Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:08 pm

Negli Usa è boom della comunità islamica: i democratici fiutano l'affare elettorale
Glauco Maggi

http://www.liberoquotidiano.it/blog/118 ... unita.html

I musulmani sono il blocco religioso che cresce più velocemente negli USA. Dal 2010 queste sono state le percentuali di aumento da una serie di nazioni che sono del tutto, o prevalentemente, islamiche: Arabia Saudita (balzo del 93%); Bangladesh (37%); Iraq (36%); Egitto (25%); Pakistan, India, Etiopia (24%); Nigeria e Ghana (21%). I numeri sono del Centro per gli Studi sulla Immigrazione, che ha analizzato i dati del “sondaggio delle comunita’ americane” (ACS, American Community Survey). È stato anche calcolato che la popolazione presente negli Stati Uniti oggi, ma nata all’estero, ha toccato il nuovo record di 42,4 milioni nel luglio 2014.

In contrasto all’impennata degli immigranti dai paesi islamici, “il numero degli arrivi da Canada e Europa e’ in declino”, scrive il rapporto.

Secondo quanto il sito Breitbart News aveva documentato qualche tempo fa, il numero assoluto dei musulmani che gli Stati Uniti volontariamente importa è di circa 280mila all’anno, di cui 117mila circa sono persone accolte con status di Residente Permanente Legale (green card), 123 mila lavoratori temporanei e studenti stranieri musulmani e 40 mila rifugiati e qualificati per asilo politico.

È come se ogni anno si aggiungesse l’intera popolazione della città più importante dello Iowa, commenta il sito Breitbart.
Secondo un altro sondaggio, a cura della Pew Research, soltanto l’11% dei musulmani americani si identificano come repubblicani, o simpatizzanti repubblicani, facendo di questo gruppo religioso uno dei più affidabili sostenitori del partito di Obama.

Ecco perche’ (l’anticipazione è stata pubblicata di recente da Politico.com) l’amministrazione DEM sta manovrando per consentire ai titolari di green card di registrarsi come votanti, al pari degli elettori statunitensi, anche prima di diventare cittadini a pieno titolo.

La procedura attuale prevede che un titolare di green card risieda almeno 5 anni negli Stati Uniti, e poi sostenga un “esame di ammissione” sulla base di un questionario scritto e di un colloquio in inglese con funzionari della immigrazione, prima di essere naturalizzato americano, con tanto di cerimonia del giuramento di fedeltà all’America, e avere poi tutti i diritti civici. Siccome i rifugiati e i possessori di carta verde possono già oggi godere delle misure di welfare esistenti, la prospettiva di una concessione facilitata dello status di elettore ingigantisce gli ostacoli culturali che già oggi i repubblicani devono affrontare per tentare di avere il sostegno di elettori provenienti da una cultura “non occidentale” per le idee politiche tipicamente “occidentali” propugnate dal GOP.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:09 pm

Immigrati, americani con Trump. La maggioranza approva lo stop
Il 49% degli elettori americani pensa che il blocco all'immigrazione di Donald Trump sia stata la cosa giusta da fare. Il 66% vuole limitare afflusso rifugiati
Claudio Cartaldo - Mer, 01/02/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/imm ... 58304.html

Gli americani stanno con "The Donald". La decisione di sospendere l'ingresso nel Paese agli immigrati provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana (Iraq, Iran, Siria, Libia, Sudan, Yemen e Somalia) è piaciuta alla maggioranza dei cittadini.

E a dirlo non sono commentatori conservatori o lo staff di Trump, ma due istituti molto autorevoli: l'ateneo privato indipendente Quinnipiac University e lo studio statistico Ipsos.


La ricerca prima della nomina

Partiamo dal primo. Una rivelazione statistica condotta tra il 5 e il 9 gennaio dall'Università e pubblicata due giorni fa, dice chiaramente che la maggioranza degli americani si aspettava ciò che Trump ha fatto sugli immigrati. Anzi: lo chiedevano. Secondo il 48% dei cittadini di quell'America "profonda" (che giornali e vip fingono di non vedere), infatti, è giusto "sospendere l'immigrazione da regioni a rischio terrorismo, anche se ciò significa respingere anche i profughi". Soltanto il 42% degli intervistati è contrario e un 10% non si esprime. Ecco perché l'ordine esecutivo firmato da Trump, che sospende per un tempo determinato l'ingresso negli Usa a chi proviene da 7 Paesi a maggioranza musulmana, non genera affatto scandalo negli Usa. Anzi. E infatti secondo un altro istituto, il Rasmussen, il dato di approvazione all'ordine esecutivo del presidente sale al 57%.


La conferma dell'Ipsos

Certo, le indagini telefoniche sono state condotte prima che il toycoon giurasse sulla Bibbia. Ma il dato è significativo e dimostra che Trump ha fatto quello che la cosiddetta "America profonda" chiedeva. E infatti a confermare il dato ci ha pensato un sondaggio condotto da Reuters/Ipsos, realizzato tra ieri e oggi, secondo cui il 49% degli intervistati si dice "fortemente" o "abbastanza" d'accordo con il decreto. Mentre il 41% si dice "fortemente" o "abbastanza" in disaccordo e il 10% non si esprime. Ovviamente le percentuali si modificano anche in base all'appartenenza politica, ma anche in questo caso "The Donald" può dirsi soddisfatto: il 53% dei democratici, infatti, dice di essere "fortemente in disaccordo" con l'azione di Trump (mentre il 51% dei repubblicani dice di essere "fortemente d'accordo"). Questo significa che l'ordine esecutivo emesso da Trump ha una approvazione trasversale ed ha diviso anche i Repubblicani, che nel 47% dei casi si dicono più o meno d'accordo con l'avversario di Hillary o comunque non sono ostili alle sue scelte sugli stranieri.


Americani contro l'immigrazione

Che il tema dell'immigrazione fosse il cuore della campagna elettorale del Presidente Usa era chiaro. E probabilmente ha centrato al cuore i desideri del Paese. Sempre in base alla ricerca della Quinnipiac University, infatti, il 53% (contro il 41%) dei votanti approva la necessità "di richiedere agli immigrati provenienti da paesi musulmani di registrarsi presso il governo federale". Ovvero di regolamentarne l'ingresso negli Usa. E infatti quando i sondaggisti di Reuters/Ipsos hanno chiesto agli americani "se gli Stati Uniti debbano limitare l'afflusso di rifugiati nel paese", ben il 66% degli americani è d'accordo. Non solo. Di questi addirittura il 55% dei democratici si dichiara a favore, percentuale che sale al 70% per gli indipendenti e al 79% per i repubblicani. Significativo il fatto che solo il 10% degli intervistati non approvi la chiusura all'accoglienza dei profughi.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:09 pm

FIRE

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... 4575318063

E così ci siamo. L'Iran pensava, dopo l'appeasement obamiano di fare il bello e il cattivo tempo. Sbeffeggiavano Trump.

Ricordo ancora la foto dei marinai americani in ginocchio con le mani dietro la nuca, due anni fa, quando la nave sulla quale si trovavano venne fermata dalla marina iraniana. Kerry corse con il cappello in mano per farli liberare, ma intanto la foto che mostrava al mondo la "debolezza" USA aveva sortito il suo effetto. La forza di una immagine può avere una eloquenza simbolica gigantesca.

L'umiliazione del Grande Satana statunitense fu incassata con lucro dal regime teocratico iraniano.

Dubito si ripeterà.

Trump fa la voce grossa e dichiara a proposito degli ultimi test balistici iraniani, "Stanno giocando con il fuoco", senza rendersi conto di come questa metafora tocchi assi in profondità la realtà.

Il fuoco sacro dello zoroastrismo è quello della conflagrazione finale, quando, a seguito di una guerra devastante in medioriente, apparirà il Mhadi, la figura messianica dell'escatologia sciita.

Non c'è da ridere. E chi lo facesse non avrebbe capito nulla. Il fuoco finale, purificatore e apocalittico, è quello della vittoria del Bene sopra il Male.

Per Theran, il piccolo Satana, Israele, è il primo male della lista in Medioriente.

