L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

Messaggioda Berto » lun nov 08, 2021 7:15 am

18) I bambini dei gay e dei transgender



I bambini crescono bene sia con coppie etero che gay
PianetaMamma.it
Barbara Leone
06.03.2013

https://www.pianetamamma.it/la-famiglia ... e-gay.html

Uno studio inglese sostiene che non c'è differenza tra i bambini che crescono all'interno di coppie eterosessuali e quelli che crescono con coppie gay

Si parla molto dell'eventualità di offrire alle coppie omosessuali la possibilità di adottare un bambino, come avviene in molti stati del mondo. C'è chi è favorevole perché ritiene che l'importante è crescere i bambini con amore. E chi è contrario perché sostiene che i bambini hanno bisogno di un papà e di una mamma.

Ed ora a sostegno delle coppie gay arriva uno studio inglese. Durante la settimana dedicata all'adozione e all'affido, la BAAF, Associazione Britannica per l’Adozione e l’Affido, ha infatti presentato uno studio condotto dal Centro di Ricerca sulle Famiglie dell’Università di Cambridge.

Secondo lo studio non ci sono differenze nel modo in cui le coppie dello stesso sesso e quelle di sesso diverso si occupano della crescita o dell'educazione dei bambini adottati o affidati.

Quindi un bambino adottato può crescere bene presso una coppia etero, come presso una coppia omosessuale. E qualsiasi coppia può occuparsi dell'educazione del proprio bambino, senza distinzioni di sesso.

Per realizzare lo studio, sono state analizzate 130 coppie di genitori adottanti (49 di sesso diverso, 41 formate da 2 uomini e 40 formate da 2 donne). E questa la conclusione spiegata dalla professoressa Susan Golombok, una delle autrici dello studio: "In generale abbiamo riscontrato più somiglianze che differenze nelle nostre esperienze con i distinti tipi di famiglia. La preoccupazione sugli effetti potenzialmente negativi per i bambini di essere collocati in famiglie omogenitoriali, secondo il nostro studio, è priva di fondamento”.

Quindi le coppie omosessuali possono, secondo i ricercatori, crescere i figli adottivi con lo stesso successo delle coppie eterosessuali. L'importante è che alla base dell'educazione ci sia l'amore. E questo può arrivare da una mamma ed un papà, come da due mamme o da due papà.



I bambini con genitori omosessuali crescono allo stesso modo degli altri
Costantino Panza
07/12/2020 e aggiornato il 13/10/2021

https://www.uppa.it/psicologia/famiglia ... osessuali/

Cosa significa, per un bambino, vivere all’interno di una famiglia “non tradizionale”, ad esempio se i genitori sono omosessuali? E come vengono influenzati il suo benessere e le sue scelte future dalla presenza di un genitore omosessuale? Per rispondere a queste domande, è necessario dare un’occhiata ai risultati delle ricerche scientifiche degli ultimi anni.

Sono infatti oltre cinquanta gli studi scientifici che, dall’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, hanno messo al centro delle loro ricerche le capacità genitoriali e il benessere dei bambini all’interno di famiglie di questo tipo, rispetto alle famiglie “tradizionali”. Inizialmente questi studi sono stati condotti su famiglie con madri omosessuali e figli nati da un precedente matrimonio eterosessuale; poi, con il progredire delle tecniche di riproduzione assistita, le ricerche hanno coinvolto anche le famiglie con madri omosessuali e figli nati da inseminazione artificiale e, successivamente, le famiglie con genitori omosessuali e figli nati da gestazione di sostegno (detta anche surrogazione di maternità o, nel linguaggio comune, “utero in affitto”), nella quale una donna accetta di portare avanti una gravidanza per conto di altri.


Non ci sono differenze

Come vivono i bambini in queste famiglie “non tradizionali”? Un dato che si ritrova con una certa costanza in questi studi è che i bambini si sviluppano con un buon adattamento, paragonabile a quello che avrebbero crescendo in una famiglia eterosessuale: nessun maggior rischio di incorrere in problemi emotivi, comportamentali o psicologici. Inoltre, il rendimento scolastico di questi bambini è paragonabile a quello della popolazione scolastica generale. Tra i genitori, in questi casi, non è presente una rigida divisione dei ruoli e quindi il coparenting (la co-genitorialità) viene gestito senza stereotipi, condividendo il lavoro domestico e le scelte educative in egual misura.

Nessuna confusione sulla propria identità

Un altro aspetto ritenuto cruciale per questi bambini è lo sviluppo di genere, ossia il modo in cui il bambino inizia a identificarsi come maschio o femmina. Oltre alla costruzione della propria identità, i ricercatori hanno valutato il comportamento di genere – un bambino che si comporta come un maschio o una bambina come una femmina – e, infine, l’orientamento sessuale, cioè la preferenza per lo stesso sesso o il sesso opposto. Fino alla seconda metà del Novecento si riteneva che avere genitori eterosessuali ed essere educati da maschi o femmine permettesse ai bambini di crescere come maschi e alle bambine come femmine, ma gli studi sulle famiglie con genitori omosessuali hanno superato tale visione: in queste famiglie, i bambini non vivono con confusione la loro identità e il loro comportamento sessuale, e la maggior parte di loro, da grande, si dichiara eterosessuale (anche se le ragazze cresciute con madri omosessuali hanno più spesso relazioni omosessuali, forse a causa di una maggiore tolleranza e minore disapprovazione da parte del genitore).

Negli Stati Uniti si stima che dall’1 al 5% dei bambini viva in una famiglia con un genitore omosessuale: da 600.000 a 4 milioni di bambini, un numero importante. In Italia la stima è di circa 100.000 genitori omosessuali, anche se la rilevazione di questi dati è ostacolata dalla presenza di pregiudizi sociali verso l’omosessualità (o di veri e propri atti di bullismo e omofobia), cosa che può incidere negativamente sulla libertà personale di dichiarare il proprio orientamento sessuale. Resta il fatto che, nonostante un ambiente sociale ostile, ai bambini è comunque garantito un buon sistema di protezione da parte dei genitori. In Europa, la legislazione nazionale rispetto al riconoscimento dei diritti al matrimonio omosessuale o all’adozione da parte di genitori dello stesso sesso è molto variabile. L’Olanda è stata la prima (nel 2001) ad adottare una legge che istituisse il matrimonio tra persone dello stesso sesso, seguita poi da altre nazioni europee, mentre una sentenza del febbraio 2013 della Corte europea dei diritti dell’uomo ha equiparato le coppie omosessuali a quelle eterosessuali riguardo all’adozione (in particolare, ha riconosciuto al partner il diritto di adottare i figli del proprio compagno/a).

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Lo sviluppo psicomotorio da zero a 4 anni

Scopriamo quali sono i momenti più significativi dello sviluppo del bambino all’interno della relazione con i suoi genitori e chi lo accudisce

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Omosessualità e competenze genitoriali

La scienza si è accorta poco più di quarant’anni fa dei grossolani errori teorici che imponevano l’etichetta di malattia all’omosessualità: le classificazioni internazionali hanno quindi derubricato l’omosessualità dall’elenco delle malattie (anche quelle mentali), considerandola come una normale espressione del proprio orientamento sessuale. Oggi, la ricerca riconosce ai genitori omosessuali una competenza nelle funzioni genitoriali uguale, se non migliore, rispetto ai genitori “tradizionali”. Infine, la definizione di genitore non implica una misura della mascolinità del padre o della femminilità della madre, e nemmeno la quantità di cromosomi o geni che sono stati espressi nel figlio: l’essere genitore o la volontà di allevare un figlio sono legati, piuttosto, a un processo intimo, al desiderio e alla capacità di prendersi cura di un’altra persona, e possono essere indipendenti dai legami biologici, poiché riguardano la sfera delle relazioni affettive. La ricerca scientifica ha ancora molta strada da fare per comprendere come misurare al meglio le competenze genitoriali, e come sostenere nel modo migliore la crescita e il benessere del bambino, ma oggi possiamo dire che l’orientamento sessuale di un genitore non influisce sullo sviluppo dei figli e non ne condiziona né il benessere né una crescita sana.


Crescere in una famiglia non tradizionale

Un sano sviluppo dei figli non è condizionato dall’orientamento sessuale dei genitori
Le competenze nell’educazione dei figli sono identiche, nel caso dei genitori omosessuali, rispetto ai genitori “tradizionali”
I bambini che crescono con genitori omosessuali non hanno nessun maggior rischio di incorrere in problemi emotivi, comportamentali o psicologici e hanno un rendimento scolastico paragonabile a quello degli altri bambini
L’orientamento sessuale del genitore non genera confusione nell’identità del figlio


Alberto Pento
Un articolo menzognero, ingannevole e criminale.
La mancanza della diversità sessuale nella coppia omosessuale dei genitori che crescono i figli, fa sì che nei primi anni di vita il bambino figlio/a cresca senza una delle due figure di genere eterossuale (madre e padre, uomo e donna, maschio e femmina) che serve alla sua formazione pscicoemotiva come modello esperenziale a cui uniformarsi per imitazione, con cui confrontarsi per formarsi.
Certo anche tra i genitori eterosessuali che generano e crescono i figli vi possono essere dei casi negativi




“Adozioni gay” /1: le coppie omosessuali crescono figli sani?
Dott.ssa Laura Massari | Psicologa a Milano e Online
1 luglio 2019

https://lauramassari.com/adozioni-gay-figli-sani/

“Sono favorevole ai matrimoni gay, ma non sono d’accordo che abbiano dei bambini”.

