El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » ven mag 29, 2015 8:59 pm

Ke oror sto talian!

"La coscienza nazionale, prima appannaggio ristretto di elites intellettuali, si allargava e si consolidava tra il fango delle trincee"
Sergio Mattarella

Questo uomo non ci rappresenta né mai ci rappresenterà, nella sua retorica patriottarda, con le sue parole ancora grondanti di quel sangue e di quel cinismo che sono il vero fondamento dello Stato italiano di cui ci stiamo per liberare.
L'immoralità di questi statisti dovrà essere portata a negativo esempio alle future generazioni di veneti finalmente liberi dai persecutori della libertà dei popoli.

Matarela a Viçensa
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... icolor.jpg
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » ven giu 26, 2015 8:51 am

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Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Sixara » ven giu 26, 2015 10:08 am

Se puoi leggere questo , ringrazia gli insegnanti. Se puoi leggerlo in italiano ringrazia i Soldati

Intanto : parké S-oldati co la Maiuscola e i-nsegnanti co la minuscola? Conta de pì i soldà elora, de i insegnanti?
Contà de pì la Goera de la Cultura?

Vedemo n fià :
Sa te sì bòn da lèzare sto cuà, dìghe gra'zie a i insegnanti. Sa te sì bòn da lèzarlo n italian, dìghe grà'zie a i soldà.
No gà senso.

Sa no te sì pì bòn da lèzare la to lengoa, ringra'zia ( ki - i insegnanti???). Sa te sì bòn da lezarlo n italian, dighe gra'zie a i Soldà.

Gra'zie a i Soldà ca ghemo perso la nostra de lengoa ma - n conpenso - a ghi n émo guadagnà n altra.

I Soldà i càva, i insegnanti i zonta. Ona-do-trè lengoe, ke difaren'za me fà? Pì ghe ne conoso mejo lè.

A ghe demo màsa pexo a i insegnanti : come ca se vede anca so la bandièra, cuei ke gà la MAIUSCOLA i è i SOLDA'. :)
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Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » gio nov 12, 2015 8:00 am

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Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » ven gen 22, 2016 8:26 am

Vilipendio al tricolore, iniziato il processo per Eva Klotz

Immagine

http://www.lindipendenza.com/vilipendio ... -eva-klotz

È iniziato tre giorni fa, il processo per vilipendio che vede sul banco degli imputati i consiglieri provinciali Eva Klotz e Sven Knoll assieme ad altri sette rappresentanti di Süd-Tiroler Freiheit, difesi dall’avvocato Nicola Canestrini.

A sostenere l’accusa il procuratore capo Rispoli. Il processo ruota intorno ad un manifesto del 2010, in cui campeggiava una scopa che spazza via il tricolore per far posto alla bandiera tirolese e sopra la scritta: «Il Südtirol può fare a meno dell’Italia».

Sono stati sentiti gli uomini della Digos che hanno condotto le indagini. «Possono parlare in italiano – ha detto Klotz – perché so che faticano a parlare tedesco». Sia Klotz che il suo avvocato hanno ribadito che “non c’è stato vilipendio, ma solo critica”. Si riprenderà il 23 maggio.

FONTE ORIGINALE: http://altoadige.gelocal.it


Vilipendio al tricolore, Eva Klotz assolta: «Nessun reato»
Gio, 21/01/2016

http://www.ladige.it/territori/alto-adi ... ssun-reato

Il fatto non costituisce reato. Assolta in appello a Bolzano la pasionaria sud-tirolese Eva Klotz, assieme ai compagni del partito Südtiroler Freiheit Sven Knoll e Werner Thaler, dal reato di vilipendio alla bandiera.
I tre erano stati condannati in primo grado ad un'ammenda di tremila euro ciascuno per un manifesto con una scopa che spazza via il tricolore lasciando solo il bianco ed il rosso del labaro tirolese.
«Klotz - ha detto il suo legale, Nicola Canestrini - è stata assolta in forza della tolleranza. La tolleranza è infatti la forza di una società civile e si dimostra con chi non la pensa come noi».
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Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » sab apr 16, 2016 2:21 pm

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Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » lun mag 02, 2016 12:43 pm

L'ensemenio nol se dimanda ma se a ghemo miłioni de dixocupai?

