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Dopo il viaggio in Egitto. Le critiche al Papa tra malafede e misticaMARCO RONCALLI
http://www.lastampa.it/2017/04/30/vatic ... agina.html Il viaggio del Papa in Egitto è stato, da qualsiasi angolo lo si voglia giudicare, un successo. Francesco ha intrapreso il suo viaggio, a tre settimane dalle stragi della Domenica delle Palme, a Tanta, a nord del Cairo, e ad Alessandria. Lo ha fatto perfettamente consapevole dei rischi per la sua incolumità. È stato ripagato da un’accoglienza calorosa, colma di gratitudine da parte dei cristiani copti ortodossi, cattolici, dagli stessi musulmani. L’incontro con il presidente Abdel Fattah al Sisi, il grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyib e il patriarca copto Tawadros, ha costituito un evento storico. Alla Conferenza internazionale sulla pace, promossa dall’Università islamica di Al-Azhar, il Papa ha parlato con forza contro la legittimazione della violenza da parte della religione. «Egli – ha affermato Francesco - è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome. Insieme, da questa terra d’incontro tra Cielo e terra, di alleanze tra le genti e tra i credenti, ripetiamo un “no” forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica».
Collocate in terra d’Egitto queste parole, dette da un Papa che ha sempre distinto tra l’Islam e le sue patologie, sono risuonate come un sostegno a tutti coloro che, nel mondo musulmano, non si riconoscono nella brutalità del terrorismo religioso.
Un sostegno, innanzitutto, al presidente Al Sisi e all’imam Al Tayyib nel loro sforzo di purificare, anche sul terreno dell’educazione, l’Islam dalle sue deviazioni. Appena un mese fa l’Università di Al-Azhar ha pubblicato una Dichiarazione sulla cittadinanza e la coesistenza, un documento di grandissima importanza in cui si dissociano, per la prima volta, i diritti di cittadinanza, eguali per tutti, dall’appartenenza religiosa. Un documento che segue a quello, altrettanto importante, degli ulema del Marocco, sull’apostasia, nel quale viene riconosciuta la libertà di cambiare fede religiosa senza incorrere in pene di carattere civile.
Il mondo islamico, percosso dalla violenza del fondamentalismo islamista, è in movimento. Il viaggio del Papa in Egitto aveva certamente tra i suoi scopi quello di sostenere questo «movimento», di incoraggiarlo al fine di ritrovare il volto del Dio della misericordia, l’unico che consente l’incontro, il dialogo, il rispetto tra tutte le comunità religiose, senza alcun sincretismo. Allo stesso modo il Papa pellegrino ha voluto sostenere la Chiesa copto-ortodossa, vittima degli attacchi e delle persecuzioni. In modo particolare dopo la defenestrazione dei Fratelli musulmani dell’ex presidente Morsi. Il suo sostegno si colloca dentro l’«Ecumenismo del sangue» che, dopo secoli di distanze, viene ora abbattendo i muri di indifferenza che separavano i copti ortodossi dai cattolici. Come ha detto Francesco: «Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno vissuto la fede eroicamente e fino in fondo versando il sangue piuttosto che rinnegare il Signore e cedere alle lusinghe del male o anche solo alla tentazione di rispondere con il male al male. Ben lo testimonia il venerabile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi ci unisce».
Questa comunione spirituale ha ora raggiunto un traguardo di grandissima importanza. Francesco e Tawadros II hanno firmato una dichiarazione congiunta che riconosce un unico battesimo per le due Chiese e sopprime l’usanza, invalsa nella Chiesa copta dei tempi moderni, di ribattezzare coloro che provenivano dal cattolicesimo. La via dell’unione fraterna è così realmente tracciata. In tal modo il viaggio di Francesco ha aperto lo sguardo del mondo su un modello possibile di coesistenza amichevole tra musulmani e cristiani e sulla comunione tra cattolici ed ortodossi. Una sorta di miracolo che ha preso piede in una terra, l’Egitto, che rappresenta da sempre un faro di civiltà per il mondo islamico e un esempio, di fatto, di coesistenza tra musulmani e cristiani.
