviato con la Notte dei cristalli il 9 novembre del 1938. L’Ucraina di oggi ricorda con una serie di commemorazioni aperte dal presidente Poroshenko assieme al suo omologo israeliano Rivlin, poi rientrato a Gerusalemme per i funerali di Shimon Peres. Babi Yar è una macchia di sangue indelebile sulla mappa dell’Europa in guerra, eppure la fine del Secondo conflitto mondiale non ha comportato la fine delle violenze contro gli ebrei.

È il caso di Kielce, il 4 luglio del 1946. Quel giorno, nella città della Polonia centromeridionale si consuma il peggiore pogrom del Dopoguerra: l’efferata violenza di civili su altri civili in tempo di pace in virtù di odii antichi e moderni. La guerra è finita da un anno e la Polonia ricomincia appena a respirare. Nelle città ha fatto ritorno qualche sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti e qualche altro sparuto ebreo che era riuscito a scappare a est prima dell’arrivo delle SS. Non è un controesodo ma un rientro alla spicciolata: nel 1939 gli ebrei di Kielce erano 24 mila, un terzo della popolazione; sotto i nazisti la città viene dichiarata Judenrein, libera da ebrei; dai lager torneranno in 200 e, di questi, 42 perderanno la vita nel pogrom scatenato dai loro vicini di casa.

Al loro rientro i sopravvissuti non sono bene accolti: non amati perché ebrei, ora sono anche considerati traditori filosovietici; in prima fila a odiarli ci sono i comunisti polacchi. La miscela esplosiva trova la sua miccia in un’accusa tanto abusata nella storia quanto ancora attuale nel 1946: l’omicidio rituale. Il 1° luglio del 1946 Henryk Blaszczyk, 8 anni, sparisce da Kielce; due giorni dopo torna a casa spiegando di essere riuscito a scappare da una palazzina abitata da ebrei che si accingevano a ucciderlo per impastarne il sangue. Da anziano Blaszczyk confesserà che il suo racconto fu pura messinscena. E tuttavia il ricorso all’accusa del sangue vecchia di mille anni scatena la furia dei suoi concittadini. Miliziani comunisti entrano nella palazzina “del rapimento”, disarmano e fucilano 17 fra gli ebrei presenti. Gli altri, datisi alla fuga, sono linciati dalla folla, sostenuta da un gruppo di minatori provvidenzialmente apparsi a dare man forte. Le forze dell’ordine restano a guardare: a fine giornata si contano 42 ebrei uccisi e 80 feriti. I fatti di Kielce spinsero molti degli ultimi ebrei polacchi a emigrare per sempre.

“Il comportamento della polizia, dell’intelligence e dei comunisti fu scandaloso”, dice al Foglio Jan Rydel, docente di Storia all’Università Jagellonica e promotore di una giornata di studi a Kielce 70 anni dopo. Lo scorso 4 luglio il presidente polacco Andrzej Duda ha inaugurato i lavori ricordando “i cittadini polacchi di origine ebraica scampati per miracolo alla Gehenna dell’Olocausto” e trucidati per mano di altri concittadini. Non si trattò di un caso isolato: “In tutta l’Europa orientale”, riprende Rydel, “la fine della guerra coincise con rinnovate violenze antiebraiche”, ma il pogrom del 4 luglio spicca per truculenza. Lo storico tenta di spiegare le ragioni dell’odio attraverso la dura situazione dell’epoca, fra miseria e delinquenza diffuse in una popolazione abbrutita dalla guerra: “Al loro ritorno i pochi ebrei sopravvissuti reclamarono le proprietà che i nazisti non avevano depredato”, come i beni immobili distribuiti fra la popolazione polacca, “suscitando odio anziché solidarietà”.

Jan Rydel (immagine di Youtube)

Alla violenza seguì la menzogna. La macchina della propaganda si attivò per imputare la strage alle milizie nazionaliste malate di antisemitismo, “per una volta invece estranee al pogrom”. Il regime comunista polacco fece cadere i fatti di Kielce nel silenzio, rotto dagli storici solo dopo l’avvento di Solidarnosc. Oggi il clima è cambiato, assicura Rydel: la popolazione cittadina ha partecipato al ricordo e il presidente Duda, la cui moglie è di origine ebraica, “è molto impegnato su questo tema”. La Polonia di oggi non è un paese più antisemita degli altri, sottolinea l’accademico polacco citando una ricerca israeliana secondo cui ben il 20 per cento dei tedeschi ha pregiudizi antiebraici. Punti di vista. Due settimane dopo le celebrazioni, la ministra polacca dell’Istruzione Anna Zalewska ha declassato a “opinioni” le responsabilità polacche nel pogrom di Kielce e in quello terribile di Jedwabne del 1941 (340 ebrei furono arsi vivi in un granaio).

C’è stata rimozione collettiva o no?

In un’intervista a Deutschlandradio Kultur, lo storico Jörg Baberowski dell’Università Humboldt di Berlino punta il dito contro la “rimozione collettiva” dell’antisemitismo in Polonia. Chiesa cattolica e Partito comunista “si sono sempre presentati come i veri oppositori del nazismo, per cui solo i tedeschi sarebbero responsabili dello sterminio”. Un discorso tanto più vero per i comunisti, “che nell’antinazismo trovavano la loro principale fonte di legittimazione. Secondo Baberowski, “i vecchi continuano a rimuovere, mentre i giovani si disinteressano di avvenimenti così lontani nel tempo”. Lo storico tedesco sposa la tesi del collega americano Jan Gross, secondo cui i polacchi sono stati ben lieti di aiutare i tedeschi nello sterminio. Per Rydel, che ricorda anche “i moltissimi polacchi ‘giusti fra i popoli’”, i rapporti fra polacchi ed ebrei “non possono essere letti solo alla luce dell’Olocausto”.

Al di là delle battaglie storiografiche restano i numeri: “Prima della guerra eravamo più di 3,5 milioni, oggi siamo poco più di 4 mila”, dice al Foglio Artur Hofman, impresario teatrale e presidente delle associazioni sociali e culturali ebraiche di Polonia. Nonostante l’anno scorso a Breslavia una dimostrazione di xenofobi abbia dato fuoco in piazza a un pupazzo raffigurante un ebreo, per Hofman l’antisemitismo non è più un’emergenza in Polonia “e idioti del genere si trovano ovunque nel mondo”. Atti antiebraici potranno ripetersi, “ma la situazione è in continuo miglioramento” osserva, elencando un fiorire di musei, festival, e rassegne teatrali dedicate all’ebraismo polacco con una crescente partecipazione del pubblico. “Da Cracovia a Varsavia, da Breslavia fino a Kalisz l’interesse del pubblico per ‘Il violinista sul tetto’ è sincero”. E questi eventi, conclude, si possono tenere senza massicci spiegamenti di poliziotti, “una cosa impensabile a Londra, Copenaghen o Parigi”. E’ la triste sorte degli ebrei polacchi. Odiati da vivi, rimpianti solo da morti.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » gio ott 13, 2016 8:48 pm

Ecco cosa pensava la Fallaci del "penoso" Dario Fo: "Senza dignità"

La scrittrice fiorentina Oriana Fallaci dedicò alcune righe a Dario Fo e sua moglie: "A parte il disprezzo, intende dire? Una specie di pena. Perché v'era un che di penoso in quei due vecchi"
Giuseppe De Lorenzo - Gio, 13/10/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 18815.html

Anche Oriana Fallaci disse la sua su Dario Fo. Tra i due non correva buon sangue, è evidente: si scambiarono diverse accuse, il primo barricato su posizioni no-global, la seconda sempre controcorrente.