Un progetto sui migrantiper le nostre società spaventate
PAESI RICCHI E POVERI
Milano, 30 aprile 2016 - 22:36

Nei prossimi vent’anni, per mantenere costante la popolazione in età lavorativa (20-64), ogni anno dovranno entrare in Italia, a saldo, 325.000 persone. Ci vorrà tempo, pazienza, fermezza, lungimiranza
di Gian Antonio Stella

http://www.corriere.it/cultura/16_maggi ... a75b.shtml

O sono ciarlatani gli scienziati che studiano la demografia o sono ciarlatani coloro che buttano lì formulette di soluzioni facili facili. «Se il sogno di alcuni si realizzasse, e i paesi ricchi “blindassero” le loro frontiere», scrivono nel saggio Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione (Laterza) Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna citando i dati ufficiali della Population Division delle Nazioni Unite, «nel giro di vent’anni i loro abitanti in età lavorativa passerebbero da 753 a 664 milioni». Ottantanove milioni in meno. Più o meno la popolazione in età lavorativa della Germania e dell’Italia messe insieme.

Nel nostro specifico, «nei prossimi vent’anni, per mantenere costante la popolazione in età lavorativa (20-64), ogni anno dovranno entrare in Italia, a saldo, 325.000 potenziali lavoratori, un numero vicino a quelli effettivamente entrati nel ventennio precedente. Altrimenti, nel giro di appena vent’anni i potenziali lavoratori caleranno da 36 a 29 milioni». Con risultati, dalla produzione industriale all’equilibrio delle pensioni, disastrosi. Vale anche per l’Austria che vuole chiudere il Brennero: senza nuovi immigrati nel 2035 la popolazione in età 20-64 calerebbe lì del 16%: da 5,3 a 4,4 milioni. Con quel che ne consegue. Semplice, barricarsi: ma poi? Chi vuole può pure maledire i tempi, ma poi? E allora, ringhierà qualcuno, «dobbiamo prenderci tutti quelli che arrivano?» Ma niente affatto.

Sarebbe impossibile perfino se, per paradosso, lo accettassimo. Se fossero i Paesi poveri a chiudere di colpo le loro frontiere infatti «nel giro di vent’anni la loro popolazione in età 20-64 aumenterebbe di quasi 850 milioni di unità, ossia più di 42 milioni l’anno». Brividi.

Nessuno ha la formula magica per risolvere questo problema epocale. Nessuno può ricavarla dalla storia. Gli uomini si spostano, come spiega il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani, «da quasi due milioni di anni». Ma mai prima c’era stato uno tsunami demografico di questo genere.

Questo è il nodo: se possiamo tenere i nervi saldi e prendere atto con realismo della difficoltà di individuare qui e subito soluzioni salvifiche, un po’ come quando la scienza brancola dubbiosa davanti a nuovi virus, è però impossibile rassegnarci a certi andazzi. Di qua il tamponamento quotidiano e affannoso delle sole emergenze con la distribuzione dei profughi a questo o quell’albergatore (magari senza scrupoli) senza un progetto di lungo respiro. Di là i barriti contro gli immigrati in fuga dalla fame o dalle guerre con l’incitamento a fermare l’immensa ondata stendendo reti e filo spinato. E non uno straccio di statista che rassicuri le nostre società spaventate mostrando di essere all’altezza della biblica sfida.

Dice un rapporto Onu che «chi lascia un Paese più povero per uno più ricco vede in media un incremento pari a 15 volte nel reddito e una diminuzione pari a 16 volte nella mortalità infantile»: chiunque di noi, al loro posto, sarebbe disposto a giocarsi la pelle per «catàr fortuna», come dicevano i nostri nonni emigrati veneti. Anche se, Dio non voglia, ci sparassero addosso. Tanto più sapendo che in Europa e in Italia, grazie a una rete familiare e a un welfare che comunque garantisce quel minimo vitale altrove impensabile, c’è ancora spazio per chi è pronto a fare i «ddd jobs», i lavori «dirty, dangerous and demeaning» (sporchi, pericolosi e umilianti) rifiutati da chi si aspettava di meglio.

