Domenico Pittarini nel 1866 votò per l'annessione all'Italia

Domenico Pittarini nel 1866 votò per l'annessione all'Italia

Messaggioda Berto » lun mag 20, 2019 11:19 am

Domenico Pittarini, vicentino, nel 1866 votò per l'annessione allo Stato italiano
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Domenico Pittarini, vicentino, nel 1866 votò per l'annessione allo Stato italiano
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Domenico Pittarini (farmacista borghese vicentino che sapeva leggere e scrivere) è l'esempio più lampante dei veneti che nell'ottocento si fecero prendere dal mito risorgimentale, che furono più che favorevoli all'annessione allo Stato italiano e che votarono per l'annessione nel 1866 ma che poi si pentirono avendone sperimentate e pagate le conseguenze sulla loro pelle con l'emigrazione a causa della miseria provocata dalla tassazione italiana, aumentata a dismisura per pagare le guerre e i parassiti del nuovo stato che si era così formato.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Domenico Pittarini nel 1866 votò per l'annessione all'Italia

Messaggioda Berto » lun mag 20, 2019 11:20 am

Domenico Pittarini (Sandrigo, 28 agosto 1829 – El Trebol, 28 novembre 1901) è stato uno scrittore e poeta italiano.

https://it.wikipedia.org/wiki/Domenico_Pittarini
Venne chiamato “L’Omero dei poveri”. Scrive Ferdinando Bandini nelle note introduttive alla ristampa del 1980 che “la politica dei villani venne letta da due generazioni di contadini, durante le veglie nelle stalle, alla scarsa luce della lampada a petrolio. Mandata a memoria da molti, ci sono ancor oggi dei vecchi contadini che ne ricordano larghi brani. Alcuni versi, pronunciati a modo di proverbio, sono diventati i cavalli di battaglia della saggezza campagnola”.

Nacque ad Ancignano di Sandrigo nel 1829. Compì gli studi ginnasiali a Bassano del Grappa, si laureò all'Università di Padova nel 1849 e a Vicenza fece le prime esperienze di farmacista. Membro del “Comitato Liberale Vicentino”, associazione segreta, fu arrestato nel 1859 dalle autorità austriache.

Rimesso in libertà trovò lavoro prima nella farmacia di San Pietro in Gu, poi a Fara Vicentino poté finalmente aprire una propria farmacia e divenne presto, per la generosità e l'arguzia, l'idolo del paese. Fondò con Vittorio Ciscato di Thiene il giornale Summano e collaborò a diversi giornali locali. Visse a Fara per una quindicina d'anni, anni di miseria per la gente di quel paese, consumata dalla pellagra, soffocata dalle tasse e dai debiti: egli dava a credito medicine, zolfo e solfato di rame.

Indebitato e non riuscendo a riscuotere i numerosi crediti, nel 1888 partì per l'America Latina con la vana speranza di fare fortuna. Lì visse stentamente per tredici anni e il 28 novembre 1901 morì a El Trebol (Cordoba). In una lettera inviata al nipote pochi giorni prima della morte scrisse:

«Morirò lontano dalla patria, senza poter rivedere i parenti e gli amici che ancora mi restano, conviene che mi rassegni. Quello che soprattutto mi rode l'anima, si è di non aver potuto, in tredici anni d'America, soddisfare i miei creditori, unico scopo per cui ebbi l’ardire di attraversare l’Atlantico a sessant’anni.»
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Domenico Pittarini nel 1866 votò per l'annessione all'Italia

Messaggioda Berto » lun mag 20, 2019 11:20 am

Ecco come ha presentato Pittarini il venetista Ettore Beggiato, dimenticandosi di ricordarci che il vicentino Pittarini era stato arrestato dagli austriaci per aver fatto parte delle associazioni segrete italiane e repubblicane antiaustriache e che si era fatto prendere e illuso dal mito risorgimentale e favorevole all'annessione allo stato italiano.