Daro Fo e la moglie attaccarono duramente la scrittrice, in quegli anni calunniata per le sue idee non in linea col pensiero unico della sinistra.

La Fallaci nel 2002 si era schierata contro una manifestazione dei no-global prevista a Firenze, occasione che sarebbe potuta trasformarsi in un secondo G8 di Genova. In un articolo sul Corriere della Sera la scrittrice fiorentina aveva invitato suoi concittadini a protestare pacificamente e ad addobbare a lutto la città. Dal palco della manifestazione Franca Rame, moglie di Fo, definì la Fallaci una "terrorista". La giornalista in tutta risposta scrisse ne "La forza della Ragione" che "fui esposta al pubblico oltraggio. Istigato, questo, da un vecchio giullare della Repubblica di Salò. Cioè da un fascista rosso che prima d'essere fascista rosso era stato fascista nero quindi alleato dei nazisti che nel 1934, a Berlino, bruciavano i libri degli avversari". Un duro affondo che ripercorreva la famosa controversia sull'arruolamento di Dario Fo nella R.S.I..

Le parole della Fallaci su Dario Fo

Non solo. In diverse interviste e numerosi testi Oriana tornò a parlare dei coniugi Fo. Sull'archivio storico di Panorama è possibile recuperarne alcuni passaggi raccolti in un lungo articolo dal titolo "Oriana Fallaci risponde". "Franca Rame - gli fece notare Riccardo Mazzoni - Le ha dato della terrorista". "Già - rispose la Fallaci - Dinanzi alla Basilica di Santa Croce, dal palcoscenico del comizio che ha aperto l'oceanico raduno. Sicché, quando la sua discepola cioè quella delle caricature è andata alla Fortezza da Basso con l'elmetto in testa, molti bravi-ragazzi l'hanno scambiata per me. Si son messi a ulularle "Lercia terrorista, lercia terrorista". Del resto il marito della summenzionata ha detto che a Firenze io volevo i carri armati".

Poi il giornalista domandò: "Mi chiedo che cosa provasse a guardarli". E la Fallaci, dura e diretta, disse: "A parte il disprezzo, intende dire? Una specie di pena. Perché v'era un che di penoso in quei due vecchi che per piacere ai giovani radunati in piazza si sgolavano e si sbracciavano sul palcoscenico montato dinanzi a Santa Croce, quindi dinanzi al porticato che un tempo immetteva al Sacrario dei Caduti Fascisti. In loro non vedevo dignità, ecco. A un certo punto l'amico che con me li guardava alla tv ha sussurrato: 'Ma lo sai che lui militava nella Repubblica di Salò?'. Non lo sapevo, no. Come essere umano non mi ha mai interessato. Come giullare, non m'è mai piaciuto. Come autore l'ho sempre bocciato, e la sua biografia non mi ha mai incuriosito. Così sono rimasta sorpresa, io che parlo sempre di fascisti rossi e di fascisti neri. Io che non mi sorprendo mai di nulla e non batto ciglio se vengo a sapere che prima d'essere un fascista rosso uno è stato un fascista nero, prima d'essere un fascista nero uno è stato un fascista rosso. E mentre lo fissavo sorpresa ho rivisto mio padre che nel 1944 venne torturato proprio da quelli della Repubblica di Salò. M'è calata una nebbia sugli occhi e mi sono chiesta come avrebbe reagito mio padre a vedere sua figlia oltraggiata e calunniata in pubblico da uno che era appartenuto alla Repubblica di Salò. Da un camerata di quelli che lo avevano fracassato di botte, bruciacchiato con le scariche elettriche e le sigarette, reso quasi completamente sdentato. Irriconoscibile. Talmente irriconoscibile che, quando ci fu permesso di vederlo e andammo a visitarlo nel carcere di via Ghibellina, credetti che si trattasse d'uno sconosciuto. Confusa rimasi lì a pensare – chi è quest'uomo, chi è quest'uomo – e lui mormorò tutto avvilito: 'Oriana, non mi saluti nemmeno?'. L'ho rivisto in quelle condizioni, sì e mi son detta: 'Povero babbo. Meno male che non li ascolti, non soffri. Meno male che sei morto'".
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » ven ott 14, 2016 8:57 pm

Fo, il giullare che stava con il re
di Robi Ronza14-10-2016

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-fo- ... -17721.htm

In un mondo in cui la comunicazione di massa punta sempre meno a informare e sempre più a fare spettacolo, la morte di un celebre uomo di teatro come Dario Fo, spentosi ieri a Milano all’età di novant’anni, ha dato inevitabilmente il via a un grande processo istantaneo di santificazione “laica”. Un coro in cui ancora una volta alle voci degli aventi titolo si è aggiunto anche quello del mondo cattolico più subalterno alla cultura dominante.

Dario Fo era un famoso autore e attore di teatro per meriti che è giusto e doveroso riconoscergli. Non c’è però per questo bisogno di ribattezzarlo post mortem facendo di lui il cristiano inconsapevole o involontario che comunque non è mai stato. Non sappiamo beninteso che cosa abbia pensato e voluto alla fine della sua vita terrena, e anche per simpatia per la sua arte speriamo il meglio per lui. Restando però alla memoria e all’opera che lascia su questa terra mancheremmo di rispetto alla sua persona e alla sua libertà se dicessimo che è stato ciò che non fu affatto.

Al di là dei suoi molti ondeggiamenti, l’odio per la Chiesa e per la sua presenza nella storia fu sempre la vera stabile stella polare del suo pensiero e del suo teatro. Anche quando gli faceva gioco indulgere a simpatie per modi e fatti della religiosità popolare, o per singole grandi personalità religiose, non dimenticava mai di ribadire, con gesti e parole da par suo, che ai suoi occhi si trattava comunque di fiori sbocciati nel letame. C’è sempre qualcosa di patetico, ma non per questo di meno irritante, nel costante desiderio di un certo mondo cattolico di scovare dappertutto e a tutti i costi dei cristiani per così dire loro malgrado. Non ne hanno bisogno loro, e non ne abbiamo bisogno nemmeno noi.

Dire, come ahimè è stato detto nientemeno che da Assisi, che la sua era una “voce francescana” fa accapponare la pelle. Forse era in certo modo erede dei “poveri” o “poverelli”, gli eretici contemporanei di san Francesco, ma di lui no di certo. E in più con la differenza che la scelta per la povertà di quegli eretici era reale, mentre quella di Fo, persona cui il grande successo aveva anche dato grande ricchezza, risultava del tutto teorica. D’altra parte nella sua opera l’intreccio fra l’arte, la realtà e l’ideologia è inestricabile.

Senza dimenticare che era sì un giullare come egli stesso con grande snobbbismo rivendicava di essere, ma in effetti, diversamente da quanto pretendeva, un giullare schierato non con il popolo ma con il re. Beninteso non con i re di una volta ma con il re di oggi, ovvero con l’alta borghesia e l’intellighenzija progressiste, le vere “razze padrone” del nostro tempo. Ci riusciva alla perfezione, al punto da trarne come si vede pure grandi frutti postumi. Grande era poi la sua capacità di riraccontarsi fino a far credere vero il passato che s’inventava non solo agli altri ma persino a se stesso. Come antifascista la sua era per così dire una…vocazione tardiva.

