Łi ebrei a Venesia

Łi ebrei a Venesia

Messaggioda Berto » dom gen 26, 2014 9:16 am

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Łi ebrei a Venesia

Messaggioda Berto » mar mar 11, 2014 7:22 pm

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http://venipedia.it/ghetto

I tre banchi di pegno e l’usura

https://venipedia.it/it/ghetto/i-tre-ba ... 80%99usura


Nel Medioevo il termine usura indicava qualsiasi interesse preteso per prestiti in denaro o in natura.

A Venezia, tale attività fu inizialmente svolta dai Cristiani nei monti di Carità, i quali però vennero ben presto considerati contrari ai dettami della religione cristiana e quindi chiusi. La chiusura dei Monti di Pietà rappresentava un importante problema nella città lagunare in quanto erano numerose le persone che vi facevano uso, per cui tale lavoro venne imposto, unitamente ad altri obblighi, alla comunità ebraica.

Nel Concilio Lateranense del 1215 vennero proibite agli ebrei tutte le attività e i mestieri già svolti dai cristiani. Considerando inoltre le competenze e le capacità in possesso degli ebrei che — a differenza dei cristiani, in maggioranza analfabeti anche nei ceti più elevati — sapevano leggere, scrivere e “far di conto”, essi rappresentavano le persone ideali per svolgere quella che la Chiesa (ma anche la normativa ebraica) considerava un’attività scomoda e indegna: il prestatore di denaro.

All’interno del ghetto vennero quindi istituiti tre banchi di pegno: rosso, verde e nero, presumibilmente per via del colore delle ricevute che gli ebrei consegnavano al cliente.

La gran parte dei prestiti si basava sul bene dato in garanzia e custodia, per cui tali oggetti dovevano essere conservati in un luogo ben protetto e salvaguardato da eventi quali incendi, furti e rapine. I prestatori non potevano accettare qualsiasi cosa in pegno, infatti alcuni oggetti quali armi o articoli religiosi erano vietati dalla legge. Trascorso un anno, la merce in pegno non riscattata veniva alienata sotto il controllo dei messi della Serenissima.

I banchi non erano liberi di applicare autonomamente il tasso di interesse sui prestiti, essendo questi concordati con il Senato della Serenissima: venne imposta una percentuale che variava dal 12% al 5%, inferiore al tasso applicato in altri luoghi. Esso variava in funzione della garanzia offerta: in pratica, nella garanzia di firma il tasso era superiore rispetto a quello applicato su pegno.

In Campo del Ghetto Nuovo è ancora visibile l’insegna del banco di pegno rosso. Una curiosità: alcuni studiosi, pur non esistendo fonti ufficiali che lo testimoniano, ritengono che il modo di dire “andare in rosso” risalga proprio all'atto di recarsi al banco di pegno per chiedere un prestito.


I tre secoli del Ghetto (1516-1797)

