Meno nascite… Ma perché?
di Claudio Conti
http://contropiano.org/altro/2017/11/28 ... che-098219
La benemerita Istat ha rilasciato il suo ennesimo report sull’andamento (negativo) della popolazione italiana. Da istituto statistico dà i numeri ma si guarda bene – specie dopo la successione di presidenti proni al potere politico degli ultimi anni – dal fornire spiegazioni che aiutino a far luce sulle cause.
E dunque partiamo dai numeri e vediamo di avanzare delle (robuste) ipotesi.
“Nel 2016 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 473.438 bambini, oltre 12 mila in meno rispetto al 2015. Nell’arco di 8 anni (dal 2008 al 2016) le nascite sono diminuite di oltre 100 mila unità”. Si tratta di un calo di quasi il 20% in un arco di tempo brevissimo. Per trovare andamenti così veloci bisogna probabilmente andare a vedere gli anni di guerra, quando milioni di uomini partivano “per il fronte” e una buona percentuale, poi, non tornava.
L’Istat, rilievi anagrafici alla mano – nota che “Il calo è attribuibile principalmente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani. I nati da questa tipologia di coppia scendono a 373.075 nel 2016 (oltre 107 mila in meno in questo arco temporale). Ciò avviene fondamentalmente per due fattori: le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione decrescente ad avere figli”.
E qui la mano dell’ideologo estensore del report si sovrappone all’ottimo e duro lavoro dei ricercatori. Viene infatti abbozzata obliquamente una possibile “causa”: la “colpa” delle donne italiane in età fertile che sarebbero “poco propense” a fare figli.
La causa sarebbe dunque “culturale”, risiederebbe nella mentalità e nei costumi correnti. Vedremo dopo quanto falsa sia questa “ipotesi comportamentale”.
“La diminuzione delle nascite registrata dal 2008 è da attribuire interamente al calo dei nati all’interno del matrimonio: nel 2016 sono solo 331.681 (oltre 132 mila in meno in soli 8 anni). Questa importante diminuzione è in parte dovuta al contemporaneo forte calo dei matrimoni, che hanno toccato il minimo nel 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze (57 mila in meno rispetto al 2008)”. Ci si sposa meno e, anche quando lo si fa, si fanno pochi figli. Il perché resta nell’aria, ancora accostato ai “comportamenti” umani, come se questi fossero slegati da qualsiasi causa materiale.
“Le donne italiane hanno in media 1,26 figli (1,34 nel 2010), le cittadine straniere residenti 1,97 (2,43 nel 2010)”. I numeri sono quelli, indubbiamente, ma accostarli in questo modo crea legami di significato e addirittura “prescrittivi” assai poco innocenti. Le donne straniere fanno più figli e questo dipende probabilmente anche da fattori “culturali”, nel senso che provengono in maggior parte da paesi in cui fare molti figli è un’assicurazione sulla possibilità che qualcuno resti vivo e perpetui la discendenza. Se le donne italiane non fanno altrettanto, però, non può dipendere solo dalla “cultura moderna”…
L’estensore del report ci prova comunque: “L’effetto della modificazione della struttura per età della popolazione femminile è responsabile per quasi i tre quarti della differenza di nascite osservata tra il 2008 e il 2016. La restante quota dipende invece dalla diminuzione della propensione ad avere figli.” Apprendiamo ancora una volta che l’invecchiamento della popolazione è – per tre quarti! – talmente avanzato che il numero di donne in età riproduttiva è molto più limitato di prima. Ma ancora una volta spunta la “propensione”. Sembra si sentire nelle orecchio un eco degli spot voluti a suo tempo dalla Lorenzin…
E allora proviamo noi ad avanzare qualche ragione decisamente più concreta.
La stessa Istat, infatti, ci informa regolarmente che un numero velocemente crescente di giovani cittadini italiani lascia questo paese. Siamo arrivati al punto che il flusso migratorio italiano verso altri paesi ha superato quello in ingresso, fatto di richiedenti asilo, profughi e “migranti economici”. I nostri emigranti, insomma, sono tutti “economici”.
Questa caratteristica, se fosse riconosciuta dall’anonimo estensore del report, dovrebbe suggerire che le cause della bassa natalità sono da ricercare proprio della sfera economica. La precarietà contrattuale che perseguita soprattutto i giovani (ma sempre più anche gli “anziani”) sconsiglia in genere di metter su famiglia e in primo luogo di generare figli, che vanno cresciuti, vestiti, nutriti, scolarizzati, curati, ecc. I bassi salari connessi alla condizione precaria aggravano il probleMeno nascite… Ma perché?ma, come sa chiunque conosca il prezzo dei pannolini…
Ma cominciano ad esserci anche cause endocrinologiche in molte parti del paese. La fertilità maschile si va riducendo, e sono sempre più numerosi i casi di “giovani adulti” con carenze nella produzione di spermatozoi in salute (attivi, regolari, in quanitità sufficiente, ecc).
Contemporanemente, sempre più donne in età fertile riscontrano problemi di endometriosi.
Unendo i due fenomeni negativi si vede facilmente che si moltiplicano i casi di coppie giovani con problemi riproduttivi serissimi (a uno o entrambi i partner).
Ne consegue che una o due generazioni, già ridotte di numero rispetto alle precedenti, sottoposte alla falcidia dell’emigrazione, dei bassi redditi e delle difficoltà riproduttive, non possono far altro che “produrre” un minore numero di figli.
Forse è il caso di spiegarlo all’anonimo ideologo incaricato di “abbellire” moralisticamente i report dell’Istat. Ci sembra infatti che abbia una “propensione” a scambiare gli effetti per cause. E questo nuoce gravemente alla reputazione di una delle poche “eccellenze italiane” ancora in vita.