Aveva tra l’altro prestato servizio in un reparto di paracadutisti della Repubblica Sociale Italiana per la quale si era schierato. Questo non gli aveva impedito di diventare poi a guerra finita un campione dell’antifascismo, sempre pronto a mettere alla berlina da par suo il vecchio regime e i fascisti ormai sconfitti. Con la protezione dei partiti e della cultura di sinistra che, in cambio di alcune sue indulgenze, impedivano che quel voltafaccia fosse generalmente noto.

Grazie alla sua ben controllata anarchia e al suo tendenziale protestantesimo, riuscì a raccogliere non solo in patria ma anche altrove tutte le simpatie che gli valsero un riconoscimento internazionale tanto prestigioso quanto sorprendente: il Nobel per la letteratura, che al momento parve a molti fuori luogo ma che oggi, alla notizia che Bob Dylan riceverà quest’anno il medesimo premio, appare profetico se non altro dell’ormai mutato carattere di tale prestigioso riconoscimento.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » dom nov 06, 2016 11:15 pm

L’odio della sinistra per Israele nacque all’ombra del Muro di Berlino
Il nuovo formidabile libro di Jeffrey Herf svela le campagne ideologiche e terroristiche che la Ddr orchestrò contro “i sionisti”, scrive il Weekly Standard
di Redazione | 06 Novembre 2016

http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/11/0 ... e_c101.htm

"Il nuovo, profondo, libro dello storico Jeffrey Herf, dimostra come il terrorismo della sinistra tedesca contro Israele non era una tattica, ma piuttosto era parte della strategia di una guerra a lungo termine per distruggere lo stato ebraico”. L’analisi accademica e dei media sullo stato comunista della Germania dell’est ormai defunto, e sui gruppi estremisti della Germania dell’ovest, finora non erano riusciti a capire in profondità la loro guerra continua contro Israele (e si potrebbe dire contro gli Stati Uniti). Adesso arriva lo studio monumentale di Herf: “Undeclared Wars with Israel. East Germany and the West German Far Left, 1967–1989” (Cambridge University Press). Per capire la Ddr si deve conoscere la sua opposizione alla filosofia su cui si basa la fondazione dello stato ebraico, vale a dire, il sionismo.

Herf scrive: “La dittatura della Germania dell’est era un tipo diverso di dittatura rispetto a quella nazista che l’aveva preceduta, ma, sia pure per ragioni diverse, è diventata una seconda dittatura che ha considerato il sionismo come un nemico”. Herf analizza ripetutamente con grande ironia la vuota retorica antifascista della Ddr e dei tedeschi occidentali estremisti. “I leader del regime, molti dei quali avevano combattuto il nazismo, avevano interiorizzato il mortale antisemitismo di Hitler, e questo li ha inesorabilmente spinti a volere la distruzione di Israele. La Ddr ricorda la famosa frase di Bertolt Brecht : ‘Il ventre da cui nacque (quel mostro) è ancora fecondo’”. Herf fornisce la prova esaustiva di forniture militari segrete della Ddr ai nemici di Israele in medio oriente, tra cui il regime di Hafez al Assad in Siria, un partner strategico per la Germania orientale. Prendiamo per esempio il periodo 1970-1974, in cui “la Germania dell’est ha consegnato circa 580 mila armamenti, kalashnikov e mitragliatrici, alle forze armate d’Egitto e Siria, curato la manutenzione e riparazione circa 125 dei loro aerei da combattimento Mig e consegnato milioni di proiettili, molte migliaia di lancia-razzi, granate anticarro e mine, e milioni di cartucce”. Herf ha scavato con grande accuratezza negli archivi tedeschi per ottenere informazioni sul terrorismo di stato della Ddr.

Nella sua analisi sul Generale Heinz Hoffmann, potente Ministro della Difesa della Ddr, si coglie perfettamente l’alleanza di stile stalinista tra la Germania socialista e i dittatori del medio oriente nei primi anni Settanta. Hoffmann aveva parlato ai suoi interlocutori iracheni di “punti in comune della nostra lotta contro l’imperialismo e il sionismo”. Uno dei tanti nuovi contributi di Herf nello scandagliare il terrorismo di stato della Ddr è quella che lui chiama “la definizione eurocentrica del controterrorismo della Germania dell’est”. Un elemento di questa definizione è stata la politica equivoca riguardo alle organizzazioni terroristiche palestinesi. La Ddr aveva fornito armi e addestramento sofisticati ai palestinesi in cambio della loro astensione dal compiere attacchi terroristici in Europa occidentale. “In altre parole, la Ddr in gran parte subappaltava la sua guerra contro gli ebrei agli arabi del medio oriente”.

Tuttavia, i tedeschi dell’est, intenzionalmente o inconsapevolmente, nel 1986 hanno permesso ai libici di distruggere a colpi di bombe La Belle, una discoteca a Berlino ovest, uccidendo tre persone, di cui due soldati americani, e ferendone altre 229, tra cui 79 addetti militari degli Stati Uniti. Sulla base del materiale d’archivio non è possibile stabilire un collegamento concreto tra il gruppo palestinese Settembre Nero, l’uccisione di undici atleti israeliani e il servizio di polizia tedesca alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Tuttavia, quando il muro di Berlino è crollato nel 1989, i funzionari della Stasi e altro personale della Ddr avevano provveduto a distruggere una enorme quantità di documenti. Ulrike Meinhof, la militante di estrema sinistra della Germania occidentale, forse la più famosa terrorista tedesca al tempo del gruppo terrorista Baader Meinhof, era euforica per la strage degli israeliani. Il suo saggio che celebra gli assassini degli atleti israeliani, è stato definito da Herf come “uno dei documenti più importanti della storia dell’antisemitismo in Europa dopo la Shoah”.

La Meinhof aveva definito l’attacco di Settembre Nero “antimperialista, antifascista e internazionalista”. L’attacco di Monaco era diretto contro il “nazifascismo di Israele”. Herf mostra anche acutamente la frattura evidente tra la retorica della Germania ovest e l’azione, scrivendo: “La posizione neutrale della Germania ovest ... fu pari a una scelta di parte a favore degli stati arabi”. Il libro è denso di nuove analisi sulla letale politica estera antisemita della Ddr e sulla mortale socio-psicologia degli estremisti della Germania occidentale. L’ossessione in molti settori delle élite tedesche per lo sterminio degli ebrei durante la Shoah e l’odio per Israele nacque allora. Nacque allora anche la violenza ideologica della sinistra verso il piccolo stato ebraico.

Purtroppo, il libro di Herf non ha scalfito la sinistra tedesca. Il Partito della Sinistra, successore del Partito Socialista Unificato della Ddr, è oggi il più grande partito di opposizione nel Bundestag e continua la tradizione di aggressione nei confronti di Israele. Il Partito Socialdemocratico, partner di coalizione della Cancelliera Angela Merkel, ha formato una “partnership strategica” con l’organizzazione palestinese Fatah che inneggia all’uccisione di israeliani. Questo libro indispensabile va letto e diffuso, introduce una più profonda comprensione della guerra della sinistra contro Israele. Il libro di Herf dovrà per questo trovare al più presto un editore tedesco disposto a tradurlo e pubblicarlo.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » sab nov 12, 2016 7:11 pm

Scalfari insulta i poveri: "Sono come le bestie"
Il fondatore di Repubblica intervenendo a Soul, la trasmissione di Tv2000: "Gli uomini hanno bisogni primari come gli animali. E i poveri, salvo pochissimi, non hanno bisogni secondari"
Giuseppe De Lorenzo - Gio, 18/02/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 26489.html

Diceva Indro Montanelli, che alla sinistra i poveri piacciono talmente tanto da volerli aumentarli di numero.

