Perché non amo l'Italia e non mi sento italiano

Re: Perché non amo l'Italia e non mi sento italiano

Messaggioda Berto » gio apr 25, 2019 7:32 am

Il 25 Aprile italiano non lo celebro è la festa dei nazi comunisti e non della liberazione e della libertà.
Io come cittadino italiano di nazionalità veneta non mi sento affatto né liberato né libero.




Veneziani: «Ecco i sette motivi per cui non festeggio il 25 aprile»
mercoledì 24 aprile 15:05

https://www.secoloditalia.it/2019/04/ve ... -25-aprile

Intervento magistrale di Marcello Veneziani sul 25 aprile dalla colonne de LaVerità. Lo scrittore ed editorialista entra senza tanti preamboli nel tema di una festa divisiva e destinata ad avvelenare gli animi. Una festa che mai e poi mai potrebbe celebrare. «Non celebro il 25 aprile per sette motivi. Uno, perché non è una festa inclusiva e nazionale, ma è sempre stata la festa delle bandiere rosse e del fossato d’odio tra due Italie».

Lo spettacolo a cui stiamo assistendo già da giorni, alla vigilia di questa data infausta, sono la prova provata, del resto, di quanto il “fossato d’odio” sia profondo. Veneziani prosegue punto per punto, elencando le ragioni dei ordine storico, civile e morale per cui non festeggerà il 25 aprile. Sette motivi che spiegano in bella sintesi perché questa data non è una festa.
«Una data ipocrita che nega la memoria»

Secondo motivo: «perché è una festa contro gli italiani del giorno prima, ovvero non considera che gli italiani fino all’ora erano stati, in larga parte fascisti o comunque non antifascisti e dunque istiga alla doppiezza, all’ipocrisia».
«Tre, perché non rende onore al nemico, ma nega dignità e memoria a tutti coloro che hanno dato la vita per la patria, solo per la patria, pur sapendo che si trattava di una guerra perduta.
Quattro, perché l’antifascismo finisce quando finisce l’antagonista da cui prende il nome: il fascismo è morto e sepolto e non può sopravvivergli il suo antidoto,nato con l’esclusiva missione di abbatterlo».
«Se il 25 aprile viene usato per altri scopi…»

Fin qui i motivi storici che inducono lo scrittore a tenersi alla larga da questa data. Poi viene un altro male indigesto, un vizio italico atavico, che Veneziani ha sempre osteggiato nelle sue analisi: la retorica. Lo spiega, elencando il quinto dei motivi: «Perché quando una festa aumenta l’enfasi con il passare degli anni anziché attenuarsi, come è legge naturale del tempo, allora regge all’ipocrisia faziosa e viene usata per altri scopi: ieri per colpire Silvio Berlusconi, oggi Matteo Salvini».
Retorica celebrativa

C’è poi la retorica celebrativa – scrive Veneziani passando al sesto motivo per cui aborre questa data: «Perché è solo celebrativa, a differenza delle altre ricorrenze nazionali, si pensi al 4 novembre in cui si ricordano infamie e dolori della Grande Guerra; invece nel 25 aprile è vietato ricordare le pagine sporche o sanguinarie che l’hanno accompagnata e distinguere tra chi combatteva per la libertà e chi voleva instaurare un’altra dittatura».
Arriviamo quindi all’ultimo aspetto: «Sette, perché celebrando sempre e solo il 25 aprile, unica festa civile in Italia, si riduce la storia millenaria di una patria, di una nazione, ai suoi ultimi tempi feroci e divisi. Troppo poco per l’Italia e per la sua antica civiltà».


LA SENATRICE SEGRE «Il 25 Aprile? Chi fa politica studi la storia»
di Stefano Landi

https://www.facebook.com/groups/Fightin ... p_activity

Consuma le scarpe in giro per l'Italia. Una vita da testimone quella di Liliana Segre, 88 anni, sopravvissuta all'Olocausto e senatrice a vita.
«Infatti sono stanca. Questo 25 aprile credo che rimarrò a casa. Mi hanno invitato in tv, ma ho davvero bisogno di staccare. Forse non ho più l'età per andare in corteo. Devo cominciare a delegare».
Che impressione le hanno fatto le polemiche sulla partecipazione del governo al 25 Aprile? I 5 Stelle ci saranno, la Lega lo ignora. Salvini dice che la vera liberazione è solo quella dalla mafia...
«Chi fa politica non può ignorare la storia. Deve averla studiata. Con ognuna di queste dichiarazioni chi ha dato la vita muore una volta di più. Non penso solo ai partigiani, ma anche ai militari italiani, morti di stenti, malattie, in un campo di concentramento, pur di non aderire alla Repubblica Sociale».
La statua bruciata di una partigiana domenica alle porte di Milano. Gli episodi di violenza che ogni anno si ripetono regolarmente...
«Non possiamo sempre, ridurre tutto all'ignoranza. È il bisogno di odiare che muove certa gente. Appena messo piede in Senato mi sono battuta per una legge contro gli hate speech. L'odio torna a galla in contesti molto diversi. Per strada, su Internet soprattutto. È un sentimento che c'è sempre stato: la storia è fatta di corsi e ricorsi. Diciamo che dopo la Seconda guerra mondiale, dopo tutto quello che si era visto e sofferto, si aveva paura di ripetere certi atteggiamenti. Si è abbassato il volume, non si è spenta la musica».
Le hanno pure attribuito profili social finti che pubblicano dichiarazioni false a suo nome...
«Prese di posizione, spesso molto aggressive, che non corrispondono al mio pensiero. Ho già denunciato la situazione alla Polizia postale che sta indagando».
È più facile dimenticare il passato?
«Credo che la storia sia maestra di vita. Non si può capire il 25 Aprile se non si è studiato il passato. Non è solo colpa della superficialità dei giovani d'oggi. Gli stessi genitori non ricordano. E gli insegnanti sono troppo presi da altre dinamiche, pensano più alla forma che ai contenuti».
Lei incontra tantissimi ragazzi nelle scuole. Che idea si è fatta di questa generazione bollata come quella del disimpegno?
“Il 99 per cento di loro vive incollato al telefono, non si informa e accetta di essere omologato da una tv ignorante. Ma c'è quell'1 per cento che riscatta una classe intera. Hanno fatto una scelta, quella di non stare nell'ombra del gruppo. C'è chi in questi giorni ha rinunciato alle vacanze per venirmi ad ascoltare. La loro attenzione mi emoziona. Concludo sempre la mia testimonianza spiegando come andando da loro abbia ricordato una parte di storia per me tragica. Uno sforzo che sarà ripagato se solo uno di loro accenderà una candela della memoria».
Cosa vede nei loro occhi?
«II desiderio di provarci. A casa ho scatole piene di lettere di ragazzi che mi scrivono. Ricevo anche migliaia di mail. Ci sono delle riflessioni bellissime, che lascerò come eredità».
Qualche settimana fa più di mille ragazzi si sono alzati in piedi per lei a New York dopo averla ascoltata in videoconferenza in religioso silenzio...
«Spiegavo come nei lager non si va in gita, ma per ascoltare la propria coscienza». Riceve molti insulti?
«Regolarmente, di ogni genere. Pesantissimi. Un professore di Venezia, ex militante di Forza Nuova, mi ha augurato di finire in un termovalorizzatore. Altri mi volevano nei forni. Non reagisco agli insulti, ho imparato a lasciarli cadere».
Le testimonianze pesano..
«Siamo morti quasi tutti. Chi resta lo deve sentire come un dovere. Alla fine ogni sforzo vale ancora la pena».