Avere concesso all'Iran di avviarsi al nucleare è stato come avere fornito a una banda di piromani una abbondante provvigione di taniche di benzina corredate da fiammiferi.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:10 pm

Niram Ferretti

"L’Amministrazione Trump non crede, diversamente dall’Amministrazione Obama, che gli insediamenti siano un ostacolo alla pace. Questa affermazione è una netta e dirompente sconfessione di tutto l’impianto ideologico dell’Amministrazione Obama relativo al conflitto arabo-israeliano, basato sull’assunto che siano sostanzialmente gli insediamenti ebraici in Cisgiordania e la costruzione di nuove unità abitative a Gerusalemme Est il principale ostacolo per i negoziati con l’Autorità Palestinese. Convinzione che è il perno della Risoluzione 2334 del 23 dicembre 2016 passata all’ONU grazie all’astensione americana".

Il comunicato ufficiale di ieri sera diramato dal portavoce della Casa Bianca, nel quale con formula blanda viene affermato che la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania "potrebbe non aiutare" il processo di pace, è stato letto da alcuni assai imparziali commentatori come un ammonimento di Trump a Netanyahu.

Nulla di più falso.
Il cuore politico del comunicato, fatto passare perlopiù sotto silenzio, è un altro, ed è, di fatto, questo:
"Non crediamo che la costruzione degli insediamenti sia un ostacolo alla pace".
Questa affermazione è una netta e dirompente sconfessione di tutto l'impianto ideologico della Amministrazione Obama relativo al conflitto arabo-israeliano, basato sull'assunto che siano sostanzialmente gli insediamenti ebraici in Cisgiordania e la costruzione di nuove unità abitative a Gerusalemme Est, il principale ostacolo per i negoziati con l'Autorità Palestinese. Questa convinzione è il perno della Risoluzione 2334 del 23 dicembre 2016 passata all'ONU grazie all'astensione americana.
Il comunicato della Casa Bianca spazza via con la risolutezza di un'unica frase incisiva il mantra obamiano e la sua certificazione ONU.
Quello che invece non è salito agli onori della cronaca è un altro messaggio, questo sì un ammonimento, ed è quello arrivato all'Autorità Palestinese tramite il consolato americano.
Il senso del messaggio è di non continuare a perseverare per canali internazionali tentando di mettere Israele sul banco degli imputati invece di confrontarsi a un tavolo. Una simile strategia, quella che l'Autorità Palestinese ha portato avanti indefessamente in tutti questi anni, se continuerà, le costerebbe assai cara in termini economici. Porterebbe infatti al bloccao di fondi americani all'Autorità Palestinese e alla chiusura dei suoi uffici negli USA.
Ben diverso dunque è il tono del messaggio che arriva ai palestinesi dall'Amministrazione Trump rispetto a quello rivolto a Israele in queste ultime ore.

"Il desiderio americano di pace tra gli israeliani e i palestinesi è rimasto inalterato per 50 anni. Malgrado non crediamo che la costruzione degli insediamenti sia un ostacolo alla pace, la costruzione di nuovi insediamenti e la loro espansione oltre i confini attuali potrebbe non essere utile nel raggiungere l'obbiettivo prefissato. Come ha dichiarato molte volte, il Presidente spera di ottenere la pace nella regione Mediorientale. L'Amministrazione Trump non ha assunto una posizione ufficiale sull'attività degli inesdiamenti e attende di continuare la discussione con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu quando incontrerà il Presidente Trump più avanti durante questo mese"

Questo è il comunicato diramato dalla Casa Bianca ieri attraverso il portavoce ufficiale Sean Spicer.

Non si tratta come qualcuno vorrebbe farlo passare tendenziosamente, di un ammonimento o una reprimenda. Si tratta di un moderato comunicato diplomatico i cui tre punti principali sono i seguenti:

1) L'Amministrazione Trump non crede, diversamente dall'Amministrazione Obama, che gli insediamenti siano un ostacolo alla pace. Questo punto è quello essenziale e nella sua limpida chiarezza contraddice di fatto l'assunto base dell'ultima risoluzione ONU, la 2334, fatta passare con l'astensione degli Stati Uniti.

E' questo il principale contenuto politico del comunicato che evidenzia la visione opposta di Trump rispetto a quella del suo predecessore.

2) Tuttavia, con linguaggio cautamente dubitativo, l'Amministrazione Trump, ritiene che la costruzione di nuovi insediamenti annunciata recentemente dal governo israeliano, possa non essere di aiuto.

3) Ogni posizione ufficiale in merito da parte della Casa Bianca farà seguito all'incontro bilaterale che il presidente degli Stati Uniti avrà con il primo ministro israeliano il 15 di febbraio.



Il significato politico del comunicato della Casa Bianca relativo agli insediamenti
3 febbraio 2017

http://www.linformale.eu/il-significato ... sediamenti

“Il desiderio americano di pace tra gli israeliani e i palestinesi è rimasto inalterato per 50 anni. Malgrado non crediamo che la costruzione degli insediamenti sia un ostacolo alla pace, la costruzione di nuovi insediamenti e la loro espansione oltre i confini attuali potrebbe non essere utile nel raggiungere l’obbiettivo prefissato. Come ha dichiarato molte volte, il Presidente spera di ottenere la pace nella regione Mediorientale. L’Amministrazione Trump non ha assunto una posizione ufficiale sull’attività degli insediamenti e attende di continuare la discussione con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu quando incontrerà il Presidente Trump tra qualche giorno”.

Questo è il comunicato diramato dalla Casa Bianca ieri attraverso il portavoce ufficiale Sean Spicer.

Non si tratta, come qualcuno vorrebbe farlo passare tendenziosamente, in testa il New York Times, di un ammonimento o una reprimenda americana nei confronti di Israele.

Nulla di più falso.

L’Amministrazione Trump non crede, diversamente dall’Amministrazione Obama, che gli insediamenti siano un ostacolo alla pace. Questa affermazione è una netta e dirompente sconfessione di tutto l’impianto ideologico dell’Amministrazione Obama relativo al conflitto arabo-israeliano, basato sull’assunto che siano sostanzialmente gli insediamenti ebraici in Cisgiordania e la costruzione di nuove unità abitative a Gerusalemme Est il principale ostacolo per i negoziati con l’Autorità Palestinese. Convinzione che è il perno della Risoluzione 2334 del 23 dicembre 2016 passata all’ONU grazie all’astensione americana.

È il principale contenuto politico del comunicato ed evidenzia in modo inequivocabile la visione opposta di Trump rispetto a quella del suo predecessore.

Tuttavia, con linguaggio cautamente dubitativo, l’Amministrazione Trump ritiene che la costruzione di nuovi insediamenti, annunciata recentemente dal governo israeliano, possa non essere di aiuto. Il che, come è evidente, non significa assolutamente una sconfessione degli insediamenti o un alt alla loro costruzione. Come recita l’ultima affermazione del comunicato, “L’Amministrazione Trump non ha assunto una posizione ufficiale sull’attività degli insediamenti”, ne ha assunta però una riguardo al fatto che non siano in se stessi un ostacolo per il processo di pace.

Ogni posizione ufficiale in merito da parte della Casa Bianca farà seguito all’incontro bilaterale che il presidente degli Stati Uniti avrà con il primo ministro israeliano il 15 di febbraio.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:13 pm

???

Un giudice di Seattle ha bloccato il divieto sull’immigrazione di Trump
Non si sa ancora bene che conseguenze avrà la sentenza: il governo in ogni caso può annullarla, e ha detto che lo farà
4 febbraio 2017

http://www.ilpost.it/2017/02/04/giudice ... muslim-ban

Venerdì 3 febbraio un giudice federale di Seattle, nello stato di Washington, ha imposto una sospensione temporanea del divieto imposto la scorsa settimana dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump sull’ingresso ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana. Il giudice James Robart ha accolto una causa presentata dallo stato di Washington e dal Minnesota contro l’ordine esecutivo deciso da Trump, che aveva causato sofferenze e problemi a decine di migliaia di persone a cui è stato improvvisamente impedito di entrare o rientrare negli Stati Uniti, e provocando grandi proteste in diverse città americane. La decisione di Robart di fatto ha provocato una sospensione momentanea del divieto, che però può essere reintrodotto dall’amministrazione di Trump con un decreto d’emergenza che annullerebbe la sentenza. La Casa Bianca ha confermato che la sentenza verrà annullata con un ordine di questo tipo: l’ha definita «vergognosa» (termine poi eliminato in una seconda versione del comunicato), specificando che sarebbe stata bloccata il prima possibile per ripristinare «l’ordine appropriato e legale» stabilito dal divieto imposto da Trump.