La massima espressione di questa sinistra, diventata poi salottara e radical chic, è il fondatore di Repubblica: sua eccellenza Eugenio Scalfari. Il quale, però, alla veneranda età di 91 anni ha capito che in realtà i poveri gli fanno anche un po' schifo. Puzzano, come le bestie.

Ci viene da pensare che il pensiero del Direttore fosse indubbiamente più intelligente di quanto non sia sembrato. O forse no. Anzi, sicuramente no. Sentite: intervenendo alla trasmissione Soul in diretta sabato e domenica su Tv2000 (la tv della Chiesa), Barbapapà si infila nel sapiente ragionamento sulle virtù degli uomini e dei poveri. "Gli uomini hanno bisogni primari - dice - come gli animali". E fin qui, nulla da eccepire. Ma Scalfari voleva arrivare altrove. "I poveri - afferma senza un briciolo di vergogna - salvo pochissimi, non hanno bisogni secondari".

Traduzione per noi "poveri" ignoranti: tutti gli uomini hanno istinti animali, i ricchi possono godere anche di quelli secondari (come la ricerca di Dio) mentre i poveri no. Si fermano ai primi. Come le bestie. Penserete: è uno scivolone dovuto all'età. Ma non è così. Infatti di fronte alle obiezioni della conduttrice Monica Mondo ("Il desiderio c'è anche negli ultimi") , Scalfari ha rincarato la dose: "Lei pensa?". Si sarà anche offeso che la Mondo abbia osato ribattere a colui il quale ha continui colloqui con papa Francesco. I poveri, insomma, sono solo "gente che non sente contraddizioni".

Solo alla fine Scalfari fa un piccolo passo indietro, ammettendo che forse un piccolo "bisogno secondario" anche i poveri possono svilupparlo: "I coltivatori delle Americhe erano neri e cantavano e da lì deriva il jazz". Poco, ma è già qualcosa.

Di più non ci si poteva attendere nella "seconda lettera di Eugenio Scalfari ai poveri". Anzi no, solo ai ricchi. Tanto i reietti non leggono mica: è un bisogno secondario.





I vescovi stanno con i poveri ma li preferiscono stranieri
11 Nov 2016
di BENEDETTA BAIOCCHI

http://www.lindipendenzanuova.com/i-ves ... -stranieri

Dove vive la Chiesa? Sta con i poveri? Sì, ma li preferisce stranieri. Cresce la povertà, la disoccupazione, le famiglie rinunciano alla spesa, ma prima di tutto l’accoglienza. ”Bisogna che tutti insieme ci decidiamo a mettere prima il bene comune, dal momento che dobbiamo vivere insieme, anche con gli immigrati che arrivano”, diceVA l’arcivescovo di Milano. Il cardinale avverte che si corre il rischio di subire la strumentalizzazione di una emergenza, “Quando strumentalizziamo un problema reale a degli scopi che non sono quelli del bene comune cadiamo nell’ideologia e non costruiamo”. La diocesi di Milano non è quella che si è proposta di aprire gli oratori alle moschee? Prima l’islam, poi le chiese sono vuote, ma che volete che sia? Gli sbarchi, circa 450mila nell’era Renzi, non sono un problema, ma un obbligo d’accoglienza. La condanna dell’ideologia – quale? – non rischia di sovrapporsi ad un’altra ideologia, quella del solidarismo e dell’integrazionismo a tutti i costi? Il 50% degli studenti stranieri in classe, non è un campanello d’allarme su quello che sta per accadere nelle nostre comunità? Aiutare o annullarsi? Un suicidio sociale, che non corrisponde a dare risposte ai problemi. Ma a crearne altri. Il relativismo si è fatto strada dentro le mura cattoliche da tempo, e dà fiato alla politica che cavalca l’emergenza. Avanti così, cardinale Scola, e i furbetti del voto battezzeranno più consensi del previsto.

Per Scols, gli immigrati “sono una risorsa per la stanca e vecchia Europa”.

“Lottate per la croce. Abbiamo il diritto di esporla dove vogliamo. Nelle scuole, negli uffici, negli ospedali…”. Parole che Alda Merini pronunciò la sera del 13 ottobre 2006, al termine della rappresentazione in un Duomo gremito, del suo “Poema della croce”. Parole profetiche, che riecheggiano nella cattedrale ambrosiana, una volta prudente come il suo Ambrogio. Altri tempi, adesso il bene comune è tutta un’altra musica.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » dom nov 13, 2016 9:07 am

Vauro choc contro sindaco della Lega: "Cascina? Un paesello del c...o"
Il sindaco Ceccardi fa espellere 14 clandestini. Vauro sbrocca: "Mi fa letteralmente schifo". E insulta Cascina: "Paesetto del cazzo"
Sergio Rame - Sab, 12/11/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 30740.html

Nel mirino del vignettista è finito il sindaco di Cascina Susanna Cerccardi. La sua volpa? Essere leghista e aver espulso quattordici clandestini. Vauro non gliel'ha perdonato e a L'Aria che tira ha sbottato: "Quella sindaca mi fa letteralmente schifo". Poi ha attaccato il Comune in provincia di Pisa: "È un paesetto del cazzo" (guarda il video). Un insulto che ora gli costerà pure una querela.

Vauro sta sempre dalla parte degli immigrati. E se qualcuno fa applicare la legge il vignettista perde i lumi della ragione e dà letteralmente di matto. "A volte è anche stancante ripetere sempre le stesse cose - ha tuonato contro la Ceccardi me questa sindaca mi fa letteralmente schifo: sono schifato da quello che ho visto, sono schifato da quello che quella persona ha detto...". Vauro ce l'ha con il sindaco della Lega Nord, che governa a Cascina dopo anni di giunte rosse, perché ha espulso quattro immigrati. "Stiamo parlando di quattordici persone espulse - incalza Vauro in studio a L'Aria che tira - rimaniamo un po' su queste cifre, perché è impressionante, perché sono gli stessi che gridano all'invasione". Quindi l'insulto finale: "Si vanta di aver espulso quattordici persone dal suo paesetto del cazzo" (guarda il video).

La Ceccardi non ha digerito tutti questi insulti. Tanto che dalla sua pagina Facebook ha già minacciato di sporgere querela contro Vauro: "Delle offese a me non interessa nulla, ma questo non è un paesello del cazzo, è un comune di 45.000 abitanti fatto di gente onesta e perbene". Per questo ha già parlato con i suoi avvocati: "Voglio difendere l'onorabilità di Cascina e dei cascinesi".