Alberto Pento
Il 25 aprile ha troppe bandiere rosse nazi comuniste e io di certo non lo celebro; la sinistra Segre anche se ebrea sbaglia di grosso e non può dirsi antifascista perché è schierata con i nazi-fascisti di sinistra.
Un vero antifascista non può essere schierato con i fascisti rossi.
Lei sfrutta la sua ebraicità e la Shoà per dare contro non solo ai social fascisti antisemiti ma a tutta la destra che non è né fascista né antisemita e per sostenere lo schieramento di sinistra che è manifestatamente e doppiamente antisemita in quanto antisraeliano/antisionista e filo nazi maomettano; schieramento sinistro che è schifosamente anche anticristiano e che viola i diritti umani e civili degli indigeni e dei cittadini europei, bianchi e occidentali.
L'italiana ebrea sinistra Segre contribuisce a far passare il nazi fascismo comunista come se fosse cosa buona e giusta e questo è vergognoso e non le fa onore anche in considerazione del suo passato di ebrea perseguitata e della sua professata ebraicità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Perché non amo l'Italia e non mi sento italiano

Messaggioda Berto » dom giu 16, 2019 7:36 pm

L'Italia e gli italiani non sono riusciti molto bene
giugno 2019
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2019/06/13 ... osKMEPN5Do

Vicenza – “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Questa la famosa frase associata dai più a Massimo d’Azeglio, per significare che, per quanto l’Italia geograficamente e politicamente nel 1861 risulti unita, in essa regneranno sempre culture, tradizioni e lingue (dialetti) diversi tra loro. Bruno Bozzetto, il famoso cartoonist ha ironizzato così.

L’unità avvenne sotto l’egida di Casa Savoia. Una dinastia di forte impronta militare, che necessitava, come fu per Bonaparte, della compagine statale più vasta possibile per attingervi carne da cannone ed accreditarsi tra le grandi teste coronate d’Europa. L’assetto federale, o meglio confederale (l’unico sensato) che volevano Gioberti e Cattaneo fu dunque sacrificato a nient’altro che alle sfrenate ambizioni belliche ed accentratrici dei Savoia, non ad altro.

Vittorio Emanuele II di Savoia, protagonista dell’unità d’Italia, passa alla storia con l’appellativo con cui è ricordato tutt’oggi di Re galantuomo o Re gentiluomo. Ma nell’ex regno delle due Sicilie hanno maturato una diversa opinione. E a supporto comincia a emergere una copiosa letteratura che sostiene come l’esercito di sia comportato come le SS hitleriane. Vedasi il massacro di Pontelandolfo e Casalduni (ad opera del vicentino luogotenente colonnello Pier Eleonoro Negri) che fu una strage di rappresaglia compiuta dal Regio Esercito italiano ai danni della popolazione civile dei due comuni, in data 14 agosto 1861.

Secondo una fonte del tempo le popolazioni si erano in realtà vendicate di violenze e soprusi commessi in precedenza dagli stessi soldati. I due piccoli centri vennero quasi rasi al suolo, lasciando circa tremila persone senza dimora. Il numero di vittime è tuttora controverso, ma Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella riportano che alcuni autori lo stimano compreso fra il centinaio e il migliaio.

Umberto I, che gli succedette, fu soprannominato “Re Buono”, ma fu aspramente avversato per il suo duro conservatorismo, il suo indiretto coinvolgimento nello scandalo della Banca Romana, l’avallo alle repressioni dei moti popolari del 1898, e l’onorificenza concessa al generale Fiorenzo Bava Beccaris per la sanguinosa azione di soffocamento delle manifestazioni del maggio dello stesso anno a Milano, azioni e condotte politiche che gli costarono almeno tre attentati nell’arco di 22 anni, fino a quello che a Monza, il 29 luglio 1900, per mano dell’anarchico Gaetano Bresci, gli sarà fatale.

