Papa: "Santo Stefano era un martire. Come gli immigrati di oggi"Eugenio Palazzini -
26 dicembre 2019
Ilaria Paoletti
https://www.ilprimatonazionale.it/crona ... 2VyVn6VY3sIl Papa non si riposa nemmeno il giorno di Santo Stefano; e ci mancherebbe, è il Pontefice. Quindi lui ne approfitta, con un rituale ormai consolidato, per fare propaganda immigrazionista.
La festa di Santo Stefano
“La festa del protomartire Stefano ci chiama a ricordare tutti i martiri di ieri e di oggi, e ce ne sono tanti, a sentirci in comunione con loro, e a chiedere a loro la grazia di vivere e morire con il nome di Gesù nel cuore e sulle labbra” ha detto il Papa durante l’Angelus in piazza San Pietro.
La figura del martire
Il Papa parla dunque della figura di Santo Stefano: “Nel clima gioioso del Natale, questa memoria del primo cristiano ucciso per la fede potrebbe apparire fuori luogo. Nel martirio di Stefano, infatti, la violenza è sconfitta dall’amore, la morte dalla vita: egli, nell’ora della testimonianza suprema, contempla i cieli aperti e dona ai persecutori il suo perdono”. “Stefano era diacono, uno dei primi sette diaconi della Chiesa. Egli ci insegna ad annunciare Cristo attraverso gesti di fraternità e di carità evangelica. La sua testimonianza, culminata nel martirio, è fonte di ispirazione per il rinnovamento delle nostre comunità cristiane. Esse sono chiamate a diventare sempre più missionarie, tutte protese all’evangelizzazione, decise a raggiungere gli uomini e le donne nelle periferie esistenziali e geografiche, dove più c’è sete di speranza e di salvezza”.
“Periferie geografiche e esistenziali”
L’invocazione ad evangelizzare i fedeli delle “periferie geografiche ed esistenziali” non deve stupire. Ricordiamo le dichiarazioni del Papa nel corso dell’incontro con i profughi accolti dalla Comunità di Sant’Egidio: “E’ l’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre. È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione. È l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare”. E’ in questo contesto che il Papa mostrò a tutti un giubbotto salvagente di un immigrato morto: “Un’altra morte causata dall’ingiustizia”. Persino Carlo d’Inghilterra nel suo discorso alla nazione ha ricordato i cristiani perseguitati. Non era per il Papa un paragone più semplice da fare con Santo Stefano?
Vuole accogliere gli africani con i soldi degli italiani. Vittorio Feltri mai così duro contro Papa Francesco31 Dicembre 2019
Vittorio Feltri
https://www.worldnotix.net/2019/12/31/40462/Massì, apriamo questi benedetti o maledetti porti, obbediamo agli ordini pii del papa e dei progressisti favorevoli all’accoglienza. Forza, amici africani, venite in Italia e che sia finita questa storia salviniana dei respingimenti degli stranieri. Tutti dentro, belli e brutti. Così tra poco ospiteremo cinque o sei milioni di forestieri.
Ospitare è un verbo impegnativo. Infatti non riusciremo a trovare un alloggio alla massa di immigrati che invaderanno la penisola, e allora per generosità cattolica e piddina sbatteremo i nuovi venuti per strada, dove dovranno arrangiarsi, dormire nelle aiuole, nei locali delle stazioni ferroviarie, pisciare sui tronchi degli alberi o sui marciapiedi.
Dove mangeranno e che cosa? Non importa, questi sono dettagli. Si nutriranno di foglie, di rifiuti pescati nelle pattumiere o nelle discariche. I più fortunati saranno reclutati dagli schiavisti e costretti a raccogliere pomodori a due euro l’ ora, chissenefrega. L’ importante è non rifiutare l’ ingresso nei nostri territori ad alcuno, viva i neri che sono risorse per la nazione che non fa più figli e ha bisogno di gente che arrivi qui a grattarsi la pancia oppure a servire nelle case dei signori in cambio di una paga misera.
È questo che vogliamo?
Apriamo i porti e anche le porte del Vaticano che invece restano chiuse al punto che per accedere al regno di Bergoglio bisogna farsi raccomandare dal vescovo o almeno dal parroco, altrimenti non ci puoi mettere piede. Ovvio. Chi predica bene di norma razzola male. Avanzate povericristi del mondo, occupate le periferie, i quartieri popolari, ma state lontani dalle canoniche e dalla Santa Sede, dai palazzi dei ricchi i cui inquilini sono buoni e tuttavia non vogliono rotture di coglioni intorno alle loro lussuose dimore. Gli extracomunitari siano i benvenuti purché stiano alla larga dalle residenze degli abbienti che hanno appunto tutto tranne che la pazienza.
Caro Papa, trasforma la tua bella Cappella Sistina in un dormitorio di senegalesi, dopo di che avrai il diritto di farci la morale. Sempre che ci spieghi cosa accadrà fra cinque anni, quando gli immigrati saranno più numerosi di noialtri.
Continueremo a tenere aperti i porti o porteremo via te? Facile dire “correte qui, cari neri”, poi però bisogna mantenerli. Coi soldi degli italiani? Ma andate in mona, e che Dio ci ascolti così almeno avrete altro cui pensare.
