Trump Donald

Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » gio set 26, 2019 9:03 pm

La 'talpa', Trump cercò di bloccare i dati della chiamata - Nord America
25 settembre 2019

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/n ... 7c303.html


"Nei giorni successivi" alla telefonata del 25 luglio fra Donald Trump e il leader ucraino Volodymyt Zelensky alcuni "funzionari della Casa Bianca sono intervenuti" per bloccare e mettere in sicurezza "le informazioni relative alla chiamata, soprattutto la trascrizione parola per parola. Queste azioni mettono a mio avviso in evidenza che i funzionari della Casa Bianca avevano capito la gravità di quanto emerso durante la conversazione". È quanto emerge dalla denuncia della talpa che ha svelato conversazione.

Donald Trump chiese a Voldymyr Zelenski di contattare il ministro della giustizia Usa William Barr per discutere la possibile apertura di un'indagine per corruzione su Joe Biden e suo figlio. È quanto conferma la trascrizione della telefonata del 25 luglio scorso tra il tycoon e il leader ucraino resa pubblica dall'amministrazione.

"Fammi questo favore. Qualunque cosa puoi fare è molto importante che tu la faccia, se è possibile": così Trump si rivolse al leader ucraino nella telefonata del 24 luglio. Cinque pagine in cui il tycoon a Zelensky di contattare sia il ministro Barr sia il suo legale personale Rudolph Giuliani. Ma Trump non legherebbe esplicitamente la richiesta di indagini alla questione degli aiuti Usa all'Ucraina.

I democratici con i loro attacchi "al presidente e alla sua agenda non solo sono faziosi e patetici ma anche inadempienti del loro dovere costituzionale" perché minano "qualsiasi possibilità di progresso legislativo": lo afferma la Casa Bianca in una nota del portavoce, a commento dell'indagine di impeachment lanciata dai dem per la telefonata al presidente ucraino in cui Trump avrebbe sollecitato indagini contro i Biden.

Congresso riceve la denuncia dello 007 contro Trump - Le carte della denuncia presentata dallo 007 che ha svelato i contenuti della telefonata tra Donald Trump e il premier ucraino Voldymyr Zelensky è stata consegnata al Congresso. Si tratta del secondo tassello, dopo la pubblicazione della trascrizione della telefonata, da cui partirà l'indagine formale per l'impeachment del presidente

"Questa è una guerra politica": così Trump, con una breve dichiarazione a sorpresa davanti alle telecamere, commenta la decisione dei democratici in Congresso di avviare un'indagine formale di impeachment. Parlando dall'Hotel Intercontinental di New York dove ha in programma di incontrare il presidente dell'Ucraina, Trump commenta la trascrizione della telefonata con Zelensky: "Nessuna pressione - ribadisce - sono solo fake news, è la peggiore caccia alle streghe della storia Usa".

"Nessuna pressione, niente, solo una grande bufala": lo ha detto Donald Trump nel corso di una conferenza stampa a New York commentando la trascrizione della telefonata con il leader ucraina Voldymyr Zelensky.

"Ho parlato con i vertici repubblicani in Congresso e ho assicurato la piena trasparenza sulle indagini": lo ha detto Donald Trump nel corso di una conferenza stampa a New York.

"Chiedo trasparenza ai democratici che sono andati in Ucraina e hanno tentato di costringere il nuovo presidente a fare le cose che volevano sotto forma di minaccia politica": lo twitta Donald Trump.

"Il presidente degli Stati Uniti ha tradito il nostro paese. È un pericolo chiaro a tutte le cose che ci rendono forti e al sicuro. Sostengo l'impeachment". Lo twitta Hillary Clinton, l'ex segretario di stato ed ex candidata alla Casa Bianca, sconfitta proprio da Donald Trump nel 2016. Bill Clinton, suo marito, è stato uno dei tre presidenti nei confronti dei quali è stata in passato avviata la procedura.




Ucrainagate, Pelosi: "Trump ha violato la Costituzione, lo dicono i fatti"
26 settembre 2019

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... a9ba5.html

"I fatti mostrano" che il presidente Donald Trump ha "tradito" il paese "ignorato e violato" la costituzione. E' un duro affondo quello della Speaker della Camera, Nancy Pelosi, leggendo parte della denuncia, presentata dalla "talpa", della telefonata fra il presidente americano e il leader ucraino Volodymyr Zelensky. Secondo quanto emerge dalla denuncia, la Casa Bianca provò a bloccare l'accesso agli appunti relativi alla conversazione, avvenuta il 25 luglio scorso, in cui il tycoon chiese all'omologo ucraino di indagare sul rivale democratico Joe Biden. La Casa Bianca ha "nascosto informazioni di natura politica" ha affermato Nancy Pelosi, sottolineando che i legali ordinarono di nascondere la conversazione in un registro elettronico a parte.

Sul caso, i democratici hanno lanciato martedì un'indagine formale di impeachment, ma secondo Trump "non c'è stata alcuna pressione" e si è trattato di un colloquio "amichevole".

E la reazione del tycoon non è tardata ad arrivare. Per il presidente Usa le informazioni della talpa sono fake news. "Un informatore con informazioni di seconda mano? - twitta Trump- Un'altra fake news! Guardate cosa è stato detto sulla chiamata molto bella, senza pressione. Un'altra caccia alle streghe!". E ancora: Adam Schiff, il presidente della commissione Intelligence del Senato che lo accusa di "aver commesso reati" nella telefonata, "ha zero credibilità. Un'altra fantasia per colpire il Partito Repubblicano!".

La denuncia della 'talpa'
La commissione Intelligence della Camera ha pubblicato 9 pagine con parti nascoste che rendono conto delle preoccupazioni sollevate da un funzionario Usa su una serie di eventi culminati nella telefonata tra i due presidenti.

Dal documento emerge il timore che il leader Usa stesse "usando il suo potere per sollecitare interferenze da un paese straniero nelle elezioni americane del 2020". La 'talpa' sostiene che il governo Usa abbia cercato di nascondere informazioni legate alla conversazione in cui Trump ha chiesto al leader ucraino il "favore" di indagare su Joe Biden, candidato democratico alle presidenziali del 2020, e su suo figlio per le loro attività nella nazione.

La denuncia della 'talpa' è stata discussa oggi nel corso di un'audizione alla commissione Intelligence della Camera durante la quale ha testimoniato Joseph Maguire, direttore ad interim del National Intelligence, l'agenzia che sovrintende tutte le agenzie di intelligence statunitensi. Nella denuncia, la 'talpa' sostiene di non essere stata direttamente testimone degli eventi descritti, ma che ha ricevuto le informazioni da vari funzionari Usa.

Maguire ha detto di credere che il 'whistleblower' (la talpa) "ha fatto la cosa giusta", che denunciando il comportamento del presidente Trump "ha agito in buona fede", e ha definito il caso "unico e senza precedenti". Maguire ha quindi precisato che il presidente Usa non ha chiesto di identificare il 'whistleblower': "Posso dire enfaticamente di no", ha risposto, riferendo di essere lui stesso all'oscuro dell'identità della 'talpa'.

Biden: Trump pensa di poter fare qualsiasi cosa e cavarsela
"Abbiamo un presidente che crede che non ci siano limiti al suo potere, che crede di poter fare qualsiasi cosa e cavarsela, e che crede di essere al di sopra della legge", scrive su twitter il candidato democratico alle primarie per la Casa Bianca, Joe Biden. E' proprio su lui e su suo figlio Hunter che il tycoon, nel corso della telefonata con Zelensky, avrebbe chiesto un'indagine per corruzione. "Non si tratta di questione democratica o repubblicana- aggiunge il leader dem-. E' una questione nazionale".



La procedura d’impeachment contro Trump è un’arma a doppio taglio
Pierre Haski
26 settembre 2019 10.21

https://www.internazionale.it/opinione/ ... ment-trump

Siamo agli inizi di una lunga e incerta procedura contro Donald Trump, ma il possibile impeachment del presidente provoca già un’onda d’urto su scala mondiale. Gli Stati Uniti restano la prima potenza mondiale, e la sorte del loro presidente ha un impatto innegabile sia sugli alleati sia sugli avversari.

Trattare con Trump si è dimostrato complicato fin dal suo arrivo alla Casa Bianca, a causa del suo lato disfunzionale, del suo miscuglio tra imprevedibilità e ossessione ideologica e di una rotazione della squadra di governo come non si era mai vista. Emmanuel Macron lo ha sperimentato sulla sua pelle passando senza alcuna transizione da “migliore amico” a bersaglio dei tweet al vetriolo del presidente americano.

Ormai chiunque parli con Donald Trump lo fa a suo rischio e pericolo. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, appena eletto e senza grande esperienza, non poteva immaginare che la telefonata di congratulazioni del presidente degli Stati Uniti nascondesse il desiderio di sfruttarlo per colpire un rivale politico, e che si sarebbe ritrovato, suo malgrado, al centro di uno scandalo a stelle e strisce.

Massima prudenza al telefono
Di sicuro Zelenskyj non sospettava che la sua conversazione con Trump si sarebbe trasformata in una prova processuale né che sarebbe stata resa pubblica, con tutti i danni collaterali che ne conseguono.

Durante la telefonata, per esempio, Zelenskyj criticava Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, a cui rimprovera di non rispettare le sanzioni contro la Russia. Ma oggi l’Ucraina conta su Francia e Germania per risolvere il suo conflitto con Mosca, e non aveva certo bisogno di questo guaio. È evidente che a questo punto sia necessario adottare la massima prudenza in ogni conversazione con Trump.

La seconda conseguenza di questa vicenda è che il possibile impeachment monopolizzerà l’attenzione di Trump, esattamente come accaduto con Richard Nixon e Bill Clinton, gli altri due presidenti degli Stati Uniti ad aver subìto una procedura simile.

Per ogni decisione in arrivo da Washington ci si chiederà se è stata presa per favorire il presidente

Finora, Trump era concentrato sulla campagna per le presidenziali in programma a novembre del 2020 e agiva in funzione del suo interesse elettorale. Ora però è un presidente assediato e dovrà dedicare gran parte del suo tempo a difendersi. Qualsiasi decisione rilevante sarà analizzata alla luce della procedura.

Nel 1998 Bill Clinton aveva ordinato attacchi missilistici in Sudan e in Afghanistan contro Al Qaeda proprio quando doveva testimoniare in merito al caso di Monica Lewinsky. Pochi mesi dopo aveva dato il via libera a una serie di bombardamenti sull’Iraq mentre la camera dei rappresentanti votava sulla sua destituzione. All’epoca la credibilità del “comandante in capo” era stata messa in discussione.

La stessa situazione si ripresenterà adesso con Trump. Tensione con l’Iran, guerra commerciale con la Cina, denuclearizzazione della Corea del Nord… I temi sulla scrivania del presidente non mancano. Per ogni decisione in arrivo da Washington, però, sarà impossibile non chiedersi se è stata presa per favorire politicamente il presidente.

Il mondo non aveva bisogno di un presidente degli Stati Uniti assediato, soprattutto se, come Clinton prima di lui, uscirà indenne dalla procedura di impeachment e riuscirà a farsi eleggere per un secondo mandato.



Usa, diffuso il testo della telefonata Trump-Zelenskij: "Fammi questo favore. Vai a fondo su Biden e figlio"
di ARTURO ZAMPAGLIONE
25 settembre 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/0 ... -236906354

WASHINGTON - "Fammi un favore. Si parla molto del figlio di Biden, che Biden fermò l'indagine e molte persone vogliono sapere, così tutto quello che puoi fare con il procuratore generale sarà grandioso. Biden è andato in giro a dire che aveva bloccato l'indagine, quindi se puoi darci un'occhiata. A me sembra orribile". Sono alcune delle frasi tratte dalla telefonata - di cui è stata diffusa la trascrizione declassificata e senza omissis - tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodimir Zelenskij.

La trascrizione della telefonata del 25 luglio del 2019 è un "memorandum di una conversazione telefonica (TELCON)", specifica una postilla all'inizio del documento diffuso. "Non è una trascrizione integrale del colloquio. Il testo in questo documento registra gli appunti, le note e i ricordi dello staff assegnato alla stesura scritta dei colloqui nella 'Situation Room Duty'. Numerosi fattori possono influenzare l'accuratezza della registrazione. Come cattive connessioni di telecomunicazione e variazioni di accento e/o interpretazione, la parola 'inaudible viene utilizzata per indicare parti di una conversazione che il notatore non è stato in grado di ascoltare".

Durante la telefonata Trump chiede al presidente ucraino di contattare il ministro della Giustizia Usa William Barr per discutere la possibile apertura di un'indagine per corruzione su Joe Biden e suo figlio. Zelenskij avrebbe dovuto collaborare con il suo avvocato personale, l'ex sindaco di New York Rudy Giuliani, e con il segretario alla giustizia, William Barr, per "guardare" (ossia indagare) sui Biden. "Bene - dice il presidente Trump - perché ho sentito che un procuratore molto bravo era stato allontanato e questo è davvero ingiusto. Giuliani è un uomo altamente rispettato, è stato il sindaco di New York, un grande sindaco, e vorrei che ti chiamasse. Ti chiedo di parlarci assieme al procuratore generale. Rudy (Giuliani, ndr) è molto informato su ciò che è successo ed è un ragazzo in gamba. Se potessi parlarci sarebbe grandioso. L'ex ambasciatrice degli Stati Uniti era sgradevole, e così la gente con cui aveva a che fare in Ucraina, volevo che lo sapessi".
"Volevo parlarti del procuratore", risponde Zelenskij. Primo di tutto capisco e sono a conoscenza della situazione. Dopo che abbiamo conquistato la maggioranza assoluta in Parlamento, il prossimo procuratore generale sarà al cento per cento una persona mia, un mio candidato, che sarà votato dal Parlamento e comincerà a lavorare da settembre. Lui o lei si occuperanno della situazione, specialmente dell'azienda a cui hai fatto cenno... A proposito, ti chiedo se hai altre informazioni da fornirci, sarebbe molto utile per l'indagine. Sull'ambasciatrice concordo al cento per cento. Ammirava il mio predecessore, non avrebbe accettato me come nuovo presidente".

Trump: "Ti faccio chiamare da Giuliani e farò in modo che lo faccia anche il procuratore generale Barr e andremo a fondo sulla vicenda. Ho sentito che il procuratore era stato trattato molto male. Dunque, buona fortuna per tutto. Prevedo che la tua economia migliorerà sempre di più. È un grande Paese. Ho molti amici ucraini, persone incredibili".

Gli aiuti
Ora i membri del Congresso americano indagano per appurare se Trump nella telefonata abbia offerto in cambio il ripristino degli aiuti congelati alcuni giorni prima il colloquio. Lo riportano alcuni media Usa. Nella trascrizione prima di chiedere a Kiev di accendere un faro sul figlio di Joe Biden (che era membro del board della società energetica ucraina Burisma group il cui proprietario era stato indagato dalla procura locale), Trump ricorda: "Direi che facciamo molto per l'Ucraina", più di quanto faccia l'Europa. "La Germania non fa niente per voi. Tutto quello che fanno è chiacchierare, penso che dovresti chiederne conto. Quando ho parlato con Angela Merkel, lei parla dell'Ucraina ma non fa niente. Molti Paesi europei fanno lo stesso, quindi penso che è qualcosa a cui fai caso, ma gli Stati Uniti sono stati molto bravi con l'Ucraina. Non direi che è una necessità reciproca perchè le cose che stanno accadendo non sono buone, ma gli Stati Uniti sono stati molto buoni con l'Ucraina".

Zelenskij risponde: "Hai assolutamente ragione. Non solo al cento per cento, ma al mille per cento, e ti dico questo. Ho parlato con Angela Merkel e l'ho incontrata. Ho parlato e incontrato anche Macron e ho detto loro che non fanno abbastanza riguardo alle sanzioni. Non le stanno rafforzando. Non lavorano quanto dovrebbero per l'Ucraina. Gli Stati Uniti, tecnicamente, sono un partner più grande dell'Unione Europea e ti sono molto grato. Vorrei anche ringraziarti per il tuo sostegno nel campo della difesa. Siamo pronti a cooperare per i prossimi passi". È a questo punto che Trump apre il capitolo su Joe Biden: "Vorrei che ci facessi un favore".

La reazione di Trump: "Caccia alle streghe"
"Non ho fatto alcuna pressione sull'Ucraina", ha dichiarato il capo della Casa Bianca. "I democratici stanno conducendo una guerra politica nei miei confronti, molto di quello che è stato detto sulla conversazione è falso". "Questa è una guerra politica". "Nessuna pressione - ha ribadito - sono solo fake news, è la peggiore caccia alle streghe della storia Usa". Per tutto il giorno il presidente Usa ha ripetuto che si tratta di "caccia alle streghe". "Ho parlato con i vertici repubblicani in Congresso e ho assicurato la piena trasparenza sulle indagini". E ancora. "Ho informato il capogruppo del Grand old Party, Kevin Owen McCarthy, e tutti i repubblicani alla Camera che sostengo pienamente la trasparenza sulle informazioni del cosiddetto informatore, ma insisto anche sull'avere trasparenza da Joe Biden e suo figlio Hunter, sui milioni di dollari che sono stati rapidamente e facilmente portato fuori dall'Ucraina e dalla Cina".