Non basterebbe neppure una miracolosa accelerazione nel futuro: nella California di Google e della Apple, ricordano ancora Allievi e Dalla Zuanna, «ogni due nuovi posti di lavoro high tech ne vengono generati cinque a bassa professionalità: qualcuno dovrà pure stirare le camicie dei benestanti, curare i loro giardini, prendersi cura dei loro anziani». Altro che i corsi di formazione per baristi acrobatici.

Come ne usciamo? Soluzioni rapide «chiavi in mano», a dispetto di tutti i demagoghi, non ci sono. Ci vorranno tempo, pazienza, fermezza, lungimiranza. Alcune cose tuttavia, nel caos, sono chiare. Primo punto, nessuno, se può vivere dov’è nato, affronta le spese, le fatiche, i rischi e le umiliazioni di certi viaggi: occorre dunque «aiutarli a casa loro» sul serio, non con le ipocrisie, gli oboli (il G8 dell’Aquila diede all’Africa i 13 millesimi dei fondi dati alle banche per la crisi), i doni ai dittatori o la cooperazione internazionale degli anni Ottanta che finì travolta dagli scandali (indimenticabili i silos veronesi sciolti sotto il sole sudanese) dopo che Gianni De Michelis aveva ammesso alla Camera che il 97% dei fondi al Terzo mondo finiva (spesso a trattativa privata) ad aziende italiane che volevano commesse all’estero.

Mai più. Meglio piuttosto cambiare le regole del commercio internazionale che per proteggere lo status quo dell’Occidente inchiodano i Paesi in via di sviluppo a non crescere. Citiamo Kofi Annan: «Gli agricoltori dei Paesi poveri non devono solo competere con le sovvenzioni ai prodotti alimentari d’esportazione, ma devono anche superare grandi ostacoli a livello di importazione. (…) Le tariffe doganali Ue sui prodotti della carne raggiungono punte pari all’826%. Quanto più valore i Paesi in via di sviluppo aggiungono ai loro prodotti, trasformandoli, tanto più aumentano i dazi». Qualche anno dopo, la situazione non è poi diversa.

Secondo: basta coi traffici di armamenti verso Paesi in guerra. Quanti eritrei che arrivano coi barconi scappano da casa loro dopo aver provato sui loro villaggi e le loro famiglie la «bontà» delle armi vendute al regime di Isaias Afewerki anche da aziende italiane ed europee, come dimostrò l’Espresso, nonostante l’embargo? Pretendiamo che restino a casa loro e insieme che si svenino a comprare le nostre armi?

Terzo: parallelamente a un percorso accelerato per mettere gli italiani in condizione di fare più figli sempre più indispensabili, a partire da una ripresa vera del ruolo educativo della scuola anche su questo fronte, è urgente arrivare finalmente alle nuove norme sulla cittadinanza. Forse ci vorranno decenni per realizzare il sogno di Mameli («Di fonderci insieme già l’ora suonò») allargato a tanti nuovi italiani che vogliono sentirsi italiani, ma certo non è facile pretendere che sia un bravo cittadino chi cittadino fatica a diventare.
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Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » sab mag 28, 2016 8:59 pm

Un tricolore di 1797 metri

http://www.raixevenete.com/29-maggio-ce ... sano-lo-fa

C’è un che di surreale in ciò che accade a Bassano il prossimo 29 maggio: un tricolore di 1797 metri (il numero non è casuale) sfilerà in nome della pace. L’utilizzo inconsapevole di simbologie di guerra per celebrare il proprio contrario rende infatti la manifestazione una triste evidenza di ignoranza dal punto di vista storico. E di indelicatezza, dal punto di vista diplomatico.1797-1915_raixe venete

Sì, perché celebrare la pace con una metratura precisa che ricorda l’anno in cui Bassano e tutto il Veneto fu massacrato dai francesi è quantomeno discutibile. La Repubblica di San Marco, sotto la quale Bassano prosperò per secoli dal 1404 e alla quale deve gran parte della sua bellezza e vivacità commerciale e artistica (pensiamo ai Remondini o ai Da Ponte) veniva colpita a morte da Bonaparte, il quale si era ripromesso senza mezzi termini di “essere un Attila per lo Stato veneto”.

