Mixure de łi secołi xermani ente l’ara tałega

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Messaggioda Berto » lun ago 04, 2014 9:45 pm

El pie de Liutprando
viewtopic.php?f=136&t=1055
http://www.liutprand.it/articoliPavia.asp?id=171

IL PIEDE DI LIUTPRANDO (el pie come pie no lè na mexura xermana ma ogniversal)

Antica unità di misura di origine longobarda

Re Liutprando, fra le molte leggi emanate ad integrazione del Codice di Rotari, con l’intenzione di amalgamare il popolo longobardo e fonderlo con le precedenti popolazioni (ed ovviamente di rafforzare il potere centrale), intraprese anche l'unificazione del sistema di misure, imponendo per tutto il Regno una medesima misura lineare fondamentale: il Piede, da lui detto, appunto, di Liutprando.
Non diversamente, del resto, farà Carlo Magno cinquant'anni dopo, verso l'anno 800, uniformando le misure di Francia, con il Pied du Roy e la Toise Carlovingienne.
Alcuni studiosi, rilevando la persistenza delle misure romane nel periodo longobardo, ritengono assai probabile che il valore numerico originario del Piede di Liutprando equivalesse a 0,4432 m e corrispondesse quindi al Cubito Romano, (come questo suddividendosi probabilmente in once, palmi e dita), così risultando sesquipedale rispetto al Pes romano.
Altri sostennero invece che questo Piede valesse già originariamente 0,5138 m e fosse una misura scientifica e naturale, di derivazione araba o forse egiziana, riferita alle dimensioni della Terra.
Sta di fatto che nel corso dei secoli il valore del Piede di Liutprando variò sensibilmente da luogo a luogo e da tempo a tempo, oscillando tra 392 e 544 mm.
La fantasia dell'epoca medievale ha condito l'iniziativa del re Longobardo di profumi e sapori gustosi, ancora persistenti all'inizio del nostro secolo.
Si disse dunque dai Dotti e dagli Storici che Re Liutprando, viaggiando nel Milanese, venisse informato che si commettevano frodi nel misurare e ne conseguivano frequenti controversie; avesse allora posto il suo piede (magnum et spaciosum) su una pietra, e subito disposto che dall'impronta in essa mirabilmente lasciata, si prendessero le misure per le compere e le vendite.
Il nuovo modulo, dunque, da lui prese il nome di Piede di Liutprando, e poiché la nuova misura era più grande di almeno una volta e mezzo del Piede di Roma, se ne dedusse che il re Longobardo dovesse essere stato alto della persona in guisa di un gigante: e questa convinzione serpeggiò per oltre un millennio e ne è rimasto il dubbio fino a meno di cent'anni or sono.
Il Piede di Liutprando, benché con valori numerici differenziati, rimase in uso in tutta Italia (tranne che nella fascia centrale Romano–Bizantina, che non era appartenuta al regno longobardo) per quasi cinquecento anni, lungamente sopravvivendo al Regno di Pavia.
Attorno al 1200, per comodità commerciale e benevolenza papale, prese a «diffondersi una nuova unità detta Braccio, introdotta dalla Palestina dai Crociati o forse più concretamente dai mercanti Pisani, che veniva riferita al Corpo di Cristo e definita come parte aliquota della di Lui figura.
Questa unità ebbe molto e spontaneo successo, in quanto la sua misura, che si aggirava attorno ai 60 cm, corrispondeva alla distanza media fra le mani di chi in atto di misurare stoffe od altro, porta gli avambracci avanti a sé orizzontali e quasi paralleli.
Nei secoli seguenti, in una con le suddivisioni politiche ed amministrative della Penisola, il Braccio assunse valori diversi in ogni luogo e per ogni funzione: con misure variabili oscillanti tra 50 e 70 cm, si ebbero il Braccio da panno, da seta, da tela, da legno, da legname, da fabbrica; il Braccio lungo, il Braccio corto; da tela nostrale, dafustagno; il Braccio di Milano, il Braccio di Novara, il Braccio dell'Ossola; il Braccio Fiorentino; il Braccio Pisano; e via sbracciando, generalmente in sistemi di suddivisione negli ordini inferiori, detti once, punti, atomi, minuti, ed altro ancora, con modulazioni talvolta duodecimali, più spesso le più varie.
