Papa in Myanmar, l'incontro con Aung San Suu Kyi28 Novembre 2017
http://www.liberoquotidiano.it/news/est ... u-kyi.html Città del Vaticano, 28 nov. (AdnKronos) - Un incontro che riafferma la nostra fede nel potere e nella possibilità di pace e misericordia. Con queste parole la leader del Myanmar Aung San Suu Kyi ha accolto Papa Francesco nella capitale Nay Pyi Taw. Nel suo discorso, il premio Nobel per la Pace ha ringraziato il Pontefice per "essere arrivato qui da noi" e ha chiesto a Bergoglio di "portare forza e speranza nella comprensione dei nostri bisogni, della pace, della riconciliazione nazionale e dell'armonia sociale".
"Il nostro inno nazionale, adottato al momento della nostra indipendenza, inizia con le parole 'Non deviare mai dalla giusta libertà', riflettendo la ferma convinzione dei padri fondatori della nostra nazione che la vera libertà non può sopravvivere senza giustizia", ha detto ancora la leader birmana, spiegando che oggi "spetta a noi continuare il compito di costruire una nazione fondata su leggi e istituzioni che garantiscano a tutti giustizia, libertà e sicurezza".
Nel suo discorso San Suu Kyi sottolinea poi "le sfide che affronta il Myanmar sono molte e ognuna richiede forza, pazienza e coraggio. La nostra nazione è un ricco arazzo di diversi popoli, lingue e religioni, tessuto su uno sfondo di un vasto potenziale naturale. Lo scopo del nostro governo è di far emergere la bellezza della nostra diversità e di renderla la nostra forza, proteggendo i diritti, promuovendo la tolleranza e garantendo la sicurezza per tutti".
"Sono molto grato a tutti coloro che hanno lavorato instancabilmente per rendere possibile questa visita", ha detto dal canto suo il Pontefice. "Sono venuto, soprattutto, a pregare con la piccola ma fervente comunità cattolica della nazione, per confermarla nella fede e incoraggiarla nella fatica di contribuire al bene del Paese - ha sottolineato - Sono molto lieto che la mia visita si realizzi dopo l'istituzione delle formali relazioni diplomatiche tra Myanmar e Santa Sede". Il Papa legge questa decisione come "segno dell'impegno della nazione a perseguire il dialogo e la cooperazione costruttiva all'interno della più grande comunità internazionale, come anche a rinnovare il tessuto della società civile".
Papa Francesco incontra Aung San Suu Kyi: 'Il futuro del Myanmar sia la pace' 2017/11/28
http://www.ansa.it/sito/notizie/politic ... 748d5.html È durato 23 minuti il colloquio privato tra il papa e il ministro degli Esteri e Consigliere diplomatico del Myanmar Aung San Suu Kyii, nella sala del Corpo diplomatico del palazzo presidenziale della capitale Nay Pyi Taw.
Papa ha detto ad autorità e Corpo diplomatico del Paese che "il futuro del Myanmar deve essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo, nessuno escluso, di offrire il suo legittimo contributo al bene comune. L'arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale - ha proseguito Francesco - può avanzare solo attraverso l'impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani. La giustizia - ha concluso - è volontà di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto", e queste intuizioni hanno portato a creare l'Onu e a concepire la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Aung San Suu Kyi ha affermato che l'incontro con il Papa, (nel palazzo presidenziale della capitale, prima in privato e poi con un discorso della "Signora", ndr), "rimarca la nostra fiducia nel potere e nella possibilità di pace". Ha citato la crisi del Rakhine (dove sono i musulmani "rohingya", ndr); ha incluso il Papa tra quei "buoni amici" il cui "sostegno allo sforzo di pacificazione" ha un valore "inestimabile". Per Aung San Suu Kyi la crisi dei musulmani del Rakhine - che si chiamano "rohingya" ma che i birmani, il governo, i militari e le altre etnie chiamano "bengali del Rakhine" - si è trasformata in un grande problema, tanto che secondo alcuni osservatori negli attacchi dell'agosto scorso a postazioni militari del Rakhine, attacchi ad opera dell'esercito di liberazione dei rohingya, ci sarebbe il disegno destabilizzante proprio dei militari, contro la leader democratica e la sua opera di integrazione delle minoranze. Incontrando pubblicamente il Papa nel palazzo presidenziale della capitale Nay Pyi Taw, la ministra degli Esteri del Paese ha affrontato con determinazione non solo la questione del Rakhine, ma le sfide del Paese che deve uscire da decenni di dittatura militare. In questo percorso, ha annoverato il Papa tra i "buoni amici", citando anche le relazioni diplomatiche che Myanmar e Santa Sede hanno allacciato lo scorso maggio. Sono un nuovo inizio, ha detto, ma per le persone della mia generazione sono anche la conferma di antichi legami. La leader democratica ha ricordato di aver iniziato gli studi in una scuola cattolica, quella dei francescani, e ha ringraziato per il contributo della Chiesa alla storia e in prospettiva al futuro del Paese. Ha parlato in inglese, (queste note si basano su una traduzione non ufficiale, ndr), ma ha pronunciato due frasi in italiano: "Grazie per essere arrivato qui da noi" e "continuiamo a camminare insieme con fiducia". Ha anche citato il messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace del 2017, le Beatitudini del discorso della montagna, che, ha detto la "Signora", sono anche una sfida per i governanti e un programma politico.
Lo staff del generale Min Aung Hlaing, che ieri ha incontrato papa Francesco nell'arcivescovado di Yangon insieme ad altri sei militari, ha fatto sapere tramite "Facebook" che nel colloquio tra il Pontefice e il generale, che è capo dell'esercito del Myanmar, il generale ha fatto presente che nel Paese "non c'è persecuzione religiosa né discriminazione religiosa".
Myanmar. Il cardinale raccomanda al Papa di non usare la parola 'Rohingya'. Ecco perché27 novembre 2017
http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 41174.html Il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon ha raccomandato a papa Francesco, in visita in Myanmar e Bangladesh, di non utilizzare il termine "Rohingya" per evocare la minoranza musulmana birmana, avvertendolo che "sia il governo sia i militari, ma anche la gente comune, soprattutto la Polizia, non gradiscono questo termine" che "ha un'accezione molto politica ed è un termine contestato".
Perchè in Myanmar questo nome è tabù?
La minoranza musulmana dei Rohingya in effetti non è mai stata riconosciuta come facente parte delle 135 etnie registrate in Birmania da una legge del 1982, instaurata dalla dittatura militare, rendendo così apolidi i suoi appartenenti. Ancora oggi, il governo birmano riconosce solo le "razze nazionali", quelle presenti nel paese prima dell'arrivo dei coloni britannici, nel 1823, e dunque non i Rohingya.
