I criminali del Sud al soggiorno obbligato al Nord

I criminali del Sud al soggiorno obbligato al Nord

Messaggioda Berto » mer giu 28, 2023 9:32 am

I criminali del Sud al soggiorno obbligato al Nord e in Veneto
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I criminali del Sud al soggiorno obbligato al Nord

Messaggioda Berto » mer giu 28, 2023 9:34 am

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Re: I criminali del Sud al soggiorno obbligato al Nord

Messaggioda Berto » mer giu 28, 2023 9:34 am

Tutto iniziò col soggiorno obbligato al Nord… e dal loro esempio si sviluppò la Mala del Brenta

21 Ago 2018
di ETTORE BEGGIATO

http://www.lindipendenzanuova.com/tutto ... to-al-nord

A cavallo fra gli anni 70 e 80, la Regione del Veneto fu flagellata da una legge dello stato italiano attraverso la quale venivano mandati nelle nostre comunità delle “pecorelle smarrite” sospettate di appartenere alla mafia e alla ndrangheta: il cosiddetto “soggiorno obbligato”.

Personaggi con un curriculum impressionante, veri e proprio “pezzi da 90” che oggi non dicono molto, ma che all’epoca erano al vertice di “famiglie” potentissime e senza scrupoli.

“La mafia combatte, i veneti muoiono”, così il “Corriere della Sera” titolava a tutta pagina il 2178/86; Verona che era diventata la Bangkok d’Europa grazie al “clan dei calabresi” costituitosi attorno ai soggiornanti obbligati; non parliamo della Riviera del Brenta dove la piccola criminalità fece un salto di qualità grazie agli insegnamenti dei professionisti del crimine copiosamente inviati dallo stato italiano.

Incapacità, irresponsabilità o complicità da parte del governo di Roma? O la necessità di “fare gli italiani” livellando il livello di criminalità fra le varie regioni ?

Irresponsabilità, incapacità o complicità da parte di chi non si rese conto che il soggiorno obbligato, lungi dal poter essere uno strumento efficace nella lotta contro la mafia, diventata un fortissimo veicolo di impianto di criminalità organizzata in zone impossibilitate a difendersi ?

Illuminante quanto scrisse su questo aspetto il settimanale della diocesi di Belluno “L’amico del popolo”:

“È come diffondere una epidemia spostando i germi patogeni nei vari organismi sani; è come la metastasi del cancro che viene ad intaccare inesorabilmente i tessuti sani non diminuendo la virulenza della malattia, ma accrescendo di numero le parti malate”.

E dopo anni e anni di lotte, di manifestazioni, di proteste, il nostro popolo riuscì a vincere anche questa battaglia; all’epoca proprio al fine di non disperdere il ricordo di tutte queste battaglie stampai un libro bianco/rassegna stampa di quasi duecento pagine, “Soggiorno obbligato=esportazione di criminalità. La lotta dei veneti contro lo stato italiano”, testimonianza di una mobilitazione straordinaria che coinvolse tante regioni, dalla Lombardia al Trentino, dal Friuli all’Emilia; recentemente ho ritrovato il PDF di questa raccolta. E chi fosse interessato lo può richiedere alla mia e-mail: bejato@hotmail.com



La Mala del Brenta sul modello della Mafia

La mala del Brenta è stata un'organizzazione criminale mafiosa nata in Veneto intorno agli anni settanta e in seguito estesasi nel resto dell'Italia nord-orientale. È stata duramente colpita negli anni novanta, dopo l'arresto ed il pentimento del principale capo Felice Maniero.
https://it.wikipedia.org/wiki/Mala_del_Brenta
Nel ventennio successivo al secondo dopoguerra, il panorama malavitoso veneto era composto, come nel resto delle regioni dell'Italia nord-orientale, da bande paracriminali di piccolo e medio spessore coinvolte perlopiù in azioni di microcriminalità e ben lungi dal trasformarsi o unirsi sotto un'unica organizzazione a carattere mafioso per il controllo del territorio. In particolare il triangolo tra Mestre, Padova e Chioggia era un'area economicamente particolarmente depressa. A Venezia invece era tradizionale la microcriminalità al pari delle altre grandi città italiane, e come città portuale divenne imperniata sul contrabbando in particolare di sigarette, attività attorno alla quale iniziò già dagli anni cinquanta a gravitare un abbozzo di organizzazione criminale tesa al controllo, ancor prima dell'affacciarsi della banda del Brenta. Dalla metà degli anni settanta il ben più lucroso traffico di droga cominciò a sostituire pian piano il tradizionale contrabbando di sigarette tra gli interessi della criminalità, attirando con ciò gruppi decisi a conquistarsi uno spazio, e da ciò nacque il sodalizio che imperversò almeno fino agli anni novanta.