L’Omero dei veneti, il vicentino Domenico Pittarini
di ETTORE BEGGIATO

http://www.lindipendenzanuova.com/lomer ... -pittarini

“Ghe cago ai talgiani”, “ste sènache porche” (sènache, persone magre e patite), “i ne monde, i ne tosa, i n’inciòa, gnancora saemo un fiol de na scroa” (ci mungono, ci tosano, ci inchiodano come un figlio di una scrofa), “marsoni” (massoni), “dente salvadega che magna i cris-ciani, pì pedo dei Truchi e dei Luterani” (gente selvaggia che mangia i cristiani, peggio dei turchi e dei luterani): non sono le imprecazioni di un pericoloso indipendentista veneto del terzo millennio, ma le potete trovare citate in un prestigioso volume “Il Veneto” di una prestigiosa casa editrice “Giulio Einaudi Editore” stampato nel 1984 nella collana “Le regioni dall’unità a oggi”.

A pagina 8 l’autorevolissimo prof. Silvio Lanaro parla di “secca avversione per –Talgia- e –talgiani- che dilaga dopo l’annessione del 1866”: e prende ad esempio le colorite espressioni di Andola nella commedia “La politica dei villani” di Domenico Pittarini; una commedia che ebbe una grandissima diffusione nelle campagne venete a cavallo fra l’ottocento e il novecento. Ma chi è l’autore che ha tale coraggio e tale passione civile da denunciare le pessime condizioni dei nostri veneti che passano da un padrone all’altro (dall’Austria all’Italia) e si ritrovano sempre più disperati? La Sua è proprio una storia emblematica…

E’ Domenico (Menego) Pittarini e il suo nome, come al solito, dice poco o nulla alla stragrande maggioranza dei veneti che invece sanno tutto sulle oche del Campidoglio… Domenico Pittarini nasce ad Ancignano di Sandrigo il 28 agosto 1829, compie gli studi ginnasiali a Bassano, si laurea in farmacia a Padova nel 1849 e a Vicenza fa le prime esperienze di farmacista. Membro del “Comitato Liberale Vicentino”, associazione segreta, è arrestato nel 1859 dalle autorità austriache: non ci troviamo quindi di fronte a un’austriacante ma a un patriota veneto che ben presto si accorge come il Veneto sia diventato una colonia del neonato Regno d’Italia.

Rimesso in libertà trova lavoro prima nella farmacia di S. Piero in Gù (Pd), poi a Fara Vicentino ove rimane dal 1878 al 1888; travolto dai debiti dovuti fondamentalmente alla sua generosità e all’incapacità di riscuotere i crediti, parte per l’Argentina dove vive stentamente per tredici anni e dove muore il 28 novembre 1901 a El Trebol (Cordoba). In una lettera inviata pochi giorni prima della dipartita al nipote scrive: “Morirò lontano dalla patria, senza poter rivedere i parenti e gli amici che ancora mi restano, conviene che mi rassegni. Quello che soprattutto mi rode l’anima, si è di non aver potuto, in tredici anni d’America, soddisfare i miei creditori, unico scopo per cui ebbi l’ardire di attraversare l’Atlantico a sessant’anni”.

La sua opera più conosciuta è sicuramente “La politica dei villani”, commedia in due atti scritta a S. Piero in Gù negli anni 1868-69 e ristampata già nel 1884; la fama del Pittarini è notevole e viene chiamato “L’Omero dei poveri”. “-La politica dei villani- venne letta da due generazioni di contadini, durante le veglie nelle stalle, alla scarsa luce della lampada a petrolio. Mandata a memoria da molti, ci sono ancor oggi dei vecchi contadini che ne ricordano larghi brani. Alcuni versi, pronunciati a modo di proverbio, sono diventati i cavalli di battaglia della saggezza campagnola”; così il prestigioso Ferdinando Bandini nelle note introduttive alla ristampa del 1960, Neri Pozza Editore.

Altra commedia di successo del Nostro fu “Le elezioni comunali in villa” stampate a Schio nel 1912 presso la tipografia dei fratelli Miola, nella quale l’autore sembra proprio descrivere i fatti tragicomici che caratterizzarono il plebiscito-truffa di annessione del Veneto all’Italia il 21-22 ottobre 1866 e le successive elezioni. Ecco un dialogo estremamente significativo:

I° contadino: Ciò, chi ghetu metesto ti sulle schene ?

II° contadino: Mi gnente, me le ga consegnà el cursore scrite e tuto.

I° contadino: E anca mi istesso, manco fadiga.

II° contadino: Manco secade.