Zelenskij: "Nessuna pressione"
Il presidente dell'Ucraina dopo l'incontro all'Onu con Trump, assicura che "nessuno" ha fatto pressione su di lui. "È stata una buona telefonata, normale", ha detto a margine dell'Assemblea generale dell'Onu a New Yok. "Nessuno ha fatto pressioni su di me", ha aggiunto, insistendo sul fatto che non vuole "essere coinvolto nelle elezioni negli Stati Uniti".

Pelosi: "Trump risponderà delle sue azioni"
Donald Trump non è "al di sopra della legge" e risponderà del suo comportamento, ha detto la speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi, dopo la diffusione della trascrizione. "Il fatto è che il presidente degli Stati Uniti, violando le sue responsabilità costituzionali, ha chiesto a un governo straniero di aiutarlo nella sua campagna politica, a spese della nostra sicurezza nazionale, minando anche l'integrità delle nostre elezioni", ha detto Pelosi secondo quanto riporta la Cnn. "Questo non è accettabile. Ne risponderà davanti alla legge. nessuno è al di sopra della legge", ha aggiunto la speaker della Camera, che ieri ha annunciato l'avvio di un procedimento per l'impeachment. Per il senatore repubblicano Mitt Romney la telefonata è "profondamente preoccupante".

Capo 007: "Se non mi fanno testimoniare mi dimetto"
Il capo dell'intelligence americana, Joseph Maguire, ha minacciato di dimettersi se il presidente Usa dovesse cercare di bloccare la sua testimonianza in Congresso sul caso Ucraina, prevista per domani. Lo riferiscono fonti dell'amministrazione al Washington Post. I vertici dell'intelligence, tra cui Maguire, sollecitarono al dipartimento di Giustizia di fare indagini dopo che un informatore della Cia denunciò la telefonata di Trump al presidente ucraino, ma la cosa non ebbe seguito.

Impeachment
Intanto duecentodiciassette democratici e un indipendente, la maggioranza (218) dei 435 membri della Camera dei rappresentanti, sostiene ora l'impeachment contro il presidente Donald Trump. Lo riferisce la Nbc, precisando che ciò non significa che tutti voteranno per mettere sotto accusa il presidente.

È la quarta volta nella storia americana che si avvia la procedura che porta alla messa in stato di accusa del presidente. In passato si sono avuti solo due processi di impeachment, Andrew Johnson, nel 1868, e Bill Clinton, nel 1998, entrambi assolti al Senato. Mentre nel 1974 Richard Nixon si dimise prima che la Camera potesse votare lo stato d'accusa. Quindi nessun presidente è stato mai rimosso con un processo di impeachment.

Americani alla ricerca del "quid pro quo"
L'espressione latina "quid pro quo" è la più citata dagli americani in queste ore ed è considerata la chiave per valutare se, nella telefonata ci sia stato l'accenno a un possibile scambio di favori. Tutti vanno a caccia del "quid pro quo": per i repubblicani non c'è, per i democratici sì. Ma non nel senso inteso in italiano. Da noi viene tradotto con "una cosa per un'altra" per indicare un equivoco, un malinteso. Il significato, nella lingua moderna, secondo la Treccani, deriva dal francese. Per i Paesi anglosassoni, invece, indica "una cosa in cambio di qualcos'altro", uno scambio di favori che, invece, in Italia, come in Francia e Portogallo, viene comunemente tradotto con l'espressione "do ut des".


Il Kievgate e il ruolo di Joe Biden
Roberto Vivaldelli
26 settembre 2019

https://it.insideover.com/politica/il-k ... j9sSaB39wc

La “caccia alle streghe”, così come l’ha definita anche il presidente Donald Trump, è ricominciata. I democratici, delusi dal flop del Russiagate e dall’audizione di Robert Mueller, si sono ritrovati per settimane in un pericoloso limbo. Divisi sulla strategia da adottare, una parte del partito era intenzionato a tentare comunque la carta dell’impeachment, mentre altri – come la speaker della Camera Nancy Pelosi e altre centristi – si sono dichiarati profondamente scettici e poco convinti di mettere sotto accusa Trump e spaccare il Paese. Tutto è cambiato in questi ultimi giorni con lo scandalo Kievgate (o Ukraine-gate), capace di ridare forza e vigore all’ipotesi dell’impeachment.

Tant’è vero che dopo essere stata per mesi contraria all”impeachment per il Russiagate, la stessa Nancy Pelosi ha annunciato la richiesta formale alla Camera di messa in stato d’accusa del presidente degli Stati Uniti. “Sono in grado di dirlo con certezza, le azioni dell’amministrazione Trump minano la nostra sicurezza nazionale e l’intelligence”, ha spiegato Pelosi. “La nostra responsabilità è conservare la repubblica”, ha continuato, citando la famosa frase di Benjamin Franklin sul neonato governo americano, “è una monarchia o una repubblica? È una repubblica se sapremo mantenerla”. “Ecco – ha aggiunto Pelosi – il nostro compito è mantenere la repubblica, che funziona grazie alla saggezza della nostra Costituzione che ha previsto tre rami equivalenti per garantire il bilanciamento dei poteri. Il presidente ha l’obbligo di fornire spiegazioni, nessuno è al di sopra della legge”.

Secondo quanto riportato dall’Adnkronos, sarebbero 159 i deputati democratici, più un indipendente, quelli che si sono dichiarati favorevoli all’avvio di un’inchiesta di impeachment ai danni di Donald Trump a seguito delle nuove accuse rivolte al presidente per le pressioni che avrebbe fatto sul presidente ucraino per avviare un’inchiesta ai danni di Joe Biden, suo possibile avversario nel 2020. Secondo un conteggio fatto da Axios, quindi la maggioranza dei deputati democratici sarebbero favorevoli all’impeachment, mentre 77 sarebbero contrari o non avrebbero preso una posizione pubblica. Non è stato ancora raggiunto il numero necessario a votare l’impeachment di un presidente, 218. Tra i contrari all’impeachment c’è anche la candidata alle primarie Tulsi Gabbard.

Il vero scandalo riguarda i democratici

Joe Biden è convinto che “non vi sia altra scelta” che chiedere l’impeachment di Donald Trump se il presidente non sarà “disponibile alle richieste di informazioni richieste dal Congresso” sulla vicenda delle telefonata con il presidente dell’Ucraina Volodymir Zelensky. In realtà, il vero scandalo riguarda lui (suo figlio Hunter), la sua famiglia e i democratici. Lo stesso Joe Biden si vantò di aver minacciato nel marzo 2016 l’allora presidente ucraino Petro Poroshenko di ritirare un miliardo di dollari in prestiti se quest’ultimo non avesse licenziato il procuratore generale Viktor Shokin che, a quanto pare, stava indagando proprio su suo figlio Hunter. “Parto fra sei ore. Se il procuratore non verrà licenziato, non prenderete i soldi”, disse Biden a Poroshenko, come da lui stesso raccontato in un evento organizzato dal Council of Foreign Relations. Dichiarazioni a dir poco imbarazzanti per il candidato dem alla Casa Bianca.

In secondo luogo, i democratici sono stati i primi ad esercitare forti pressioni sull’Ucraina e sul presidente Zelensky. Come evidenziato dal giornalista investigativo John Solomon su The Hill, all’inizio di questo mese, durante un incontro a Kiev, il senatore democratico Chris Murphy ha lanciato un messaggio chiarissimo al presidente ucraino. Murphy ha sottolineato come l’Ucraina abbia beneficiato del sostegno bipartisan da parte del Congresso Usa, aiuti che avrebbero potrebbero essere messi in discussione se Zelensky avesse accettato le richieste dell’avvocato del presidente Trump, Rudy Giuliani, di indagare sulle accuse di corruzione che coinvolgono cittadini americani, compresa la famiglia del vicepresidente Biden. “È bene che il presidente ucraino respinga qualsiasi tipo di pressione dagli Usa”, ha sottolineato Murphy. “Ho detto a Zelensky che non avrebbe dovuto immischiarsi nella politica americana”, ha aggiunto il senatore dem.

Il messaggio di Chris Murphy alla leadership ucraina era chiaro: se avessero indagato sui rapporti con l’Ucraina di Joe Biden e suo figlio Hunter, avrebbero messo a serio rischio il sostegno dei democratici per i futuri aiuti degli Stati Uniti a Kiev. Questo ci ricorda come, almeno dal 2016, i democratici hanno ripetutamente esercitato pressioni su Kiev, molto prima della telefonata di Trump al presidente Zelensky del 25 luglio scorso.

L’inchiesta che imbarazza Joe Biden

Nonostante tutti parlino del presidente Usa e del possibile impeachment, secondo Politico, il “kievgate” che sta animando in queste ore il dibattito politico americano rischia di essere un boomerang per Biden. Il redditizio contratto di suo figlio Hunter con l’Ucraina, scrive la testata americana, maturato proprio nel periodo in cui Biden era vicepresidente, alimenta la prospettiva di un rischio politico molto alto per l’ex vice di Barack Obama.

Come ricorda Pat Buchanan su The American Conservative, nel maggio 2016, Joe Biden, su mandato del presidente Obama, volò a Kiev per informare il presidente Poroshenko che il prestito da un miliardo di dollari era stato approvato dall’amministrazione Usa. Lo stanziamento di quella somma vitale per l’ex Paese sovietico, tuttavia, non era affatto scontato: se Poroshenko non avesse licenziato il procuratore capo entro sei ore, Biden sarebbe tornato a casa e l’Ucraina non avrebbe avuto più alcuna garanzia sul prestito. “Il procuratore aveva indagato sulla Burisma Holdings, la più grande compagnia di gas in Ucraina. Subito il colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti che estromise il governo filo-russo a Kiev, infatti, la compagnia aveva ingaggiato a 50 dollari al mese, Hunter Biden, il figlio del vicepresidente”, ricorda Buchanan. Davvero, a questo punto, il “problema”, lo “scandalo”, è rappresentato dalla telefonata di Trump?

Perché i dem vogliono l’impeachment

I democratici Usa hanno presentato la richiesta di impeachment nei confronti del presidente Trump dopo che quest’ultimo ha ammesso di aver parlato con il neo-leader ucraino Zelensky di Biden in una telefonata dello scorso 25 luglio. Lo stesso presidente, tuttavia, ha negato di aver fatto pressioni sul leader ucraino e ha annunciato l’intenzione di pubblicare la trascrizione del suo colloquio telefonico con il presidente ucraino, al centro della denuncia del whistleblower dell’intelligence Usa. Cosa che poi è effettivamente accaduta.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven set 27, 2019 8:57 pm

Impeachment contro Trump. False accuse, malafede e comportamento scandaloso di Biden e suo figlio.
26 settembre 2019

https://osservatorerepubblicano.com/201 ... -3dtaG4XNo


La Speaker della Camera ha annunciato l’avvio della procura di impeachment, dovuta al Kievgate nel quale Trump durante una conversazione telefonica avrebbe minacciato il Presidente Ucraino di non concedere gli aiuti militari USA, se non non gli faceva un “favore”, cioè indagare il suo avversario alle presidenziali Joe Biden e suo figlio. Dopo la pubblicazione della trascrizione della telefonata si è scoperto che Trump non ha mai utilizzato gli aiuti militari come leva per ottenere le indagini, ma ha auspicato che ci fosse un’indagine a causa dell’elevato livello di corruzione e perché lo stesso Biden si vantava di aver fatto licenziare il procuratore capo dell’Ucraina che stava indagando sulla società energetica in cui il figlio era membro del Consiglio di Amministrazione.

Di seguito un articolo di Fox News di Gregg Re, che spiega molto bene la vicenda degli ultimi giorni.

Il deputato della Camera dei rappresentanti, il repubblicano dello Utah Chris Stewart ha annunciato nel programma “The Ingraham Angle” di Fox News e sui social media mercoledì 25 settembre che l’esplosiva denuncia della talpa interna all’Amministrazione Trump riguardante la conversazione telefonica effettuata a luglio dal presidente Trump al leader ucraino è stata declassificata e Stewart ha riferito che non contiene nessuna informazione dannosa.

Incoraggio tutti a leggerla

ha twittato Stewart. La denuncia è stata resa disponibile giovedì 26 settembre dal Congresso.

Alla conduttrice Laura Ingraham, Stewart ha detto:

È stata declassificata ed è stata rilasciata. Quindi dovrebbe essere disponibile per chiunque voglia guardarla”

Stewart ha aggiunto di aver visto personalmente la denuncia, e che era “ansioso” prima di leggerla, ma dopo averlo fatto ha dichiarato

essere molto fiducioso che questa vicenda non andrà da nessuna parte … … non ci sono proprio sorprese.

Il tutto è focalizzato sulla telefonata e la trascrizione della telefonata, è stata rilasciata.

La vicenda si è sviluppata in modo decisivo poche ore prima che il Congresso chiamasse a testimoniare giovedì 26 settembre il Direttore ad interim della National Intelligence Joseph Maguire. A Fox News è stato detto che c’è stata una seria conversazione tra i legislatori per decidere se l’udienza di Maguire potesse essere aperta. Una fonte di Fox News ha riferito che l’Amministrazione potrebbe aver declassificato il documento in modo che potesse essere discusso pubblicamente durante l’udienza.

Il Direttore ad interim della National Intelligence, Joseph Maguire

Mercoledì 25 settembre, Maguire ha contraddetto categoricamente un rapporto del Washington Post affermando di non aver mai considerato di dimettersi per la questione degli informatori o per qualsiasi altra ragione.

Un gruppo selezionato bipartisan di legislatori del comitato di Intelligence della Camera e del Senato, ha richiesto i dettagli della denuncia del whistleblower. Hanno ottenuto l’accesso al documento in un ambiente sicuro e classificato mercoledì 25 settembre prima della testimonianza di Maguire.

All’inizio della giornata del 25 settembre, la Casa Bianca ha pubblicato una trascrizione declassificata della conversazione telefonica di Trump a luglio con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nella quale Trump chiedeva approfondimenti in merito agli sforzi dell’ex vicepresidente Joe Biden per far licenziare l’ex procuratore capo dell’Ucraina, che indagava su suo figlio, Hunter Biden.

a sx il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky e a dx il Presidente Trump

Joe Biden ha ammesso davanti alla telecamera che, quando era vicepresidente, ha fatto pressioni con successo sull’Ucraina per licenziare il procuratore, Viktor Shokin, che stava indagando sulla società di gas naturale Burisma Holdings dove il figlio Hunter Biden era nel Consiglio di amministrazione con una remunerazione mensile di $ 50.000,00, nonostante le limitate competenze professionali. Lo stesso Shokin era stato ampiamente accusato di corruzione, mentre i critici accusavano che Hunter Biden potesse essenzialmente vendere i permessi, le forniture a suo padre, che aveva spinto l’Ucraina ad aumentare la sua produzione di gas naturale.

l’ex Vicepresidente Joe Biden e suo figlio Hunter Biden

Trump ha richiesto all’Ucraina se poteva esaminare i Biden dopo che Zelensky aveva menzionato per la prima volta i problemi di corruzione dell’Ucraina, e dopo che Trump aveva richiesto separatamente come “favore” che l’Ucraina aiutasse a indagare sulle interferenze straniere nelle elezioni del 2016, incluso l’hacking del Server del Democratic National Committee (DNC) che coinvolge la società di sicurezza di dati CrowdStrike.

Numerose agenzie di stampa, tra cui il New York Times, la CNN, MSNBC e il Washington Post, hanno riferito in modo inesatto che il “favore” si riferiva specificamente alle indagini su Biden.

Garantisco come presidente dell’Ucraina che tutte le indagini saranno condotte apertamente e candidamente

ha dichiarato Zelensky nella trascrizione. Ciò spinse Trump a dire:

Bene, perché ho sentito che avevi un procuratore che era molto bravo … è stato licenziato e questo è stato davvero ingiusto … L’altra cosa e che si parla molto del figlio di Biden e che il padre ha bloccato le indagini e molte persone vogliono scoprirlo, quindi qualsiasi cosa tu possa fare con il procuratore generale sarebbe grandiosa. Biden si è vantato di aver bloccato le accuse, quindi se tu puoi, controlla … è una cosa orribile per me.

La trascrizione non ha dimostrato che Trump ha sfruttato gli aiuti militari all’Ucraina come leva per ottenere una “promessa” di un’indagine di Biden, come aveva affermato invece un report ampiamente citato dal Washington Post il 18 settembre.

Nel frattempo, gli avvocati dell’l’informatore che è un membro della comunità dell’intelligence, hanno confermato a Fox News mercoledì 25 che l’informatore vorrebbe testimoniare al Congresso e stava aspettando una possibile indicazione da parte di Maguire.