I birmani usano piuttosto le diciture "musulmani dello Stato di Rahkine" o "bengalesi", evocando così il fatto che sono percepiti come immigrati illegali originari del vicino Bangladesh voisin. Le autorità birmane ritengono, infatti, che siano arrivati nel paese al momento della colonizzazione britannica alla fine del XIX secolo.
Fu pronunciato per la prima volta da uno studioso scozzese
La parola "Rooinga" fu pronunciata per la prima volta nel 1799 da un geogrado e botanico scozzese, Francis Buchanan-Hamilton, che evocava con questo nome una popolazione che viveva nel nord dell'Arakan, nel sud ovest dell'attuale Birmania, dove ancora oggi vive circa un milione di Rohingya.
In realtà, papa Francesco ha già affermato la sua posizione, utilizzando a diverse riprese il termine "Rohingya": a febbraio, alla fine di un'udienza generale, ha chiesto ai fedeli di pregare "per i nostri fratelli e sorelle Rohingya" che "sono gente buona e pacifica", aveva detto. "Non sono cristiani, ma sono nostri buoni fratelli e sorelle. E da anni soffrono: sono torturati, uccisi, semplicemente per aver onorato e rispettato le loro tradizione e la loro fede musulmana". E ancora: alla fine di agosto, il Pontefice aveva denunciato: "la persecuzione della minoranza dei nostri fratelli Rohingya" e chiesto che "tutti i loro diritti siano rispettati".
Bergoglio ha detto dei Rohingya: .
.. E da anni soffrono: sono torturati, uccisi, semplicemente per aver onorato e rispettato le loro tradizione e la loro fede musulmana"
Cosa vuol dire "onorare e rispettare la tradizione e la fede mussulmana" ?
Vuol dire forse "fare come Maometto e come hanno sempre fatto i suoi seguaci detti maomettani sino ai giorni nostri come i maomettani dell'ISIS?"
Secondo Bergoglio i Rohingya in quanto maomettani hanno diritto di discriminare, perseguitare, uccidere e sterminare i diversamente religiosi e pensanti, e di imporre il loro idolo Allah con il suo Profeta Maometto e la sua parola del Corano all'umanità intera con ogni mezzo tra cui l'orrore e il terrore? Monaci buddisti contro la visita di Papa Francesco in Myanmarmartedì 28 novembre 2017
http://www.secoloditalia.it/2017/11/mon ... m=facebookI monaci buddisti birmani si sono schierati contro la visita di Papa Francesco e il governo di Aung San Suu Kyi per averlo invitato. La Patriotic Myanmar Monks Union (Pmmu) ha rilasciato una dichiarazione nella quale definisce la visita una «oppressione» del Myanmar buddista, in riferimento alle dichiarazioni che il Pontefice aveva fatto in passato a favore dei Rohingya. Più di 620.000 Rohingya sono fuggiti dallo stato birmano di Rakhine nel Bangladesh da agosto, risultato di ciò che è stato descritto dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti come «pulizia etnica». Ma come molti nella Birmania a maggioranza buddista, compreso il governo, il PMMU (movimento razzista dei monaci buddisti che considera nemici islamici e cristiani) definisce i Rohingya “bengalesi illegali”. «Il Papa non dovrebbe usare la parola Rohingya», ha detto alla Dpa un monaco nazionalista di primo piano dello stato di Rakhine, Askhin Kumara, prima del discorso del Pontefice, durante il quale il termine non è stato effettivamente usato, spiegando che «può danneggiare la stabilità del paese, quelli che usano la parola Rohingya interferiscono con gli affari del paese».
Il Papa teme ritorsioni dei buddisti birmani contro i cattolici
Da parte sua il vice direttore di Human Rights Watch Asia, Phil Robertson, ha detto che Bergoglio potrebbe essere stato consigliato dalla Chiesa cattolica a non parlare dei Rohingya per timore di ripercussioni sulla minoranza cattolica della nazione che costituisce solo l’1,6% della popolazione. «È molto imprevedibile, specialmente se il governo e le forze armate chiudono intenzionalmente i loro occhi e lasciano che gruppi estremisti buddisti aggrediscano i cattolici», ha detto alla Dpa.
Alberto Pento Fanno bene a protestare contro Bergoglio il sostenitore dei nazisti maomettani che uccidono i buddisti e i cristiani; questo Papa assurdo che non ha avuto una parola a difesa dei birmani e dei buddisti e nemmeno una di rimprovero e di critica verso i maomettani. Questo Papa è una mostruosità che parteggia per l'idolatria maomettana che non ha rispetto per nessuno, tanto meno per Dio.Guarire le ferite, avere l'odore delle pecoreMimmo Muolo, inviato in Myanmar
mercoledì 29 novembre 2017
Papa Francesco nell'incontro con i vescovi del Myanmar
https://www.avvenire.it/papa/pagine/pap ... ign=bufferGuarigione, accompagnamento e profezia. Tre parole che rappresentano altrettanti impegni per la Chiesa del Myanmar. Francesco le pronuncia nel corso dell'incontro con i 22 vescovi birmani che lo attendono in arcivescovado di ritorno dall'incontro con i vertici dei monaci buddisti e dopo che lungo il tragitto ha fatto tappa alla St. Mary Cathedrale dove domani presiederà la Messa per e con i giovani. A bordo di una golf car il Pontefice saluta la folla all'esterno, si intrattiene con un anziano sacerdote in sedia a rotelle e fa una foto con i bambini del coro. Poi all'interno, dopo il saluto del presidente della Conferenza Episcopale, Felix Lian Khen Thang, vescovo di Kalay, pronunciato il suo discorso con diverse improvvisazioni a braccio: la raccomandazione di "guarire le ferite, di avere l'odore delle pecore e anche di Dio". Fuori programma un black out di pochi secondi che ha spento le luci, prontamente tornate a funzionare.
“Il Vangelo che predichiamo è soprattutto un messaggio di guarigione, riconciliazione e pace – si legge nel testo scritto -. Mediante il sangue di Cristo sulla croce Dio ha riconciliato il mondo a sé, e ci ha inviati ad essere messaggeri di quella grazia risanante. Qui in Myanmar, tale messaggio ha una risonanza particolare, dato che il Paese è impegnato a superare divisioni profondamente radicate e costruire l’unità nazionale. Le vostre greggi portano i segni di questo conflitto e hanno generato valorosi testimoni della fede e delle antiche tradizioni; per voi dunque la predicazione del Vangelo non dev’essere soltanto una fonte di consolazione e di fortezza, ma anche una chiamata a favorire l’unità, la carità e il risanamento nella vita del popolo”.