La sentenza di Robart ha causato confusione e incertezze tra le persone e gli organismi coinvolti nel processo di controllo degli ingressi negli Stati Uniti, e le sue conseguenze non sono ancora immediatamente chiare. Secondo quanto scrivono i principali giornali americani, in seguito alla decisione di Robart l’agenzia federale americana che si occupa dei confini e delle dogane ha ordinato alle compagnie aeree che avevano impedito ai cittadini coinvolti nel divieto di Trump di imbarcarsi sugli aerei diretti negli Stati Uniti di ricominciare a consentire gli ingressi. La notizia è stata confermata da un funzionario a conoscenza della decisione, ma che ha parlato in forma anonima. Qatar Airways e Air France hanno già detto che da sabato applicheranno la decisione del tribunale di Seattle, permettendo ai cittadini dei sette paesi interessati dal divieto di tornare a volare verso gli Stati Uniti.

Un rappresentante del Dipartimento di Stato che ha parlato in condizione di anonimità ha detto: «Stiamo lavorando da vicino con il Dipartimento per la Sicurezza interna e la nostra squadra legale per determinare come [la sentenza] influisca sulle nostre attività. Annunceremo qualsiasi cambiamento che riguardi chi viaggia verso gli Stati Uniti appena avremo queste informazioni».

In teoria, al momento, i cittadini dei sette paesi interessati dal divieto possono fare nuovamente domanda per il visto per entrare negli Stati Uniti. Un addetto al controllo degli ingressi all’aeroporto di San Francisco ha detto al Guardian di non aver ricevuto istruzioni precise sull’applicazione della sentenza di Seattle. Il procuratore generale dello Stato di Washington Bob Ferguson, che aveva presentato la causa accolta dal giudice Robart, ha sostenuto che la sentenza «annulla immediatamente il divieto sull’immigrazione».

Negli scorsi giorni alcuni tribunali americani si erano già espressi contro alcune parti del divieto sull’immigrazione deciso da Trump, ma la decisione del tribunale di Seattle è quella fino ad ora con le conseguenze più concrete. Quella di bloccare decisioni prese dal governo su base nazionale non è una pratica insolita per i tribunali distrettuali americani. Nello specifico, la decisione di Robart agisce contro due parti del divieto di Trump: la sospensione per 90 giorni dell’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini dei sette paesi e i limiti imposti nell’accoglienza dei rifugiati, che ne avevano bloccato l’ingresso per 120 giorni e, nel caso di quelli siriani, per un tempo indefinito. Il “muslim ban”, come è stato definito, ha causato «danni immediati e irreparabili», ha stabilito la sentenza. Venerdì sono state diffuse le prime stime sulle persone i cui visti sono stati revocati dopo il divieto sull’immigrazione: sono state 60mila, secondo il Dipartimento di Stato. In precedenza un legale del governo aveva detto, durante un’udienza in Virginia, che erano state 100mila.


Non è un giudice che può decidere chi deve entrae e chi no nella casa degli americani, ma sono soltanto i cittadini sovrani americani attraverso i loro organi politici doputati come il loro Presidente.



???

Decreto Trump immigrati, Corte Appello nega ripristino immediato stop ingresso a rifugiati
http://www.repubblica.it/esteri/2017/02 ... -157609479

Respinto il ricorso presentato dal Dipartimento della Giustizia contro la decisione del giudice federale di Seattle James Robart di bloccare il 'travel ban'. Iran sospende divieto ingresso atleti Usa wrestling

ROMA - La Corte d'Appello di Washington ha annunciato stamattina presto di avere respinto il ricorso presentato ieri dal Dipartimento di Giustizia Usa contro la sentenza del giudice James Robart, che aveva sospeso l'ordine esecutivo con cui il presidente Donald Trump bloccava l'ingresso negli Usa per 90 giorni di cittadini provenienti da sette Paesi musulmani. Lo riferisce il sito di Abc News. Il divieto era entrato in vigore dopo la firma di Trump il 27 gennaio scorso.

Il ricorso del governo Usa era mirato a reintrodurre il provvedimento, che vietava l'ingresso nel Paese ai rifugiati e ai cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana (Iran, Siria, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen e Libia).

Il giudice William Canby, a Phoenix, e il giudice Michelle Friedland, a San Francisco, hanno concesso tempo fino a domani alle 15 al Dipartimento di Giustizia per fornire ulteriori argomenti a giustificazione della propria posizione. Analoga decisione è stata presa per gli Stati di Washington e Minnesota, che dovranno fornire documenti dettagliati sulla loro opposizione al decreto trump entro domani mattina.

Per adesso, dunque, la sentenza del giudice Robart resta in vigore.

Iran ci ripensa, sì a visti per atleti Usa wrestling. Dopo che lo scorso 3 febbraio l'Iran, in risposta al bando di Trump, aveva annunciato che avrebbe impedito alla squadra americana di wrestling di partecipare alla Freestyle World Cup, uno degli eventi più prestigiosi della disciplina, in programma il 16 e 17 febbraio a Kermanshah, bloccando i visti agli atleti, oggi il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Bahram Ghasemi, ha detto che la decisione è stata revocata e che i permessi verranno rilassciati.

Ancora proteste. Non si placano, intanto, le manifestazioni e le iniziative (come quella del Moma che ha deciso di esporre le opere degli artisti dei Paesi colpiti dal bando) contro il capo della Casa Bianca sia in America che in altri Paesi del mondo. A Palm Beach, in Florida, dove il presidente Usa si trova per il fine settimana, circa 3mila persone hanno manifestato per la cosiddetta 'Marcia per l'umanità', organizzata nell'ambito della giornata di proteste contro Trump che si sono svolte in tutto il Paese.

I dimostranti gridavano slogan a favore di immigrati e rifugiati e paragonavano Trump al presidente russo Vladimir Putin. 'Gli Stati Uniti non sono un Paese fascista', si leggeva su alcuni cartelli. La marcia si è snodata lungo un percorso di circa 4 chilometri, ma non è stato permesso che il corteo arrivasse davanti alla residenza Mar-a-Lago, detta la 'Casa bianca invernale', dove i coniugi Trump si trovano da venerdì sera. Proprio qui il presidente Usa, insieme alla first lady Melania, ha partecipato in serata al ballo annuale della Croce rossa Usa.



Trump: Muslim Refugees Are “Destroying Europe, I’m NOT Gonna Let That Happen To The U.S.”
Trump: i rifugiati musulmani "distruggono l'Europa, non ho intenzione di lasciare che accada anche negli Stati Uniti"
May 5, 2016
http://freedomsfinalstand.com/trump-mus ... to-the-u-s

Donald Trump told MSNBC’s Morning Joe earlier today that he would stick by his controversial policy on Muslim immigration because the migrant crisis is “destroying Europe”.

Trump’s proposal to place a temporary halt on Muslim immigration to the United States was perhaps his most incendiary of the campaign, but the New York billionaire shows no signs of walking it back.

Asked if he still believed “Muslims should be banned from entering the country until we can figure out what’s going on,” Trump said that he didn’t care if the policy hurt his chances in a general election.

“Look at what’s happening. It’s terrible what they have done to some of these countries of they are going to destroy — they are destroying Europe. I’m not going to let that happen to the United States,” said Trump, chiding Obama for refusing to even use the term “radical Islamic terrorism”.

Heralding the fact that “a civilian in the truest sense got the nomination of a major party,” Trump asserted he had been guided by “common sense” and that he would continue to follow that path.