Papa: migranti vittime di chi respinge 19 dicembre 2020
http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... bSPfobK0HQ "Siamo di fronte ad un'altra morte causata dall'ingiustizia. Già, perché è l'ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre. È l'ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione. È l'ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare". Con queste parole papa Francesco ha esposto un salvagente di un migrante morto nel Mediterraneo a luglio durante un incontro con i rifugiati arrivati da Lesbo nelle scorse settimane. "Non è bloccando le loro navi che si risolve il problema - ha sottolineato -. Bisogna impegnarsi seriamente a svuotare i campi di detenzione in Libia, valutando e attuando tutte le soluzioni possibili - ha aggiunto -. Bisogna denunciare e perseguire i trafficanti che sfruttano e maltrattano i migranti, senza timore di rivelare connivenze e complicità con le istituzioni".
In Italia ci sono molti italiani poveri, non serve la ricchezza per stare bene.
Se noi accogliamo i migranti ogni italiano povero sarà ricco nello sprito.
Papa: "Chi non accoglie non è cristiano e non entrerà nel regno dei cieli"2016/06/18
http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/ ... 3YAgP.html"Chi non accoglie non è cristiano e non sarà accolto nel regno dei cieli". Papa Francesco, nella sua visita a Villa Nazareth nella capitale, è tornato sul tema dell'accoglienza. "Stiamo vivendo in una civiltà di porte chiuse e di cuori chiusi. Ci difendiamo l'uno dall'altro. C'è una paura ad accogliere e non parlo solo di migranti - che è un problema politico mondiale - ma anche di accoglienza quotidiana. Mi fa male - dice Francesco - quando vedo le chiese a porte chiuse. Ci saranno alcuni motivi giustificabili, ma una chiesa a porte chiuse significa che quella comunità cristiana ha il cuore chiuso".
"Se non accogliamo non siamo cristiani e non saremo accolti nel regno dei cieli: è così", sottolinea il Pontefice invitando alla responsabilità sociale ed ecclesiale. È necessario, avverte il Papa, "insegnare e fare capire che questa è la porta della strada cristiana. L'accoglienza fa fruttificare i talenti. C'è la grande accoglienza di chi viene da terre lontane e la piccola accoglienza di chi torna dal lavoro e dopo una giornata di lavoro ascolta i figli. L'accoglienza è una bella croce perchè ci fa ricordare l'accoglienza che il buon Dio ha avuto ogni volta che noi andiamo da lui per consigliarci e chiedere perdono".
Papa Francesco denuncia l'"immoralità" del mondo economico: "Il mondo economico, oggi come è sistemato nel mondo, è immorale. Ci sono eccezioni, c'è gente buona. C'è gente e istituzioni che lavorano contro questo, ma abbiamo capovolto i valori". Nel suo intervento, una nuova denuncia ai trafficanti di armi: "la guerra è l'affare che in questo momento che rende più soldi. Anche per fare arrivare gli aiuti umanitari in paesi di guerriglia è una difficoltà: tante volte la Croce Rossa non è riuscita, ma le armi arrivano sempre, non c'è dogana che le fermi perchè è l'affare che rende di più".
Il Papa tuona contro le "grandi ingiustizie" e dice "dobbiamo parlare chiaro: questo è peccato mortale. Mi indigna e mi fa male quando - ed è una cosa di attualità - vengono a battezzare un bambino e ti portano uno dicendo 'Lei non è sposato in chiesa quindi non può fare il padrino'. E poi ti portano un altro che è un trafficante di bambini e uno sfruttatore, e ti senti dire 'Ah no, lui è un buon cattolico: abbiamo capovolto i valori".
Papa Francesco: "Occuparsi dei poveri non è comunismo, è Vangelo"Orlando Sacchelli - Dom, 11/01/2015
https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 81747.htmlBergoglio: "Il Nuovo Testamento non condanna i rischi ma l'idolatria della ricchezza". Poi critica duramente la cultura dello scarto, con cui crescono disparità e povertà
Più di una volta Papa Francesco è stato attaccato perché considerato troppo "comunista". Lui lo sa bene, perché segue i giornali italiani (e non solo).
A questa accusa risponde oggi con un'intervista, pubblicata da La Stampa, contenuta nel libro "Questa economia uccide", scritto dai vaticanisti Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi. Veniamo subito al succo del discorso: l’attenzione e l’amore per i poveri "è nel Vangelo e nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla". In altre parole il Santo padre dice questo: occuparsi dei poveri non è comunismo, è Vangelo. Il pontefice prosegue nella sua analisi sottolineando che "oggi i mercati contano più delle persone, è un’economia malata. Dire questo non vuol dire essere comunisti".
Bergoglio si sofferma dunque sull'economia, chiarendo bene alcuni concetti relativi ai rapporti tra la Chiesa e il capitalismo, e non solo. "Innanzitutto - spiega il Papa- è bene ricordare che c’è bisogno di etica nell’economia, e c’ è bisogno di etica anche nella politica. Più volte vari capi di Stato e leader politici che ho potuto incontrare dopo la mia elezione a vescovo di Roma mi hanno parlato di questo. Hanno detto: voi leader religiosi dovete aiutarci, darci delle indicazioni etiche. Sì, il pastore può fare i suoi richiami, ma sono convinto che ci sia bisogno, come ricordava Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate, di uomini e donne con le braccia alzate verso Dio per pregarlo, consapevoli che l’amore e la condivisione da cui deriva l’ autentico sviluppo, non sono un prodotto delle nostre mani, ma un dono da chiedere".