“La comunità cattolica in Myanmar può essere orgogliosa della sua profetica testimonianza di amore a Dio e al prossimo, che si esprime nell’impegno per i poveri, per coloro che sono privi di diritti e soprattutto, in questi tempi, per i tanti sfollati che, per così dire, giacciono feriti ai bordi della strada”. Nella guarigione, infine, il Papa ha anche ricordato l'importanza di tessere rapporti di amicizia con le altre religioni.
Per quanto riguarda invece l'accompagnamento, il discorso scritto sottolinea che “un buon Pastore è costantemente presente nei riguardi del suo gregge, conducendolo mentre cammina al suo fianco”. “Ricordatevi – aggiunge il Papa a braccio - che per un vescovo il prossimo più prossimo che c'è sono i sacerdoti, i quali in lui devono sempre poter vedere un padre”. Nel discorso scritto inoltre raccomanda “coinvolgimento missionario, soprattutto attraverso visite pastorali regolari alle parrocchie e alle comunità che formano le vostre Chiese locali. È questo un mezzo privilegiato per accompagnare, come padri amorevoli, i vostri sacerdoti nel loro impegno quotidiano a far crescere il gregge in santità, fedeltà e spirito di servizio”. Infine chiede anche accompagnamento dei giovani, dei laici e dei catechisti, definiti “pilastri dell'evangelizzazione in ogni parrocchia”. Comunque “la preghiera è il primo compito del vescovo. E alla sera bisogna chiedersi: quante ore ho pregato oggi?”.
Nel discorso scritto c'è anche una terza parte dedicata alla profezia. “La Chiesa in Myanmar testimonia quotidianamente il Vangelo mediante le sue opere educative e caritative, la sua difesa dei diritti umani, il suo sostegno ai principi democratici – rimarca il Papa -. Possiate mettere la comunità cattolica nelle condizioni di continuare ad avere un ruolo costruttivo nella vita della società, facendo sentire la vostra voce nelle questioni di interesse nazionale, particolarmente insistendo sul rispetto della dignità e dei diritti di tutti, in modo speciale dei più poveri e vulnerabili. Sono fiducioso che la strategia pastorale quinquennale, che la Chiesa ha sviluppato nel più ampio contesto della costruzione dello Stato, porterà frutto abbondante non solo per il futuro delle comunità locali, ma anche dell’intero Paese”. Seguono le esortazioni a “proteggere l’ambiente e assicurare un corretto utilizzo delle ricche risorse naturali del Paese a beneficio delle generazioni future. La custodia del dono divino della creazione – conclude il testo - non può essere separata da una sana ecologia umana e sociale”. Il Papa aggiunge anche la recita finale di un'Ave Maria. “Voi in birmano, io in spagnolo”, dice.
Al termine dell’incontro, dopo la presentazione individuale dei vescovi e la foto di gruppo, Francesco benedice la prima pietra di 16 chiese, del Seminario Maggiore e del la Nunziatura Apostolica. Infine, dopo la foto di gruppo con 300 seminaristi, riceve nella Cappella del piano terra, 30 membri della Compagnia di Gesù, missionari in Myanmar.
Papa Francesco ai buddisti: lavoriamo insieme per la pace
Contro “le ferite dei conflitti, della povertà e dell'oppressione”, cattolici e buddisti devono “camminare insieme” e “lavorare fianco a fianco per il bene di ciascun abitante di questa terra”. Nel secondo impegno pubblico della sua terza giornata in Myanmar Francesco ribadisce al Consiglio supremo “Sangha” dei monaci buddisti l'impegno a dialogare e ad adoperarsi per il bene comune. Riceve in risposta il caloroso benvenuto e la dichiarazione di pace del presidente dei monaci, Bhaddanta Kumarabhivamsa (“è deplorevole vedere terrorismo ed estremismo messi in atto in nome di credi religiosi”) e citando Buddha mostra quanto i suoi insegnamenti siano vicini a quelli di san Francesco d'Assisi.
L'incontro si svolge al complesso del Kaba Aye Center, uno dei templi buddisti più venerati dell’Asia sud-orientale, dove il Pontefice arriva in auto dall'arcivescovado. Francesco viene accolto dal Ministro per gli Affari Religiosi e la Cultura, Thura U Aung Ko. Quindi alle ore 16.15 locali (10.45 ora di Roma), ha luogo l’incontro con il Consiglio Supremo “Sangha” dei Monaci Buddisti.
Entrato nella Sala grande del complesso, papa Francesco si toglie le scarpe (come prescrive la tradizione buddista), ma mantiene i calzini neri. Saluta il Presidente dei monaci, ascolta il suo benvenuto e quindi pronuncia il suo discorso in italiano.
Francesco viene accolto e salutato da Bhaddanta Kumarabhivamsa, presidente del Comitato di Stato Sangha Maha Nayaka (Ansa)
Il Papa cita Buddha e san Francesco
Il nostro incontro, dice, “è un’importante occasione per rinnovare e rafforzare i legami di amicizia e rispetto tra buddisti e cattolici. È anche un’opportunità per affermare il nostro impegno per la pace, il rispetto della dignità umana e la giustizia per ogni uomo e donna. Non solo in Myanmar, ma in tutto il mondo le persone hanno bisogno di questa comune testimonianza da parte dei leader religiosi”.
Allo stesso modo, prosegue il Papa, non bisogna rassegnarsi di fronte ai problemi. “Sulla base delle nostre rispettive tradizioni spirituali, sappiamo infatti che esiste una via per andare avanti, una via che porta alla guarigione, alla mutua comprensione e al rispetto. Una via basata sulla compassione e sull’amore”. Francesco esprime la sua “stima per tutti coloro che in Myanmar vivono secondo le tradizioni religiose del Buddismo”. Valori come pazienza, tolleranza, rispetto della vita e dell'ambiente naturale, propri dei buddisti, “possono rafforzare le nostre comunità e aiutare a portare la luce tanto necessaria all'intera società”.