E Bassano fu travolta da quest’orda barbara. Tanto per rimanere in città, il 14 maggio del 1797 Palazzo Pretorio veniva dato alle fiamme e l’Abate Giovanni Sale lo ricorda con queste parole «al cui splendore ballando e cantando gli allegri francesi insultavano coi loro bagordi e tripudi i nostri pianti e affanni» (Storia di Bassano vol III). E basterebbe aver letto le Cronache del Brentari per inorridire davanti alla violenza delle truppe napoleoniche che misero a ferro e fuoco il bassanese per mesi, rubando e uccidendo cittadini, oltraggiando le chiese fino a ungersi gli stivali con l’olio santo della chiesa di San Donato (Battaglia di Bassano)

Insomma, nel 1797 qui a Bassano e in tutto il Veneto si moriva di guerra!
E pazienza se in Emilia Romagna quel numero significa altro: i Veneti dovrebbero rispettare se stessi, rispettando prima di tutto la propria storia.

Inoltre, a cento anni da uno dei conflitti più dolorosi che l’Europa ha conosciuto, ci si aspetterebbe maggior delicatezza per i morti di tutte le nazioni. Ostentare in maniera infantile chilometri di tricolore, che ricordiamo fu tra gli stati aggressori (!!) attaccando guerra all’Austria e iniziando di fatto il massacro che insanguinò i nostri monti, è indelicato nei confronti delle migliaia di vittime di tutte le nazionalità e un affronto alla verità storica. Persino il Sacrario del Monte Grappa ci ricorda che lì non vinse nessuno, ma persero tutti.

Sfilare allegramente con la bandiera di chi ha iniziato la guerra non è celebrare la pace: è rimarcare (sgarbatamente) chi ha vinto.
Meglio sarebbe stato sfilare con un drappo, quello sì lungo chilometri, con i nomi di tutti i 22.910 sepolti sul Grappa, tra cui si contano migliaia tra austriaci ungheresi, sardi, veneti, friulani…e così via in un terribile rosario di sangue.

La storia sarebbe maestra di vita. Ma non lo può essere se non la si conosce e l’Amministrazione di Bassano dimostra quanto poco è consapevole della propria.
La leadership si fonda su un’identità forte e chiara: sarà anche per questo che Bassano non riesce ad esserlo nemmeno nel suo territorio.

Ilaria Brunelli




Una delle prime attestazioni del tricolore italiano. Nel 1796 è usato come vessillo militare della napoleonica legione lombarda con il motto «Subordinazione Alle Leggi Militari».

http://www.raixevenete.com/12583-2

La famigerata Legione, si macchiò di tanti orrori, debuttando proprio da noi, che persino Napoleone ne ebbe imbarazzo e decise di scioglierla. Dopo vari eccidi di migliaia di Insorgenti in meridione .

Ed eccovi la storia del tricolore che qualche veneto sprovveduto porterà in corteo a Bassano: una sequela di guerre di aggressione da quando nacque. Ma non si può dire nei mass media, pare non stia bene e non sia gradito a chi comanda il Titanic italiano.