E sulle opinioni opposte si apre il dibattito.

Il giudizio è la pratica più veloce e facile che abbiamo per orientarci nel mondo: il nostro cervello rapidamente stabilisce cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, formando convinzioni e schemi mentali che guidano le nostre azioni e tutto ciò ci da l’idea di padroneggiare l’ambiente in cui viviamo.

Il problema è che, nella maggior parte dei casi, il giudizio non è basato su alcun dato, ma è mosso dalla nostra personale esperienza, dalle nostre emozioni e dalla nostra visione del mondo. In psicologia questo meccanismo viene chiamato psicologia ingenua, ovvero la psicologia del senso comune, che formula spiegazioni e statistiche sulla base di convinzioni personali e stereotipi sociali. È comoda, ma purtroppo non è accurata e, spesso, ci getta fumo negli occhi.

Tornando al nostro argomento, le critiche all’omogenitorialità sono molto aspre verso le coppie gay, ma più blande rispetto alle coppie lesbiche: perché siamo storicamente e culturalmente abituati alle famiglie in cui i bambini crescono con una continua presenza femminile, che a volte è l’unica presenza. Mentre siamo abituati a vedere le donne come figure amorevoli di cura, non siamo purtroppo ancora abbastanza abituati a vedere gli uomini come capaci di ricoprire lo stesso ruolo.

Ma il compito della scienza psicologica è proprio quello di scardinare la psicologia ingenua e, fortunatamente, sia la sessualità umana che lo sviluppo dei bambini sono oggetto di ricerca scientifica da diversi decenni. Quindi, al di là dei facili “opinionismi”, proviamo a capire cosa ci dice la scienza a riguardo: d’altronde, nessuno di noi si sognerebbe di alzarsi una mattina e di dire la sua riguardo ad un argomento su cui la scienza ha già fornito una certa quantità di prove convincenti, come il fatto che la terra non sia piatta, giusto?

Allora andiamo un po’ a vedere lo stato dei fatti ad oggi e i risultati delle ricerche condotte sull’omogenitorialità, provando a dare una risposta a queste domande:

In quanti modi persone e coppie omosessuali possono essere o diventare genitori?
I figli di coppie gay o lesbiche hanno difficoltà nello sviluppo?
Genitori omosessuali crescono figli omosessuali?
Perché abbiamo paura dell’omogenitorialità?

In questa prima parte rispondiamo alle prime due. Dobbiamo esplorare tanti concetti, quindi partiamo.

In quanti modi si può essere genitori LGBT+?

Mediaticamente si usa l’espressione “adozioni gay” per indicare la possibilità di adottare dei bambini da parte delle coppie omosessuali. In realtà, possiamo essere più corretti ed inclusivi parlando, in generale, di omogenitorialità: un po’ per usare un termine meno tendenzioso e più neutro, un po’ perché questa parola mette insieme tutti i modi in cui persone e coppie LGBT+ possono essere genitori.

Le adozioni, infatti, non rappresentano l’unico modo che una coppia LGBT+ ha per diventare genitori: secondo una ricerca condotta da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, si stima che in Italia i bambini che hanno genitori omosessuali siano circa 100mila.

Prendendo in considerazione il fenomeno in generale, non solo riferito alla situazione italiana (anche perché i maggiori studi sull’omogenitorialità sono stati condotti negli Stati Uniti e nel Regno Unito), i “figli arcobaleno” possono essere:

Figli nati da una precedente relazione: la maggior parte dei genitori omosessuali sono persone che hanno avuto figli nell’ambito di una precedente relazione o matrimonio e che, solo successivamente, hanno scoperto o accettato il proprio orientamento sessuale dando poi origine, nella maggior parte dei casi, ad altre relazioni con nuovi compagni/compagne. A seconda dei casi, il figlio può crescere vivendo con il precedente compagno/a oppure con la nuova coppia.
Figli nati grazie ad un donatore (anonimo o conosciuto): all’interno di una coppia lesbica, una donna inizia una gravidanza grazie al seme di un donatore, che può essere anonimo o scelto dalla coppia stessa. Questa modalità, oltre che essere la più facile in alcuni Stati, permette anche alla coppia di vivere l’esperienza di una maternità biologica e di una gravidanza condivise.
Figli nati grazie alla GPA (gestazione per altri, erroneamente chiamata “utero in affitto”): una donna esterna alla coppia diventa gestante, ovvero porta avanti la gravidanza, per conto dei futuri genitori che cresceranno il bambino, ma che non possono fisicamente concepirlo. Se uno o entrambi i futuri genitori sono in grado, possono donare seme o ovuli; al contrario verranno forniti da donatori e/o donatrici. Secondo le statistiche, circa l’80% delle coppie che ricorrono alla GPA sono coppie eterosessuali che hanno difficoltà a concepire e scelgono questa strada in alternativa all’adozione.Perché non è corretto chiamarlo “utero in affitto”? Perché rimanda ad un’idea di strumentalizzazione del corpo delle donne che, di fatto, è piuttosto lontana dalle procedure di GPA legali e controllate. Le “gestanti per altri” vengono selezionate in base a rigidi criteri psicologici e socio-economici, oltre che fisici: non vengono scelte, ad esempio, persone in condizioni economiche difficili, che potrebbero scegliere questa strada per necessità o addirittura disperazione. Per scongiurare questo pericolo, in alcuni Stati, è proibito pagare la persona che porterà avanti la gravidanza, a parte naturalmente per quanto riguarda ciò che è strettamente connesso alla gravidanza stessa, come gli esami e le cure mediche. Senza contare che non sempre questa donna è sconosciuta: a volte si tratta di amiche o persone vicine alla coppia.
Figli adottati: negli Stati in cui è concesso e normato, le coppie omosessuali possono diventare genitori grazie al processo di adozione previsto per le coppie etero. Ogni Stato ha le sue regole in merito all’adozione e non tutti prevedono la possibilità di adottare da parte delle coppie omosessuali.

2. I figli di coppie gay o lesbiche hanno difficoltà nello sviluppo?

Per rispondere a questa domanda – quella forse di maggior interesse per la comunità scientifica in quanto ha il fine di tutelare l’interesse dei bambini – sono state condotte molte ricerche. I primi studi sono stati effettuati sui figli di madri divorziate che, successivamente, hanno iniziato una relazione con una nuova compagna: questi studi hanno riscontrato difficoltà di adattamento nei figli di queste donne, ma non era possibile – a causa del campione preso in esame – capire se queste difficoltà fossero dovute all’orientamento sessuale della madre o all’esperienza del divorzio dei genitori.

Si è così compreso che il modo migliore per rispondere a questa domanda era monitorare lo sviluppo di bambini cresciuti da coppie omogenitoriali fin dalla nascita e confrontarlo con quello di bambini cresciuti fin dalla nascita da coppie etero. Tra questi ci sono studi che hanno coinvolto un grande numero di soggetti e li hanno seguiti per molti anni (studi longitudinali), ad esempio il US National Longitudinal Lesbian Family Study (NLLFS), il più ampio studio finora condotto su madri lesbiche “pianificate”, e altri studi come il Bay Area Families Study, il National Longitudinal Study of Adolescent Health (Add Health), uno dei primi studi a coinvolgere un campione di adolescenti più rappresentativo, comprendente diverse etnie e condizioni socio-economiche dei partecipanti.

Sono state condotte anche diverse meta-analisi – una ricerca che integra i risultati statistici di un grande numero di studi – tra cui alcune che confrontano bambini cresciuti fin dalla nascita da coppie etero e bambini cresciuti fin dalla nascita da coppie di uomini omosessuali.

Infine, queste tematiche sono state studiate anche nel contesto italiano.

Ecco, in sintesi, alcuni dei risultati di queste ricerche (alcune delle quali continuano tuttora a raccogliere dati), riportati in un documento pubblicato dall’università La Sapienza:

In un campione dello U.S. NLLFS di bambine di 10 anni cresciute da due mamme lesbiche, il punteggio medio di problemi comportamentali, misurato attraverso la Child Behavior Checklist (CBCL), era significativamente inferiore a quello ottenuto dalle coetanee e dai coetanei cresciute/i con genitori eterosessuali;
Sempre all’interno dello U.S. NLLFS, sono stati intervistati 78 adolescenti che hanno descritto le loro vite come ricche e soddisfacenti, hanno riportato di avere ottimi legami sia familiari sia con i pari e di percepire un benessere psicologico e personale molto alto;
In un campione di 78 adolescenti di 17 anni, equamente distribuiti per genere e cresciuti in famiglie con donne lesbiche, sono stati rilevati livelli più elevati di comportamenti prosociali e competenze scolastiche rispetto a 93 coetanei figli di genitori eterosessuali.

So cosa state pensando: forse il motivo di questi risultati è che questi bambini sono cresciuti con due madri e non con due padri?