Vittorio Emanuele III (secondo una valutazione politica personale è il più tristo, deleterio e ignobile di tutti) lo sostituì, e per la sua statura si guadagnò il soprannome (poco regale) di “Sciaboletta”; ma anche altri quali “il Gobbo”, “il Re Numismatico”, «Re soldato», e dai fascisti di Salò il “Re Fellone”. Per accasarlo ci fu una vera e propria “congiura”, alla quale parteciparono praticamente tutte le case regnanti europee. Infatti nessuno voleva rischiare di dovergli dare in dote una figlia. Meglio dirottare su Nicola del Montenegro che era poco più di un principe-pastore, e l’unico ad esserne all’oscuro fu proprio il giovane Principe. Il matrimonio tra Vittorio ed Elena del Montenegro si celebrò il 24 ottobre 1896. Gli italiani debbono essergli grati per essere stati trascinati in due guerre mondiali inframmezzate dal ventennio fascista, più l’optional della guerra civile, e qualche altra guerricciuola qua e là.

Umberto II, chiude la serie, in quanto per il breve regno (poco più di un mese), è anche detto “Re di Maggio”. Fu la figura più triste e sventurata: non aveva i “meriti guerrieri” dei suoi predecessori, e si trovò schiacciato dal contesto di fine della seconda guerra mondiale. Insomma una dinastia improntata sulla distruzione dell’unica economia dell’epoca, quella agricola, con la tassa sul macinato e la coscrizione obbligatoria, proprio come Napoleone. Guerre (tre di “indipendenza” per l’unità del regno), tasse ed emigrazione. Guerra di Abissinia (1895-1896), partecipazione persino alla repressione della rivolta dei Boxer in Cina (1900), guerra di Libia (1911-1912), prima guerra mondiale, guerra di Etiopia (1935–1936) guerra di Spagna (1936-1939), infine la seconda guerra mondiale.

Per comprendere l’«atmosfera» del secondo dopoguerra, è utile sentire l’opinione di Massimo Caprara, per 20 anni segretario di Palmiro Togliatti, nell’intervista di Stefano Lorenzetto fatta per “Il Giornale” del 25 aprile 2004, intitolata «Io, segretario di Togliatti, vi dico che fu il Peggiore», dichiarò:

D. – È vero che il 10 giugno 1946 Togliatti, ministro della Giustizia, bloccò la proclamazione dell’esito del referendum monarchia-repubblica perché non era sicuro d’aver vinto?
R. – «Certamente la Repubblica è nata con un parto cesareo. L’ostetrico fu Toglìatti, aiutato da Marcella Ferrara e da me. Il computo dei voti veniva fatto al ministero della Giustizia, non so se mi spiego… Eravamo efferati, ma non stupidi. I passaggi più delicati li ho visti tutti».
D. – Sta confermandomi i brogli?
«Le dico solo questo: avevamo fatto stampare più schede del numero dei chiamati alle urne. In caso di necessità…». [e più avanti prosegue…] D. – Fra gli ex comunisti che oggi guidano i Ds, chi assomiglia di più a Togliatti?
R. – «Massimo D’Alema. Infido. Ingrato. Concorrenziale. Non vorrei stare nei panni di Fassino e di Prodi. È uno di cui bisogna aver paura».
D. – Non a caso il senatore Giuseppe D’Alema, suo padre, disse a un mio amico che lavorava all’Istituto Gramsci: «A volte mio figlio mi fa paura»…
R. – «Non stento a crederlo. Ha la stessa cupidigia di potere, la stessa superbia intellettuale, la stessa cinica freddezza di Togliatti: il partito siamo noi, il partito deve vincere».

Insomma, in tutto questo lasso di tempo “buio” erano pochi coloro ch’erano stati educati dalle suore orsoline. E gli albori della repubblica italiana furono contrassegnati anche dalla disinvoltura di molti altri protagonisti della scena pubblica. A cominciare dal primo capo provvisorio della nuova repubblica, l’avvocato Enrico De Nicola, il quale per tutto il ventennio aveva fatto distintamente parte della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, eletto e rieletto con voti fascisti, e naturalmente percependo senza fiatare emolumenti e privilegi. Erano tempi torbidi e spigliati, e per entrare in quell’atmosfera facciamo due soli esempi:

Il colonnello Malgeri ed i suoi eroici finanzieri, prima aveva servito fedelmente “Re Sciaboletta”, poi il Duce, poi Salò (fino al 24 aprile), appunto sequestrando i beni dei renitenti e dei partigiani alla macchia, fermando e consegnando ai tedeschi i poveri cristi che tentavano di passare il confine svizzero, e poi la mattina del 26 aprile si scoprì «partigiano» dando l’assalto alla prefettura, dove i superstiti repubblichini non vedevano l’ora di arrendersi ed anche loro cambiar casacca pur di aver salva la vita e gli averi. E tutto agli «eroici» è andato benissimo, niente domande sul passato e medaglie e premi inclusi, perché si sa che ogni governo di tutti i colori ha poi bisogno di quelli che spremono per incassare i tributi dal popolo bue.

L’altro esempio di “duttilità” è Davide Lajolo. Fa carriera all’interno del PNF. Nel 1943 lascia il servizio militare perché viene nominato vice Segretario federale del PNF di Ancona. Manterrà tale carica fino alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943. Un cambiamento radicale che lo porterà in seguito a sconfessare i suoi trascorsi giovanili, giunge l’8 settembre 1943, e ritorna al paese natio, dove prende la tormentata decisione di passare alla lotta partigiana sulle colline astigiane, con il nome di battaglia di Ulisse. Tracce di questa conversione, definita da lui stesso “voltar gabbana“, si trovano in “Classe 1912” (del 1945, ristampato nel 1975 e nel 1995 con il titolo “A conquistare la rossa primavera”) e ne “Il voltagabbana” (1963), in cui l’autore analizza le ragioni che lo portarono a schierarsi, dopo una giovinezza fascista, dalla parte della Resistenza.