https://venipedia.it/it/ghetto/i-tre-se ... -1516-1797

Dopo la sconfitta veneziana di Agnadello, in una difficile situazione socio-economica, lo Stato accolse gli ebrei nel centro storico.
Giorgio Emo propose in senato di mantenerli in città ma di segregarli in zone appartate. Scartate le ipotesi di chiuderli nelle isole della Giudecca o di Murano, con un decreto del senato del 29 marzo 1516, si accolse la proposta di Zaccaria Dolfin di rinchiudere gli ebrei in Ghetto Nuovo. Nel 1516 si stima che circa settecento ebrei tedeschi, italiani e alcune famiglie levantine, siano entrati, in breve tempo, nelle case del Ghetto Nuovo, pagando un affitto aumentato di un terzo e sotto il controllo delle severe magistrature della Serenissima Repubblica, che impose a tutti, tranne i medici, come contrassegno “la beretta zala da Ebrei”. Il “serraglio de’ giudei” fu cinto da alte mura, i cui portoni si chiudevano alla sera per aprirsi solo all’alba, mentre giorno e notte alcuni guardiani, pagati dagli ebrei stessi, sorvegliavano il recinto girando anche per i canali circostanti. A questa sezione furono aggiunti, su richiesta dei levantini, il Ghetto Vecchio, nel 1541, dove furono accolti, più tardi, nel 1589, anche i ponentini, mentre, su richiesta di alcune famiglie sefardite, fu aggiunto, nel 1633, il Ghetto Nuovissimo.
I permessi e le condotte del 1541 e del 1589 fecero aumentare la popolazione ebraica di alcune migliaia. Il numero massimo di abitanti si ebbe comunque nel primo ‘600, nonostante le perdite dovute alla peste del 1630, per diminuire poi progressivamente, fino alle 1626 presenze, registrate nell’anagrafe del 1797.
La gestione del ghetto presentava all’interno una struttura piramidale. L’organismo comunitario era rappresentato di fronte alle varie magistrature da un Consiglio Minore (Wa‘ad qatàn) e retto, all’interno, da un’assemblea generale (Qahàl Gadòl), mentre ogni sinagoga aveva la propria amministrazione e le proprie congregazioni assistenziali.
Il quartiere ebraico veneziano era una struttura molto ben articolata.
Nel Ghetto Vecchio la toponomastica mostra che alcuni settori prendevano nome da gruppi di famiglie (Calle e Corte Barucchi) o da illustri personalità (Corte Rodriga). Per volontà dei Levantini e dei Ponentini (impegnati nel commercio marittimo internazionale, sotto il controllo dei Savi alla Mercanzia) esistevano, tra il Campiello delle Scuole e la Strada Maestra, un ospedale, un albergo, una libreria, un caffè, botteghe per la vendita della carne, due forni per il pane, anche azzimo, botteghe varie. Due pozzi fornivano l’acqua, mentre un miqwé (bagno rituale) si trovava presso la Corte Rodriga (a sinistra, usciti dal portico di ghetto vecchio).
Nel Ghetto Nuovo, invece, tutto ruotava intorno ai tre banchi di pegno (rosso, verde e nero dal colore delle insegne), collocati ai tre lati del campo, attorno alle tre sinagoghe maggiori e alle tre sinagoghe minori; mentre lungo tutti i lati sorgevano molte botteghe di vario genere, ma soprattutto di strazzaria. Tre pozzi servivano per attingere acqua, un bagno rituale era collocato presso Scola Tedesca, un forno presso il Canton del Forno (Scola Canton). Insomma: una piccola città nella città.
Per circa tre secoli, la convivenza delle diverse entità etniche confluite sulla laguna (tedeschi, italiani, levantini e ponentini) comportò spesso tensioni per la diversità di usi, di lingua e di costumi, ma anche per il differente trattamento riservato dal governo veneziano ai vari gruppi sociali. Gli ebrei tedeschi (ashkenaziti), prestatori e mercanti, da quando furono rinchiusi nel Ghetto Nuovo, furono costretti a tenere i banchi di pegno a interesse controllato e a praticare solo il mercato dell’usato (strazarìa), sotto il severo controllo, soprattutto, dei magistrati al Cattavèr. In questa difficile condizione, tuttavia, essi riuscirono, già tra il 1528 e il 1532, a costruire le loro splendide sinagoghe maggiori (Scola Grande Tedesca e Scola Cantòn), nelle quali poter seguire il loro rito originario e alle quali si aggiunsero, successivamente, altre tre più piccole Scole sorte nel Campo (Kohanìm, Mesullamìm e Luzzatto). Essi mantennero viva, per più di un secolo dalla reclusione, la loro lingua yiddish; stamparono, inoltre, il loro formulario di preghiere (machazòr), e operarono nella stamperia in ebraico di Daniel Bomberg, la più importante di Venezia, e poi in quelle di Bragadin, Giustiniani e Di Gara, nobili veneziani impegnati nell’arte della stampa.
Uniti ai tedeschi, gli italiani non formarono mai una natione autonoma. Emigrati da Roma o dall’Italia centrale, vissero in Ghetto Nuovo nelle stesse difficili condizioni dei tedeschi, ma anch’essi seppero mantenere vivo il loro culto, strutturare una solida organizzazione comunitaria interna e, soprattutto, costruire la loro sinagoga nel 1575 (Scola Italiana), accanto ai luoghi di culto tedeschi.
Ben diverse furono invece le condizioni di vita della natione levantina e di quella ponentina, accolte, nella seconda metà del ‘500 (1541 e 1589), nelle calli vicine al Ghetto Nuovo. Divenuti sudditi dell’impero ottomano, gli ebrei levantini acquistarono un posto di prestigio nel grande commercio marittimo, perciò Venezia li accolse con favore, in vista del loro apporto all’economia della città. La Serenissima li pose sotto il controllo della magistratura dei Cinque Savi alla Mercanzia e concesse loro lo spazio aperto del Ghetto Vecchio, dove poterono avere un loro ospedale, una locanda, un ricovero per i mercanti di passaggio e dove poterono esibire la loro ricchezza non solo nella sontuosità del vestire, ma soprattutto nella esuberante decorazione della loro grande sinagoga, la Scola Levantina.
Nelle calli vicine, gli ebrei ponentini, profughi dalla penisola iberica dopo la cacciata del 1492, eredi della grande cultura dell’ebraismo spagnolo medievale, videro in Venezia, come disse uno dei loro più celebri intellettuali, Don Isacco Abrabanel, uno stato perfetto, dove regnava l’armonia dei poteri. Grande merito ebbe per favorire il loro insediamento in città il loro rappresentante Daniel Rodriga, per i vantaggi apportati dalle sue proposte all’economia lagunare; tanto che, in una condizione di favore, essi poterono erigere la più grande sinagoga del ghetto veneziano, la Scola spagnola, dove seguire, come i levantini, il rito sefardita, con propri libri di preghiera, mantenendo per molto tempo anche la loro lingua spagnola.