Accanto al Braccio, particolarmente per l'agrimensura ed in ragione di acque (parimenti suddiviso in sistemi vari o duodecimi in Once, Punti, e Atomi), era in uso il Piede, che aveva valori attorno ai 30 cm.
Mentre per le stesse misure di terra, o topografiche o di ragioni di acque e stillicidi, il Piede di Liutprando (e la Pertica, suo multiplo), si è mantenuto, seppure con valori e nomi diversi (Piede Liprando, o Eliprando, o Piede di Piemonte, o Piede legale), in Lombardia fino alla seconda metà del '700, ed in Piemonte fino alla unificazione Sabauda.
Quella di Liutprando fu sostanzialmente la sola unificazione dei pesi e delle misure che abbia interessato pressoché l'intero territorio della Penisola, dopo quella di Roma antica e fino alla proclamazione del Regno Sabaudo.
Da allora, tutte le regolazioni ed i riordini hanno riguardato singoli comuni, borghi, giurisdizioni o regioni più o meno estese della Penisola; fra le più importanti per estensione territoriale si ricordano il sistema stabilito per tutta la Toscana da Leopoldo Il nel 1782; quello degli Austriaci per Milano e Ducato nel 1781; il sistema metrico decimale della Repubblica Italiana (poi Regno) del 1803; quello di Ferdinando I del 1480 e quello (decimale) di Ferdinando II del 1840, per il Regno di Napoli, il sistema metrico decimale del 1807 per il Piemonte sotto il dominio francese…
Successivamente, dopo l'adesione alla Convenzione Internazionale del 1875, con Reale Decreto del maggio 1877 furono approvate le "Tavole di ragguaglio dei pesi e delle misure già in uso nelle varie provincie del Regno... "; le quali tavole, edite nello stesso 1877 dalla Stamperia Reale, tolsero ogni linfa e residuo spazio alla "strana moltitudine" di libbre e braccia mercantili, così che queste misure scomparvero, con i loro campioni e testimoni, praticamente ovunque dall'uso e dalla memoria, tranne qualche eccezione di sporadica sopravvivenza locale per inveterata consuetudine.
In conclusione, e forse a riprova dei percorsi e dei ricorsi della ricerca umana nella poliedrica realtà, riportiamo il seguito dell'avventura del Piede di Liutprando, del quale si è detto più sopra tra storia e leggenda.
La misura originaria più probabile, per alcuni si è detto potesse essere di 0,4432 m, e cioè uguale al cubito romano del quale sarebbe stata una intenzionale riproposta; secondo altri, invece, la misura sarebbe stata fin dall'origine pari a 0,513766 m, e derivata dalle dimensioni della Terra.
Mentre, la fantasia e la leggenda l'hanno riferita al grande piede di un Re, necessariamente gigantesco nella statura.
Ebbene, nel 1895 a Pavia si rinvennero pochi resti umani che da accurate analisi storiche, anatomiche e storiografiche, furono sicuramente riconosciuti come le ossa di Re Liutprando.
Minuziosi e pazienti rilievi e riscontri antropometrici ricostruirono le misure del suo corpo ed in particolare dei piedi: la statura risultò di 1,73 m, e gli arti inferiori risultarono precisamente pari a 254 e 261 mm, rispettivamente per il piede destro e per quello sinistro.
Si è notato che la somma delle due lunghezze è uguale a 515 mm, e differisce per meno di 6/10 di millimetro dalla misura del Piede di Liutprando, definito in Piemonte dal 1818 precisamente pari a 514,40329 mm.
In realtà il valore del Piede di Liutprando, precedentemente al 1818, era in Piemonte 513,76597 mm; ma su richiesta del Conte Prospero Balbo e parere dell'Accademia delle Scienze di Torino la misura fu modificata, con l'aggiunta di poco più di 6/10 di mm, nel valore definitivo suddetto di 514,40329 mm: perché questa nel sistema metrico decimale è la misura del minuto terzo del grado medio del meridiano terrestre.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Mixure xermane ente l'ara talega