Anche questa commedia ha un percorso… accidentato; solo nel 1981 vengono ristampate diverse copie ciclostilate per iniziativa della “Fraja Vixentina Menego Pitarini” dell’Union Veneta; nel 1989 ristampo l’opera come “Union del Popolo Veneto” e la stessa viene ripresa dalla Cooperativa Teatrale Ensemble di Vicenza dell’amico Roberto Giglio grazie al quale l’opera ritorna in scena ed è stata rappresentata anche recentemente: emblematico come alle volte basta qualche fotocopia per rimettere in gioco una commedia della quale si erano smarrite le traccie… Nel 1980 Neri Pozza Editore ristampa “Laude a Molvena e altre poesie in lingua rustica”; degne altresì di nota le collaborazioni del Pittarini ai giornali dell’epoca “Il Summano”, “L’iride” e “El visentin” dove a volte si firma “Niccodemo”

Dai suoi lavori emerge un profondo conoscitore della realtà che lo circonda, degli umori e delle convinzioni del popolo veneto, ma soprattutto il Pittarini, con i gustosi dialoghi dei suoi contadini, anticipa le conclusioni che gli storici più obiettivi saranno costretti a trarre dopo oltre un secolo: il risorgimento fu nel Veneto un fatto elitario, che coinvolse quattro massoni e quattro liberali e che vide la stragrande maggioranza del nostro popolo del tutto estranea, se non ostile, agli eventi che segnarono in maniera decisiva la storia della nostra regione; significativo in questo contesto che il Pittarini inserisca nella sua opera le ribellioni di Thiene e di San Germano (Ciene e San Dreman nella lingua dell’epoca) nei quali fu necessario l’intervento delle forze dell’ordine per reprimere la protesta popolare: due dei numerosi episodi anti Savoja che caratterizzarono i primi anni della cosiddetta unificazione e dei quali la storiografia ufficiale si è sempre ben guardata di parlarne …

Altro dato fondamentale di tutta l’opera del Pittarini è la lingua parlata dai protagonisti: “un dialetto rustico” lo definisce lo stesso autore che non ha ancora subito gli effetti devastanti e massificanti della lingua italiana. Lo stesso Bandini sottolinea come “la lingua patria rimane uno strumento ignoto al contado”; la lingua veneta del Pittarini è una lingua viva, di una espressività unica, a volte tragica, a volte comica, sempre permeata di buonsenso, di acuta osservazione, di dignità. Interessante poi osservare come nella “Politica dei villani” venga inserito un vocabolarietto con tre tipi di parlata: l’italiano, il vernacolo (parlato dalle persone più in vista come il sindaco, il segretario ecc.) e il rustico (parlato dalla maggioranza della popolazione).

Del tutto particolare l’attenzione dello scrittore nel riportare con estrema attenzione le parole nuove che vengono sistematicamente “storpiate” dai nostri contadini (quasi un rifiuto della lingua italiana). E così carabinieri diventa “carbonieri”, scrutinio “grustinio”, mappamondo “nacamondo” ecc. Un’ultima sottolineatura, giusto per evitarmi qualche rimbrotto da parte dei cultori del “Menego”; l’espressione completa usata dalla battagliera “Andola” è: “Ghe cago ai talgiani, li mando a Teolo”; Teolo, oggi suggestivo borgo degli Euganei, nell’ottocento per gli abitanti della pianura vicentina era proprio un posto fuori del mondo…
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Domenico Pittarini nel 1866 votò per l'annessione all'Italia

Messaggioda Berto » lun mag 20, 2019 11:21 am

Furono molti i veneti che si fecero prendere dal mito risorgimentale italiano e che poi si pentirono amaramente, ma allora fu una loro libera scelta, certamente una grande illusione e per molti una tragedia.


Il mito risorgimentale e le sue falsità italico-romane
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I veneti venetisti debbono maturare e imparare ad assumere le responsabilità e le colpe storiche proprie dei veneti e a smetterla con il vittimismo infantile e con il complottismo demenziale.

I veneti sono sempre stati responsabili del loro destino, ieri come oggi e non riconoscerlo significa/implica dare/attribuire ai veneti dell'infantilismo o del demenzialismo irresponsabile o del vilismo vergognoso che contrasta con la storia dei veneti e di cui non si potrebbe certo essere orgogliosi e andarne fieri;

è molto più logico e utile riconoscere la realtà con le colpe, i limiti, le contraddizioni, le illusioni, gli errori, le responsabilità.