Per rispondere alla domanda, vediamo come se la cavano i figli delle coppie formate da uomini gay, cresciuti con loro fin dalla nascita.

Una meta-analisi del 2017 integra i risultati di 10 studi, condotti nei 10 anni precedenti, che avevano come obiettivo quella di misurare la capacità di adattamento psicologico dei figli di coppie gay e confrontarla con quella di figli di coppie etero. Il risultato? I figli delle coppie gay se la cavano addirittura meglio, ovvero hanno una maggiore capacità di bilanciare i propri bisogni con l’ambiente esterno, mostrando una più spiccata capacità di adattamento.

Questa mole di studi, quindi, ci dice che lo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale dei figli delle coppie omogenitoriali è paragonabile – a volte migliore, e poi vedremo perché – a quello dei figli di coppie etero.

Né il genere né l’orientamento sessuale dei genitori, quindi, influisce sul corretto sviluppo dei bambini. Quali sono, quindi, i fattori che influiscono? Queste ricerche e, in generale, i ricercatori che si occupano di psicologia dello sviluppo, hanno riscontrato che uno sviluppo psicologico sano e funzionale da parte dei bambini é determinato dalla dalla forza del legame che i bambini sentono di avere con i genitori e dalla qualità delle interazioni quotidiane che i genitori hanno con loro. Questo vale per tutti i bambini, compresi i figli delle coppie etero.

Perché alcuni di questi bambini hanno riportato addirittura un più alto livello di benessere psicologico e di capacità emotive e relazionali rispetto ai loro coetanei figli di coppie etero?

Naturalmente il motivo non è che le persone omosessuali sono genitori migliori rispetto alle persone etero: se l’orientamento sessuale non influisce, non influisce neppure in senso positivo.

Secondo i ricercatori, però, l’omogenitorialità si accompagna ad alcune condizioni che possono essere protettive di molte difficoltà che si riscontrano nello sviluppo:

uno status socio-economico generalmente elevato delle coppie omosessuali che possono ricorrere ai metodi previsti per diventare genitori;
l’impossibilità di una gravidanza indesiderata e non pianificata;
le tempistiche lunghe del percorso per diventare genitori, che rende questa scelta necessariamente ponderata e progettata accuratamente e per lungo tempo;
un’attenzione più marcata alle necessità del bambino, dovuta allo stigma sociale nei confronti dell’omogenitorialità, che spesso fa dubitare gli stessi genitori delle proprie capacità.

Spero di avervi dato una panoramica abbastanza chiara di ciò che dice la scienza sull’omogenitorialità e di aver risposto a qualche dubbio.

Nella seconda parte proveremo a rispondere alle altre due domande:

Genitori omosessuali crescono figli omosessuali?
Perché abbiamo paura dei genitori LGBT+?

FONTI:

Patterson C.J. Children of Lesbian and Gay Parents. Current Directions in Psychological Science, 2006.

Lingiardi V., Carone N., Baiocco R. Il benessere dei bambini e delle bambine con genitori gay e lesbiche. Università La Sapienza, Roma. 2016.

Miller B.G., Kors S., Macfie J. No Differences? Meta-Analytic Comparisons of Psychological Adjustment in Children of Gay Fathers and Heterosexual Parents. Psychology of Sexual Orientation and Gender Diversity, 2017.






“I figli di coppie gay crescono anche meglio di quelli delle famiglie tradizionali”

Marco Quarantelli
7 giugno 2021

https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/0 ... in/618910/

Vivono con due mamme o due papà, e sono alla pari con i loro coetanei per autostima, comportamento emozionale e tempo speso in compagnia dei genitori. Ma avrebbero una marcia in più rispetto alla media in tema di benessere complessivo e coesione familiare. I bambini figli di coppie omosessuali crescono altrettanto bene, e sotto alcuni aspetti meglio, rispetto a quelli che vivono nelle famiglie tradizionali. Lo dicono i risultati preliminari di uno studio condotto dall’università di Melbourne su 500 minori residenti in Australia: le same-sex families sono più unite – suggerisce la ricerca – perché devono affrontare gli attacchi che arrivano dalla società, metabolizzarli e dare loro una spiegazione.

The Australian Study of Child Health in Same-Sex Families, si legge sul sito dell’ateneo, è “la più ampia ricerca al mondo” sul tema. E’ iniziata nel 2012, si concluderà nel 2014 e coinvolge 500 minori tra i 2 mesi e i 17 anni e 315 genitori (80% donne, 18% uomini e 2% di altro genere) tra gay, lesbiche, bisex e queer che hanno compilato online o via mail un Child Health Questionnaire riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale. Lo scopo è “misurare il benessere fisico, mentale e sociale dei bambini che vivono in questo ambiente”: secondo l’Australian Bureau of Statistics, nel 2011 erano 33mila le coppie omosex che vivevano insieme a 6.120 figli under 25. Tra gli obiettivi c’è anche quello di “studiare il ruolo della discriminazione” sul loro sviluppo. Cinque gli indicatori utilizzati: autostima, emotività, tempo trascorso con i genitori, stato di salute e coesione familiare. “I primi risultati – si legge sull’interim report – suggeriscono che i bambini hanno uno sviluppo normale e ottengono dei punteggi più alti dei coetanei in tema di benessere e coesione familiare per via delle discriminazioni cui sono sottoposti”. E gli scarti sono così marcati che se fossero casuali, spiegano i ricercatori, si verificherebbero in meno di un caso ogni 10 mila.

Secondo lo studio, il modo in cui le same-sex families devono rapportarsi ai fenomeni di omofobia avrebbe un impatto sul modo in cui i loro membri si relazionano tra loro. “Per via della situazione in cui si trovano – spiega Simon Crouch, responsabile del progetto – questi bambini sono più desiderosi di comunicare e affrontare con i loro cari tematiche come il bullismo“. Lo studio indaga inoltre sulla relazione tra il benessere dei piccoli e le discriminazioni cui le loro famiglie possono essere sottoposte a scuola, nelle strutture per l’infanzia, in quelle sanitarie e attraverso i media. “Una discriminazione che può variare dai commenti poco informati alla presa in giro, dal bullismo all’omofobia conclamata, fino al rifiuto”, spiega ancora Crouch. Il modo in cui questi attacchi vengono metabolizzati in seno alla famiglia avrebbe effetti positivi: il confronto su questi temi “favorisce l’apertura mentale e rinforza il carattere dei piccoli”. Un fattore che, è una probabile obiezione, dall’altro lato potrebbe poi diventare un elemento di autoesclusione o parziale isolamento dalla vita sociale.

In Australia le nozze gay non sono consentite (nel 2012 il parlamento ha votato contro e non se ne riparlerà prima delle elezioni di settembre), ma la legge riconosce come coppie di fatto sia le relazioni fra due sessi che dello stesso sesso. Inoltre alle co-madri lesbiche sono riconosciuti gli stessi diritti dei genitori di figli nati da fecondazione in vitro o inseminazione artificiale. Kate Coghlan e Susan Rennie vivono insieme ai loro tre figli: Hannah, 8 anni, Xavier, 6, e Anouk, 5, concepiti con il seme del medesimo donatore. “Noi parliamo di tutto – racconta Kate, 39 anni, al quotidiano australiano The Age – dal modo in cui i bimbi vengono concepiti ai differenti tipi di relazioni che gli esseri umani possono avere. Sono ragazzi molto aperti alla diversità”.

La letteratura scientifica in materia è ampia. Secondo i ricercatori australiani, sono 40 gli studi rilevanti condotti tra il gennaio del 1990 e il marzo 2011. L’ultimo pronunciamento autorevole risale al 21 marzo: quel giorno l’American Academy of Pediatrics, che rappresenta il 99% dei pediatri in attività negli Usa, diede il suo assenso famiglie omogenitoriali. Nel documento Promoting the Well-Being of Children Whose Parents Are Gay or Lesbian, i 60 mila membri dell’accademia si dichiararono a favore sia del “matrimonio civile per le coppie dello stesso sesso” sul quale è attesa entro giugno la decisione della Corte Suprema, sia della “piena adozione e dei diritti di affidamento per tutti i genitori, indipendentemente dall’orientamento sessuale”.