"E al tempo stesso -rimarca il Pontefice- sono convinto che ci sia bisogno che questi uomini e queste donne si impegnino, ad ogni livello, nella società, nella politica, nelle istituzioni e nell’ economia, mettendo al centro il bene comune. Non possiamo più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le nostre società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi. I mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’ autonomia assoluta. Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo. Servono programmi, meccanismi e processi orientati a una migliore distribuzione delle risorse, alla creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso".
"Prima che arrivasse Francesco d’Assisi c’erano i pauperisti -ricorda Papa Francesco - nel Medio Evo ci sono state molte correnti pauperistiche. Il pauperismo è una caricatura del Vangelo e della stessa povertà. Invece san Francesco ci ha aiutato a scoprire il legame profondo tra la povertà e il cammino evangelico. Gesù afferma che non si possono servire due padroni, Dio e la ricchezza. È pauperismo? Gesù ci dice qual è il protocollo sulla base del quale noi saremo giudicati, è quello che leggiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: ho avuto fame, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero malato, ero nudo e mi avete aiutato, vestito, visitato, vi siete presi cura di me. Ogni volta che facciamo questo a un nostro fratello, lo facciamo a Gesù. Avere cura del nostro prossimo: di chi è povero, di chi soffre nel corpo nello spirito, di chi è nel bisogno. Questa è la pietra di paragone. È pauperismo? No, è Vangelo".
III Giornata Mondiale dei Poveri, 2019: La speranza dei poveri non sarà mai delusahttp://www.vatican.va/content/francesco ... -2019.html MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
III GIORNATA MONDIALE DEI POVERI
Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
17 novembre 2019
La speranza dei poveri non sarà mai delusa
1. «La speranza dei poveri non sarà mai delusa» (Sal 9,19). Le parole del Salmo manifestano una incredibile attualità. Esprimono una verità profonda che la fede riesce a imprimere soprattutto nel cuore dei più poveri: restituire la speranza perduta dinanzi alle ingiustizie, sofferenze e precarietà della vita.
Il Salmista descrive la condizione del povero e l’arroganza di chi lo opprime (cfr 10, 1-10). Invoca il giudizio di Dio perché sia restituita giustizia e superata l’iniquità (cfr 10, 14-15). Sembra che nelle sue parole ritorni la domanda che si rincorre nel corso dei secoli fino ai nostri giorni: come può Dio tollerare questa disparità? Come può permettere che il povero venga umiliato, senza intervenire in suo aiuto? Perché consente che chi opprime abbia vita felice mentre il suo comportamento andrebbe condannato proprio dinanzi alla sofferenza del povero?
Nel momento della composizione di questo Salmo si era in presenza di un grande sviluppo economico che, come spesso accade, giunse anche a produrre forti squilibri sociali. La sperequazione generò un numeroso gruppo di indigenti, la cui condizione appariva ancor più drammatica se confrontata con la ricchezza raggiunta da pochi privilegiati. L’autore sacro, osservando questa situazione, dipinge un quadro tanto realistico quanto veritiero.
Era il tempo in cui gente arrogante e senza alcun senso di Dio dava la caccia ai poveri per impossessarsi perfino del poco che avevano e ridurli in schiavitù. Non è molto diverso oggi. La crisi economica non ha impedito a numerosi gruppi di persone un arricchimento che spesso appare tanto più anomalo quanto più nelle strade delle nostre città tocchiamo con mano l’ingente numero di poveri a cui manca il necessario e che a volte sono vessati e sfruttati. Tornano alla mente le parole dell’Apocalisse: «Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo» (Ap 3,17). Passano i secoli ma la condizione di ricchi e poveri permane immutata, come se l’esperienza della storia non insegnasse nulla. Le parole del Salmo, dunque, non riguardano il passato, ma il nostro presente posto dinanzi al giudizio di Dio.
2. Anche oggi dobbiamo elencare molte forme di nuove schiavitù a cui sono sottoposti milioni di uomini, donne, giovani e bambini.
Incontriamo ogni giorno famiglie costrette a lasciare la loro terra per cercare forme di sussistenza altrove; orfani che hanno perso i genitori o che sono stati violentemente separati da loro per un brutale sfruttamento; giovani alla ricerca di una realizzazione professionale ai quali viene impedito l’accesso al lavoro per politiche economiche miopi; vittime di tante forme di violenza, dalla prostituzione alla droga, e umiliate nel loro intimo. Come dimenticare, inoltre, i milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l’uguaglianza? E tante persone senzatetto ed emarginate che si aggirano per le strade delle nostre città?
Quante volte vediamo i poveri nelle discariche a raccogliere il frutto dello scarto e del superfluo, per trovare qualcosa di cui nutrirsi o vestirsi! Diventati loro stessi parte di una discarica umana sono trattati da rifiuti, senza che alcun senso di colpa investa quanti sono complici di questo scandalo. Giudicati spesso parassiti della società, ai poveri non si perdona neppure la loro povertà. Il giudizio è sempre all’erta. Non possono permettersi di essere timidi o scoraggiati, sono percepiti come minacciosi o incapaci, solo perché poveri.