Pento Alberto
Che persona ignorante, presuntuosa e arrogante! Come la Boldrini. La loro tanfa di violenza, di morte e di totalitarismo si sente anche attraverso la rete; al solo vedere l'immagine di questi mostri, dentro di me insorge sinestesicamente, come un'esplosione orrenda, un tanfo terrificante.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » mer nov 16, 2016 6:53 am

President of university founded by Jefferson asked to not quote Jefferson

http://www.foxnews.com/us/2016/11/14/pr ... erson.html


Claudio Cosmoeleuterio Carpentieri
https://www.facebook.com/ClaudioCrisote ... ED&fref=nf
I limiti del politicamente corretto: lettera aperta firmata da professori e studenti chiede alla rettore dell'Università della Virginia di non citare mai più Thomas Jefferson, fondatore dell'ateneo, perché ebbe degli schiavi.
È appena il caso di ricordare che Jefferson servì i neonati USA da vicepresidente, da segretario di Stato e poi anche da (terzo) presidente, dopo aver redatto la Dichiarazione di Indipendenza ed essere anche stato, poi, ambasciatore a Parigi negli anni immediatamente precedenti lo scoppio della Rivoluzione Francese.
Ebbe degli schiavi, certo: ne ebbero anche Davy Crockett, e più di tutti George Washington, leggendario comandante militare della eroica insurrezione antibritannica ed antimonarchica, primo presidente...e grande proprietario terriero.
Ma ne ebbe anche Voltaire...o meglio: fece bei soldoni con il traffico intercontinentale degli schiavi.
Non sarebbe meglio emendare criticamente la narrazione delle proprie origini, anziché pretendere di riscriverla tutta daccapo con furia iconoclasta?



Alberto Pento
Allora non si dovrebbero più nominare nemmeno gli egiziani, i mesopotamici, gli ebrei, i fenici, i greci, i veneti, gli etruschi, i romani, i celti, i germani, gli inglesi, i francesi, gli arabi, e mille altri popoli, nazioni e stati di tutta la terra in Africa, in Asia, nelle Americhe e in Europa, poiché tutti, nel loro passato, hanno avuto gli schiavi. Anche Maometto ha avuto schiavi oltre ad aver assassinato e terrorizzato per imporsi e imporre la sua idolatria islamica con il suo idolo Allah il quale vorrebbe che l'umanità intera fosse sua schiava.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » gio nov 17, 2016 9:26 pm

MASSIMO D'ALEMA VIVE DI MENZOGNE ANTI ISRAELIANE
| di Micol Anticoli

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 30342300:0

Durante la sua visita nei Territori palestinesi di qualche giorno fa, Massimo D'Alema ha commentato il neopresidente degli Stati Uniti Trump con queste parole:

«I presidenti vanno giudicati all’opera e non sulla base delle dichiarazioni elettorali. Certo è che Trump in campagna elettorale ha detto di essere pronto a riconoscere il diritto di Israele di annettersi Gerusalemme, che sarebbe una ferita non solo per i palestinesi ma per l’intero mondo arabo e direi sarebbe un colpo alla libertà religiosa anche per i cristiani».

Le opinioni politiche sono sacrosante, ognuno ha la sua, ma in questo caso D'Alema ha sparato una serie di inesattezze e di fandonie, che davvero c'è da impegnarsi per dirle tutte in una sola frase. Lui ci è riuscito benissimo:

1. Trump non può aver parlato di "annessione" di Gerusalemme da parte di Israele, perché Gerusalemme è già una città israeliana. Il Presidente degli USA aveva parlato, in campagna elettorale, di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, cosa che di fatto già è, anche se molti Stati al mondo non lo vogliono riconoscere ufficialmente.

2. Non si capisce perché dovrebbe essere "una ferita al mondo arabo", casomai al mondo islamico. In ogni caso, i musulmani sostengono che Gerusalemme sia la TERZA città sacra dell'Islam, anche se nel Corano la città non è citata neanche una volta, a differenza della Bibbia, che pone l'attenzione su Gerusalemme decine di volte. A dimostrazione della poca importanze che gli arabi davano a Gerusalemme prima della fondazione dello Stato ebraico, vi è un dato demografico: a metà del XIX secolo la città contava circa 11.000 abitanti.

3. Che sia un colpo alla libertà religiosa, è una invenzione fantasiosa del politico italiano molto legato all'Islam politico, visto che Gerusalemme è una città aperta a tutte le religioni, in cui ognuno può pregare nei propri luoghi sacri, ed è libera da quando è capitale d'Israele, visto che sotto dominio arabo gli ebrei non potevano neanche recarsi al Kotel (Muro Occidentale) per pregare. I Cristiani d'Israele, è bene ricordarlo, sono i più tutelati e liberi di tutto il Medio Oriente, in quanto nei paesi islamici, le chiese vengono bruciate all'ordine del giorno, i fedeli sono perseguitati e spesso costretti a fuggire o a nascondere la propria fede.

Quindi, se D'Alema avesse voluto parlare di libertà e soprattutto dei diritti dei Cristiani in Medio Oriente, avrebbe dovuto parlare di Iraq, dove i cristiani sono scomparsi da Mosul, decapitati a centinaia; di Siria, dalla quale sono scapati migliaia di fedeli; di Yemen, dove le chiese vengono bruciate come nulla fosse; di Pakistan, dove il Cristianesimo è considerato blasfemia; di Iran, dove vengono condannati a morte per apostasia; di Afghanistan, dove la conversione è ancora punibile con la morte; e anche di Territori palestinesi, dove i Cristiani sono sempre meno perché trattati come cittadini si serie B. Ma si sa, a Massimo D'Alema non interessa davvero tutto ciò, il suo unico e più ambito obiettivo è quello di infangare e distruggere Israele.
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » sab nov 26, 2016 2:44 pm

Restano le idee (purtroppo). L’ultimo comunista
26 novembre 2016 Niram Ferretti

http://www.linformale.eu/restano-le-ide ... -comunista

Se ne è andato. Piange già, probabilmente, il suo addetto stampa qui in Italia, Gianni Minà e insieme a lui il detronizzato reuccio del pensiero debole che fu, Gianni Vattimo. E non saranno solo dei due Gianni castristi le lacrime per la dipartita del Comandante Fidel Castro, ultimo monumento vivente della revolucion dalla quale sarebbe emerso attraverso una diligente opera di palingenesi sociale l’uomo nuovo finalmente affrancato dalle diseguaglianze ingenerate dal capitalismo. Castro è stato per quasi sessanta anni uno dei feticci dell’internazionale di sinistra, una vera e propria divinità, costituente insieme al natural born killer Ernesto Che Guevara e al martire Salvator Allende, la santissima trimurti sudamericana a cui inginocchiarsi con ardore. Naturalmente, Castro è stato l’edificatore del più sanguinario e occhiuto Grande Fratello tropicale nato sotto il sole (dell’avvenire), una realtà che non avrebbe certo meravigliato George Orwell né per questo Arthur Koestler, ma che qui da noi e altrove è sempre stata dipinta come un paradiso di eguaglianza e di magnifico progresso. Spartito vecchio, già suonato con Stalin, Tito e Mao, tutti alfieri buoni, aedi dell’umanità futura disalienata per la quale era necessario pagare un prezzo.

D’altronde, non era forse lo psicopatico argentino di buona famiglia trasformatosi in rivoluzionario a decretare, “La violenza è inevitabile! Per stabilire il socialismo devono scorrere fiumi di sangue! Se i missili nucleari fossero rimasti a Cuba li avremmo lanciati contro il cuore degli Stati Uniti, New York inclusa. La vittoria del socialismo vale bene la morte di milioni di vittime!”?