Messaggioda Berto » lun ago 04, 2014 9:53 pm

Coltra

http://kenoms3.altervista.org/altorenot ... rdismi.htm


Tra le unità di misura ancora ricordate dai pistoiesi più anziani sopravvive la coltra (corrispondente all'incirca alla metà di un ettaro).
Tale unità di misura risale alla dominazione longobarda come ci illustra il seguente passo: "Non è certo in quale misura gli antichi romani abbiano trasformato il territorio agricolo, ma è invece sicura la permanenza di un' unità di misura agraria, la coltra ( quadrato con il lato di circa 71 metri) introdotta dai longobardi" (COMUNE DI PISTOIA, "Piano Strutturale - Relazione A1", p. 13).
Sempre di origine longobarda è lo stioro (detto anche stiolo per inversione delle liquide l > r), unità di misura corrispondente a un quarto di coltra.

Circa queste due unità di misura scrive lo storico pistoiese Natale Rauty:

"Un altro segno dell'intervento dei Longobardi nell'organizzazione agricola del territorio pistoiese è fornito dall'adozione di un nuovo sistema di misure lineari e di superficie che ebbe come base il piede di Liutprando, documentato a Pistoia fino al XIII secolo ed il cui ragguaglio è stato determinato in circa 49 centimetri. Il piede di Liutprando aveva un multiplo, la pertica, pari a dodici piedi; il quadrato con lato di dodici pertiche corrispondeva a una "coltra", misura in base alla quale furono suddivisi i campi nei nuovi terreni messi a coltura ...
E' possibile ... che il nuovo piede longobardo sia derivato proprio dalla suddivisione dell'agro pistoiese centuriato (i cui lati erano di 240 piedi romani) in 144 parti (12 pertiche di 12 piedi), secondo un rapporto strettamente duodecimale" (op. cit., p. 138)

E ancora:

"La coltra, suddivisa in quattro staiori (o stiori) è una misura sopravissuta fino ai giorni nostri nella campagna pistoiese, dove viene ancora usata dai contadini secondo il ragguaglio approssimativo di mq 5000, cioè mezzo ettaro, contro la misura esatta di 5064,23 mq" (ibid, p. 138).

In alcune aree rurali pistoiesi lo stesso stioro, a sua volta, è suddiviso secondo un rapporto duodecimale: "12 pugnori equivalgono a un panoro 12 panori a uno stioro" (P. NESTI, "Villa c'era", Pro Loco Piteccio, Pistoia, 2004, p. 277).

misura medioevale

misura moderna

coltra = 0,5 ettari

coltra = 0,5 ettari
stioro = 1/4 di coltra
stioro = 1/4 di coltra

pertica = 1/12 del lato di una coltra
panoro = 1/12 di stioro
piede di liutprando = 1/12 di pertica
pugnoro = 1/12 di panoro


Chi è avvezzo ai calcoli matematici si sarà accorto che il pugnoro non è altro che un multiplo del piede di Liutprando. Infatti:

1 coltra = 5064,23 mq - 1 piede di Liutprando = circa 49 cm

Pertanto:

1/4 di coltra = 1 stioro = 5064,23 / 4 = 1266,06 mq
1/12 di stioro = 1 panoro = 1266,06 / 12 = 105,50 mq
1/12 di panoro = 1 pugnoro = 105,50 / 12= 8,79 mq

radice quadra di un pugnoro = SQR (8,79) = 2,96 m
1/12 della radice quadra di un pugnoro = 2,96 / 12= 0,247 m = 24,7 cm
1 piede di Liutprando = 24,7 x 2= 49,4 cm

E, al contrario, possiamo osservare che dalla coltra possiamo giungere al piede di Liutprando nel modo che segue:

radice quadra di una coltra = SQR (5064,23) = 71,163 m (un lato di coltra)
1/12 di lato della coltra = 71,163 /12 = 5,930 m (una pertica)
1/12 di pertica = 5,930 / 12 = 0,494 m = 49,4 cm (un piede di Liutprando)

Pertanto la coltra non è altro che il piede di Liutprando moltiplicato per 144 ed elevato al quadrato, mentre lo stioro è la metà del piede di Liutprando moltiplicato per 144 ed elevato al quadrato.

Da un punto di vista geometrico il rapporto tra pugnoro e piede di Liutprando è dimostrato dal rapporto tra stioro e coltra: una coltra è un quadrato la cui superficie è composta da quattro stiori, ciascuno dei quali costituito da quattro lati di identica lunghezza e pari ogniuno alla metà di ciascun lato della coltra. Pertanto i sottomultipli (lineari e di superficie) di coltra e stioro sono sono tra loro correlati.


Clicca sull'Approfondimento relativo alle unità di misura di superfici e lunghezze