Michele Brunelli


1797 METRI DI TRICOLORE. Perché la bandiera verde-bianca-rossa viene adottata per la prima volta come bandiera di Stato il 7/1/1797 dalla Repubblica Cispadana creata da Napoleone con l’invasione di Modena, Reggio, Ferrara e Bologna. Allora i colori erano a righe orizzontali. Il tricolore a bande verticali era invece usato come vessillo di guerra dalla Legione Lombarda nella vicina Repubblica Transpadana, anch’essa creata da Napoleone. La bandiera a righe verticali la ritroviamo successivamente nella Repubblica Cisalpina fondata da Napoleone nel 1797. Con forme diverse, il tricolore verde-bianco-rosso viene poi usato nella Prima Repubblica Italiana (presidente Napoleone) e nel Regno d’Italia del 1805 (Re Napoleone). Viene poi adottato dai Savoia nel 1848 e lo ritroviamo con diverse varianti in diverse città. Ogni Stato della penisola adotta un proprio tricolore, tanto che durante l’invasione piemontese delle Due Sicilie il tricolore borbonico e il tricolore savoia si trovano su posizioni avversarie. Come bandiera propriamente italiana, il tricolore in stile “militare” a righe verticali lo ritroviamo poi nel Regno d’Italia del 1861 dopo l’invasione e l’annessione delle Due Sicilie. Ed ancora il tricolore accompagna le truppe italiane nella conquista dello Stato Pontificio (1870), del Veneto e Friuli (1866), del Tirolo (1915-18), dell’Etiopia (1935), dell’Albania (1939), della Grecia (1940).

DIVERSAMENTE DA QUANTO SI PUÒ PENSARE, i 1797 metri non c’entrano con la caduta della Serenissima. Quando in gennaio 1797 la Repubblica Cispadana adotta il tricolore, lo Stato veneto è ancora nella sua secolare estensione.
Il nostro Stato cade alcuni mesi dopo quando, sotto la pressione delle baionette francesi, si scioglie la rete di trattati bilaterali fra le città di terraferma e Venezia.
Mentre nasce la Repubblica Cisalpina, le città venete di terraferma si riuniscono proprio qui a Bassano nel Congresso di Bassano che con la successiva aggiunta dei rappresentanti di Venezia sfocerà nel Congresso Nazionale Veneto di ottobre 1797.
Ma arriva il trattato di Campoformio e ‘sciao’, finiamo sotto l’aquila: inizia una lunga epoca di guerre periodiche con le quali Italia ed Austria si contendono il controllo del Veneto, del Friuli e del Tirolo (conclusesi nel 1918). Come bandiera ufficiale, il tricolore arriva da noi presumibilmente con le baionette francesi nel 1805 quando veniamo annessi al Regno d’Italia di Napoleone. Dopodiché veniamo riannessi all’Austria. Nel 1848 la rinata Repubblica Veneta di Manin adotta un tricolore con il leone in alto a sinistra. Si alleerà solo successivamente e inutilmente con i Savoia che non portano aiuto. Così torna l’esercito austriaco. Il tricolore italiano torna infine da noi nel 1866 con le truppe del Regno d’Italia: il 16 ottobre gli Italiani entrano a Verona e il 19 (prima del voto), il tricolore è issato a Venezia.



http://www.storiadibassano.it/bassano-d ... ssano.html

È l’avvenimento più significatvo del periodo in cui operò la seconda Municipalità, anche se essa non ne venne coinvolta che marginalmente. Esso ebbe quasi certamente inizio il 26 luglio 1797 in una sede ignota, dalla quale fu trasferito il giorno dopo nella bellissima villa cà Rezzonico[36] (fig.8).