Dramma nel dramma, non è consentito loro di vedere la fine del tunnel della miseria. Si è giunti perfino a teorizzare e realizzare un’architettura ostile in modo da sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di accoglienza. Vagano da una parte all’altra della città, sperando di ottenere un lavoro, una casa, un affetto… Ogni eventuale possibilità offerta, diventa uno spiraglio di luce; eppure, anche là dove dovrebbe registrarsi almeno la giustizia, spesso si infierisce su di loro con la violenza del sopruso. Sono costretti a ore infinite sotto il sole cocente per raccogliere i frutti della stagione, ma sono ricompensati con una paga irrisoria; non hanno sicurezza sul lavoro né condizioni umane che permettano di sentirsi uguali agli altri. Non esiste per loro cassa integrazione, indennità, nemmeno la possibilità di ammalarsi.
Il Salmista descrive con crudo realismo l’atteggiamento dei ricchi che depredano i poveri: “Stanno in agguato per ghermire il povero…attirandolo nella rete” (cfr Sal 10,9). È come se per loro si trattasse di una battuta di caccia, dove i poveri sono braccati, presi e resi schiavi. In una condizione come questa il cuore di tanti si chiude, e il desiderio di diventare invisibili prende il sopravvento. Insomma, riconosciamo una moltitudine di poveri spesso trattati con retorica e sopportati con fastidio. Diventano come trasparenti e la loro voce non ha più forza né consistenza nella società. Uomini e donne sempre più estranei tra le nostre case e marginalizzati tra i nostri quartieri.
3. Il contesto che il Salmo descrive si colora di tristezza, per l’ingiustizia, la sofferenza e l’amarezza che colpisce i poveri. Nonostante questo, offre una bella definizione del povero. Egli è colui che “confida nel Signore” (cfr v. 11), perché ha la certezza di non essere mai abbandonato. Il povero, nella Scrittura, è l’uomo della fiducia! L’autore sacro offre anche il motivo di tale fiducia: egli “conosce il suo Signore” (cfr ibid.), e nel linguaggio biblico questo “conoscere” indica un rapporto personale di affetto e di amore.
Siamo dinanzi a una descrizione davvero impressionante che non ci aspetteremmo mai. Ciò, tuttavia, non fa che esprimere la grandezza di Dio quando si trova dinanzi a un povero. La sua forza creatrice supera ogni aspettativa umana e si rende concreta nel “ricordo” che egli ha di quella persona concreta (cfr v. 13). È proprio questa confidenza nel Signore, questa certezza di non essere abbandonato, che richiama alla speranza. Il povero sa che Dio non lo può abbandonare; perciò vive sempre alla presenza di quel Dio che si ricorda di lui. Il suo aiuto si estende oltre la condizione attuale di sofferenza per delineare un cammino di liberazione che trasforma il cuore, perché lo sostiene nel più profondo.
4. È un ritornello permanente delle Sacre Scritture la descrizione dell’agire di Dio in favore dei poveri. Egli è colui che “ascolta”, “interviene”, “protegge”, “difende”, “riscatta”, “salva”… Insomma, un povero non potrà mai trovare Dio indifferente o silenzioso dinanzi alla sua preghiera. Dio è colui che rende giustizia e non dimentica (cfr Sal 40,18; 70,6); anzi, è per lui un rifugio e non manca di venire in suo aiuto (cfr Sal 10,14).
Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre. Il “giorno del Signore”, come descritto dai profeti (cfr Am 5,18; Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti. La condizione di emarginazione in cui sono vessati milioni di persone non potrà durare ancora a lungo. Il loro grido aumenta e abbraccia la terra intera. Come scriveva Don Primo Mazzolari: «Il povero è una protesta continua contro le nostre ingiustizie; il povero è una polveriera. Se le dai fuoco, il mondo salta».
5. Non è mai possibile eludere il pressante richiamo che la Sacra Scrittura affida ai poveri. Dovunque si volga lo sguardo, la Parola di Dio indica che i poveri sono quanti non hanno il necessario per vivere perché dipendono dagli altri. Sono l’oppresso, l’umile, colui che è prostrato a terra. Eppure, dinanzi a questa innumerevole schiera di indigenti, Gesù non ha avuto timore di identificarsi con ciascuno di essi: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Sfuggire da questa identificazione equivale a mistificare il Vangelo e annacquare la rivelazione. Il Dio che Gesù ha voluto rivelare è questo: un Padre generoso, misericordioso, inesauribile nella sua bontà e grazia, che dona speranza soprattutto a quanti sono delusi e privi di futuro.
