El falbo mito de ła onedà tałiana
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Ke oror coante stronsade kel dixe sto omo!
Caro Abruzzo, perché scadi nelle più trite “balossate” patriottiche?
http://www.lindipendenza.com/caro-abruz ... triottiche
Su Tabloid, periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia (anno XLIII, n. 4-6, settembre-dicembre 2013, pagg- 70-72), Franco Abruzzo ha pubblicato un pezzo titolato “Quando Il Caffè univa già l’Italia. L’illuminismo milanese che anticipò il Risorgimento” a presentazione della riproposizione di un articolo di Gian Rinaldo Carli, pubblicato nel 1765 proprio sullo storico periodico lombardo.
A un certo punto della sua presentazione, Abruzzo scrive:
«Anche in questo momento cruciale della storia nazionale, i giornali saranno chiamati a giocare un ruolo di primo piano nella diffusione delle idee di rinnovamento e di riscatto del popolo italiano e nella costruzione dello Stato nazionale inteso come organizzazione politica della Nazione italiana (che già esisteva da mille anni attraverso l’opera dei suoi scrittori, santi, poeti, scienziati, artisti, scultori, musicisti, politologi, storici, giornalisti ed economisti).
La lingua (?), le tradizioni(?), la comune fede cristiana(?), i costumi (?), l’eredita romana e latina (?), il mito di Roma (?) – (che per prima aveva unificato la Penisola, dando la sua cittadinanza ai popoli che la abitavano dalle Alpi alla Sicilia, dal Quarnaro alla Sardegna ) – dicevano che la Nazione c’era (???).
Quando la vocazione militare e il disegno espansionistico settecentesco del Piemonte sabaudo nella valle padana incrociarono le aspirazioni e l’anelito di tutto il popolo italiano alla libertà scocco la scintilla che avrebbe portato l’Italia al ruolo di soggetto politico autonomo nello scenario europeo e internazionale.
Sotto la regia di un grande statista, Camillo Benso Conte di Cavour, e la determinazione di Vittorio Emanuele II di Savoia a diventare Re d’Italia o a ritirarsi in esilio come il signor Vittorio Emanuele di Savoia.
L’Italia repubblicana non deve aver timore di celebrare quel Re, Padre della Patria, che fece una scommessa al limite dell’impossibile, e il mito di Roma nel Risorgimento (rilanciato con 30 anni di anticipo sul 1861 da Giuseppe Mazzini e poi anche da Cavour nel formidabile discorso davanti al primo Parlamento italiano il 27 marzo 1861, quando indicò la Città eterna come capitale della Nuova Italia).
Se il Risorgimento fu progresso per l’Italia (?) lo dobbiamo anche al Re Galantuomo (?), che difese lo Statuto e il Tricolore davanti a Radetzky vittorioso nel 1849.
La Nazione, con Cavour e Vittorio Emanuele, deve onorare adeguatamente e sempre Giuseppe Mazzini, creatore della coscienza nazionale attraverso la severa scuola del sacrificio, e Giuseppe Garibaldi, che mise la sua spada, la sua audacia generosa ed entusiastica, il suo genio militare al servizio dei sogni del popolo italiano.
Non dimenticando mai che dietro la conquista della Unità e della Libertà, c’è una schiera infinita di martiri e di combattenti caduti per tener fede alla missione, individuata dal giansenista Mazzini, di distruggere l’Impero d’Austria visto come mosaico di popoli oppressi.
Eppure nel 2011, 150° dell’Unità nazionale, nessuno ha pensato al “Caffè” e agli Uomini del “Caffè”, che hanno avviato quel processo conclusosi con successo 100 anni dopo: l’Italia libera e unita».
Commentando la pubblicazione nel 2008 del cosiddetto “Appello di Blois” contro l’ingerenza della politica nell’interpretazione della storia, Timothy Garton Ash aveva scritto sul Guardian: «Perché la gente possa affrontare queste cose, le deve innanzitutto conoscere: questi temi devono essere insegnati a scuola e ricordati pubblicamente. Ma, prima di essere insegnati, devono essere oggetto di ricerca. Bisogna rivelare le prove, verificarle e riverificarle. Bisogna opporvi altre interpretazioni per vagliarle. Questo processo di ricerca e verifica storica implica la più completa libertà, limitata solo dal rispetto per le leggi contro la calunnia e la diffamazione, e scritte per proteggere persone viventi ma non certo i governi né gli orgogli nazionali».
Franco Abruzzo ha grandi doti di cultura e intelligenza che hanno permesso a lui, cosentino, di essere stato per più 18 anni Presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e di farlo con serietà e coraggio.
Per questo spiace vederlo nella parte dell’acritico divulgatore delle più trite balossate patriottiche e di farlo con il linguaggio di un sillabario per “Balilla” e “Giovani italiane”.