La Mappa della Mafia in Veneto: 20 anni dopo nessuno fa più lo sciopero della fameOct 26, 2016
https://serenissimapost.com/la-mappa-de ... 30e15f97edParlare di mafia in Veneto sembra un controsenso. Ci ricorda alcuni fatti di più di vent’anni fa, quando la lega protestava contro l’invio coatto di mafiosi in Veneto. Era il 25 aprile 1993 quando l’allora deputato leghista Fabio Padovan iniziò lo sciopero della fame contro l’invio in soggiorno obbligato a Codogné della camorrista Anna Mazza.
Oggi invece nessuno si scandalizza più ne tantomeno fa scioperi della fame per queste cose, anzi lo stesso partito che allora protestava contro la mafia in Veneto guida la regione da quasi due decenni assieme ai suoi alleati, ma la mafia in Veneto pare aver messo radici profonde. Lo testimonia una impressionante sequenza di eventi che hanno interessato la nostra regione negli ultimi mesi.
Abbiamo costruito una mappa degli episodi di carattere mafioso più significativi avvenuti in Veneto negli ultimi due anni, comprendendo arresti, inchieste e attentati incendiari, così come emergono da 18 indagini giudiziarie, provvedimenti istituzionali e relazioni parlamentari in corso e da inoppugnabili fatti riscontrati. Eccola.
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In tutto si tratta di 34 eventi giudiziari tra molteplici arresti e indagati e25 attentati incendiari avvenuti dal 2015 ad oggi.
Ad ognuno il giudizio se il fenomeno sia preoccupante, o meno, a noi il compito di riportare i fatti, anche con una migliore sintesi visuale che ne faccia comprendere la copertura capillare praticamente in ogni provincia del Veneto.
A volte ritornano: l'ombra di Anna Mazza (la camorrista napoletana contro cui ha battagliato Fabio Padovan (all'epoca deputato della Lega Veneta e poi fondatore della LIFE)
24 luglio 2010
https://ricerca.gelocal.it/tribunatrevi ... TB103.htmlTREVISO.Il clan Moccia, sostengono i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, stava mettendo radici in Veneto. Qui viveva uno degli affiliati, Antonio Barra, e qui venivano in trasferta altri uomini del gruppo di Afragola quando si trattava di minacciare gli imprenditori usurati. Il rapporto del clan con la Marca, comunque, risale nel tempo. Risale ai primi anni '90 quando a Codogné venne mandata al confino Anna Mazza di Afragola, una signora dai modi affabili, ma con accuse pesantissime sul capo: è una delle prime donne della storia repubblicana a essere stata condannata per associazione mafiosa. Contro il suo soggiorno nel Trevigiano - e più in generale contro l'istituto del soggiorno obbligato - ingaggiò una durissima battaglia l'allora deputato della Lega Fabio Padovan che si rinchiuse in una tenda sulla Mutera (una collinetta di terra nel centro del paese), a pochi passi dal condominio dove la donna abitava, e iniziò uno sciopero della fame.
A Codognè, al ristorante «Da Battiston» arrivò all'epoca anche Umberto Bossi che, pur condividendo il motivo della protesta, espresse qualche perplessità sulle forme della stessa. Padovan andò avanti ugualmente, la gente del posto era con lui. Andò avanti e vinse:
Anna Mazza venne allontanata e di li a poco la pratica del confino venne cancellata. Eppure il timore del deputato coneglianese secondo cui «esportando» il mafioso si esportava anche la mafia contaminando in questo modo territori sani, ha trovato riscontro. Si perché Anna Mazza altri non è che la vedova di Gennaro Moccia, il boss campano ucciso in un attentato camorristico nel 1976 e che ha dato il nome al clan attivo fra Afragola, Casoria, Arzano, Caivano e ora finito nel mirino della Dda di Napoli. «Il Mattino» di Napoli, all'indomani del blitz finito con 72 arresti, ha pubblicato la foto della «signora» (cosi viene definita), indicandola come la regista, colei che ancora regge le sorti della holding criminale.