Per il Papa la grande sfida è “aiutare le persone ad aprirsi al trascendente, a guardarsi dentro in profondità e a conoscere se stesse e le relazioni che le legano a tutti gli altri”. Dunque “dobbiamo superare tutte le forme di incomprensione, di intolleranza, di pregiudizio e di odio”. Qui Francesco cita Buddha e subito dopo il Poverello di Assisi. “Sconfiggi la rabbia con la non-rabbia, sconfiggi il malvagio con la bontà, sconfiggi l’avaro con la generosità, sconfiggi il menzognero con la verità”, afferma il primo. “Signore, fammi strumento della tua pace. Dov’è odio che io porti l’amore, dov’è offesa che io porti il perdono, [...] dove ci sono le tenebre che io porti la luce, dov’è tristezza che io porti la gioia”, sottolinea il secondo.
“Possa questa Sapienza continuare a ispirare ogni sforzo per promuovere la pazienza e la comprensione, e per guarire le ferite dei conflitti che nel corso degli anni hanno diviso genti di diverse culture, etnie e convinzioni religiose”, è l'auspicio del Pontefice. Ma spetta soprattutto ai “leader civili e religiosi assicurare che ogni voce venga ascoltata, cosicché le sfide e i bisogni di questo momento possano essere chiaramente compresi e messi a confronto in uno spirito di imparzialità e di reciproca solidarietà”. Chiaro qui il riferimento al Myanmar mosaico di 135 etnie. Infatti Francesco prosegue: “Mi congratulo per il lavoro che sta svolgendo la Panglong Peace Conference (la conferenza di pace naziona del Mynamar, ndr) e prego affinché coloro che guidano tale sforzo possano continuare a promuovere una più ampia partecipazione da parte di tutti coloro che vivono in Myanmar. Questo sicuramente contribuirà all’impegno per far avanzare la pace, la sicurezza e una prosperità che sia inclusiva di tutti. Certamente, se questi sforzi produrranno frutti duraturi, si richiederà una maggiore cooperazione tra leader religiosi”.
La Chiesa Cattolica, sottolinea il Pontefice “è un partner disponibile. Le occasioni di incontro e di dialogo tra i leader religiosi dimostrano di essere un fattore importante nella promozione della giustizia e della pace in Myanmar”. Anche la Conferenza dei Vescovi Cattolici che ad aprile scorso ha ospitato un incontro di due giornate sulla pace, al quale hanno partecipato i capi delle diverse comunità religiose, va in questo senso. Tali incontri sono indispensabili, se siamo chiamati ad approfondire la nostra reciproca conoscenza e ad affermare le relazioni tra noi e il comune destino. La giustizia autentica e la pace duratura possono essere raggiunte solo quando sono garantite per tutti”.
Le parole del presidente dei monaci buddisti
Anche il presidente dei monaci buddisti si sofferma su concetti di pace. “Noi, leaders di tutte le religioni del mondo, dobbiamo essere risoluti nella costruzione di una armoniosa società umana, seguendo gli insegnamenti delle rispettive religioni , così come essi sono realmente insegnati e coinvolgere noi stessi nel rafforzamento della pace e la sicurezza del mondo”. Dunque “non possiamo accettare che terrorismo ed estremismo possano nascere da una certa fede religiosa”. Essi nascono piuttosto da “cattive interpretazioni degli insegnamenti delle rispettive religioni”. Bisogna “denunciare coloro che danno supporto tali attività”. Invece “bisogna costruire fra noi – conclude il monaco buddista – reciproca comprensione, rispetto e fiducia e gettare ponti per la pace nel mondo”. Un'espressione che sarà piaciuta a papa Francesco.
Nella sala foderata di tappeti le due delegazioni sono una davanti all'altra: i monaci nelle loro vesti arancioni e viola da una parte, il Papa e il seguito dall'altra. Un esponente buddista presenta i monaci a uno a uno, e lo stesso fa un sacerdote cattolico con i membri del seguito.
Al termine, dopo lo scambio dei doni e le foto, il Santo Padre si congeda dal Presidente del “Sangha” e si trasferisce in auto all’Arcivescovado per l’incontro con i Vescovi. Lungo il percorso, prima di arrivare in Arcivescovado, è previsto un giro con la papamobile intorno alla St Mary’s Cathedral, dove domani celebrerà la Santa Messa con i giovani.
La giornata era cominciata con la Messa
Nella prima Messa pubblica celebrata dal Papa in Myanmar, Francesco ha chiesto ai cattolici di non rispondere alla violenza con la rabbia e la vendetta, ma con il perdono e la misericordia. Una sorta di “GPS spirituale – ha detto con una metafora - che ci guida infallibilmente verso la vita intima di Dio e il cuore del nostro prossimo”.
Di buon mattino - le 8.30 ora locale quando in Italia erano le tre - il Pontefice ha incontrato “il piccolo gregge” (così l'ha definito il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon) della Chiesa locale nella spianata del Kyaikkasan Ground, un'area di 60 ettari nel cuore della principale città birmana. Piccolo gregge che poi tanto piccolo non era, dato che alla Messa, secondo le autorità, erano presenti circa 150mila fedeli. Una folla colorata e gioiosa che si è stretta attorno al Papa con grande affetto e raccoglimento.
All'omelia: «La croce sia la nostra bussola»
Francesco, nell'omelia, ha indicato loro “una sicura bussola, il Signore crocifisso”. “Nella croce – ha detto infatti -, noi troviamo la sapienza, che può guidare la nostra vita con la luce che proviene da Dio”. E anche la medicina per curare le ferite. “So che molti in Myanmar portano le ferite della violenza, sia visibili che invisibili – ha proseguito Bergoglio -. La tentazione è di rispondere a queste lesioni con una sapienza mondana. Pensiamo che la cura possa venire dalla rabbia e dalla vendetta”. Ma la via della vendetta non è la via di Gesù, anzi “è radicalmente differente”. “Quando l’odio e il rifiuto lo condussero alla passione e alla morte, Egli rispose con il perdono e la compassione”. I cristiani sono chiamati a fare altrettanto. “Con il dono dello Spirito, Gesù rende capace ciascuno di noi di essere segno della sua sapienza, che trionfa sulla sapienza di questo mondo, e della sua misericordia, che dà sollievo anche alle ferite più dolorose”.
«Il balsamo della misericordia cura le ferite»
Francesco ha perciò augurato alla Chiesa birmana di poter “assaporare il balsamo risanante della misericordia del Padre e trovare la forza di portarlo agli altri, per ungere ogni ferita e ogni memoria dolorosa. In questo modo – ha detto -, sarete fedeli testimoni della riconciliazione e della pace che Dio vuole che regni in ogni cuore umano e in ogni comunità”. Nelle parole del Papa si coglie il riferimento al processo di riconciliazione nazionale in corso, oggetto ieri dei colloqui con la leader Aung San Suu Kyi e nel quale i cattolici possono recitare un ruolo di primo piano, inversamente proporzionale al loro esiguo numero (675mila persone su una popolazione di 51 milioni di abitanti, in gran parte buddisti). “So che la Chiesa in Myanmar sta già facendo molto per portare il balsamo risanante della misericordia di Dio agli altri, specialmente ai più bisognosi”, ha infatti notato Bergoglio.