“We have to be careful. We’re allowing thousands of people to come into our country, thousands and thousands of people being placed all over the country that frankly nobody knows who they are. They don’t have documentation in many cases. In most cases. We don’t know what we’re doing. Let’s see what happens. This could be a very serious problem for the future,” added Trump.

Despite facing a substantial media backlash after he made the comments in December last year, polls taken immediately after the remarks showed that a majority of Americans supported a temporary ban on Muslim immigration.


USA, bocciato ricorso del Dipartimento di Giustizia contro la sospensione del decreto sull’immigrazione
6 febbraio 2017 da Luna De Bartolo

http://www.alanfriedman.it/bocciato-il- ... -musulmana


La Corte di Appello statunitense del nono distretto, a San Francisco, ha bocciato il ricorso presentato dal Dipartimento di Giustizia contro la decisione del giudice di Seattle James Robart, che venerdì aveva sospeso a livello nazionale il decreto sull’immigrazione varato lo scorso 27 gennaio da Donald Trump. Il presidente aveva disposto il divieto d’ingresso negli USA per 90 giorni ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana – Iran, Iraq, Yemen, Libia, Somalia, Sudan e Siria -, compresi quelli in possesso di regolare permesso di soggiorno o addirittura di doppia cittadinanza. Allo stesso tempo, il decreto sospendeva per quattro mesi l’arrivo in America di rifugiati provenienti da qualsiasi paese ad eccezione dei profughi siriani, per i quali il divieto era a tempo indeterminato.

La corte di San Francisco conferma così la decisione di Seattle, che ha sospeso il divieto a tempo indeterminato. Nella sua decisone il giudice Robart – nominato dall’allora presidente George W. Bush, repubblicano – aveva sottolineato come l’amministrazione Trump abbia giustificato il decreto con richiami agli attentati dell’11 settembre 2001, attentati che non hanno visto coinvolti cittadini provenienti dai sette paesi interessati dal bando. Gli attentatori dell’11 settembre provenivano dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Egitto e dal Libano, paesi che, tuttavia, non rientrano nel bando di Trump. Mai, sul suolo americano, è stato realizzato un attentato da parte di persone con passaporto iraniano, iracheno, siriano, libico, yemenita, somalo o sudanese.

Il presidente Trump ha sfogato la sua frustrazione attraverso twitter, lasciandosi andare ad attacchi tanto virulenti quanto inusuali nei confronti del giudice Robart. Mai un presidente si era rivolto in modo così violento nei confronti di un rappresentante dell’apparato giudiziario, pilastro fondamentale della separazione dei poteri negli Stati Uniti. «Non riesco a credere che un giudice possa mettere il nostro paese in tale pericolo. Se succede qualcosa prendetevela con lui e con il sistema giudiziario. Gente sta arrivando in massa. Male!», ha twittato il capo dello Stato.

La decisione del giudice Robart, che era stato chiamato a pronunciarsi in merito dagli stati di Washington e Minnesota, non sarà certamente l’ultima. Sembra piuttosto il preludio di una battaglia giudiziaria sul tema dell’immigrazione che potrebbe durare per mesi.

Allo stesso tempo, Microsoft, Apple, Facebook, Google, Netflix, Twitter, Uber e altre 90 aziende del settore tech stanno preparando un’azione legale coordinata per opporsi al controverso decreto.


Donald Trump, la corte federale respinge ripristino del Muslim Ban. Il presidente: “Se succede qualcosa colpa dei giudici”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02 ... an/3369164


Soltanto 16, dei 51 stati federati USA, meno di 1/3, hanno fatto opposizione al decreto Trump sulla sospensione degli ingressi da alcuni paesi islamici insicuri.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:14 pm

???

“Riforma di Wall Street disastrosa”. Trump cancella un altro pezzo del lavoro di Obama
La ricetta del presidente: deregulation soprattutto per le norme sulle banche

http://www.lastampa.it/2017/02/04/ester ... agina.html

Donald Trump dà la prima spallata a quella che considera la «disastrosa» riforma di Wall Street, aprendo la strada ad un deciso ridimensionamento delle norme fortemente volute da Barack Obama dopo la crisi finanziaria. Un allentamento per sostenere l’accelerazione di un’economia che comunque continua a crescere, come dimostrano gli ultimi dati sull’andamento del mercato del lavoro, di cui Trump si dice soddisfatto.

«Taglieremo le tasse e ridurremo le regole», ha affermato il presidente Usa ricevendo alla Casa Bianca gli amministratori di alcune delle grandi aziende americane, fra i quali Jamie Dimon di JPMorgan e Larry Fink di BlackRock. Molti di loro hanno criticato pubblicamente il bando sugli immigrati e, probabilmente, hanno colto l’occasione per fare pressione sul presidente.

All’incontro era presente anche la figlia Ivanka che, dopo un avvio di presidenza nelle retrovie, sembra lanciata nell’assumere un ruolo sempre maggiore in seno all’amministrazione, spingendosi anche al di là di quello che le è già stato affibbiato di “vera first lady”. Agli amministratori delegati Trump ha presentato la sua ricetta, basata su una deregulation soprattutto per le norme sulle banche che rallentano, a suo avviso, l’economia. «Le ridurremo di molto», ha annunciato Trump, chiedendo consigli a Dimon su come intervenire sulla legge “Dodd-Frank”.

A curare la revisione della riforma di Wall Street è Gary Cohn, il numero uno del Consiglio economico della Casa Bianca che, per i suoi anni a Goldman Sachs, conosce bene l’impatto delle regole sulle banche ed è una faccia nota a Wall Street, di cui condivide il linguaggio e le modalità. Le banche, è la teoria di Cohn, sono gravate ogni anno da centinaia di miliardi di dollari di costi dovuti alle regole: con meno norme i costi scenderanno, e lo faranno anche i prezzi per i consumatori.

L’autorità di Trump nel rivedere la riforma di Wall Street è comunque limitata: ma i decreti firmati per allentare le norme sono il punto di partenza per indirizzare la necessaria azione del Congresso. Il presidente punta ad abolire la cosiddetta regola del `ruolo fiduciario´ per chi offre pacchetti di investimento per la pensione. Le norme volute da Obama, che entreranno in vigore in aprile, stabiliscono che venga offerto al cliente il «miglior prodotto» e non quello più adatto alle sue esigenze, e obbligano i consulenti finanziari ad agire nel miglior interesse dei clienti. Una regola contro la quale i repubblicani e le banche sono insorte.

Ma per Trump toccare la riforma di Wall Street è camminare sul filo del rasoio: le norme sono state volute da Obama e dagli americani dopo la crisi finanziaria che ha fatto precipitare l’economia in una profonda recessione e spazzato via milioni di posti di lavoro. Sono quindi state chieste a gran voce da una spinta `populista´, la stessa che ha portato Trump alla Casa Bianca.

L’obiettivo del ridimensionamento delle norme su Wall Street è quello di spingere la crescita, pallino del presidente insieme all’occupazione. Gli ultimi dati mostrano comunque un mercato del lavoro in salute: in gennaio sono stati creati 227.000 nuovi posti di lavoro, il numero più elevato degli ultimi quattro mesi, con un tasso di disoccupazione in lieve aumento al 4,8%. Unico neo sono i salari che rallentano, crescendo solo del 2,5%: la frenata lascia intravedere come il mercato del lavoro abbia ancora spazio per crescere, giustificando la “pazienza” della Fed nell’aumentare i tassi di interesse.


Goldman Sachs e Wall Street adesso sono contro Trump
Donald Trump ha oltrepassato un limite e questo sembra non essere andato giù a Goldman Sachs e più in generale a Wall Street
Michele Crudelini - Lun, 06/02/2017
http://www.ilgiornale.it/news/economia/ ... 60309.html

Sono arrivati due “avvisi” da parte del mondo finanziario americano diretti al neo Presidente degli Stati Uniti. Bloomberg, il portale d’informazione prediletto di investitori e speculatori, è uscito oggi con due pezzi volutamente allarmistici sul futuro andamento dell’economia americana e mondiale.