Più vicini alla depressione i figli delle coppie omosessuali
Claudio Risè
18 ottobre 2017

https://www.ilgiornale.it/news/pi-vicin ... 53751.html

Come crescono i bimbi delle coppie omosessuali?
Ottimamente, ci hanno assicurato i media in questi anni. Comunque molto meglio di quelli cresciuti in coppie etero, hanno ribadito esperti molto zelanti e terapeuti politicamente impegnati. Qualche intervistato più cauto ha provato a obiettare, ma chissà come mai il collegamento radiofonico improvvisamente cadeva, tra scuse biascicate velocemente dall'intervistatore.
Andava tutto veramente così bene?
Non proprio. Che i metodi con cui i dati venivano raccolti fossero in parte poco attendibili lo si sapeva, ma appunto difficilmente si riusciva a comunicarlo perché ciò metteva in crisi il pregiudizio ottimistico del discorso sull'omogenitorialità. Per esempio ci si era accorti della frequente poca rappresentatività dei campioni scelti, sia per la poca consistenza numerica che per l'eterogeneità delle situazioni considerate. Tutte forme sia di «genitorialità» che di «filiazione» molto diverse, tra le quali occorrerebbe muoversi con grande attenzione e rispetto, senza cadere in generalizzazioni sommarie.
Infine: il tempo. Aspetto decisivo nella vita, grande sfida alla maggior parte degli studi socio-psicologici, e che si capiva essere ben poco considerato in gran parte di questi lavori. Quanto un bambino sia stato bene o no in una famiglia lo capisci nel tempo. E in queste ricerche di tempo osservato ce n'era ben poco, anche per l'assoluta novità del fenomeno. Di solito pochi anni, mentre i problemi escono, per solito, nel corso dell'adolescenza e anche molto dopo.
Questi problemi compaiono ora nella loro realtà e complessità nel serio e accurato studio Omogenitorialità, filiazione e dintorni. Un'analisi critica delle ricerche della psicologa Elena Canzi, ricercatrice del Centro studi e ricerche sulla famiglia dell'Università Cattolica di Milano, presentato da Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli (Vita e pensiero, pagg. 144, euro 15). Il testo offre con metodo e precisione un'ampia selezione degli studi che rispondevano almeno ai requisiti indispensabili agli standard base nella ricerca psico-sociologica. I campioni rimangono abbastanza ridotti, e soprattutto nella raccolta delle informazioni sembrano spesso prevalenti quelle fornite volontariamente dai genitori rispetto a quelle risultanti da dati accertati da strumenti neutrali. È naturale che i genitori siano impegnati a dimostrare la positività del loro operato, tanto più in un tipo di filiazione anche antropologicamente nuovo, di cui essi stessi sono stati inventori, esecutori e, in queste ricerche, anche informatori e infine giudici dei risultati.
Questo è l'aspetto più critico, ma anche umanamente interessante di tutta la vicenda dell'omogenitorialità. In un'epoca in cui i genitori hanno spesso dimostrato anche molta distrazione e poco interesse per i figli, vissuti spesso come concorrenti invadenti sul piano dei consumi e dell'immagine, i genitori omosessuali hanno dimostrato complessivamente un notevole impegno ad averli e crescerli. Anche se non privo di tratti narcisistici, del resto caratterizzanti tutta la vita contemporanea. L'autrice e il Centro studi famiglia opportunamente si tengono però lontani da questi aspetti valutativi, che peraltro poi si evincono dagli elementi presentati negli studi. Soprattutto quando i dati forniti da genitori e associazioni vengono associati a quelli delle rilevazioni dei censimenti e data base costituiti su basi oggettive.
Compare così un'immagine di più ampio respiro su questa esperienza inedita nella storia del mondo, e su queste vite umane in sviluppo, riempiendo finalmente di contenuti esistenziali quello che era rimasto finora un dibattito in gran parte ideologico, con toni sgradevolmente propagandistici.
Come sempre nell'esistenza umana, che ha un tempo limitato tra un inizio e una fine, è proprio il tempo a fornire i dati più critici. È infatti all'età media di 28 anni, all'inizio del quarto settennio, quando è definitivamente conclusa la fase per certi versi eroica dell'infanzia-adolescenza e si entra nella maturità, che compaiono in questi figli i più problematici (finora) segni di difficoltà. Si tratta del disturbo caratteristico di tutta la nostra epoca, quello depressivo, la cui incidenza «cresce in modo esponenziale dal 18% in adolescenza al 51% in età adulta, mentre nel gruppo di figli di coppie eterosessuali diminuisce nel tempo di due punti percentuali con un valore in età adulta pari al 20%». Un dato questo, finora non rilevato, facendo per decenni di loro delle Invisible victims, «vittime invisibili», come li chiama Paul Sullins, autore del recente studio, pubblicato nel 2016. Naturalmente la depressione in età adulta è per queste persone solo un rischio, non un destino. Ma qui la frequenza è maggiore. Potrebbe magari cambiare più avanti, in rilevazioni successive: non possiamo saperlo oggi. Ma è per questo che le certezze finora spacciate per verità scientifiche su di loro, anche da cattedratici, si rivelano solo cattiva propaganda. Del resto, non potevano essere certezze, semplicemente perché mancava il tempo per trarre conclusioni. E i genitori omosessuali avrebbero ragioni di protestare contro presentazioni fatte così superficialmente dell'esperienza esistenziale loro e dei loro figli.
Un aspetto che non sarebbe corretto tacere è la maggior presenza dell'altro problemaccio dei bambini di oggi: l'iperattività e deficit di attenzione (Adhd), presente circa due volte più che nei figli di genitori eterosessuali. Anche perché i due fattori insieme, depressione e Adhd, vanno poi, come è noto, assieme a tutta una serie di altri aspetti: difficoltà nel conseguimento di diplomi scolastici, assunzione di cannabis e altre droghe, problemi emotivi. Tutti fenomeni rilevati anche in questi studi, ma spesso con commenti per nulla preoccupati, mentre nell'osservazione socio-psicologica risultano accompagnare per solito vite non proprio felici, e molteplici difficoltà.
In molti di questi studi, soprattutto quelli più datati, si insiste poi positivamente sulla poca aggressività di questi bambini e sulla loro apertura mentale, in particolare riguardo all'orientamento sessuale. È certamente un bene. Ma nelle analisi più qualitative ciò appare spesso come un impegno nella difesa dei genitori da aggressioni dall'esterno. Sappiamo però come l'atteggiamento «genitoriale» dei figli verso i genitori costi poi loro in mancanza di spontaneità, stanchezze emotive, depressioni. In queste biografie aspetti come questi, civilmente approvabili, sembrano sovrapporsi spesso ai sentimenti profondi dei bambini.
Non sempre però. Su un punto di solito non mollano: la mamma è sempre la mamma. Nelle coppie di lesbiche, la più amata è la madre naturale, non quella «sociale». La cosa, però, non crea solo sofferenze alla madre sociale ma anche problemi nella coppia, oltre che imbarazzo ai bambini. L'altra, raccontano loro, è una «mom». Mommy è quella che mi ha messo al mondo.



Ma sull’adozione da parte del partner del genitore biologico apre: «Posso immaginare casi in cui permetterla»
Il sociologo americano Paul Sullins. «Per i figli di coppie gay i problemi raddoppiano»

Luciano Moia
martedì 3 ottobre 2017

https://www.avvenire.it/attualita/pagin ... addoppiano

L’analisi attenta e senza pregiudizi delle circa 75 ricerche realizzate soprattutto negli Stati Uniti sui figli di genitori omosessuali mostra che la tesi della "nessuna differenza" è scientificamente infondata.
«I figli di genitori omosessuali hanno il doppio delle probabilità di sviluppare problematiche emotive – depressione e ansia – rispetto agli altri bambini».
Lo afferma Paul Sullins, docente di sociologia alla Catholic University of America di Washington, considerato tra i massimi studiosi del tema, autore di importanti studi sul tema dell’adattamento dei figli di coppie omosessuali, intervenuto nei giorni scorsi a un seminario organizzato all’Università Cattolica di Milano.

In Italia, anche a livello scientifico, è quasi impossibile discutere con moderazione sul tema dell’omogenitorialità. Chi solleva dubbi circa la tesi secondo cui i bambini dei genitori dello stesso sesso non mostrano problemi di sviluppo, è facilmente accusato di omofobia. Succede lo stesso negli Stati Uniti?
Penso che noi, che riconosciamo la presenza di problemi nello sviluppo di figli di coppie omosessuali, siamo sovente accusati di omofobia perché le prove in questa direzione sono talmente forti che coloro che ingenuamente accettano la tesi opposta avrebbero altrimenti ben pochi argomenti. Dobbiamo ricordare che molti, probabilmente la maggior parte, degli scienziati in questo campo sono essi stessi omosessuali e rispondono a livello emotivo e personale. Forse sono stati, a propria volta, oggetto di stigmatizzazione per il proprio orientamento sessuale. Quando mostriamo loro delle prove a sostegno delle difficoltà affrontate da queste famiglie, stiamo dunque loro chiedendo di affrontare una verità difficile.

La maggior parte della letteratura scientifica afferma che non esistono differenze tra i bambini di genitori dello stesso sesso e figli di genitori eterosessuali. È proprio così?
La tesi secondo la quale non ci sarebbero differenze tra i figli di famiglie omo ed eterosessuali è una pura invenzione, senza alcun fondamento scientifico. Ci sono due problemi principali nei circa 75 studi su cui tale tesi è fondata. Innanzitutto, la possibilità di trarre inferenze scientifiche si basa sull’utilizzo di campioni casuali accuratamente selezionati ma la maggior parte degli studi (almeno 70) non fa uso di un campione casuale. Al contrario, i partecipanti a questi studi vengono selezionati tra i membri attivi di gruppi a supporto della genitorialità gay.

Quali problemi dal punto di vista metodologico?
La maggior parte delle ricerche conta su meno di 40 partecipanti. Secondariamente, nessuno dei quattro o cinque studi che fanno uso di un campione casuale ha identificato direttamente le coppie omosessuali ma si è invece basato su un calcolo che, come abbiamo appurato, classifica erroneamente le coppie eterosessuali come omosessuali, sovrastimandone così il numero.