Le informazioni ricavate sulle unità di misura pistoiesi sembrano altresì confermare l'ipotesi, già sostenuta da qualcuno, che vuole come base di parte dell'antica matematica longobarda il sistema duodecimale in luogo del sistema decimale (cfr. NOTIZIARIO CAO - Club Alpino Operaio di Como - Anno XXX, n. 2, Aprile 2002, p. 4); è peraltro probabile che il sistema numerico degli antichi germani sia evoluto in talune popolazioni germaniche da una base decimale ad una base duodecimale ("il germanico *hudan, che in origine doveva significare 'cento', ha assunto in taluni casi il valore di 120" (A. Scaffadi Abbate, "Introduzione allo studio comparativo delle lingue germaniche antiche", p. 459)). In ogni caso chi scrive è dell'avviso che il sistema di misurazione terriera di tutti i popoli germanici fosse basato sul sistema duodecimale, sistema duodecimale che sopravvive (oltre che nel sistema di misure pistoiesi) ancora nel sistema anglo - americano: "il mondo anglosassone, che a lungo ha mantenuto una serie di propri sistemi di misura diversi da quelli di altre nazioni (tra cui quello duodecimale - divisione in 12, il piede e il pollice)" (http://www.ilpostalista.it/coordriggi4.htm).
E, in effetti, un sistema duodecimale ha certi vantaggi rispetto a quello decimale. Mentre dieci può essere diviso esattamente solo per due e cinque, dodici può essere diviso per due, tre, quattro e sei. Il sistema duodecimale, per queste sue caratteristiche, era assai più diffuso in antico di quanto oggi si tenda ad immaginare (anche se poi, nell'uso comune, sopravvive ancora il termine "dozzina") e si ritrovava (oltre che nei popoli germanici come abbiamo cercato di dimostrare) anche tra gli antichi Romani (il loro sistema matematico era additivo, decimale e quinario per la parte intera, duodecimale per la parte frazionaria, poiché l'unità semplice, detta axis, era divisa in dodici once)e, perfino, nel sistema monetario attico.
Tornando in ambito germanico si direbbe che anche il sistema monetario dei Vandali fosse fondato sulla matematica dodecimale: "I re Vandali, a partire da Gunthamundo, emettono solo monete d'argento e bronzo. Le monete d'argento sono di una, mezza e un quarto di siliqua" (N. FRANCOVICH ONESTI, "I Vandali", Carocci, Roma, 2002, p. 52). I rapporti di 1/1, 1/2, 1/4 sono basati su equivalenze strettamente dodecimali (dividendo 12 per 4 si ottiene un numero intero, mentre dividendo 10 per 4 si ottiene un numero frazionario). Questa constatazione sembra confermare la nostra asserzione relativa all'importanza che la matematica duodecimale aveva per i popoli germanici (longobardi e goti compresi).

Sempre in area pistoiese sopravvive (vedi Saturnana) un'unità di misura delle uova basata anch'essa sul sistema dodecimale: la serqua (12 uova). Una filastrocca del luogo recita: "la mi' padrona era tanto bona la mi dè una serqua d'ova" (R. NEROZZI, "... tre civette sul comò", Editrice CRT, Pistoia, 2003, p. 39). Il termine serqua è di origine latina (lat. siliqua > baccello), ed è derivato da una moneta romana d'argento di epoca costantiniana (la siliqua appunto) con valore di 1/24 di aureo (solidus), ma è interessante osservare come anche l'unità di misura monetaria di popoli germanici come i Vandali, ostrogoti e i Longobardi (APPUNTO) fosse basata proprio su una moneta d'argento detta siliqua e come il sistema monetario ostrogoto e longobardo fosse dodecimale.
La moneta longobarda più importante è il Tremisse, ossia terzi del Solido aureo, alla quale i longobardi accompagnavano una moneta d’argento detta Siliqua. Le carte, i diplomi e la legislazione di questo popolo, infatti, ci riferiscono che è stato utilizzato il solido, il tremisse e anche la siliqua (Nell'Editto di Rotari si legge: "De furtis. Si quis liber homo furtum fecerit et in ipsum furtum temptus fuerit, id est fegangit: usque ad decem silequas furtum ipsum sibi nonum reddat, et conponat pro tali turpe culpa sol. octuginta, aut animae suae incurrat periculum. ").

Una ulteriore traccia di unità di misura longobarda può essere rintracciata nel vocabolo pistoiese scafarda (grande quantità, soprattutto di cibo contenuto in un grosso recipiente). La voce pistoiese discende infatti dallo "scaffilum", una antica unità di misura terriera usata dai longobardi e al tempo stesso la misura longobarda di capacità dei cereali (cfr. N. FRANCOVICH ONESTI, "Vestigia Longobarde in Italia", Artemide Edizioni, Roma, 2000, p. 115). Ancora gli Statuti dell'Opera di San Jacopo in Pistoia del 1313 stabilivano che la misura per la vendita della calcina era lo "scaffiglio": "Ancora ordiniamo ke' fornacciari siano tenuti di fare li mattoni e li teoli a misura della città di Pistoia, la quale è nella sacristia, e la misura della calcina debbia essere di mille libre p(er) ciaskeduno scafiglo" (citato in L. GAI - G. SAVINO, "L'Opera di S. Jacopo in Pistoia e il suo primo statuto in volgare (1313)", Pacini Editore, Pisa, 1994, p. 200. cfr. anche Bullettino Storico Pistoiese, Anno CVI - Terza Serie XXXIX (2004), p. 190). In effetti almeno fino al XVI secolo sopravvisse a Pistoia un'intero sistema per la misura di capacità degli aridi di origine longobarda e che il Rauty riassume così:

