Majistradura veneta

Majistradura veneta

Messaggioda Berto » mer apr 23, 2014 8:38 am

Veneto indipendente, ma con una magistratura diversa

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di ENZO TRENTIN

Per sostenere le nostre tesi ci affideremo ad una digressione storica che riteniamo appropriata, laddove molti indipendentisti veneti, lombardi e altri, affermano di voler costituire un’entità statuale nuova, basata sui principî della Confederazione elvetica.

A cavallo tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300 gli eredi di Rodolfo d’Asburgo desiderano ottenere un solido dominio a nord delle Alpi. I Waldstätten erano preoccupati anche se ottengono la conferma dei privilegi dall’imperatore che non è un Asburgo. La tensione tra il due parti è forte; un’incursione degli Svittesi contro l’abbazia di Einsiedeln dà inizio alle ostilità. Leopoldo d’Austria è intenzionato a punire i colpevoli ma la sua azione, mal preparata, fallisce miseramente al Morgarten nel 1315. Le truppe di Leopoldo, incolonnate in un angusto passaggio sulla riva del lago di Aegeri, sono sorprese da una valanga di pietre e tronchi d’albero, poi i montanari, armati di alabarde, attaccano e sospingono i cavalieri verso il lago. La fanteria nemica che segue i cavalieri fugge terrorizzata. I vincitori danno poi il colpo di grazia ai feriti e spogliano i morti.

Questa prima vittoria rafforza l’alleanza che unisce le comunità rurali. Mosse da una comune preoccupazione di sicurezza, sottoscrivono il patto di Brunnen. Una delle clausole principali impedisce alle tre comunità di contrarre alleanze separate con potenze straniere. La minaccia costante degli Austriaci impone ai Waldstätten la necessità di un atteggiamento solidale verso l’esterno. Il nuovo patto, redatto in tedesco, sostituisce quello del 1291, viene letto nelle assemblee e approvato sotto giuramento. Lo smacco subito dagli Asburgo contribuisce ad attirare nuovi alleati. La città di Lucerna, all’estremità ovest del Lago dei Quattro Cantoni, fondata all’inizio del XIII secolo, diventa punto di partenza e sbocco per il traffico che percorre il passo del San Gottardo. Inoltre i contadini della Svizzera centrale vi trovano clienti per il bestiame e il formaggio che vengono scambiati con cereali e sale. Ecco che, economicamente parlando, la città e le tre comunità diventano interdipendenti. A partire dal 1291, però, Lucerna è proprietà degli Asburgo che la controllano strettamente; prelevano imposte sempre più elevate, scelgono il borgomastro e nuocciono alla sua prosperità, impedendo, per esempio, il rifornimento dei Waldstätten durante la guerra del 1315. Molti borghesi sono esasperati. Nel 1332 la città sottoscrive un patto con i cantoni primitivi. Tuttavia rimane di possesso Asburgico pur essendo entrata a far parte della Confederazione.

Insomma, ancora una volta la storia c’insegna che laddove si nuoce alla prosperità di una comunità, lì prima o poi nasce un conflitto. E noi vogliamo ravvisarvi la contemporaneità con l’irriformabile Stato italiano, ed il desiderio di indipendenza di alcuni popoli che vi soggiacciono; i Veneti in primis in quanto vittime di una ridistribuzione discriminatoria delle imposte. Ma vogliamo anche ricordare le parole del Senatore Robert Kennedy, che all’Università di Cape Town, Sud Africa, il 6 giugno 1966, affermava tra l’altro: «Ogni volta che un uomo lotta per un ideale o agisce per migliorare il destino degli altri o combatte contro l’ingiustizia, manda avanti una sottile onda di speranza. E queste onde alimentano una corrente che può spazzare via il più solido muro di oppressione e di resistenza.».