Dalla «cacciata» di Codognè, comunque, trascorreranno molti anni prima che nella Marca si torni a parlare di camorra. E, per la prima volta, di Antonio Barra legato ad essa. Si arriva cosi al 2003, anno in cui si consumano strani episodi a danno di pizzaioli del territorio, trevigiani, veneziani e padovani. Un esercente viene pestato, nell'auto di un altro viene fatta trovare una pistola, un bar va a fuoco. Episodi isolati? Riccardo Tumminia, giovane e preparato investigatore da poco a capo della Mobile di Treviso, cresciuto e vissuto nella Palermo della mafia, crede che la regia sia unica. In quei fatti Tumminia riconosce infatti il codice tipico della criminalità organizzata e avvia un'indagine per racket, collegando le vicende accadute a cinque diversi pizzaioli. Gli indagati sono tutti campani, tra loro figura anche Antonio Barra, a sua volta pizzaiolo, sospettato di aver fatto il salto di qualità passando da reati «minori» quali la truffa, a quelli associativi. E' la prima inchiesta per camorra nel territorio, il mondo politico trevigiano ne è scosso. L'allora consigliere della Margherita Maria Luisa Campagner invia una lettera di complimenti ai poliziotti. Il procedimento si conclude con l'assoluzione di Barra, ma anche con la convinzione diffusa che qualcosa stava cambiando nella criminalità di Marca. Barra, da quel momento, non esce più di scena: truffa dopo truffa - l'ultima delle quali l'anno scorso ai danni di una coppia di Chioggia - si afferma come uno dei nomi di riferimento per le cronache giudiziarie. Fino, appunto, al blitz del 9 luglio. In carcere finisce lui e finiscono anche gli altri tre fratelli, ritenuti gli esattori del clan Moccia. La sorella Angela invece, ex amante dei boss dei Casalesi Francesco Bidognetti, è ora collaboratrice di giustizia. Ed è stato proprio un pentito, Domenico Bidognetti, ex membro del clan dei Casalesi di Casal del Prinicipe a fare rivelazioni importanti per le indagini della Distrettuale di Napoli.
Dopo mesi di intercettazioni e appostamenti e 4 anni di indagine, sono scattati gli arresti disposti con un'ordinanza di 1120 pagine. (s.t.)
Morta la camorrista Mazza scatenò le battaglie leghistedi Sabrina Tomè
26 settembre 2017
https://tribunatreviso.gelocal.it/trevi ... 1.15908240CONEGLIANO. Nel Coneglianese ci è rimasta solo poche settimane, succedeva 24 anni fa. Eppure il suo è un nome che pochi hanno scordato nel territorio anche perché fu al centro di una vera e propria sollevazione popolare: lei è Anna Mazza, la prima donna arrestata per camorra e la prima a essere mandata in soggiorno obbligato a Codogné. La vedova del boss Gennaro Moccia ora non c’è più: è morta a 80 anni, nel Napoletano. La «vedova della camorra», o «la vedova nera della camorra» come veniva anche chiamata, fu la mente del clan Moccia di Afragola per oltre vent’anni: sfruttando l’aura del marito defunto conquistò rapidamente un ruolo dirigenziale e riuscì a ramificare ovunque il suo potere, prendendo contatti anche con la Mala del Brenta durante il suo soggiorno trevigiano.
Un soggiorno che scatenò la rivolta del territorio, contrario all’accoglienza di persone coinvolte nella criminalità organizzata: il timore era quello di un “contagio” della malavita. A guidare la protesta contro Anna Mazza fu l’imprenditore e parlamentare della Lega Fabio Padovan che contestava non solo l’arrivo della donna, ma più in generale la pratica del “confino” che rischiava di portare la criminalità organizzata anche nelle Regioni settentrionali. Il deputato si accampò con una tenda, la tenda della libertà, sulla “mutera”, una collinetta di terra nel centro di Codogné, a poche centinaia di metri dall’appartamento assegnato ad Anna Mazza. I toni della protesta si alzarono nei giorni successivi l’arrivo della donna: Padovan si incatenò all’albero della discoteca “La Pergola” di Codogné e iniziò uno sciopero della fame e della sete, mentre in piazza scesero oltre mille persone e l’intero paese venne tappezzato di manifesti contro il soggiorno della vedova di camorra. La protesta, che rimbalzò a livello nazionale e finì anche al centro di alcune dirette televisive sui canali Rai e Mediaset, non impensierì particolarmente Anna Mazza la quale a Codogné in effetti non voleva restarci e preferiva tornare nella sua terra, dove peraltro aveva perso sotto i colpi d’arma da fuoco sia il marito, nel 1977, sia un figlio, nel 1987, che si trovava in regime di semilibertà perché accusato di aver ucciso un maresciallo dell’Arma. La donna, con aria spavalda e gioielli costosi, rilasciava interviste protestando per la sua situazione particolare. Mazza passò addirittura al contrattacco denunciando l’inadeguatezza dell’alloggio nel quale viveva; in una lettera al presidente della Repubblica Scalfaro scrisse di essere cardiopatica e denunciò il disagio sostenendo di venire offesa nella sua dignità di donna e di madre. In una conferenza stampa davanti al municipio raccontò anche di essere vittima, di fatto, di un sequestro di persona: tanto vale, affermò, essere messa in carcere. L’allora sindaco di Codogné Mario Gardenal minacciò di rassegnare le dimissioni con tutta la sua giunta se la vedova di camorra non fosse stata allontanata e insieme ad altri quindici sindaci del Coneglianese riuscì ad ottenere un incontro con il ministro dell’Interno Nicola Mancino. Anche perché la tensione cominciava a farsi palpabile e la protesta contro il soggiorno obbligato diventò praticamente trasversale, coinvolgendo tutte le parti politiche. Il moltiplicarsi delle proteste produsse alla fine il risultato tanto atteso: il 12 agosto, a distanza da quattro mesi dal suo arrivo, Anna Mazza venne riportata ad Afragola. E, nel frattempo, Camera e Senato, in tempi record, abolirono le norme sul soggiorno obbligato.