Come non evidenziare che le Beatitudini, con le quali Gesù ha inaugurato la predicazione del regno di Dio, si aprono con questa espressione: «Beati voi, poveri» (Lc 6,20)? Il senso di questo annuncio paradossale è che proprio ai poveri appartiene il Regno di Dio, perché sono nella condizione di riceverlo. Quanti poveri incontriamo ogni giorno! Sembra a volte che il passare del tempo e le conquiste di civiltà aumentino il loro numero piuttosto che diminuirlo. Passano i secoli, e quella beatitudine evangelica appare sempre più paradossale; i poveri sono sempre più poveri, e oggi lo sono ancora di più. Eppure Gesù, che ha inaugurato il suo Regno ponendo i poveri al centro, vuole dirci proprio questo: Lui ha inaugurato, ma ha affidato a noi, suoi discepoli, il compito di portarlo avanti, con la responsabilità di dare speranza ai poveri. È necessario, soprattutto in un periodo come il nostro, rianimare la speranza e restituire fiducia. È un programma che la comunità cristiana non può sottovalutare. Ne va della credibilità del nostro annuncio e della testimonianza dei cristiani.
6. Nella vicinanza ai poveri, la Chiesa scopre di essere un popolo che, sparso tra tante nazioni, ha la vocazione di non far sentire nessuno straniero o escluso, perché tutti coinvolge in un comune cammino di salvezza. La condizione dei poveri obbliga a non prendere alcuna distanza dal Corpo del Signore che soffre in loro. Siamo chiamati, piuttosto, a toccare la sua carne per comprometterci in prima persona in un servizio che è autentica evangelizzazione. La promozione anche sociale dei poveri non è un impegno esterno all’annuncio del Vangelo, al contrario, manifesta il realismo della fede cristiana e la sua validità storica. L’amore che dà vita alla fede in Gesù non permette ai suoi discepoli di rinchiudersi in un individualismo asfissiante, nascosto in segmenti di intimità spirituale, senza alcun influsso sulla vita sociale (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 183).
Recentemente abbiamo pianto la morte di un grande apostolo dei poveri, Jean Vanier, che con la sua dedizione ha aperto nuove vie alla condivisione promozionale con le persone emarginate. Jean Vanier ha ricevuto da Dio il dono di dedicare tutta la sua vita ai fratelli con gravi disabilità che spesso la società tende ad escludere. È stato un “santo della porta accanto” alla nostra; con il suo entusiasmo ha saputo raccogliere intorno a sé tanti giovani, uomini e donne, che con impegno quotidiano hanno dato amore e restituito il sorriso a tante persone deboli e fragili offrendo loro una vera “arca” di salvezza contro l’emarginazione e la solitudine. Questa sua testimonianza ha cambiato la vita di tante persone e ha aiutato il mondo a guardare con occhi diversi alle persone più fragili e deboli. Il grido dei poveri è stato ascoltato e ha prodotto una speranza incrollabile, creando segni visibili e tangibili di un amore concreto che fino ad oggi possiamo toccare con mano.
7. «L’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via» (ibid., 195) è una scelta prioritaria che i discepoli di Cristo sono chiamati a perseguire per non tradire la credibilità della Chiesa e donare speranza fattiva a tanti indifesi. La carità cristiana trova in essi la sua verifica, perché chi compatisce le loro sofferenze con l’amore di Cristo riceve forza e conferisce vigore all’annuncio del Vangelo.
L’impegno dei cristiani, in occasione di questa Giornata Mondiale e soprattutto nella vita ordinaria di ogni giorno, non consiste solo in iniziative di assistenza che, pur lodevoli e necessarie, devono mirare ad accrescere in ognuno l’attenzione piena che è dovuta ad ogni persona che si trova nel disagio. «Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione» (ibid., 199) per i poveri nella ricerca del loro vero bene. Non è facile essere testimoni della speranza cristiana nel contesto della cultura consumistica e dello scarto, sempre tesa ad accrescere un benessere superficiale ed effimero. È necessario un cambiamento di mentalità per riscoprire l’essenziale e dare corpo e incisività all’annuncio del regno di Dio.
La speranza si comunica anche attraverso la consolazione, che si attua accompagnando i poveri non per qualche momento carico di entusiasmo, ma con un impegno che continua nel tempo. I poveri acquistano speranza vera non quando ci vedono gratificati per aver concesso loro un po’ del nostro tempo, ma quando riconoscono nel nostro sacrificio un atto di amore gratuito che non cerca ricompensa.
8. A tanti volontari, ai quali va spesso il merito di aver intuito per primi l’importanza di questa attenzione ai poveri, chiedo di crescere nella loro dedizione. Cari fratelli e sorelle, vi esorto a cercare in ogni povero che incontrate ciò di cui ha veramente bisogno; a non fermarvi alla prima necessità materiale, ma a scoprire la bontà che si nasconde nel loro cuore, facendovi attenti alla loro cultura e ai loro modi di esprimersi, per poter iniziare un vero dialogo fraterno. Mettiamo da parte le divisioni che provengono da visioni ideologiche o politiche, fissiamo lo sguardo sull’essenziale che non ha bisogno di tante parole, ma di uno sguardo di amore e di una mano tesa. Non dimenticate mai che «la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale» (ibid., 200).
I poveri prima di tutto hanno bisogno di Dio, del suo amore reso visibile da persone sante che vivono accanto a loro, le quali nella semplicità della loro vita esprimono e fanno emergere la forza dell’amore cristiano. Dio si serve di tante strade e di infiniti strumenti per raggiungere il cuore delle persone. Certo, i poveri si avvicinano a noi anche perché stiamo distribuendo loro il cibo, ma ciò di cui hanno veramente bisogno va oltre il piatto caldo o il panino che offriamo. I poveri hanno bisogno delle nostre mani per essere risollevati, dei nostri cuori per sentire di nuovo il calore dell’affetto, della nostra presenza per superare la solitudine. Hanno bisogno di amore, semplicemente.
