Milton J. Bennett ha fondato e dirige l'Istituto di Comunicazione interculturale di Portland in Oregon; è stato volontario per il Peace Corps in Micronesia e professore di comunicazione alla Portland State University in Oregon. Tiene corsi e conferenze sulla comunicazione interculturale in tutto il mondo.http://www.sociologia.unimib.it/default ... rsonale=99http://www.idrinstitute.org/page.asp?menu1=15 https://en.wikipedia.org/wiki/Bennett_scaleSviluppo della sensibilità interculturale di BennettModello di sviluppo della sensibilità interculturale di Milton J. Bennett
https://deontologiabioetica.wordpress.c ... di-bennettBennett (1993) definisce la sensibilità interculturale in termini di fasi della crescita personale. Il suo modello di sviluppo presuppone un continuo miglioramento nel raffronto con le differenze culturali, spostandosi dall’etnocentrismo attraverso le fasi di maggiore riconoscimento e accettazione delle differenze che Bennett chiama “etnorelativismo”.
Il concetto principale che sta alla base del modello di Bennett è quello che lui chiama “differenziazione”, ovvero il modo in cui un individuo sviluppa la capacità di riconoscere e convivere con le differenze. La “differenziazione” si riferisce a due fenomeni: il primo è che gli individui vedono una stessa cosa in modi diversi, il secondo è che “le culture sono diverse le une dalle altre in modo da mantenere schemi di differenziazione o visioni del mondo diverse”. Questo secondo aspetto si riferisce al fatto che secondo Bennett le culture offrono diversi modi per interpretare la realtà e aiutano a percepire il mondo che ci circonda. Questa interpretazione della realtà o visione del mondo è diversa da una cultura all’altra
Sviluppare la sensibilità interculturale significa imparare a riconoscere e ad affrontare le principali differenze tra culture nel percepire il mondo.
Modello di Sviluppo della Sensibilità Interculturale
Le Fasi Etnocentriche
1. Negazione
Isolamento
Separazione
2. Difesa
Denigrazione
Superiorità
Ribaltamento
3. Minimizzazione
Universalismo
Fisico
Universalismo
Trascendentale
Le Fasi Etnorelative
4. Accettazione
Rispetto delle Differenze
Comportamentali
Rispetto della Differenza di Valori
5. Adattamento
Empatia
Pluralismo
6. Integrazione
Valutazione
Contestuale
Marginalità
Costruttiva
Le fasi etnocentriche
L’etnocentrismo viene considerato da Bennett come la fase nella quale l’individuo presuppone che la sua visione del mondo sia centrale nella realtà. La” negazione” sta alla base della visione etnocentrica del mondo e significa che un individuo nega qualsiasi differenza e l’esistenza di altre visioni della realtà. Questa negazione si può basare sull’isolamento, in cui le possibilità di trovarsi di fronte alla differenza sono scarse o nulle, in maniera tale che l’esisten- za della differenza non può essere percepita; oppure si può basare sulla separazione, in cui la differenza viene intenzionalmente “separata” e un individuo o un gruppo crea di proposito delle barriere tra coloro che sono “diversi”, in modo tale da non doversi confrontare con la differenza. La separazio- ne richiede quindi un momento in cui si riconosce la differenza, e rappresenta un passaggio verso l’isolamento. La discriminazione razziale che ancora esiste nel mondo è un esempio di questa fase di sepa- razione.
Individui provenienti da gruppi oppressi tendono ad ignorare la fase di negazione, dal momento che è difficile negare che esista una differenza, se è il loro essere diversi o vedere il mondo in modo diverso a venire negato.
La seconda fase viene descritta da Bennett come difesa. La differenza culturale può essere percepita come una minaccia poiché offre alternative al senso di realtà di ciascun individuo e perciò alla propria identità. Nella fase di difesa la differenza viene per- cepita, ma ci si oppone ad essa.
La strategia più comune per opporsi è la denigrazione, in cui la visione diversa del mondo viene valutata in modo negativo. Gli stereotipi e il razzismo nella sua forma più estrema sono esempi di strategie di denigra- zione. L’altro aspetto della denigrazione è rappresentato dalla superiorità, in cui si tende a dare maggiore enfasi agli elementi positivi di ciascuna cultura e poca o nessuna attenzione all’altra cultura, implicitamente valutata inferiore. A volte capita che venga utilizzata una terza strategia per affrontare la parte minacciosa della differenza, chiamata da Bennett “ribaltamento”. “Ribaltamento” significa che un individuo considera superiore l’altra cultura, denigrando la propria. Questa strategia può sembrare a prima vista più sottile, ma implica semplicemente la sostituzione del centro dell’etnocentrismo (la propria cultura) con un altro.