Di fronte a questo «miracolo» non può non sorprendere la chiusura e l’acrimonia di coloro che dentro la Chiesa, hanno fatto dell’opposizione a questo Papa una professione. Di fronte ad un viaggio, che essi pronosticavano come prova di cedevolezza di Bergoglio all’Islam, delusi dalle attese hanno ripiegato su altri argomenti per poter denigrare quello che, agli occhi di tutti, è apparso come un successo. Nella galleria delle accuse spicca l’uso della frase: «Meglio non essere credenti, piuttosto che cristiani ipocriti», fatta dal Papa nello stadio di fronte ai copti cattolici. Una frase che documenterebbe una banalità anticristiana, un’offesa a coloro che rischiano la vita per il nome i Cristo. I critici impagabili dimenticano qui di ricordarci che il cristiano «ipocrita» non rischierebbe certo la sua vita e che il grido contro i farisei «ipocriti» risuona costantemente nel Vangelo.
I critici impagabili non ricordano che dell’Ecumenismo del sangue, del sacrificio dei martiri cristiani, il Papa ha parlato a lungo di fronte al patriarca Tawadros. C’è poi chi ha rimproverato il Papa per le sue «banalità» sociologiche, per aver affermato che: «Per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono». Anche qui il critico di professione dimentica, o fa finta di dimenticare, una verità ovvia, e cioè che nelle banlieues, nelle situazioni di emarginazione, di ghetto etnico, maturano facilmente odio e risentimento, brodo di coltura di ogni follia, anche di quella religiosa. Tutte queste considerazioni sono, comunque, banali.
Ciò che colpisce nei critici impagabili, dopo un viaggio così rischioso e difficile da parte del Pontefice, è la cura del «dettaglio». Non potendo denigrare il Papa per l’insieme a motivo del successo, non potendolo accusare di «eterodossia», spostano l’attenzione sul «particolare». Dirottano l’attenzione, prelevano una singola frase fuori dal contesto, e presentano Francesco come uno sprovveduto, un pericoloso progressista, un pericolo per la Chiesa. Il Papa ha appena firmato un atto storico di riconciliazione con il patriarca Tawadros e loro presentano Bergoglio come una minaccia. Non una sola parola sul superamento del doppio battesimo, non una parola sull’Ecumenismo del sangue, non una parola sull’abbraccio, senza sincretismi, con l’iman Al Tayyib, non una sul rispetto e l’ammirazione di fronte ad un papa che ha detto apertamente, nella sede della Conferenza internazionale sulla pace: «Io sono cristiano».
Tutto ciò per i critici di professione non significa nulla. Di tutto ciò non bisogna parlare perché rischia di smentire l’immagine che propagandano del Papa. E allora ecco la strategia del «dettaglio»: portare in primo piano un frammento e nascondere l’intero. Questa operazione, senza scomodare Sartre, ha un nome: malafede. Chi opera, sistematicamente, in questo modo, chi non si lascia mai interrogare da ciò che accade realmente, è in malafede. Deve difendere, a priori, un punto di vista che non è in grado di riconoscere quanto lo Spirito opera oggi nella storia. La malafede è il pre-giudizio che blocca ogni ragion critica. La fonte di essa è duplice. Una, di ordine ideologica, è più scontata. Coloro che, sistematicamente, avversano il Papa lo fanno, per lo più, perché si collocano in un ambito politico reattivo che vorrebbe lo scontro aperto con l’Islam e che avversa la questione sociale in tutte le sue manifestazioni. Ogni richiamo a quest’ultima appare come una posizione filo-marxista. La Chiesa lamenta qui l’oblio della dottrina sociale che, dopo l’89, è stata riposta in soffitta.