L'arrivo di alcuni esponenti della mafia siciliana costretti al soggiorno obbligato nelle province di Venezia e Padova, in particolare Totuccio Contorno, Antonio Fidanzati, Antonino Duca e Rosario Lo Nardo sul finire degli anni settanta e l'inizio degli ottanta, fu la base per la nascita di un gruppo paramafioso che potesse fare da ponte tra il Nord e il Sud. All'ombra di questi personaggi crebbero e trovarono maturazione le locali giovani leve di una criminalità dai contorni ancora rurali, che tentava generalmente di mutuarne le gesta, le caratteristiche e le imprese.
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Re: I criminali del Sud al soggiorno obbligato al Nord

Messaggioda Berto » mer giu 28, 2023 9:36 am

La Mappa della Mafia in Veneto: 20 anni dopo nessuno fa più lo sciopero della fame
Oct 26, 2016

https://serenissimapost.com/la-mappa-de ... 30e15f97ed

Parlare di mafia in Veneto sembra un controsenso. Ci ricorda alcuni fatti di più di vent’anni fa, quando la lega protestava contro l’invio coatto di mafiosi in Veneto. Era il 25 aprile 1993 quando l’allora deputato leghista Fabio Padovan iniziò lo sciopero della fame contro l’invio in soggiorno obbligato a Codogné della camorrista Anna Mazza.

Oggi invece nessuno si scandalizza più ne tantomeno fa scioperi della fame per queste cose, anzi lo stesso partito che allora protestava contro la mafia in Veneto guida la regione da quasi due decenni assieme ai suoi alleati, ma la mafia in Veneto pare aver messo radici profonde. Lo testimonia una impressionante sequenza di eventi che hanno interessato la nostra regione negli ultimi mesi.

Abbiamo costruito una mappa degli episodi di carattere mafioso più significativi avvenuti in Veneto negli ultimi due anni, comprendendo arresti, inchieste e attentati incendiari, così come emergono da 18 indagini giudiziarie, provvedimenti istituzionali e relazioni parlamentari in corso e da inoppugnabili fatti riscontrati. Eccola.


Apri la mappa in Google Maps

In tutto si tratta di 34 eventi giudiziari tra molteplici arresti e indagati e25 attentati incendiari avvenuti dal 2015 ad oggi.

Ad ognuno il giudizio se il fenomeno sia preoccupante, o meno, a noi il compito di riportare i fatti, anche con una migliore sintesi visuale che ne faccia comprendere la copertura capillare praticamente in ogni provincia del Veneto.


A volte ritornano: l'ombra di Anna Mazza
(la camorrista napoletana contro cui ha battagliato Fabio Padovan (all'epoca deputato della Lega Veneta e poi fondatore della LIFE)
24 luglio 2010