L'ebreo prestatore di denaro e l’usura

https://venipedia.it/it/ghetto/lebreo-p ... 80%99usura

L'usura era certamente il fenomeno che maggiormente colpiva la curiosità degli osservatori esterni: l'ebreo prestatore di denaro, chiuso nel proprio banco, costretto all’usura quale unica via d'accesso o di accoglienza nelle città. In particolare, come già detto, nel Concilio Lateranense del 1215 si stabilì l’esclusione da ogni corporazione ed attività degli ebrei, costretti dunque a sopravvivere di prestito su pegno e usura, attività condannate dal cristianesimo ma anche dall’ebraismo.
“Non possiamo possedere né campi, né vigneti, né altre proprietà, - faceva già dire a un ebreo del XII secolo, in un suo Dialogo, Pietro Abelardo - perché non c'è chi possa proteggerci da aggressioni palesi o subdole. E così per vivere ci rimane soltanto il guadagno che otteniamo prestando denaro agli altri popoli, il che ci rende loro ancora più odiosi”.
Sul prestito ebraico si scatenarono ostilità e pregiudizio.

“È ben vero - ripeteva agli inizi del Seicento il rabbino di Venezia Leon Modena - che [...] si sono molto abbassati d'animo (gli ebrei) [...] e s'hanno fatto lecito il pigliar usura [...] perché non hanno in che intramettersi per vivere”.
In quegli stessi anni, ribadiva, con maggior puntualità, l'altro noto rabbino veneziano Simone Luzzatto, riferendosi agli ebrei veneziani: “Fu instituito e imposto a gl'Hebrei che con l'apertura de tre Banchi dovessero soccorrere a' bisogni e urgenze de poveri meschini”.
Il Sanudo riteneva gli ebrei necessari come i panificatori, perché non fu mai istituito, a Venezia, un Monte di Pietà: non contava, ribadiva il Grimani, stessero a Mestre o in ghetto, purché si lasciasse che “i zudei presti a usura”. Un’imposizione, dunque, non una scelta, come ancora nell’Ottocento, riconosceva Carlo Cattaneo: “I nostri avi condannavano l’Ebreo a vivere di usura e poi lo maledicevano come usurajo”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Łi ebrei a Venesia

Messaggioda Berto » dom apr 20, 2014 9:03 pm

A copar Cristo xe stà i romani e no li ebrei:

viewtopic.php?f=24&t=342

Va bene. Cosa vuoi che Ti dica? Ti sei fatto una ricostruzione Tua che non è quella corretta, che non è quella della Chiesa e neppure quella che la Repubblica Marciana seguiva. L'anima è la Tua ... Ti mando un vecchio testo sul deicidio e un testo su Venezia e gli ebrei, che Ti fa vedere quanto si era convinti un tempo dell'unicità salvifica del cattolicesimo (quello tradizionale, si capisce, non quello deformato dele parrocchie di oggi, uscite dal concilio vaticano II): al punto da sanzionarsi, a Venezia, le prostitute che si concedevano a non cattolici. Ciao. M.G.R.

http://www.traditio.it/PASQUE%20VERONES ... /Ebrei.pdf

Chi ha ucciso Gesù Cristo (par i catoleghi romani tradisionalisti)
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... U4R2M/edit