Gli avvocati hanno anche confermato a Fox News di aver lavorato con un’organizzazione no profit per creare una pagina GoFundMe per cercare di raccogliere $ 100.000,00 per la difesa legale degli informatori.

La svolta nella vicenda è arrivata mercoledì 25 settembre, durante una conferenza stampa a New York, in cui Trump ha richiamato l’attenzione su un report della CNN poco conosciuto del 5 maggio 2018, che descrive come i senatori democratici Robert Menendez, Dick Durbin e Patrick Leahy hanno fatto pressioni sul principale procuratore ucraino affinchè non chiudesse quattro inchieste percepite come fondamentali per l’indagine sul Russiagate dell’allora consigliere speciale Robert Mueller e, apparentemente tale richiesta se non esaudita implicava che era a rischio il loro sostegno agli aiuti degli Stati Uniti all’Ucraina.

I democratici hanno fatto ciò che mi accusano di fare

ha detto Trump.

I senatori democratici scrissero in una lettera al leader ucraino all’epoca:

In quattro brevi anni, l’Ucraina ha fatto progressi significativi nella costruzione di istituzioni [democratiche] nonostante le continue pressioni militari, economiche e politiche di Mosca. Noi abbiamo sostenuto il processo di costruzione e siamo delusi dal fatto che alcuni a Kiev sembrano aver messo da parte questi principi [democratici] per evitare l’ira del presidente Trump .

I senatori hanno chiesto al procuratore supremo di

invertire la rotta e fermare tutti gli sforzi per impedire la cooperazione con questa importante indagine.

Marc Thiessen del Post ha inizialmente segnalato la lettera martedì 24, definendola prova di un “doppio standard” da parte dei democratici.

Il senatore Chris Murphy ha letteralmente minacciato il presidente dell’Ucraina che se non avesse fatto le cose nel modo giusto, non avrebbero avuto il sostegno democratico al Congresso

ha aggiunto Trump.

In una riunione bipartisan a Kiev all’inizio di questo mese, Murphy ha definito gli aiuti statunitensi il “bene più importante” per l’Ucraina, poi ha lanciato un avvertimento.

Ho detto a Zelensky che non dovrebbe inserire se stesso o il suo governo nella politica americana. Lo ammonivo che il rispetto delle richieste dei rappresentanti della campagna del Presidente di indagare su un rivale politico del Presidente avrebbe gravemente danneggiato le relazioni USA-Ucraina. Ci sono poche cose su cui repubblicani e democratici concordano a Washington in questi giorni, e il sostegno all’Ucraina è uno di questi .

In risposta alle dichiarazioni di Trump, Murphy ha affermato che

Nell’incontro tra il senatore repubblicano Ron Johnson e io tre settimane fa con il presidente Zelensky, gli ho chiarito che l’Ucraina non dovrebbe essere coinvolta nelle elezioni del 2020 e che il suo governo dovrebbe comunicare con Dipartimento di Stato, non con la campagna del presidente. Credo ancora che sia vero.

I commenti di Trump sono arrivati poco dopo aver concluso una conferenza stampa congiunta con il presidente dell’Ucraina Zelensky, che ha dichiarato apertamente ai giornalisti di non sentirsi “spinto” a indagare su Joe Biden.
il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky e il Presidente Trump

“Abbiamo fatto un’ottima telefonata“, ha detto Zelensky in precedenza, mentre si sedeva di fronte a Trump. “Era normale.”

In un linguaggio colorato, Trump ha detto ai giornalisti che le prove mostrano chiaramente che i democratici lo stavano attaccando in malafede per ottenere un vantaggio politico.

Non tutti i democratici alla Camera sono d’accordo nell’indagine sull’impeachment annunciata martedì dalla Speaker della Camera Nancy Pelosi, D-Calif. Il candidato alla presidenza del 2020 Rep. Tulsi Gabbard, D-Hawaii, ha dichiarato mercoledì che la trascrizione ucraina non ha presentato un motivo “convincente” per far partire la procedura di impeachment.

La lotta contro i democratici sostenitori della procedura di impeachment potrebbe aiutare i repubblicani alle elezioni del prossino anno. Il Comitato congressuale nazionale repubblicano ha dichiarato mercoledì che la sua raccolta di fondi è aumentata del 608% dopo la spinta di impeachment da parte dei democratici.

E la campagna di rielezione di Trump e GOP hanno annunciato di aver raccolto $ 5 milioni in sole 24 ore.

Trump mercoledì ha anche chiesto trasparenza da parte di

Joe Biden e suo figlio Hunter sui milioni di dollari che sono stati rapidamente e facilmente portati fuori dall’Ucraina e dalla Cina.

Dopo le dichiarazioni di Trump, il politologo Ian Bremmer disse che il vero scandalo non era la pressione di Biden per sbarazzarsi del procuratore ucraino, ma il redditizio lavoro di Hunter Biden in Ucraina.

Hunter Biden ha assunto una posizione chiave a Burisma poco dopo che Joe Biden ha visitato l’Ucraina nel 2014 e ha spinto i funzionari lì ad aumentare notevolmente la produzione di gas naturale. Hunter guadagnava decine di migliaia di dollari al mese ma non aveva credenziali rilevanti.

Impossibile giustificare $ 50k al mese per Hunter Biden che fa parte di un consiglio energetico ucraino senza esperienza a meno che non abbia promesso di vendere l’accesso alle forniture di gas

ha scritto Bremmer.

Questo è un problema per il Vice Presidente, ma completamente estraneo a quello in cui Biden esorta il Presidente dell’Ucraina a licenziare il suo Procuratore speciale

ha continuato Bremmer.

Il pubblico ministero è stato corrotto, ha rifiutato di indagare su chiunque, e i Dems e GOP hanno concordato di dover andare avanti.

Durante la giornata del 25 settembre, il Dipartimento di Giustizia in una nuova lettera dell’Ufficio del Consiglio legale ottenuta da Fox News, ha respinto l’affermazione secondo cui l’informatore ha fatto emergere qualcosa classificato come “preoccupazione urgente” che avrebbe dovuto essere consegnato al Congresso.

La lettera afferma inoltre che l’ispettore generale della comunità dell’intelligence ha trovato “alcuni indizi di un discutibile pregiudizio politico da parte del denunciante a favore di un candidato politico rivale“, ma ha comunque affermato che le accuse “sono apparse credibili”. Fox News ha precedentemente riferito che, secondo a una fonte, anche l’individuo non aveva “conoscenza diretta” della telefonata.

Fonti, nel frattempo, hanno affermato che le accuse originali parlavano di una possibile violazione del finanziamento della campagna, ma il DOJ ha concluso che la richiesta di Trump per un’indagine non si qualificava come una “cosa di valore” per la sua campagna e quindi non costituiva una violazione criminale.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » sab ott 05, 2019 8:08 am

???

Usa, spuntano sms tra diplomatici americani che imbarazzano Trump e Pompeo
04 ottobre 2019

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 2dbf2.html


Si complica la posizione di Trump, ma pure quella del segretario di Stato Mike Pompeo, nel cosiddetto 'Ucrainagate'. Dopo la testimonianza alla Camera dell'ex inviato speciale Usa a Kiev Kurt Volker nell'indagine di impeachment, i presidenti delle tre commissioni che indagano hanno diffuso gli estratti di alcuni sms tra diplomatici Usa che - a loro avviso - mostrano come gli Stati Uniti abbiano condizionato gli aiuti a Kiev e una visita alla Casa Bianca del presidente ucraino Zelensky all'avvio di un'inchiesta su Joe Biden e suo figlio.

I messaggi furono scambiati tra luglio e settembre fra Volker, l'ambasciatore Usa alla Ue (e importante donatore del tycoon) Gordon Sondland, l'ambasciatore Usa ad interim a Kiev Bill Taylor, l'avvocato personale di Trump Rudy Giuliani e il consigliere di Zelensky Andrey Yermak.

Le conversazioni non lasciano dubbio che il dipartimento di Stato fu pesantemente coinvolto nelle pressioni della Casa Bianca per convincere Kiev ad aprire un'indagine sui Biden, sino a redigere una bozza di dichiarazione per lo stesso Zelensky. Dagli sms, emerge che Sondland preparò il presidente ucraino alla telefonata (e alle richieste) di Trump e Volker informò Yermark che la Casa Bianca avrebbe fissato la data per la visita di Zelensky se quest'ultimo avesse promesso di indagare i Biden. Taylor manifestò a Sondland le preoccupazioni ucraine di diventare solo uno strumento nella politica interna di Washington ma l'ambasciatore Usa a Bruxelles rispose di procedere e che l'alternativa sarebbe stata peggiore: un probabile riferimento al rischio di un peggioramento dei rapporti bilaterali.

Dopo la controversa telefonata di Trump a Zelensky del 25 luglio scorso, Volker, d'intesa con Sondland e Giuliani, elaborò una bozza di quello che Zelensky avrebbe dovuto dichiarare pubblicamente, compreso l'avvio di un'indagine su Burisma, la società energetica dove lavorava Hunter Biden, il figlio di Joe Biden. Ma il piano di scambiare la dichiarazione di Zelensky con la visita alla Casa Bianca saltò dopo che Politico rivelò il blocco da parte di Trump di 250 milioni di aiuti militari a Kiev. "Ora stiamo dicendo che l'assistenza sulla sicurezza e la visita alla Casa Bianca sono condizionate alle indagini", scrisse Taylor preoccupato. "Penso sia folle trattenere l'assistenza per la sicurezza per aiutare una campagna politica", aggiunse. Parole che pesano come macigni sulla Casa Bianca e il dipartimento di Stato.

Trump: moltissima corruzione per quanto riguarda Biden
Il presidente Usa, Donald Trump, afferma che non sa ancora se collaborerà con il Congresso per l'indagine per l'impeachment lanciata dai democratici. "Non lo so, dipenderà dagli avvocati", ha dichiarato Trump parlando con i giornalisti nei giardini della Casa Bianca. I Dem al Congresso hanno minacciato di costringere la Casa Bianca a fornire loro dei documenti utili all'inchiesta tramite ingiunzione formale.

Per quanto riguarda la lettera che Trump ha annunciato di voler inviare alla speaker della Camera Nancy Pelosi, secondo la Cnn, i legali della Casa Bianca stanno preparandone una in cui affermano di non poter consegnare le carte finché la Camera non vota in seduta plenaria l'inizio dell'inchiesta di impeachment, che nel frattempo è stata avviata da tre commissioni.

Sugli sms, poi, non ci sarebbe stato nessuno scambio, "nessun quid pro quo", dice il presidente statunitense ai reporter che lo incalzavano sui messaggi dei diplomatici americani riguardanti le pressioni della Casa Bianca su Kiev per l'apertura di un'inchiesta sui Biden. In un tweet mattutino, Trump aveva scritto: "Come presidente ho l'obbligo di mettere fine alla corruzione, anche se significa chiedere l'aiuto di uno o più Paesi stranieri. Si è sempre fatto. Questo non ha niente a che vedere con la politica o una campagna politica contro i Biden. Questo ha a che fare con la loro corruzione!".

Mitt Romney: "Spaventoso" chiedere alla Cina di indagare su Biden
Il senatore repubblicano Mitt Romney ha definito "sbagliato e spaventoso" che il presidente Donald Trump abbia sollecitato la Cina e l'Ucraina ad avviare indagini su Joe Biden, suo avversario nella corsa alla Casa Bianca. "L'appello sfacciato e senza precedenti del presidente alla Cina e all'Ucraina per indagare su Joe Biden è sbagliato e spaventoso", ha twittato Romney, che corse alla Casa Bianca nel 2012 e che probabilmente è il repubblicano che critica più apertamente Trump. "Quando l'unico cittadino americano che il presidente Trump sceglie per le indagini della Cina è il suo oppositore politico, e questo nel bel mezzo delle procedura di nomina dei democratici, mette a dura prova la credulità suggerire che sia qualcosa di diverso da motivazioni politiche", ha concluso Romney.



Impeachment Trump, il congresso ordina alla Casa Bianca di consegnare i documenti sull'Ucrainagate
5 ottobre 2019

https://www.repubblica.it/esteri/2019/1 ... -237716609


WASHINGTON - La commissione di vigilanza della Camera ha emesso un mandato perché la Casa Bianca consegni tutta la documentazione sull'Ucrainagate, ovvero la richiesta all'Ucraina di indagare sulla famiglia di Joe Biden, nell'ambito dell'indagine di impeachment su Donald Trump. Finora la presidenza si era rifiutata di rispettare l'ultimatum, che scadeva oggi. La mossa segna un'escalation dello scontro tra Congresso e Casa Bianca nell'indagine.

Il tutto mentre, secondo il New York Times, un secondo agente dell'intelligence Usa sta valutando se presentare una formale denuncia sul caso. Secondo il quotidiano questo secondo whisteblower talpa possiede "informazioni più dirette" sul fatto che Trump abbia usato il suo potere di presidente degli Stati Uniti per convincere Kiev ad indagare su Joe Biden, per intralciare la sua corsa alla Casa Bianca. Questa seconda gola profonda sarebbe tra gli agenti dei servizi Usa ascoltati dall'ispettore generale Michael Atkinson.
Il mandato con l'ordine di consegnare i documenti è stato inviato al capo di gabinetto ad interim della Casa Bianca, Mick Mulvaney. Se il mandato non sarà rispettato, avvertono i deputati dem, anche se su ordine del presidente, "costituirà prova di intralcio all'inchiesta della Camera sull'impeachment e potrà essere usato contro di lei e contro il presidente per interferenza avversa".

"Non cambia nulla" è scritto in una nota della portavoce della Casa Bianca. "E' solo una ulteriore richiesta di documenti, perdita di tempo e ulteriori soldi dei contribuenti che alla fine mostreranno come il presidente non abbia fatto nulla di sbagliato. I democratici scansafatiche - si legge nel comunicato - possono continuare con il loro processo farsa mentre il presidente e la sua amministrazione continuano a lavorare a nome del popolo americano".

I portavoce della Commissione sostengono di essere stati obbligati a prendere questa decisione. "La Casa Bianca - hanno detto Elijah Cummings, Adam Schiff e Eliot Engel - ha rifiutato di collaborare, e anche di rispondere, a molte richieste della Commissione di darci volontariamente la documentazione. Dopo un mese di ostruzionismo, sembra evidente che il presidente ha scelto la via della sfida, di porre ostacoli e della dissimulazione".

"Siamo profondamente dispiaciuti - hanno continuato - che il presidente Trump abbia messo, noi e la nazione, in questa posizione, ma la sua azione non ci lasciava altra scelta che emettere un mandato".

Intanto Joe Biden commenta: "Trump si è incriminato da solo con le sue dichiarazioni". Biden ha anche twittato contro il tycoon, che ha sollecitato inchieste su di lui e su suo figlio in Ucraina e Cina: "un presidente che abusa del potere dell'ufficio Ovale per rivincere le elezioni, volta le spalle alla lotta per la democrazia a Hong Kong e mette i suoi interessi personali sopra il bene pubblico: dobbiamo mostrare al mondo chi siamo".
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom ott 06, 2019 8:21 pm

Ecco perché Washington vuole il muro col Messico
Lorenza Formicola - Dom, 06/10/2019

http://www.ilgiornale.it/news/ecco-perc ... UfZDcXAUAc

I terroristi islamici collusi con i narcos cercano di passare negli Usa. Gli arresti e le confessioni

Un ex combattente Isis ha confessato lo scorso maggio il piano di un attentato terroristico che avrebbe sfruttato la vulnerabilità del confine degli Stati Uniti con il Messico.

Abu Henricki, assieme ad altri, doveva essere la pedina dell'Emni - l'apparato di spie dello Stato islamico - ma qualcosa deve aver fatto saltare i piani. Intervistato insieme a oltre 160 disertori e rimpatriati del Califfato dal gruppo di ricerca dell'International Center for the Study of Violent Extremism, adesso è affare dei servizi d'intelligence. Nella video intervista ha raccontato come il gruppo terroristico islamico è impegnato a sfruttare il confine che gli americani chiamano «meridionale». «Stavo per prendere la barca da Porto Rico in Messico. Lui (residente nel New Jersey) mi avrebbe fatto entrare di nascosto... Loro volevano usare queste persone (simpatizzanti che vivono negli Stati Uniti)», racconta in maniera disinvolta.

L'idea che gruppi terroristici islamici stiano operando in Messico e stiano osservando e sfruttando il confine poroso con gli Stati Uniti non è più un'ipotesi. A giugno un altro caso ha tenuto le autorità messicane in allerta per quattro terroristi legati sempre all'Isis. Gli uomini - due egiziani e due iracheni - sono stati arrestati qualche giorno più tardi in Nicaragua, nel tentativo di dirigersi dall'America centrale fino al confine con gli Stati Uniti. Le autorità erano state però avvisate del fatto che i sospetti avrebbero tentato di superare il confine con il Messico camuffandosi in un gruppo di immigrati.