«Seminate guarigione e riconciliazione»
La fotografia che il Papa ha fatto è dunque quella di una “Chiesa viva”, pur in mezzo alle difficoltà. “Anche con mezzi assai limitati – ha ricordato -, molte comunità proclamano il Vangelo ad altre minoranze tribali, senza mai forzare o costringere, ma sempre invitando e accogliendo. In mezzo a tante povertà e difficoltà, molti di voi offrono concreta assistenza e solidarietà ai poveri e ai sofferenti. Attraverso le cure quotidiane dei suoi vescovi, preti, religiosi e catechisti, e particolarmente attraverso il lodevole lavoro del Catholic Karuna Myanmar e della generosa assistenza fornita dalle Pontificie Opere Missionarie, la Chiesa in questo Paese sta aiutando un gran numero di uomini, donne e bambini, senza distinzioni di religione o di provenienza etnica. Vi incoraggio – ha concluso - a continuare a condividere con gli altri la sapienza inestimabile che avete ricevuto, l’amore di Dio che sgorga dal cuore di Gesù. Gesù vuole donare questa sapienza in abbondanza. Certamente Egli premierà i vostri sforzi di seminare semi di guarigione e riconciliazione nelle vostre famiglie, comunità e nella più vasta società di questa nazione. Il suo messaggio di perdono e misericordia si serve di una logica che non tutti vorranno comprendere, e che incontrerà ostacoli”. Tuttavia “è come un 'GPS spirituale' che ci guida infallibilmente verso la vita intima di Dio e il cuore del nostro prossimo”.
Il grazie del cardinale Bo
Al termine della Messa è giunto il grazie del cardinale Bo. “Questa è un’esperienza del monte Tabor – ha detto con enfasi -. Oggi siamo trasportati su una montagna di beatitudine. La vita non sarà mai più la stessa per i cattolici del Myanmar. Solo un anno fa il pensiero che questo piccolo gregge avrebbe condiviso il Pane con il nostro Santo Padre Francesco sarebbe stato un puro sogno. Noi siamo come Zaccheo. In mezzo alle Nazioni non potevamo vedere il nostro Pastore. Come Zaccheo, siamo stati chiamati: 'Scendi, voglio fermarmi a casa tua'”. Il Papa infatti è “un buon Pastore che va in cerca dei piccoli e di quelli ai margini”. Dunque, ha concluso il porporato, “come i discepoli sul monte Tabor ritorniamo a casa con una straordinaria energia spirituale, orgogliosi di essere cattolici, chiamati a vivere il Vangelo. Questo giorno rimarrà impresso in ogni cuore qui presente. Oggi è avvenuto un miracolo. Tutti noi ritorniamo a casa come miracolati da Dio. Grazie Santo Padre”.
???Fondamentalismo religioso???Papa Francesco in Bangladesh: "Religioni unite contro il fondamentalismo religioso"1 dicembre 2017
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... so/4013174Dal suo viaggio in Bangladesh Papa Francesco lancia il suo appello contro il fondamentalismo religioso. Durante un incontro con i leader islamici, induisti, buddisti, cristiani, Bergoglio ha apprezzato lo “sforzo di leader di diverse religioni di vivere insieme nel rispetto reciproco e nella buona volontà”, ribadendo l’importanza del “diritto alla libertà religiosa“. Un appello che si scaglia contro chi cerca “di fomentare divisione, odio e violenza in nome della religione”. Al termine dell’incontro il pontefice ha incontrato tre famiglie appartenenti al gruppo Rohingya, l’etnia musulmana perseguitata e a cui è negata la cittadinanza.
“Possa il nostro incontro di questo pomeriggio – ha continuato Papa Francesco – Essere un chiaro segno degli sforzi dei leader e dei seguaci delle religioni presenti in questo Paese a vivere insieme nel rispetto reciproco e nella buona volontà“. Parole che ricordano il discorso di pace tenuto davanti al Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Bergoglio, come fatto più volte in passato, ha poi attaccato la corruzione: “Le religioni devono unirsi contro il virus della corruzione politica, delle ideologie religiose distruttive, della tentazione di chiudere gli occhi davanti a rifugiati, poveri, minoranze”.
Papa Francesco si è detto soddisfatto del cambiamento che sta investendo la società: “È un segno particolarmente confortante che credenti e persone di buona volontà si sentano sempre più chiamati a cooperare alla formazione di una cultura dell’incontro, del dialogo e della collaborazione. Ci stimola a tendere la mano all’altro in atteggiamento di reciproca fiducia per costruire un’unità che comprenda la diversità non come minaccia, ma come potenziale fonte di arricchimento e crescita” ha concluso il papa.
https://it.wikipedia.org/wiki/FondamentalismoCon il termine fondamentalismo si intende genericamente qualunque lettura letterale e dogmatica di testi sacri (o loro equivalenti, fuori dell'ambito religioso) che assuma i relativi precetti contenutivisi a fondamenti (tipicamente della religione, ma non solo) rifiutando ogni ideologia o interpretazione anche minimamente in contrasto con essi.
???
«Chiedo perdono ai Rohingya, oggi Dio si chiama anche così»Mimmo Muolo, inviato a Dacca (Bangladesh)
venerdì 1 dicembre 2017
https://www.avvenire.it/papa/pagine/pap ... i-sostengaIl Papa chiede perdono a nome del mondo ai Rohingya per la loro tragedia. «Ogni uomo è stato creato - dice - a immagine e somiglianza di Dio, anche questi nostri fratelli e sorelle». Francesco ha pronunciato un breve discorso a braccio, usando espressamente la parola Rohingya, al termine dell'incontro interreligioso sulla pace al quale era presente un drappello di 16 persone dell'etnia cacciata dal Myanmar. Subito dopo la fine del suo discorso, che trascriviamo integralmente, tra i giornalisti al seguito è scoppiato un piccolo giallo in merito all'uso della parola Rohingya che alcuni dicevano di non avere ascoltato. In realtà il traduttore in inglese del discorso pronunciato in italiano non ha usato la parola Rohingya, ma quando il Papa ha detto «la presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya» ha tradotto «oggi si chiama anche così». Subito dopo è arrivata la conferma ufficiale della Sala Stampa Vaticana: il Papa ha pronunciato la parola Rohingya.