L’altra fonte della critica sistematica è di ordine mistico. Rappresenta un mistero il fatto che taluni che si professano «cattolici» possano realmente pensare che il Pontefice sia una figura dell’Anticristo. Questa fede, sostenuta dai profeti di sventura, ha, nella sua origine, qualcosa di enigmatico. I professionisti della critica papale non sono solo dei radicalconservatori che vanno contro la tradizione. Sono anche dei mistici, fautori di una mistica negativa suggestionata da profetesse e da lampi su S. Pietro, per i quali le tenebre della notte sono calate sulla Chiesa e l’apocalisse è imminente. Mistici del negativo che non vedono né la grazia che accade, né le vere tragedie che incombono sul nostro tempo. Abituati alla malafede, ad usare il dettaglio per nascondere la verità dell’insieme, i critici sono travolti dal loro stesso metodo. Non hanno più occhi né per la grazia né per il peccato. Vedono il peccato là dove risplende la grazia di una testimonianza che sorprende il mondo e vedono la grazia in una critica negativa che dissolve la credibilità cristiana e la fiducia nella Chiesa. La loro ossessione è gettare fango, ogni giorno, sul successore di Pietro. Una malattia dell’anima, oltre che della mente.
Papa Francesco in Egitto: "Populismi sconcertanti. C'è bisogno di costruttori di pace"di KATIA RICCARDI
http://www.repubblica.it/vaticano/2017/ ... -164101485 IL CAIRO - È arrivato con un messaggio di pace, papa Francesco, al Cairo. Per le strade sfilano furgoni dell'esercito e soldati. Molti hanno il volto coperto e si notano al Cairo sul viale El-Orouba, quello lungo il quale è passata la Fiat tipo di Bergoglio dopo aver lasciato l'aeroporto.
Il dispiegamento di mezzi per il trasporto truppe, tra camionette della polizia e mezzi della "sicurezza centrale", c'è anche sul prolungamento del vialone, la Salah Salem Street, e al ponte del "6 ottobre" sul Nilo spicca un blindato con mitragliatrice pesante. Quasi tutte le vie di accesso al viale El-Orouba sono bloccate. Ma dal finestrino dell'auto Francesco legge anche i cartelli colorati delle persone: "Welcome Pope Francis", "Papa di pace nell'Egitto di pace", e sente la gioia particolare di un milione di lavoratori di Sharm el Sheik in festa.
Il Papa è atterrato puntuale, alle 14. È il secondo Pontefice a visitare l'Egitto, dopo Giovanni Paolo II, che si recò al Cairo e sul Monte Sinai nel 2000. Accolto dal premier egiziano Sherif Ismail, salutato fra gli altri anche dal patriarca della Chiesa cattolica copta, Abramo Isacco Sidrak, da una suora e un bambino, Francesco ha cominciato il suo 18esimo viaggio apostolico Internazionale. Un "protocollo d'accoglienza veloce", perché subito dopo il pontefice si è recato al palazzo presidenziale di Ittihadiya al Cairo, nel quartiere orientale cairota di Heliopolis, atteso dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.
Con occhiali da sole, Sisi ha accolto Francesco sulla porta del bianco palazzo. Al Papa sono stati resi onori militari al suono degli inni vaticano, egiziano e di uno 'patriottico'. Fra i marmi di una sala riccamente decorata, le formalità, lo scambio dei doni, l'incontro privato, dove il Papa potrebbe aver parlato della famiglia Regeni, che ancora chiede verità sulla morte del figlio Giulio. "L'Egitto ha un compito singolare: rafforzare e consolidare anche la pace regionale, pur essendo, sul proprio suolo, ferito da violenze cieche" ha sottolineato nel discorso alle autorità egiziane. Nell'occasione, pur senza nominare Regeni, il Papa ha parlato del dolore "delle famiglie che piangono i loro figli e figlie" e ha rivendicato "un rigoroso rispetto dei diritti umani". "Violenze - ha scandito - che fanno soffrire ingiustamente tante famiglie, alcune delle quali sono qui presenti".