Ma torniamo alla storia dei tre Cantoni. A suggellare il trionfo confederale, dopo qualche settimana dalla vittoria, il 9 dicembre, i tre cantoni confermarono il patto del 1291, stringendo un nuovo giuramento e ampliando i contenuti della loro alleanza-unione. Il nuovo patto, detto di Brunnen, dal luogo ove venne stilata la nuova, potremmo dire, carta costituzionale, è in lingua tedesca, e non è più un patto segreto, è un atto pubblico. Esso contiene una clausola estremamente qualificante: il divieto per i tre cantoni di contrarre alleanze separate. Da tale rilievo ha preso il via una oziosa questione storiografica. Se la nascita della Confederazione non debba essere collocata a Brunnen anziché nei prati del Grütli, spostata in avanti di cinque lustri a un di presso, atteso che oltretutto fu il patto di Brunnen quello conosciuto per quasi cinquecento anni, mentre il patto del Grütli fu dimenticato durante un cosi lungo periodo.

Il nuovo patto non è più un accordo giurato da notabili: è un insieme di grandi norme che saranno lette e giurate – e lo saranno per secoli – in ogni Landsgemeinde (parola tedesca che sta per comunità rurale. È un’istituzione di democrazia diretta che viene tutt’oggi ancora utilizzata nei cantoni svizzeri dell’Appenzello Interno e di Glarona), dai confederati.

Se è poi chiaramente eccessivo qualificarlo l’atto di fondazione di un nuovo Stato indipendente, è tuttavia ancor più chiaro ch’esso non si lascia leggere come il testo di una semplice alleanza fra comunità legate da comuni quanto contingenti interessi. Il patto del Grütli ci appare senz’altro come una breve carta costituzionale, atta a regolare rapporti fra comunità determinate a unirsi attorno a regole comuni, non soltanto a fini di resistenza contro nemici comuni, contro possibili invasori, ma per poter far valere principî comuni, ai quali tutti richiamarsi, per poter affrontare entro un certo ambito comuni destini, per veder sortire un comune progresso civile e politico, nel limite delle rispettive autonomie. Essi affermarono il loro diritto ad autodeterminare il modo di governarsi, in nome di tutti gli abitanti delle tre valli, anche dei non liberi. Questi ultimi sono cosi soggetti prima di tutto all’alleanza confederale sancita dal patto, e poi ai rispettivi signori che continuano a servire. Il patto supera cosi i confini del diritto feudale e afferma in embrione la natura dello Stato moderno.

La tradizione fa risalire il giuramento del Grütli ai tre rappresentanti delle comunità rurali (Fürst per Uri, Stauffacher per Svitto e Arnold per Untervaldo), esasperati dagli abusi dei balivi asburgici, essi giurarono di liberare il paese dalla servitù. Tra i congiurati appare la figura di Guglielmo Tell. Secondo la tradizione orale, egli si era rifiutato di rendere omaggio al simbolo della sovranità asburgica, un cappello posto su una picca al centro di Altdorf, provocando così le ire del balivo Gessler. Il mitico eroe, conosciuto per l’abilità nell’uso della balestra è costretto a centrare con una freccia la mela posta sulla testa di suo figlio. L’eroe non sbaglia ma dispone ancora di una freccia da utilizzare contro il balivo nel caso suo figlio fosse stato colpito. Gessler se ne accorge e ordina il suo arresto. Tell riesce a fuggire dalla barca che lo trasporta, approfittando di una tempesta che infuria sul Lago dei Quattro Cantoni. Braccato, egli tende un agguato al balivo nelle vicinanze di Küssnacht e lo colpisce a morte, dando così avvio ad una rivolta popolare con saccheggi e distruzione di torri e castelli.

Del giuramento del Grütli intendiamo qui sottolineare il quarto capoverso, e cioé: «In egual misura, abbiamo per comune consenso e deliberazione unanime promesso, statuito ed ordinato di non accogliere nè riconoscere in qualsiasi modo, nelle suddette valli, alcun giudice il quale abbia acquistato il proprio ufficio mediante denaro od altra prestazione, ovvero non sia abitante delle nostre valli o membro delle nostre comunità.»

È una questione che riteniamo fondamentale per l’auspicato Veneto indipendente. Quello giudiziario infatti non è un “ordine” ma un “potere”. È una dialettica politica originale quella italiota, di norma è il Governo che tende a conservare e l’opposizione invece a voler modificare e a puntare verso un miglioramento della società: ma nel paese di Arlecchino e Pulcinella accade non solo il contrario; accade anche che attraverso il consociativismo di tutti i partiti politici che solo a parole si dichiarano antagonisti, si stravolgano totalmente i principî democratici più elementari.