Trascriviamo qui di seguito il discorso integrale pronunciato a braccio da Francesco.
«A nome di tutti quelli che vi hanno perseguitato, chiedo perdono»
«Noi tutti vi siamo vicini. È poco quello che possiamo fare perché la vostra tragedia è molto dura e grande, ma vi diamo spazio nel cuore. A nome di tutti quelli che vi hanno perseguitato, che vi hanno fatto del male, chiedo perdono. Tanti di voi mi avete detto del cuore grande del Bangladesh che vi ha accolto. Mi appello al vostro cuore grande perché sia capace di accordarci il perdono che chiediamo. Nella tradizione giudaico-cristiana Dio ha creato l'uomo a Sua immagine e somiglianza. Tutti noi siamo questa immagine. Anche questi fratelli e sorelle sono l'immagine del Dio vivente. Una tradizione della vostra religione dice che Dio ha preso dell'acqua e vi ha versato del sale, l'anima degli uomini. Noi tutti portiamo il sale di Dio dentro. Anche questi fratelli e sorelle. Facciamo vedere al mondo cosa fa l'egoismo con l'immagine di Dio. Continuiamo a stare vicino a loro perché siano riconosciuti i loro diritti. Non chiudiamo il cuore, non guardiamo da un'altra parte. La presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya. Ognuno ha la sua risposta».
I profughi Rohingya, 12 uomini e 4 donne, incluse due bambine, erano accompagnati da due traduttori della Caritas. Dopo la preghiera del vescovo anglicano, sono saliti sul palco. Il Papa li ha salutati uno per uno, ha ascoltato le loro storie, ha stretto le mani. Si è chinato su un bimbo molto piccolo e lo ha baciato. Due donne erano vestite con un lungo chador che lasciava scoperti solo occhi e bocca.
Le precedenti tappe della giornata
Nel secondo giorno della sua visita apostolica in Bangladesh, papa Francesco stamani (nella notte italiana) ha celebrato la Messa e presieduto al rito di ordinazione di 16 nuovi sacerdoti. Successivamente ha visitato la Cattedrale e invitato gli operatori pastorali che erano presenti a evangelizzare, specificando che questo non significa fare proselitismo. Ha poi incontrato i vescovi in arcivescovado.
Infine ha raggiunto in risciò, il tradizionale taxi a pedali asiatico, il padiglione dell'incontro interreligioso dove era atteso da 5mila persone. Islamici, hindu, buddisti e cattolici oltre a diverse confessioni cristiane. Qui, prima di incontrare i profughi Rohingya, ha pronunciato un discorso sulla necessità che i credenti di tutte le fedi collaborino per portare pace e armonia nel mondo.
Il discorso del Papa: «Il mondo ha bisogno di cooperazione tra i credenti»
«Le parole che abbiamo ascoltato - ha detto Francesco, con riferimento ai discorsi degli altri capi religiosi - ma anche i canti e le danze che hanno animato la nostra assemblea, ci hanno parlato in modo eloquente del desiderio di armonia, fraternità e pace contenuto negli insegnamento delle religioni del mondo. Possa il nostro incontro essere un chiaro segno degli sforzi dei leader e dei seguaci delle religioni presenti in questo Paese a vivere insieme nel rispetto reciproco e nella buona volontà. In Bangladesh, dove il diritto alla libertà religiosa è un principio fondamentale, questo impegno sia un richiamo rispettoso ma fermo a chi cercherà di fomentare divisione, odio e violenza nel nome della religione».
Richiamando quindi a una «apertura del cuore», che è «simile a una scala che raggiunge l'Assoluto», Francesco ha ricordato la necessità di «purificare i nostri cuori, in modo da poter vedere tutte le cose nella loro prospettiva più vera». L'apertura del cuore, ha spiegato, «è anche un cammino che conduce a ricercare la bontà, la giustizia e al solidarietà. Conduce a cercare il bene del nostro prossimo». «Uno spirito di apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti - ha proseguito - non solo contribuisce a una cultura di armonia e di pace; esso ne è il cuore pulsante. Quanto ha bisogno il mondo di questo cuore che batte con forza, per contrastare il virus della corruzione politica, le ideologie religiose distruttive, la tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle necessità dei poveri, dei rifugiati, delle minoranze perseguitate e dei più vulnerabili!».
Il discorso ai vescovi: una voce sola contro la violenza
«Quando i capi religiosi si pronunciano pubblicamente con una sola voce contro la violenza ammantata di religiosità e cercano di sostituire la cultura del conflitto con la cultura dell'incontro, essi attingono alle più profonde radici spirituali delle loro varie tradizioni. Essi provvedono anche un inestimabile servizio per il futuro dei loro Paesi e del nostro mondo insegnando ai giovani la via della giustizia». Lo ha detto papa Francesco ai vescovi del Bangladesh, citando il proprio discorso ai partecipanti alla conferenza di al Azhar al Cairo, dello scorso aprile: «Occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente ricerca del bene».
Con i vescovi incontrati in arcivescovado papa Bergoglio ha apprezzato la consonanza tra il piano pastorale del Paese e la conferenza di Aparecida; ha lodato lo «spirito di collegialità e di mutuo sostegno», ha invitato a curare la formazione dei laici e a dare loro spazio; ha chiesto «uno speciale impegno per la promozione delle donne» e apprezzato l'impegno della Chiesa del Paese nella «crisi dei rifugiati»; ha invitato a curare la formazione dei catechisti e dei sacerdoti.
Il colloquio con la premier, figlia del padre della patria
Subito prima di incontrare i vescovi, papa Francesco, nella nunziatura apostolica, ha incontrato la signora Shekh Hasina, primo ministro e figlia del padre della patria, Mujibur Rahman. La premier ha donato al Papa una barca in argento.
Circa il ruolo della piccola Chiesa del Bangladesh nel Paese, la giornata di oggi registra anche l'osservazione fatta dall'arcivescovo di Dacca e primo cardinale della storia del Bangladesh, Patrick D'Rozario, sul fatto che la messa di questa mattina sia stata celebrata nel luogo dove Mujibur Rahman pronunciò il suo discorso alla nazione il 7 marzo 1971, dichiarando l'indipendenza del Bangladesh dal Pakistan. Con questa messa, ha detto l'arcivescovo, noi cristiani abbiamo contribuito «a rendere questo luogo ancora più significativo e abbiamo simbolizzato, in tal modo, il ruolo speciale della Chiesa in questa nazione».