- Omina (cardine del sistema)
- Quartina (mezza omina)
- Scaffiglio (dodici omine)

E' ancora il Rauty, parlando dello Scaffiglio, ad informarci che:

"Il lemma ha sicura origine germanica e si lega quindi, insieme al piede di Liutprando, ad un sistema metrico che dovrebbe risalire almeno al secolo VIII ed all'influenza longobarda nell'economia agricola pistoiese" (N. RAUTY, "Pistoia. Città e territorio nel medioevo", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2003, p. 212)

Rimanendo in tema di unità di misura longobarde non andrà poi dimenticata la spanna: la spanna (che peraltro sopravvive anche nel toponimo Spannarecchia) è la misura ottenuta misurando la mano distesa dalla punta del pollice alla punta del mignolo (per estensione vale anche come piccola quantità e breve misura). Stando alla lezione del Gamillscheg anche i toponimi e idrotoponimi Agliana e Agna derivano da una antica misura germanica (cfr. Alina = misura di un braccio) ??? (no cfr. co Agna e Agno veneti ke li xe nomi de corse de acoa).

Tutt'altro che certa, invece, l'origine longobarda per un'altrà unità di misura utilizzata a Pistoia almeno fino ai tempi della riforma leopoldina del 1782: "Non si conosce l'origine del 'braccio a panno': il fatto che la sua misura (cm 61,28) sia molto vicina a quella del 'piede di Liutprando' aumentata di un quarto (1,25x49,09=61,36) potrebbe essere una semplice coincidenza" (N. RAUTY, "Pistoia. Città e territorio nel medioevo", Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2003, p. 204).

http://www.etimo.it/?term=spanna
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http://www.etimo.it/?term=pertica
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http://it.wikipedia.org/wiki/Pertica_(u ... _di_misura)
La pertica è una unità di misura di lunghezza non appartenente al sistema internazionale e non standard, usata dagli antichi Romani. Si chiamano così sia una misura di lunghezza sia una di superficie ancora oggi usate in alcune zone d'Italia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Discussion ... _di_misura)
Nella voce sta scritto: ...La pertica è una unità di misura di lunghezza non appartenente al sistema internazionale e non standard, usata dagli antichi Romani. Si chiamano così sia una misura di lunghezza sia una di superficie ancora oggi usate in alcune zone d'Italia. ... E' più probabile che fosse una misura "italica" adoperata anche dai romani; il fatto che si trovi attestata nei testi latini dei romani non significa che sia un'invenzione-innovazione tecnica romana e non comporta/implica che non fosse una misura condivisa con altre genti italiche e inventata chissà quando e chissà da chì. Forse è di derivazione etrusca e originata nella cultura protovillanoviana delle terramare in cui si sviluppa la prima economia a industria agricola; la sua diffusione e conservazione in area padana potrebbe esserne una conferma. Alberto Pento --79.38.249.59 (msg) 07:05, 5 ago 2014 (CEST)

Pertega
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... pxdkU/edit
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https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... er=1&w=800
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Re: Mixure xermane ente l'ara talega

Messaggioda Berto » mar ago 05, 2014 6:28 am

http://www.chiassino.it/parole%20moribonde%20CDEF.htm

coltrare arare la terra - longobardo/germanico - coltra era una misura agricola pari a 0,5 ettari introdotta dai longobardi
coltrato terreno lavorato con la coltrina
coltrina attrezzo agricolo per lavorare la terra
coltro aratro

http://it.wikipedia.org/wiki/Coltro
Il coltro o coltello è uno degli organi lavoranti dell'aratro, non sempre presente, responsabile del taglio verticale della fetta di terreno nel lavoro dell'aratura.
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Aratro semplice
1. Bure
2. Dispositivo di attacco
3. Dispositivo di regolazione
4. Coltro o coltello
5. Scalpello
6. Vomere
7. Versoio


http://www.etimo.it/?term=coltro
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Re: Mixure de łi secołi xermani ente l’ara tałega