https://ricerca.gelocal.it/tribunatrevi ... TB103.html

TREVISO.Il clan Moccia, sostengono i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, stava mettendo radici in Veneto. Qui viveva uno degli affiliati, Antonio Barra, e qui venivano in trasferta altri uomini del gruppo di Afragola quando si trattava di minacciare gli imprenditori usurati. Il rapporto del clan con la Marca, comunque, risale nel tempo. Risale ai primi anni '90 quando a Codogné venne mandata al confino Anna Mazza di Afragola, una signora dai modi affabili, ma con accuse pesantissime sul capo: è una delle prime donne della storia repubblicana a essere stata condannata per associazione mafiosa. Contro il suo soggiorno nel Trevigiano - e più in generale contro l'istituto del soggiorno obbligato - ingaggiò una durissima battaglia l'allora deputato della Lega Fabio Padovan che si rinchiuse in una tenda sulla Mutera (una collinetta di terra nel centro del paese), a pochi passi dal condominio dove la donna abitava, e iniziò uno sciopero della fame.
A Codognè, al ristorante «Da Battiston» arrivò all'epoca anche Umberto Bossi che, pur condividendo il motivo della protesta, espresse qualche perplessità sulle forme della stessa. Padovan andò avanti ugualmente, la gente del posto era con lui. Andò avanti e vinse:
Anna Mazza venne allontanata e di li a poco la pratica del confino venne cancellata. Eppure il timore del deputato coneglianese secondo cui «esportando» il mafioso si esportava anche la mafia contaminando in questo modo territori sani, ha trovato riscontro. Si perché Anna Mazza altri non è che la vedova di Gennaro Moccia, il boss campano ucciso in un attentato camorristico nel 1976 e che ha dato il nome al clan attivo fra Afragola, Casoria, Arzano, Caivano e ora finito nel mirino della Dda di Napoli. «Il Mattino» di Napoli, all'indomani del blitz finito con 72 arresti, ha pubblicato la foto della «signora» (cosi viene definita), indicandola come la regista, colei che ancora regge le sorti della holding criminale.
Dalla «cacciata» di Codognè, comunque, trascorreranno molti anni prima che nella Marca si torni a parlare di camorra. E, per la prima volta, di Antonio Barra legato ad essa. Si arriva cosi al 2003, anno in cui si consumano strani episodi a danno di pizzaioli del territorio, trevigiani, veneziani e padovani. Un esercente viene pestato, nell'auto di un altro viene fatta trovare una pistola, un bar va a fuoco. Episodi isolati? Riccardo Tumminia, giovane e preparato investigatore da poco a capo della Mobile di Treviso, cresciuto e vissuto nella Palermo della mafia, crede che la regia sia unica. In quei fatti Tumminia riconosce infatti il codice tipico della criminalità organizzata e avvia un'indagine per racket, collegando le vicende accadute a cinque diversi pizzaioli. Gli indagati sono tutti campani, tra loro figura anche Antonio Barra, a sua volta pizzaiolo, sospettato di aver fatto il salto di qualità passando da reati «minori» quali la truffa, a quelli associativi. E' la prima inchiesta per camorra nel territorio, il mondo politico trevigiano ne è scosso. L'allora consigliere della Margherita Maria Luisa Campagner invia una lettera di complimenti ai poliziotti. Il procedimento si conclude con l'assoluzione di Barra, ma anche con la convinzione diffusa che qualcosa stava cambiando nella criminalità di Marca. Barra, da quel momento, non esce più di scena: truffa dopo truffa - l'ultima delle quali l'anno scorso ai danni di una coppia di Chioggia - si afferma come uno dei nomi di riferimento per le cronache giudiziarie. Fino, appunto, al blitz del 9 luglio. In carcere finisce lui e finiscono anche gli altri tre fratelli, ritenuti gli esattori del clan Moccia. La sorella Angela invece, ex amante dei boss dei Casalesi Francesco Bidognetti, è ora collaboratrice di giustizia. Ed è stato proprio un pentito, Domenico Bidognetti, ex membro del clan dei Casalesi di Casal del Prinicipe a fare rivelazioni importanti per le indagini della Distrettuale di Napoli.
Dopo mesi di intercettazioni e appostamenti e 4 anni di indagine, sono scattati gli arresti disposti con un'ordinanza di 1120 pagine. (s.t.)




Morta la camorrista Mazza scatenò le battaglie leghiste
di Sabrina Tomè
26 settembre 2017

https://tribunatreviso.gelocal.it/trevi ... 1.15908240


CONEGLIANO. Nel Coneglianese ci è rimasta solo poche settimane, succedeva 24 anni fa. Eppure il suo è un nome che pochi hanno scordato nel territorio anche perché fu al centro di una vera e propria sollevazione popolare: lei è Anna Mazza, la prima donna arrestata per camorra e la prima a essere mandata in soggiorno obbligato a Codogné. La vedova del boss Gennaro Moccia ora non c’è più: è morta a 80 anni, nel Napoletano. La «vedova della camorra», o «la vedova nera della camorra» come veniva anche chiamata, fu la mente del clan Moccia di Afragola per oltre vent’anni: sfruttando l’aura del marito defunto conquistò rapidamente un ruolo dirigenziale e riuscì a ramificare ovunque il suo potere, prendendo contatti anche con la Mala del Brenta durante il suo soggiorno trevigiano.