Sono l'ennesima dimostrazione di come il terrorismo islamico sappia infiltrarsi attraverso il confine che separa Stati Uniti e Messico. Gli attacchi dell'11 settembre hanno fatto sì che si catalizzasse l'attenzione sul confine, troppi i rischi per la sicurezza nazionale che da là potevano nascere, ma la storia inizia molto tempo addietro. E sia l'amministrazione Bush sia quella di Obama hanno provato a intraprendere diverse azioni esecutive in materia di immigrazione. Trump ha voluto solo forzare la mano rispetto all'inefficacia di certe misure del passato.

Il confine tra Stati Uniti e Messico è così allettante che molto prima che l'Isis entrasse in scena, altri gruppi terroristi islamici se ne sono serviti. Nel 2011, i funzionari federali hanno annunciato che agenti della Fbi e della Dea hanno saputo bloccare «un attentato terroristico negli Usa» legato all'Iran e con base in Messico. Mesi prima, una cellula jihadista in Messico era stata trovata in possesso di un arsenale con 100 fucili d'assalto M-16 e 100 AR-15, 2.500 bombe a mano, esplosivo C4 e munizioni anticarro. Le armi, si è scoperto poi, erano state introdotte clandestinamente dall'Irak. Un rapporto dell'intelligence spiegava che erano «emerse evidenti preoccupazioni riguardo alla presenza di Hezbollah in Messico e ai possibili legami con le organizzazioni messicane del traffico di droga che operano lungo il confine tra Stati Uniti e Messico».

Nel maggio 2001, l'ex consigliere di sicurezza nazionale messicano e ambasciatore presso le Nazioni Unite, Adolfo Aguilar Zinser, aveva detto che «i gruppi terroristici islamici stanno usando il Messico come rifugio». I messicani che cercano di entrare negli Stati Uniti illegalmente sono spesso semplicemente processati al confine e rispediti. Il servizio di immigrazione non dispone di letti per trattenerli, quindi la stragrande maggioranza degli Otm - Others Than Mexican - viene rilasciata dalla custodia e viene chiesto loro di tornare volontariamente per l'udienza in tribunale. Nel solo 2005, sono stati stimati 71.000 di questi fuggitivi Otm.

Dal 2008-2010, si ritiene che circa 180mila Otm abbiano attraversato il confine illegalmente. Nello stesso periodo, 1.918 Sia - special interest alien - sono stati arrestati al confine. E si ritiene generalmente che per ogni straniero illegale arrestato al confine, ce ne siano molti che sfuggono alla sicurezza sul confine.

Gli analisti raccontano che i cartelli della droga messicana sono stati coinvolti nel traffico di agenti di Al Qaeda, Al Shabaab e Hezbollah negli Stati Uniti. Così come non giudicano casuale la notevole proliferazione di moschee salafite in America Latina dai primi anni '90, e la crescente campagna di proselitismo da parte dei wahabiti e delle organizzazioni non governative finanziate dai sauditi, come l'Assemblea mondiale della gioventù musulmana (Wamy). Vale la pena ricordare che le operazioni statunitensi di Wamy furono chiuse dal Dipartimento di Giustizia a causa del massiccio supporto materiale dell'organizzazione per la Jihad.

In un famigerato video di qualche anno fa, un religioso musulmano in Kuwait, Abdullah al-Nafsi, in un sermone nella sua moschea affermava che «non c'era bisogno di aerei e pianificazione; un uomo con il coraggio di trasportare una valigia di antrace attraverso i tunnel dal Messico agli Stati Uniti potrebbe uccidere 330mila americani in un'ora».

Nel novembre 2007, l'Fbi lanciava l'allarme su un piano di jihadisti in combutta con i signori della droga messicani per attraversare il confine attraverso tunnel sotterranei e attaccare il centro di addestramento dell'intelligence a Fort Huachuca, in Arizona, a venti miglia dal confine con il Messico. «Gli afgani e gli iracheni», spiegava un funzionario, hanno pagato ai messicani 20mila dollari o «l'equivalente in armi» per entrare negli Stati Uniti, e «si sono rasati la barba per non sembrare mediorientali».
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven ott 11, 2019 5:59 am

http://www.atlanticoquotidiano.it/categ ... italygate/



SPECIALE ITALYGATE/4
I silenzi e le omissioni di Mueller, mentre Mifsud inizia a parlare con gli investigatori di Trump
27 Lug 2019

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -di-trump/

Il procuratore speciale Robert Mueller aveva avvertito che da una sua audizione al Congresso non sarebbe potuto emergere nulla di nuovo rispetto a quanto già scritto nel suo rapporto a conclusione dell’indagine sulla presunta collusione Trump-Russia per vincere le elezioni. Eppure, i Democratici hanno sperato fino all’ultimo in una scintilla che potesse riaccendere il fuoco ormai sopito del Russiagate, se non l’innesco per una proposta di impeachment, almeno nuove munizioni da sparare contro Trump durante la lunga campagna verso le presidenziali del 2020. Potranno continuare ad appigliarsi al fatto, ribadito dal procuratore Mueller, che il rapporto “non esonera” il presidente dall’accusa di ostruzione alla giustizia. Ma lo scopo delle inchieste non è provare l’innocenza, è determinare se esistano elementi sufficienti per una incriminazione. Come ha scritto su Twitter il senatore Rand Paul commentando l’audizione del procuratore, “Mueller needs to go back to law school. In America’s judicial system, no prosecutors ever, ever conclude innocence. They only decide guilt. Americans are presumed innocent if not found guilty!”

E come ricorda un editoriale di National Review, non è vero, come spesso viene raccontato, che l’unica cosa che ha impedito a Mueller di incriminare Trump sono le linee guida del DOJ secondo cui un procuratore non può procedere contro un presidente in carica. La realtà è che nemmeno lui, e lo scrive nel rapporto, ha raccolto elementi univoci tali da poter concludere se sia stato commesso o meno reato di ostruzione. Ma è “inappropriato per un procuratore speciale presentarsi e discutere della condotta di qualcuno, in questo caso il presidente degli Stati Uniti, che non è stato incriminato e nemmeno accusato di un crimine”.

Ok, tutti si aspettavano un Mueller riluttante. Ma peggio, l’audizione ha restituito al pubblico l’immagine di un uomo affaticato, stordito, confuso, balbettante sia nelle risposte che nelle non risposte, fino al punto da far dubitare del suo vero ruolo nell’indagine. Spesso a bocca aperta, con aria inebetita di fronte alle domande, ha più volte dato l’idea di non sapere gran ché del rapporto che lui stesso ha firmato. Queste alcune delle sue formule di risposta ricorrenti: “Non entrerò nel merito di questo”; “questo è fuori dal mio ambito”; “vi rimando al rapporto”; “mi attengo a ciò che è scritto nel rapporto”; “se è nel rapporto, è corretto”. Interrogato sulla Fusion GPS, la società che incaricò Christopher Steele di trovare materiale compromettente su Trump, Mueller ha risposto di “non intendersene”. “Può affermare con certezza che il dossier Steele non fosse parte di una campagna di disinformazione della Russia?”, gli ha chiesto il deputato Gaetz. “È fuori dal mio ambito”, la risposta. Stiamo parlando del dossier falso su cui l’FBI fondò la sua richiesta di autorizzazione, reiterata ben tre volte, a sorvegliare uno dei consiglieri della campagna.

Robert Mueller non ha davvero condotto l’indagine, è la conclusione a cui molti sono giunti assistendo all’audizione. Oppure, fare il finto tonto è stata un’abilissima strategia di dissumulazione per frustrare i tentativi dei congressmen di scoprire fonti, origini e contraddizioni dell’indagine.

Se dall’audizione di Mueller non è scoppiato nemmeno un petardo, qualcosa di potenzialmente esplosivo è emerso alla vigilia: il professor Joseph Mifsud, una figura centrale del Russiagate che ha fatto perdere le sue tracce dall’autunno del 2017, è ricomparso e sta collaborando con le indagini dell’amministrazione Trump sulle origini di quello che è stato ribattezzato “Spygate”, ha già parlato con il procuratore Durham e dichiarato di essere un asset dell’intelligence occidentale, non russa, e che gli fu espressamente richiesto di “agganciare” il consigliere della Campagna Trump George Papadopoulos.

L’ispettore generale del DOJ Horowitz e il procuratore Durham avrebbero entrambi già interrogato Mifsud (probabilmente in teleconferenza, ndr), ha rivelato a Fox News l’ex procuratore del Distretto di Columbia Joe di Genova.

Su The Hill, John Solomon ha riportato che “la squadra di Durham senza clamore quest’estate ha raggiunto un avvocato che rappresenta il professor Mifsud”. Si tratta dell’avvocato Stephan Roh, già raggiunto tempo fa dal Foglio nel tentativo di sapere che fine avesse fatto Mifsud. “Uno degli investigatori – scrive Solomon – ha detto a Roh che il team Durham voleva interrogare Mifsud, o quanto meno esaminare una deposizione registrata che il professore ha fornito nell’estate del 2018” sul suo ruolo nel Russiagate. Il che se non altro ci dice, come confermato a Solomon da una “fonte ufficiale”, che il procuratore Durham è determinato a comprendere se i soggetti privati e governativi che entrarono in contatto con la Campagna Trump nel 2016 “erano coinvolti in una inappropriata operazione di sorveglianza”.

Ma perché Mifsud è la figura centrale per capire le origini del Russiagate? Come ricostruito nelle scorse puntate del nostro speciale, è sulla base dei suoi incontri con Papadopoulos che l’FBI afferma di aver aperto, il 31 luglio 2016, la sua indagine formale di controintelligence sulla Campagna Trump denominata “Crossfire Hurricane”. Durante uno di questi incontri, infatti, Mifsud avrebbe informato Papadopoulos di aver appreso che i russi avevano del materiale “dirt”, compromettente, su Hillary Clinton, nella forma di “migliaia di email”. Papadopoulos avrebbe poi raccontato della rivelazione di Mifsud al diplomatico australiano Alexander Downer, il quale solo dopo la notizia dell’hackeraggio dei server del Comitato nazionale dei Democratici, nel luglio 2016, informa il Dipartimento di Stato Usa, che a sua volta allerta l’FBI.

È evidente la delicatezza della materia: l’Agenzia, criticata per aver dato credito al dossier Steele, tanto da citarlo a sostegno delle sue istanze dinanzi alla Corte FISA, si è sempre difesa sostenendo che tutto fosse partito proprio dai contatti Mifsud-Papadopoulos. Ma che succede se anche quei contatti si rivelano una fabbricazione? E quale effetto avrebbe sulla credibilità dell’intera indagine del procuratore Mueller?

Nel suo rapporto conclusivo Mueller cita i legami di Mifsud con la Russia e personaggi russi, lasciando intendere che il professore sia un agente russo, e riporta che interrogato dall’FBI nel febbraio 2017 ha negato di aver detto alcunché a Papadopoulos sulle email della Clinton. Nell’arco di oltre due anni, il procuratore ha incriminato molte persone, anche solo per aver mentito all’FBI. Eppure, non ha mai accusato Mifsud. Perché? Una domanda posta direttamente a Mueller anche durante l’audizione al Congresso dal repubblicano Jim Jordan: “Why didn’t you charge Joseph Mifsud for lying to the FBI?” “I can’t get into it”, non posso rispondere su questo, è stata la risposta del procuratore. “I’m struggling to understand why you didn’t indict Joseph Mifsud”, ha incalzato un altro deputato repubblicano, Devin Nunes, ottenendo da Mueller questa replica: “You cannot get into classified or law enforcement information without a rationale for doing it and I have said all I’m going to be able to say with regard to Mr Mifsud”. Evidentemente, deve aver ritenuto di non avere motivi per dubitare della sua smentita e per pensare che potesse sapere qualcosa delle famose email. A una lettura attenta del rapporto, infatti, non afferma che il misterioso professore fosse un agente russo, ma vi allude. Più cauto dell’ex direttore dell’FBI Comey, che in un recente editoriale sul Washington Post definisce Mifsud senza mezzi termini “un agente russo”.

Senonché Mifsud è un professore maltese di base a Roma e a Londra, con frequentazioni ai più alti livelli dei circoli diplomatici e di intelligence occidentali – relazioni che guarda caso Mueller omette di menzionare nel suo rapporto. È a Roma che conosce Papadopoulos, a un evento della Link Campus University diretta dall’ex ministro dell’interno italiano Vincenzo Scotti, che forma gli agenti di Cia, FBI, MI6 e dei servizi italiani – e da cui tra l’altro proviene l’attuale ministro della difesa Trenta. Dunque, se Mifsud era un agente russo, un incredibile numero di personalità e istituzioni accademiche, politiche e di sicurezza occidentali con le quali era in stretti rapporti potrebbero essere state seriamente compromesse, una gigantesca falla nella sicurezza degli Stati Uniti e dei governi alleati. Ma Mifsud in effetti non è mai stato trattato come tale potenziale minaccia, né dall’FBI né da altri servizi occidentali. Per quasi tutto il 2017, durante l’inchiesta Mueller quindi, ha mantenuto i suoi contatti con accademici, diplomatici e politici, ha concesso interviste, scambiato email con agenti FBI. Nel dicembre 2016, quando l’Agenzia era da mesi a conoscenza dei suoi contatti con Papadopoulos e si preparava a interrogarlo, si è recato a Washington per un incontro organizzato da un’associazione sostenuta dal Dipartimento di Stato. Nessuno si è mai preoccupato dei suoi legami con la Russia.

Se allora non è un asset dei servizi russi, l’FBI e Mueller hanno però un problema nella loro narrazione. Perché nel suo rapporto il procuratore speciale suggerisce che lo sia senza in realtà affermarlo direttamente? Se fosse un asset di qualche intelligence occidentale, allora questo proverebbe che Papadopoulos è stato adescato e incastrato, già nella primavera del 2016, molto prima dell’apertura dell’inchiesta formale dell’FBI Crossfire Hurricane.

Ed è proprio questo che, attraverso il suo avvocato, Mifsud si prepara ora a raccontare, o ha già raccontato, al team Durham. Mifsud, confida l’avvocato Roh a The Hill, era “un collaboratore di lunga data dell’intelligence occidentale”, non russa, e gli fu precisamente richiesto dai suoi contatti alla Link University e al London Center of International Law Practice (LCILP), due centri accademici legati ad ambienti diplomatici e di intelligence occidentali, di incontrare Papadopoulos a Roma, ad un evento del 14 marzo 2016. Evento a cui erano presenti, come racconterà lo stesso Papadopoulos, anche il renziano e clintoniano Gianni Pittella, il senatore del Copasir Giuseppe Esposito e il direttore della Polizia Postale (la cyber intelligence italiana) Roberto Di Legami. La stessa compagnia (Mifsud, Pittella, Di Legami, Esposito) di una precedente conferenza sulla sicurezza organizzata dalla Link al Senato l’11 settembre 2015.

L’idea di presentare il giovane consigliere di Trump ai russi, ha raccontato ancora l’avvocato Roh a The Hill, non arrivò da Papadopoulos o dalla Russia, ma dai contatti dello stesso Mifsud alla Link e al LCILP (da Scotti, o dal “caro amico” Pittella?). Pochi giorni dopo l’incontro di marzo a Roma, Mifsud ha ricevuto istruzioni dai suoi superiori della Link di “mettere in contatto Papadopoulos con i russi”, incluso il direttore di un think tank, Ivan Timofeev, e una donna che gli fu chiesto di presentare a Papadopoulos come nipote di Putin. Mifsud sapeva che la donna non era la nipote del presidente russo, ma una studentessa frequentata sia alla Link che al LCILP, e ha pensato che fosse in corso un tentativo per capire se Papadopoulos fosse un “agente provocatore” alla ricerca di contatti stranieri. È evidente, ha concluso Roh parlando a The Hill, che “non fu solo un’operazione di sorveglianza, ma una più sofisticata operazione di intelligence”, nella quale Mifsud si è trovato coinvolto.