Riferendosi ai suoi studi, quali sono le difficoltà più comuni riscontrate nei bambini dei genitori dello stesso sesso?
I figli di genitori omosessuali hanno il doppio delle probabilità di sviluppare problematiche emotive – depressione e ansia – rispetto agli altri bambini. Ho potuto riscontrare risultati analoghi in molte mie ricerche che usavano database diversi e anche altri studiosi sono giunti a conclusioni simili, anche mediante studi longitudinali, che hanno seguito i bambini per oltre 20 anni.

Possiamo attribuire queste difficoltà alla stigmatizzazione da parte della società nei confronti delle persone omosessuali?
La stigmatizzazione è indubbiamente un problema ma non è un problema più grave per i figli di coppie gay né è in grado di spiegarne la maggior vulnerabilità. Ciò non significa in alcun modo che la stigmatizzazione sia accettabile. In tal senso, dobbiamo impegnarci per ridurre gli episodi di bullismo e vittimizzazione che costituiscono un problema grave per molti bambini, inclusi i figli di coppie gay.

Si sentirebbe di sostenere l’approvazione di leggi che permettono l’adozione da parte di genitori dello stesso sesso?
In generale no, ma credo possano sempre esserci delle eccezioni. Non credo che i risultati della mia ricerca possano diventare un punto a favore dell’adozione da parte di coppie omosessuali, dal momento che i figli di coppie adottive fanno già esperienza di maggiori difficoltà emotive. Dovremmo però chiederci qual è il superiore interesse del bambino. Dal momento che è cinquanta volte più probabile che un bambino sia eterosessuale piuttosto che omosessuale, il superiore interesse del bambino dovrebbe risiedere nel suo affidamento ad una coppia eterosessuale.

Una regola da rispettare in qualunque situazione?
No, non dovrebbe essere applicata in maniera rigida o automatica, fondata su ideologie politiche, di qualunque colore esse siano. Quando si prende in considerazione l’adozione da parte di un individuo omosessuale, occorre distinguere tra l’adozione da parte di due genitori – in cui due persone, nessuna delle quali legata al bambino da rapporti di parentela, chiedono allo stesso tempo di diventare legalmente genitori di un minore – e l’adozione da parte di un solo genitore, in cui il partner di uno dei genitori biologici del bambino chiede di poterlo adottare. Posso immaginare casi in cui permettere questo secondo caso (l’adozione da parte di un genitore) possa rappresentare l’interesse del bambino, ad esempio quando non è possibile ottenere supporto materiale e morale da parte dell’altro genitore naturale.

(Ha collaborato Monica Accordini)

L'INCONTRO
Presentata alla Cattolica la ricerca che prende in esame gli studi sul tema
«Omogenitorialità e filiazione» è stato il titolo del seminario internazionale organizzato nei giorni scorsi all’Università cattolica di Milano. L’iniziativa, realizzata dal Centro di ateneo Studi e ricerche sulla famiglia diretto da Giovanna Rossi – che ha introdotto la giornata – è stata pensata per presentare il testo di Elena Canzi, "Omogenitorialità, filiazione e dintorni. Un’analisi critica delle ricerche" (Vita e pensiero", pag.120, euro 15) ed è stata impostata sulla lectio di Paul Sullins (Catholic University of America di Washington) che parlato sui "Risultati dello sviluppo per i figli di genitori dello stesso sesso: quello che sappiamo, e quello che non sappiamo". Per la presentazione del testo, oltre alla stessa autrice, sono interventi Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, già docenti di psicologia nello stesso ateneo, che hanno scritto l’introduzione al saggio, di fatto la prima analisi critica pubblicata in Italia sulle ricerche che si occupano di figli di coppie omosessuali (ne abbiamo anticipato ampi stralci sul numero di "Noi famiglia & vita" di luglio): «Dal corpus delle ricerche presentate – hanno sottolineato tra l’altro i due esperti – risulta di tutta evidenza la forzatura della tesi della "non differenza"... A un livello più "meta" di riflessione empirica abbiamo rilevato la scorrettezza epistemologica prima che empirica sulla capacità della ricerca di "dimostrare" una tesi di così ampia portata». Riflessioni di grande interesse anche a proposito delle sensazioni sperimentate dai figli di genitori omosessuali: «Sono soprattutto i genitori dei figli a fornirci elementi per poter comprendere alcuni aspetti dei loro vissuti. Essi si sentono in difficoltà coi coetanei per timore che giudichino male la loro famiglia... e sappiamo quanto questo tasto sia delicato in particolare per i soggetti in crescita».


“Nessuna differenza”: i risultati di recenti ricerche sfatano il mito della buona crescita dei figli nelle coppie omosessuali
Carmen María Martínez Conde
29 Novembre 2016

https://familyandmedia.eu/studi-su-fami ... osessuali/

Il falso mito del “Nessuna differenza”

L'espressione “Nessuna differenza” è stata usata negli ultimi 20 anni in un'ampia varietà di studi accademici nell’ambito delle scienze sociali, per indicare come i bambini che crescono all’interno di coppie dello stesso sesso non soffrono di differenze o svantaggi, rispetto agli altri bambini.

Tuttavia, ci sono evidenze empiriche che mostrano l'inconsistenza di questo paradigma. I bambini che crescono in un ambiente non eterosessuale possono avere più problemi, così come quelli che vivono con genitori single, dove manca cioè l’altro compagno. E’ bene quindi evidenziare queste carenze presenti nella maggior parte delle ricerche cosidette “ugualitarie”, basate su veri e propri pregiudizi e stereotipi.

Questo è quanto viene analizzato dalla raccolta di studi No Differences? How Children in Same-Sex Households Fare (Witherspoon Institute 2014), dove si giunge alla conclusione che la maggior parte degli studi sociali di questo genere sono deficitari, inconcludenti, di parte e realizzati con scarsa valenza scientifica. Queste carenze metodologiche, troppo frettolosamente perdonate da una comunità accademica presa da mode e tendenze dell’ultima ora, sono fonte di problemi che non possono essere ignorati e che nascondono la realtà.

Differenze tra bambini cresciuti in famiglie omosessuali ed eterosessuali

Loren Marks, dell’Università dello Stato della Louisiana, sostiene che la mancanza di affidabilità di questi studi sociali sulle famiglie omosessuali risiede nel fatto che la maggioranza è basata su piccoli campioni creati apposta per convenienza e senza alcun valore statistico. Nonostante ciò, afferma, questi risultati sono stati usati da istituti come l'Associazione Americana di Psicologia (APA) per convalidare aspirazioni più ideologiche che scientifiche.

Mark Regnerus, sociologo dell'Università del Texas, presenta una nuova ed evidente prova scientifica che mostra invece come ci siano delle forti differenze tra i bambini cresciuti in famiglie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali. Nel progetto New Family Structures Study (NFSS), di cui Regnerus è stato il ricercatore principale, sono stati intervistati un numero molto elevato (2.988) di giovani americani, tra i 18-39 anni, tutti provenienti da diversi modelli familiari.

I risultati ottenuti provano la tesi dell'esistenza di numerose e consistenti differenze nel percorso di crescita e concordano con l'idea che i bambini ottengono i risultati migliori quando vivono in famiglie basate su unioni stabili ed eterosessuali. Conclude, inoltre, con un promemoria dettagliato sui costi sociali di una rottura familiare.


Un sguardo ai risultati scolastici: differenze tra famiglie omosessuali ed eterosessuali

Le ricerche di Allen, Pakaluk e Price si concentrano sui progressi scolastici e sull'idea che un'educazione affettiva svolge un ruolo importante per il rendimento a scuola. I bambini educati in un ambiente omosessuale hanno un rendimento scolastico inferiore rispetto a quelli provenienti da famiglie eterosessuali e sposate. Non solo. Si registrano statisticamente anche variazioni significative nei risultati scolastici ottenuti dal bambino nelle coppie formate da unioni dello stesso sesso, a seconda che si tratti di due uomini o di due donne.

Allen, in un articolo dedicato alla scuola secondaria si basa sul Censimento del Canada del 2006 per dare una dimostrazione ampia basata su quasi due milioni di ragazzi, tra i 17 e i 22 anni, provenienti da sei differenti tipi di famiglie. Usando due tipologie di misurazione, il grado di frequentazione scolastica e la possibilità di laurearsi, ha evidenziato come nonostante le coppie dello stesso sesso siano in genere propense ad inviare i propri figli all’Università come nelle coppie eterosessuali, i ragazzi proveniente da genitori omosessuali alla fine hanno una probabilità statisticamente più bassa di laurearsi.

Validità scientifica delle ricerche sulle famiglie omosessuali

Gli autori sono tutti d'accordo sulla necessità di far fronte alle carenze metodologiche degli studi sociali sulla famiglia basati quasi tutti su piccoli campioni non rappresentativi sul piano scientifico e di pura convenienza, in quanto costituiti da persone che si offrono volontariamente a partecipare agli studi. Questo tipo di ricerca può introdurre pregiudizi ed occorre pertanto l'uso di progetti metodologici più rigorosi, statistici e di qualità dal momento che quelli esistenti sono inadeguati per fare delle conclusioni generali.