Uno di questi è titolato “Gli economisti di Goldman Sachs iniziano ad essere preoccupati per il Presidente Trump”. Un incipit che suona quasi come una minaccia. Nel pezzo si legge come l’iniziale ottimismo di mercati e investitori per le promesse del tycoon sui tagli alle tasse e ad una sostanziale defiscalizzazione del Paese sia stato progressivamente sostituito da un pessimismo quasi ineluttabile. Le priorità del Presidente nelle prime settimane di amministrazione sono infatti state altre. La chiarificazione dei rapporti commerciali con l’estero, che vede il principio dell’ “America agli americani” come cardine e il passo indietro nei confronti dell’immigrazione. Ovvero la fine dell’immagine degli States come patria delle nuove opportunità e la chiusura degli stessi per rivalutare il proprio ruolo nel mondo.

Priorità che non sono piaciute a chi, per propria natura, ha sempre guadagnato dal processo di apertura dei mercati e globalizzazione. Come appunto Goldman Sachs. In una nota pubblicata la scorsa settimana gli economisti della banca d’affari americana hanno così scritto: “A seguito delle elezioni, i sentimenti positivi tra gli investitori e i consumatori suggerivano che ci fosse maggiore probabilità di vedere il taglio delle tasse e una più facile regolamentazione piuttosto che le restrizioni al commercio e all’immigrazione”. Nel particolare gli economisti di Goldman Sachs hanno sottolineato come tre fattori abbiano portato il mondo finanziario ad essere “molto più cauto”. La lotta all’Obamacare, la polarizzazione tra i repubblicani e i democratici a seguito del “muslim ban” e la “rottura” dei mercati. Queste tre “piaghe” finanziarie sembrano quasi costituire un climax ascendente, come furono quelle bibliche d’Egitto d’altronde. Il tragico scenario prospettato da Goldman Sachs è ben nitido e delineato: ci sarà crisi politica dovuta al “muslim ban” e alla lotta all’Obamacare, la polarizzazione partitica creerà un impasse al Congresso. L’instabilità politica causerà infine un crollo dei mercati. Al pari di Cassandra Goldman Sachs è diventata profetessa di sventure.

In un altro pezzo, sempre uscito su Bloomberg, si legge come “cinque grafici dimostrano che non tutto sta andando bene sui mercati”. In questo caso Bloomberg tira fuori improbabili indici, mai visti in precedenza, per dimostrare come l’andamento dei mercati, sulla carta più che positivo, contenga in realtà i germi della crisi. Il primo grafico riguarda infatti l’andamento delle “storie dei media”. In pratica Bloomberg ha ricavato, non si sa in base a quale formula matematica, un indice che mostra l’andamento dell’incertezza all’interno delle notizie passate dai media. Gli altri “indici” riguardano nell’ordine l’ansietà degli investitori americani, la domanda di protezionismo, il mercato dell’oro in relazione all’ansietà degli investitori e dulcis in fundo il rialzo dei tassi d’interesse indicherebbe una vicina instabilità finanziaria. Dovrebbe essere comprensibile ai più come questi cinque indicatori, già per loro natura discutibili, siano tenuti assieme più per fantasia che per reali eventi. Una completa analisi di futuri scenari economici dovrebbe comprendere anche ciò che fa parte del dominio dell’economia reale. Previsioni del tasso di occupazione e disoccupazione, livello di produzione industriale e indice dei risparmi e consumi. Bloomberg non prende in considerazione nessuna di queste variabili, svuotando così di senso l’analisi proposta.

Con buona probabilità si tratta invece di un attacco, l’ennesimo, fatto dal gotha del mondo finanziario, che ancora non si era sbilanciato sul nuovo Presidente. Trump ha davvero fatto un passo indietro rispetto al processo di globalizzazione e questo potrebbe avergli creato intorno nuovi nemici.



???
Trump, anche gli scienziati in marcia. Contro “il bando che relega la ricerca nel limbo e il negazionismo climatico”
È la prima volta e l’appuntamento è fissato per il 22 aprile, “Giornata della Terra”. I ricercatori lamentano che "un governo americano che ignora la scienza, per perseguire agende ideologiche, mette in pericolo il mondo". E Nature scrive le storie degli scienziati colpiti dal Muslim Ban
di Davide Patitucci | 6 febbraio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02 ... co/3366273

Dopo le donne e la rivolta dell’high-tech, anche gli scienziati sono pronti alla protesta contro il neopresidente Usa Donald Trump. È la prima volta di una “Marcia per la scienza”. L’appuntamento è fissato per il 22 aprile, “Giornata della Terra”. Una scelta simbolica, per protestare contro quello che i promotori definiscono “il negazionismo climatico che minaccia il mondo, e la politicizzazione della scienza, divenuta ormai una questione urgente e cruciale”. L’idea della marcia è partita con un passaparola online, e in pochissimi giorni ha ricevuto numerose adesioni. Il profilo Twitter dell’iniziativa, ad esempio, conta già oltre 310mila follower.

“Governo che ignora la scienza mette in pericolo il mondo”
Gli scienziati si sentono sotto attacco. A preoccupare, le dichiarazioni del nuovo inquilino della Casa Bianca, che ha ad esempio parlato di “ambientalismo fuori controllo”, e i primi passi della nuova amministrazione Usa. A mobilitare i ricercatori è inizialmente la decisione di mettere il bavaglio all’Epa (Environmental protection agency), l’agenzia Usa per la protezione dell’ambiente, “limitando la possibilità degli scienziati di comunicare i risultati delle loro ricerche”. Una decisione considerata dagli studiosi “assurda, e che non può essere accettata”. Con lo slogan “Science, not silence”, gli organizzatori della marcia per la scienza – tra cui studiosi come Elizabeth Hadly, decana di biologia alla Stanford University, e James Hansen, ex direttore del Goddard institute for space studies della Nasa – lamentano come “un governo americano che ignora la scienza, per perseguire agende ideologiche, metta in pericolo il mondo”. È di pochi giorni fa, ad esempio, la decisione degli studiosi del Bulletin of the atomic scientists di spostare di 30 secondi in avanti il cosiddetto Orologio dell’Apocalisse, proprio all’indomani dell’elezione di Trump, che ha “reso il mondo più pericoloso”.

Ma ad animare ancora di più lo scontento del mondo della scienza si è aggiunto nei giorni scorsi anche il cosiddetto “Muslim ban”, che chiude le porte degli Usa ai cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza islamica: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Un ordine esecutivo sulla “protezione della Nazione dall’ingresso di terroristi stranieri negli Usa” che, dall’oggi al domani, ostacola anche la mobilità di molti scienziati. Il provvedimento ha subito sollevato le proteste di università, accademie e prestigiose istituzioni scientifiche. Come la Royal astronomical society britannica, che in una nota ufficiale definisce il divieto “un ostacolo ai ricercatori che vogliano condividere la propria attività con i loro pari, un principio basilare della ricerca scientifica”. Gli scienziati britannici sottolineano, inoltre, come “le restrizioni minaccino di danneggiare la collaborazione tra gli Stati Uniti e i Paesi del resto del mondo”.

Gli scienziati colpiti dal “bando” nel limbo
La scienza, infatti, non conosce barriere, né confini. Eppure, sono molti gli studiosi che in questi giorni, all’indomani dell’ordine esecutivo firmato da Donald Trump, si sono venuti a trovare in una sorta di limbo. Sospesi, come il personaggio interpretato da Tom Hanks nel film “The Terminal”, bloccato in un aeroporto. E posti di fronte a decisioni improvvise e inattese, ad esempio tra la scelta della carriera e quella della famiglia. La rivista Nature ha raccolto le storie di alcuni di loro. Come Kaveh Daneshvar, genetista molecolare di origine iraniana. Invitato a parlare a un meeting di biologia molecolare in Canada in programma tra un mese, un’opportunità importante per la sua carriera, lo studioso non sa se parteciperà. Teme, infatti, una volta lasciati gli Stati Uniti, dove sta completando un postdoc presso l’Harvard Medical School e il Massachusetts General Hospital di Boston, di non potere più rientrare, a causa delle sue origini persiane.