Vi parteciperanno delegazioni dei Governi centrali del Coneglianese, del Vicentino, del Padovano, del Veronese e del Bellunese. Il Congresso si aprì alla chetichella, senza molta pubblicità, e si svolse in tono minore rispetto al previsto. Tuttavia fu un fatto rilevante, essendo l’epilogo di tutto il movimento politico precedente, che mirava all’unione dello Stato veneto alla Repubblica Cisalpina. Il presidente, generale Berthier, si adoperò in vari modi per boicottare i lavori del Congresso, facendolo, ad esempio, chiudere anticipatamente. Sembra che la scelta di Bassano come sede non fosse casuale, ma dettata da un preciso disegno politico: la località era una piccola città di provincia nella quale si respirava aria di moderazione e risultava perciò molto adatta, secondo gli intendimenti dei Francesi, a questo tipo di assise. In relazione al Congresso la seconda Municipalità, per ordine dei Francesi, dovette erigere l’albero della libertà a Bassano. Si trattava di un simbolo politico, testimone del ritorno alla libertà, dopo il periodo della tirannide, secondo l’opinione degli occupanti. Per la maggior parte dei Bassanesi, però, durante i sei mesi in cui rimase in piazza, fu una testimonianza che non bastava parlare di libertà o erigere un albero per essere veramente liberi. Quando il 10 gennaio 1798, poco prima dell’arrivo delle truppe austriache, essi, quasi di nascosto, lo abbatteranno e bruceranno, proveranno il sollievo per la fine di quell’”esperienza democratica” che, nata nel segno della speranza, era miseramente naufragata.

https://it.wikipedia.org/wiki/Villa_Rezzonico
Durante la campagna d'Italia in questa villa venne ospitato Napoleone Bonaparte e nel 1797 si svolse il Congresso di Bassano, che rappresentò un tentativo di aggregare il Veneto alla Repubblica Cisalpina.
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Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » lun mag 30, 2016 11:22 am

A Bassano arriva la bandiera più lunga al mondo
28.05.2016

http://www.ilgiornaledivicenza.it/terri ... -1.4894307

A Bassano arriva la bandiera italiana più lunga al mondo e la città è pronta a lasciarsi attraversare da un fiume verde, bianco e rosso. Domani mattina, il centro storico ospiterà una festosa e imponente parata che avrà per protagonista il Tricolore dei record: un drappo lungo 1797 metri, largo quasi cinque e pesante oltre 500 chili. Lo stendardo, entrato per le sue dimensioni nel Guinness dei primati, era stato realizzato qualche anno fa dall'Associazione nazionale reduci della prigionia per celebrare l’anno di nascita della bandiera italiana (il 1797 per l'appunto) ed era poi stato affidato al Lions Club Modena Estense che, in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, ha deciso di farlo sfilare ogni anno, da qui al 1918, in tre città italiane particolarmente rappresentative. Per il 2016 la scelta è ricaduta su Bassano. Gli abitanti sono stati invitati a esporre il tricolore alle finestre e per sorreggere il drappo sono stati chiamati a raccolta 800 portabandiera, reperiti tra le file delle associazioni combattentistiche e d'arma e di volontariato, delle società sportive e delle scuole. Chiunque lo desideri, da qualsiasi punto del percorso e per il tempo che vorrà, potrà contribuire a reggere il Tricolore durante lo sfilamento, che si svilupperà lungo un itinerario di circa 4 chilometri. Partenza e arrivo sono fissati nella caserma Monte Grappa, in viale Venezia. Il corteo comincerà a muoversi alle 9.30 e attraverserà alcuni luoghi del centro storico particolarmente significativi, come viale dei Martiri, il Ponte degli Alpini, il Tempio Ossario, dove è prevista una sosta per rendere gli onori ai Caduti, e piazza Libertà, dove si potrà assistere al saluto delle autorità presenti. Per rendere ancora più suggestiva la cerimonia, durante la sfilata tre biplani sorvoleranno inoltre il cuore di Bassano, lasciando una scia tricolore sopra la città. I tre velivoli sono la replica esatta del Fokker Dr1 del Barone Rosso, dello Spad XIII di Francesco Baracca e del Tiger Moth originale del 1941(giallo/verde), addestratore della Royal Air Force inglese. La manifestazione, che si chiuderà alle 13, è organizzata dai Lions Club “Bassano Host” e “Bassano Da Ponte”, dalle associazioni d’arma cittadine e da quelle legate alla Resistenza.