Le vittime di Castro non sono state milioni, ma decine di migliaia tra ammazzati, imprigionati ed esiliati, anche se qui in Italia non si poteva dire senza suscitare ostracismo e disprezzo. Lo ricorda bene Omero Ciai “In Italia la sinistra ha sempre girato la testa dall’altra parte. Più con il silenzio che con l’appoggio aperto. In nome dell’antiamericanismo hanno sempre perdonato tutto a Fidel Castro. Gli intellettuali e i politici della sinistra hanno sempre saputo bene qual era la situazione dei diritti umani a Cuba ma quando con altri dissidenti andavamo a chiedere una firma di condanna a Fidel Castro ci sbattevano la porta in faccia. Mi ricordo il 1971. Fidel Castro aveva fatto arrestare un poeta, Heberto Padilla, e Luigi Nono scrisse una lettera di protesta che l’Unità si rifiutò di pubblicare”.

Non si poteva certo scalfire l’immagine di chi lavorava indefessamente, giorno e notte, per il bene dell’umanità, innanzitutto del proprio pueblo, finalmente liberato da giogo del corrotto Fulgencio Batista e dagli interessi americani, un po’ come sarebbe accaduto molti anni dopo con un altro liberatore salutato con entusiasmo dall’intellighenzia di sinistra, l’ayatollah Khomeyni, che avrebbe affrancato il suo popolo dallo Scià di Persia e, ancora una volta, dai brutali interessi yankee.

Il silenzio sul Leader Maximo era la cortina di ferro invalicabile per tutti coloro i quali, come Carlos Franqui, cercavano di raccontare la verità, “Cercai di raccontare quello che succedeva a Cuba, di mettere in guardia la sinistra. Di spiegare il settarismo con cui si governava il partito comunista cubano. I processi ai dissidenti, le fucilazioni. Sono trentacinque anni che combatto per far conoscere la mostruosità del sistema castrista. Ma in Italia non mi ascoltava nessuno. All’inizio ero un poveraccio che aveva perso il lavoro al quale bisognava pagare il pranzo. Così tanto per dimostrare un po’ di umana solidarietà. Poi diventavo una zanzara, un fastidio da scacciare”. Ma certamente. L’odio per gli Stati Uniti, il terzomondismo “stracciaculo” e quello salottiero chic della sinistra italiana non potevano permettere di scalfire l’immagine di chi, nella loro immaginazione, lottava per opporsi al Male occidentale. Se a Cuba l’economia non fioriva non era certo colpa delle magnifiche ricette stataliste di Castro ma dell’embargo ameriKano, così come oggi, per fare un balzo in Medioriente, è Israele il responsabile del conflitto arabo-israeliano e i palestinesi non sono altro che le vittime. La fabula per gonzi è sempre la medesima. Rivisitato canovaccio brechtiano in cui da una parte ci sono gli “oppressori” bianchi e occidentali e dall’altra le “vittime” (non più i proletari ma i puebli colonizzati, i “neri”) Cambiano solo gli attori sul proscenio, il testo è rimasto invariato nei decenni. Il lord of terror Yasser Arafat, grande ammiratore di Castro, lo aveva capito assai bene quando sposò, a fine anni ’60, la causa rivoluzionaria e travestitosi da guerrigliero cubano con la kefiah iniziò il suo tour in giro per il mondo, mietendo molti applausi ovunque.

Sì, se ne è andato il vecchio guerrigliero dittatore, ma come ha dichiarato nella sua ultima apparizione pubblica, “Restano le idee”. Il rancidume criogenizzato dell’opposizione al liberismo e all’economia di mercato in nome di un futuro migliore di eguaglianza nella povertà, come in Venezuela, ultimo esperimento sudamericano di felice e rigogliosa economia statalista da imitare.



Castro, il dolore degli irriducibili: "Perché è giusto omaggiarlo"
Giorgio Napolitano: "Fidel Castro è stato protagonista storico di grande rilievo sul piano mondiale del secolo scorso"
Franco Grilli - Sab, 26/11/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 36094.html

"Fidel Castro è stato protagonista storico di grande rilievo sul piano mondiale del secolo scorso, e si è caratterizzato come un costruttore di un esperimento di stato fondato sulla mobilitazione e il sostegno popolare, fin quando non sono balzate in primo piano e divenute contraddizioni fatali le componenti autoritarie e la subordinazione agli schemi sovietici e al blocco ideologico-militare guidato da Mosca".

Lo scrive in una nota l'ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano.

"Castro -sottolinea Napolitano- è stato nel contempo mito ideale e politico per grandi masse di militanti della sinistra nel mondo, nella stessa Europa e nel nostro paese. Anche per il suo straordinario carisma personale ha ispirato movimenti rivoluzionari, in particolare nell'America Latina, e alimentato speranze immaginando un futuro libero dal dominio capitalistico. La Cuba di Castro è stata anche al centro in vari momenti di tensioni tra le maggiori e più pericolose tra i blocchi dell'Est e dell'Ovest nel periodo della guerra fredda e oltre". "La sua rivoluzione contro il regime di Batista -rimarca Napolitano- non era stata guidata da ostilità verso gli Stati Uniti, ma piuttosto da vicinanza alle grandi tradizioni di libertà di quel paese. È giusto rendere omaggio oggi alla sua figura per l'esperienza complessa e drammatica che ha rappresentato nelle sue luci e nelle sue ombre, e per la lungimirante apertura con cui negli ultimi anni ha assecondato un processo di avvicinamento all'Occidente e di superamento delle barriere che avevano a lungo tenuto isolata la sua Cuba".

E ad esaltare Castro anche Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista: "Immenso dolore per la morte di Fidel Castro, rivoluzionario vittorioso a cavallo di due secoli, che ha difeso l'umanità dalla barbarie". "Fidel -assicura- ha saputo guidare la lotta per la liberazione di Cuba dalla dittatura di Batista e l'ha saputa trasformare in una rivoluzione socialista. Fidel è stato protagonista della difesa della rivoluzione cubana dagli attacchi degli Usa, da quelli militari come quelli economici tutt'ora in vigore con il bloqueo. In questa difficile situazione ha saputo trovare la strada per la costruzione del socialismo, dell'eguaglianza, della dignità e della libertà del popolo cubano. Ciao compagno Fidel, comunista non pentito, grazie per quel che hai fatto, riposa in pace. Continueremo la tua lotta per la dignità dei popoli, la giustizia e la libertà", afferma. Sulla stessa linea anche Marco Rizzo: "Muore il comandante Fidel Castro, ma la sua idea vive! La volontà e la lotta del grande rivoluzionario cubano ha trasformato il suo popolo ridando dignità e uguaglianza contro la mercificazione dell'imperialismo. Centinaia di volte hanno provato ad assassinarlo senza riuscirci. I popoli e le nazioni delle Americhe, dell'Africa e del mondo intero lo ricordano come portatore di idea, lotta e solidarietà. Il Partito Comunista in Italia abbassa le sue bandiere in onore del Comandante Fidel. L'idea che non muore. Con Cuba Socialista Sempre".

Parole di dolore arrivano anche dalla Spagna: "Condoglianze" al governo e alle autorità cubane per la morte di Fidel Castro sono arrivate dal capo del governo di Madrid, Mariano Rajoy. "Una figura di importanza storica" scrive Rajoy su Twitter. "Segnò una svolta nell'evoluzione del paese ed ebbe una grande influenza in tutta la regione ", scrive inoltre il governo spagnolo in un comunicatop diffuso dal Ministero degli Esteri.