Invece gli autori di questa raccolta di studi del Witherspoon Institute usano campioni rappresentativi scelti aleatoriamente, o adoperano grandi insiemi di dati scelti per per dare validità e conferma agli obiettivi iniziali della propria ricerca. Da questo punto di vista, merita una menzione speciale la NFSS il cui team di ricerca è multidisciplinare e utilizza un processo di raccolta di dati adeguato e altamente rappresentativo.

In conclusione, queste ricerche evidenziano come sia necessario che la comunità accademica studi in maniera approfondita le vere conseguenze e gli effetti reali che i bambini cresciuti all’interno di coppie omosessuali possono subire nel loro percorso di crescita.

Serve una posizione scientifica forte e chiara di fronte a voci che dicono il contrario, sulla base di dimostrazioni di pura convenienza e nell’assenza completa di dati statistici rilevanti. Questa è sicuramente la sfida più importante a cui guardare in questi anni nel campo degli studi sociali e pedagogici sulla famiglia.



Ai confini della rivoluzione antropologica 2. Transgender, se il padre è anche la donna

Assuntina Morresi
venerdì 8 gennaio 2016

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine ... -la-donna-

La Società americana per la medicina riproduttiva ha aperto alla preservazione della fertilità prima della transizione di genere. Così nella genitorialità sessualmente indefinita si può arrivare al collasso.

Sono decine e decine le città americane con normative che fanno valere il cosiddetto 'diritto al bagno' per i transgender - cioè l’accesso ai bagni per uomini o per donne a seconda del genere cui 'si sente' di appartenere e non dell’apparato sessuale riproduttivo - in nome della lotta a ogni tipo di discriminazione, e non soltanto nelle scuole.
Lo scorso 22 dicembre il New York Times ha dato notizia di apposite linee guida emanate dall’amministrazione di New York. Il documento, co-firmato dal sindaco De Blasio e dal Presidente della Commissione Diritti Umani della città, dettaglia l’applicazione di una legge locale sui transgender approvata nel 2002, il 'Transgender Rights Bill', che ha l’obiettivo di assicurare protezione alle persone il cui «genere e immagine di sé non si accordano pienamente al sesso legale assegnato alla nascita». Oltre all’ormai ovvio 'diritto al bagno' - che dalle scuole viene esteso a tutti i luoghi pubblici della città - si parla anche di codici di abbigliamento e uso di nomi e pronomi, sempre in ambito pubblico: il tutto rigorosamente regolato a seconda dell’identità di genere percepita, e non del sesso assegnato alla nascita, a prescindere da interventi farmacologici o chirurgici, che possono esserci o meno, ma che secondo questa linea di pensiero devono riguardare esclusivamente il privato del singolo cittadino, e non debbono influire sull’identità socialmente riconosciuta.
Ma non si tratta 'solo' di usi più o meno discutibili di bagni pubblici o il modo di pettinarsi, truccarsi e vestirsi: le conseguenze di quella che a tutti gli effetti è una marcia trionfale verso l’eliminazione di ogni differenza sessuale, esplodono nella condizione in cui è massima l’espressione dell’identità sessuata, e cioè nella generazione di un figlio.
Finora, infatti, indipendentemente dalle modalità del concepimento - naturale o con fecondazione assistita - un bambino può essere generato solo dall’unione di gameti appartenenti a persone di sesso diverso, e solo una donna può partorire un bambino: è bene ricordarlo, anche se è sempre imbarazzante ribadire un’ovvietà di questa portata. In altre parole, si può generare al maschile o al femminile, cioè si può essere padri oppure madri, ma non contemporaneamente tutte e due le figure. Ma fra i 'nuovi diritti' dei transgender si sta creando anche quello di poter essere contemporaneamente madre biologica e padre legale, o viceversa (padre biologico e madre legale). Lo scorso novembre la rivista scientifica Fertility and Sterility ha pubblicato un documento del Comitato etico della Asrm (Società Americana per la Medicina Riproduttiva), riguardante l’accesso ai servizi di fertilità delle persone transgender. S i tratta di una presa d’atto di una situazione già esistente e documentata nella letteratura dedicata, che nell’articolo in questione viene trattata in termini di 'diritto': quello dell’accesso dei transgender a tutti i servizi di fecondazione assistita, compresa la «preservazione della fertilità prima della transizione di genere». Di che si tratta? Gli autori lo spiegano con chiarezza. Una persona transgender può essere un uomo transgender, la cui definizione è sintetizzata nell’acronimo Ftm (in Transizione da Femmina a Maschio) o una donna transgender, Mtf (in Transizione da Maschio a Femmina). Si tratta di termini che includono «persone a diversi stati di transizione, dal punto di vista fisico, delle emozioni e temporale. Le persone transgender possono scegliere se alterare o no i loro corpi con ormoni o interventi chirurgici. Alcuni comunque, escludono per scelta la chirurgia e si affidano a trattamenti come le terapie ormonali». Ogni percorso di transizione è quindi personalizzato e unico, ed è anche variamente reversibile, poiché senza un intervento chirurgico che modifichi radicalmente l’apparato genitale riproduttivo è possibile mantenere la propria fertilità. Ad esempio, sono documentati gravidanze e parti di persone transgender che da donne sono passate a uomini, dal punto di vista sociale e legale, conservando però utero e ovaie, e quindi in grado di affrontare una gestazione (ex. A. Light et al. Transgender Men Who Experienced Pregnancy after Female-to-Male Gender Transitioning, Obstetric and Gynecology (2014), 124, 1120). Si tratta di persone che hanno concepito naturalmente, o anche a seguito di trattamenti di fecondazione assistita. Cioè si tratta di persone che potrebbero essere padri legali - poiché la percezione di sé come maschi, come abbiamo visto, sta diventando sufficiente per essere riconosciuti anche legalmente come tali - e madri biologiche allo stesso tempo (alcune madri biologiche hanno contribuito solo con la gravidanza, altre anche con i propri gameti), dello stesso bambino. Ma non solo. Poiché molti transgender desiderano comunque avere figli dopo la transizione, diversi professionisti del settore concordano sul diritto di queste persone anche a preservare la fertilità, cioè: prima di sottoporsi a qualsiasi trattamento medico per la transizione possono crioconservare i propri gameti o gli embrioni generati, in modo da poterli comunque riutilizzare successivamente, a transizione compiuta, con tecniche di fecondazione in vitro. In questo modo ad esempio un transgender che da uomo è diventato donna, se prima dei trattamenti ha crioconservato il liquido seminale, potrà usarlo successivamente, a transizione terminata, e diventare così padre biologico essendo comunque donna da un punto di vista legale, visto che la percezione di sé come donna la fa riconoscere come tale anche dalle istituzioni pubbliche. Gli autori del documento della Asrm sottolineano che «la riproduzione assistita può includere l’intera gamma dei servizi di fertilità e non differisce materialmente da quelli offerti a persone non transgender», anche se i transgender devono essere informati su tutti i rischi degli eventuali trattamenti ormonali necessari per la fecondazione in vitro, trattamenti che potrebbero interferire pesantemente, se non sostituirsi, con quelli impiegati per la transizione di genere. D' altra parte giuridicamente negli Stati Uniti non esistono divieti alla riproduzione di persone transgender, che quindi - conclude il documento non devono subìre discriminazioni per via del loro stato, ma debbono poter essere trattate come tutti, ed avere le stesse opportunità già disponibili a chiunque abbia perso la propria capacità riproduttiva. Riguardo ai nati in queste situazioni, si ribadisce il fatto che i bambini hanno bisogno innanzitutto di genitori affettuosi che rispondano ai loro bisogni, e che piuttosto che il cambiamento di genere del genitore è la perdita di contatto con lui a danneggiare i bambini. 'Love is love', insomma: lo slogan con cui Obama ha festeggiato la sentenza della corte Suprema americana che ha sdoganato il matrimonio gay nella federazione, si sta estendendo anche alla genitorialità sessualmente indefinita, dove si può arrivare al collasso del padre e della madre in un’unica figura, in cui i contributi biologico e sociale, dopo essersi separati all’interno dello stesso sesso - il padre sociale accanto a quello biologico, per esempio - tornano a coincidere, ma stavolta in sessi opposti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

Messaggioda Berto » mar giu 21, 2022 8:00 am

I bambini cresciuti con le coppie transgender

Genitori transgender si scambiano i sessi/ Inghilterra, prima famiglia gender fluid: “Così siamo completi”
https://www.ilsussidiario.net/autori/paolo-vites/
10 settembre 2018

https://www.ilsussidiario.net/news/este ... ti/838285/

Hanno un figlio di 5 anni, si chiama Star Cloud: è un maschietto ma loro non lo definiscono così, semplicemente “persona”, lasciandolo libero di scegliere il sesso che preferisce. D’altro canto anche i genitori stanno facendo così: lei, la mamma, Nikki, 32 anni, si prepara a diventare un uomo; lui, oggi Louise, diventerà una donna. Per adesso hanno già cambiato i loro nomi a seconda del sesso prescelto. Secondo i loro calcoli, l’inversione di ruoli sarà definitiva per quando il figlio avrà 10 anni (che magari per quell’età avrà deciso di essere una bambina). È la prima famiglia “gender-fluid” del Regno Unito, così si chiamano le coppie che invertono i loro ruoli sessuali: mamme che diventano papà e papà che diventano mamme.