Papa Francesco potrebbe aver sollevato il caso dell'omicidio del ricercatore Giulio Regeni con il presidente Al Sisi nel loro incontro privato. Lo ha riferito una fonte diplomatica europea al quotidiano egiziano Al-Ahram. La famiglia Regeni, aveva fatto apertamente richiesta al Pontefice di parlare del figlio Giulio
Dopo la visita al presidente Francesco ha abbracciato per la seconda volta il Grande Imam di Al-Azhar, il più prestigioso ateneo dell'Islam sunnita, Ahmed Al Tayyib. Un lungo abbraccio dopo l'incontro al Vaticano lo scorso anno. È la prima volta che un Papa visita questa istituzione. Il discorso di Francesco alla conferenza internazionale di Pace promossa da Al Tayyib, di fronte al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, è stato deciso, forte. E l'ha cominciato in arabo: "As-salamu 'alaykum". Che la pace sia con voi.
Quella che chiede e per la quale prega, è una pace indiscutibile, pulita, chiara: "Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall'altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità: nessun incitamento violento garantirà la pace, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza".
"Vi ringrazio, o Papa, per le vostre giuste dichiarazioni che non qualificano l'islam come terrorismo", ha detto Al-Tayyib parlando di "vostra visita storica" che avviene "durante una catastrofe umana estremamente triste".
La soluzione per la pace descritta da Francesco "per prevenire i conflitti ed edificare la pace" è "adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza. Ancora più alla radice, è necessario arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra se ne possono prevenire le cause reali". Un impegno "urgente e gravoso" cui "sono tenuti i responsabili delle nazioni, delle istituzioni e dell'informazione".
Come impegno finale della giornata il Papa ha incontrato anche il patriarca dei copti, papa Tawadros II. "Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi è stato crudelmente versato" ha detto rivolgendosi al "Carissimo Fratello" Francesco ricordando le vittime egiziane dell'Isis, sottolinenando che il loro sacrificio unisce le chiese cristiane attraverso "l'ecumenismo del sangue".
"Come unica è la Gerusalemme celeste, unico - ha affermato - è il nostro martirologio, e le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente ci unisce". "Rinforzati dalla vostra testimonianza, adoperiamoci - ha chiesto - per opporci alla violenza predicando e seminando il bene, facendo crescere la concordia e mantenendo l'unità, pregando perché tanti sacrifici aprano la via a un avvenire di comunione piena tra noi e di pace per tutti". "La meravigliosa storia di santità di questa terra non è particolare solo per il sacrificio dei martiri", ha esortato Bergoglio che al tema dell'ecumenismo del sangue ha dedicato gran parte del suo intervento di oggi pomeriggio al Patriarcato copto.
L’Imam del Cairo e la sua fatwa contro gli ebrei e IsraeleNiram Ferretti
30 aprile 2017
http://www.progettodreyfus.com/limam-de ... ei-israeleBisogna riconoscere a Ahmad al-Tayyib, il Grande Imam dell’Università di al Azhar del Cairo, una notevole perseveranza. In tutti questi anni non ha mai rinunciato ad un’occasione per attaccare Israele e, meno frequentemente davanti a interlocutori occidentali, a sottolineare la “perfidia” degli ebrei. La minore frequenza è semplicemente dovuta a un fatto tattico. Al di fuori del mondo arabo e musulmano, dichiarare che i peggiori nemici dei musulmani sono gli ebrei non gli assicurerebbe la stessa popolarità che gli arride quando, al posto di quest’ultimi colloca i sionisti. Allora, gli applausi in Occidente arrivano.
Ahmad al-Tayyib è il successore di Muhammad Sayyid Tantawi, autore di un testo di settecento pagine dedicato agli ebrei nel Corano e nella tradizione islamica, in cui vengono sottolineate le specifiche caratteristiche “degenerate” del popolo ebraico, anche se, con lodevoli eccezioni, “Non tutti gli ebrei sono uguali. Quelli buoni diventano musulmani (Corano, 3:113) mentre quelli cattivi no”.