Un soggiorno che scatenò la rivolta del territorio, contrario all’accoglienza di persone coinvolte nella criminalità organizzata: il timore era quello di un “contagio” della malavita. A guidare la protesta contro Anna Mazza fu l’imprenditore e parlamentare della Lega Fabio Padovan che contestava non solo l’arrivo della donna, ma più in generale la pratica del “confino” che rischiava di portare la criminalità organizzata anche nelle Regioni settentrionali. Il deputato si accampò con una tenda, la tenda della libertà, sulla “mutera”, una collinetta di terra nel centro di Codogné, a poche centinaia di metri dall’appartamento assegnato ad Anna Mazza. I toni della protesta si alzarono nei giorni successivi l’arrivo della donna: Padovan si incatenò all’albero della discoteca “La Pergola” di Codogné e iniziò uno sciopero della fame e della sete, mentre in piazza scesero oltre mille persone e l’intero paese venne tappezzato di manifesti contro il soggiorno della vedova di camorra. La protesta, che rimbalzò a livello nazionale e finì anche al centro di alcune dirette televisive sui canali Rai e Mediaset, non impensierì particolarmente Anna Mazza la quale a Codogné in effetti non voleva restarci e preferiva tornare nella sua terra, dove peraltro aveva perso sotto i colpi d’arma da fuoco sia il marito, nel 1977, sia un figlio, nel 1987, che si trovava in regime di semilibertà perché accusato di aver ucciso un maresciallo dell’Arma. La donna, con aria spavalda e gioielli costosi, rilasciava interviste protestando per la sua situazione particolare. Mazza passò addirittura al contrattacco denunciando l’inadeguatezza dell’alloggio nel quale viveva; in una lettera al presidente della Repubblica Scalfaro scrisse di essere cardiopatica e denunciò il disagio sostenendo di venire offesa nella sua dignità di donna e di madre. In una conferenza stampa davanti al municipio raccontò anche di essere vittima, di fatto, di un sequestro di persona: tanto vale, affermò, essere messa in carcere. L’allora sindaco di Codogné Mario Gardenal minacciò di rassegnare le dimissioni con tutta la sua giunta se la vedova di camorra non fosse stata allontanata e insieme ad altri quindici sindaci del Coneglianese riuscì ad ottenere un incontro con il ministro dell’Interno Nicola Mancino. Anche perché la tensione cominciava a farsi palpabile e la protesta contro il soggiorno obbligato diventò praticamente trasversale, coinvolgendo tutte le parti politiche. Il moltiplicarsi delle proteste produsse alla fine il risultato tanto atteso: il 12 agosto, a distanza da quattro mesi dal suo arrivo, Anna Mazza venne riportata ad Afragola. E, nel frattempo, Camera e Senato, in tempi record, abolirono le norme sul soggiorno obbligato.
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Re: I criminali del Sud al soggiorno obbligato al Nord

Messaggioda Berto » mer giu 28, 2023 9:36 am

Mafia, camorra, complottismo, massoneria, Unità d'Italia
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 139&t=2829

Mafie e briganti teroneghi
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =22&t=2259



Mafie e briganti terronici
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =22&t=2259




Il sud della penisola italica - i meridionali
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 139&t=2581


Questa è l'Italia ed il suo stato dopo i mitizzati e cantati " Risorgimento (con i suoi falsi miti unitario romano e rinascimentale), Resistenza e Repubblica con la sua Costuzione"
I primati dello stato italiano e dell'Italia in Europa e nel mondo
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =22&t=2587
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Re: I criminali del Sud al soggiorno obbligato al Nord

Messaggioda Berto » mer giu 28, 2023 9:40 am

La 'Ndrangheta a Vicenza: Carlo Celadon, il più lungo sequestro della storia
Carlo Celadon venne rapito ad Arzignano e imprigionato in Calabria, un incubo durato 831 giorni. Incatenato, nascosto da un sistema omertoso, riuscì a sopravvivere solo alla sua forza d'animo
24 aprile 2016