INGHILTERRA, PRIMA FAMIGLIA GENDER FLUID

La mamma biologica del bambino, Nikki, sta per sottoporsi a tutte le cure e operazioni de caso, si chiamerà Charlie. In questo modo, dicono, coroneranno il loro sogno di avere il corpo che loro sentono nella mente: “Se avessimo aspettato fino a quando Star fosse stato più grande, sarebbe cresciuto con dei genitori che si sentivano incompleti”.Ovviamente il bambino qualche domanda se la fa. Ha chiesto al padre perché in piscina indossa un costume da donna, lui gli ha spiegato che presto andrà da un dottore che gli toglierà il pene. A casa il bambino che i genitori non definiscono così, ma semplicemente persona rifiutando di dargli una definizione in base al sesso, è libero di giocare con qualunque tipo di giocattolo che vuole e di tingersi le unghie. Ma a scuola non lo lasciano giocare con le bambole, si è lamentato. Quando i genitori gli hanno spiegato che giocare con le bambole può essere utile per quando sarà un padre con delle figlie, il bambino ha risposto: “Non voglio essere un papà, voglio essere una mamma”… Ultimo interessante particolare: la coppia si è sposata nel 2012 con un rito pagano.




”L'altro lato dell'arcobaleno
copio e incollo
Giovanni Tarei
17 agosto 2022

https://www.facebook.com/giovanni.tarei ... F6bCHgy8yl

Mi chiamo Millie Fontana, ho 23 anni e sono figlia di due lesbiche, concepita tramite un donatore. Sono qui con il supporto di tutti e tre i miei genitori. Questa è una testimonianza che, di sicuro, è inaudita perché nessuno vuole sentir parlare dell'altro lato dell'arcobaleno, il lato non adatto per crescere dei bambini felici, perché crescono con l'idea sbagliata di come una struttura 23familiare dovrebbe essere.
Crescendo, volevo un padre... Sentivo dentro di me che mi mancava un padre prima ancora che potessi concepire quello che significava un padre. Sapevo che amavo entrambe le mie mamme, ma non riuscivo a capire quello che mancava dentro di me. Quando ho affrontato la scuola ho iniziato a realizzare, attraverso l'osservazione di altri bambini e dei loro legami d'amore con i loro padri, che mi stavo perdendo qualcosa di speciale. Mi è stato mentito durante tutta la scuola; Mi è stato detto che non avevo un padre... è stato molto difficile per me affermare un'identità stabile per questo. E la mia stabilità comportamentale ed emotiva ha sofferto molto a causa di questo.
Sono cresciuta atea e senza alcuna affiliazione religiosa... ma supporto i cristiani perché fin'ora, in questo dibattito, i cristiani sono gli unici che si pongono la questione e seguono i loro figli. I cristiani sono gli unici che cercano di accendere i riflettori sulle storie come la mia. Nessuno nella lobby Lgbt vuole ascoltare qualcuno come me perché "Love is love" giusto? Noi non esistiamo per loro.
Crescendo mi guardavo allo specchio e pensavo: "Da dove ho preso questi occhi verdi? Da dove ho preso un certo aspetto della mia personalità o certi talenti che nessuno nella mia famiglia ha?". La risposta è semplicemente "Mio padre"! Ma in realtà non è soltanto il padre o il donatore (come a loro piace chiamarlo), ma : "ho una zia, uno zio, una nonna e tanti cugini?". Sono tutte cose che fanno parte di me. Chi erano i miei genitori per decidere quali parti di me è accettabile che conosca e quali no?
Ho conosciuto mio padre quando avevo 11 anni ed è stata probabilmente la prima volta nella mia vita in cui mi sono sentita una bambina stabile. L'ho guardato negli occhi e ho pensato: "questa è la mia parte mancante", non perché avessi fantasticato sull'avere un padre, ma perché ho potuto dare un volto a chi ero io, potuto guardare chi è egualmente responsabile della mia esistenza, ho potuto affermare la mia identità basata su questo uomo.
Voglio parlare di reale "uguaglianza". Sento parlare di "uguaglianza" dalla lobby Lgbt ma mi chiedo quale sia la loro definizione di uguaglianza perché, per me, uguaglianza significa dire la verità, significa essere rispettati per quello che si è per intero e non solo in base a quello che i genitori decidono che tu debba sapere. Uguaglianza è guardare entrambi i lati della mia famiglia genetica e capire chi sono veramente. Uguaglianza non significa che, siccome alcuni studi su famiglie gay volontarie e sui loro figli dimostrerebbero un esito positivo, questo debba valere per tutti, è completamente irrealistico.
Ho sentito questa menzogna della lobby Lgbt: ai bambini non importa chi è la loro famiglia, uomini e donne sono intercambiabili. Considero questo di per sé una forma di discriminazione di genere. Uomini e donne offrono ruoli complementari nell'allevare il bambino e dovrebbero essere rispettati con "uguaglianza".
È buffo il modo in cui la lobby gay parla di omofobia. Ho racconti di amici gay che mi spiegano che altri gay li chiamano omofobi perché preferiscono che i bambini crescano con un padre e una madre: è totalmente ridicolo! Ero omofoba quando mi guardavo allo specchio e mi chiedevo dove fosse mio padre? Ero omofoba quando supplicavo i miei genitori di dirmi chi fossi? Assolutamente no! Io amo i miei tre genitori con "uguaglianza".
L'omofobia, in realtà, è semplicemente un'avversione per un certo comportamento. Sono profondamente in disaccordo nell'equiparare omofobia e razzismo. Mi sento offesa dall'idea che io sia considerata razzista per aver parlato di queste cose.
Perché il governo sta cercando di spingere una agenda che non è basata sull'onestà? Perché in realtà in ogni relazione tra persone dello stesso sesso ci vuole una terza persona per "produrre" un bambino. Perché come società dovremmo ignorare questa verità? Io non sono qui grazie a due donne, ma tre persone hanno fatto la scelta di farmi venire al mondo. La scienza viene sostituita dai desideri di alcuni adulti. In Canada sul certificato di nascita c'è scritto "genitori legali" non più genitori biologici. Il certificato di nascita sta cambiando da documento della storia del bambino a documento di intenti degli adulti. Sono gli adulti che decidono: io mi prendo cura di questo bambino. Ma quali informazioni questo documento fornisce al bambino? Non è realistico. Nessuno fa un certificato sulle intenzioni.
Mia madre mi ha fatto una domanda: cosa sarebbe successo se io e la mia partner potevamo sposarci? Se avessimo potuto avere quell'ambiente familiare stabile come tutti gli altri? Ho risposto con un'altra domanda: che tipo di terapia mi avrebbero somministrato gli psicologo per i miei comportamenti dovuti alla mancanza di un padre se l'assenza del padre fosse stata considerata una forma di discriminazione? Nessuna risposta.
La cosa divertente è che Obama ha detto che adesso tutti gli altri paesi si dovranno evolvere, ma da quello che ricordo, l'evoluzione è durata un po' più di un decennio ed anche che ha coinvolto tutti. L'evoluzione non è stata fatta con un'agenda politica che sta silenziando anche una parte della comunità Lgbt. Sono una piccola minoranza estremista che sta spingendo, da quello che mi sembra, all'estinzione del genere in sé stesso. Io non vedo "gender equality" io vedo l'intenzione di sbarazzarsi del genere umano del tutto.
Finché noi come società non intavoliamo una discussione che includa i bambini come me per i quali non va bene che i genitori decidano quali sono le parti (di vita) che sono accettabili da rivelare al bambino, finché questa discussione esclude tutti quelli che sono stati allevati senza padre o senza madre, finché questa discussione azzittisce svergognandoli i bambini che sono sulle mie posizioni, non dovremmo spingere il matrimonio a questa evoluzione perché l'evoluzione va per gradi e non ho intenzione di venire zittita da persone che devono dire a me come è accettabile che io mi senta, che sono una brutta persona perché volevo un padre, che forse non amavo abbastanza le mie madri se volevo un padre.
Grazie per il sostegno a questa causa perché tutti meritano avere voce e non lascerò che si incuta vergogna ai cristiani o a qualunque persona di fede solo perché si mobilita per i bambini... è ridicolo!”


TESTIMONIANZA DELLA MADRE DI UNA RAGAZZA DE-TRANS* SPAGNOLA DI 21 ANNI.