Messaggioda Berto » mer ago 06, 2014 2:03 pm

El stioro el dovaria esar varianda de staro, staio, staioro, stioro, sextaio/sestario

Lo staio o stajo (al plurale staia o staja) era un'antica unità di misura tradizionale italiana.
http://it.wikipedia.org/wiki/Staio
Era innanzitutto una misura di capacità per cereali ed aridi (grani ecc.), e derivava dal sextarius romano.
Come questo, era generalmente diviso in due emine o mine. Mentre il sextarius era la 16ma parte del moggio romano, lo staio tradizionale in Italia risultava generalmente l'ottava parte del moggio.
Con il medesimo termine viene indicato anche il contenitore a forma cilindrica con il quale venivano effettuate tali misurazioni.
La misura dello staio, così come del moggio, era assai aumentata dall'epoca romana: se il sextarius era poco più di mezzo litro, lo staio andava dai circa 20 litri dell'Italia nordoccidentale (17,77 ad Alessandria, 18,27 a Milano) passando per i 35 litri di Cremona o, per esempio, ai 47,04 di Parma e i 63 litri di Modena, giungendo agli 83,317 litri di Venezia (dove peraltro era 1/4 del moggio).
Così come il moggio, anche lo staio era usato anche come misura di superficie, intendendo almeno in linea teorica la superficie che poteva essere seminata con uno staio di grano.
Corrispondeva generalmente a 12 tavole, ed era usato in quelle zone dell'Italia settentrionale in cui non era usata la pertica superficiale per la misura dei campi (a Torino con il nome di staro, ad Alessandria, Parma ecc.). Generalmente 8 staia formavano un moggio, mentre 6 staia formavano una biolca.
Nei territori della Provincia di Brescia e di Castiglione delle Stiviere, lo stajo definiva l'unità di misura del peso usata per il commercio della calce.


http://www.treccani.it/vocabolario/staio
stàio (ant. staro) s. m. [lat. sextarius: v. sestario] (pl. gli stai, le stàia, ant. le stàiora, da cui si è avuto anche un sing. retroformato stàioro). –

1.
a. Unità di misura di capacità per aridi, usata in Italia prima dell’adozione del sistema metrico decimale, con valori diversi da luogo a luogo: per es., valeva in Toscana 24,36 litri; a Casale Monferrato 16,16 litri; a Forlì 72,16 litri; a Milano e a Novara valeva 18,27 litri; a Parma 47,04 litri (per il grano); a Venezia 83,31 litri. Come misura per il grano e altri cereali, è ancor oggi in uso nella campagna toscana: uno s. di grano, d’orzo; il plur. è, in questo sign., staia (femm.): un campo che dà poche staia di grano; un sacco contiene all’incirca tre staia. Locuz. avv. a staia, in grandissima quantità: possiede, guadagna denari a staia.

b. Recipiente per la misura di uno staio, fatto di legno, cilindrico, a doghe cerchiate; dal centro del fondo sale verso la bocca un ferro (detto ago) che s’inserisce in una spranghetta, anch’essa di ferro (detta maniglia), disposta diametralmente alla bocca: uno s. colmo, raso, scarso. Con questo sign. il plur. è stai. Nell’uso ant., cappello a staio, cappello a cilindro: Pasotti, in soprabito nero di cerimonia, col cappello a staio in testa e la grossa mazza di bambù in mano, camminava nervoso per la riva (Fogazzaro); in frasi di origine biblica, come sinon. di moggio (v.): nascosto questo lume sotto lo staio della superbia, ... gittate tenebre in voi e in altri (s. Caterina da Siena). Non com. e ant. la locuz. fig. prestare lo s., passare la parola ad altri, in una conversazione: il grande Alessandro [Dumas] ... si mostrò tanto voglioso di discorrere, che mai non volle prestar lo staio a nessuno (G. Bandi).
2. estens. Superficie di terreno occorrente per seminarvi uno staio di grano: un podere di sei, di dieci staia; in questo sign. il plur. è staia, e ant. anche staiora: a costoro per queste due opere tanto egregie fu donato dal publico dua staiora di terra per ciascuno (Machiavelli).
3. Anticam., misura di superficie con valori variabili da luogo a luogo: ad Alessandria valeva 392,99 m2 (s. piccolo) e 589,49 m2 (s. grande); a Novara 383,25 m2; a Parma 513,57 m2; a Terni 281,56 m2.

http://www.etimo.it/?term=staio
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http://www.etimo.it/?term=staioro
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http://www.etimo.it/?term=sestario
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http://www.etimo.it/?term=congio
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http://www.etimo.it/?term=cogno
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http://www.etimo.it/?term=moggio
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http://www.etimo.it/?term=mina
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... s-more.jpg