Viabilità. In occasione dello sfilamento della bandiera italiana più lunga al mondo, la viabilità cittadina subirà alcune modifiche e molte vie del centro storico (e non solo) saranno interdette al traffico veicolare.La chiusura riguarderà tutto i percorso del corteo. Viale Venezia rimarrà off limits alle auto dalle 9 alle 13, e, dalle 9.30 sino alle 12.30 sarà impossibile circolare con l'auto anche in viale delle Fosse nel tratto compreso tra piazzale Giardino e via da Ponte, in piazzale Giardino, in viale dei Martiri, piazzetta Zaine, in vicolo Bonamigo e poi in via Bonamigo, via Gamba, via Angarano nel tratto compreso tra il Ponte Alpini e viale Scalabrini, viale Scalabrini nel tratto compreso tra via Angarano e l'aiuola Diaz, la semicirconferenza est dell'aiuola Diaz, viale Diaz/Ponte della Vittoria nel tratto compreso tra viale Scalabrini e viale de Gasperi, piazzale Cadorna, via Verci, via Bellavitis tronco est, piazza Libertà, via San Bassiano, piazza Garibaldi e via Da Ponte. Per tutta la durata del corteo inoltre la circolazione sarà limitata anche sulle vie adducenti alle arterie chiuse. Dalle 8 alle 13 sarà inoltre in vigore un divieto di sosta con rimozione coatta dei veicoli sul lato ovest (spazio bus) di piazzale Giardino, in viale dei Martiri nel tratto compreso tra la Porta delle Grazie e piazzetta Zaine, in piazzetta Zaine, in via Gamba, in via Angarano nel tratto compreso tra il Ponte Alpini e viale Scalabrini, nel parcheggio ad est del tempio Ossario, in via Verci e in piazza Libertà. I parcheggi di servizio al centro storico saranno invece tutti disponibili con le consuete modalità.La manifestazione si terrà anche in caso di maltempo.

Caterina Zarpellon
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Re: El tricołor, ła canta mamełega el nasionałeixmo tałian

Messaggioda Berto » sab dic 17, 2016 5:36 pm

L’indipendenza è reato d’opinione. Il Codice Rocco difende l’Italia e il tricolore
17 Dec 2016

di GIOVANNI POLLI

http://www.lindipendenzanuova.com/lindi ... -tricolore

L’emozione è ormai sfiorita. Gli afflati sono spenti, e molti di quelli che erano Charlie Hebdo hanno smesso di portare la maschera. E’ forse allora giunto il momento di avviare qualche timida e pacata riflessione sul significato della frase “libertà di espressione”, della quale tutti si sono riempiti la bocca ma forse senza assaporarne fino in fondo il gusto non sempre dolce e gradevole. Facciamo allora un particolare riferimento a chi, per esempio la galassia indipendentista, non si riconosce affatto in questo Stato e nei suoi simboli, e magari ha anche voglia o necessità quasi fisica– colto da improvvisi stati d’animo provocati da piccole o enormi ingiustizie compiute dall’Italia o nel nome dell’Italia – di lasciare libero sfogo alle proprie opinioni non sempre tenere o gradevoli nei confronti di questo Stato.
La parola “simboli” non è stata utilizzata a caso. L’articolo 292 del Codice penale in vigore, infatti, intitolato «Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato» recita esplicitamente: “chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1 000 a euro 5 000. La pena è aumentata da euro 5 000 a euro 10 000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale”. Siamo quindi in presenza di una classica norma atta a punire non già chi commette un fatto materiale ma si limita ad esprimere un giudizio, un’idea, una visione politica. Un reato di opinione in piena regola, insomma.

Negli Stati autoritari

Ed è appena il caso di ricordare che il reato d’opinione è elemento caratteristico di tutti gli Stati autoritari. Non c’è nemmeno, in questo caso, la distruzione materiale di alcunché, ma solo un reato “verbale” di vilipendio. Un caso pratico? I cori, quasi sempre sull’aria della celebre “Mula de Parenzo”, attraverso i quali molti militanti indipendentisti hanno spesso manifestato goliardicamente e pubblicamente alcuni loro sogni incendiari nei riguardi di “emblemi” di uno Stato, quello italiano, ritenuto usurpatore.