L'esecutivo di Rajoy ricorda quindi "gli stretti legami" di Castro con la Spagna "come figlio di spagnoli". Era molto attaccato "ai suoi legami di sangue e di cultura. Pertanto, la Spagna si unisce in particolare al dolore del governo e delle autorità cubane". Il governo spagnolo esprime inoltre la sua "volontà di continuare a lavorare intensamente nel rafforzamento dei legami bilaterali e delle relazioni di profonda amicizia che uniscono i nostri due popoli". Cordoglio anche dalla Francia: "Fidel Castro ha incarnato la rivoluzione cubana" "nelle sue speranze e nelle sue disillusioni. Attore della guerra fredda, rispecchiava un'epoca storica conclusasi con il crollo dell'Unione Sovietica. Ha rappresentato per Cuba l'orgoglio del rifiuto della dominazione straniera". "La Francia ha denunciato le violazioni dei diritti umani ", ma "ha sempre contestato l'embargo imposto dagli Stati Uniti a Cuba" e "ha accolto la sua apertura e il dialogo ristabilito tra i due paesi". Hollande ha tenuto poi a inviare a Raul Castro, alla sua famiglia e al popolo cubano le sue condoglianze.


Le rivelazioni dei dossier russi su Castro: “Vuole una guerra nucleare, Fidel è un pazzo”
Cosa emerge dalle carte desecretate dal Politburo
lucia sgueglia

http://www.lastampa.it/2016/11/27/ester ... agina.html

«Un amico sincero della Russia», la sua Cuba «libera e indipendente» un «esempio di ispirazione per molti Paesi»: così Putin ha omaggiato il leader della rivoluzione cubana, da decenni alleato di Mosca. Una leggenda per generazioni di sovietici il comandante che portò la rivoluzione alle porte dell’America, dai versi di Evtushenko alla canzone «Cuba, amore mio!». Alimentato dal primo viaggio di Castro nell’Urss nel 1963 che durò un mese, circondato da folle.

Ma Fidel non diventò subito il «migliore amico»: la storia dei rapporti, basata sulle garanzie delle esigenze di sicurezza di Cuba verso gli Usa, fu minata da screzi e diffidenze. Lo rivelano alcuni documenti desecretati del Politburo e scoperti dal quotidiano «Kommersant». Castro avrebbe cercato di spingere Mosca verso un conflitto militare con gli Usa, in barba alla deterrenza che garantiva l’equilibrio nella Guerra fredda. Il 26 ottobre 1962, culmine della crisi dei missili, Kruscev al suo cerchio più stretto: «Una persona incredibile Castro, ieri ci ha inviato una proposta per iniziare una guerra nucleare. Non è messo bene. Che a novembre a Cuba ci sarà un’invasione... Cos’è? Pazzia o mancanza di cervello? Per noi questa operazione è terminata, ha raggiunto l’obiettivo prefissato, abbiamo strappato agli americani la promessa che non invaderanno e terranno a bada altri dall’invasione di Cuba». Nikita decise senza consultare Castro.

Il supporto economico-militare sovietico garantiva la sopravvivenza all’isola della Libertà. In cambio dello zucchero cubano. Ma Castro era insoddisfatto: uno scandalo esplose dopo il viaggio a Cuba del giornalista Usa Herbert Matthews nel 1967, che scrisse le parole del líder: «I Paesi comunisti come la Russia stanno diventando sempre più capitalisti, sempre più basati su stimoli materiali». I dirigenti sovietici confusi lo condannarono come «propaganda imperialista ostile».

Più comunista dei sovietici, si sentiva Fidel nella via tutta per il socialismo, diversa dalla variante est-europea. Orgoglioso di una Cuba che non aveva mai conosciuto uno Stalin, ribatté nell’89 a Gorbaciov che voleva convertirlo alla perestrojka: «Se io sono Stalin, allora i miei nemici sono in ottima salute».

Mosca inizialmente lo sottovalutò. Cercarono di consigliarlo su quando e dove viaggiare per il mondo, quanto assentarsi da Cuba. Lo ritenevano ingenuo. Castro vuole recarsi a Mosca già nel 1960, il Cremlino gli chiede di rinviare. 1964, Ernesto Che Guevara: «Per noi non è un segreto che in Urss ci sono persone che non mostrano entusiasmo per la rivoluzione cubana, perché oltre al peso economico Cuba è un potenziale focolaio di guerra termonucleare globale». Breznev aspettò il ’74 prima di visitare Cuba. Col crollo dell’Urss Mosca smette di fornire aiuti e chiede la restituzione del vecchio debito di 20 miliardi di dollari. È Putin a condonarlo al 90% nel 2014, volando da Fidel dopo l’annessione della Crimea. E ora vorrebbe riaprire la base militare russa di Lourdes, chiusa nel 2001.



Esultano i dissidenti. Tutti i numeri del gulag cubano di Castro
di Giulio Meotti
2016/11/26

http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/11/2 ... tro-107602

Un grande personaggio della sinistra latino americana, Jacobo Timerman – l’ex direttore del giornale La Opinion di Buenos Aires che aveva testimoniato l’inferno dei generali argentini nel suo bellissimo libro “Prigioniero senza nome, cella senza numero” – parlò di “una persuasione che diventa un rifiuto, non so se egoistico o inconsapevole, ad aiutare Cuba, povera, sola, muta, ultima isola stalinista, in un mondo che si è quasi del tutto liberato”. La vera storia di Cuba, che non si è ancora liberata, si è dissolta nel sogno di mezza estate costruita abilmente dai suoi estimatori in occidente. Poi c’è la vera storia dell’isola-regime, quella del poeta Armando Valladares, condannato a trent’anni, una paralisi gli ha bloccato le gambe, nel 1974, dopo che i dirigenti del carcere de La Cabana gli hanno rifiutato il cibo per 46 giorni, non avendo egli accettato di sottoporsi alla “rieducazione”.

La vera Cuba è quella dei dissidenti, come Guillermo Farinas, psicologo e giornalista indipendente, e di Oscar Biscet, eroico medico nell’isola dove ci sono più aborti che nuovi nati. Mezzo milione di cubani sono passati attraverso il gulag di Fidel Castro a Cuba. Paragonandola alla popolazione totale dell’isola che è di undici milioni, la dittatura castrista ha vantato il più alto tasso di carcerazione politica pro capite al mondo. Secondo il Cuba Archive Project, definito dal Wall Street Journal il più accurato database della repressione politica a Cuba, fino al 2005 sull’isola ci sono state 9.240 “morti politiche” (la fucilazione è il metodo preferito dai fratelli Castro).