L’osserviamo, per esempio, in occasione di uno lo sciopero dei magistrati. Il quotidiano “La Stampa” del 5 giugno 2010 titolava: «IL CASO – Sciopero dei magistrati il 1° luglio». Oppure ancora: «Sciopero dei Giudici di Pace dal 25 novembre al 6 dicembre 2013». Senza entrare nel merito delle motivazioni, la questione è alquanto grave. È uno sciopero che gioca a sfavore di una definizione di “potere giudiziario”: sarebbe come se scioperassero il Parlamento e il Governo, rispettivamente detentori del potere legislativo e di quello esecutivo. Un tale comportamento avvalora cosi la tesi, secondo cui alla Magistratura si adatti più la definizione di “ordine” che quella di “potere”. Una questione che la Costituente, a suo tempo, ha dibattuto con il prevalere della tesi di considerare un potere dello Stato solo quell’organo investito di un mandato democratico. E i magistrati italiani non sono elettivi come negli Stati Uniti, dove e attuata una separazione dei poteri, secondo il pensiero illuminista di Charles-Louis Montesquieu. In Italia, i magistrati sono cittadini che hanno vinto un concorso pubblico e fanno carriera al pari di coloro che appartengono ad altri corpi burocratici dello Stato. Ma la giustizia e basilare per la società, e i magistrati, oltre che esserlo, dovrebbero apparire indipendenti e imparziali.

È un problema che poteva essere mitigato dando seguito, con una legge, all’articolo 98 della Costituzione che prevede la «limitazione al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati». Cosi, una legge avrebbe potuto autolimitare i magistrati a non farsi troppo tentare in coinvolgimenti di parte: ma più che legislativo il problema è etico nel senso più vero della parola. Quanti sono i magistrati di chiara appartenenza partitocratica? Un nome per tutti: Luciano Violante, eletto in Parlamento nel lontano 1979 in quota PCI, è rieletto deputato ininterrottamente sino al 2011.

Seppure la Magistratura sia un ordine, nel concreto essa gode di un ampio potere non dovendo rendere conto di eventuali errori, omissioni o abusi. Il Parlamento può essere sciolto, il Governo invece sfiduciato e mandato a casa, ma se sbaglia un giudice, o più giudici, che succede? Interviene un organo di disciplina interna che – nell’ambito della separazione della funzione giudiziaria da tutte le altre dello Stato – provvede con le ammonizioni, i trasferimenti di sede o, addirittura, con una risolutiva promozione. In tale veste, il Consiglio Superiore della Magistratura tende a salvaguardare i propri interessi corporativi.

Pur riconoscendo l’alto compito affidato ai magistrati, l’enorme autorità a loro concessa non comporta uguale responsabilità. Non di rado, ci sono cittadini accusati o incarcerati ingiustamente, mentre altri, condannati o da sottoporre a custodia cautelare, girano indisturbati. E qui è anche troppo facile che la mente vada ai giorni nostri ed alle decine di incarcerati o indagati per quella che convenzionalmente è passata all’opinione pubblica come l’inchiesta numero due sui “Serenissimi”; dopo che la prima generata dalla cosiddetta “Presa del campanile di San Marco” del maggio 1979 – un’azione di guerriglia [Tsz!] intrapresa a salame, pan biscotto e vino – finì con l’assoluzione di tutti. Anche di quelli che si erano fatti qualche anno di prigione.

Chi si appresta ad una fase costituente per un Veneto indipendente non dovrà trascurare la lezione del giuramento del Grütli:
«In egual misura, abbiamo per comune consenso e deliberazione unanime promesso, statuito ed ordinato di non accogliere né riconoscere in qualsiasi modo, nelle suddette valli, alcun giudice il quale abbia acquistato il proprio ufficio mediante denaro od altra prestazione, ovvero non sia abitante delle nostre valli o membro delle nostre comunità.» Né, tanto meno, che il “potere” giudiziario per essere democratico avrà necessità che i suoi giudici siano eletti dal cosiddetto popolo sovrano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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