Per carità, questa viltà non fu solo italiana, è stata propria anche di altri che poi si sono atteggiati a «vincitori», ma questa è un’altra storia. Questi sono solo alcuni esempi di italiani. E chi sogna una nuova entità istituzionale autodeterminata dovrebbe prima preparare una classe dirigente che risulti vaccinata dal trasformismo, altrimenti i veneti (per esempio) si ritroveranno con “er pomata” che continuerà a galleggiare sul suo presenzialismo (non in Consiglio Regionale, beninteso!) e fluente eloquio.

Coloro che pensano all’autonomia dovrebbero mettere a fuoco il contesto storico di allora. E se non giustificare, come si fa a non comprendere l’Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia (Evis) che nacque nel febbraio 1945 a Catania, su impulso di Antonio Canepa, come gruppo di lotta armata, ma anche primo nucleo di quello che sarebbe dovuto diventare l’esercito regolare di una Repubblica Siciliana, in risposta alle continue violenze che venivano perpetrate dalle forze dell’ordine italiane ai danni di sedi ed esponenti del Movimento Indipendentista Siciliano (Mis), anche sulla scorta di fatti di sangue, come ad esempio la strage del pane, avvenuta a Palermo nell’ottobre 1944.

Quando “er pomata” sproloquia di autonomia del Veneto simile a quella dell’Alto Adige trascura di dire che fu frutto dell’accordo De Gasperi-Gruber (conosciuto anche come accordo di Parigi, Gruber-De-Gasperi-Abkommen in tedesco), così chiamato dai nomi degli allora ministri degli Esteri italiano (Alcide De Gasperi) e austriaco (Karl Gruber), fu firmato il 5 settembre 1946 a Parigi a margine dei lavori della Conferenza di pace, per definire la questione della tutela della minoranza linguistica tedesca del Trentino-Alto Adige.

Ma per ottenere l’uso dello Statuto “speciale” occorse l’attività di Georg_Klotz & Co., che è etichettato come terrorista e indipendentista sudtirolese, di cittadinanza italiana e tedesca (durante la seconda guerra mondiale). Passò alle cronache come il “martellatore della Val Passiria”. Egli fu responsabile di numerosi attentati dinamitardi in nome della “libertà del Südtirol”, per il quale si autodefiniva un combattente, un Freiheitskämpfer. Luca Zaia, governatore del Veneto, e i suoi colleghi leghisti fanno sorridere quando cianciano nei principali arenghi e sui mezzi d’informazione maistream di pretendere uno Statuto speciale come quello del Südtirol. Quello fu un accordo internazionale che senza l’«attivismo» di Georg Klotz & Co. e l’«occupazione» militare dell’El durata alcuni anni, non si sarebbe concretizzato.

Altri richiami impropri da parte di pseudo leader riecheggiano quando nei loro discorsi citano la Scozia, dimenticando la grande tradizione democratica del Regno Unito. Oppure l’appello all’indipendentismo catalano. In questo caso a prendere fischi per fiaschi sono ben due gruppi. Gli autonomisti e gli indipendentisti:

Gli autonomisti dell’ultim’ora solo ieri erano indipendentisti. Oggi ripiegano sull’autonomia, anche se come passo intermedio all’autodeterminazione. Costoro prendono più abbagli, perché lo Statuto simile agli Alto Atesini i politicanti “romani” non lo concederanno mai; sia perché proprio la Catalogna insegna che approvato un nuovo Statuto nel 2006, secondo le procedure previste, sia dal Parlamento centrale sia dai cittadini catalani con un referendum, non entrò mai in funzione. Quello Statuto era frutto di un’intesa «bipartisan» fra socialisti e nazionalisti di Convergència i Unió (CiU), le due principali forze in Catalogna, con la benedizione del governo del socialista José Luis Zapatero. Su di esso pendeva però la spada di Damocle del ricorso del Partido popular (Pp). La sentenza n. 45/2008 della Corte constitucional fu dirompente: disse no a una serie di articoli ad alto valore simbolico, tra cui quelli che si riferivano alla Catalogna come a una «nazione» e al catalano come lingua preminente. Il mondo politico di Barcellona, con l’eccezione del Pp e di Ciudadanos, lo vide come un affronto e chiamò alla mobilitazione. Né miglior sorte ottennero i due referendum per l’indipendenza.
Cosa induca certi pseudo indipendentisti a pensare che l’Italia si comporterebbe più “magnanimamente” è cosa imperscrutabile.

Semmai ci sarebbe da rispondere ad una domanda assillante: andare avanti, e quindi essere “creativi”, o restare nel passato, ovvero nel sistema partitocratico? Nessuno ha ancora dato risposte!

Immersi nella politica di piccolo cabotaggio dell’Italietta molti di questi politicanti sembrano anelare alle rendite politiche che tale modus operandi concretizza, non si sa ancora per quanto. E nessuno sembra

accorgersi delle opportunità che ci sono almeno in due paesi «in via di sviluppo». Si stanno proponendo come nuove forze dominatrici a livello mondiale: Cina ed India. Ed anche questi Stati (dove per altro l’ideale sovranazionale e globalista non esiste a favore di uno stretto nazionalismo imperialista) con popolazioni miliardarie e pure piuttosto turbolente, nonostante il governo autocratico, hanno necessità enorme e crescente di beni e servizi, non potendo con i soli strumenti finanziari virtuali soddisfare i bisogni ancora primari delle loro masse.

Insomma (come scritto più volte), sembra mancare all’idea auto deterministica un’Intelligencija capace di prefigurare nuovi meccanismi istituzionali che, realizzando con adeguati supporti tecnici, informatici, un’adeguata informazione, nonché la giustificazione sociale e politica; investa di petto i governi, le burocrazie e i sistemi politici. Concretizzi nuove, originali forme di governo atte a gestire il nuovo ordine postindustriale. Sarà infatti inutile cercare di rabberciare i sistemi attuali con modifiche superficiali e parziali. L’esito della biforcazione dovrà forzatamente essere la totale riprogettazione di tali sistemi vuoti, che ognuno può riempire col significato preferito.