Ahmad al-Tayyib non ha volute essere da meno del suo illustre predecessore. In una intervista del 25 ottobre 2013 al canale televisivo principale della televisione egiziana, offri l’esegesi del versetto 5:82 del Corano il quale comincia in questo modo, “Scoprirai che i più veementi nella loro ostilità contro i credenti sono gli Ebrei e gli idolatri”.
“Questa è una prospettiva storica che non è mutata fino ai giorni nostri”, disse al-Tayyib “Guardate come soffriamo oggi a causa del sionismo e dell’ebraismo globali…Fin dall’inizio dell’Islam, 1400 anni fa, abbiamo sofferto a causa dell’interferenza ebraica e poi sionista negli affari musulmani. Questo è causa di molta afflizione per i musulmani. Il Corano lo ha detto e la storia lo ha dimostrato“.
Il giudeo-sionismo mondiale nemico giurato dei musulmani propugnato dall’imam del Cairo non è altro che la riproposizione del complotto demo-pluto-giudaico-massonico di conio nazifascista ereditato direttamente dai Protocolli dei Savi di Sion. Al-Tayyib si è limitato a versare il vino relativamente nuovo dei paradigmi complottisti novecenteschi antisemiti occidentali dentro l’otre vecchio dell’antisemitismo teologico islamico, tradizione che lo precede, naturalmente, e di cui egli non è altro che una autorevole staffetta.
In una altra intervista, sempre sullo stesso canale egiziano, l’8 settembre 2014, spiegò agli ascoltatori che:
“Tutti i principali gruppi terroristici sono i nuovi prodotti dell’imperialismo al servizio del sionismo globale nella sua nuova versione, il cui obbiettivo è quello di distruggere il Medioriente”.
Rincarò la dose in un’altra occasione riproponendo uno degli evergreen antisionisti musulmani creato ad hoc negli anni ’30 da Amin al Husseini, il presunto tentativo ebraico di impadronirsi della moschea di Al Aqsa:
“Per costruire l’Egitto dobbiamo essere uniti. La politica è insufficiente. Allah è la base di tutto. La moschea di al-Aqsa è attualmente sotto attacco a causa di una offensiva da parte degli ebrei…Non permetteremo ai sionisti di giudaizzare al-Quds (Gerusalemme)”
Non c’è dunque da meravigliarsi se, ricevendo papa Francesco, nella sua prima visita in Egitto, il Grande Imam abbia utilizzato il discorso di saluto nei confronti del pontefice per sottolineare in chiave palesemente antiisraeliana che:
“Gli insegnamenti di Mosè sono stati interpretati male per occupare territori provocando milioni [sic] di vittime, il popolo palestinese, che ha diritti giusti.”
Infatti, come meravigliarsi delle parole di questo uomo “illuminato” e aperto al dialogo, così come viene propagandato in Occidente, tanto che nel 2015, la presidente (a) della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, lo aveva invitato a Montecitorio per tenere una lezione sulle virtù pacifiche dell’Islam? Lo stesso che ha giustificato gli attentati suicidi palestinesi con queste parole, “I paesi, governanti e sovrani islamici devono sostenere questi attacchi di martirio”?
L’incontro a Montecitorio non ci fu, ma in compenso ci fu quello ben più importante in Vaticano nel maggio del 2016, dove l’attuale papa lo accolse per cercare di ricucire allo strappo creatosi nel 2006 tra il Vaticano e l’imamato sunnita egiziano a causa delle polemiche furibonde seguite alla Lectio di Ratisbona di Benedetto XVI.
Di nuovo il papa ha avuto modo di rivederlo al Cairo e di ascoltarlo mentre deliziava la platea con i suoi attacchi nei confronti di Israele.