Se confermato, sarebbe una vera e propria bomba, perché dimostrerebbe tre cose. Primo, che il contatto Mifsud-Papadopoulos, su cui si basa l’apertura dell’indagine dell’FBI Crossfire Hurricane, è stato fabbricato dall’FBI stessa o da servizi di intelligence alleati, italiani e/o inglesi, quindi che la Campagna Trump era nel mirino già molti mesi prima dell’hackeraggio dei server del Comitato democratico – a cui comunque le email di cui avrebbero parlato i due non potevano riferirsi. Secondo, l’operazione che ha visto coinvolto Mifsud è avvenuta sul territorio di Paesi alleati degli Usa, Italia e Regno Unito. A questo punto, inevitabile chiedersi: i servizi di intelligence, le autorità giudiziarie e i governi di quei Paesi (Procura di Roma e Governo Renzi) ne erano a conoscenza? Che ruolo hanno avuto in questa operazione? Vi hanno preso parte? E come? L’ex presidente della Commissione Intelligence della Camera Nunes ha di recente scritto una lettera al presidente Trump in cui suggerisce una serie di domande da rivolgere alla ormai ex premier britannica May, tra le quali di “descrivere qualsiasi comunicazione o relazione che Joseph Mifsud, potenzialmente noto – scrive Nunes – anche come Joseph di Gabriele (un nome in codice non proprio british, ndr), ha avuto con l’intelligence britannica e ogni informazione in possesso del governo britannico riguardo i legami di Mifsud con qualsiasi altro governo o agenzia di intelligence”. Terzo, l’intera indagine del procuratore Mueller e il suo rapporto finale vanno visti sotto tutt’altra luce. Non si trattava solo delle interferenze russe e della potenziale ostruzione alla giustizia da parte della Casa Bianca, ma anche e soprattutto di nascondere origini e fonti della bufala Russiagate. “There’s a reason why Mueller doesn’t really, after 40 million bucks, he can’t really tell us who Mifsud is, and stops short of calling him a Russian agent”, si è chiesto Nunes in una recente intervista. “Somehow, this Mifsud guy, if he really was a Russian agent, as James Comey has said recently, my God… You have FBI compromised, State Department compromised, Congress compromised. The list goes on and on, and on of the damage Mifsud would have done”.

Allora, il lavoro di Mueller andrebbe letto attraverso le sue evidenti omissioni e ombre inquietanti si allungano sulle origini del Russiagate: quando, e sulla base di quali fonti, l’FBI ha iniziato l’indagine sulla Campagna Trump?

Nel frattempo, buttando l’occhio in casa nostra, dopo l’arrivo alla direzione del Dis del generale Gennaro Vecchione, nominato dal premier Conte, come riporta Dagospia è fuga dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, l’organismo che sovrintende ai servizi segreti e ha sotto di sé Aise (sicurezza esterna) e Aisi (sicurezza interna): se ne vanno altre tre figure di vertice, tra cui il vice direttore Enrico Savio, che raggiunge Gianni De Gennaro, di cui era braccio destro, a Leonardo. Lo stesso De Gennaro ex capo della polizia e dei servizi per decenni punto di riferimento dell’FBI in Italia.



SPECIALE ITALYGATE/6
Con il Kievgate i Democratici cercano di difendersi dalle mosse di Trump che si avvicina alle origini del Russiagate
30 Set 2019

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... ussiagate/

Al solito i nostri media mainstream hanno travisato: il “favore” non è indagare su Biden ma sullo “Spygate”. Oltre alla collaborazione di Zelensky, il presidente Usa potrebbe aver chiesto anche quella del suo amico Conte sul ruolo dell’Italia

Come nel caso Russiagate non è emersa prova di una collusione tra la Campagna Trump e la Russia, ma al contrario stanno emergendo sempre più indizi di una triangolazione dell’amministrazione Obama con agenzie e singoli stranieri (Italia, Regno Unito, Australia) per fabbricare il predicato, qualcosa di molto simile sta accadendo nell’ultimo caso, il cosiddetto Kievgate, che ha addirittura portato la speaker della Camera Nancy Pelosi ad annunciare l’avvio di una procedura di impeachment, e che, come vedremo, è strettamente legato al primo.

Ormai, infatti, c’è una surreale costante in tutti questi casi, che ovviamente non emerge dai resoconti dei media mainstream, soprattutto italiani: Trump viene accusato dai Democratici e dai media a lui ostili delle stesse identiche nefandezze che in realtà i Democratici e l’amministrazione Obama hanno già commesso, o vi sono fondati motivi di credere che abbiano già commesso contro di lui, ovvero sollecitare interferenze straniere per danneggiarlo prima e delegittimarlo poi, una volta eletto.

Il presidente Trump è accusato di aver chiesto l’aiuto del governo di un altro Paese, stavolta quello ucraino, per danneggiare i suoi avversari politici e favorire quindi la sua rielezione nel 2020. Incriminante sarebbe la telefonata Trump-Zelensky del 25 luglio scorso, portata alla luce da un whistleblower. Per ottenere la collaborazione del presidente Zelensky, infatti, pochi giorni prima della telefonata avrebbe congelato un pacchetto di aiuti all’Ucraina, anche se di questo do ut des nella conversazione telefonica non c’è traccia. Ci sono, invece, nella trascrizione diffusa dalla Casa Bianca, le parole “fammi un favore”. Ma il “favore” richiesto non è, come erroneamente riportato da praticamente tutti i media, quello di indagare su Biden o il figlio Hunter, un caso “orribile” cui Trump accenna una sola volta, quasi en passant, e su cui comunque torneremo. Non è Biden la principale preoccupazione dei Democratici, né quella del whistleblower dalla cui denuncia è partito tutto.

Trump chiede a Zelensky di cooperare con l’Attorney General Usa, William Barr, sul ruolo dell’Ucraina nelle origini del Russiagate, per capire se nelle presidenziali del 2016 interferenze straniere ci siano state, ma ai suoi danni, e se tutto sia partito proprio da Kiev, come alcuni elementi lasciano supporre. Nella telefonata Trump cita la CrowdStrike, una società incaricata dal Comitato Nazionale Democratico di indagare sull’hackeraggio dei propri server durante la campagna 2016, poi attribuito alla Russia. Ma la società non ha mai consegnato fisicamente i server all’FBI e uno di questi, che scagionerebbe Mosca, sarebbe nascosto proprio in Ucraina da uno dei fondatori della CrowdStrike, Dmitri Alperovitch. In effetti, entrare in possesso fisicamente dei server non è necessario, o almeno non è la procedura usuale, per le analisi forensi. Basta una copia del contenuto. Che però, in questo caso, è stata prelevata non direttamente dall’FBI, come la delicatezza estrema delle circostanze avrebbe forse consigliato, ma da una società privata incaricata da chi ha denunciato l’hackeraggio – in questo caso un soggetto potenzialmente mosso da finalità politiche (per esempio, quella di ricondurre in capo al proprio avversario la responsabilità ultima o il cui prodest dell’accaduto).

Ma non è il solo elemento che potrebbe collegare l’Ucraina alle origini del Russiagate. Nel suo recente libro “Ball of Collusion”, Andrew McCarthy descrive alcune delle numerose prove che dimostrano come all’inizio del 2016 le stesse agenzie dell’amministrazione Obama che avrebbero poi collaborato intensamente al Russiagate abbiano esercitato pressioni sulle loro controparti di Kiev perché riprendessero una vecchia indagine per corruzione su Paul Manafort, legato all’ex presidente filo-russo Yanukovich, appena appreso da fonti ucraine del suo imminente ingresso nella Campagna Trump. Funzionari ucraini si stavano di fatto intromettendo, su richiesta dell’amministrazione Obama, nelle presidenziali Usa.

Ancora più concreti forse gli elementi che collocano le origini del Russiagate in Italia, come abbiamo cercato di ricostruire su Atlantico con il nostro Speciale Italygate. Visto il modo in cui ne ha parlato al telefono con il presidente ucraino Zelensky, appare molto probabile che Trump abbia avuto una conversazione simile con il suo amico Giuseppi, il nostro presidente del Consiglio Conte, a proposito del ruolo di Joseph Mifsud – il professore maltese che ha adescato proprio a Roma, alla Link Campus University (che si occupa di alta formazione per agenzie di sicurezza ed intelligence occidentali), l’allora consigliere della Campagna Trump George Papadopoulos, per riferirgli che i russi avevano materiale “dirt” su Hillary Clinton. Una delle patacche da cui però è formalmente partita, il 31 luglio 2016, l’indagine dell’FBI sul Russiagate. Per altro, l’Attorney General William Barr – con il quale Trump ha chiesto a Zelensky di cooperare – sarebbe stato in Italia per incontri ufficiali proprio in questi giorni (all’incirca dal 25 al 27 settembre) così incandescenti a Washington. Quale il motivo della sua missione, rimasta segreta fino all’ultimo? Possiamo solo azzardare un’ipotesi: Mifsud e il ruolo dei governi italiani di allora, Renzi e Gentiloni.

“L’uso di capacità di intelligence straniere e di controspionaggio contro una campagna politica americana è per me senza precedenti e una seria linea rossa che è stata superata”, ha dichiarato lo stesso Barr in un’intervista alla Cbs, confermando che “ci sono state attività di controintelligence contro la Campagna Trump” e precisando: “Non sto dicendo che non vi fossero le basi, ma voglio vedere quali erano e assicurarmi che fossero legittime”.

Ancora più duro ed esplicito, su Fox News, l’ex sindaco di New York e ora tra i legali del presidente, Rudy Giuliani, che nel confermare come le indagini dell’ispettore generale Horowitz e del procuratore Durham si stiano concentrando non solo sulla condotta dell’FBI ma anche sul ruolo di governi stranieri alleati, ha parlato di “crimini scioccanti, che colpiscono al cuore la nostra Repubblica”:

“Avevano un piano per impedire che il candidato repubblicano venisse eletto e poi hanno messo in atto un piano per rimuoverlo dalla carica sulla base di false prove e false testimonianze. Il tutto inventato dall’inizio e venduto al 90 per cento dei nostri media. Una tragedia!”

E ancora:

“Ci sono molte prove di ciò che è accaduto in Ucraina. Numerose prove di ciò che è accaduto nel Regno Unito, e in Italia. Questa è stata una enorme cospirazione per cercare di privare il popolo americano della persona che ha eletto presidente”.

Un piano a cui alcuni governi alleati si sarebbero prestati, nella convinzione, probabilmente, che avrebbe comunque vinto Hillary Clinton.

Sarebbero una decina i gruppi di documenti che potrebbero essere molto presto declassificati e divulgati, secondo quanto riportato da John Solomon su The Hill, e che “potrebbero aiutare a spiegare le recenti dichiarazioni del procuratore generale William Barr”, scrive Solomon. Uno di questi in particolare riguarda il ruolo svolto da governi alleati – Regno Unito, Australia e Italia – cui venne chiesto di assistere l’FBI nei suoi sforzi per trovare connessioni fra Trump e la Russia.

Pensate, ora, cosa potrebbe venir fuori se i governi attuali di quei Paesi collaborassero con il procuratore Barr, come Trump ha chiesto di fare al presidente ucraino Zelensky e, probabilmente, al premier italiano Conte.

E questo ci riporta alla denuncia del whistleblower riguardante la telefonata Trump-Zelensky. Non sappiamo chi sia, secondo qualcuno un funzionario della Cia vicino all’ex direttore Brennan. Sappiamo che il suo legale, Andrew Bakaj, ha lavorato in passato per l’ispettore generale della Cia, per il Dipartimento di Stato, per diversi senatori democratici, tra cui Hillary Clinton. Ma più importante del “chi”, è il “come”. Non ha assistito alla telefonata incriminata, nella sua denuncia riporta informazioni indirette, di seconda mano, molte delle quali non confermate dalla trascrizione diffusa. E soprattutto, guarda un po’, tra il maggio 2018 e l’agosto 2019, l’Intelligence Community ha segretamente eliminato il requisito secondo cui i whistleblowers devono avere una conoscenza diretta, in prima persona, degli illeciti che denunciano. Le proprietà del nuovo “Disclosure of Urgent Concern” form, scrive Sean Davis su The Federalist, indicano che è stato caricato il 24 settembre, poche ore prima cioè che la denuncia del whistleblower contro Trump fosse declassificata e resa pubblica, mentre i riferimenti a fondo pagina che è stato revisionato ad agosto 2019. Sul precedente modello, invece, era specificato “The Intelligence Community Inspector General cannot transmit information via the ICPWA (Intelligence Community Whistleblower Protection Act, ndr) based on an employee’s second-hand knowledge of wrongdoing”.

Capite che, a questo punto, Joe Biden è il piatto di contorno.

“Ah, un’altra cosa…”. Così nella telefonata Trump introduce a Zelensky il caso dei Biden, ma nell’economia dell’intera conversazione è chiaro che si tratta di una questione del tutto laterale.

Surreale comunque è che Trump sia accusato di aver chiesto l’aiuto di Zelensky dietro la minaccia di bloccare i fondi Usa all’Ucraina, quando è esattamente ciò che Biden si vanta di aver fatto, quando era vicepresidente, per ottenere il licenziamento del procuratore generale ucraino Viktor Shokin.

Ma procediamo con ordine. L’Ucraina è tuttora un Paese estremamente dipendente dagli Stati Uniti e, quindi, anche il suo nuovo presidente è sensibile alle pressioni della Casa Bianca. Ma mai quanto nel 2016, dopo la caduta del filo-russo Yanukovich e in piena offensiva russa (la Crimea era già andata), il nuovo governo ucraino di Poroshenko dipendeva finanziariamente e militarmente dall’amministrazione Obama. Nel marzo del 2016, l’allora vicepresidente Usa Biden, delegato dal presidente proprio alle relazioni con Kiev, minacciò Poroshenko di bloccare un prestito da un miliardo di dollari se non avesse licenziato il procuratore generale Shokin, che aveva aperto un’indagine per corruzione su Burisma, una compagnia energetica nel cui cda sedeva il figlio di Biden, Hunter, generosamente compensato per non meglio precisati meriti se non il suo cognome.

È lo stesso Biden, in un video del 2018, a raccontare cosa disse a Poroshenko per ottenere la rimozione del procuratore generale sgradito.

“I’m leaving in six hours. If the prosecutor is not fired, you’re not getting the money. Well, son of a bitch. He got fired. And they put in place someone who was solid”.

E con questo la sua fama di “family man” assume tutt’altre sfumature. Ma chiaramente Biden non collega la sua “estorsione” a Poroshenko all’indagine su Burisma. Sostiene che il procuratore generale era corrotto e inetto, e che la richiesta di una sua rimozione era sostenuta anche da altri Paesi alleati occidentali. Può ben darsi, ma il suo conflitto di interessi personale è nei fatti. A ottenere il licenziamento avrebbe dovuto essere qualcun altro, magari il presidente Obama in persona.

Nel marzo del 2016, l’ufficio del procuratore generale ucraino aveva infatti ancora due indagini aperte su Burisma, una per reati fiscali e una per corruzione, secondo quanto riporta John Solomon su The Hill, e avrebbe potuto interrogare Hunter Biden in piena campagna per le presidenziali 2016. La stessa compagnia ha reso noto che non si risolsero prima del gennaio 2017. Centinaia di pagine di documenti dello stesso team legale Usa che aiutò Burisma a uscirne, citati da Solomon, contraddicono la versione di Biden. Per esempio, i rappresentanti legali americani della compagnia incontrarono funzionari ucraini subito dopo il licenziamento di Shokin, offrendo le loro “scuse per la diffusione di falsa informazione da parte di rappresentanti e figure pubbliche Usa” sui procuratori ucraini, si legge negli appunti ufficiali del governo di Kiev. Perché, se il motivo della rimozione era la sua corruzione e incapacità, porgere le loro scuse e definire queste accuse “falsa informazione”?

È certo che la faccenda si tramuti anche in un vantaggio elettorale per il presidente Trump, riguardando il suo possibile sfidante nel 2020, ma ciò non significa che non sia rilevante e non debba essere approfondita e indagata. C’è un possibile reato, o una condotta gravemente inappropriata da parte di un ex funzionario di altissimo grado dell’amministrazione Usa – che coinvolge uno stato estero ed è di tutta evidenza di interesse nazionale – e l’amministrazione attuale dovrebbe chiudere entrambi gli occhi, lasciar correre, perché indagare lo danneggerebbe politicamente avvantaggiando il presidente in carica?

Insomma, in gioco per i Democratici c’è molto di più della carriera di Biden. Un piccolo sacrificio, se serve a impedire al presidente Trump e ai suoi uomini di risalire alle origini del Russiagate, che potrebbero trovarsi in Ucraina, in Italia, nella collusione tra la Campagna Clinton, il DNC, l’amministrazione Obama e governi stranieri alleati. Quando qualcuno ha saputo che Trump aveva parlato con Zelensky della CrowdStrike, dev’essere scattato l’allarme rosso tra i funzionari di Cia e Dipartimento di Stato ancora fedeli a Obama e all’ex direttore Brennan. Anche perché non ci sono più Comey e Mueller a coprire…




Ciclone SpyGate: anche il capo della CIA a Roma per incontrare i vertici dei nostri servizi, mentre Durham estende la sua indagine
10 ottobre 2019

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... vEoC97G-C4

Il meeting tra i nostri servizi e la CIA programmato da tempo, fanno sapere fonti informate, ma era programmata da due mesi e mezzo anche la presenza del direttore Gina Haspel?

Qualsiasi cosa si siano detti i capi dei nostri servizi segreti e gli uomini del presidente Trump, l’Attorney General William Barr e il procuratore John Durham, giunti in Italia a fine settembre per raccogliere informazioni utili alla loro indagine sulle origini del Russiagate e il possibile coinvolgimento del nostro Paese (qui lo Speciale di Atlantico), pochi giorni dopo la loro visita lo stesso Durham ha deciso di ampliare la sua inchiesta: più uomini, più mezzi, sotto esame un arco temporale più esteso, secondo quanto riporta Fox News.