L’ultima fase dell’etnocentrismo viene chiamata da Bennett minimizzazione. Quando la differenza viene riconosciuta non può non essere combattuta con strategie di denigrazione o superiorità, tuttavia si cerca di minimizzare il suo significato. Le analogie vengono indicate per superare la differenza culturale che viene in tal modo resa insignificante. Bennett fa notare che molte organizzazioni sembrano percepire quella che lui chiama “minimizzazione” come l’ultima fase dello sviluppo interculturale, cercando di realizzare un mondo con valori condivisi e basi comuni. Queste basi comuni ruotano intorno all’universalismo fisico, cioè intorno alle affinità biologiche di base degli esseri umani. Dobbiamo tutti mangiare, digerire e prima o poi morire. Se la cultura non è altro che un’estensione della biologia, il suo significato viene minimizzato.
Le fasi etnorelative
“Per l’etnorelativismo è fondamentale il presupposto che le culture sono relative le une alle altre e che un particolare comportamento può essere compreso solo all’interno di un contesto culturale”. Nelle fasi etnorelative, la differenza non viene più considerata una minaccia, ma una sfida. Viene fatto un tentativo per sviluppare nuove categorie che aiutino a comprendere piuttosto che a preservare quelle esistenti.
L’etnorelativismo inizia con l’accettazione della differenza culturale. Accettare che il comportamento verbale e non verbale vari a seconda delle culture e che tutte queste variazioni vadano rispettate è il primo passo dell’accettazione. Secondo, questa accetta- zione viene estesa alle visioni di base del mondo e dei valori. Questa seconda fase implica la conoscenza e la percezione dei propri valori come frutto della cultura. I valori vengono intesi come processo e stru- mento per organizzare il mondo piuttosto che come qualcosa che si “possiede”.
Persino i valori che implicano la denigra- zione di un particolare gruppo possono avere una funzione nell’organizzazione del mondo, senza escludere che tutti possano avere una propria opinione su questo valore.
La fase successiva, l’adattamento, si basa sull’accettazione della differenza culturale. L’adattamento deve essere visto in contrasto con l’assimilazione in cui i valori, le visioni del mondo o i comportamenti diversi ven- gono assorbiti rinunciando alla propria identità. L’adattamento è un processo di “aggiunta”. Il nuovo comportamento, adatto ad una determinata visione del mondo, viene acquisito e aggiunto al repertorio dei comportamenti di ciascuno, con nuovi stili di comunicazione. La cultura ha bisogno di essere vista come un processo, qualcosa che si sviluppa e si evolve, piuttosto che come un qualcosa di statico.
Fondamentale per l’adattamento è l’empatia, ossia la possibilità di percepire una situazione in modo diverso rispetto a come viene presentata dal background culturale di ogni individuo. Si tratta del tentativo di capire l’altra persona accettando il suo punto di vista.
Nella fase del pluralismo, l’empatia viene estesa in modo tale da permettere ad un indi- viduo di fare affidamento su diversi schemi di riferimento o schemi culturali multipli. Lo sviluppo di questi schemi richiede una lunga permanenza in un contesto culturale diverso. La differenza viene quindi conside- rata come parte della vita normale di un individuo, che la interiorizza in uno o più schemi culturali diversi.
Bennett chiama l’ultima fase integrazione. Mentre nella fase di adattamento esistono diversi schemi di riferimento per ciascun individuo, nella fase di integrazione si tenta di ridurre i vari schemi ad uno solo, che non sia né la riaffermazione di una cultura, né una semplice comodità per la pacifica coesistenza di diverse visioni del mondo. L’integrazione richiede una definizione continua dell’identità del singolo individuo in termini di esperienze vissute. Questo potrebbe portare a non appartenere più a nessuna cultura, ma essere per sempre un “outsider integrato”.