Se allo stato attuale non abbiamo una democrazia degna di questo nome, e se siamo alla mercé di pochi capipopolo, la colpa è solo nostra, perché:

siamo noi che sosteniamo e legittimiamo questo sistema col voto;
siamo noi elettori ad essere divisi in tutto, quindi privi di reale peso politico;
siamo noi cittadini che, non sapendo fare altro che litigare tra di noi (a partiti contrapposti), dimostriamo di aver bisogno di capi, soggetti che con la democrazia non c’entrano nulla.

«O ventimila sammarini, o la barbarie!» sostenevano don Milani, e don Giussani, e la sovranità dei popoli (cioè dell’«io») in una previsione del 1966, poiché loro intuirono con largo anticipo gli effetti disastrosi del mondialismo. Infine un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l’etica se vorremo vivere in un mondo migliore


Gino Quarelo
È proprio vero l'Italia è uno stato e una "nazione" malfatti, ma tanto e non solo per colpa e responsabilità dei Savoia.


L'Italia non è la mia Patria
La Patria è unicamente là dove si è amati e rispettati.
L'Italia non è la mia Patria e Roma non è la mia Capitale e gli italiani non sono miei fratelli perché
chi non mi ama e non mi rispetta come uomo e come "veneto" non può essere mio fratello e non merita né considerazione, né amore, né rispetto.
Roma non è nemmeno una città Santa e la strada per il Paradiso ma la città più corrotta e parassita dell'occidente cristiano che vive depredando anche i veneti.

https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 7404010231


Il mito risorgimentale e le sue falsità italico-romane
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Roma - il mito tra il vero e il falso
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I primati dello stato italiano e dell'Italia in Europa e nel Mondo
viewtopic.php?f=22&t=2587

Perché non amo l'Italia e non mi sento italiano
viewtopic.php?f=139&t=2611

Mostruosità italiane o italiche
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Re: Perché non amo l'Italia e non mi sento italiano

Messaggioda Berto » dom set 08, 2019 10:15 am

Prima del 1866 i veneti non avversavano lo Stato italiano, non né avevano alcun motivo, anzi né avevano molti per desiderarlo e per tanto non avevano alcuna sensata ragione per votare No al plebiscito per l'annessione allo Stato italiano.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 153&t=2874
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 1553982588


Verifica storica comune e pubblica della tesi sostenuta da taluni venetisti che il Plebiscito del 1866 per l'annessione delle terre venete allo Stato italiano fu una truffa.
viewtopic.php?f=153&t=2883
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 9314425478


Repubblica Veneta Serenissima, specificità e durata, realtà e mito; la mia Patria, no!
viewtopic.php?f=183&t=2879
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Re: Perché non amo l'Italia e non mi sento italiano

Messaggioda Berto » mer apr 15, 2020 5:10 pm

Un collasso può cambiare l'Italia
25 novembre 2019
Enzo Trentin

https://www.vicenzareport.it/2019/11/co ... ApteHgVVfM


Vicenza – Nel mondo ci sono decine di manifestazioni popolari contro i rispettivi governi:

Non ci sono solo le odierne prolungate e violente proteste a Hong Kong.
A marzo 2019 ampie proteste di piazza hanno scosso l’Algeria ottenendo una prima ed importante concessione da parte del regime: il presidente Abdelaziz Bouteflika, ha deciso di fare un passo indietro e ritirare la propria candidatura in vista delle elezioni presidenziali che sono state rimandate alla fine del 2019.
Il 23 giugno 2019 c’è stata un’imponente manifestazione di 250mila giovani a Praga per chiedere le dimissioni del premier ceco, il miliardario Andrej Babiš, accusato di frode e sotto inchiesta anche in Europa per conflitto di interesse.
A inizio ottobre 2019 in Iraq ci sono manifestazioni contro il governo a Baghdad: tre morti, oltre 200 feriti, più di 3.000 le persone scese in piazza per protestare contro la corruzione della classe politica irachena e la disoccupazione
metà ottobre 2019, i cittadini libanesi di ogni estrazione sociale sono scesi in piazza con proteste senza precedenti che superano le barriere confessionali, di classe e regionali.
Nell’ultima decade di ottobre 2019 in Cile si sviluppa la rivolta popolare contro il governo di Piñera. Le proteste uniscono studenti e lavoratori in un paese con diseguaglianze sociali tra le più alte al mondo. Il presidente dichiara: «Siamo in guerra»
Il 10 novembre il boliviano Evo Morales alla fine ha ceduto annunciando nuove elezioni in seguito alle manifestazioni popolari al grido di «Togliete di mezzo il presidente indio.»
In Venezuela, le proteste contro Maduro durano da tempo. Nel corso di quella che è stata definita “Operazione Libertà”, Caracas è stata teatro di rilevanti scontri che hanno opposto le forze armate e i fedelissimi di Maduro da un lato ai partigiani di Guaidó e ad elementi della Guardia Nazionale in rivolta.
In queste ore la Colombia è nel caos. Almeno 3 morti e 273 feriti negli scontri con la polizia durante lo sciopero nazionale. In piazza contro le politiche economiche del presidente Ivan Duque e per difendere gli accordi di pace siglati dal suo predecessore con le Farc
In Francia vanno avanti da un anno le proteste dei gilet gialli.

Tutte queste manifestazioni sono il segno che i popoli ne hanno le scatole piene. A queste turbative si deve aggiungere la presa d’atto che sono molti i popoli senza Stato (come i curdi), che rivendicano l’autodeterminazione e l’indipendenza. il Corriere della Sera, del 17 settembre 2014, pubblica una mappa delle sole rivendicazioni in Europa.