Armando Lago, economista di Harvard e vicepresidente del Cuba Archive Project, stima in 78 mila le persone morte per cercare di fuggire dall’isola caraibica (il venti per cento della originaria popolazione cubana vive all’estero). 5.600 i cubani giustiziati, 1.200 quelli eliminati nelle “esecuzioni extragiudiziarie” (al Líder máximo è addebitabile un numero di delitti almeno cinque volte superiore rispetto a quelli dell’ex dittatore cileno Pinochet). Difficilmente quantificabile il numero di omosessuali rinchiusi nei lager, dei giornali chiusi e dei libri censurati e seppelliti negli archivi (il metodo preferito sotto il comunismo, mentre i nazisti li bruciavano). Numeri dimenticati a favore del ballo nelle strade di L’Avana. Perché come ha detto una volta Carla Fracci, “Castro è un dittatore, lo so, ma io non dimentico che nei paesi socialisti il balletto gode di grande considerazione”. Il balletto...
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Re: Comounisti, nasicomounisti e de torno

Messaggioda Berto » mer nov 30, 2016 8:55 am

Il tradimento degli storici e la truffa dell'antifascismo
Galli della Loggia mostra come l'ortodossia di sinistra abbia impedito all'Italia di comprendere il suo passato
Fiamma Nirenstein - Mar, 29/11/2016

http://www.ilgiornale.it/news/spettacol ... 36820.html

Il nuovo libro di Ernesto Galli della Loggia Credere, tradire, vivere edito da il Mulino è un classico da conservare in biblioteca: lo è per il modo in cui è costruito, con l'enunciazione di una tesi originale e poi la sua dimostrazione, arricchite da un ricco corredo di citazioni, da ricordi personali che si intersecano col mestiere accademico di Galli.

È un classico anche per l'importanza della intenzione storiografica che lo ispira e che vuole trasmettere, smontando la cosiddetta «narrativa» di sinistra. Essa, come Galli dimostra, domina la storiografia, affligge anche la maggioranza dei testi scolastici e ha enormi responsabilità sull'epos collettivo del popolo italiano: la storiografia traditrice è uno dei grandi responsabili dell'antifascismo obbligatorio sostitutivo di qualsiasi riflessione sincera su ciò che è accaduto all'Italia degli ultimi cento anni. Il testo dunque si sviluppa lungo un carattere basilare della identità politica italiana, quella riassunta dal secondo verbo nel titolo: «tradire», un'attitudine italiana spiegata da tutti gli angoli e con malcontenuta indignazione.

Da un'epoca all'altra della politica italiana, quella che porta dentro il fascismo, e poi fuori di esso costruendo la Repubblica, e via via nelle varie vicende di un'egemonia politica di sinistra che diventa «la nuova ortodossia», ogni passaggio è stato caratterizzato da migrazioni ideologiche di massa evidentissime, e tuttavia mai ammesse, mai elaborate, ci dice Galli, fino a una svolta definitiva, quella del «revisionismo» di cui Galli è stato uno degli storici protagonisti.

Tutte le rotture ideologiche, per altro evidentissime, sono invece state sempre affermate come buone ragioni per cui, anzi, si resta identici a quello che si era prima. Si trasmigra senza darne conto, a volte neppure a sé stessi, o si resta nello stesso ambito fingendo di trasmigrare, o ci si inventa formule apparentemente nuove (come il «centro sinistra») destinate invece alla conservazione dell'esistente dualismo post fascista fra comunisti e cattolici. Ambedue incapaci di guardare con sincerità al passato, ambedue decisi a incarnare la perfetta virtù antifascista.

Così il fascista di un tempo si ammanterà di valori resistenziali, e di fatto non sarà mai pronto a ammettere di aver intrapreso una nuova strada; l'Italia dell'arco costituzionale e dell'unità democratica è stata costruita su questo segreto. Di conseguenza il fascismo non sarà mai elaborato. Questa pessima abitudine si riflette sulla intangibilità del comunismo, monade a lungo quasi intonsa nonostante i suoi delitti e le sue pene; sulla incapacità socialista di sferrare un vero colpo definitivo al moralismo comunista, che invece scatenandosi ebbe la meglio su Craxi. I meandri della politica italiana, attraverso la crisi dei partiti e la «questione morale», con l'epoca di Berlusconi che Galli vede bene come sia stata criminalizzata e fantasticata come un'era di pericolo fascista, invece che esaminata obiettivamente, hanno fatto molta fatica a elaborare la crisi inevitabile che finalmente montava sull'onda lunga della crisi del comunismo.

Galli della Loggia ricorda con citazioni stupefacenti quanto odio abbia suscitato (si pensi al caso di Giorgio Bocca fra quelli che lo hanno accusato di essere addirittura uscito dall'ambito dell'antifascismo), solo per il suo lavoro di storico «revisionista». Un ruolo che egli racconta di aver condiviso con alcuni intellettuali, e nota il ruolo propulsivo del Corriere della Sera di Paolo Mieli nel rileggere finalmente la storia negata. Le note del libro sono una miniera di citazioni per capire come il voltagabbanismo possa essere indorato e nobilitato, da Croce, trattato con rispetto ma con sincerità, a Norberto Bobbio ai giornalisti comunisti e a mille altri intellettuali che sono le pietre di fondazione dei guai in cui tuttora versa l'Italia. È con autentico stupore e ironia che vengono elencate le bugie più evidenti. Un esempio su mille, le parole del manuale di Camera e Fabietti edito da Zanichelli L'età contemporanea. I due autori parlano del terrorismo delle Brigate rosse lavando via il «rosso» e trasformandolo in nero: «Al terrorismo nero si salda quello che si dichiara rosso e proletario ma che in realtà matura in ambienti universitari e piccolo borghesi e consegue oggettivamente gli stessi risultati del terrorismo nero, cioè... genera disordini... da cui può nascere solo un'involuzione reazionaria di origine fascistoide». È una delle tante interpretazioni umoristiche del passato che disegnano la indispensabile fede nella sinistra «antifascista» che è stata e resta la fede fondamentale su cui l'Italia del dopoguerra si disegna.

È sull'«ortodossia antifascista» che si disegna una dogmatica descrizione del fascismo come «strumento del capitale» che ha creato la patologica negazione della elementare realtà di un fascismo di massa causato da molteplici ragioni che invece storici come De Felice hanno esaminato gridando nel deserto. La menzogna ha alimentato la sinistra per tanti anni. Ogni legittimazione, a partire da quella del nuovo Stato italiano, ha avuto come marchio quello dell'antifascismo nella sua versione depurata da ogni falla, ogni frattura, ogni errore.

«Il trasformismo di massa» fu dell'intera classe dirigente, politici, burocrati, professori universitari, magistrati, militari, industriali, vissuti con pieno agio all'ombra del fascio, i quali si trasferirono senza colpo ferire nella «repubblica democratica nata dalla resistenza». Il riciclaggio silenzioso è stato in seguito, racconta Galli, il sistema prescelto da ogni gruppo sociale e politico in vena di cambiamento: zitti zitti piano piano, si cambia senza riconoscerlo, scivolando via. L'arco costituzionale, l'unità democratica, il centro sinistra... Tutte queste espressioni sono di fatto la casa dei buoni a fronte della quale perfidi nemici disonesti, vere carogne sempre di destra, tramano per un nuovo fascismo. «L'inautenticità si instaurò nel cuore della repubblica» per esaltare la collettiva «trasformazione democratica» dice Galli. Il finale cui si arriva, percorrendo molto bene tutta la storia recente, suggerisce che adesso è ora di restituire all'Italia «la dimensione stessa del proprio passato... perché possa esserci un futuro». Ma resta sul lettore il peso schiacciante di ciò che è stato, e che si legge in ogni riga della maggioranza della stampa italiana, nell'atteggiamento di ancora troppi intellettuali, politici o, semplicemente, cittadini.
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