Non solo. Ancora non si sono placate le polemiche su questi incontri, definiti “irrituali”, ed ecco sbarcare a Roma il direttore della CIA, Gina Haspel, per un vertice tenutosi ieri mattina nella sede unitaria dell’intelligence italiana a Piazza Dante.

Le agenzie di stampa italiane hanno riportato che l’incontro sarebbe avvenuto a metà mattinata. Anche stavolta, per i nostri servizi, gli stessi protagonisti dell’incontro con Barr e Durham di fine settembre: il direttore del Dis Gennaro Vecchione e i direttori di Aise e Aisi Luciano Carta e Mario Parente. Una delle critiche avanzate nei giorni scorsi riguardava proprio la disparità di status e la diversità di ruoli tra il ministro della giustizia Usa, un politico, e i capi della nostra intelligence, ai quali una richiesta di collaborazione sarebbe dovuta semmai arrivare attraverso le loro controparti americane: la CIA, cioè Gina Haspel.

Ma nel corso della riunione con il capo della CIA, programmata oltre due mesi e mezzo fa, hanno subito precisato fonti bene informate all’Adnkronos, “non si è toccato il tema del Russiagate ma altre questioni programmate da tempo”, tra cui la prossima visita negli Stati Uniti del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che a Washington incontrerà anche il presidente Trump.

Alcuni interrogativi però sono inevitabili. Solo una casualità che la Haspel sia arrivata a Roma proprio nel pieno del terremoto nei palazzi del potere causato dagli incontri, autorizzati dal premier Conte, tra la coppia Barr-Durham e i capi dei nostri servizi? Dunque, proprio mentre il mondo politico italiano scopre che il nostro Paese si trova coinvolto – bisognerà capire in quali forme – nelle origini del Russiagate? Un meeting programmato da tempo, viene assicurato attraverso le agenzie di stampa, ma anche la presenza del capo della CIA era programmata con due mesi e mezzo di anticipo? Ed era necessario scomodare tutti i capi per preparare la visita di Mattarella?

Naturalmente non si ha notizia di tutti i suoi spostamenti, ma per intendersi, un anno fa la Haspel andò in Turchia per il caso Khashoggi e lo scorso aprile in Afghanistan mentre l’amministrazione Trump era impegnata nei negoziati con i Talebani.

Da tenere presente anche che nel 2016 era capo stazione della CIA in Europa, a Londra, quindi nel periodo in cui nella capitale britannica avvenivano gli incontri tra Mifsud e Papadopoulos e in cui l’allora consigliere della Campagna Trump incontrava, in sequenza, il diplomatico australiano Alexander Downer e il professor Stefan Halper, accompagnato dalla seducente “Azra Turk”, agente dell’FBI sotto copertura secondo quanto rivelato dal New York Times.

Inoltre, come riportava il 14 maggio scorso la corrispondente della Cnn al Dipartimento di Giustizia, Laura Jarrett, l’AG Barr “sta lavorando a stretto contatto”, nelle indagini sulle origini del Russiagate e la sorveglianza della Campagna Trump nel 2016, proprio con il direttore della CIA Gina Haspel, oltre che con il direttore della National Intelligence Dan Coats (rimosso a luglio dal presidente Trump) e con il direttore dell’FBI Christopher Wray. A dimostrazione di uno sforzo di cooperazione inter-agenzie per ricostruire cosa sia accaduto, se vi fossero motivi legittimi per “spiare” la Campagna Trump e il team del presidente eletto, quali agenzie sono state coinvolte e se hanno operato nel rispetto di norme e procedure. Proprio in quelle settimane la Haspel era stata avvistata più volte al Dipartimento di Giustizia.

Tornando a Durham, secondo quanto riporta Fox News, citando “molteplici alti funzionari dell’amministrazione” Usa, il procuratore sta ora indagando su una “timeline”, una cronologia di eventi “più ampia di quanto precedentemente noto”.

Non solo i giorni che portarono alle elezioni del 2016 e il periodo tra il voto e l’inaugurazione della presidenza Trump, il 20 gennaio 2017. Sulla base dei riscontri ottenuti, Durham ha deciso di “estendere” la sua indagine, sia “aggiungendo agenti e risorse”, sia ampliando la cronologia di eventi presa in considerazione, che ora include anche il periodo post-elettorale almeno fino alla primavera del 2017, quando Robert Mueller venne nominato procuratore speciale.

Fox News ricorda quindi che “di recente Barr e Durham si sono recati in Italia per parlare dell’indagine con funzionari delle forze dell’ordine” e che “hanno avuto conversazioni anche con funzionari nel Regno Unito e in Australia”, “secondo molteplici fonti a conoscenza degli incontri”.

Il procuratore “sta raccogliendo informazioni da numerose fonti, tra cui un certo numero di Paesi stranieri. Su richiesta dell’Attorney General Barr, il presidente (Trump, ndr) ha contattato altri Paesi per chiedere loro di presentare il procuratore generale e Mr. Durham a funzionari appropriati”, ha dichiarato il mese scorso la portavoce del Dipartimento di Giustizia Kerri Kupec. Durham si sta concentrando sull’impiego e i compiti assegnati agli informatori dell’FBI che sono entrati in contatto con alcuni membri della Campagna Trump, nonché sui presunti abusi commessi nelle richieste dei mandati di sorveglianza FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act). Al procuratore Durham, l’AG Barr ha chiesto di aiutarlo ad “assicurarsi che le attività di raccolta di informazioni del governo degli Stati Uniti relative alla campagna presidenziale di Trump 2016 fossero legittime e appropriate”.

Chiedere la collaborazione di governi stranieri nelle indagini condotte dal DOJ non è inusuale. Per la sua indagine, Mueller inoltrò 13 richieste di prove e documenti a governi stranieri, la maggior parte nella primavera-estate del 2018. Se una o più di esse sono state inoltrate all’Italia, magari su Mifsud, non c’è ancora dato sapere.

Intanto, sempre ieri il leghista Raffaele Volpi, ex sottosegretario alla difesa, è stato eletto nuovo presidente del Copasir, il Comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti, che dunque potrà tornare pienamente operativo. Il compito è arduo, perché il coinvolgimento del nostro Paese nelle dinamiche politiche, persino elettorali americane, non nasce oggi, quindi non è limitato alla pur discutibile condotta del premier Conte, ma risale al 2016, come evidenziato nelle numerose puntate del nostro Speciale.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom ott 20, 2019 6:26 pm

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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom ott 20, 2019 6:26 pm

Elezioni in Canada, così il "Trump di Ottawa" può battere Trudeau
Francesco Boezi
20 ottobre 2019

https://it.insideover.com/politica/elez ... vSHDpIPbow

Tempo di elezioni in Canada, dove la polarizzazione politica emersa negli Stati Uniti con le presidenziali del 2016 rischia di trovare ulteriore terreno fertile. Per ora, la maggioranza degli elettori si è spesso contraddistinta per assecondare l’ideologia progressista, ma la sensazione è che dalla giornata di domani più di qualcosa possa cambiare.

Perché se Justin Trudeau, nel tempo, è divenuto un modello per tutta la sinistra occidentale, campione dell’internazionalismo, che dinanzi a sé sembrava avere solo un’autostrada politica priva di ostacoli, dall’altra parte qualcosa si è rotto nell’incantesimo canadese. E gli eventi hanno fatto sì che la sua figura venisse ridimensionata. Un po’ com’è successo in Europa con Emmanuel Macron. Mentre il quarantenne Andrew Scheer ha iniziato davvero a confidare nel miracolo.

Se Justin Trudeau rappresenta plasticamente la sinistra del domani, Andrew Scheer è una sorta di balzo indietro nel conservatorismo. Sulla sua piattaforma elettorale si parla, oltre che di libertà, di protezionismo economico. Dopo quella offerta da Boris Johnson, insomma, Donald Trump può trovare un’altra sponda anglosassone, con qualche elemento di sovranismo populista. Ma bisogna che le elezioni confermino quello che in questi anni gli analisti hanno solo potuto supporre, ossia che l’enfant prodige Trudeau, che può contare sulle incondizionate simpatie di Barack Obama, per dirne una, stia davvero percorrendo una discesa ripida. Quella da cui potrebbe non rialzarsi con estrema facilità. Sono i sondaggi a disegnare una parabola che non può tranquillizzare gli animi del primo ministro uscente e dei suoi sostenitori.

Stando a quanto riportato dagli ultimi sondaggi, è infatti lecito parlare di un serrato testa a testa. La formazione politica di Scheer, cioè i conservatori, ha un vantaggio tanto risicato quanto rimarcabile: 2 punti percentuali. I liberali di Trudeau, invece, si attestano attorno al 30%. Numeri che non bastano a determinare il quadro, ma che segnalano come il Presidente del Canada sia comunque chiamato a fare una valutazione di quanto accaduto in questi quattro anni: se andasse davvero come segnalato della rilevazioni, Justin Trudeau avrebbe perso quasi 10 punti percentuali in meno di cinque anni. In ausilio del leader liberale, però, può arrivare il sistema elettorale canadese, che differisce dal nostro, ma che tiene in considerazione le maggioranze parlamentari. La scacchiera delle alleanze, insomma, può fare da salvagente.

I primi indiziati per contrarre un accordo sull’esecutivo, come approfondito sempre sulla fonte sopracitata, sono i Democratici e gli ecologisti dei Verdi. Un centrosinistra allargato, insomma, può consentire a Trudeau di rimanere in sella nonostante tutto. Il discorso cambia in relazione ad Andrew Scheer, che è originario di Ottawa come il suo rivale, se non altro perché gli attori politici con cui può dialogare sono meno e, soprattutto, sembrano destinati a pesare poco in termini di scranni conquistati. Il fatto di arrivare dinanzi ai Liberali, insomma, può lasciare l’amaro in bocca: l’esito finale può declinarsi in una vittoria di Pirro. Resterebbe, comunque, il fatto di essersela giocata quasi alla pari.

Sappiamo quali siano le spade di Damocle che si sono abbattute sul percorso intrapreso dal leader progressista: dalla fotografia della “brownface” al presunto favoreggiamento che è stato ventilato. In tutto il mondo anglosassone, gli scandali hanno una funzione per nulla relativa in termini di credibilità. Ma per far sì che Justin Trudeau sparisca dall’agone, i canadesi dovrebbero bocciarlo di netto, relegandolo in una posizione del tutto minoritaria.

Crediamo sia possibile evidenziare la difficoltà che un fenomeno del genere venga registrato, per quanto le più grosse novità elettorali, in questo quinquennio, siano provenute proprio da Stati Uniti e Gran Bretagna. Escludere l’avvento di una rivoluzione conservatrice sarebbe azzardato. E i paragoni tra Andrew Scheer e Donald Trump si sprecano: anche Hillary Clinton pareva distare dalla Casa Bianca pochi centimetri. Sappiamo com’è andata a finire.



Elezioni in Canada, Trudeau perde la maggioranza ma resta alla guida del governo. E Trump lo chiama

Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington
22 0ttobre 2019

https://www.corriere.it/esteri/19_ottob ... 2d56.shtml

Justin Trudeau perde la maggioranza assoluta, ma resta al governo in Canada. Potrà formare un esecutivo di minoranza e cercare i voti che mancano in Parlamento.
Dopo un «testa a testa» con i conservatori di centro destra guidati da Andrew Scheer, il premier uscente si troverà quindi a capo di un governo di minoranza.
«I canadesi hanno votato a favore di un’agenda progressista» ha detto Trudeau nel primo discorso dopo aver vinto le elezioni. Sorridente e commosso, accompagnato dalla moglie Sophie, il premier ha ringraziato gli elettori e ha fatto appello all’unità del Paese ribadendo che continuerà il suo impegno sulla strada finora seguita, dalla lotta ai cambiamenti climatici al controllo delle armi, dall’inclusività all’immigrazione. «È sempre possibile fare meglio», ha aggiunto.
Il suo primo interlocutore è l’Npd, New Democratic Party, formazione di orientamento socialista che con i suoi 25 deputati potrà condizionare l’agenda del primo ministro. Il suo leader, il sikh con il turbante Jagmeet Singh, ha riferito di aver già parlato con il premier uscente e che lavorerà duro per ottenere risultati sulle priorità del paese. Parole che lasciano intendere la volontà di cooperare e sostenere il futuro governo di minoranza dei liberali.

Calo di popolarità

Trudeau, che negli ultimi quattro anni ha governato con la maggioranza assoluta, ha visto diminuire la sua popolarità per non essere stato quel premier «del cambiamento» che aveva promesso. Il suo impegno ambientale, ad esempio, è stato offuscato dal suo sostegno al progetto di espansione dell’oleodotto Trans Mountain. Abbandonato anche il progetto di mettere in atto una riforma elettorale federale. Il leader liberal ha dovuto affrontare anche qualche scandalo finanziario e le ombre del passato (i travestimenti con la faccia dipinta di nero).

I voti

Le ultime proiezioni, diffuse alle 23.30 del 21 ottobre alla tv pubblica Cbc news, assegnano al Partito liberale, guidato dal premier in carica, 156 seggi su 338 disponibili: al di sotto quindi dei 170 che gli avrebbero garantito l’autosufficienza e lontano dai 184 conquistati nel 2015. I supporter del partito liberale festeggiano nella notte in un albergo di Montreal: il leader esce ammaccato, ma non sconfitto in una prova elettorale piena di insidie.

Le congratulazioni di Trump

Tra i primi a congratularsi, il presidente americano Donald Trump. Si tratta di una «vittoria meravigliosa e molto combattuta», ha scritto Trump. «Il Canada sarà ben servito. Non vedo l’ora di lavorare con te per il progresso di entrambi i nostri Paesi!», ha aggiunto il presidente americano.

La formula trumpiana non ha sfondato

Il suo avversario principale, Andrew Sheer, 40 anni, capo del partito conservatore ha tentato di importare la formula trumpiana in Canada: negazione del climate change, stretta anti-abortista e anti-immigrazione. Ha battuto i liberal, sia pure di poco, nel voto popolare (34,1% contro il 33,5%), ma non ha sfondato nella conta dei seggi, fermandosi a quota 121 (sempre stando alle proiezioni Cbs news). Il sistema elettorale di questo grande Paese federale somiglia in parte a quello americano: si può finire all’opposizione, anche se si ottengono più consensi tra gli elettori. I seggi sono assegnati ai singoli Stati non solo sulla base della popolazione, ma anche di indicatori socio-economici. Questo significa che le aree più ricche e produttive, a cominciare dall’Ontario e dal Quebec, non hanno creduto nella formula trumpiana.

La ricerca di nuovi equilibri

Trudeau, però, dovrà sudare. Il meccanismo di ripartizione penalizza i Verdi guidati da Elizabeth May, cui vanno solo 3 posti in Parlamento, nonostante un risultato intorno all’6,3%. Bisognerà, inoltre, verificare quale sarà l’atteggiamento del Bloc Quebecois, portavoce delle spinte autonomiste della regione francofona del Quebec. Il leader del Bc, Yves-Francois Blanchet, ha triplicato i seggi, arrivando a quota 32, conducendo una campagna contro il governo in carica. Adesso, però, dovrà decidere se scongelare i voti, mettendoli sul tavolo di una possibile trattativa con Trudeau. Il primo ministro è chiamato a comporre un nuovo equilibrio politico, tenendo insieme l’attenzione per l’ambiente e lo sviluppo economico (per esempio l’enorme Trans Mountains pipeline per trasportare il greggio). La strada è aperta per il Trudeau II.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » ven ott 25, 2019 6:55 am

Spygate, Trump: "Vedrete cose incredibili, forse Obama coinvolto"
Roberto Vivaldelli
23 0ttobre 2019

https://it.insideover.com/politica/vedr ... 7eITOiLXU4

C’è grande attesa per la pubblicazione del primo dei due rapporti sulle inchieste avviate dall’amministrazione Usa sulla vicenda Spygate/Russiagate. Come ricorda l’Agi, la prima indagine, guidata Michael Horowitz, è incentrata sul presunto controllo della campagna presidenziale di Trump nel 2016 e sul possibile abuso del Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa) da parte di Barack Obama”. Horowitz ha anche esaminato il motivo per cui l’Fbi ha considerato credibile il rapporto sul Russiagate redatto dall’ex spia britannica Christopher Steele, il dossier finanziato in parte dalla Fusion Gps, dal Washington Free Beacon, dal Democratic National Committee e dalla campagna di Hillary Clinton, che contiene affermazioni infondate secondo cui gli agenti dell’intelligence russa avrebbero filmato il presidente Trump con delle prostitute in un hotel di Mosca.