Il Global Peace Index c’informa addirittura su quali sono i paesi più pacifici. Quanto è violenta l’Italia? Dove si è verificato il più alto incremento di violenza nell’ultimo anno? Questo e altro sulla mappa della pace del Global Peace Index, che ci racconta, purtroppo, che il mondo è sempre meno pacifico. Altro elemento di possibile instabilità lo si ricava dalle statistiche mondiali, aggiornate in tempo reale, su popolazione, governo, e altre interessanti rilevazioni come popolazione mondiale, emissioni di CO2, fame nel mondo etc.

«In tutte le tue battaglie combattere e conquistare non è la suprema eccellenza; l’eccellenza suprema consiste nello spezzare la resistenza del nemico senza combattere.» L’idea che il collasso possa essere uno strumento utilizzabile in guerra potrebbe risalire allo storico e teorico militare cinese Sun Tzu, che nel suo scritto “L’arte della guerra” (5° secolo a.C.), enfatizza il concetto di vincere le battaglie sfruttando la debolezza del nemico piuttosto che la forza bruta.

È normale che in guerra il conflitto si concluda con il crollo di una delle due parti ma, in alcuni casi, il collasso avviene senza grossi combattimenti o addirittura nessuno. Un esempio particolarmente rappresentativo è quello del crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, arrivato dopo diversi decenni di “Guerra Fredda” che non era mai sfociata in un conflitto aperto. Come aveva già notato Sun Tzu, la capacità di innescare il collasso della struttura militare o socio-economica del nemico è probabilmente la strategia di risoluzione dei conflitti più efficace. Ma come raggiungere questo risultato? La moderna scienza dei sistemi complessi può dirci molte cose sui fattori coinvolti nel collasso di tali sistemi, sebbene non possa fornire ricette valide per tutte le situazioni.

Studiando le mobilitazioni che sono riuscite bene, come la Marcia dei bambini a Birmingham, in Alabama nel 1963 (che ebbe un ruolo fondamentale nel porre fine alla segregazione razziale negli Stati Uniti), come i Lunedì di Lipsia del 1989 (dove tirarono palle di neve fin quando non riuscirono a far cadere il regime della Germania orientale) e il movimento di Jana Andolan in Nepal nel 2006 (che abbatté il potere assoluto della monarchia e contribuì a mettere fine all’insurrezione armata), Roger Hallam ha sviluppato una formula per efficaci “dilemma actions”. Un’azione di dilemma è quella che mette le autorità in una posizione scomoda: o la polizia permette la disobbedienza civile, incoraggiando così a far dimostrare altra gente, oppure deve caricare i manifestanti, creando un potente “simbolismo nel sacrificio senza paura”, incoraggiando, anche così, altra gente ad unirsi alla causa.

Tra i fattori essenziali che ha scoperto, ci sono le manifestazioni di migliaia di persone nel centro della capitale, che devono mantenere una disciplina rigorosamente non violenta, dimostrando contro il governo per giorni o per settimane. Il cambiamento radicale – si legge – “è per lo più un gioco di numeri. Diecimila persone che infrangono la legge hanno sempre avuto un impatto maggiore di un attivismo su piccola scala e ad alto rischio”. La vera sfida è organizzare azioni che incoraggino il maggior numero possibile di persone a unirsi e questo significa che dovrebbero essere programmate alla luce del sole, in modo inclusivo, divertente, pacifico e rispettoso. Una azione del genere è stata convocata da Extinction Rebellion nel centro di Londra, il 31 ottobre 2018. E le folle pacifiche degli indipendentisti catalani ne sono una conferma; anche se ad oggi hanno ottenuto poco.

Lo studio di Hallam fa intendere che questo approccio offre almeno la possibilità di infrangere l’infrastruttura di bugie che, per esempio, hanno materializzato le aziende produttrici di combustibili fossili. È difficile e il successo non è sicuro, ma – si legge – la possibilità che la politica faccia qualcosa di efficace in questa drammatica situazione è pari a zero. Le azioni di dilemma di massa potrebbero essere l’ultima, se non la migliore, possibilità di evitare il grande sterminio.

Facendo le cose per bene, anche in Italia le autorità non possono vincere. È per questo che sorprende e allibisce un certo pseudo indipendentismo veneto che non trova di meglio che coalizzarsi nel Partito dei Veneti, il quale ha per dichiarato scopo la promozione dei referendum consultivi (un vero furto di democrazia) e arrivano a pronosticare, tramite tale insulso strumento di arrivare alla dichiarazione dell’indipendenza della regione.

Alcuni considerano il Partito dei Veneti alla stregua della LN di Bossi, che sproloquiando di federalismo ha depotenziato lo stesso. Infatti, chi propone più il federalismo se non sparute élite? Oppure, altro esempio, il M5S che proponendo la democrazia diretta, ha disamorato l’elettorato al richiederla con decisione. Ed in fondo è la stessa operazione che Luca Zaia, per mezzo di alcuni elementi che oggi siedono in Consiglio regionale, nel corso della campagna elettorale del 2015 girovagano per i gruppi indipendentisti promettendo (se votati, e lo furono) l’autodeterminazione del Veneto; peraltro mai nemmeno tentata da costoro una volta installatisi in Consiglio regionale.

È necessario prendere atto che Il popolo e i suoi rappresentanti non coincidono affatto. Nelle assemblee e nei Parlamenti c’è una sovra-rappresentazione delle professioni liberali, come avvocati, insegnanti, etc. e ci sono pochi artigiani o commercianti, pochi operai o contadini, pochi tassisti o autisti di autobus, pochi studenti o casalinghe. Questo significa che esiste una parte della società che semplicemente non è rappresentata. E poi per sperare di essere eletti, bisogna avere denaro, essere disinvolti e disinibiti, bisogna entrare in un apparato, prendere la forma di un partito (il PdV appunto). Questa democrazia rappresentativa ha fatto il suo tempo. Il referendum sul Trattato di Maastricht del 20 settembre 1992, in Francia, e il successivo Trattato di Lisbona sono la perfetta incarnazione dei suoi limiti: gli eletti dal popolo che operano e votano contro il popolo. Insomma, un collasso dello Stato italiano è un’eventualità che anche l’uomo qualunque percepisce come possibile e imminente.