I comunistiDal Cairo Francesco lancia una proposta di pace per il Medio OrienteFrancesco Peloso
http://www.internazionale.it/opinione/f ... cairo-pacePrendendo la decisione di andare in Egitto contro ogni prudenza o convenienza, Jorge Mario Bergoglio ha scelto di dirigersi direttamente nell’occhio del ciclone; non ha infatti avuto importanza che la meta fosse considerata ad alto rischio, che poche settimane fa due attentati abbiano colpito le chiese e le comunità cristiane copte facendo strage, che insomma il paese si trovi, e non da oggi, nel mirino del terrorismo.
L’Egitto è, per molti versi, il paese simbolo della crisi di cui è preda il Medio Oriente da diversi anni e dunque è anche il posto nel quale, specularmente, va cercata la soluzione, o almeno una possibile via d’uscita, dal caos contemporaneo. Il papa dunque non ha compiuto una visita formale o prevedibile, i suoi viaggi del resto si muovono spesso in un orizzonte che contiene già una parte del messaggio: Lesbo, Lampedusa, Ciudad Juárez, Cuba, la Repubblica Centrafricana, Scampìa, per dirne alcune.
Negli ultimi anni l’Egitto è stato scosso prima dalla rivoluzione di piazza Tahrir e la caduta del rais Hosni Mubarak, poi dalla vittoria elettorale dei Fratelli musulmani, quindi dalla crisi del loro governo e dalla nuova rivolta, appoggiata da apparati dello stato, che ha rovesciato Mohamed Morsi per far salire al potere un altro militare divenuto presidente: Abdel Fattah al Sisi, ennesima incarnazione di un regime autoritario ammantato di laicità e sostenuto dalla necessità di combattere l’estremismo fondamentalista. I giovani che reclamavano diritti civili e giustizia sono stati battuti da conservatorismi e militari, così, nel frattempo, le carceri si sono riempite di oppositori e la storia di Giulio Regeni racconta della brutalità efferata e disumana di cui sono capaci le polizie dei regimi mediorientali.
L’Egitto ha bisogno di essere trattato da nazione con un ruolo chiave in Medio Oriente e non solo come baluardo repressivo per conto terzi
È all’interno di questo inestricabile grumo di problemi che si è andato a infilare Francesco, cercando di tendere la mano a un paese che non ha bisogno di lezioni ma di essere trattato da partner, da interlocutore, da nazione in grado di giocare un ruolo chiave nel Medio Oriente e non solo come baluardo repressivo per conto terzi. Sfida difficile? Più che difficile ardua, forse impossibile. Eppure è su questo piano che va letta la visita del papa, è in questo complesso scenario che è avvenuto l’incontro fra il grande imam di Al Azhar, Ahmed al Tayeb e il vescovo di Roma. Lo sforzo comune è quello di disarmare le religioni: l’identitarismo crociato in occidente, la guerra santa come risposta all’eterna crisi araba dall’altra.
Ma Francesco, intervenendo ad Al Azhar, importante centro di studi dell’islam sunnita, ha fatto un passo in più. Populismi ed estremismo fondamentalista, i fautori di una religione al servizio della guerra di religione, sono stati messi insieme, in una stessa categoria, quella degli oppositori della civiltà dell’incontro e del dialogo. In tal senso il papa ha voluto compiere un’operazione precisa, vale a dire collocare in un unico campo i nemici della pace, ovunque si trovino, senza gerarchie o “mali minori” di sorta. C’è anche dell’altro, però. Bergoglio ha criticato con precisione la religione che usa la violenza e quella, attenzione, che si fa usare dal potere, che si lega ai governi, agli stati, alla politica, alle fazioni; non solo in versione estremista dunque, ma in una lettura che tocca da vicino anche i cosiddetti poteri laici del Medio Oriente.
Francesco ha illustrato in tal senso “il perdurare di un pericoloso paradosso, per cui da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società; dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa e quella politica. Esiste il rischio che la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano”. Un messaggio esplicito che non sarà certo sfuggito alle autorità religiose e politiche egiziane come di altri paesi della regione.