https://www.vicenzatoday.it/cronaca/la- ... html/pag/2

È un sequestro di persona, non è il primo e non sarà l’ultimo in quegli anni. Subito la Procura di Vicenza sceglie la “linea dura”, procuratore capo è il dott. Ferdinando Canilli, gentile, ma risoluto a “isolare” la famiglia e impedire che contatti vengano avviati, anche se i Celadon, dopo il sequestro si comportano bene e non hanno intenzione di creare situazioni diverse, in contrasto con chi investiga sul rapimento.
Nella notte tra martedì e mercoledì arrivano nella casa di Arzignano diverse telefonate. La polizia smentisce ma è sicuro che sono state comunicazioni brevi, poche parole, toni duri e minacciosi. Il padre di Carlo, Candido Celadon, tornato precipitosamente dal Kenia dove era appena arrivato, e ripreso l’aereo, è atterrato a Milano, poi corre ad Arzignano dove si chiude in casa.
Il sequestro di Carlo assume ora ritmi sempre più veloci e angoscianti: giunge in una chiamata notturna la richiesta di riscatto. I banditi chiedono 4 miliardi. Agli investigatori la richiesta sembra autentica. Ma la magistratura, come accennato, si muove svelta e impone il blocco dei beni della famiglia Celadon. Canilli ha una certa esperienza di sequestri di persona, ne ha seguiti ben cinque avvenuti tutti nel Vicentino anni prima.
Ma non è solo la famiglia che vorrebbe muoversi ma non può, c’è in questo momento di tragedia per i Celadon, un avvocato calabrese che si propone come mediatore con la banda dei rapitori. E’ un personaggio ambiguo e controverso, già estremista di destra con Ordine Nuovo di Rauti quando a Reggio Calabria era scoppiata la rivolta, ora fa l’avvocato brillante, è uno che ama i riflettori e per lui associarsi alla famiglia Celadon rappresenta un formidabile veicolo di notorietà.
Solo in aprile i rapitori si rifanno vivi. Fanno attendere e provocano così lo sfaldamento della linea dura. In luglio arriva al padre una foto del figlio legato in catene. È troppo, un’attesa sfibrante e l’immagine di Carlo sono le mosse strategiche per sconfiggere gli inquirenti. Così la pensano i rapitori.
Attraverso l’avvocato calabrese i Celadon aggirano di fatto il blocco dei beni e si dispongono al pagamento di ben 3 miliardi di lire. Vengono, sempre a detta di Pardo, “oliati” i contatti giusti per arrivare alla liberazione di Carlo. A ottobre del 1988 l’avvocato convoca una conferenza stampa all’Hotel Excelsior di Reggio Calabria per annunciare ai sequestratori che lui era lì ad attenderli con la somma pattuita: tre miliardi appunto.
Però non succede niente. E dopo una settimana Candido Celadon esonera l’avvocato Pardo dall’incarico di mediatore. A questo punto entrano in scena i figli di Candido, i fratelli di Carlo, Paola e Gianni, e sono loro nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1988 sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria a consegnare agli emissari dell’Anonima sequestri calabrese la somma di cinque miliardi.

Anche questa volta non succede niente. Carlo Celadon resta sempre nelle mani dei suoi rapitori anche se il riscatto è stato pagato.
Intanto gli investigatori arrestano quattro persone con l’accusa di aver fatto parte della banda che tiene sequestrato Celadon. Tra gli arrestati c’è anche Mario Leo Morabito e l’operazione che lo porta in carcere ha portato agli inquirenti le prove materiali della sua complicità con il sequestro.
Infatti i carabinieri trovano in una piazzola di sosta lungo la carreggiata nord della Salerno-Reggio Calabria, banconote di vario taglio per la somma di 150 milioni, di provenienza dal riscatto pagato poche ore prima per la liberazione di Carlo. Segno che la rete che sorvegliava da lontano i Celadon era stata stretta e ci erano cascati quattro componenti la banda. Morabito, considerato il “cervello” dell’organizzazione, è un brutto colpo per i sequestratori e l’operazione blocca le loro decisioni.
Ora a Candido Celadon non resta altro che andare in Calabria e dichiararsi disposto a pagare un altro miliardo, altro denaro non ne ha. Ma il figlio resta sempre nelle mani dell’anonima calabrese e un cupo silenzio cala sulla vicenda. La richiesta resta sempre di altri cinque miliardi.
Il 1989 si apre anch’esso nel silenzio. Ma Carlo, e lo si saprà poi, cambia carcerieri (quattro vengono arrestati vicino a Pizzo Calabro poche ore dopo che il ragazzo era stato trasferito) e anche il luogo dove è detenuto. Questi cambi saranno sette. Intanto il padre viene tenuto sempre in tensione con telefonate minacciose e dal linguaggio orripilante. A differenza del 1988 ora nel 1989 le telefonate arrivano dalla Germania, da Francoforte.
I carabinieri speravano, dopo l’arresto dei carcerieri del secondo covo, che la vicenda avesse una fine positiva nel giro di breve tempo. Ma non è così e il 1989 si appresta ad essere un altro anno di prigionia.
Candido Celadon fa sapere ai rapitori che è disponibile a trattare, attraverso i vecchi canali o anche i nuovi, a condizione di sapere qualcosa sulla salute del figlio. Le ultime notizie la famiglia le riceve in agosto poi nulla.
Ma la trattativa non è mai cessata veramente. Dai cinque miliardi i rapitori fanno sapere che ci si potrà accordare anche su due. Il sequestro sta diventando pericoloso non solo per Carlo, sempre più debole e affranto psicologicamente, ma anche per i rapitori. Le battute e i rastrellamenti effettuati dai reparti mobili dei Carabinieri aumentano la tensione, è possibile che i sequestratori all’improvviso incontrino in un faccia a faccia le forze dell’ordine.
Perciò la trattativa superato il dicembre dell’89 fa un salto di qualità. Ci si accorda finalmente sulla cifra che era stata ventilata e con attenta gradualità ci si muove sia per il pagamento che per il rilascio.
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