O Ali Shourideh, economista alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, in Pennsylvania. Anch’egli iraniano, negli ultimi tempi ha fatto spesso la spola tra gli Usa e l’Iran, dove vive la madre, malata di cancro. Ma, adesso, la sua “green card” potrebbe non essergli più sufficiente a rientrare negli Usa. “Sono sempre stato convinto che questo fosse un Paese libero – lamenta l’economista iraniano, intervistato da Nature -. E che, una volta immigrato, non ti avrebbero cacciato via, o reso la vita difficile. Ora, invece – afferma amaramente Shourideh -, mi trovo a dover scegliere tra vedere mia madre o mantenere il mio lavoro”.

Il dilemma se optare per il lavoro o la famiglia tormenta anche l’italiano Luca Freschi, che si occupa di genetica dei microrganismi presso la Laval University, in Quebec. Ha già pianificato di lasciare il Canada per gli Usa, a marzo, per una posizione alla Harvard Medical School. Ma la moglie è iraniana, e questo complica notevolmente le cose. “Tutto ciò è folle. Sia io che mia moglie abbiamo ricevuto i visti due giorni prima della firma dell’ordine esecutivo”, sottolinea lo scienziato italiano su Nature. Secondo la prestigiosa rivista scientifica, inoltre, l’ordine esecutivo di Trump potrebbe anche “indebolire il contrasto internazionale alle malattie infettive, che non rispettano confini, leggi o muri”.

La petizione contro il Muslim Ban
Contro il “Muslim Ban” di Trump si sono mobilitati anche più di 12mila ricercatori di accademie Usa, tra cui 40 premi Nobel e 6 vincitori di Medaglie Fields, firmando una petizione per chiedere al neopresidente Usa un ripensamento sul suo ordine esecutivo. “Un provvedimento discriminatorio – si legge nella petizione – contrario ai principi fondanti degli Stati Uniti”, che rischia di “danneggiare la leadership americana nei campi dell’educazione e della ricerca”, e che potrebbe “trasformarsi in una messa al bando permanente”. C’è da giurare che molti dei firmatari di questa petizione saranno in prima fila nella prima marcia degli scienziati, nel giorno dedicato alla salute del Pianeta.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:15 pm

Lettera trumpiana ai giornaloni
Cari colleghi vi scrivo, perché ormai su Trump siamo in presenza di una patologia conclamata, di un morbo dello spirito, il copia&incolla di categoria e la menzogna ripetuta a oltranza perché diventi verità, come da lezione di Goebbels...
di Giovanni Sallusti
http://www.lintraprendente.it/2017/02/l ... s.facebook

Cari colleghi vi scrivo, così mi distraggo un po’. Anche se è difficile, davvero, divagare o anche solo sospendere per qualche attimo il clima di apocalisse permanente che state montando da quando Lui si è insediato alla Casa Bianca. Lui è l’Orco, l’Inaccettabile, il magnate col toupè, quello che non avrebbe mai vinto le primarie del Gop (ché Jeb Bush si porta bene ed è di buona famiglia), quello che non avrebbe mai vinto le presidenziali (ché Hillary Clinton si porta bene ed è di ottima famiglia), The Donald, oggi Potus con loro, con vostro, inguaribile scorno.

Essì, cari colleghi, perché ormai siamo in presenza di una patologia conclamata, qualcosa come un morbo dello spirito, la coazione a ripetere del titolo farlocco, da bravi radical seguaci di Goebbels, “ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Trump fascista, rigurgito degli anni Trenta su suolo americano, cazzata sesquipedale. Trump è un multimiliardario nella Manhattan del nuovo millennio, che sente la scossa tellurica dell’America, della terra che gli ha dato opportunità e ricchezza e successo, che gli ha fatto sviluppare il suo diritto al “perseguimento della felicità” fin dove forse neanche lui pensava di arrivare, e la porta in superficie, gli dà voce, ci ricava persino una piattaforma politica che ha molto a che fare con la storia del Partito Repubblicano e del Paese, e niente con i sintagmi ignoranti della classe colta di questo Continente invecchiato e ancora una volta sull’orlo della germanizzazione, l’Europa. Il “populismo“. Sì, no, forse, orecchiato così nei talk è un nonsense mondano, tutto e niente, si appiccica su Putin e sui nazionalisti austriaci, sulla Le Pen e sui liberali intransigenti olandesi, sui conservatori thatcheriani pro-Brexit e sui laburisti estremisti pro-Remain, tutta gente che non ha nulla a che a vedere tra loro, né tantomeno con Donald Trump. Che è fenomeno tutto nativista, certo, squisitamente e sfacciatamente americano, e Dio sa se ne avevamo bisogno, dopo la bestemmia di una presidenza che ha fatto di tutto per ridurre la splendida anomalia del Nuovo Mondo alla regola del Vecchio, per fare degli Stati Uniti un prolungamento dell’Unione Europea, e Dio benedica il popolo statunitense che si è ribellato.

Ecco, cari colleghi, se per una volta contemplaste l’hegeliana “fatica del concetto”, che poi vuol dire un minimo di ricerca se non di studio di storia americana prima di sparare sentenze sull’America dal proprio desk in Trastevere, allora ci direste che se “populismo” deve essere, lo è nella versione e nel tono antropologico tipicamente americano, irrimediabilmente altro e inafferrabile da qualunque equivoco totalitario europeo (pensate che a fermare un executive order sull’immigrazione è bastato un oscuro giudice di Seattle, e vergognatevi nell’anima dei vostri paragoni con Hitler),
è il “populismo” individualista, anti-statalista, libertario di Andrew Jackson, il presidente ottocentesco del Secondo Emendamento e della corsa a perdifiato all’Ovest, dritti verso il destino manifesto americano, America First perché l’Europa aveva già deluso, e doveva ancora accadere il terribile Novecento.
O il populismo interventista di Theodore Roosevelt, l’economia di mercato è sacra ma lo Stato può laicamente affacciarsi a predisporre infrastrutture e generare lavoro (questa è pura Trumpnomics), parla piano nel mondo ma porta sempre con te un grosso bastone, ed è esattamente ciò che il neopresidente vuole fare con Vladimir Putin, negoziare con sorriso amicale e in sottovoce, ma mentre si manda in giro per il globo il segretario alla Difesa, generale Mattis, a dire che “qualunque attacco agli Stati Uniti e ai loro alleati innescherebbe una riposta efficace e schiacciante” e addirittura si potenzia l’esercito di gran lunga più potente al mondo, dite quello che volete, ma è un’idea, certo meglio del nullismo obamiano che ha concesso la scena planetaria allo Zar.
O, per stare a tempi più recenti, può essere certo populismo nixoniano che rivendicava retoricamente la rappresentanza della “maggioranza silenziosa”, il che del resto era evidenza politica fattuale, o persino certo populismo eccezionalista reaganiano, la “città sulla collina” dell’America che si staglia e riscatta le miserie del mondo. Questi, detti con semplicismo giornalistico, possono essere i riferimenti “populisti” di Donald Trump, cari colleghi che vedete il fascismo ovunque tranne là dove sta oggi, nell’intolleranza politically correct, ed avercene.