Il vittimismo e il complottismo deresponsabilizzano, impediscono il formarsi di una coscienza vera e solida, favoriscono le derive fanatiche, le esaltazioni dogmatiche, i miti irragionevoli che portano taluni a comportamenti dannosi, che alimentano l'esistenza di mumerosi fanfaroni e illusionisti, che frenano l'aggregazione e allontanano molti veneti e impediscono la formazione di un qualsiasi sensato progetto politico basato sulla corretta analisi della realta storica passata e presente.
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Domenico Pittarini nel 1866 votò per l'annessione all'Italia

Messaggioda Berto » lun mag 20, 2019 11:29 am

Domenico Pittarini
Nacque ad Ancignano di Sandrigo nel 1829. Compì gli studi ginnasiali a Bassano del Grappa, si laureò all'Università di Padova nel 1849 e a Vicenza fece le prime esperienze di farmacista.
Membro del “Comitato Liberale Vicentino”, associazione segreta, fu arrestato nel 1859 dalle autorità austriache.

Ettore Beggiato ha scritto:
È Domenico (Menego) Pittarini e il suo nome, come al solito, dice poco o nulla alla stragrande maggioranza dei veneti che invece sanno tutto sulle oche del Campidoglio… Domenico Pittarini nasce ad Ancignano di Sandrigo il 28 agosto 1829, compie gli studi ginnasiali a Bassano, si laurea in farmacia a Padova nel 1849 e a Vicenza fa le prime esperienze di farmacista. Membro del “Comitato Liberale Vicentino”, associazione segreta, è arrestato nel 1859 dalle autorità austriache: non ci troviamo quindi di fronte a un’austriacante ma a un patriota veneto che ben presto si accorge come il Veneto sia diventato una colonia del neonato Regno d’Italia.

Alberto Pento scrive:
Pittarini non era un austriacante ma un patriota veneto italianista che politicamente come membro dell'"associazione segreta liberale vicentina" perseguiva e auspicava la liberazione dalla sudditanza austriaca e la formazione dello Stato italiano e non certo il ritorno della Serenissima.
Il veneto vicentino Domenico Pittarini è l'esempio più evidente di come i veneti dell'ottocento si fecero prendere dal mito risorgimentale italiano e di come non fossero affatto contrari all'annessione allo Stato italiano ma assai favorevoli.
Se poi dopo l'annessione le cose non furono/andarono come speravano e divennero molto critici nei confronti dell'Italia questo dimostra soltanto che sbagliarono a farsi ingannare dal mito risorgimentale italiano e no che fossero contrari all'annessione e che votarono Sì al plebiscito perché intimiditi e ricattati.
Furono in tanti e non solo veneti a sentirsi traditi dal mito risorgimentale e dallo stato italiano.



Maurizio Bedin
Alberto Pento e anche fosse....I dogmi non sono eterni. Come non lo è la Costituzione ed art. 5^. Ho già ribadito su ciò.
Quel non capisco è la tua doppiezza mentale. Ribadisco. Mi sembri un troll. O meglio...un Trojan.


Alberto Pento
I dogmi sono verità ritenute tali per fede e senza alcuna dimostrazione e irragionevoli; la Costituzione italiana invece è un fatto che vale sino a che non viene cambiata, nessun dogma.
La doppiezza mentale ce l'ha lei che è un venetista venezianista invasato e idolatra incapace di ragionare; io sono un veneto a cui piacerebbe essere indipendente come lo sono gli svizzeri, non sono né un venetista (anche se per un periodo lo sono stato) tanto meno un venezianista (invasato dal mito di Venezia), sono cittadino italiano ed europeo (perché questa è la realtà attuale) e riconosco che la maggioranza dei veneti si sente e si vuole italiana a cominciare da mio padre che è morto da anni e da mia madre che ha 95 anni e che è ancora viva, veneti italiani che vanno rispettati e che sono migliori di tanti demenziali venetisti-venezianisti.
È lei che ha la cràpa invasa dai troll e dai trojan dei fideismi acritici e demenziali.
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Messaggioda Berto » mar mag 21, 2019 5:15 pm

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