9. A volte basta poco per restituire speranza: basta fermarsi, sorridere, ascoltare. Per un giorno lasciamo in disparte le statistiche; i poveri non sono numeri a cui appellarsi per vantare opere e progetti. I poveri sono persone a cui andare incontro: sono giovani e anziani soli da invitare a casa per condividere il pasto; uomini, donne e bambini che attendono una parola amica. I poveri ci salvano perché ci permettono di incontrare il volto di Gesù Cristo.
Agli occhi del mondo appare irragionevole pensare che la povertà e l’indigenza possano avere una forza salvifica; eppure, è quanto insegna l’Apostolo quando dice: «Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1 Cor 1,26-29). Con gli occhi umani non si riesce a vedere questa forza salvifica; con gli occhi della fede, invece, la si vede all’opera e la si sperimenta in prima persona. Nel cuore del Popolo di Dio in cammino pulsa questa forza salvifica che non esclude nessuno e tutti coinvolge in un reale pellegrinaggio di conversione per riconoscere i poveri e amarli.
10. Il Signore non abbandona chi lo cerca e quanti lo invocano; «non dimentica il grido dei poveri» (Sal 9,13), perché le sue orecchie sono attente alla loro voce. La speranza del povero sfida le varie condizioni di morte, perché egli sa di essere particolarmente amato da Dio e così vince sulla sofferenza e l’esclusione. La sua condizione di povertà non gli toglie la dignità che ha ricevuto dal Creatore; egli vive nella certezza che gli sarà restituita pienamente da Dio stesso, il quale non è indifferente alla sorte dei suoi figli più deboli, al contrario, vede i loro affanni e dolori e li prende nelle sue mani, e dà loro forza e coraggio (cfr Sal 10,14). La speranza del povero si fa forte della certezza di essere accolto dal Signore, di trovare in lui giustizia vera, di essere rafforzato nel cuore per continuare ad amare (cfr Sal 10,17).
La condizione che è posta ai discepoli del Signore Gesù, per essere coerenti evangelizzatori, è di seminare segni tangibili di speranza. A tutte le comunità cristiane e a quanti sentono l’esigenza di portare speranza e conforto ai poveri, chiedo di impegnarsi perché questa Giornata Mondiale possa rafforzare in tanti la volontà di collaborare fattivamente affinché nessuno si senta privo della vicinanza e della solidarietà. Ci accompagnino le parole del profeta che annuncia un futuro diverso: «Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia» (Ml 3,20).
Dal Vaticano, 13 giugno 2019
Memoria liturgica di S. Antonio di Padova
Francesco
Il Papa benedice gli immigrati: "Una ricchezza e una risorsa"Sergio Rame - Gio, 21/04/2016
https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 49448.html Bergoglio torna a pungolare i leader europei: "Sui migranti servono politiche più lungimiranti". Poi l'appello alla Caritas: "Continui nell'impegno dell'accoglienza"
"Il fenomeno delle migrazioni oggi presenta aspetti critici che vanno gestiti con politiche organiche e lungimiranti".
Nel discorso riviolto alla Caritas Italiana e alle sue articolazioni diocesane e parrocchiali, papa Francesco ha ribadito che l'arrivo degli immigrati "rimane pur sempre una ricchezza e una risorsa, sotto diversi punti di vista". Proprio per questo il Santo Padre ha incoraggiato la Caritas a "proseguire nell'impegno e nella prossimità nei confronti delle persone immigrate".
Il Papa considera "prezioso" il lavoro della Caritas a favore degli stranieri perché "accanto all'approccio sinodale, tende a privilegiare scelte che favoriscano sempre più l'integrazione tra popolazioni straniere e cittadini italiani, offrendo agli operatori di base strumenti culturali e professionali adeguati alla complessità del fenomeno e alle sue peculiarità". Secondo Francesco, "di fronte alle sfide e alle contraddizioni del nostro tempo, la Caritas ha il difficile, ma fondamentale compito, di fare in modo che il servizio caritativo diventi impegno di ognuno di noi, cioè che l'intera comunità cristiana diventi soggetto di carità". "Ecco quindi l'obiettivo principale del vostro essere e del vostro agire: essere stimolo e anima perchè la comunità tutta cresca nella carità e sappia trovare strade sempre nuove per farsi vicina ai più poveri, capace di leggere e affrontare le situazioni che opprimono milioni di fratelli - in Italia, in Europa, nel mondo".
Secondo Bergoglio, particolarmente rilevante è il ruolo di promozione e formazione che la Caritas riveste nei confronti delle diverse espressioni del volontariato. Un volontariato che, a detta di papa Francesco, "è chiamato a investire tempo, risorse e capacità per coinvolgere l'intera comunità negli impegni di solidarietà che porta avanti". "Come pure - ha concluso il Santo Padre - è essenziale il vostro compito di stimolo nei confronti delle istituzioni civili e di un'adeguata legislazione, in favore del bene comune e a tutela delle fasce più deboli; un impegno che si concretizza nella costante offerta di occasioni e strumenti per una conoscenza adeguata e costruttiva delle situazioni".