La Messa con l'ordinazione di 16 nuovi sacerdoti
Questa mattina il Papa ha ordinato a Dacca, per la prima volta in un suo viaggio pastorale, 16 nuovi sacerdoti e ha chiesto al popolo di Dio di sostenere tutti i presbiteri con la preghiera. Alla Messa che ha aperto la seconda giornata della visita in Bangladesh erano presenti, secondo le autorità, 100mila fedeli, in pratica un terzo di tutti i cattolici del Paese, che sono l'0,24 per cento dei 150 milioni di bengalesi.
Francesco, con una significativa aggiunta a braccio all'omelia scritta li ha ringraziati per la loro presenza nel Suharawardy Udyan Park, luogo simbolo del Bangladesh, perché qui il padre della Patria, Sheikh Mujibur Rahman, tenne nel 1971 il discorso dell'indipendenza e sempre qui si arrese l'esercito pakistano alla fine della guerra di indipendenza. “So che tanti di voi – ha detto il Pontefice – sono venuti da lontano in un viaggio di più di due giorni.
Grazie per la vostra generosità. Questo rivela il vostro amore per la Chiesa, il vostro amore per gesù Cristo. Grazie per la vostra fedeltà”. Il Papa li ha poi esortati “ad andare avanti con lo spirito delle Beatitudini. Pregate sempre per i vostri sacerdoti – ha aggiunto – Specialmente per quelli che oggi ricevono l'ordinazione. Il popolo di Dio sostiene i sacerdoti con la preghiera. E' una vostra responsabilità sostenere i sacerdoti. Qualcuno potrebbe chiedermi: 'Padre, come si fa?'. Fidatevi della vostra generosità, il vostro cuore generoso, vi dirà come fare, ma la prima cosa è pregare. Non stancatevi mai di pregare per i sacerdoti”.
La Messa, iniziata alle 10, ora locale, mentre in Italia erano le cinque del mattino, è stata celebrata in latino, inglese e bengali, la lingua locale. L'omelia, come di consueto in questo viaggio è stata tenuta in italiano, con traduzione successiva. Suggestivo lo scenario della folta assemblea, con molti fedeli che sfoggiavano per l'occasione i colorati vestiti tipici.
Nell'omelia scritta il Papa ha ricordato ai sacerdoti novelli i loro doveri. Leggere e meditare assiduamente la Parola di Dio, continuare l'opera santificatrice di Cristo, aggregare con il battesimo nuovi fedeli al popolo di Dio, rimettere i peccati con la confessione, dare sollievo agli infermi, essere voce del popolo di Dio e dell'umanità intera. “Abbiate sempre davanti agli occhi l'esempio del Buon Pastore – ha concluso -, che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare e salvare ciò che era perduto”.
Il grazie dell'arcivescovo di Dacca
Nel suo grazie al Papa, il cardinale Patrick d'Rozario, arcivescovo di Dacca, ha detto: "Santo Padre, lei ama il Bangladesh e ce lo ha dimostrato in vari modi”. Poi ha rimarcato la straordinarietà del luogo in cui si è celebrata l'Eucaristia. È la prima volta, ha fatto notare, e ciò contribuisce “a rendere questo parco ancora più significativo, simbolizzando il ruolo speciale della Chiesa in questa nazione”. Ricordando la precedente visita di Paolo VI nel 1970, che manifestò la sua compassione per la grande alluvione che causò tre milioni di morti, il cardinale ha augurato che la visita “riversi copiose benedizioni sulla Chiesa e sull'intero Paese”.
La diversità tra religioni sia fonte di arricchimento e crescita01/12/2017
http://www.asianews.it/notizie-it/Papa- ... 42478.htmlIl saluto con un gruppo di profughi Rohingya al termine di un incontro interreligioso ed ecumenico per la pace con cinque rappresentanti di comunità religiose. È “confortante” che “i credenti e le persone di buona volontà si sentano sempre più chiamati a cooperare alla formazione di una cultura dell’incontro, del dialogo e della collaborazione al servizio della famiglia umana. Ciò richiede più che una mera tolleranza. Ci stimola a tendere la mano all’altro in atteggiamento di reciproca fiducia e comprensione”.
Dhaka (AsiaNews) – La libertà religiosa, più ancora “uno spirito di apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti”, e l’incontro con un gruppo di 18 Rohingya, appartenenti a tre famiglie di profughi fuggiti dal Myanmar, hanno segnato l’incontro interreligioso ed ecumenico per la pace che ha concluso la lunga giornata del Papa a Dhaka.
Un incontro aperto con inni e danze tradizionali, seguito dall’indirizzo di saluto dell’arcivescovo di Dhaka, card. Patrick D’Rozario, C.S.C., e da quelli di cinque rappresentanti di comunità religiose (musulmana, hindu, buddista e cattolica) e della società civile. E Allamma Majharul Islam, Grand Khatib (grande custode) della Amber Shah Shahi Jami Mosque ha anche consegnato a Francesco una lettera che contiene una fatwa contro l’estremismo firmata da 100mila imam.
“Le parole che abbiamo ascoltato – ha detto il Papa - ma anche i canti e le danze che hanno animato la nostra assemblea, ci hanno parlato in modo eloquente del desiderio di armonia, fraternità e pace contenuto negli insegnamenti delle religioni del mondo. Possa il nostro incontro di questo pomeriggio essere un chiaro segno degli sforzi dei leader e dei seguaci delle religioni presenti in questo Paese a vivere insieme nel rispetto reciproco e nella buona volontà. In Bangladesh, dove il diritto alla libertà religiosa è un principio fondamentale, questo impegno sia un richiamo rispettoso ma fermo a chi cercherà di fomentare divisione, odio e violenza in nome della religione”.
“È un segno particolarmente confortante dei nostri tempi che i credenti e le persone di buona volontà si sentano sempre più chiamati a cooperare alla formazione di una cultura dell’incontro, del dialogo e della collaborazione al servizio della famiglia umana. Ciò richiede più che una mera tolleranza. Ci stimola a tendere la mano all’altro in atteggiamento di reciproca fiducia e comprensione, per costruire un’unità che comprenda la diversità non come minaccia, ma come potenziale fonte di arricchimento e crescita. Ci esorta a coltivare una apertura del cuore, in modo da vedere gli altri come una via, non come un ostacolo”.