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /minor.jpg

http://it.wikipedia.org/wiki/Mina_(peso)
Mina (in greco μνᾶ mna, latino mina) è un'antica moneta greca.
Era inizialmente un'unità di misura orientale.
Esistevano sia la mina babilonese che la mina ebraica. Una mina ebraica era costituita da 50 sicli. Il talento era costituito da 60 mine. Il peso era tra i 500 e gli 800 grammi. Con Ezechiele ("Il siclo sarà di venti ghere; venti sicli più venticinque sicli più quindici sicli formeranno la vostra mina") la mina diventa di 60 sicli, diventando così uguale a quella babilonese.
Introdotta nel sistema greco aveva ad esempio ad Atene una massa di 436,6 grammi. Con una mina di argento venivano coniate 100 dracme. 60 mine costituivano un talento.

http://it.wikipedia.org/wiki/Statere
Statere è il nome di diversi tipi di moneta dell'antichità. La moneta fu battuta da varie città greche nei diversi standard monetari, in argento, oro ed elettro.
Lo statere d'argento era la moneta più diffusa nell'antichità greca. Era il più alto nominale normalmente battuto e valeva in genere il doppio di una dracma.
Alcuni degli stateri più famosi furono:
Lo statere di Atene, che mostrava al diritto la testa della dea Atena ed al rovescio la civetta - l'animale sacro alla dea - su un ramo d'ulivo.
Lo statere di Corinto: al diritto Atena con elmo corinzio ed al rovescio Pegaso.
Lo statere di Egina, con una tartaruga.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Mixure de łi secołi xermani ente l’ara tałega

Messaggioda Berto » mer ago 06, 2014 2:30 pm

Unità di misura della provincia di Pavia
http://it.wikipedia.org/wiki/Unit%C3%A0 ... a_di_Pavia


Misure di lunghezza
Piede pavese = 47,1954 cm
Sottomultipli
Oncia = 1/12 del piede = 3,933 cm
Punto = 1/12 dell'oncia = 3,277 mm
Atomo = 1/12 del punto = 0,273 mm

Multipli per l'agrimensura:
Trabucco pavese = 6 piedi = 2,8317 m
Gettata = 2 trabucchi = 5,6635 m

Multipli per l'edilizia ecc.
Braccio pavese = 16 once = 62,9272 cm

Misure di superficie
Piede quadro = 2227,41 cm2
Braccio pavese quadro = 3959,83 cm2
detto anche quadretto
Braccio da legname = 4 braccia quadre = 1,5839 m2

Misure agrimensorie:
Trabucco pavese quadro = 8,0187 m2
Tavola pavese = 4 trabucchi quadri o 1 gettata quadra = 32,0746 m2
Pertica pavese = 24 tavole = 769,7918 m2
Anticamente erano in uso anche lo iugero di 12 pertiche e il manso di 12 iugeri.
Misure di volume

Braccio cubo pavese = 0,249181 m3
Carro pavese o pilotto = 16 braccia cube = 3,9869 m3

Misure di capacità
Per gli aridi:
Coppo = 1,698101 l
Quartaro = 6 coppi = 10,18861 l
Mina o Emina = 2 quartari = 20,37721 l
Sacco = 6 mine = 122,2633 l
La mina era detta anche mina rasa, usata per il riso, l'erba medica ecc,; per il grano si usava l'emina colma di 1/8 maggiore (22,9243 l).

Per i liquidi:
Pinta = 1,48839 l
Secchia = 8 pinte = 11,90712 l
Brenta = 6 secchie = 71,44272 l
Boccale = 1/2 pinta = 0,744195 l
Quartino = 1/4 di pinta = 0,372097 l

Misure di peso
Libbra o libbra piccola = 318,725 g
Oncia = 1/12 di libbra = 26,56 g
Denaro = 1/24 di oncia = 1,1067 g
Grano = 1/24 di denaro = 46,12mg
Libbra grossa = 28 once = 2 libbre piccole e 1/3 = 743,692 g
usata soprattutto per la carne e il pesce
Rubbo = 25 libbre piccole = 7,968 kg
Moggio piccolo o fascio = 100 libbre grosse = 74,369 kg
usato per la calce e il gesso
Moggio da carbone = 12 rubbi = 95,6175 kg
Moggio grosso = 2 moggi piccoli = 148,738 kg
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Re: Mixure de łi secołi xermani ente l’ara tałega