Giovani, i nuovi poveri in Italia
Francesca Devescovi
http://www.alleyoop.ilsole24ore.com/201 ... 6_ueoyJba0
I giovani sono i più colpiti dalla povertà. A dirlo è il recente Rapporto sulla povertà della Caritas Italiana che restituisce una fotografia preoccupante del nostro Paese: la povertà infatti è un fenomeno più pervasivo e diffuso rispetto agli scorsi anni. Inoltre, come si diceva, il dato allarmante è che le persone più penalizzate non sono solo gli anziani, i pensionati, come nel passato, ma i giovani. E mentre in Europa la povertà giovanile è in declino, in Italia è in aumento (dal 2010 al 2015 si riscontra un incremento del 12,9%).
Nel 2015 (ultimo anno disponibile per questo tipo di dato fornito dall’Eurostat) spicca la presenza di oltre 117 milioni di europei a rischio di povertà (23,3% della popolazione complessiva legalmente presente nell’UE a 27 paesi, al primo gennaio 2016). In Italia, il numero totale di persone nello stesso tipo di condizione è di 17 milioni 469mila (28,8% della popolazione), di questo esercito quasi 2 milioni sono giovani.
Solitamente erano gli anziani, i nuclei con disoccupati e le famiglie numerose ad essere povere ma oggi la Caritas rileva una tendenza inversa proprio all’età: più si abbassa l’età, più aumenta la povertà. Sono i giovani (under 34) a vivere la situazione più critica e più allarmante di quella vissuta un decennio fa dagli ultra-sessantacinquenni. La crisi economica ha colpito tutti ma sono stati i giovani ad essere più penalizzati: oggi i nipoti sono più insicuri e poveri rispetto ai loro nonni e anche i figli lo sono rispetto ai propri genitori. Anche in prospettiva i figli finiranno la loro vita più poveri dei loro padri.
Questa nuova povertà dei giovani pesa di più rispetto a quella degli anziani perché ha maglie più larghe e colpisce un intero ecosistema. Un giovane povero è un giovane che non investe nell’educazione, che non può permettersi uno sport, che non va in vacanza. E’ un giovane che ha scarse possibilità di trovare un lavoro, uscire dalla propria casa di origine e fare famiglia. E’ quello che a livello europeo viene chiamato il fenomeno dei NEET, giovani privi di lavoro e fuori dal circuito educativo: l’Ocse stima che uno su tre vive ai margini della società.
I giovani che lavorano hanno anche un salario più basso rispetto a quello delle generazioni precedenti e anche questo fattore contribuisce ad una penalizzazione nei progetti di vita che oggi sono incerti e con tappe più diradate nel tempo rispetto al passato. La profonda recessione e il lento recupero dopo la crisi finanziaria del 2008 sono le cause primarie di questo fenomeno ma anche i cambiamenti del mercato del lavoro, il calo demografico che sta portando all’invecchiamento della popolazione e la riduzione del nucleo familiare. Questo circolo vizioso vale a livello globale ma l’Italia è uno dei Paesi più colpiti perché in altri Stati, come ad esempio la Svezia, sono state introdotte delle misure specifiche per incoraggiare i giovani allo studio e incrementare opportunità di lavoro di qualità e con salari equi.
L’impatto della povertà giovanile è quindi molto più ampio e il divario intergenerazionale in termini socio-economici penalizza i giovani nel nostro Paese a favore delle persone più anziane, meglio retribuite e con maggiori livelli di protezione sociale. Lo hanno capito anche gli stranieri: non solo i flussi migratori verso il nostro paese stanno diminuendo ma sono tanti gli stranieri che decidono di lasciare il nostro Paese, nel 2015 sono stati 44.000, il triplo rispetto a nove anni prima. Non solo gli stranieri ma anche i giovani che emigrano: nel 2016 73.000 giovani diplomati e laureati hanno abbandonano l’Italia ritenendolo un Paese per vecchi che perde il capitale umano più importante, quello dei giovani.
L’Italia si trova quindi di fronte ad una situazione drammatica: ha tanti anziani da proteggere e pochi giovani sui cui puntare. E i primi sono sempre al centro del dibattito politico e ben rappresentati invece i secondi versano nell’indifferenza più generale.
Larosa Michela
C'È da tener conto anche della moda imposta dell'omosessualità che, magari in percentuale minima, contribuisce al fenomeno
Alberto Pento
Una brutta moda.
Lara Rossi
Alberto Pento e Larosa Michela aggiungo alle vs giuste analisi un altro fattore che incide (almeno nel Nord Italia, al Centro Sud meno) sulla poca propensione a fare figli che è il carico molto oneroso dei vecchi residenti in questa parte del Paese. In effetti coppie che vorrebbero mettere al mondo dei figli sono destinate a contare esclusivamente sui loro magri introiti (i giovani percepiscono stipendi inferiori rispetto agli anziani) in quanto i loro genitori sono impegnati in compiti di cura molto onerosi sia dal punto di vista economico che umano. Se ai magri introiti aggiungiamo il costo del mutuo (le case pubbliche vanno esclusivamente a immigrati, a persone disabili e anziane. Queste ultime occupano la casa pubblica, spesso di dimensioni ragguardevoli, assegnategli quando avevano famiglia fino alla morte) e il costo non trascurabile del nido o della baby sitter mettere al mondo un figlio diventa quasi impossibile. Una altro fattore, questa volta culturale, è che si vuole dare ai figli molto di più di quanto si è ricevuto. Spesso famiglie medio/povere fanno i salti mortali per permettere ai figli di studiare e di restare a carico dei genitori molto a lungo, contrariamente a quanto accade in famiglie benestanti le quali non si fanno scrupoli a mandare i figli a lavorare e a cercare casa per conto proprio.