Anche nella cronaca, soprattutto nella cronaca, cari colleghi e care colleghe (come non pensare alla giaculatoria quotidiana di Giovanna Botteri dalla sua terrazza di Manhattan, magari per astuzia della ragione e ironia della storia costruita proprio da Trump). Recuperate il livello di sobrietà minima, nella cronaca, un rapporto sufficientemente sereno con la verità, lavorate pur sempre in giornaloni seri, mica in fogliacci online d’opinione.
Il muslim ban, che non è un muslim ban visto che il criterio è geografico e non confessionale, riguarda i Paesi e non le religioni, è figlio di una selezione rigorosa praticata dall’amministrazione Obama. Si chiama Terrorist Travel Prevention Act, gli esordi sono datati 2015, l’obiettivo era ed è prevenire attacchi terroristici su suolo americano, come dice oggi Trump, un caso di perfetta continuità tra amministrazioni diversissime.
Ovvietà istituzionale americana, che voi trasformate in flagrante caso di fascismo e razzismo, così, con un copia&incolla di categoria, senza nessuna verifica né tantomeno domanda con voi stessi. Come il Muro, bisillabo che ormai terrorizza le nostre vite, maledetto l’Orco che innalza Muri contro l’Altro portatore di Cultura, nel caso di specie tendenzialmente un narcos messicano.
E va bene. Ma allora, almeno retroattivamente, dovete dire maledetto Bill Clinton, che il Muro col Messico l’ha voluto e inaugurato. Dovete dire maledetto Barack Obama, che del Muro ha aggiunto chilometri. Sì, perché il Muro per più di un terzo di frontiera esiste già, tranne che nei vostri titoli, nei vostri occhielli, nei vostri pezzi, tutti intrinsecamente razzisti, perché figli della doppia misura e del pre-giudizio, l’outsider che vuole riportare l’America alle sue origini e alla sua diversità Wasp non può permettersi quel che è stato concesso all’élite progressista e normalizzatrice che, tra l’altro, ha avuto la brillante idea di spalancare le porte dell’economia globale alla Cina.

Perché ci sarebbe anche questo, poi, la vera priorità dell’amministrazione Trump, l’issue su cui si giocherà successo o fallimento del mandato: il contenimento della Cina, il disvelamento del suo bluff, la fine di un gioco truccato. Quello per cui col Drago si è globalizzata la libertà di commercio, ma non le libertà individuali che in Occidente hanno generato e sostanziato la prima, per cui si accetta agevolmente che il tuo concorrente pratichi lo schiavismo e che le tue imprese chiudano per questo. E davvero, cari colleghi, non si capisce perché le sofferenze quotidiane del bambino cinese che si scortica le mani quattordici ore al giorno contino meno del fatto che un siriano o uno yemenita dal dubbio passporto non possano per tre mesi visitare New York. Sono le vostre priorità sghembe, tenetevele, io con tutte le incertezze che gli si annidano dietro sto con quel toupè. Il quale, e non è un dettaglio, il suo primo giorno ha fatto riportare allo Studio Ovale il busto di Winston Churchill, che Barack Hussein Obama aveva fatto inopinatamente spostare. Se siete a caccia di simboli per il vostro prossimo titolo, nessuno vale più di questo.
Si chiama libertà, e disponibilità a difenderla armi in pugno.



Se la semplicità di Trump lascia al palo l’arroganza liberal
Alessandro Catto

http://blog.ilgiornale.it/catto/2017/02 ... -liberal-2

“Putin? Lei crede che il nostro paese sia così innocente?” Una ammissione onesta, sincera, pure aspettata e francamente apprezzabile quella che Donald Trump, in una intervista a Fox News, ha rivelato agli ascoltatori.

Una frase che fa da contorno ad una elezione presidenziale capace di rompere con gli antichi schemi, con quell’idea di mondo imbellettato e in continuo progresso, impostato sui canoni liberal di qualche democratico newyorkese, di qualche ONG o fondazione, sui sorrisi tirati di Hillary Clinton, su quel puzzo di progressismo radical respirabile ad ogni convention elettorale di partito, con la pretesa di incarnare sempre la parte giusta di un paese, le energie migliori e gli spiriti migliori.

In verità tra il nugolo di contestatori antitrumpiani troviamo la versione millennial e strillante della deriva ideologica sopra menzionata, persone pronte a schierarsi contro il muslimban bollandolo come razzista, fascista o chissà quale altro termine preso in prestito dal vocabolario del pensiero unico, ma incapaci di fare autocritica e vedere quanti di loro hanno alzato la voce contro le operazioni belliche di casa democratica, contro le compromissioni e le amicizie della cara Hillary, incapaci in ultima istanza di analizzare le cause che hanno portato ad una decisione così drastica, così come le cause che hanno spinto milioni di siriani ed iracheni lontano dalle loro case.

A fare da contraltare abbiamo invece una ammissione di colpa, quella di The Donald a FoxNews, che seppur implicita rappresenta già un immenso passo avanti rispetto alla tracotanza con la quale un John Kerry o un Barack Obama silenziavano qualsiasi responsabilità negli scenari bellici in cui gli USA sono impegnati, o riguardo le continue destabilizzazioni politiche dell’areale mediterraneo e mediorientale. Una politica aggressiva scientemente nascosta dietro la patina dei diritti umani, dell’esportazione di democrazia, di civiltà e di progresso. Una politica criminale nei fatti e nei modi, dietro alla quale si sono schierati quasi tutti i progressisti di casa nostra, nonché un’Europa priva di una guida politica capace di rispecchiarne gli interessi.

Trump per primo toglie il velo da questa spensierata idea di innocenza aleggiante sulla nazione guida della globalizzazione sociale ed economica, riscoprendosi ancora una volta l’unico bastione possibile contro la prepotenza di una classe politica incapace di autocritica, tremendamente violenta, incapace d’ascolto e mediazione, fondamentalmente antidemocratica nel suo continuo non accettare esiti elettorali diversi da quelli auspicati.

Una frase come quella di Trump, se pronunciata da un Obama qualsiasi, sarebbe stata degna di aperture di telegiornali, di encomianti editoriali, forse di un secondo Nobel per la pace. Detta da Trump diventa subito l’ennesima uscita a vuoto, la sparata, in un coro mediatico prezzolato e mai seriamente interessato alla cooperazione internazionale e alla distensione, che fa ogni volta vergognare del suo infimo livello e del suo considerarsi libero, democratico o indipendente.

Contro tutto ciò, un presidente capace di attirarsi l’odio di progressisti di varia risma, democratici, antifascisti, anticomunisti, di mezza fazione storica del proprio partito (anche lui corresponsabile dei disastri geopolitici degli ultimi vent’anni), inviso alle lobby finanziarie, ai globalisti di piccolo, medio e grande cabotaggio merita di venir supportato con tutte le nostre forze. Se non per i suoi meriti, almeno per la capacità di attirarsi contro il peggio del peggio del mondo contemporaneo.
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:15 pm

Il presidente Usa interviene dalla base aerea militare di Tampa, in Florida, e chiede che tutti gli alleati onorino finanziariamente le spese di gestione della Nato
Milano, 6 febbraio 2017

http://www.corriere.it/esteri/17_febbra ... 1b5d.shtml


«Gli alleati devono far la loro parte e pagare la loro quota per la Nato» è quanto dichiara il presidente Usa Donald Trump parlando dalla base aerea militare di Tampa, in Florida. Trump lancia un appello perché tutti gli alleati «diano il loro contributo finanziario, cosa che non è mai stata fatta. Molti - dice il capo della Casa Bianca - non hanno aiutato finanziariamente la Nato». Il presidente Usa chiede che tutti i membri dell’alleanza partecipino al finanziamento investendo almeno il 2% del Pil.
Trump e le dichiarazioni contro l’Islam radicale

The Donald ha poi allargato il discorso dei finanziamenti alla protezione del Paese: «Proteggere gli Stati Uniti è il compito più importante che abbiamo» precisa promettendo nuove tecnologie e apparecchiature. «Sconfiggeremo il terrorismo» ribadisce Trump in una delle sue dichiarazioni alla sede del comando centrale delle forze armate puntando l’indice contro il terrorismo islamico radicale. «I soldi dei contribuenti non saranno sprecati» asserisce il presidente Usa che poi continua: «Sconfiggeremo il terrorismo islamico e non gli permetteremo di radicarsi nel nostro Paese».

Trump: «La difesa, un dovere cui tutti siamo tenuti»

«Ci servono programmi forti» insite Trump «Così le persone che amano e ameranno il nostro Paese possano entrare, mentre chi vuole distruggerci non potrà venire». Trump ha poi ricordato l’importanza della difesa come un «dovere cui tutti siamo tenuti»
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:16 pm

In USA vi sono milioni di migranti arabizzati e provenienti dai paesi islamici non arabi che sono atei e cristiani e che da mussulmani sono divenuti atei e cristiani:

https://it.wikipedia.org/wiki/Arabi_americani
Gli arabi americani sono cittadini dei vari Stati americani, d'origine araba, immigrati in diversi momenti dai loro Paesi vicino-orientali, molti dei quali verso gli Stati Uniti ma anche verso l'Argentina, il Cile o il Brasile.