(testo di Belenes Tebar e carmenhijosconexito tradotto dallo spagnolo)

E adesso?
Ora mi restituite mia figlia perché non siete più interessati a lei.
Ora me la restituite rotta.
Rotta dentro e fuori.
Dentro con attacchi di panico, con ansia generalizzata, depressione, rimpianto e vergogna.
All'esterno è barbuta, ha peli sul petto e sulle natiche, la sua mascella si è allargata e il suo naso sembra un peperone, ha alopecia frontale e seni amputati con due grandi cicatrici sul petto.
Ha una voce da uomo e il colesterolo alto.
Quando a 15 anni ci disse improvvisamente che era un ragazzo, non ci credemmo, perché era sempre stata una ragazza normale.
Ma la sua insistenza, la sua transizione sociale a scuola ed il cambiamento del suo carattere ci hanno spinti a portarla dal medico di base.
Lui l'ha mandata all' "Unità di Cura Transessuale" e da lì è iniziato l'incubo.
Nella seconda consultazione, lo psicologo la indirizzò all'endocrinologo, nonostante la rapida insorgenza della sua disforia.
L'endocrinologo, entro due mesi dal primo incontro, le aveva già prescritto iniezioni di testosterone (ormone mascolinizzante).
Non importa quanto duramente abbiamo cercato di convincerla, non c'era modo che si arrendesse.
A scuola la incoraggiavano: "Come sei coraggiosa!"
Le sue amiche erano estasiate.
Gli psicologi dicevano che era molto matura e lei, all'età di 16 anni, ci credeva.
Non importa quante volte abbiamo denunciato il tutto al Servizio di Salute Pubblica ed al Tribunale della Famiglia, ma non c'è stato verso: "Ha 16 anni, ha raggiunto la maggiore età". La maggiore età per cambiar sesso, s'intende.
La maggiore età per votare, bere alcolici e guidare è, invece, 18 anni.
Noi genitori siamo da soli.
Tutto è stato reso così "facile" per lei.
Era tutto così veloce.
Era euforica.
Pensava che i problemi di relazione con i suoi coetanei, la sua bassa autostima, il sentirsi diversa perché non condivideva l'immagine ipersessualizzata nei selfie che era così di moda...
Questi problemi, pensava, stavano per essere risolti.
Ogni cambio di corpo era accompagnato da un alto, seguito da un basso.
Era triste, arrabbiata, distante.
Finché un giorno, all'età di 21 anni, venne a piangere, pentita, che non le piaceva come era.
Non si piace, si odia, vuole morire.
Vuole tornare ad essere la ragazza che era.
Non sopporta la sua immagine allo specchio.
Ora tutti si sono lavati le mani: nessun psicologo, nessun chirurgo, nessun endocrinologo, nessuna associazione di transessuali, niente.
Siamo soli.
Siamo soli, noi genitori e lei.
Siamo tutti in un immenso dolore.
Come invertire i cambiamenti, chi ci aiuterà?
È orribile, le resterà sempre la voce da uomo: e adesso?
Ritengo responsabili i politici ignoranti che votano Leggi senza sapere per cosa stanno votando, lasciandosi pressare dalle lobby.
Ritengo gli psicologi, gli endocrinologi ed i chirurghi plastici responsabili di non aver rispettato il primo principio ippocratico del non nuocere.
Questo è il più grande scandalo di salute pubblica degli ultimi tempi, la sperimentazione sui più vulnerabili.
Trasformare ragazze sane in pazienti a vita, foraggio psichiatrico per tutta la vita, perché il danno causato è irreversibile.
Ci saranno cause, molte cause, perché avete agito su minori senza il consenso dei genitori.
Avete causato molta sofferenza a genitori, nonni, fratelli e sorelle, perché le nostre figlie non erano transessuali, ma soltanto bambine confuse.
*De-trans è un neologismo per indicare quelle persone che si sono sottoposte alla transizione maschio-femmina o femmina-maschio e che però, successivamente, hanno cambiato idea ed hanno così deciso, tra mille difficoltà, di tornare al loro sesso naturale (quello biologico).



Giorno della memoria 2022: per non dimenticare Lucy Salani, la donna trans più anziana d’Italia...

di Remy Morandi
27 gennaio 2022

https://luce.lanazione.it/giorno-della- ... -a-dachau/

“Perché una donna non si può chiamare Luciano? I miei genitori mi hanno dato questo nome e questo nome è sacro”. Dietro alle parole di Lucy Salani, la donna transessuale più anziana d’Italia, 98 anni, si nasconde il suo mondo, la sua storia, il nostro futuro. Lucy è femmina, da sempre si sente femmina. Ma non per scelta sua è nata maschio, col nome di Luciano. A Fossano in provincia di Cuneo, nel 1924. Negli anni Trenta si trasferisce a Bologna con la famiglia. Costretta a lavorare, conosce alcuni ragazzi omosessuali che per vivere si prostituiscono. Lo fa anche lei. Ma sono gli anni del fascismo e gli omosessuali vengono perseguitati. Arriva la chiamata dell’esercito, Lucy non vuole essere arruolata. Agli ufficiali dice di essere omosessuale, loro non ci credono. Nel 1943 diserta e prova a tornare dalla famiglia. Si nasconde in campagna, ma viene trovata dai nazisti e costretta ad arruolarsi nell’esercito tedesco. Diserta un’altra volta, e un’altra volta viene trovata dai nazisti. La spediscono nel campo di concentramento di Dachau, in Germania. Ci rimane sei mesi, riesce a sopravvivere. Arrivano gli americani, Lucy viene liberata e spedita in Italia. Si trasferisce a Torino, fa il tappezziere. Negli anni Ottanta va a Londra, si sottopone a un intervento chirurgico per la riassegnazione del sesso. Torna in Italia, ma non cambia nome. “Questo nome è sacro”. Adesso vive a Bologna, nella periferia di Borgo Panigale, con un marocchino che considera come suo nipote.

Lucy Salani, 98 anni, è la transessuale più anziana d’Italia

Oggi, giovedì 27 gennaio, è il Giorno della Memoria. E se questo deve essere un giorno, il giorno, in cui tutti si devono ricordare di non dover dimenticare, non c’è storia migliore e più pertinente di quella di Lucy per riflettere sulle atrocità e gli errori del passato. “Perché la storia di Lucy, come superstite del lager di Dachau è testimonianza della memoria storica che non va cancellata. Ma come trans è anche un esempio dell’importanza della diversità e della sua tutela nella nostra società”. Queste le parole del regista Matteo Botrugno che insieme a Daniele Coluccini ha raccontato la storia di Lucy nel documentario “C’è un soffio di vita soltanto”, ritrasmesso al cinema in tutta Italia in occasione della giornata della memoria*.

La famiglia di Lucy non accettò mai che lei si sentisse donna

L’importanza della diversità. Per Lucy essere stata omosessuale negli anni Trenta voleva dire non avere una famiglia o una società che riconoscesse la sua identità. “Mi sono sempre sentita femmina fin da piccola – racconta Lucy –. Mia madre era disperata. Volevo sempre fare ciò che a quell’età facevano le bambine: cucinare, pulire e giocare con le bambole. Ma guai a dire che ero una donna. Mio fratello non riusciva a non chiamarmi Luciano, mia madre quando mi ha visto vestita da donna, si è spaventata”. Poi c’era il fascismo. Quando Lucy si trasferì a Bologna, dove iniziò a prostituirsi con un gruppo di ragazzi, doveva nascondersi dalle rappresaglie dei fascisti. “Allora non si parlava di omosessualità, non si doveva dare troppo nell’occhio: le bande di fascisti, dove trovavano persone come noi, combinavano sempre guai, picchiavano, rapavano, imbrattavano di catrame”.

Lucy davanti ai cancelli di Dachau

Poi arrivò la guerra, i nazisti, il campo di concentramento di Dachau. “Appena arrivati – racconta Lucy – ci hanno denudati, pelati e disinfettati, dicevano loro. Disinfettati con la creolina. Un bruciore bestiale! La pelle se ne veniva via il giorno dopo. Se avevi un po’ di carne addosso vivevi, altrimenti partivi già condannato. Quello che ho visto nel campo è stato spaventoso, l’Inferno di Dante a confronto è una passeggiata: impiccati, gente che moriva per la strada, persone che erano solo pelle e ossa. Facevano gli esperimenti: bruciavano i morti e c’era chi era ancora vivo, che si muoveva tra le fiamme. La mattina quando ti alzavi e guardavi la recinzione elettrificata, trovavi un mucchio di ragazzi attaccati: avevano provato a scappare durante la notte”. Sei mesi così. Poi, “il giorno in cui i tedeschi capirono che era finita ci ammucchiarono al centro del campo e iniziarono a sparare. Io fui ferita a una gamba e svenni, mi trovarono gli americani in mezzo ai cadaveri. E così ritornai a casa, in Italia”.

Oggi Lucy abita a Borgo Panigale con un marocchino che considera suo nipote

Nel campo di concentramento di Dachau gli americani della 42ma e 45ma divisione arrivarono una domenica, il 29 aprile 1945. Al suo interno c’erano 32.335 prigionieri, tra cui Lucy, 21 anni. Era sopravvissuta. In quel campo di morte le era stata affidata una mansione, “di prendere tutti i cadaveri che alla notte morivano e mettergli una targhetta insieme al loro numero. Perché non c’era un nome, c’era un numero”. Non c’era un nome, c’era un numero. Così racconta Lucy. Così racconta Luciano. Un nome sacro.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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L'identità sessuale non dipende dalla volontà individuale

Messaggioda Berto » mar giu 21, 2022 8:00 am

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