Il primo dei due rapporti potrebbe essere pubblicato a giorni, notizia che il Presidente Usa Donald Trump commenta così a Fox News: “Il rapporto uscirà presto, e vedremo cosa succede. Ma prevedo che vedrete cose a cui non credere per il livello di corruzione, che si tratti di James Comey, Peter Strzok o la sua amante, Lisa Page o di altre persone come Andrew McCabe, o dello stesso Presidente Barack Obama. Vediamo se Obama è coinvolto o meno, se lo inseriscono o meno”. La pubblicazione di quel rapporto tanto atteso, nota Fox News, molto probabilmente darà il via a nuove indagini del Congresso su abusi o presunti tali del Dipartimento di Giustizia e dell’Fbi.

Horowitz sarà ascoltato in audizione pubblica

Il senatore Lindsay Graham ha “promesso di sondare i presunti abusi” delle agenzie “all’origine dell’indagine russa”, sottolineando che avrebbe cercato risposte “su quanti soldi i democratici hanno pagato alla società di ricerca Fusion Gps per commissionare il dossier redatto da Steele, o se il contenuto del fascicolo è stato verificato”. Parlando a “Sunday Morning Futures” su Fox Business, il senatore Graham ha dichiarato: “Non appena Horowitz avrà terminato la sua inchiesta sull’applicazione del mandato Fisa ( https://it.wikipedia.org/wiki/Foreign_I ... llance_Act ) alla campagna di Trump, organizzeremo un’audizione pubblica con Horowitz e chiameremo un mucchio di testimoni”.

Come ricorda Federico Punzi su Atlantico Quotidiano, in realtà è dal 13 settembre scorso che l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia Michael Horowitz ha informato il Congresso di aver notificato a William Barr la conclusione della sua indagine sui presunti abusi da parte di Fbi e Dipartimento di Giustizia nei mandati Fisa (Foreign Intelligence Surveillance Act) che hanno autorizzato la sorveglianza di un collaboratore della Campagna Trump prima e dopo il voto del 9 novembre 2016. Un funzionario del Dipartimento di Giustizia ha dichiarato a Fox News la scorsa settimana che il rapporto è ancora in fase di declassificazione, una delle fasi finali da completare prima che venga reso pubblico. “L’Fbi e il Doj stanno lavorando insieme senza intoppi sul processo di declassificazione”, ha spiegato il funzionario a Fox News.

Come sottolinea Punzi, non solo il falso Dossier Steele, anche i rapporti Papadopoulos-Mifsud sarebbero entrati nella richiesta di mandato Fisa da parte dell’Fbi per rafforzare il sospetto della collusione con la Russia, ma tenendo nascosti alla corte preposta significativi dettagli su come quelle “prove” erano state ottenute – e in particolare l’interrogatorio in cui Mifsud ha smentito di aver detto alcunché a Papadopoulos sulle email della Clinton.

L’Fbi sapeva che il dossier contro Trump era inattendibile

Ma chi è Christopher Steele? Fu proprio lui, come rivelò il Guardian, a confezionare il documento pubblicato poi da BuzzFeed, dal quale emergevano contatti frequenti tra lo staff di Donald Trump e gli intermediari del Cremlino durante la campagna elettorale del 2016. Un dossier che poi si è rivelato essere in larga parte infondato e falso, come lo stesso ex membro dell’agenzia di spionaggio per l’estero della Gran Bretagna ha ammesso.

Come ha spiegato il giornalista investigativo John Solomon su The Hill. “Il resoconto del vice segretario di Stato Kathleen Kavalec del suo incontro dell’11 ottobre 2016 con l’informatore dell’Fbi Christopher Steele” ci dice una cosa: “Che il già funzionario dell’intelligence britannica, finanziato dalla campagna elettorale di Hillary Clinton, ammise che la sua ricerca era politica e doveva produrre qualcosa entro la data delle elezioni del 2016″. Quella confessione, osserva Solomon, avvenne 10 giorni prima che l’Fbi usasse il dossier completamente screditato di Steele per giustificare l’ottenimento di un mandato del Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa) per sorvegliare l’ex consigliere della campagna Trump, Carter Page.


John Durham estende le indagini

Nel frattempo, come ha riportato InsideOver, l’indagine condotta dal team investigativo guidato dal procuratore John Duhram e dall’Attorney general William Barr sull’operato delle agenzie federali alle origini del Russiagate si estende e ora copre un arco temporale che interessa, per quanto riguarda anche l’Italia, compreso il governo Gentiloni. Come riporta Fox News, Durham sta sondando una linea temporale più ampia di quanto precedentemente noto, secondo diversi funzionari dell’amministrazione Trump: il periodo preso in esame va dal 2016 – prima delle elezioni presidenziali di novembre – fino alla primavera del 2017, quando Robert Mueller viene nominato procuratore speciale per il Russiagate. Il procuratore Durham, detto “bulldog”, sta raccogliendo informazioni da numerose fonti, tra cui un certo numero di Paesi stranieri, tra cui l’Italia. Nel mirino, come più volte abbiamo rimarcato, c’è il docente maltese Joseph Mifsud e la sua rete di relazioni, anche con l’intelligence.

Indagine che ora si allarga e che potrebbe coinvolgere i vertici dell’Fbi e della Cia e gli ex funzionari che hanno dato origine al Russiagate. Come riporta il New York Times, che cita alcuni ex funzionari e altre persone informate sui fatti, i pubblici ministeri hanno intervistato circa due dozzine di ex e attuali funzionari dell’Fbi. Secondo il Nyt, tuttavia, Durham non ha ancora interrogato tutti i funzionari del Bureau che hanno svolto ruoli chiave nell’aprire le indagini sulla collusione russa nell’estate del 2016: non ha ancora parlato con Peter Strzok, l’ex agente che ha aperto l’inchiesta; con l’ex direttore James B. Comey o il suo vice, Andrew G. McCabe; o James A. Baker, poi consigliere generale dell’ufficio.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » dom ott 27, 2019 6:39 pm

Trump conferma: 'Al Baghdadi è morto, si è fatto esplodere'
27 ottobre 2019

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2 ... 85f63.html


LE PAROLE DI TRUMP DALLA CASA BIANCA

Il leader dell'Isis Abu Nakr al Baghdadi è stato ucciso nel corso di un raid americano in Siria. Lo annuncia il presidente Usa Donald Trump dalla Diplomatic Reception Room della Casa Bianca con il vicepresidente Mike Pence e altri massimi responsabili della sua amministrazione."E' morto dopo essere fuggito in un vicolo cieco, piangendo e urlando. Al Baghdadi si è fatto saltare in aria e ha ucciso tre dei suoi figli che erano con lui' annuncia Trump. Donald Trump ha detto di aver "visto in diretta" il blitz contro Abu Bakr al Baghdadi nella Situation Room della Casa Bianca. Il raid è durato circa due ore "E' stato come guardare un film", ha aggiunto. Nel blits sono stati usati 8 elicotteri 'Molte persone sono morte ma tra le nostre truppe non è morto nessuno" ha detto il presidente americano aggiungendo che un cane delle forze americane è rimasto ferito.

Il leader dell'Isis Abu Bakr al-Baghdadi "era un uomo malato e depravato, violento ed è morto come un codardo, come un cane, correndo e piangendo". Lo afferma Donald Trump aggiungendo che "ora il mondo è un posto più sicuro". "Questo raid è stato impeccabile ed è stato reso possibile grazie all'aiuto della Russia, Siria, Turchia e Iraq e anche dei curdi siriani. Tutti ci hanno dato informazioni utili, soprattutto i curdi. E la Turchia era a conoscenza dell'operazione"."Il leader dell'Isis Abu Bakr al Baghdadi è stato in fuga per anni ma sotto la mia direzione abbiamo distrutto il suo Califfato. Continueremo a perseguire i terroristi. I terroristi non devono mai dormire tranquilli perché devono sapere che noi siamo qui per catturarli e ucciderli. Non possono sfuggire al loro destino né al giudizio finale di Dio".

Gli Usa hanno lanciato un raid nel nord della Siria contro il leader dell'Isis Abu Bakr al-Baghdadi che si sarebbe ucciso. Verifiche sono in corso ma fonti del Pentagono fanno sapere che il terrorista, sorpreso all'interno di un compound mentre era in compagnia di alcuni familiari, si sarebbe fatto saltare in aria azionando un giubbotto esplosivo che portava addosso. Per questo motivo solo la prova del Dna potrà dare la certezza della sue morte. La detonazione avrebbe ucciso anche due delle mogli di al Baghdadi che erano accanto a lui. Chi è al Baghdadi, il califfo dalle sette vite. L'operazione, top secret, approvata da Trump una settimana fa, sarebbe scattata ieri. Il ministero della difesa turco fa sapere, tramite l'agenzia di stampa Anadolu, che "la Turchia ha scambiato informazioni e si è coordinata con gli Stati Uniti prima dell'operazione americana per uccidere il capo dell'Isis nel nord della Siria". Anche i curdo-siriani plaudono al raid. "Un'operazione storica e di successo grazie a un lavoro congiunto di intelligence con gli Stati Uniti d'America". Lo scrive su Twitter il generale Mazloum Abdi, il leader militare dei curdo-siriani, riuniti nella sigla delle Forze democratiche siriane, senza tuttavia parlare del raid contro il capo dell'Isis Abu Bakr al Baghdadi. Il 24 ottobre Abdi aveva avuto una conversazione telefonica con Donald Trump che lo aveva poi elogiato in un tweet: "Ha apprezzato quello che abbiamo fatto, e apprezzo quello che i curdi hanno fatto".

Il leader dell'Isis Abu Bakr al Baghdadi era arrivato nel luogo in cui è avvenuto il raid americano 48 ore prima dell'operazione. Lo sostiene un alto funzionario turco secondo quanto riportato da Sky news. Anche una moglie delle sue mogli si sarebbe fatta esplodere, insieme a lui durante l'operazione del commando americano per ucciderlo. I due avrebbero fatto detonare giubbotti esplosivi che avevano indosso. Lo riferisce un alto funzionario della sicurezza irachena all'Ap, aggiungendo che altri leader dello Stato islamico sono stati uccisi nel raid.

Morte Al-Baghdadi, le immagini del leader dell'Isis nella moschea di Mosul nel 2014

Social media e siti internet legati all'Isis non confermano per il momento la morte di Abu Bakr al Baghdadi ma esortano i seguaci in tutto il mondo a "continuare la jihad anche se la notizia fosse vera" definendo già il loro leader come "martire della guerra santa". Lo scrive su Twitter Rita Katz, direttore del Site, il sito che monitora il jihadismo sul web.

I seguaci di Al Qaida stanno festeggiando online e sui social la notizia della morte del leader dell'Isis Abu Bakr Al Baghdadi che ancora non è stata confermata ufficialmente. Lo scrive su Twitter Rita Katz, direttore del Site, il sito che monitora il jihadismo sul web.



Trump conferma: "Abbiamo ucciso Abu Bakr al Baghdadi"
Autore Lorenzo Vita
27 ottobre 2019

https://it.insideover.com/guerra/la-vit ... v8w3xJVuvQ

È un Donald Trump entusiasta e decisamente soddisfatto quello che si è presentato davanti ai giornalisti per confermare l’uccisione di Abu Bakr al Baghdadi. Il presidente degli Stati Uniti ha confermato davanti alle telecamere il raid notturno delle forze speciali americane che ha portato alla morte del fondatore e leader dello Stato islamico. E per il capo della Casa Bianca si tratta di un risultato unico, sicuramente fondamentale non solo per la sua amministrazione (e la sua prossima elezione) ma anche per la sua strategia in Medio Oriente e nel mondo.

Le parole del presidente Usa sono chiare, ferme, posate. Trump non ha solo dato informazioni precise sul raid, ma ha anche dato importanti segnali per suo impegno nella lotta al terrorismo islamico e alla sua agenda politica internazionale. Per quanto riguarda il raid, il capo della Casa Bianca ha dichiarato che si è trattato di un blitz notturno compiuto dalle forze speciali statunitensi e diretto precisamente contro il compound di al Baghdadi. Un intervento chirurgico con otto elicotteri, come avevano già affermato le fonti della Difesa, che hanno bombardato il bunker per perforare le pareti e permettere l’individuazione del Califfo, nascosto in una delle gallerie sotto l’edificio nei pressi di Idlib. “Siamo rimasti nel compound oltre due ore” ha detto il capo di Stato americano, aggiungendo che “le nostre forze hanno concluso la missione in grande stile”. Poi, una volta individuata la galleria, le forze speciali sono intervenute in massa: ma non sono loro ad aver ucciso il fondatore dell’Isis. “Abu Bakr Al Baghdadi ha fatto esplodere il suo giubbotto e ha ucciso tre bambini che erano con lui” ha ammesso Trump. A quel punto la galleria è crollata sul corpo del Califfo e i resti del cadavere sono stati portati sugli elicotteri delle forze speciali per poi essere analizzati. La conclusione di Trump è chiara: “È morto da vigliacco, scappando e piangendo. Ora il mondo è più sicuro”.

Ma oltre alla cronaca dell’intervento delle forze speciali, è importante sottolineare anche alcune frasi più “politiche” del presidente americano. Innanzitutto, un primo dato da sottolineare è il ringraziamento alla Russia. Non un dato così scontato in un periodo in cui lo stesso Trump è assediato a livello mediatico e politico dall’inchiesta sul Russiagate ma da cui sta uscendo anche grazie alla contro-inchiesta della sua amministrazione. Trump ringrazia i russi e non si vergogna a farlo. Ha detto che Mosca ha aiutato gli Stati Uniti garantendo lo spazio aereo e aprendo alcune basi, perché “loro odiano l’Isis come noi”.

Una dichiarazione importante così come è importante un altro ringraziamento: quello rivolto ai siriani e ai curdi. Due popoli con cui l’America ha rapporti controversi. Il governo siriano è sempre stato il nemico dell’amministrazione che ha preceduto Trump, visto che Barack Obama e Hillary Clinton hanno investito nella guerra in Siria anche per far fuori Bashar al Assad. I curdi, al contrario, sono stati alleati degli Stati Uniti e veri e propri boots on the ground durante la liberazione della Siria dallo Stato islamico, ma con il semaforo verde dato a Recep Tayyip Erdogan, i rapporti si sono fatti estremamente tesi. Eppure, nonostante questi rapporti difficilissimi, i siriani vengono ringraziati da Trump e i curdi hanno collaborato con Washington per l’uccisione di Abu Bakr al Baghdadi.

Se a questi ringraziamenti si aggiunge quello rivolto alla Turchia, che ha concesso lo spazio aereo e collaborato con l’intelligence statunitense, il quadro appare complesso ed estremamente interessante. Quello di Trump sembra un discorso che vuole far capire a determinati attori di essere perfettamente in linea con altre amministrazioni. Mentre con altri Paesi la sfida è aperta, soprattutto con quelli europei. Il presidente degli Stati Uniti ha confermato la volontà di ritirarsi dal Medio Oriente e ha anche specificamente fatto capire di aver interesse nel formulare accordi con tutte le potenze coinvolte nel conflitto in Siria e Iraq ma per giungere a una situazione di tregua che non leda gli interessi americani che, mai come in questa amministrazione, appaiono distanti dal Medio Oriente. Ma dall’altro lato, l’attacco all’Europa è feroce, così come è molto interessante il fatto che il capo della Casa Bianca non abbia voluto espressamente menzionare Israele come partner della guerra al Califfato. È un Trump d’assalto. quello che sbaraglia le carte e che per la prima volta può diversi veramente vittorioso. Ma adesso passa all’attacco: risolto il problema Isis, gli occhi sono puntati sui suoi avversari. E questa morte non gli ha fatto dimenticare quali saranno le sue prossime partite, la prima delle quali è contro quell’Europa che non ha fatto nulla, a suo dire, per sconfiggere lo Stato islamico. È l‘America di Trump: quella che vuole (ma non può) fare a meno dell’Europa e dei suoi partner e che vuole cambiare, a lungo termine, il suo orientamento nei confronti del mondo.
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Re: Trump Donald

Messaggioda Berto » lun nov 04, 2019 7:35 am

Usa, il muro di Trump al confine con il Messico? "Già pieno di buchi". Lo dice un documento riservato dell'Agenzia federale
3 11 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/1 ... e/5546022/

I muri non servono, si dice. Tra Stati Uniti e Messico la circostanza è letterale: il nuovo muro voluto dal presidente americano Donald Trump è tutt’altro che impenetrabile e negli ultimi mesi è stato attraversato negli ultimi mesi da trafficanti di droga o semplici famiglie all’inseguimento dell’american dream. A denunciare la ripetuta apertura di varchi lungo il muro che dalla California arriva al Texas, diventato uno dei simboli della presidenza di Trump, sono gli stessi agenti federali: il Washington Post ha infatti pubblicato un documento interno allo Us Customs and Borders Protection, l’agenzia federale che si occupa della protezione delle frontiere, che mostra i metodi utilizzati per superare la barriera, alta quasi dieci metri e costata 10 miliardi di dollari. Il più comune è quello di segare i pali di cemento a cui sono agganciati i pannelli di acciaio con una sega elettrica su cui viene montata una lama professionale, in grado di tagliare quasi qualunque tipo di materiale. A quel punto basta spingere il pannello per aprire un passaggio. Un gioco da ragazzi soprattutto per i trafficanti che agiscono di notte e alcuni dei quali, nonostante l’altezza del muro, continuano ad utilizzare delle scale improvvisate per scavalcarlo.