Messaggioda Berto » mer ago 06, 2014 2:47 pm

@ = anfora , a marcanta o mercara (mercantil o comerçal), chioccioła o corgnoło

http://www.europaveneta.org/areacultura ... isura.html

La madre di tutte le chiocciole
Repubblica — 29 luglio 2000 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA

Su molte tastiere servono tre tasti per scriverla. Non è una lettera dell' alfabeto, ma si è ormai insinuata nella nuova ortografia, (come nel titolo del film "C' è post@ per te"). La @ "fa" Internet quanto ai tempi del Movimento la K "faceva" repressione (per esempio nel cognome Kossiga). Destando l' ilarità di molti stranieri, noi la chiamiamo "chiocciola". Ma cosa c' è da ridere? Un po' assomiglia davvero a una chiocciola. Non era facile immaginare che la @ chiocciola avesse mezzo millennio di vita. Lo ha scoperto Giorgio Stabile, che insegna Storia della scienza all' università "La Sapienza" di Roma e che sta selezionando per conto dell' Istituto Treccani immagini e foto sui fatti del Novecento. A Dario Olivero, che lo ha intervistato per Repubblica.it (il sito ha anche pubblicato suggestive immagini della scoperta). Stabile ha detto: "Nessun simbolo nasce dal nulla e nessun simbolo viene scelto a caso". Con questa convinzione e con un po' di fortuna ha scoperto che la chiocciola veniva usata in certi scritti mercantili veneziani, dove stava per "anfora", unità di peso e di capacità.

La @ ha dunque un' origine italiana, commerciale, legata agli scambi, alla navigazione (non virtuale), alla misurazione. Portata dai registri mercantili delle navi da carico sulle coste arabe, spagnole, e di lì al mondo l' anfora- chiocciola è entrata nell' alfabeto commerciale inglese dove stava per at. E' un' indicazione di prezzo: at a price of. Una volta in più si dimostra che le lingue viaggiano con le merci e la potenza economica. La @, che a questo punto non si chiama più "anfora" e non si chiama ancora "chiocciola", è la "A commerciale", e nel Novecento le fanno spazio sulle tastiere delle macchine da scrivere e poi dei computer. Anche di quello che l' ingegnere americano Ray Tomlinson usò per mandare il primo messaggio di posta elettronica (nel senso che intendiamo noi), che aveva inventato lui stesso per la rete Arpanet. Era lo sparo di Guglielmo Marconi e la "A commerciale" era presente: serviva a separare l' utente dal server, cioè il nome dall' indirizzo. Perché Tomlinson scelse proprio quel simbolo? Gli serviva un carattere che avesse solo quella funzione, e dunque era meglio scegliere fra i caratteri meno usati. Ma anche il carattere "diesis" non è proprio usatissimo, c' erano alternative alla @.
Magari Tomlinson ha messo le dita a caso, ma ha anche ragione il professor Stabile a pensare che niente, nel mondo dei simboli, avviene veramente a caso: neppure il caso. Tomlinson avrà forse visto baluginare in quella @ le antiche anfore, le antiche navigazioni, gli antichi scambi, e nella sua invenzione le nuove chiocciole, navigazioni, e.commerce e e.mail. In questo simbolo che oggi fa parte del nostro (fastidiosissimo, inevitabile) gergo, c'è la A: la prima lettera dell' alfabeto che è anche la prima parola del vocabolario, e può segnare la prima qualità, la prima classe, la funzione privativa, il La musicale nelle notazioni anglosassoni. Se la A fosse maiuscola sarebbe il perfetto simbolo dell' anarchia. Ma la "a" è minuscola, ed è attorniata non da un cerchio chiuso ma da un accenno di spirale, come un gatto acciambellato sulla sua coda, che sporge fuori dal tappeto. La stessa posta elettronica è una forma di anarchia potentissima ma minuscola, ottenuta non per ribellione (e comunque c' è anche quella) bensì per entropia: un' anarchia a carattere felino, che viaggia di computer in computer e ci arriva sul tavolo da lavoro portatore di messaggi da altri mondi, come un gatto che arriva sulla scrivania balzando per scaffali e mobili, con traiettorie dal senso a lui certamente chiaro. Una chiocciola è un' anfora è un gatto è un prezzo è un messaggio: i simboli sono fatti così e noi tutti abbiamo fatto presto ad abituarci a convivere con questo simbolo placido e sgraziato, difficile da appuntare a mano, evocabile con tre tasti, portatore di una sua anarchia minuscola, e spiralata.
Documento Originale
STEFANO BARTEZZAGHI

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