A questo punto, secondo fonti riservate, sembra (il condizionale qui è d’obbligo) che ci sia un “altro” indipendentismo veneto che lavora sotto traccia per elaborare una bozza di progetto politico-istituzionale innovativo, dove al federalismo sono affiancati gli strumenti di democrazia diretta tra i quali l’iniziativa di delibere e leggi, il recall, il sorteggio degli incarichi istituzionali e giudiziali. Ma si tratta di persone che di necessità stanno facendo virtù, poiché appare evidente che prima qualsiasi attività pubblica bisognerà superare la primavera elettorale del 2020.

Questi indipendentisti “ad oltranza” sembra siano persone che non riescono a rallegrarsi nel vedere eventualmente vincente l’ennesima riproposizione della strategia del «Facciamo-fronte-contro-il-nemico-nel-nome-dell’indipendenza-poi-si-vedrà», considerando che il programma politico-elettorale del Partito dei Veneti è tanto pretenzioso quanto inconsistente. E sapere che qualche innocente credulone contribuirà per l’ennesima volta a incoraggiare e far proseguire sulla strada della coltivazione pluridecennale del nulla, non li consola. Insomma, se i cittadini vogliono imporre le loro regole, le devono creare essi stessi e non demandarle alla partitocrazia, dimostrando così che il vecchio modello non funziona più.
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Re: Perché non amo l'Italia e non mi sento italiano

Messaggioda Berto » mer apr 15, 2020 5:11 pm

Luttwak ad Affari: L’Italia è in crisi perché è prigioniera di una casta
15 aprile 2020

https://www.affaritaliani.it/politica/l ... refresh_ce

Saremo il Paese più colpito d’Europa dalla recessione per il Coronavirus. Cosa dovremmo fare per uscirne, visto che nessuno ci aiuta?

"Secondo le statistiche tra i i 196 Paesi del mondo l’Italia è il numero 8 per ricchezza totale. L’Italia è uno dei Paesi più ricchi del mondo eppure deve andare in giro come un mendicante perché è occupato da una casta. Questa è la ragione del perché lo Stato italiano non può funzionare. E non può funzionare a causa del sistema legale che è il sistema nervoso dello Stato. Ogni volta che qualcuno ha cercato di riformare questo sistema legale italiano, per aver una magistratura europea, viene bloccato dai magistrati che aprono un qualche processo contro di te o un parente".

Lei dice che abbiamo uno Stato burocratico in cui non c’è giustizia e questa è la causa numero uno del suo cattivo funzionamento?

"In Italia non c’è giustizia. L’Italia è un Paese occupato da caste. E la principale casta è quella dei magistrati, uno dei corpi più lenti e improduttivi del mondo. Qualcuno non ti paga, tu lo porti a processo, lui perde, va in appello, riperde, va in appello di nuovo, poi va in Cassazione e il giudice della Cassazione non scrive la sentenza per un anno, per due anni, per tre anni. È successo. Se il poveretto che non è stato pagato ormai da 15 anni chiede al suo avvocato di fare una protesta, di fare qualcosa questo gli risponderà “per carità”. Poi il magistrato andrà in pensione e un altro giudice prenderà l’incarico e rivaluterà gli atti. Come può funzionare uno Stato così?"

E che si dovrebbe fare?

"Le faccio un esempio. Uno Stato così nel suo funzionamento, per esempio oggi con l’emergenza del virus, ha emesso un documento per i pagamenti più semplici possibili ed è di 10 pagine. L’equivalente in Canton Ticino sono 4 domande, occupa un terzo di una pagina, perché lì se dici una bugia in 6 mesi sei in carcere. Da un lato il sistema non da giustizia. Quando te la daranno forse sarai morto. Mentre dall’altro lato a causa della macchinosità di un sistema medioevale non si muove nulla. Non puoi sapere se il giudice, che si prende tutto quel tempo, non scrive la sentenza e lo fa per ignavia o perché è corrotto. Tu non puoi saperlo. Forse l’imprenditore che non ti paga ha passato una mancia al giudice ma tu non puoi saperlo. Non importa se è ignavia o corruzione il risultato è lo stesso e cioè che lo Stato italiano non può funzionare. Il risultato unico è ricorrere alla criminalità organizzata".

Ma i magistrati imputano al non avere mezzi, strutture, personale l’impossibilità di essere celeri e far funzionare al meglio i procedimenti!

"Hanno sé stessi perché i giudici della Cassazione italiana sono pagati molto meglio che la media dei giudici in Europa. Si lamentano? Non hanno i mezzi perché costano troppo, sono molto ben pagati. Troppo. I giudici della Cassazione guadagnano più dei giudici della Corte Suprema americana che sono solo 7. Loro sono più di un centinaio".

E per i fondi da trovare?

"Cassa depositi e prestiti, nella situazione di oggi, potrebbe funzionare come un fondo sovrano e potrebbe dire fate quella strada, aprite quel cantiere, costruire quel ponte, ma non può farlo perché subito interviene qualche magistrato. Poi in Italia è tutto così strano: prima arrestano le persone poi cercano le prove. Quante volte è successo!? Il caso limite in tutta Europa che è stato esaminato e studiato ovunque da tutti è il caso di Calogero Mannino. Viene accusato di mafia nel 1994, viene processato fino a quest’anno (è stato definitivamente assolto nel 2019, ndr). La Procura di Palermo perde i suoi processi e ogni volta fa appello e poi lo accusano della stessa cosa ma usando un altro nome. Prima era associazione esterna alla mafia poi è diventato negoziato Stato-mafia. Come può funzionare uno Stato così? Negli Stati Uniti una cosa del genere può anche accadere perché ci possono essere procuratori che fanno politica, ma addirittura in Italia c’è qualcuno di loro che si è buttato in politica. Negli Stati Uniti però faranno un processo contro questo magistrato e lo metteranno in galera. Va in prigione perché ha fatto dei processi contro un cittadino senza avere prove".