Chiesa ed economia/6. Ricchi sempre più ricchiStefano Zamagni
sabato 1 febbraio 2014
https://www.avvenire.it/agora/pagine/ch ... economia-6«Il mercato è necessario però può incepparsi: la globalizzazione ha diminuito lo povertà assoluta, ma ha accresciuto quella relativa. Francesco ci sprona a intervenire sulle cause dei malfunzionamenti senza per questo sostenere il pauperismo, come pure qualche commentatore frettoloso ha scritto»
Come c’era da aspettarsi, la pubblicazione dell’Evangelii gaudium, il messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio, il messaggio al World Economic Forum di Davos del 21 gennaio di papa Francesco hanno suscitato una ridda di prese di posizione, in Italia come all’estero, in gran parte di taglio non favorevole. Perché? La ragione è facile a dirsi: il Papa, non interessato ad alcun compromesso, non si preoccupa di sposare una sorta di linea mediana di pensiero nella quale ognuno possa trovare una qualche traccia del proprio punto di vista. Piuttosto, la sua è la scelta della minoranza profetica, di chi cioè si adopera non ad anticipare il futuro, ma a denunciare, con coraggio, il presente. Il filosofo della scienza direbbe che quello di Francesco è un esercizio non di “scienza normale”, ma di “scienza rivoluzionaria” che propone un paradigma diverso da quello dominante. A tal proposito, bene ha fatto Luigino Bruni a chiarire il senso preciso del termine esortazione che, in latino, significa sia “incitare con forza” sia “consolare, rialzare”. Tutt’altro dunque di mere raccomandazioni per buonisti.Quali i pilastri portanti della linea di pensiero del Pontefice circa il modo di intendere, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, il fenomeno dell’economia capitalistica di mercato, quale è oggi all’opera? Il Papa – si badi – non fa riferimento a un astratto modello di economia di mercato quale è quello narrato nella più parte dei libri di testo. In primo luogo, Francesco dimostra di aver ben compreso che a partire dall’ultimo trentennio, in seguito al dispiegarsi degli effetti congiunti della globalizzazione e della terza rivoluzione industriale, si è materializzata un’inversione del rapporto tra sfera economica e politica: l’economia è diventata il regno dei fini e la politica il regno dei mezzi. Non così – come sappiamo – nei due secoli precedenti, quando era la politica, in quanto azione organizzata responsabile del bene comune, ad indicare i fini che la società doveva raggiungere e al mercato si chiedeva la ricerca dei mezzi più efficaci per conseguirli. Occorre perciò agire – ci sprona il Papa – per rimettere a posto le cose.Da ciò consegue – e questo è un secondo pilastro – l’invito a cercare una via d’uscita pervia dalla soffocante dicotomia che vede, su un fronte, la tesi neoliberista secondo cui i mercati funzionano quasi sempre bene – e dunque non vi sarebbe bisogno di invocare speciali interventi regolativi – e sull’altro fronte la tesi neostatalista secondo cui i mercati quasi sempre falliscono – e pertanto occorre affidarsi alla mano visibile dello Stato. Invece, proprio perché i mercati – che sono necessari – spesso non funzionano bene, è urgente intervenire sulle cause dei tanti malfunzionamenti, soprattutto in ambito finanziario, piuttosto che limitarsi a correggerne gli effetti. È questa la via che è favorita da chi si colloca nell’alveo dell’economia civile di mercato – un alveo nel quale papa Francesco pare muoversi, in sintonia con l’insegnamento dei suoi ultimi due predecessori.Il mercato non è solo un meccanismo efficiente di regolazione degli scambi. È soprattutto un ethos che induce cambiamenti profondi delle relazioni umane e del carattere degli uomini che vivono in società. Di qui l’insistenza del Papa sul principio di fraternità che deve trovare un posto adeguato dentro l’agire di mercato e non fuori, come vuole il “capitalismo compassionevole”. Si osservi che papa Bergoglio non si scaglia affatto contro la ricchezza di per sé né si dichiara a favore del pauperismo – come più di un commentatore frettoloso ha scritto. Peraltro, ciò sarebbe incompatibile con l’idea cristiana di creazione e con quanto papa Giovanni XXII nel 1318, nella bolla Gloriosam Ecclesiam, già aveva chiaramente precisato. Il suo giudizio severo riguarda piuttosto i modi in cui la ricchezza viene generata e i criteri con cui essa viene distribuita tra i membri del consorzio umano – modi e criteri che un cristiano non può non sottoporre al giudizio morale.Ciò mi porta al terzo pilastro del pensiero di papa Francesco: la tesi della "ricaduta favorevole", di cui si parla nell’Evangelii gaudium, meglio nota come tesi "dell’effetto di sgocciolamento" ; una tesi che è efficacemente resa dall’aforisma – per primo usato, pare, dall’americano Alan Blinder – secondo cui «una marea che sale solleva tutte le barche». Per chi crede ad essa, non vi sarebbe da preoccuparsi della distribuzione di redditi e ricchezza, perché, alla fine, tutti finiranno con lo stare meglio; l’importante allora è aumentare la crescita della torta.Ora, è bensì vero che le gocce di ricchezza che scendono verso il basso avvantaggiano anche i poveri; ma se si accoglie la prospettiva della Dottrina sociale della Chiesa, la domanda rilevante da porre è un’altra: è moralmente accettabile che chi si trova verso il fondo della gerarchia sociale, pur migliorando la propria posizione di benessere, veda aumentare la distanza che lo separa dal gruppo sociale di testa? Questo è proprio quanto è accaduto nel corso dell’ultimo trentennio, come Luigi Campiglio ha inequivocabilmente mostrato.