Ebrei e Ghetto ebraico a Venezia

Ghetto Vecchio a San Geremia. Qui si stendeva anticamente un tratto di terreno, chiamato il getto o il ghetto, perché, come scrive il Temanza nelle illustrazioni all'Antica Pianta di Venezia, era la sede delle pubbliche fonderie, ove si gettavano le bombarde, e del magistrato presidente alle stesse. Tali fonderie esistevano fin dal secolo XIV, leggendosi in una Parte [deliberazione] del 29 maggio 1306: Cum tempore quo diminuta fuerunt salaria, fuisset diminutum salarium Nicolao Aymo qui est officialis ad Ghettum ecc. Avevano cessato d'esistere però nei primordii del secolo XV, poiché nel 1458 un Gasparino De Lon, avente l'età di 50 anni, citato come testimonio in una contesa giurisdizionale fra il parroco di San Geremia, e quello dei Santi Ermagora e Fortunato, dopo aver detto che il luogo ideo vocabatur el getto quia erant ibi ultra duodecim fornaces, et ibi fundebatur aes2, soggiunse che si ricordava d'aver veduto quelle fonderie nella sua puerizia, e che erant deputati tres domini ad eundem locum et offitium, prout sunt ad alia offitia, et erant scribanus et alii officiales, et vìvebant centum personae quodammodo ex illo offitio.
Dal documento medesimo si rileva che il ghetto era chiuso tutto all'intorno, e che, per mezzo d'una porticella e d'un piccolo ponte attraversante il rivo, si passava ad un terreno vicino, ove solevansi accumulare le macerie delle fornaci.
Anche questo secondo riparto, o per la vicinanza al primo, o perché là pure si fossero in seguito stabilite alcune fonderie, si disse il ghetto, ed ebbe l'aggiunta di nuovo al fine di contraddistinguerlo dall'altro, che prese il nome di vecchio. Perciò il Sabellico circa il 1490 così scrisse: ... sublicium… Hieremiae pontem revise, ubi cum trascenderis, ad laevam flectito. Hic subito dextera occurrit aerificina vetus, patrio sermone jactum vocant, locus hodie magna ex parte dirutus. Ex ea insula in campum undique aedificiis clausum ponte trascenditur. Est is undique ut insula circumfluus; recentiorem jactum nominant. Tenuis rivus Hieronymi aram inde dividit.
Tanto il Ghetto Vecchio, che il Nuovo si destinarono nel 1516 per abitazione agli Ebrei, ed essendo stata Venezia forse la prima città a voler divisi gli Ebrei dai Cristiani, od almeno trovandosi gli Ebrei più numerosi a Venezia che altrove, il nome
 TASSINI GIUSEPPE, Curiosità veneziane ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia. Introduzione, revisione e note di Lino Moretti. Prefazione di Elio Zorzi. Filippi Editore, Venezia 1970, pp. 285-287 e 585. Note e traduzione dei brani latini sono redazionali.
1 “Nel tempo in cui erano stati decurtati i salari, fu diminuito anche il compenso spettante a Nicolò Aymo, che era il funzionario che sovraintendeva al Ghetto”.
2 “Perciò veniva chiamato il Ghetto, poiché vi erano in quel luogo più di dodici fornaci, ed ivi si fondeva il bronzo”.
3 “Erano deputati a sovraintendere a quel luogo [al Ghetto] e a quell’incarico tre Signori, ora destinati ad altri incarichi, e vi erano uno segretario e altri funzionari e in un modo o nell’altro a cagione di quell’ufficio campavano cento persone”.
4 “Torna al ponte di legno di Geremia e, oltrepassatolo, svolterai a sinistra. Qui si trova subito un’antica officina dove si fonde il bronzo, che nella parlata dei nostri Padri chiamano getto, luogo oggi in gran parte demolito. Da quell’isolato, tramite un ponte, si passa in un terreno chiuso da tutti i lati. Esso è, come un’isola, bagnata da ogni parte dall’acqua, che chiamano getto nuovo. Da lì il piccolo rivo di [San] Girolamo divide il recinto”.
Ghetto divenne celebre così da passare a tutti gli altri luoghi di terraferma, e degli altri Stati eziandio, ove i figli d'Israele vennero costretti ad abitare insieme.
Ai medesimi poi nel secolo XVII si concesse un terzo riparto prossimo agli altri due, il quale, usandosi già la voce ghetto ad indicare un luogo destinato a soggiorno degli Ebrei, assunse la denominazione di Ghetto Novissimo. Esposta così la vera etimologia della voce suddetta, che alcuni erroneamente vogliono derivare dal caldeo ghet (gregge) oppure dall'ebraico nghedad, e siriaco nghetto (congregazione, sinagoga) diremo due parole sulle vicende dell'Ebraica Nazione in Venezia.
Si conosce dal Gallicciolli che fino dal 1152 aveva stanza fra noi. Probabilmente da principio abitava alla Giudecca. Nel secolo XIV, abusando dell'usure, venne confinata nella terra di Mestre. In seguito si richiamò, ma con condotta limitata ad un numero determinato d'anni, la quale, mediante l'oro sborsato al Governo, di tempo in tempo rinnovavasi. Gli Ebrei nel 1534 costituirono un'Università, composta di tre Nazioni, denominate Levantina, Ponentina, e Tedesca, a cui nel 1722 si preposero gli Inquisitorì sopra l'Università. Anticamente erano soggetti a rigorosissime discipline. Dovevano portare un segnale che li distinguesse dai Cristiani, e questo consisteva ora in una O di tela gialla, ora in una berretta gialla, ora in un cappello coperto di rosso. Sorpreso un Ebreo a giacere, con una donna cristiana, se quella fosse stata meretrice, pagava, per legge 19 luglio 1429, cinquecento lire, e rimaneva prigione [carcerata] per sei mesi; se non fosse stata donna di partito [prostituta], stava in carcere per un anno, e pagava parimenti lire cinquecento. Non potevano gli Ebrei esercitare alcun'arte nobile, eccetto la medicina, e nemmeno alcun'arte manuale. Era ad essi severamente vietato da principio di acquistare case od altri possessi. Dovevano finalmente, come abbiamo riferito, abitare nel Ghetto, le cui porte venivano chiuse dal tramonto al levare del sole, essendovi guardie e barche armate all'intorno per impedire ogni contravvenzione.
Ghetto Vecchio e Ghetto Nuovo (Ponte di) a San Girolamo. Questo Ponte è così denominato, perché sta fra il Ghetto Vecchio ed il Ghetto Nuovo, unendoli insieme. Schiavine (Calle delle) a San Luca. Qui probabilmente si lavoravano quelle grosse coperte di lana appellate schiavine, di cui i nostri progenitori facevano fiorito commercio. Abbiamo una Ducale 24 febbraio 1744 di Pietro Grimani, donde appare che Venezia era la sola città dello Stato in cui potessero esistere fabbriche di schiavine. La Calle delle Schiavine, a San Luca, è così denominata fin dal secolo XIV, leggendosi in una sentenza dei Signori di Notte al Criminal: ad curtem Sclavinarum ad pontem Fusariorum [in corte delle Schiavine presso il Ponte dei Fusari] colla data del 21 febbraio 1354 M. V. [more veneto, equivalente al 21 febbraio 1355].