Sono sistemi diversi...

"Ma in Italia c’è addirittura la carcerazione preventiva. Da nessun parte accadono cose così come in Italia. Forse in Corea del Nord. Prima il magistrato ti accusa, poi ti arrestano, poi ti sbattono dentro, poi lui cerca le prove, ma dopo, tenendoti in carcere. Non può funzionare. Nell’Unione Europa ci sono Paesi molto più poveri dell’Italia, come ad esempio la Slovacchia, la Polonia, l’Ungheria. Conte è là seduto per terra che strilla “voglio gli eurobond!” ma chi dovrebbe pagare gli ungheresi? Gli slovacchi? L’Italia vuole solidarietà da un gruppo di Paesi che sono molto più poveri di lei".

Visto questo cortocircuito tra burocrazia, casta di Stato, giustizia, cosa devono fare gli italiani per uscirne?

"Gli italiani sono a casa. È una buon occasione per riflettere. E dire: siamo un Paese molto produttivo e ricco ma il nostro Stato non funziona perché il sistema legale che è il sistema nervoso di un Paese non funziona. È gestito da una classe di persone che non sono europee. La magistratura italiana non è una magistratura europea. Non so da dove viene, forse è una magistratura da Stato arabo e non importa se le cose non funzionano se per ignavia o per corruzione. Il risultato è lo stesso. Quelli che hanno accusato Calogero Mannino era i nemici politici e il sistema li ha lasciati fare. Certo i procuratori sono controllati da un corpo professionale ma in Italia questo corpo professionale, che è il Consiglio Superiore della magistratura, è lottizzato da differenti fazione. Gli italiani devono riflettere. Siamo mendicanti perché lo Stato non funziona. Lo Stato non funziona perché non abbiamo una magistratura europea. Dobbiamo finalmente avere una magistratura europea. Un giudice che non scrive una sentenza in un mese o in una settimana deve essere licenziato".

Non mi sembra che i media televisivi abbiano aperto una discussione su questi temi. Non la pensano così…

"L’opinione pubblica quando vede che il paziente sta morendo perché ha la cancrena deve vedere dove è cominciata questa cancrena. I media devono esaminare due cose per capirlo, non mille, non un milione di cose: il processo di Calogero Mannino (chi lo ha fatto e come, in tutto il mondo cose così non si sono mai viste, è un anomalia gigantesca); e il modulo emesso ieri dal governo per chiedere i fondi e compararlo a quello del Canton Ticino. Solo queste due".

Come liberarsi da questa situazione di Stato disfunzionale e pericoloso per i cittadini?

"Quando una persona sta morendo di cancrena guarda dove è iniziata. Comincia tutto dal non avere una giustizia di tipo europea, dal non avere una magistratura europea. Faccio un altro esempio: il sistema legale francese che è quasi simile a quello italiano ha però una differenza: nessun procuratore può muoversi se non autorizzato da un giudice di istruzione che chiede ai magistrati che accusano: 'tu le prove le hai? Per far durare il processo velocemente, tre giorni!? Ed avere così una risoluzione chiara? No!? Allora non disturbare il cittadino!'. Se tu fai una truffa contro lo Stato ti prendono subito, perché non hai un sistema intasato da tutte questa massa di accuse opinabili, lungaggini, cose barocche e fatte per altri motivi. Ti fanno un processo e ti mandano in prigione rapidamente. Quanti italiani sono in prigione per non aver pagato le tasse?"

Pochissimi... credo qualche centinaio, 200 forse...

"Esatto! In America sono 50.000".

Capisco...

"Perché ti beccano. Racconto l’aneddoto di una signora di New York, proprietaria di grandi alberghi. Ha pagato 800 milioni di tasse ma in quell’anno, qualche anno fa, si è fatta comprare un sofà di poche migliaia di dollari, 3400 dollari, e l’ha portato a casa sua e non in uno dei suoi alberghi come dichiarato. Quando è stata beccata dalle tasse ha preso 3 anni di prigione, di solito sono 5. Aveva 76 anni ed è andata in prigione. Il processo è durato circa un’ora".

Noi saremmo felici anche se durasse una settimana...

"Se fosse accaduto in Italia avrebbero aperto un dossier per investigare cosa ha fatto negli ultimi 60 anni. Forse l’ha fatto altre volte? Sa, ci sono molti modi, per la magistratura araba o turca che l’Italia ha, per non fare il proprio lavoro. Ricordo quando Andreotti era accusato di associazione esterna mafiosa. Invece di fare vedere due fotografie, lui che abbraccia il suo grande amico Salvo Lima e Lima che abbraccia qualche mafioso, si è deciso di accusarlo di tutto, compreso l’omicidio di un giornalista (il riferimento è all’omicidio Pecorelli, ndr). In Italia la signora dell’albergo non avrebbe fatto un giorno di galera. Le avrebbero aperto un’indagine per 27 anni".

La maggioranza dei media descrive i problemi italiani in tutt’altro modo. Come è possibile?

"Allora devono spiegare questo mistero in un’altra maniera. Il mistero di avere uno Stato così ricco ma che fa il mendicante".

Lei dice che se non cresce questa consapevolezza non ne usciamo?

"No, il paziente non esce. È un malato cronico che resta in sedie a rotelle. È l’Italia. Ma adesso ha un’occasione per riflettere".
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