Invero, il Papa dimostra di capire quel che troppi osservatori e studiosi fingono di non vedere e cioè che povertà assoluta e diseguaglianza sono cose diverse. La globalizzazione ha certamente diminuito la povertà assoluta – quella di chi mette assieme meno di due dollari al giorno, in media – ma ha accresciuto in modo preoccupante i poveri relativi, ossia chi ottiene meno della metà del reddito pro capite prevalente nella comunità di appartenenza.Ecco perché la lotta alla povertà assoluta, di certo sacrosanta, non può essere sbandierata come rimedio anche per la lotta alle diseguaglianze sociali. Il fatto è che, mentre per condurre la prima lotta, è sufficiente intervenire sui meccanismi redistributivi – ad esempio tassazione, filantropia, ecc. – se si vuole agire sulla riduzione delle diseguaglianze occorre intervenire sui meccanismi stessi di produzione della ricchezza. E questo dà fastidio! Perché? Per la segreta (o meglio tenuta segreta) ragione che ciò verrebbe ad interferire con quello che J. Schumpeter chiamò (1912) il vero motore del capitalismo: la «distruzione creatrice». Il mercato capitalistico deve "distruggere", cioè eliminare imprese e persone per poter crescere indefinitamente. Agli espulsi penseranno poi, se del caso, i programmi assistenzialistici. L’economia civile di mercato mai potrà accettare la darwiniana distruzione creatrice che riduce le relazioni economiche tra persone a relazioni tra cose.Per chiudere. Un saggio recente di Marco Vitale ci informa che nel 1980 gli attivi finanziari erano pari al Pil mondiale (27 trilioni di dollari). Nel 2007, questi erano saliti a quattro volte il Pil mondiale (240 trilioni a fronte di 60 trilioni) ed, oggi, a crisi finanziaria ormai conclusa, quel totale è ancora aumentato. Nello stesso periodo, nella gran parte dei paesi i redditi da lavoro sul Pil sono scesi di oltre nove punti in media e la concentrazione della ricchezza ha raggiunto punte mai viste in precedenza. E si potrebbe continuare a lungo. Di fronte alla violenza di questi e altri fatti, papa Francesco, senza preoccuparsi di essere tacciato di "papismo" – la posizione che identifica il cattolicesimo con il Papa – ha ritenuto e ritiene di non poter tacere, perché sa che più la Chiesa è se stessa, più conosce critiche e riceve attacchi, di ogni tipo. D’altro canto, non è forse vero che la necessitas passionis della Chiesa discende direttamente dalla necessitas passionis del suo Fondatore?
Papa Francesco: "La ricchezza è un bene solo se aiuta gli altri"Roma 19 febbraio 2014
https://www.rainews.it/dl/rainews/artic ... 9a7de.htmlMartedì prossimo la presentazione del libro del Cardinale Müller
Nella prefazione del libro "Povera per i poveri. La missione della Chiesa", Bergoglio parla della povertà, non solo economica, ma anche spirituale, sociale e morale. Il Papa esorta a non utilizzare i beni solo per i propri bisogni, se offerti ad altri possono portare a "un frutto inatteso"
Il denaro è di per sé uno strumento buono, che allarga le nostre possibilità, ma può essere anche un mezzo che allontana l'uomo dall'uomo, confinandolo in un orizzonte egoistico. Le parole sono di Papa Francesco; l'occasione è la prefazione - in anteprima sul Corriere della Sera - a "Povera per i poveri. La missione della Chiesa", il libro del cardinale Gerhard Müller.
Bergoglio scrive di un vero e proprio "disagio" nell'affrontare la parola "povertà", perché nel mondo occidentale il termine sarebbe legato all'assenza di potere economico, che si traduce nell'irrilevanza politica sociale e persino umana. "Chi non possiede denaro, viene considerato solo nella misura in cui può servire ad altri scopi".
Ma Papa Francesco sottolinea che "non esistono solo le povertà legate all'economia. È lo stesso Gesù a ricordarcelo, ammonendoci che la nostra vita non dipende solo dai nostri beni". Il Papa esorta a non utilizzare i beni solo per i propri bisogni, se offerti ad altri possono portare a "un frutto inatteso".
Il Pontefice parla inoltre del bisogno di solidarietà, di aiuto fin da quando si è bambini. Prima servono le cure dei genitori, poi in ogni tappa della vita sarà necessario l'aiuto di qualcuno, nessuno "riuscirà mai a strappare da sé il limite dell'impotenza davanti a qualcuno o qualcosa".
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1671 ... ndana.html https://www.frasicelebri.it/frasi-di/francesco/