Un leader politico
E se indubbiamente il discorso tenuto di fronte ai leader religiosi musulmani e non solo convenuti ad al Azhar è stato quello in cui Francesco si è espresso con più libertà di pensiero toccando molti dei temi a lui più cari, quando ha incontrato successivamente le autorità politiche e civili dell’Egitto, ha dato prova di saper agire da leader politico a tutto tondo. Nelle sue parole era infatti possibile leggere il tentativo di restituire al paese crocevia di tutte le crisi e di tutti i negoziati del Medio Oriente degli ultimi decenni, un ruolo di attore principale, affinché, di fatto, non fosse più solamente famigerato per le sue prigioni, ma tornasse al centro della scena mediorientale.
Una scelta discutibile quanto si vuole, ma di certo di alto profilo politico cui dovrebbero guardare con grande attenzione le famose cancellerie occidentali per uscire dal guscio claustrofobico delle loro crisi interne. D’altro canto Francesco non ha criticato il regime di Al Sisi (né avrebbe avuto alcun senso farlo in una visita così delicata dal punto di vista diplomatico e di tale respiro interreligioso), ma ha pronunciato parole chiare sull’uguaglianza tra tutti i cittadini, sulla pace, la libertà di cui ognuno deve godere, sul rispetto dei diritti inalienabili delle persone, che è più di quanto molti leader politici europei siano riusciti a produrre (tra l’altro Francesco ha affermato: “La pace è dono di Dio ma è anche lavoro dell’uomo. È un bene da costruire e da proteggere, nel rispetto del principio che afferma la forza della legge e non la legge della forza”). L’Egitto di Francesco è un alleato possibile perché nell’inclusione e nel partenariato fra pari c’è la possibilità di un’evoluzione; viceversa se il Cairo resta solo la sentinella feroce contro le cellule jihadiste, tutto è concesso al potere di turno.
Francesco ha parlato anche di diritti umani, assegnando una funzione pubblica ai leader religiosi in nome della civiltà dell’incontro
Interessante, in tal senso, anche il passaggio del discorso pronunciato ad Al Azhar di fronte ai capi religiosi, relativo al rapporto tra violenza e uso distorto della fede, nel quale il papa ha detto tra l’altro: “Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica. La fede che non nasce da un cuore sincero e da un amore autentico verso Dio misericordioso è una forma di adesione convenzionale o sociale che non libera l’uomo ma lo schiaccia. Diciamo insieme: più si cresce nella fede in Dio più si cresce nell’amore al prossimo”.
Un discorso che certamente riguarda l’estremismo fondamentalista ma che assegna più in generale un ruolo ben preciso alla leadership religiosa, quello di non chiudersi in un integralismo assolutizzante e di rifiutare in ogni caso la violenza, in tutte le sue forme. Di nuovo sembra che le parole del papa si allarghino a diverse realtà del Medio Oriente e alle sue innumerevoli vittime. Per questo ad Al Azhar Francesco ha parlato anche di diritti umani, assegnando ancora una funzione pubblica ai leader religiosi in nome della civiltà dell’incontro. Non a caso su questa stessa strada si sta muovendo il grande imam al Tayeb promuovendo il principio di cittadinanza – ovvero i diritti civili – nel mondo islamico, facendo emergere, finalmente, sia pure un pezzo per volta, uno schieramento musulmano non solo moderato, come si dice, ma riformatore.
Infine Francesco ha abbracciato i fratelli cristiani e papa Tawadros II, i copti vittime del terrore; ma in generale Bergoglio ha voluto mettere in luce che le comunità cristiane non sono minoranze sottomesse o tollerate in Egitto, ma componenti essenziali, vitali e storiche della cultura della storia e del presente del paese, un pezzo vivo di quel poliedro sociale, politico e religioso di cui è portatore l’Egitto e che spesso viene rimosso nell’informazione-lampo su stragi e conflitti di cui ci nutriamo fin troppo facilmente.