Una ricostruzione, quella del documento inviato all’agenzia federale, che può avere il sapore della beffa per Trump, a un anno dalle elezioni in cui cerca la riconferma: l’inquilino della Casa Bianca ha puntato il grosso della sua azione politica proprio sulla difesa dei confini dai flussi migratori dal Centro America e che per questo aveva voluto un muro che per (pretesa) resistenza e alta tecnologia lui stesso aveva paragonato a una Rolls Royce.

Trump, in realtà, avrebbe voluto il muro interamente di cemento. Ma gli addetti ai lavori gli suggerirono che la struttura con sbarre di acciaio permetteva agli agenti un maggior controllo, potendo guardare al di là del confine. “Non ne so nulla”, si è limitato a rispondere Trump a chi gli chiedeva informazioni sull’efficacia reale del muro, spiegando solo che l’opera è stata concepita per rendere facile ed immediata la chiusura di ogni varco.

I sondaggi di queste ore non vanno proprio alla grande per il presidente statunitense: secondo quello pubblicato da Nbc e Wall Street Journal quasi la metà degli americani sostiene l’impeachment (il 49 per cento), mentre se si votasse oggi sia Joe Biden sia Elizabeth Warren (cioè i principali candidati democratici) batterebbero Trump rispettivamente con 9 e 8 punti di scarto. È molto presto per qualsiasi conclusione e proprio l’elezione che ha portato il tycoon alla Casa Bianca ha fatto capire che lascia il tempo che trova anche la dura contestazione di una parte degli spettatori del Madison Square Garden, a New York, dove si è presentato dopo aver trasferito la sua residenza principale in Florida: a fischi, buu e gestacci hanno risposto diversi fan. “Era come stare a un comizio” ha tagliato corto Trump.




Il muro di Trump? Non regge: «i trafficanti lo tagliano in mezz’ora»
Guido Olimpio
3 11 2019

https://www.corriere.it/esteri/19_novem ... 12e0.shtml


Se uno segue la «vita» lungo il confine Usa-Messico non è sorpreso da questa notizia: i trafficanti messicani riescono a tagliare il nuovo muro e, a volte, lo superano con scale rudimentali.

I trucchi

Informazioni raccolte dal Washington Post nel settore di San Diego hanno rivelato una serie di trucchi impiegati dalle bande che spostano droga e clandestini in direzione negli Usa. Usando strumenti che costano poche centinaia di dollari — si parte da un minimo di 100-150 — tagliano i pali, riempiti di cemento, installati di recente per incrementare la sicurezza. È un’operazione che dura circa mezz’ora, condotta da elementi esperti. Il punto «perforato» è poi spostato spesso con l’aiuto di un crick. Il varco è sufficiente a far passare delle persone o i pacchi di droga. Secondo alcuni sono favoriti dall’altezza della struttura – circa 10 metri – che può essere fatta ondeggiare una volta che è stata danneggiata.

Le contromisure

Le gang, molto attente nel lavoro di intelligence, ricorrono anche a contromisure. Poiché la Border Patrol procede a controlli per verificare lo stato delle «colonne», i narcos coprono con la pittura gli eventuali tagli. Molto frequente poi il ricorso a lunghe corde e scale in corda con uncini, metodi peraltro non inediti. Certamente ora che le barriere sono state costruite più alte ci sono maggiori difficoltà, ma nulla ferma chi vuole violare la frontiera.

I sensori

Le rivelazioni del quotidiano hanno provocate diverse reazioni. Donald Trump ha sostenuto che è stato scelta questo tipo di difesa per ragioni di budget e per rispondere alle richieste della Border Patrol che vuole avere la possibilità di vedere attraverso il muro. L’idea originale era infatti quella di un vero bastione di cemento, ma è stato poi accantonata. Fonti della sicurezza hanno poi spiegato che in futuro saranno piazzati dei sensori che avvertiranno gli agenti non appena qualcuno cercherà di attaccare le difese. Ma con grande franchezza alcuni ufficiali hanno spiegato che la «Rolls Royce dei muri» — espressione del presidente — non può essere considerata come la risposta definitiva e assoluta.

La sfida

In questa lunga sfida c’è anche un aspetto propagandistico. La Casa Bianca ha spronato genieri, sicurezza e imprese perché vuole che parte della muraglia — circa 800 chilometri — sia completata entro la fine del 2020. E, quasi settimanalmente, i portavoce documentano i progressi fatti. Descrizioni minuziose, accompagnate da foto e numeri. Per contro i contrabbandieri rilanciano inventando sempre nuove tattiche per dimostrare che sono loro ad avere l’ultima parola. Il duello continua.




Metà americani vuole impeachment Trump
Sondaggio Nbc/Wsj, oggi Biden e Warren batterebbero il tycoon
03 novembre 201916:27

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... 3d258.html

(ANSA) - WASHINGTON, 3 NOV - Ad un anno esatto dalle elezioni presidenziali del 3 novembre 2020 la metà degli americani è a favore dell'impeachment e vuole che il presidente Donald Trump venga rimosso. E' quanto emerge da un nuovo sondaggio di Nbc/Wall Street journal, secondo cui nel campo democratico Joe Biden continua a guidare col 27% seguito da Elizabeth Warren al 23% e da Bernie Sanders al 19%. Se si votasse oggi, secondo il sondaggio, Biden e Warren batterebbero Trump rispettivamente con 9 e 8 punti di scarto.




Joe Biden non molla
Mario Aloi
02/11/2019

https://www.esquire.com/it/news/politic ... arie-2019/


Mercoledì 23 ottobre 2019 CNN (considerata generalmente molto affidabile) ha pubblicato un sondaggio che dà Joe Biden al 34%, davanti a Warren con il 19 e Sanders con il 16. Fanno quindici punti di vantaggio per l’ex vicepresidente. Il giorno dopo, giovedì 24 ottobre, anche Quinnipiac University (altro istituto considerato generalmente molto affidabile) ha diffuso la sua ultima rilevazione, che vede Warren in testa con il 28%, seguita da Biden al 21 e Sanders al 15. Perciò sette punti di vantaggio per la senatrice del Massachusetts. Se siete confusi, non siete i soli. Cosa sta succedendo esattamente? Ha un qualche senso cercare di ricavare indicazioni da dati del genere? Biden è il favorito o no? E Warren? Ma poi per un ciclo di primarie organizzato stato per stato non si era detto che leggere i sondaggi nazionali è una perdita di tempo?

Proviamo a mettere un minimo di ordine. Sono almeno un paio di settimane che, a livello di percezione, Elizabeth Warren è considerata la nuova favorita per la nomination democratica. Su questo non c’è dubbio e a confermarlo è prima di tutto il trattamento che le hanno riservato sia i media e che i suoi avversari. Parlo di percezione perché la rimonta di Warren, che è un fatto numerico, potrebbe essere stata leggermente sopravvalutata. Diciamo che si è letto un se continua a crescere così sarà presto in testa, come fosse un è già in testa. Ora però è anche vero che in politica la percezione non può essere liquidata come una semplice illusione ottica, da correggere a colpi di fact checking. Se i media e i tuoi avversari ti trattano da favorita, in un certo senso sei la favorita, anche se numericamente rimani leggermente indietro – se non altro perché quella che forse è davvero solo un’illusione ottica, influenza il comportamento degli elettori in maniera concreta.

Vediamo ora se c’è modo di capire su quali dati si può contare e di cosa è invece meglio non fidarsi. Per farlo ci servono almeno un paio di punti di riferimento. Primo, lo abbiamo detto: la rimonta di Warren è un fatto, su questo non ci piove. Fino ad aprile, al massimo due o tre sondaggi davano la senatrice in doppia cifra, oggi invece è sempre sopra il 15% e spesso supera addirittura il 20. Soprattutto è messa molto bene in Iowa e New Hampshire, i primi stati a votare. In seconda battuta, sarà utile chiedersi se l’ascesa di Warren sia arrivata davvero a spese di Biden, incrinandone lo status di leader indiscusso della corsa. A questa domanda ha risposto con un lungo e piuttosto convincente articolo Nate Silver - l’esperto di sistemi statistici che da anni lavora sulle elezioni americane – e la sua risposta è che no, Biden non ha perso alcun voto. Se Warren si è avvicinata, è perché lei ha fatto passi avanti, non lui indietro (in soldoni, la percentuale media di Biden nelle tre settimane del picco di Warren è passata dal 26,9 al 27,4).

Eppure sono almeno quindici giorni che si parla di Warren come favorita. Perché? Due ipotesi, che non si escludono necessariamente a vicenda. Innanzi tutto perché la senatrice come abbiamo visto cresce più degli altri e lo fa da tempo con una certa costanza. Ma non è solo questo. Esiste anche la possibilità che la stampa tenda a sopravvalutare certi dettagli a discapito di altri, perché non è del tutto imparziale (non nel senso che fa il tifo per l’uno o per l’altro candidato, ma perché sposa narrative molto nette, e poi cerca inconsciamente di adattare i fatti alla propria interpretazione). Questo tipo di problema ha caratterizzato l’intero ciclo elettorale del 2016.

Si è discusso molto di quanto i sondaggi fossero sballati, ma in realtà lo era la lettura che se ne dava - in pratica tutti erano convinti che Clinton avrebbe vinto, e ogni indizio in contraddizione con questa premessa veniva puntualmente ignorato. Anche oggi potremmo essere davanti a qualcosa di simile. Ormai sono mesi che buona parte dei grandi giornali non fa che parlare dell’imminente crollo di Biden (e intendiamoci, ci sono argomenti piuttosto seri a sostegno di una tesi del genere) ed è quindi possibile che i media stiano sovrastimando i segnali in questa direzione, perché di fatto non aspettano altro che vedere la propria previsione prendere corpo.
United States v Brazil - Men's Exhibition Game

Dove guardare allora per cercare di capirci qualcosa? Su almeno un dato quasi tutti gli analisti sono d’accordo: non si può vincere la nomination democratica senza il sostegno di una parte consistente dell’elettorato afroamericano. Da questo punto di vista ora come ora Biden non ha rivali. Secondo l’Economist, l’ex vicepresidente guida la classifica del cosiddetto black vote con il 38% dei consensi, mentre Warren e Sanders seguono staccatissimi, rispettivamente al 15 e al 10 (attenzione però anche alle tendenze, un mese fa Biden era al 41, con Warren al 10, addirittura terza dietro a Sanders). Può Warren pensare di colmare questo gap entro febbraio? Innanzi tutto proviamo a farci un’idea del perché la comunità nera, una minoranza non certo sistemica, sembra preferire in massa il candidato dell’establishment.

La prima ragione è di carattere personale: Joe Biden è stato per otto anni il vice di Barack Obama, primo afroamericano a conquistare la presidenza. La sua campagna insiste molto su questo punto e assicura che, dovesse essere eletto, l’ex vicepresidente agirà in continuità con il suo precedente datore di lavoro. Principalmente lo fanno perché Obama è in generale sempre più popolare, ma in parte c’entra anche il fatto che gli otto anni trascorsi con lui alla Casa Bianca rappresentano il cuore della connessione di Biden con la comunità nera. E questo nonostante un record da senatore a dir poco controverso.

Ma c’è di più, perché la questione non è solo personale. Il giornalista americano Perry Bacon Jr. (ancora su FiveThirtyEight, il sito di Nate Silver) ha analizzato le serie storiche nel dettaglio ed è giunto alla conclusione che in questo 2019/20 non siamo davanti a un’eccezione in qualche modo sorprendente, ma che anzi gli afroamericani votano quasi sempre il candidato dell’establishment. Le ragioni a suo modo di vedere sono tre. Primo: i candidati con lunghe carriere alle spalle hanno ovviamente più contatti in generale e quindi sono di solito anche meglio connessi con la comunità nera, che per qualunque democratico degno di questo nome è sempre un elettorato chiave. Secondo: gli afroamericani, proprio perché costituiscono una minoranza tradizionalmente vulnerabile, tendono a essere più pragmatici. Avendo parecchio da perdere in caso di vittoria dei Repubblicani, prendono il criterio dell’eleggibilità molto sul serio. Terzo: per ragioni che sono un po’ un misto dei primi due argomenti, i leader neri al Congresso (ma non solo) sono spesso parte dell’establishment del partito, e quindi appoggiano candidati provenienti dalla loro stessa area.

Ovviamente parametri come l’eleggibilità sono tutt’altro che solidi, nel senso che dipendono molto dalla percezione del momento. Biden oggi è l’opzione pragmatica, ma dovesse deludere nelle fasi iniziali, qualcuno potrebbe cominciare a non fidarsi di lui. E proprio la prima parte del calendario è la chiave per capire dove andrà la nomination. Diciamo che può essere divisa in due gruppi di stati: i primi quattro a votare in assoluto – Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina – e poi il gruppone del cosiddetto Super Tuesday, che si recherà alle urne il 3 marzo e comprende altri sedici appuntamenti tra primarie e caucus, in gran parte nel Sud.

Ora se è vero che dal 1976 nessuno ha mai conquistato la nomination democratica senza aggiudicarsi almeno uno tra Iowa e New Hampshire - con la sola eccezione di Bill Clinton nel ‘92, che comunque pur senza arrivare primo si impose all’attenzione nazionale proprio nello stato del granito - è anche vero che di solito non si vince nemmeno senza uscire bene dal Super Tuesday, che assegnando così tanti delegati tutti insieme dà un grande scossone alla corsa e indirizza tutte le altre elezioni a seguire.

La dinamica d’interazione tra queste prime due fasi sembra oggi anche più interessante e forse decisiva del solito. Iowa e New Hampshire sono in maggioranza schiacciante bianchi, e Warren al momento sembra ben posizionata per portarseli a casa entrambi. D’altro canto però, come abbiamo detto, subito dopo sarà chiamata a esprimersi buona parte del Sud, che è invece pieno di afroamericani (come il South Carolina, che vota il 29 febbraio). Biden e i suoi pensano quindi di potersi permettere il sacrificio dei primi due stati, a patto che le percentuali dell’ex vicepresidente tra i neri tengano, consentendogli di sbancare il Super Tuesday. La partita si giocherà probabilmente proprio sulla questione del pragmatismo: dovesse Warren vincere sia Iowa che New Hampshire, gli afroamericani continueranno a pensare che Biden sia l’opzione più sicura per battere Trump?



Elizabeth Ann Warren, nata Herring (Oklahoma City, 22 giugno 1949), è una giurista, accademica e politica statunitense, attuale senatrice degli Stati Uniti per il Massachusetts.
https://it.wikipedia.org/wiki/Elizabeth_Warren

Inserita diverse volte nella lista delle 100 persone più influenti del mondo stilata annualmente dalla rivista statunitense Time, inizialmente Warren è una repubblicana (registrata dal 1991 al 1996), ha riconosciuto di avere votato repubblicano perché favorevole all'economia del laissez-faire ma ha anche detto di avere votato, nelle sei elezioni presidenziali prima del 1996, un sola volta per il candidato repubblicano, Gerald Ford. Ha raccontato anche di avere iniziato a votare democratico nel 1995 perché, secondo lei, il partito repubblicano si era ormai schierato a favore delle grandi istituzioni finanziarie e contro le "famiglie americane della classe media".

Nel settembre del 2011 Warren annuncia l'intenzione di candidarsi a fianco del Partito Democratico per le elezioni a senatore dello Stato del Massachusetts. Nelle elezioni del 6 novembre 2012 sconfigge il senatore in carica, il repubblicano Scott Brown, riportando in campo democratico il seggio che era stato a lungo detenuto da Ted Kennedy.

Durante le elezioni presidenziali del 2016 ha sostenuto nelle primarie democratiche il senatore Bernie Sanders, a lei vicino politicamente, e successivamente la candidatura di Hillary Clinton, vincitrice delle primarie. Per molto tempo si è pensato che potesse ricoprire il ruolo di candidata vicepresidente in un ticket con la Clinton, speculazione poi smentita ad agosto dalla scelta della Clinton di nominare proprio candidato vice il senatore dalla Virginia Tim Kaine.


Joseph Robinette Biden, Jr., detto Joe (Scranton, 20 novembre 1942), è un politico statunitense, vicepresidente degli Stati Uniti sotto l'amministrazione Obama dal 2009 al 2017 e candidato per la nomination democratica nelle elezioni presidenziali del 2020. Appartenente al Partito Democratico, è stato senatore del Delaware dal 1973 al 2009 e il primo vicepresidente cattolico della storia americana.
https://it.wikipedia.org/wiki/Joe_Biden
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