“Permettetemi di esplorare brevemente alcune caratteristiche essenziali di questa ‘apertura del cuore’ che è la condizione per una cultura dell’incontro. In primo luogo, essa è una porta. Non è una teoria astratta, ma un’esperienza vissuta. Ci permette di intraprendere un dialogo di vita, non un semplice scambio di idee. Richiede buona volontà e accoglienza, ma non deve essere confusa con l’indifferenza o la reticenza nell’esprimere le nostre convinzioni più profonde. Impegnarsi fruttuosamente con l’altro significa condividere le nostre diverse identità religiose e culturali, ma sempre con umiltà, onestà e rispetto”.
“L’apertura del cuore è anche simile ad una scala che raggiunge l’Assoluto. Ricordando questa dimensione trascendente della nostra attività, ci rendiamo conto della necessità di purificare i nostri cuori, in modo da poter vedere tutte le cose nella loro prospettiva più vera. Ad ogni passo la nostra visuale diventerà più chiara e riceveremo la forza per perseverare nell’impegno di comprendere e valorizzare gli altri e il loro punto di vista. In questo modo, troveremo la saggezza e la forza necessari per tendere a tutti la mano dell’amicizia”.
“L’apertura del cuore è anche un cammino che conduce a ricercare la bontà, la giustizia e la solidarietà. Conduce a cercare il bene del nostro prossimo. Nella sua Lettera ai cristiani di Roma, San Paolo ha così esortato: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (12,21). Questo è un atteggiamento che tutti noi possiamo imitare. La sollecitudine religiosa per il bene del nostro prossimo, che scaturisce da un cuore aperto, scorre come un grande fiume, irrigando le terre aride e deserte dell’odio, della corruzione, della povertà e della violenza che tanto danneggiano la vita umane, dividono le famiglie e sfigurano il dono della creazione”.
“Le diverse comunità religiose del Bangladesh hanno abbracciato questa strada in modo particolare nell’impegno per la cura della terra, nostra casa comune, e nella risposta ai disastri naturali che hanno afflitto la nazione negli ultimi anni. Penso anche alla comune manifestazione di dolore, preghiera e solidarietà che ha accompagnato il tragico crollo del Rana Plaza, che rimane impresso nella mente di tutti. In queste diverse espressioni, vediamo quanto il cammino della bontà conduce alla cooperazione al servizio degli altri. Uno spirito di apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti non solo contribuisce a una cultura di armonia e di pace; esso ne è il cuore pulsante. Quanto ha bisogno il mondo di questo cuore che batte con forza, per contrastare il virus della corruzione politica, le ideologie religiose distruttive, la tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle necessità dei poveri, dei rifugiati, delle minoranze perseguitate e dei più vulnerabili! Quanta apertura è necessaria per accogliere le persone del nostro mondo, specialmente i giovani, che a volte si sentono soli e sconcertati nel ricercare il senso della vita!”.
E’ al termine dell’incontro che il gruppo di Rohingya, accompagnati da due interpreti della Caritas, hanno salutato Francesco. La loro vicenda è stata spesso evocata dal Papa, a partire dall’Angelus del 27 agosto quando parlò i “tristi notizie sulla persecuzione della minoranza religiosa, i nostri fratelli Rohingya. Vorrei esprimere – aggiunse -tutta la mia vicinanza a loro, e tutti noi chiediamo al Signore di salvarli e suscitare uomini e donne di buona volontà in loro aiuto, che diano loro i pieni diritti”.
E durante questo viaggio, anche se le autorità del Myanmar hanno chiesto che non fossero nominati, la loro vicenda è stata evocata a più riprese da Francesco fin dal suo arrivo nella ex-Birmania, quando affermò che il futuro del Paese deve essere “la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità”.
Papa Francesco s'inchina ai Rohingya: "Vi chiedo perdono" Dacca, 1 dicembre 2017
http://www.quotidiano.net/esteri/papa-r ... -1.3573352"Vi chiedo perdono per l'indifferezza del mondo". Squarciano anni di silenzio le parole di Papa Francesco che in Bangladesh ha incontrato una rappresentanza di rifugiati rohingya, minoranza etnica del Myanmar e popolo tra più perseguitati al mondo secondo l'Onu. E' il silenzio della comunità internazionale tutta che a lungo ha ignorato l'odissea di oltre un milione di persone, relegate in ghetti perché islamiche in uno stato buddista, costretti alla fuga e a condizioni di vita estreme in terra bengalese. "Vi sono vicino, la situazione è molto dura", ha detto il Papa parlando a braccio nell'arcivescovado di Dacca e lanciando un appello: "Non giriamoci dall'altra parte".
"La presenza di Dio oggi si dice anche rohingya", ha continuato il pontefice, pronunciando per la prima volta il nome del popolo diventato tabù anche nalla chiesa birmana, che non aveva citato durante la sua visita in Myanmar (anche se il riferimento era chiaro). Francesco ha salutato a uno a uno i 16 profughi appartenenti a tre nuclei familiari provenienti dal Rakhinee accolti nel campo profughi di Cox Bazar: 12 tra uomini e ragazzi, c'erano poi due donne adulte con il velo sul capo, e due bambine. Con l'aiuto degli interpreti, ha ascoltato quello che ognuno aveva da dirgli. Ha accarezzato le bimbe, e a una ha messo le mani sul capo; ha anche stretto le mani che una delle due signore che gli porgeva. Alcuni erano in lacrime.
"Siamo stati tutti creati a immagine di Dio - ha detto il Papa. - A nome di quelli che vi perseguitano e vi hanno fatto male e per l'indifferenza del mondo chiedo perdono, perdono".
RITROVATO PADRE ROSARIO
È stato rintracciato padre Walter William Rosario, il sacerdote cattolico scomparso all'inizio di questa settimana in Bangladesh. Ne dà notizia 'Radio Vaticana' spiegando che "secondo le prime notizie, padre Rosario è stato ritrovato ad una fermata degli autobus a circa 300 chilometri da Bonpara, a nord ovest della capitale Dhaka". Il sacerdote era scomparso da lunedì scorso, alla vigilia dell'arrivo del Papa in Bangladesh. "Al momento- riferisce Radio Vaticana- si stanno verificando le notizie sulle modalità del ritrovamento. Secondo la stampa locale, sarebbe riuscito a fuggire dai rapitori e a mettersi in contatto con la famiglia ed ora sarebbe stato preso in custodia dalla polizia".
Alberto PentoBergoglio, anziché chiedere perdono alle vittime birmane buddiste dei carnefici Rohingya chiede scusa a quest'ultimi. Che orrore, come fanno i cristiani a sopportarlo ancora!L'orrore e il terrore maomettano dei Rohingya, persecutori e non perseguitativiewtopic.php?f=196&t=2452