E sappiamo dalle Raspe dell'Avogaria di Comun che, abitando nel secolo seguente un Datalo ebreo in curia [corte] da le Schiavine, ad Pontem Fusariorum, contrasse amicizia con una sua vicina cristiana di nome Giacometta, moglie d'un Tommaso di Giuriano, e giacque con lei più fiate [volte], laonde, con sentenza 13 giugno 1444, fu condannato ad un anno di carcere, ed a cinquanta lire di multa. La Giacometta poi, per avere ardito, tamquam sus immunda [alla maniera di un’immonda scrofa], di mescolarsi con un ebreo, venne pur essa condannata, con sen-tenza 1° agosto successivo, a quattro mesi di carcere, ed alla perdita della dote. Per l’intolleranza religiosa di quei tempi vedi Ghetto Vecchio.
Raspe erano dette i libri in cui si registravano le sentenze in materia criminale di ogni specie.
L’Avogaria di Comun era la Magistratura che promuoveva la pubblica accusa nel Dogado veneziano. La visione dell’autore, Giuseppe Tassini (1827-1899) il quale scrive nel tardo ‘800, è quella liberal-massonica e, quindi, radicalmente anticattolica, tipica del cosiddetto Risorgimento italiano.


Gheto (ghetto)
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... tzdFk/edit
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