In venti anni la popolazione araba che vive negli USA è raddoppiata. La maggior parte degli arabi statunitensi (62 %) sono originari di quello che, in epoca coloniale, era chiamato Levante e che oggi si preferisce definire "Mezzaluna Fertile": una regione del Vicino Oriente che comprende il Libano, la Siria, la Palestina, la Giordania. Le altre comunità sono originarie invece del Maghreb, dell'Egitto, dello Yemen, dell'Iraq e di altre nazioni arabe. Secondo il The Arab American Institute, gli Stati Uniti contano nel 2010 più di 3,5 milioni di arabi.
Il repubblicano, di origine libanese, per la Camera dei rappresentanti dello Stato della California, Darrell Issa

La maggior parte delle popolazioni di origini arabe vive in California, nel Michigan (350.000 circa), nel New Jersey e a New York. La città che conta la percentuale più alta ville di americani di origine araba è la cittadina di Dearborn, nel Michigan. In questo centro abitato le insegne bilingue dei commercianti, in inglese e in arabo, sono sparse ovunque nelle strade. La comunità irachena conta più di 30.000 persone a Dearborn, per la maggior parte di religione cristiana caldea, giunti negli USA negli anni venti dello scorso secolo per lavorare nelle fabbriche automobilistiche.

La gran maggioranza degli arabi statunitensi è di confessione cristiana. Secondo il The Arab American Institute, il 63 % degli arabi statunitensi è cristiano, contro il 24 % di musulmani e il 13 % che s'identifica in altre fedi religiose. I cattolici (romani, maroniti e la melchiti) rappresentano il 35 % degli arabi. I cristiani ortodossi rappresentano, a loro dire, il 18 % e i protestanti il 10 % circa dell'intera comunità araba statunitense.



Wikipedia

Nella vocè è scritto genericamente: vi sono milioni di cittadini di origine araba ma è sbagliato, forse sarebbe il caso di specificare la provenienza etnica, nazionale e statuale, poiché un turco, un marocchino, un tunisino, un algerino, un siriano, un iraniano, un kurdo, un irakeno, un giordano, un egiziano, ... non sono arabi poiché gli arabi sono soltanto quelli che provengono dall'Arabia; anche la cultura di tutti questi paesi anche se influenzata dalla cultura araba, lingua e/o religione, non è araba. Alberto Pento --95.233.174.127 (msg) 17:46, 7 feb 2017 (CET)

Come sai, caro Alberto Pento, gli Arabi sono quanti vivono in Paesi arabi e parlano la lingua araba. Grosso modo quelli che appartengono alla Lega degli Stati Arabi, anche se si potrebbe con testare l'arabicità della Somalia e di un paio di altre nazioni, ma non il fatto che la lingua araba sia colà la lingua ufficiale.
Non c'entrano invece nulla nella tua osservazione la Turchia, l'Iran o il Kurdistan, che arabi non sono. Di certo non linguisticamente (al pari di Pakistan, Afghanistan, Nigeria, Mali, Ciad, Bangladesh, Indonesia, ecc. ecc.). Ciao. --Cloj 19:51, 7 feb 2017 (CET)

Questo è un grave errore della categorizzazione storico-geografico-politico-culturale in voga adottata anche in Wikipedia. Non è la lingua ufficiale araba e l'appartenenza a una lega araba che rende arabe le popolazioni di questi paesi; la definizione è inesatta e può generare moltissime imprecisioni e fraintendimenti; vedasi per esempio il caso dell'Egitto con la numerosa presenza degli egiziani originari copti con la loro lingua egiziana non araba. Alberto Pento --80.183.40.143 (msg) 08:41, 8 feb 2017 (CET)
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Re: Je suis Charlie e Trump, forza Trump!

Messaggioda Berto » mer feb 08, 2017 7:17 pm

«Nessuno ha protestato mentre l’Isis ci uccideva. Con Trump l’America si è accorta di noi»
febbraio 6, 2017
L’arcivescovo di Erbil, Bashar Warda sul decreto immigrazione del presidente Usa: «È giusto dare la priorità nei visti alle minoranze perseguitate. È per la nostra fede che abbiamo perso tutto»

http://www.tempi.it/nessuno-ha-protesta ... JrEF39-YlC

«Dov’erano tutti quelli che protestano contro l’ordine esecutivo di Donald Trump sull’immigrazione quando l’Isis uccideva noi cristiani e yazidi? Non ho visto nessuno protestare allora». L’arcivescovo caldeo cattolico di Erbil (Iraq), Bashar Warda, spiega perché la politica americana sui rifugiati non lo sorprende affatto («forse molti dimenticano che anche l’Europa ha provato a fare la stessa cosa») e neanche gli dispiace.

«NESSUNO PROTESTAVA». Una settimana fa tutti i giornali del mondo hanno riportato dichiarazioni opposte di monsignor Warda. Che alla Crux chiarisce: «Mi hanno citato fuori contesto. Certamente nel breve periodo la decisione di Trump può cambiare i piani di qualcuno, ma so che molte nostre famiglie solo questa settimana hanno avuto dei visti approvati». Certo, «tutti sono d’accordo che la misura è stata implementata male, c’è stata confusione. Ma io non ho visto nessuno protestare quando gli Stati Uniti non ci davano un dollaro di aiuti mentre ospitavamo decine di migliaia di cristiani sfollati. E non capisco com’è possibile che tanti americani si arrabbino perché viene data la priorità a chi ha subito un orribile genocidio».

«LA RELIGIONE NON C’ENTRA?». Monsignor Warda non risparmia critiche neanche ai media occidentali: «Chi parla di “messa al bando dei musulmani” farebbe bene a misurare le parole perché ci mette in serio pericolo. La maggior parte degli americani non ha la minima idea di che cosa significhi essere un cristiano o una yazida in Iraq. E nessuno ha protestato mentre l’Isis ci uccideva o ci obbligava ad abiurare. I terroristi ci perseguitano per la nostra religione, noi abbiamo perso tutto per la nostra religione e ora gli americani dicono che la religione non deve c’entrare in tema di visti, anche se la persecuzione religiosa è un criterio per avere lo status di rifugiato secondo l’Onu? Per me è pazzesco sentire certe cose».

«ABBIAMO FESTEGGIATO TRUMP». L’arcivescovo di Erbil non vuole che «i cristiani se ne vadano dall’Iraq» ma, aggiunge, «non posso che apprezzare gli sforzi del governo americano per dare la priorità a chi tra noi sta soffrendo, non solo cristiani, questo sarebbe un messaggio sbagliato, ma tutte le minoranze perseguitate. Noi ci siamo sentiti abbandonati dagli Stati Uniti fino ad oggi. Non posso che essere contento se un presidente americano finalmente si rende conto che i cristiani hanno bisogno di aiuto. La verità è che noi cristiani abbiamo festeggiato quando Trump ha vinto perché speravamo che finalmente l’America si accorgesse di noi».

«CHIESA MADRE DI TUTTI». Monsignor Warda dice anche di capire chi vuole aumentare i controllo sui rifugiati: «Io so solo due cose: primo, è terribile convivere con il terrorismo. Il mio paese lo fa ogni giorno e se gli Stati Uniti vogliono avere un processo di controllo più accurato, posso capirlo e lo apprezzo. È comprensibile che la gente abbia paura di chi entra nel proprio paese». Secondo, «la Chiesa cattolica è dalla parte degli immigrati, sempre, a prescindere da fede o origine. Noi siamo pastori di tutti: chi parte e chi resta. Il punto è che responsabilità ha il mondo nei confronti di questa gente: temo che i media si concentrino solo su chi parte e si dimentichino di chi ancora prova a vivere e sopravvivere nella propria terra legittima».
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