La valutazione contestuale come prima fase dell’integrazione implica l’abilità di valutare le diverse situazioni e visioni del mondo da uno o più background culturali. In tutte le altre fasi si è evitata la valutazione, al fine di andare oltre quelle che possono essere le valutazioni etnocentriche. Nella fase di valutazione contestuale gli individui sono in grado di passare da un contesto culturale all’altro, a seconda delle circostanze. La valutazione fatta è quella ritenuta migliore. Bennett fa l’esempio di scelta interculturale: “E’ bene far riferimento direttamente ad un errore commesso di persona o da qualcun altro? Nella maggior parte dei contesti ame- ricani varrebbela prima ipotesi, mentre in quelli giapponesi la seconda. Tuttavia, in alcuni casi sarebbe bene usare uno stile americano in Giappone e vice versa; la capacità di utilizzare entrambi gli stili fa parte dell’adattamento. La considerazione etica rispetto al contesto nell’operare la scelta fa parte dell’integrazione”.
Come fase finale la marginalità costruttiva, viene descritta da Bennett come una sorta di punto di arrivo e non come la fine dell’apprendimento. Il fatto di non appartenere a nessuna cultura ed essere un outsider, implica uno stato di totale auto-riflessione. Il raggiungimento di questa fase permette, d’altra parte, la vera mediazione interculturale, la capacità di operare secondo diverse visioni del mondo.
Il modello di Bennett si è rivelato un buon punto di partenza per creare corsi di formazione e di orientamento che sviluppino la sensibilità interculturale. Sottolinea l’im- portanza della differenza nell’apprendimento interculturale ed indica alcune strategie per affrontare la differenza.
Secondo Bennett l’apprendimento interculturale è un processo caratterizzato da un continuo progresso (con la possibilità di andare avanti nel processo, ma anche di tornare indietro) ed è possibile misurare la fase raggiunta da un individuo in termini di sensibilità interculturale. Viene da chiedersi se l’apprendimento interculturale debba sempre seguire esattamente questa sequenza:
una fase che pone le basi per la successiva. Tuttavia, interpretando il processo in modo meno rigido in termini di fasi che devono susseguirsi, e più in termini di diverse stra- tegie con cui affrontare le differenze appli- cate a seconda delle circostanze e delle capacità, il modello rivela gli ostacoli prin- cipali e i metodi utili nell’apprendimento interculturale.
L’importanza per il lavoro giovanile
Le diverse fasi che Bennett descrive costituiscono uno schema di riferimento utile per studiare i gruppi, i contenuti e i metodi più adatti per insegnare a sviluppare la sensibilità interculturale. E’ necessario fare opera di sensibilizzazione alla differenza o ci si deve concentrare ad accettare tali differenze? L’idea di sviluppo tiene conto di un approccio pratico secondo il quale bisogna agire. Bennett suggerisce le conseguenze legate alla formazione in tutte le sue fasi. In un evento internazionale giovanile, molti dei processi descritti da Bennett si verifica- no tutti concentrati. Il suo modello è utile per osservare e capire cosa accade e come affrontare le diverse situazioni.
Infine, il modello di sviluppo indica chiaramente qual’è lo scopo del lavoro di appren- dimento interculturale: arrivare ad una fase dove la differenza viene considerata normale ed integrata nell’identità di ciascun individuo, e in cui si possono tenere in conside- razione schemi culturali di riferimento diversi.
Sintesi
Avendo osservato le diverse idee sull’apprendimento, la cultura e le esperienze interculturali dovrebbe essere chiaro che l’apprendimento interculturale è un processo. Questo processo richiede la conoscenza di se stessi e delle proprie origini, prima di riuscire a capire gli altri. E’ un processo difficile in quanto contiene idee ben radicate su ciò che è bene e ciò che è male, sull’organizzazione del mondo e della propria vita. Nell’apprendimento interculturale ciò che diamo per scontato e a cui ci aggrappiamo è messo in discussione. L’apprendimento interculturale, come ha mostrato Bennett, è una sfida per la propria identità – ma può diventare un modo di vivere e allo stesso tempo un modo per arricchire la propria identità.
Bennett ha dato al suo modello una visione più politica: considerato che l’apprendimento interculturale è un processo individuale, è essenziale imparare come si vive insieme in un mondo diversificato. L’apprendimento interculturale visto in questa prospettiva, è il punto di partenza per una convivenza pacifica.