Il tricolore

Nel 2001 tre leghisti – tra cui Andrea Gibelli, all’epoca della sentenza deputato – finirono sotto processo a Lodi proprio per aver cantato la canzoncina nel 1998. Finirono assolti “perché il fatto non sussiste”, ma per tre anni la spada di Damocle, comprese le spese, dondolò sospesa sulla loro testa. E se in concreto nessun indipendentista risulta essere incappato nelle condanne della giustizia italiana per aver detto quel che pensava in merito alla bandiera italiana, soltanto l’immunità parlamentare, nel 2008, salvò Umberto Bossi per quanto proclamò nel suo celebre comizio di Como di undici anni prima, nel quale descrisse un particolare uso del tricolore non molto gradito a chi in quel simbolo malgrado tutto continua a riconoscersi.

Vilipendio, ma a sinistra è danneggiamento

Anche gli sparuti roghi degli italici drappi, nei quali più che i leghisti si sono distinti gli esponenti dei centri sociali, sono finiti molto spesso in un nulla di fatto. Così, ad esempio, per l’incenerimento di una bandiera italiana avvenuto il 25 aprile del 1999, da parte di militanti di estrema sinistra, durante le manifestazioni contro la guerra in Kosovo. L’incendiario fu condannato al pagamento di 1500 euro non per “vilipendio” ma per “danneggiamento”.
“Essere Charlie”, ed esserlo per davvero, può quindi costare caro anche in Italia, se non per le condanne almeno per lo stress dei processi, quando ad essere sotto attacco delle opinioni sono i sacri dogmi dell’unità dello Stato. Tanto sacri che si rischia molto di più a vilipendere i simboli della “Patria italiana” che non quelli delle religioni.

Depenalizzata la bestemmia, ma il tricolore non si tocca

Se, come si è visto, offendere il tricolore può costare una multa fino a 10mila euro, offendere una divinità è molto più a buon mercato: il reato di “bestemmia” è infatti stato depenalizzato ed è un semplice illecito amministrativo. Attualmente, recita infatti l’articolo 724 del Codice penale, “chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità, è punito con la sanzione amministrativa da euro 51 a euro 309. […] La stessa sanzione si applica a chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti”. Sempre ammesso che qualcuno abbia tempo e voglia di compilare un verbale. In ogni caso, sempre della punizione di un’opinione, per quanto sgradevole ed incivile che possa suonare, si tratta. E il Consiglio d’Europa ha esortato gli Stati membri a cancellare del tutto dai loro codici penali le fattispecie che integrino reati di questo genere.

Italia paese di m…: condannato

Ma, a questo punto, la parte del leone in questo Paese in cui essere Charlie non conviene sempre, è compiuta proprio da un articolo che non tutela tanto un simbolo ma il concetto stesso, grande grande ed alquanto discutibile in senso stretto e proprio, di “nazione italiana”. L’articolo 291 è secco e brutale e si intitola “Vilipendio alla nazione italiana”. “Chiunque pubblicamente – recita – vilipende la nazione italiana è punito con la reclusione da uno a tre anni”. Un retaggio fascistissimo del codice Rocco, che tuttavia ha avuto un inaspettato e sconcertante revival in tempi molto recenti. Nel luglio 2013, i giudici della Prima sezione penale della Corte di Cassazione hanno infatti confermato la condanna di un automobilista di 71 anni che, fermato dai carabinieri per una contravvenzione, aveva esclamato “Italia paese di m”.

Opinione decisamente tanto diffusa quanto proibita. “Il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo – hanno stabilito i giudici della Cassazione – non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva”. Sufficiente, perché il fatto costituisca reato, “una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura, effettuata pubblicamente”. Di fatto, un reato quotidianamente commesso svariate volte da una buona fetta, se non da una maggioranza netta, di cittadini di questo Stato. Altro che “Je suis Charlie”. Piuttosto, “Je suis Cambronne”. Ma attenti a non farsi sentire dai carabinieri.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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